Tumgik
#italiano questo sconosciuto
quando scrivete i post e mi sbagliate la grammatica vorrei rebloggarli solo per correggervi, che urto da leggere mamma mia, ma manco le elementari avete fatto?
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occhietti · 5 months
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Il giorno di Natale
Marco Masini
Anche se non mi conosci e la mia lingua non capisci oggi voglio scriverti, perché questo vecchio mondo è guasto e anche se non ti ho mai visto io mi sento troppo uguale a te, anche se siamo monete di valore svalutate da una misera realtà, siamo petali caduti in questa vita dallo stesso fiore...
Se ogni tanto ti perdoni e credi in altre religioni o non hai trovato ancora Dio, eppure lo bestemmi, a volte con ferocia, perché hai perso la fiducia, ma il tuo sangue brucia come il mio, anche se ti hanno convinto che l'amore è la più bugiarda delle verità, se sei ancora prigioniero di un errore che ti ha fatto male...
Buon Natale, sconosciuto fratello lontano, ti auguro buon Natale dal mio piccolo cielo italiano, non odiare chi ti vuole rubare il futuro, rendi il bene per il male, buon Natale!
Anche se la guerra è in onda e tutto il mondo si circonda di frontiere senza libertà, anche se ai poveri non restano che fame e trucchi, avanzi dei paesi ricchi, briciole di generosità, un messaggio arriva ancora dalla gente che ogni giorno aiuta chi non ce la fa, per la vita che rinasce in una stalla e un cuore universale...
Buon Natale, disarmato fratello lontano, ti auguro buon Natale e la luce di un campo di grano, non farlo, non buttare questo sogno a portata di mano e, anche se spegni o cambierai canale, buon Natale!
Anche senza un lavoro e senza dignità, anche se sei imbottito di felicità, se in questa notte, come per regalo, ti ritrovi solo, dentro a un letto di ospedale, buon Natale!
A un secolo che muore, buon Natale!
Fratello non mollare mai, ma rincorri anche tu quella stella, la vita è una grande mamma che ti culla, col suo alito immortale e un oceano d'amore.
Anche senza l'albero e i pacchetti da scartare, anche senza tutta questa festa artificiale, fosse, come gli altri giorni, il giorno più banale...
Buon Natale!
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Marco Masini - Il Giorno di Natale
 https://youtu.be/7g9ck98SB98
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Robert Dun
L’ANIMA EUROPEA
Risposta a Bernard-Henry Lévy
Prefazione di Adriano Scianca
“L’anima europea” costituisce una risposta, con 14 anni di ritardo, a un libro piuttosto famoso di Bernard-Henri Lévy: “Le Testament de Dieu”, pubblicato nel 1979 da Grasset. Potente e chiaro, questo contributo rappresenta una profonda e originale critica ai monoteismi delle religioni “rivelate”, che per l’autore hanno operato un’inversione della realtà e un soffocamente totale della gioia di vivere.
Non solo: queste pagine – frutto di un pensatore complesso e brillante, pressoché sconosciuto al pubblico italiano – incarnano una mistica europea senza tempo, invocando il riscatto di una Civiltà lacerata e colpevolizzata, alle prese con declino antropologico e spirituale senza precedenti.
Il grido di Robert Dun – qui arricchito da un saggio introduttivo di Adriano Scianca – è un monito che abbiamo il dovere di raccogliere, affinché i boschetti sacri non restino senza difensori. I toni disperati di molte sue pagine – allora – non possono che incoraggiarci a gridare con lui, spinti dalla memoria dei nostri antenati e dagli occhi sognanti dei nostri figli.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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fashionbooksmilano · 12 days
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Yemen
Fabio Rangoni
Testi di Isabella Camera d'Afflitto e 'Abd al-'Aziz al-Maqalih
Damiani, Bologna 2006, 128 pagine, 60 illustrazioni, 25x25cm, Inglese/Italiano/ Arabo, ISBN 9788889431764
euro 25,00
email if you want to buy [email protected]
Con più di 50 immagini in bianco e nero, il libro è il diario di viaggio del fotografo Fabio Rangoni nella regione dello Yemen. In un vivido bianco e nero ispirato alle fotografie scattate in Egitto dai viaggiatori archeologici nella seconda metà dell’800, gli scatti ritraggono la vita e gli spazi della capitale dello Yemen del Nord, San’a, situata al centro di un vasto altipiano e cinta da mura la cui leggendaria costruzione è fatta risalire a tempi biblici. Fra gli alti palazzi della città, veri e propri miracoli di statica architettonica, Rangoni ha documentato la vita, le abitudini e la storia del luogo che stregò anche il poeta Pier Paolo Pasolini, che a San’a girò un documentario e alcune scene del suo Fiore delle mille e una notte. Le foto sono accompagnate da una raccolta di poesie inedite del poeta yemenita contemporaneo ‘Abd al-‘Aziz al-Maqalih. La presenza di questi versi nel libro di Rangoni nasce dal felice incontro fra il fotografo e l’orientalista Isabella Camera D’Afflitto, che ha suggerito la pubblicazione di questo poeta pressoché sconosciuto ai lettori italiani. Visitare lo Yemen è stata per me un’esperienza di grande impatto, letteralmente un viaggio in un’altra dimensione spazio-temporale, una dimensione in cui la materia assume un ruolo preponderante e uomini, animali, terra, fango, città, torri, cisterne d’acqua, mura, mercati danzano come per incanto attorno a noi, in un unirsi e disunirsi continuo, ad un ritmo lento, ben diverso da quello a cui la nostra quotidianità ci costringe. Fabio Rangoni vive e lavora a Bologna. Isabella Camera D’Afflitto è Professore di Letteratura Araba Moderna e Contemporanea presso la Facoltà di Studi Orientali dell’Università “La Sapienza” di Roma. ‘Abd al-‘Aziz al-Maqalih, nato nel 1937, è uno dei più grandi poeti arabi contemporanei. Tra il 1972 e il 2005 ha pubblicato 13 raccolte di poesieoltre a numerosi saggi critici. È stato insignito di numerosi premi arabi e internazionali. Attualmente è Rettore dell’Università di San’a.
02/05/24
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The Nun II 2023
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✔️ 𝐒𝐓𝐑𝐄𝐀𝐌𝐈𝐍𝐆 𝐎𝐑𝐀 𝐐𝐔𝐈 ▶ https://bit.ly/3PCJt58
:: Trama The Nun II :: Tarascon, Francia, 1956. Un sacerdote trova la morte in circostanze terribili e misteriose all'interno della sua chiesa davanti agli occhi del suo chierichetto. Suor Irene, ancora turbata dalla lotta contro il demone avvenuta pochi anni prima e raccontata nel primo film della serie, vive adesso serenamente in un convento, ma riceve la visita di un prelato: oltre a quella a Tarascon, ci sono state altre strane morti di preti e suore. È chiaro che il demone è tornato e sta seguendo un suo percorso con un obiettivo sconosciuto. Dato che padre Burke è morto, solo lei può affrontarlo. Benché riluttante, suor Irene si mette in viaggio accompagnata da suor Debra. Scoprirà che nella vicenda è coinvolto Marcel, suo compagno di lotta nel primo film, adesso lavorante in un collegio femminile, e che la mira del demone è puntata su un'antica reliquia che lo renderebbe ancora più potente: gli occhi di Santa Lucia.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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era probabilmente inevitabile questo seguito.
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:: Trama The Nun II :: Tarascon, Francia, 1956. Un sacerdote trova la morte in circostanze terribili e misteriose all'interno della sua chiesa davanti agli occhi del suo chierichetto. Suor Irene, ancora turbata dalla lotta contro il demone avvenuta pochi anni prima e raccontata nel primo film della serie, vive adesso serenamente in un convento, ma riceve la visita di un prelato: oltre a quella a Tarascon, ci sono state altre strane morti di preti e suore. È chiaro che il demone è tornato e sta seguendo un suo percorso con un obiettivo sconosciuto. Dato che padre Burke è morto, solo lei può affrontarlo. Benché riluttante, suor Irene si mette in viaggio accompagnata da suor Debra. Scoprirà che nella vicenda è coinvolto Marcel, suo compagno di lotta nel primo film, adesso lavorante in un collegio femminile, e che la mira del demone è puntata su un'antica reliquia che lo renderebbe ancora più potente: gli occhi di Santa Lucia.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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schizografia · 2 years
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A chi si rivolge la parola?
In ogni epoca poeti, filosofi e profeti hanno lamentato e denunciato senza riserve i vizi e le manchevolezze del loro tempo. Chi così gemeva e accusava si rivolgeva tuttavia a dei suoi simili e parlava in nome di qualcosa di comune o almeno condivisibile. Si è detto, in questo senso, che poeti e filosofi hanno sempre parlato in nome di un popolo assente. Assente nel senso di mancante, di qualcosa di cui si sentiva la mancanza ed era pertanto in qualche modo ancora presente. Sia pure in questa modalità negativa e puramente ideale, le loro parole supponevano ancora un destinatario.
Oggi forse per la prima volta poeti e filosofi parlano – se parlano – senza avere più in mente alcun possibile destinatario. La tradizionale estraneità del filosofo al mondo in cui vive ha mutato di senso, non è più soltanto isolamento o persecuzione da parte di forze ostili o nemiche. La parola deve ora fare i conti con un’assenza di destinatario non episodica, ma per così dire costitutiva. Essa è senza destinario, cioè senza destino. Ciò si può anche esprimere dicendo, come si fa da più parti, che l’umanità – o almeno quella parte di essa più ricca e potente – è giunta alla fine della sua storia e che pertanto l’idea stessa di trasmettere e tramandare qualcosa non ha più senso. Quando Averroè nell’Andalusia del XII secolo affermava che lo scopo del pensiero non è di comunicare con gli altri, ma di unirsi all’intelletto unico, egli dava però per scontato che la specie umana fosse eterna. Noi siamo la prima generazione nella modernità per la quale questa certezza è stata revocata in dubbio, per la quale anzi appare probabile che il genere umano – almeno quello che intendevamo con questo nome – potrebbe cessare di esistere.
Se, tuttavia – come io sto facendo in questo istante –, continuiamo a scrivere, non possiamo non chiederci che cosa possa essere una parola che in nessun caso sarà condivisa e ascoltata, non possiamo sottrarci a questa estrema prova della nostra condizione di scriventi in condizione di assoluta inappartenenza. Certo il poeta è da sempre solo con la sua lingua, ma questa lingua era per definizione condivisa, cosa che ora non ci sembra più così evidente. In ogni caso, è il senso stesso di ciò che facciamo che si sta trasformando, si è forse già integralmente tramutato. Ma questo significa che dobbiamo ripensare da capo il nostro mandato nella parola – in una parola che non ha più un destinatario, che non sa più a chi si rivolge. La parola diventa qui simile a una lettera che è stata respinta al mittente perché il destinatario è sconosciuto. E noi non possiamo respingerla, dobbiamo tenerla fra le mani, perché forse siamo noi stessi quel destinatario sconosciuto.
Qualche anno fa, un rivista di lingua inglese mi aveva chiesto di rispondere alla domanda «A chi si rivolge la poesia». Do qui il testo italiano, ancora inedito.
A chi si rivolge la poesia?
È possibile rispondere a questa domanda, solo se si comprende che il destinatario di una poesia non è una persona reale, ma un’esigenza.
L’esigenza non coincide con nessuna delle categorie modali che ci sono familiari: ciò che è oggetto di un’esigenza non è né necessario né contingente, né possibile né impossibile .
Si dirà, piuttosto, che una cosa ne esige un’altra, quando, se la prima è, anche l’altra sarà, senza che la prima la implichi logicamente né la obblighi a esistere sul piano dei fatti. Essa è, semplicemente, al di là di ogni necessità e di ogni possibilità. Come una promessa che può essere adempiuta soltanto da colui che la riceve.
Benjamin ha scritto che la vita del principe Myškin esige di restare indimenticabile, quand’anche tutti l’avessero dimenticata. Allo stesso modo, una poesia esige di essere letta, anche se nessuno la legge.
Ciò si può anche esprimere dicendo che, in quanto esige di essere letta, la poesia deve restare illeggibile, che non vi è propriamente un lettore della poesia.
È quello che aveva forse in mente César Vallejo, quando, per definire l’intenzione ultima e quasi la dedica di tutta la sua poesia, non trovava altre parole che por el analfabeto a quien escribo. Si consideri la formulazione apparentemente ridondante: «per l’analfabeta a cui scrivo». Por non vale qui tanto «a», quanto «al suo posto», come Primo Levi diceva di testimoniare per – cioè «in luogo di» – quelli che nel gergo di Auschwitz si chiamavano i «musulmani», cioè coloro che in nessun caso avrebbero potuto testimoniare. Il vero destinatario della poesia è colui che non è in grado di leggerla. Ma ciò significa anche che il libro, che è destinato a colui che non può leggerlo – l’analfabeta – è stato scritto con una mano che, in un certo senso, non sa scrivere, con una mano analfabeta. La poesia restituisce ogni scrittura all’illeggibile da cui proviene e verso cui si mantiene in viaggio.
23 agosto 2022
Giorgio Agamben
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situazionespinoza · 1 year
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La mia depressione segue un pattern che alterna fasi maniacali folli e periodi di vuoto esistenziale in cui faccio fatica anche a tenere gli occhi aperti.
Negli ultimi due giorni sono passata da scatti d'ira violenta e immotivata a crisi di pulizia degne di una casalinga degli anni '50. Crisi che hanno avuto fine ieri, quando mi sono decisa a far visita all'emporio cinese sotto casa mia per comprare una nuova tenda per la doccia.
Adesso il mio bagno è bellissimo, lucido e pulito. Tutto grazie alla sfumatura di bianco avorio della nuova tendina in PVC, decorata da delicate fantasie di coralli cerulei.
Nel momento in cui ho deciso che la tenda della doccia avrebbe risolto tutta la frustrazione che mi causa la disorganizzazione della mia Manager Suprema, però, ho anche deciso che era giunto il momento di spendere 25 euro in un abbonamento annuale a un'applicazione per imparare il Coreano.
La fissa per il Coreano è la cosa che mi fa più ridere in assoluto, se la osservo dalla prospettiva di una mente neurotipica. Perché mai una ragazza di 26 anni, che padroneggia mirabilmente l'Inglese, sa parlare Francese e comprende il Tedesco, dovrebbe cimentarsi nell'imparare una lingua che realisticamente non le servirà a un bel niente?
Non lo so, fatto sta che adesso ho il mio bravo quadernino dove riporto in bella copia tutti i caratteri Hangul, le forme di saluto e le espressioni di cortesia. Sono due giorni che dedico almeno un'ora e mezza a leggere e imparare nuovi termini, arrabbiandomi con la mia lingua che non ne vuole sapere di articolare in maniera aggraziata questi suoni gutturali e palatali d'Oriente.
Ho anche scaricato un'applicazione per parlare con persone coreane, nella speranza di sveltire il processo di apprendimento e immagazzinare quante più nozioni linguistiche possibili prima che arrivi la prossima fase depressiva. Solo che le persone coreane o mi snobbano oppure mi parlano in Italiano. E in quest'ultimo caso lo parlano anche fin troppo bene, quindi finisco per mettermi a chiacchierare di cavolate, dimenticando che il mio obiettivo è riuscire a pronunciare bene la parola "anneyong".
Comunque, questa nuova e imprevedibile fissa fa il paio con l'assoluta mancanza di socializzare e parlare con la gente. Mi viene difficile trascorrere più di un paio d'ore insieme ad altre persone, soffro le conversazioni di circostanza e non riesco a trattenermi da sganciare piccole bombe non richieste in forma di considerazioni esistenzialeggianti sul senso della vita. Con il risultato che le persone attorno a me mi guardano perplesse e poi con un sospiro danno fuoco alla loro canna del fine settimana.
In periodi come questo darei via la mia anima per essere una persona normale, per essere in grado di parlare del niente ed essere contenta, per potermi accontentare della mediocrità e della frivolezza. Darei sinceramente la mia vita per poter esorcizzare le mie ansie paralizzanti facendo compere o passeggiando per le vie del centro.
E invece eccomi qua: barricata alla scrivania, quasi dimentica di mangiare, che passo dallo scrivere una copy sulle piante per il mal di testa a decifrare esercizi scritti in un alfabeto che fino a 48 ore fa mi era completamente sconosciuto.
Però in fin dei conti forse va anche bene così. Quando ero ragazzina avrei preferito suicidarmi piuttosto che ammettere a me stessa che stare da sola è proprio ciò che mi piace.
Certo, poter parlare con qualcuno è bello - in alcuni casi. Ma io sono rassegnata al fatto che neanche il mio ragazzo vuole sentirmi dar voce ai pensieri che popolano la mia testa. E come biasimarlo.
Anche la psicologa, che ho ghostato qualche mese fa, mal sopportava i miei sproloqui e le mie fisse estemporanee.
Anche lo psichiatra, che vedo solo due volte l'anno per farmi rinnovare le ricette, si limita a monopolizzare la seduta perché tanto io non avrei nulla di interessante da dirgli. E quindi sì, certo, parlami ancora della filosofia orientale mentre mi chiedi di pagarti senza fattura.
Anche mio padre, che ormai si è dato alla macchia, non mi ha mai lasciato parlare durante le poche volte che abbiamo mangiato assieme.
Che nessuno mi voglia ascoltare un po' mi ferisce. Anche perché vorrei tanto condividere la piccola gioia che mi dà il saper dire "grazie" in coreano. Vorrei poter dire che fare TikTok stupidi e senza pretese mi mette allegria. Vorrei poter dire a qualcuno che sì, mi sento molto sola ma che ho imparato a non farmi del male quando sono da sola con me stessa.
A quindici anni dicevo che anche le persone più ricche e di successo a fine giornata si trovano da sole davanti alle loro paure. Ebbene, io vivo all'ombra dei miei terrori ininterrottamente da ventisei anni. Ormai posso dire che sono loro i miei migliori amici.
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lamilanomagazine · 23 days
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Vergato e Castel San Pietro: telefonate e SMS phishing inviati per compiere truffe on line, 6 denunciati
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Vergato e Castel San Pietro (BO): telefonate e SMS phishing inviati per compiere truffe on line, 6 denunciati Vergato e Castel San Pietro (BO): I Carabinieri del Comando Provinciale di Bologna proseguono le attività di contrasto al fenomeno delle truffe on line, soprattutto ai danni delle fasce deboli; negli ultimi giorni hanno deferito in stato di libertà alla Procura della Repubblica di Bologna, sei persone le quali si sono rese responsabili di diverse truffe telefoniche. (primo caso) I Carabinieri della Stazione di Vergato, hanno denunciato un uomo e una donna, rispettivamente di 46 e 31 anni, entrambi italiani ed accusati del reato di truffa in concorso. Nella circostanza, la vittima, 34 italiana, si è rivolta ai militari della stazione di via Modena riferendo loro di aver contattato un numero di telefono fisso, ricercato su internet, al fine di attivare una polizza assicurativa. Poco dopo, convinta di aver ricevuto un sms dal vero assicuratore, la donna ha inquadrato il QR code contenuto all'interno del messaggio whatsapp ed ha effettuato il pagamento richiesto di 452,36 euro. Solo dopo essere stata sollecitata nuovamente al pagamento, dal sedicente assicuratore, la donna si è resa conto di essere stata truffata. (secondo caso) Sempre i Carabinieri della Stazione di Vergato, hanno denunciato un uomo e una donna, rispettivamente di 26 e 28 anni, entrambi italiani ed accusati del reato di truffa in concorso. In questo caso, la vittima, 77enne italiano, ha riferito ai militari di essere stato contattato dall'ex moglie, la quale a sua volta aveva ricevuto un sms da parte di un numero sconosciuto a firma della loro figlia. Quest'ultima ha riferito alla madre di aver perso il cellulare e di aver bisogno di denaro. Il 77enne, dopo aver inquadrato il QR code contenuto all'interno dell'sms ricevuto dalla sedicente figlia, ha effettuato, come da indicazioni ricevute, due differenti versamenti dell'importo complessivo di 1896 euro. Solo dopo essere riuscito a parlare con la "vera" figlia, l'uomo si è reso conto di essere stato truffato. (terzo caso) I Carabinieri della Stazione di Castel San Pietro Terme, hanno denunciato una 52 italiana, già nota alle forze dell'ordine, accusata del reato di truffa. La vittima, 30enne straniero, al fine di acquistare un'autovettura usata sulla piattaforma e-commerce "Facebook Market", ha contattato il numero di cellulare associato ad un account business dove nella circostanza la 52enne ha simulato in un primo momento la compravendita di una Fiat 500 e in un secondo momento quella di una Nissan Qashqai, per un importo complessivo pari a 5200 euro. Non avendo ricevuto più nessuna risposta dalla sedicente venditrice, il 30enne si è reso conto di essere stato truffato e si è rivolto ai Carabinieri della locale stazione per denunciare l'accaduto. (quarto caso) I Carabinieri della Stazione di Castel San Pietro Terme, hanno denunciato un 24enne italiano, già noto alle forze dell'ordine, accusato del reato di truffa. La vittima, 59enne italiana, dopo aver ricevuto sulla propria utenza telefonica un sms che la informava di un prelievo fraudolento pari a 198,47 euro avvenuto sul suo conto corrente, la invitava a cliccare su un link, al fine di essere ricontattata. Il sedicente operatore, facendo credere alla donna che si poteva bloccare il prelievo avvenuto a sua insaputa, la invitava così ad effettuate immediatamente due bonifici dell'importo complessivo pari a 1500 euro; denaro che le sarebbe stato restituito al termine delle operazioni. Recatasi in banca per ricevere spiegazioni, la donna si è accorta di essere stata raggirata e truffata. A seguito delle lunghe e complesse attività investigative, i Carabinieri hanno scoperto la vera identità dei vari intestatari collegati ai numeri di cellulare dal quale sono partiti gli sms phishing e quella relativa agli intestatari degli iban sui quali sono stati effettuati i vari bonifici da parte delle vittime. I Carabinieri del Comando Provinciale di Bologna raccomandano la massima attenzione sul fenomeno delle truffe, soprattutto ai danni delle fasce deboli e ricordano che a questo link è possibile consultare i consigli dell'Arma.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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scienza-magia · 29 days
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Gli anglosassoni lasciano i beni testamentari a fondi filantropici
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Se manca il testamento a fin di bene può arrivare il fondo filantropico. In Italia l’87% delle ricchezze trasferite mortis causa sono beni reali. Il testamento? Chi è questo sconosciuto? L’interrogativo calza a pennello nel leggere i dati del recente studio condotto da Evaluation Lab della Fondazione Giordano dell’Amore per conto della Fondazione Cariplo. I ricercatori nelle ipotesi migliore stimano tra gli 8,4 e i quasi 21 miliardi le ricchezze che potrebbero passare di mano nel 2030, sulla base di una ricchezza di circa 8.500 miliardi (stime di Banca D’Italia al 2020).
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Attenzione, però, queste ipotesi sono valide solo se si ipotizza che i disponenti facciano ricorso al testamento. Ma sempre lo stesso studio ci dice che la percentuale di italiani che vi ricorre (più donne che uomini perché le prime vivono più a lungo dei secondi) arriva a stento al 20 per cento. Inoltre, il testamento perché sia valido deve rispettare regole molto rigide: - essere un atto unilaterale, frutto della volontà del solo soggetto che vuole disporre delle proprie sostanze, e quindi non può essere fatto ad esempio da due coniugi; - deve avere una forma vincolata, è ammesso solo se redatto con le modalità imposte dalla legge, quindi principalmente nelle forme del testamento “olografo”, “pubblico” o “segreto”; - nel testamento il testatore esprime la propria volontà in ordine alle attribuzioni del proprio patrimonio dopo la sua morte. Quindi, chi non ha eredi deve indicare nome e cognome del beneficiario mentre chi li ha può disporre dei suoi beni a patto di non intaccare la quota (legittima) che spetta agli eredi.
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STIME DELLA PROPENSIONE A FARE TESTAMENTO Se il valore stimato della ricchezza che sarà trasferita mortis causa potrebbe raggiungere rispettivamente i 1.124 e i 3.222 miliardi al 2030 e al 2040, secondo alcune stime il numero di famiglie italiane senza eredi passerà dalle circa 62mila unità nel 2020 alle quasi 424mila unità nel 2030 con il rischio che un’ingente quantità di risorse finisca allo Stato e non sia invece diretto a soggetti o enti bisognosi. Fino ad oggi, oltre alle donazioni, tra gli strumenti giuridici impiegabili per perseguire scopi filantropici e di pubblica utilità si è fatto ricorso a fondazioni e trust. Mentre è poco noto il fondo filantropico che invece, soprattutto nel mondo anglosassone, si sta diffondendo con successo. Più noto tra gli esperti come Daf (Donor advised fund) è un fondo nominativo, ospitato da fondazioni “ombrello”, che nasce su impulso di uno o più donatori per sostenere enti no-profit o progetti specifici.
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RICCHEZZA POSSEDUTA E TRASFERITA MORTIS CAUSA «La sua caratteristica principale è quella di avere un vincolo di destinazione, concordato tra il donante e la fondazione “ombrello” - spiega Simonetta Schillaci, vice presidente esecutivo del Fondo Filantropico Italiano nato proprio con questa funzione - ma anche l’indipendenza, visto che ciascun fondo è gestito dalla fondazione separatamente dagli altri con l’obiettivo di perseguire una causa ben definita. Ad esempio, gestiamo un fondo destinato alla formazione di giovani universitarie nel sud Italia in cui il donatore si impegna ad alimentare il fondo per tutta la durata degli anni di studio». Va precisato che ogni fondo ha una propria denominazione, un proprio conto corrente bancario, le proprie tempistiche erogative. Poiché ad oggi non c’è una legislazione specifica, in Italia occorre fare riferimento alle esperienze normative di Francia, Belgio, Svizzera e Regno Unito e Stati Uniti. Read the full article
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Amore bugiardo
https://archiveofourown.org/works/55124395 by Himes Sterek AU. Stiles è sposato con Theo, ma scopre che suo marito lo tradisce. Per ripicca va a letto con uno sconosciuto incontrato in un bar, un certo Derek Hale. Doveva essere solo una storia di una notte, ma il destino e il signor Hale hanno altri piani. Dal capitolo 1: "Che cosa hai detto?", sibilò il castano, a voce bassa, ma ormai i loro volti erano talmente vicini che era sicuro che l'altro l'avesse sentito. Così fu, infatti. L'uomo inarcò le sopracciglia in un'espressione sfacciata, provocatoria, e ripeté quello che aveva appena detto: "Ho detto che hai davvero un bel culo", mormorò, con gli occhi puntati intensamente nei suoi. "E aggiungerei che tuo marito è veramente un coglione, se preferisce fottersi il culo di qualcun altro piuttosto che il tuo", concluse, drizzando la schiena in maniera che i loro visi fossero terribilmente vicini. Con quel suo complimento da basso borgo Derek lo aveva fatto sentire desiderato, apprezzato come suo marito, evidentemente, non faceva più da tempo. Per questo fu proprio lui a baciarlo. Era ubriaco. Addolorato. E cornuto. E in quel momento si sentiva di avere tutto il diritto di commettere quello sbaglio, quella scorrettezza. Words: 6357, Chapters: 1/?, Language: Italiano Fandoms: Teen Wolf (TV) Rating: Mature Warnings: Creator Chose Not To Use Archive Warnings Categories: M/M Characters: Derek Hale, Stiles Stilinski, Theo Raeken Relationships: Derek Hale/Stiles Stilinski, Theo Raeken & Stiles Stilinski Additional Tags: Angst, Romantic Angst, Lemon, Married Couple, Cheating read it on AO3 at https://archiveofourown.org/works/55124395
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sterek-ao3feed · 1 month
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Amore bugiardo
Read it on AO3 at https://archiveofourown.org/works/55124395
by Himes
Sterek AU. Stiles è sposato con Theo, ma scopre che suo marito lo tradisce. Per ripicca va a letto con uno sconosciuto incontrato in un bar, un certo Derek Hale. Doveva essere solo una storia di una notte, ma il destino e il signor Hale hanno altri piani. Dal capitolo 1: "Che cosa hai detto?", sibilò il castano, a voce bassa, ma ormai i loro volti erano talmente vicini che era sicuro che l'altro l'avesse sentito. Così fu, infatti. L'uomo inarcò le sopracciglia in un'espressione sfacciata, provocatoria, e ripeté quello che aveva appena detto: "Ho detto che hai davvero un bel culo", mormorò, con gli occhi puntati intensamente nei suoi. "E aggiungerei che tuo marito è veramente un coglione, se preferisce fottersi il culo di qualcun altro piuttosto che il tuo", concluse, drizzando la schiena in maniera che i loro visi fossero terribilmente vicini. Con quel suo complimento da basso borgo Derek lo aveva fatto sentire desiderato, apprezzato come suo marito, evidentemente, non faceva più da tempo. Per questo fu proprio lui a baciarlo. Era ubriaco. Addolorato. E cornuto. E in quel momento si sentiva di avere tutto il diritto di commettere quello sbaglio, quella scorrettezza.
Words: 6357, Chapters: 1/?, Language: Italiano
Fandoms: Teen Wolf (TV)
Rating: Mature
Warnings: Creator Chose Not To Use Archive Warnings
Categories: M/M
Characters: Derek Hale, Stiles Stilinski, Theo Raeken
Relationships: Derek Hale/Stiles Stilinski, Theo Raeken & Stiles Stilinski
Additional Tags: Angst, Romantic Angst, Lemon, Married Couple, Cheating
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girasoleazzurro · 3 months
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/introduzione
Questa storia inizia con la Luna, Luna piena su un cielo azzurro, di notturno luminoso, poco dopo il tramonto. Dai finestrini della macchina in movimento la Luna rimbalza sui Monti Sibillini. La storia raccontata nel libro nasce da questa immagine e cosi anche la storia del libro stesso che racconto qui.
Questa sara’ una indagine sulle idee e le suggestioni che hanno generato il racconto, esplorando e traducendo questa parte istintiva, ponendomi io per primo la domanda di dove arrivi. Il racconto nasce istintivamente, nasce ascoltando, guardando e mettendo insieme, non progettando o costruendo.
L’immagine che evoca l’azzurro di quel cielo è questa :
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E un’illustrazione di Carlo Chiostri per un libro che non ho letto: La formica nera, scritto da Tommaso Catani nel 1924, cento anni fa.
Questa immagine è anche sulla copertina di un altro libro: Guardare le figure di Antonio Faeti.
Quest'ultimo l'ho studiato come testo d'esame durante il percorso in Accademia, durante il triennio, era circa il 2015 ed è stato il mio primo incontro con Chiostri.
La figura di Chiostri che emerge dalla descrizione di Faeti è estremamente affascinante, fascino amplificato dal fatto che, pur avendo prodotto una quantità di libri illustrati, quasi nessuno di essi è facilmente reperibile oggi, con la grande eccezione di Pinocchio.
Chiostri è stato il secondo illustratore di Pinocchio, quello che ha meglio definito la sua immagine e il mondo in cui vive le sue avventure. Nonostante le infinite reinterpretazioni, il pinocchio ‘originale’ è quello che si muove nella toscana di fine 800, quello tratteggiato in pochi ma puntualissimi dettagli da Chiostri.
Pinocchio è una della figure più familiari e riconoscibili dell’immaginario collettivo italiano e occidentale. Il resto della produzione di Chiostri oltre Pinocchio è come un angolo sconosciuto in un ambiente familiare. Come quando si sogna un luogo che si conosce bene e si scopre una stanza mai vista prima.
Questo riassume l’idea alla base del mio racconto: familiarità e straniamento.
Lo stesso contrasto che è anche una delle caratteristiche della stessa produzione di Chiostri, il suo approccio al fantastico a partire dalla descrizione del reale quotidiano.
Il viaggio che inizia qui si muove quindi in diverse direzioni: la ricerca dei testi perduti che compongono il mondo raccontato da Chiostri, l'interpretazione del mio racconto e dei frammenti di immaginario che ci sono finiti dentro, cercando di capire come e perché; e la messa in relazione delle due cose, il dialogo tra me e un artista di un secolo fa, e di come il suo mondo sia più vicino di quanto può sembrare.
La bussola di questo viaggio è l’Azzurro. Il cielo pallido di quella sera sui monti Sibillini, il cielo dei notturni luminosi dipinti da Chiostri, la luce divina della Fata Turchina e della Madonna.
Ora, parto dall' inizio rileggendo Guardare le Figure.
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cinquecolonnemagazine · 3 months
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Up, up, hula hoop
Mio padre è stato in America per ben 5 volte, negli anni tra il ’69 ed il ’75. La prima volta, nel febbraio ’69, mi ha lasciata che avevo un anno e mezzo ed è tornato che ne avevo tre, e di lui avevo perso ogni ricordo. Ma non è di questo che voglio parlare. No, di questo no, non amo i biografismi intimisti, sanno di cinema italiano contemporaneo. Moretti, Muccino, da chi lo vogliono, con le loro storie minime di tristi famigliole colpite dal dramma dell’incomunicabilità? Che poi, scava scava, alla fine il problema sono sempre le corna. Non mi va di raccontare ‘sta roba troppo ammorbante: infanzie tradite, drammi psicosociosferici (nel senso che la psicologia e la sociologia le sfere pure ce le hanno riempite, con i loro determinismi e i loro etichettamenti, il loro descrivere come tutto dovrebbe essere e non è mai), aspettative deluse, progetti falliti…. Ma a chi, ancora, possono interessare, con quello che sta capitando in questo Paese e sull’intero Pianeta? Eppure, l’oggetto che ho scelto mi piace, non può essere un caso che sia tra quelli selezionati e, contemporaneamente, tra quelli di cui più ho sentito il fascino nella mia intera (ormai lunga) vita. Ci deve essere una storia bella, semplice ma avvincente ad esso collegata che valga la pena di raccontare e di esser letta. Ancora non ce l’ho, ma confido nell’intuizione di Michelangelo: forse è lì, grezza, dalle pieghe del tempo celata, speriamo che si riveli presto, prima che scadano i termini per la consegna del testo. Comunque, dall’America, mio padre mi portò uno stereoscopio. Ai tempi, era una rarità, il classico oggetto misterioso, e me ne accorsi dal successo che ebbe tra amici e parenti: i cugini facevano a ficozze per aggiudicarselo, sia pure per pochi minuti. In dotazione avevo ricevuto una serie di dischetti, scopro solo ora che si chiamano View-Master reel, due con Alice in wonderland e Cinderella della Disney, gli altri dedicati ai luoghi di New York, città di cui mio padre, con giusta ragione, era matto. Da dove comincio per cianciare di quest’oggetto, ormai, forse, di nuovo sconosciuto? Dalla faccia dello stregatto di Alice, l’unico gatto che mi ha sempre fatto terrore. Un occhio chiuso ed uno aperto, per non vedere doppio, ed eccolo lì, col suo spaventoso faccione sospeso nella notte, senza corpo e col suo sorriso fluorescente di sarcasmo… tu che guardi ce l’hai tra gli occhi e il naso e aspetti solo che apra le fauci e faccia di te un solo boccone. Era questo il bello, eri dentro la storia! E allora, portavi l’arnese agli occhi per qualche secondo, testando il tempo in cui riuscivi a sopportare l’adrenalina che ti entrava in circolo, e poi giù, via, di nuovo nella realtà, coi piedi per terra, per prendere fiato e poi riprovare, senza mai trovare pace, né di qua, né di là. Così come in quella che ritraeva arzilli visitatori sulla cima dell’Empire State Building, signore incappellate di piume e velette che tengono la mano sulla testa per non far volar via il rassicurante accessorio mentre guardano giù, e tu sei dietro di loro, come volassi a cavallo di un drone e la vertigine del vuoto ti attrae “come una nave che anela al mare eppur lo teme”. Oppure, Alice grande grande nella casa piccola piccola e Bianconiglio che l’aspetta fuori: le enormi braccia infilavano due finestre aperte sui lati opposti della casa, mentre la testa, guarnita da lisci capelli biondi e da un nastro di raso nero messo a trattenerli, assennatamente, dietro le orecchie, ne sollevava il tetto. Mi sembrava una magnifica assurdità che, di nuovo, mi ammaliava e spaventava al tempo stesso, mi sarebbe piaciuto essere lì dentro. Entrare dentro le cose a 3D era una mia fissa di bambina. Le cartoline olografiche, per esempio, provavo sempre a smontarle per tirane fuori gli oggetti, gli animali, le persone o i pupazzi che vi erano ritratte. Ancora ne circola qualcuna in casa con tutti i bordi tagliuzzati e pezzi di pellicola superficiale strappata nel tentativo di capire come fosse possibile che, una cosa piatta, a due dimensioni, fosse capace di contenere una realtà a tutto tondo, con una profondità che avevo una voglia matta di esplorare. Quelle che mi deliziavano di più erano quelle che mi facevano entrare in un mondo fantastico, la realtà così com’è, chesta è ‘a zita e si chiamma ‘Sabella, non mi è mai piaciuta. Ma la domanda è: questa storia c’è o non c’è? Prendo tempo, consumo righi in questa riflessione, allungo il brodo macinando caratteri, forse perché la storia non c’è. Detesto gli esercizi virtuosi, magari le parole sono pure messe bene, ma da dire non c’è niente… per carità! Che si dica se si ha da dire, altrimenti si taccia, che il rumore di sottofondo all’insegna della vacuità è già assordante. Io, che mi sono sempre stata a casa, posso continuare a farlo. La tridimensionalità capace di suggerire altri mondi possibili doveva essere un pallino nella mia testa, perché la percepivo anche in ciò che si presentava, inequivocabilmente, a due dimensioni. Le copertine del Topolino avevano, per me, sempre tre dimensioni, forse grazie alla lucida patinatura presente, di solito, nelle edizioni speciali. Le più attraenti erano quelle dedicate a Minni (in seguito, il mio femminile alquanto minnesco sarebbe stato oggetto di ammirazione quanto di critica, forse perché non sarei stata capace di chiarire che, un po’, mi sento davvero un fumetto che avrebbe vissuto volentieri a Paperopoli o a Topolinia, e forse ho amato davvero solo chi ha capito che più che un’umana sono una topesia). In particolare, ce n’era una con Minni accomodata in poltrona di fianco ad una classica lampada anni ’50, con un plaiddino scozzese sulle gambe immersa nella lettura di un buon libro e, sulla parete alle sue spalle, un quadretto ritraente un’improbabile antenata, la bis-bis-bis- prozia Topilla De Topolis, di cui certamente io sono la reincarnazione in salsa umana. Il suo occhione a mezz’asta e il sorriso appena accennato mi suggerivano quanto stesse assaporando il momento, nel tepore della sua casetta, nella calma di chi può usare la corrente elettrica senza pagare le bollette (sarebbe stata forse l’Unione Sovietica la mia patria ideale?), di chi può essere elegante senza dover essere trendy, bon ton senza diventare conformista, di chi può avere un fidanzato, con cui non si lascerà mai, senza suocera annessa e senza mamma che per forza te lo vuole far sposare, di chi può stare in serena solitudine senza il tormento di quello che dovrebbe fare, che avrebbe potuto fare, che ha sbagliato e doveva/poteva fare meglio, senza contare che non avrà mai più di un’influenza né le toccherà per forza di morire (almeno, così dicono, che si muoia, ne sarò certa quando succederà)… uff… me lo sentivo già tutto quello che mi sarebbe toccato, per questo volevo sparire dentro la copertina del Topolino! Ma chi lo dice che il mio piano fosse sbagliato? Ora potrebbe partire il pippotto psicologico che, beninteso, avrebbe pienamente ragione: volevo fuggire da un’infanzia che, per mille motivi, mi stava stretta. Menomale, va’, perché, altrimenti, se mi fosse stata larga, non avrei mai avuto la necessità di mettere il naso fuori da lì. Premesso che non mi piacciono i sogni e detesto tutta quella melensa sub-cultura della speranza da santino facebookiano, avendo fatto mio, sin da subito, il detto: “Chi di speranza vive, disperato muore”, direi che mi piacciono le realtà da sogno, mi gusta e mi attizza l’idea che la realtà sia bella come il più bello dei sogni. Ne ho realizzati di sogni, di quelli che si fanno di notte, come baciare un uomo che desideri al punto da diventare psicotica, un attimo dopo che ti abbia detto: «Ti amo» e la realtà è stata come il sogno. E allora? La realtà può essere il più incredibile dei sogni. Forse ci siamo inventati l’espediente del sogno e della speranza per non affrontare la sublime gioia di fondare una realtà da sogno. Ad un certo punto della Storia, anzi, a dire il vero, nel momento esatto in cui ci siamo entrati ufficialmente, provenendo da luoghi in cui il tempo era solito curvare fino a creare un cerchio, ci siamo ostinati a volerlo spezzare, quel cerchio, e lo abbiamo stirato in una linea, pronti ad inventare la più gagliarda delle parole: progresso. Ma ci era sfuggito che progresso vuol dire che il meglio deve ancora venire, e che non sta qui, ma lì, nel passo che stiamo per dare, che, una volta dato, quello giusto è quello successivo, e poi nell’aldilà, nel domani che verrà, nel sogno che si avvererà, e, per quanto sia confortante pensare che ciò che speravamo di veder realizzato, di certo, a suo tempo, dovrà accadere, viene da chiedersi: ma quando? Mia madre mi chiamava Frettella, tutto ‘sto rinvio non è mai stato per me. La vita io la voglio mangiare come una brioche col gelato di Ciro a Mergellina stracolma di panna, ma, attenzione, non la voglio “consumare”, la voglio gustare, ed è cosa ben diversa. Forse è nata lì la confusione, ai tempi del boom economico e poi a quelli dell’edonismo reaganiano, dopo millenari rinvii, abbiamo deciso di fare man bassa di tutto: risorse, anime, cervelli, destini, relazioni, droghe, alcol, tecnologia, tecnocrazia, sesso, amore, messe con chitarre pop, mantra indiani al ritmo di swing, immagini, suoni, luci, colori, scoperte che cambiano la faccia della terra, case, palazzi, ville al mare e in montagna, automobili, bombe A, H, N, G, hamburger sottocosto, vite sottovuoto, per non parlare delle stagioni, vanno di fretta pure loro e si presentano ogni quattro ore anziché ogni quattro mesi. Forse ci siamo ‘mbrugliati, doveva essere “qui ed ora” e invece è diventato “tutto e subito”, che si somigliano, ma non sono la stessa cosa. Eppure, saltare dall’uno altro non è troppo difficile, perché naturalmente si seguono l’un l’altro, basta rifare della linea un cerchio e ritrovare quel tempo che procede verso l’Uno, perché il cerchio si può tenere aperto, quello che conta è conservare la curva e proseguire in un moto a spirale che ci conduca verso un magico puntino, nel quale…. ahhhhhhh, che sollievo….. potremo dissolverci. Sarebbe bello metterci tutti in fila a cavalcioni del cerchio, e gira, gira, e noi con lui, come su un grande hula hoop a righe bianche e rosse a ballare il twist della vita con anca lesta, e mentre sei giù, sai già che poi va su, e quando sei su, ti prepari al vuoto di stomaco della calata, tanto, poi, lui gira e tu risali. Per fare esercizio, potremmo cominciare con la ruota panoramica di Edenlandia, perché le nostre menti hanno ora bisogno di riadattarsi a concepire di andare in tondo, piuttosto che di avanzare. Nell’idea di eterna espansione che Capitan Capitale ha scelto per noi c’è tanta bellezza, è lei che ci seduce e ci trascina nel suo sogno a bordo della Discordia, sogno che non diventerà mai realtà, perché il punto è che il sogno non è nostro e l’imbarcazione nemmeno, a meno che non si sia noi disposti a veleggiare anche su una zattera da cui non si scorga alcuna destinazione certa, e su cui non ci sia nessuno che ci voglia per forza dimostrare quanto fosse necessario e come siano andate “davvero” le cose quando Capitan Capitale si dimenava per salutare amici e parenti sotto costa per venire bene nelle foto da pubblicare su Fb, ed ora noi siamo il Capitano e la nostra realtà da sogno è il mare fresco nel quale, finalmente liberi, possiamo immergere la mano. E allora avevo ragione io da bambina a voler entrare in altri, tutti, i mondi possibili, e dispiegare spazi e tempi in tutte le dimensioni. A cavallo di un drone infilarmi nella favola di Alice a bere il thè con Bianconiglio o tra i gendarmi della regina a dipingere di rosso le rose bianche, aspettando la buia notte per dire allo Stregatto, muso a muso che, in fondo, poi, mi è simpatico; ritrovarmi grande grande che sfondo il lastrico solare del mio palazzo di periferia (degradata, ovviamente)con la mia eruzione di ricci per niente assennata, e, poi piccola piccola a prendere confidenza con le bottiglie in pvc lanciate dai balconi, che, se ti c’infili dentro, puoi viaggiare con loro verso il mare e finire nel ventre della balena come Pinocchio; da lì, sulla terrazza dell’Empire a sciupare il plumage dei cappellini delle vecchie signore per invitarle a venire con me a montare l’hula hoop del giusto tempo ritrovato; e ancora, di corsa, a sollevare gli strati della cartolina olografica come fossero una copertina, per incontrare Mastro Geppetto, che ha i capelli arancioni fatti di fili di lana e aspetta che il suo figlio di legno diventi un uomo vero e posso fargli compagnia. A sera, stanca, approfittare del fatto che Minni sia uscita con Topolino per una romantica kermesse, non se ne avrà se, per un po’, me ne sto sulla sua poltrona fatta di gelatina di mela a leggere, finalmente, “I fratelli Karamazov”. Vorrei vivere, in una sola, almeno venti vite, compresa quella in cui il colesterolo non esiste e posso mangiare ciurilli fritti e zucchine a pampugliella senza che il medico mi debba rammentare che, oltre una certa età, il metabolismo rallenta. Dunque, lo mando questo non-racconto per giocare al non-scrittore, come farebbe Bianconiglio, me la sfilo questa maglietta marcata Benetton e ne faccio una vela per la mia zattera, mentre la Discordia affonda senza che io nemmeno mi volti a guardarla. Chiunque voglia salire a bordo è il benvenuto, basta che si sia pronti a prendere il vento quando soffia in poppa ed in cuore si abbia la certezza che, ora o mai più, la Vita è un’occasione che non possiamo perdere. Foto di Marco Maraviglia per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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Napoleon
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:: Trama Napoleon ::
A partire dalla Rivoluzione francese del 1789, Napoleon segue la parabola dell'ascesa al potere supremo di Napoleone Bonaparte da sconosciuto militare, capitano d'artiglieria, a Imperatore. Oltre alle armi, alle battaglie e alle strategie politiche, il film racconta da vicino la burrascosa storia d'amore di Napoleone con Giuseppina.
Come il vero Napoleone, due volte nella polvere e due volte sull'altare, la storia messa in scena da Ridley Scott si divide in due strade, tra straordinarie scene di guerra e una storia d'amore da romanzo d'appendice, che non s'incontrano mai.
Napoleone secondo Ridley Scott. O della sfrontatezza, marchio di fabbrica delle ultime opere del regista britannico, penso a Tutti i soldi del mondo e a House of Gucci.
Con sprezzo del pericolo, anche questa volta, alla prova del fuoco del personaggio mastodontico di Napoleone, cioè il mito che si confonde con la storia e non viceversa, Scott traduce e tradisce per i contemporanei l'ascesa al trono del mondo occidentale di Napoleone Bonaparte, politico e generale francese vissuto tra il 1769 e il 1821 cercando il film definitivo che contenga quelli precedenti, un po' anche quello sognato da Kubrick, con - tutt'insieme - il condottiero, il tiranno, il riformatore, l'imperatore, il traditore della Rivoluzione francese (d'altro canto il cartello iniziale recita che «le persone sono spinte dalla miseria alla rivoluzione» e viceversa) e l'Uomo.
E per farlo non disdegna certo la scorciatoie di una narrazione lineare e precisa nei riferimenti, come una pagina di Wikipedia, che mette in fila (seppur a volte superficialmente come per le vicende delle due isole, Elba e Sant'Elena) tutti gli snodi fondamentali della sua storia, posizionando improvvisamente Napoleone nella scena del crimine sotto la ghigliottina della regina Maria Antonietta.
Già da qui, già dalla prima scena inverosimile, è il mito di Napoleone che si confonde con la storia. Ma il mito va, ancora una volta, decostruito, riportato cioè dall'investitura mistica e divina a quella del cittadino che si autoincorona ritornando al futuro del Gladiatore di Ridley Scott d'inizio millennio con l'imperatore Commodo sempre interpretato da Joaquin Phoenix. Un uomo per di più proveniente dall'isola che fa dannare la Francia, un vero e proprio "delinquente corso" come viene apostrofato anche se il legame, fortissimo, di Napoleone con la sua terra non viene mai approfondito (peccato perché è proprio lì che il futuro sovrano aveva imparato a sparare sulla gente senza tentennamenti come vedremo nel film).
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Napoleon 2° in classifica al Box Office
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:: Trama Napoleon ::
A partire dalla Rivoluzione francese del 1789, Napoleon segue la parabola dell'ascesa al potere supremo di Napoleone Bonaparte da sconosciuto militare, capitano d'artiglieria, a Imperatore. Oltre alle armi, alle battaglie e alle strategie politiche, il film racconta da vicino la burrascosa storia d'amore di Napoleone con Giuseppina.
Come il vero Napoleone, due volte nella polvere e due volte sull'altare, la storia messa in scena da Ridley Scott si divide in due strade, tra straordinarie scene di guerra e una storia d'amore da romanzo d'appendice, che non s'incontrano mai.
Napoleone secondo Ridley Scott. O della sfrontatezza, marchio di fabbrica delle ultime opere del regista britannico, penso a Tutti i soldi del mondo e a House of Gucci.
Con sprezzo del pericolo, anche questa volta, alla prova del fuoco del personaggio mastodontico di Napoleone, cioè il mito che si confonde con la storia e non viceversa, Scott traduce e tradisce per i contemporanei l'ascesa al trono del mondo occidentale di Napoleone Bonaparte, politico e generale francese vissuto tra il 1769 e il 1821 cercando il film definitivo che contenga quelli precedenti, un po' anche quello sognato da Kubrick, con - tutt'insieme - il condottiero, il tiranno, il riformatore, l'imperatore, il traditore della Rivoluzione francese (d'altro canto il cartello iniziale recita che «le persone sono spinte dalla miseria alla rivoluzione» e viceversa) e l'Uomo.
E per farlo non disdegna certo la scorciatoie di una narrazione lineare e precisa nei riferimenti, come una pagina di Wikipedia, che mette in fila (seppur a volte superficialmente come per le vicende delle due isole, Elba e Sant'Elena) tutti gli snodi fondamentali della sua storia, posizionando improvvisamente Napoleone nella scena del crimine sotto la ghigliottina della regina Maria Antonietta.
Già da qui, già dalla prima scena inverosimile, è il mito di Napoleone che si confonde con la storia. Ma il mito va, ancora una volta, decostruito, riportato cioè dall'investitura mistica e divina a quella del cittadino che si autoincorona ritornando al futuro del Gladiatore di Ridley Scott d'inizio millennio con l'imperatore Commodo sempre interpretato da Joaquin Phoenix. Un uomo per di più proveniente dall'isola che fa dannare la Francia, un vero e proprio "delinquente corso" come viene apostrofato anche se il legame, fortissimo, di Napoleone con la sua terra non viene mai approfondito (peccato perché è proprio lì che il futuro sovrano aveva imparato a sparare sulla gente senza tentennamenti come vedremo nel film).
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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