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#le parole più grandi
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Le parole più grandi - Coez
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t’ho fatto da ombrello, adesso che il tempo s’è fatto più bello, non ti servirò. 
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curiositasmundi · 2 months
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Oggi ci troviamo in una situazione molto pericolosa. La guerra non è solo un campo di battaglia per le armi, ma anche per l’informazione. Julian è stato messo in prigione per aver pubblicato notizie vere su una guerra impopolare, come era quella in Iraq, dove le forze di occupazione americane controllavano totalmente la narrazione dei fatti”.
Con queste poche parole al Fatto Quotidiano, Stella Moris, la moglie del fondatore di WikiLeaks, centrava l’essenza del caso Assange e WikiLeaks, mentre la guerra in Ucraina era appena all’inizio. Oggi che da Gaza a Kiev, la guerra brucia migliaia di vite innocenti e per Julian Assange è l’ultima chiamata, le parole di Stella rimangono la sintesi perfetta del caso. Sì, perché l’unica ragione per cui Assange non ha più conosciuto la libertà e rischia di perderla per sempre, forse nel giro di pochi giorni o di pochi mesi, è che lui e WikiLeaks hanno esposto le atrocità e le manipolazioni della macchina della guerra su larga scala come mai nessuna organizzazione giornalistica, aprendo uno squarcio profondo in quel “Potere Segreto”, che è il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma non solo: WikiLeaks non ha rivelato soltanto i crimini del mondo occidentale. Ha esposto anche i massacri dei talebani, la ferocia di al Qaeda e le complicità di tanti Paesi non occidentali nella War on Terror. Per Assange è stata la fine.
Dal 2010 a oggi: dall’arresto all’ultima udienza Inumato da vivo dal 2010, all’età di 39 anni, quando lui e WikiLeaks iniziarono a pubblicare i 700 mila documenti segreti del governo americano. Questa mattina, il giornalista australiano comparirà davanti alla High Court di Londra, per quella che può essere l’ultima udienza sul suolo inglese. Se la High Court confermerà l’estradizione negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni di prigione, ad Assange rimarrà solo una possibilità: appellarsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma il rischio che possa venire estradato prima che la Corte emetta misure protettive è reale.
I file segreti sulla verità delle guerre americane Le rivelazioni di WikiLeaks, per cui il suo fondatore rischia di passare la vita in prigione, sono tra gli scoop più grandi nella storia del giornalismo. I 91.910 Afghan War Logs e i 391.832 Iraq War Logs, report segreti sulla guerra in Afghanistan e in Iraq rispettivamente, hanno permesso di bucare la nebbia della guerra proprio mentre questa era in corso e non dopo trenta o quaranta anni dopo, quando ormai quei conflitti non interessavano più a nessuno, a parte gli storici di professione, perché troppo lontani nel tempo. Grazie a quei file segreti, abbiamo potuto confrontare quello che la macchina della propaganda ci raccontava su quelle due guerre e quello che accadeva sul campo, secondo il racconto dei soldati americani che li combattevano.
Afghanistan: conflitto perso in partenza Abbiamo così scoperto, per esempio, che già nel 2010 la guerra in Afghanistan era un conflitto senza speranza: dopo dieci anni, le truppe americane e della coalizione Isaf, di cui faceva parte anche il nostro paese, avevano ottenuto così poco che nel distretto di Herat, controllato dagli italiani, le forze di polizia afghane da noi addestrate avevano problemi così seri che molti di loro si univano ai talebani, perché non venivano pagati e non si capiva dove andavano a finire i loro salari. La situazione appariva così compromessa che alcuni arrotondavano con i sequestri di persona. Mentre la propaganda ci raccontava le magnifiche sorti progressive del conflitto afghano, i 91.910 documenti fotografano un fallimento che, undici anni dopo, nell’agosto del 2021, ci avrebbe portato al ritiro. Gli Afghan War Logs ci hanno permesso di scoprire unità segrete mai emerse prima, come la Task Force 373, un’unità di élite che prendeva ordini direttamente dal Pentagono. La brutalità dei raid portati avanti nel cuore della notte da queste forze speciali, aveva prodotto stragi tra forze afghane alleate, bambini e donne, creando un forte risentimento contro gli americani e contro le truppe alleate da parte della popolazione locale. A oggi gli Afghan War Logs rimangono l’unica fonte pubblica per ricostruire attacchi, morti civili ed esecuzioni stragiudiziali tra il 2004 e il 2009, a causa della segretezza di quelle operazioni. E sono una delle pochissime fonti che permettono di ricostruire i civili uccisi prima del 2007, su cui neppure la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, l’Unama, che compila queste statistiche, possiede dei dati affidabili.
Iraq; i morti mai contati e il carcere di Guantanamo Quanto agli Iraq War Logs, hanno permesso di rivelare, tra le altre cose, 15 mila vittime mai conteggiate prima nella guerra in Iraq. Possono sembrare statistiche, puri numeri, in conflitti come quello in Iraq, che ha registrato circa 600 mila civili uccisi e 9,2 milioni di rifugiati e sfollati – ovvero il 37 per cento della popolazione prima dell’invasione americana dell’Iraq – ma quei 15 mila civili mai conteggiati prima erano padri, madri, fratelli. È un diritto umano sapere che fine ha fatto una persona cara. E l’unica giustizia che quegli innocenti hanno avuto, è la verità fatta emergere da WikiLeaks. I documenti segreti sul carcere di Guantanamo Bay hanno permesso di conoscere 765 su 780 detenuti del lager, facendo emergere per la prima volta le ragioni per cui gli Stati Uniti li avevano trasferiti nel campo di detenzione, tra informatori comprati e torture da Inquisizione.
I cablo tra gli Usa e altri Paesi (Italia compresa) Ma le rivelazioni più cruciali sono sicuramente quelle che emergono dai 251.287 cablo: le migliaia di corrispondenze diplomatiche inviate da 260 ambasciate e consolati americani in 180 Paesi, che hanno fatto affiorare scandali, abusi, pressioni, come quelle sulla politica italiana per garantire l’impunità agli agenti della Cia (Central Intelligence Agency) responsabili per il rapimento e la tortura di Abu Omar o i sospetti dell’Amministrazione di George W. Bush che l’Italia pagasse mazzette ai talebani per evitare attacchi ai suoi soldati in Afghanistan. È per questo lavoro giornalistico, e solo per questo, che gli Stati Uniti vogliono seppellire per sempre Julian Assange in una prigione.
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arcobalengo · 3 months
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❗EMERGENZE E NUOVO PIANO PANDEMICO
Le emergenze costituiscono uno strumento formidabile per il potere che voglia comprimere le libertà democratiche e depotenziare le forze di dissidenza interne.
L'Italia della strategia della tensione dovrebbe aver insegnato molto, così come il post 11 Settembre statunitense.
Persino Adolf Hitler acquisì i pieni poteri in modo democratico a seguito dell'episodio dell'incendio del Parlamento e grazie all'articolo 48 della Costutuzione di Weimar che consentiva di "adottare ogni misura appropriata per rimediare ai pericoli per la sicurezza pubblica".
Fu per evitare simili derive che i nostri Padri costituenti decisero di non inserire lo stato di emergenza nella Costituzione del '48, prevedendo solo lo strumento del decreto legge (ex art.77 Cost.) per le decisioni che avessero carattere di urgenza e necessità.
Ma i principi ispiratori della Costituzione non sono i medesimi che ispirano gli agenti politici e le libertà civili, politiche e sociali risultano essere costantemente minacciate.
➡️ Col NUOVO PIANO PANDEMICO, la cui bozza è stata anticipata sul quotidiano Sanità, ci riprovano.
L'OMS è certa che un nuovo virus sia pronto a minacciare la nostra sopravvivenza e gli Stati prescrivono gli strumenti per fronteggiarla o, almeno, così la raccontano.
Ricordiamo che la fondazione di Bill e Melinda Gates, che si occupa in modo peculiare di vaccini, è il primo finanziatore dell'Oms. E Bill Gates questa settimana ha fatto visita a palazzo Chigi.
SI STABILISCE CHE:
1. In caso di pandemie i vaccini sono le misure di prevenzione più efficaci (così, a prescindere dai virus e dai vaccini neanche studiati);
2. Può diventare necessario imporre limitazioni alle libertà dei singoli individui al fine di tutelare la salute della collettività.
RESTRIZIONI, TRACCIAMENTI E VACCINI SONO ANCORA LE PAROLE D'ORDINE.
Nessun accenno al diritto dei pazienti ad essere visitati e curati (ma al diritto dei sanitari di essere tutelati, sì), alla ricerca di Stato su farmaci ed eventuali vaccini, all'organizzazione della sanità territoriale.
A dimostrazione, semmai ce ne fosse bisogno, che la salute è un pretesto e uno strumento per imporre scelte politiche e soddisfare gli interessi dei più grandi capitalisti mondiali.
Nessuna distinzione sussiste tra i diversi schieramenti politici: la mangiatoia e i padroni sono gli stessi.
Difatti, il ministro della Salute del governo Meloni, Orazio Schillaci,
nel 2020, in piena era Covid, era stato nominato da Speranza come tecnico all'ISS.
Fiorangela
Giorgio Bianchi
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A lock of the hair of Lucrezia Borgia in the Ambrosian Library in Milan, Italy
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«Pinacoteca Ambrosiana, Milano.
In una piccola teca è conservato un tesoro.
Un garbuglio di sottili fili gialli che formano un intreccio ad anello verso l’estremità. Niente di che all'apparenza, forse solo una reliquia; e invece se vai a fondo scopri che dietro c'è un mondo. Una storia d'amore bellissima quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza tormentata. Per viverla bisogna spostarci un po' più ad est, e tornare indietro nel tempo, tanti e tanti anni fa.
Ferrara 1502. Quel giorno, alla corte ducale, erano attesi giovani poeti e letterati.
Per il ragazzo era un'occasione d'oro. Poteva finalmente mettersi in mostra e farsi notare dalla duchessa. Se tutto fosse andato come sperava, avrebbe avuto anche l'occasione di entrare nella sua cerchia ristretta di letterati. Lei amava gli artisti, e ovviamente far parte del suo "circolo" era garanzia di fama e ricchezza. Così giunse il suo momento. Il ragazzo entrò in sala e la vide. Conosceva la duchessa solo per sentito dire, e che fosse molto bella lo sapeva già, gliel'avevano ripetuto un milione di volte. Quello che lo sbalordì e lo lasciò senza parole fu che fosse così bella. Il poeta ci mise un po' di tempo a presentarsi, letteralmente folgorato dal bagliore della giovane duchessa. I suoi capelli biondi splendevano, illuminati dai raggi del sole che filtravano dalle grandi vetrate del palazzo. Già quei capelli, come si può dimenticarli? Non ci riuscì, e continuò a pensare a lei anche le ore successive all'incontro. Anche i giorni dopo. Anche le settimane dopo.
La duchessa era il suo pensiero fisso. Si invaghì così tanto da giungere a cambiare la struttura della sua prima opera che stava per uscire in quel periodo. La modificò sulla base di quel suo nuovo invaghimento. Un uomo che apriva il suo cuore verso l'amore più sincero e appassionato. E quando l'opera, chiamata "Gli Asolani", uscì, il poeta ne regalò subito una copia alla duchessa, che rimase positivamente colpita. Cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, i due innamorati clandestini, e intrapresero una relazione platonica ma appassionata.
Poi però arrivò la peste e il poeta fu costretto a scappare dalla città. Lei rimase. Non poteva la duchessa abbandonare il suo popolo decimato. E tanto platonicamente quanto si erano frequentati di persona, così iniziarono un rapporto epistolare a distanza fatto di bellissime lettere d'amore. Lui però aveva ancora quel pensiero fisso: i capelli di lei, e glielo scrisse. Alla fine lei non mancò di compiere un gesto fortemente simbolico: si tagliò una ciocca dei suoi amati capelli e la inviò insieme a una lettera. Quando lui la ricevette, la tenne stretta a se, e la volle conservare per sempre all'interno di uno scrigno, che ormai era il più prezioso di tutti i tesori che possedeva. Quello che conteneva le lettere d'amore della duchessa.
I due non si rividero mai più ma continuarono a scriversi ancora per sedici anni. Poi lei morì giovanissima e lui divenne Cardinale. Uomo di chiesa e personaggio di spicco dell'Umanesimo italiano, famoso ancora oggi con il nome di Pietro Bembo.
Come quella ciocca di capelli sia giunta a Milano, non lo sa nessuno. Ma forse un motivo c'è.
Se la guardi all’interno della piccola teca, noti che è ancora perfettamente conservata, liscia e fresca come se fosse stata appena recisa.
Ecco, pare che in alcune notti, se osservi bene attraverso le finestre della Pinacoteca Ambrosiana, scorgi un bagliore. Una luce intensa che proviene dalla stanza dove è conservata la bionda treccia. Dicono che sia proprio la duchessa, che arriva e legge le lettere del suo amato Pietro Bembo, non prima di aver pettinato la propria ciocca di capelli.
Poi se ne va, svanisce in un educato silenzio, ma felice perché si è sentita amata. Lei, la discussa e tormentata duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia»
Roberto Colombo
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der-papero · 4 days
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Ieri ci siamo visti per la prima volta, ti mentirei se ti dicessi che non ci speravo che fosse una cosa speciale, nonostante il manuale consigliasse di prenderla in modo diverso, e a modo suo speciale lo è stata. Forse non lo capisco io, perché non mi sono mai sentito in un determinato modo, non ho dovuto mai immaginare un mondo con l'idea di te dentro e, come tutte le cose che non si conoscono, non le capisci mai fino a che non le vivi.
E forse non me ne sarei comunque reso conto, ma poi tutto ad un tratto hai stretto le mie dita, ti sei fidata, anche solo per un istante, e io ho provato un qualcosa che non avevo mai provato prima. Al posto tuo avrei avuto terrore di me, e invece dovevi vederti, è stato talmente semplice che chi ci guardava penso si sia chiesto se è stato così da sempre per noi.
Nella tua vita non c'era il mio nome, come non c'era il tuo nella mia, magari questa cosa non cambierà, ci sono cose più grandi di te e me in gioco e non abbiamo nelle nostre mani i dadi per poter giocare la partita, ma ti sarò debitore per sempre per avermi mostrato una parte di me che, forse intuivo, ma che di sicuro non conoscevo. E forse un domani potrai leggerle queste parole, perché saranno tue di diritto, se io sarò stato quello che meriti di avere dalla vita.
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angelap3 · 18 days
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«Tutti gli imbecilli della borghesia che pronunciano continuamente le parole "immorale", "immoralità", "moralità nell'arte" e altre bestialità simili mi fanno pensare a Louise Villedieu, prostituta da cinque franchi che, accompagnandomi una volta al Louvre dove non era mai stata, si mise ad arrossire, a coprirsi la faccia, e tirandomi a ogni momento per la manica mi domandava davanti alle statue e ai quadri immortali come si potessero esporre pubblicamente simili indecenze.»
203 anni fa nasceva lo straordinario Charles Baudelaire, tra i più grandi "poeti maledetti" del XIX secolo, precursore del decadentismo letterario. Tra le sue incomparabili opere non posso fare a meno di citare la raccolta di poesie "I fiori del male" (Les Fleurs du Mal, 1857), guanto di sfida, tra le altre cose, all'ipocrisia e alla morale perbenista della sua epoca di appartenenza 🥀
*art by Gustave Courbet (1866)
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lunamagicablu · 7 months
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Non si da più il peso alle parole. Prima di essere scritta o pronunciata una parola, dovrebbe passare attraverso 3 porte con su scritto 3 grandi domande. Questa parola ferisce qualcuno? Questa parola contiene un giudizio? Questa parola è una lamentela? Se anche una sola risposta fosse un "sì" il passaggio le sarebbe impedito, la parola quindi non andrebbe pronunciata o scritta. Stephen Littleword ******************** We no longer give weight to words. Before a word is written or spoken, it should pass through 3 doors with 3 big questions written on them. Does this word hurt anyone? Does this word contain a judgment? Is this word a complaint? If even one answer was a "yes" the passage would be prevented, the word therefore should not be pronounced or written. Stephen Littleword 
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gregor-samsung · 5 months
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“ La Guerra fredda aveva un senso. Fu una guerra ideologica in cui il vincitore, verosimilmente, avrebbe imposto al nemico sconfitto, per usare parole ormai screditate dal troppo uso, la propria filosofia e i propri valori. Può sembrare retorico, ma vi era in quello scontro fra giganti una certa nobiltà. Due grandi idee – la dittatura del proletariato e il capitalismo democratico – offrivano al mondo due strade diverse verso un futuro migliore. Le due diverse prospettive hanno creato speranze, attese, impegno e sacrifici che non sarebbe giusto ignorare. Oggi ogni traccia di nobiltà è scomparsa. Il comunismo è fallito e, come accade sempre in queste circostanze, la memoria collettiva ricorda soltanto le sue pagine peggiori: i massacri della fase rivoluzionaria, la fame ucraina, la persecuzione del clero, le purghe, i gulag, il lavoro coatto, i popoli trasferiti con la forza da una regione all’altra. La democrazia capitalista non è in migliori condizioni. Il trasferimento del potere economico dai produttori di beni ai produttori di denaro ha enormemente allargato il divario fra gli immensamente ricchi e i drammaticamente poveri. Il denaro governa le campagne elettorali. Le grandi piaghe della prima metà del Novecento – nazionalismo, militarismo, razzismo – si sono nuovamente aperte. Il linguaggio della competizione politica è diventato becero e volgare. Le convention americane sono diventate un circo equestre in cui i candidati esibiscono i muscoli della loro retorica. Il meritato riposo e un busto nel Pantheon della nazione, che attendevano gli uomini di Stato alla fine della loro carriera politica, sono stati sostituiti da posti nei consigli d’amministrazione, laute consulenze e conferenze generosamente retribuite (come i 225.000 dollari pagati da Goldman Sachs a Hillary Clinton per un dibattito dopo i suoi quattro anni al Dipartimento di Stato). Anziché affidarsi a leader saggi e prudenti, molti popoli sembrano preferire i demagoghi, i tribuni della plebe, i caudillos. Anche Putin appartiene per molti aspetti a un club frequentato da Erdoğan, Al Sisi, Orbán, Jaroslaw Kaczyński, Bibi Netanyahu, Xi Jinping, Lukašenko, per non parlare dei loro numerosi cugini in Africa e in Asia. Ma ha anche altre caratteristiche.
Deve governare un enorme spazio geografico popolato da una moltitudine di gruppi nazionali e religiosi. È il leader di un grande Paese che ha interessi legittimi e ambizioni comprensibili. È responsabile di una potenza che è anche un tassello indispensabile per l’amministrazione di un mondo caotico e pericoloso. Possiamo deplorare molti aspetti del suo carattere e della sua politica. Ma vedo sempre meno persone in Occidente che abbiano il diritto di impartirgli lezioni di democrazia. Occorrono 541 giorni per formare un governo in Belgio. Occorrono due elezioni politiche a distanza di sei mesi per formare un governo in Spagna. Occorrono tre commissioni bicamerali e due riforme costituzionali approvate dal Parlamento, ma sottoposte a referendum popolare, per cercare di modificare la costituzione in Italia. Nell’Unione Europea sono sempre più numerosi i cittadini che invocano il ritorno alle sovranità nazionali, ma in alcuni Stati nazionali (Belgio, Gran Bretagna, Spagna) la sovranità nazionale è contestata da regioni che chiedono il diritto di secessione. Mi chiedo: la democrazia è ancora un modello virtuoso che l’Europa delle democrazie malate e gli Stati Uniti delle sciagurate avventure mediorientali e del nuovo razzismo hanno il diritto di proporre alla Russia? “
Sergio Romano, Putin e la ricostruzione della grande Russia, Longanesi, 2016¹. [Libro elettronico]
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mucillo · 4 months
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Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera. A un certo punto, le domandò: "Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me." La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote: "È vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita con la quale scrivo. Vorrei che la usassi tu, quando sarai cresciuto." Incuriosito, il bimbo guardò la matita, senza trovarvi alcunché di speciale. "Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!" "Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell'esistenza, sarai sempre una persona in pace con il mondo.
"Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una Mano che guida i tuoi passi. 'Dio': ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la Sua volontà.
"Seconda qualità: di tanto in tanto, devo interrompere la scrittura ed usare il temperino. È un'operazione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore.
"Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere un'azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia.
"Quarta qualità: ciò che è realmente importante nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque presta sempre attenzione a quello che accade dentro di te.
"Quinta qualità: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza, impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione."”
Paulo Coelho, Sono come il fiume che scorre
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sciatu · 8 months
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MARZAMEMI
Abbiamo lasciato il Gelsomineto per andare a mangiare. La Figlia mi chiede se conosco qualche trattoria li vicino. Le sorrido e le dico di chiamare un ristorante a Marzamemi. A Marzamemi, dopo le casette e le strade simili a tanti paesini sulla costa, ci abbraccia serena e luminosa la grande piazza che nasconde il mare, con la piccola chiesa, gli edifici dell’antica tonnara trasformati in ristoranti e negozi. È tornare indietro nel tempo, quando il mare era color corallo per il sangue dei tonni e le case accoglievano i pescatori , gli attrezzi per le gabbie in cui intrappolare i tonni e le nere Parascalmi, le barche su di cui ai lati della camera della morte, si eseguiva la rituale, drammatica mattanza (“sangu pi sangu”, sangue per avere sangue, come diceva mia nonna quando uccideva gli animali da cortile per nutrire tutti noi). La chiesa in piazza, non è un ornamento, ma il nodo tra la vita e la morte per cui Marzamemi è nata, l’incrocio tra il dolore e la vita, l’ultima certezza prima degli incerti giorni di un tempo. Ora invece il tempo sembra fermarsi nella solare serenità della piazza e che questa serenità contagia ogni persona che l’attraversa. I tavoli sulla piazza del ristorante prenotato sono vuoti. La Figlia, mi guarda preoccupata. “Vieni” le dico e la porto sul di dietro del ristorante dove, dopo un vicolo pieno di fiori, c’è una grande terrazza sopra gli scogli del mare. La terrazza è coperta da canne e la luce filtrando tra loro, assume una luminosità dorata. Intorno scuri scogli usurati dalle onde, bianca schiuma, il blù del mare, l’azzurro perfetto del cielo. I piccoli tavoli sono coperti da antiche tovaglie siciliane ricamate o fatte all’uncinetto mentre forchette e coltelli sono di quelli grandi e pesanti delle grandi occasioni. I bicchieri colorati ed i vecchi piatti siciliani, rendono quel luogo familiare alla memoria e unico tra tutti quei locali, che seguono temporanee mode e tendenze. Alla destra abbiamo una famiglia olandese con la madre che non starà zitta per tutto il pranzo mentre il marito, dirà solo due parole, “Pane prego” per fare la scarpetta nel salmorigghiu del pesce. Alla sinistra abbiamo una coppia francese, non più giovane che si guardano da innamorati e che parlano sottovoce dicendosi frasi che li fanno sorridere e riempiono i loro occhi di complicità e malizia. Scrivono nell’aria versi che nessun poeta potrà mai copiare e che restano intrappolare tra le canne del tetto e trai petali dei fiori. Arriva il responsabile di sala, in realtà un ragazzo con i capelli ricci e i baffetti alla Domenico Modugno che ci porta un menù colorato. Ordiniamo poche cose tra cui un calice di Grillo perché per raggiungere Marzamemi ho attraversato le terre dove nascono il Grillo e l’Inzolia. Terre bianche, secche, aride, bruciate dalla calura e mi stupisce come i vini di quella terra possano essere così profumati, sapendo di fiori e di vento. Forse nell’uva la vite mette i suoi sogni, quel suo voler essere nell’arida terra, fiori e bellezza e sono questi sogni che sentiamo nel vino e che alla fine donano ebrezza. Mangiamo ascoltando il mare, la brezza che attraversa le canne, osservando l’andare e venire di invisibili camerieri che percepisci solo per le gustose emozioni che lasciano sui tavoli. Lentamente mangiamo guardando i colori dei fiori, gli sguardi amorevoli degli innamorati, la gioia delle famiglie, il soffice silenzio in cui tutto si perde tra il profumo dei fiori del bianco Catarrato e la dolcezza assoluta della cassata. La lentezza con cui viviamo una necessità come nutrirsi diventa piacere, ci libera da ogni ansia donata dal correre dei minuti, ci da un senso di libertà che le grandi città ci hanno rubato. Così ci riprendiamo lo spazio e il tempo per essere felici, per dimenticare affanni, credere nella serenità e inventare nuovi sogni. In fondo, è questo Marzamemi. ( andando via l’olandese si ferma a guardare il mare che urta gli scogli. La moglie lo raggiunge e lo abbraccia osservando il mare con la sua testa appoggiata alla spalla del marito. Sono già ammalati di nostalgia).
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diceriadelluntore · 5 months
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Storia Di Musica #304 - Bob Dylan, Bringing It Al Back Home, 1965
Ogni anno ho raccontato un disco di Bob Dylan. Prescindere da Dylan è impossibile per il rock, e arriva in luoghi, stili e musicisti che a prima vista sembrano lontani anni luci da lui. Eppure, il suo è uno degli ingranaggi cruciali che mette in moto la macchina della musica popolare occidentale (e non solo) che è arrivata fino ad oggi. Il disco di oggi è l'occasione per un viaggio alquanto insolito, che svelerò alla fine, per chiudere il 2023 musicale. Il disco di oggi nasce da alcune idee che erano state scartate per quello precedente, Another Side Of Bob Dylan del 1964. Sebbene ancora legato al folk, quel disco scopre un lato introspettivo che il Dylan di quei tempi ancora doveva scandagliare: inizia quindi a mettere di lato (sebbene non lo abbandonerà mai del tutto) il lato politico e sociale (dello stesso anno è The Times They Are A-Changin') per quello privato. Inoltre c'è la necessità musicale di legare insieme il folk dei primordi con le nuove pulsioni del rock'n'roll, che secondo Dylan gli permetterebbero maggiore libertà creativa. Decide quindi di andare a vivere in una piccola villetta di campagna a Woodstock, proprio a pochi km dalla spianata che pochi anni più tardi fu teatro di una immensa folla rock, casa di proprietà del suo manager Albert Grossman. Dylan adora quel posto, e ci passa tutta l'estate. Dopo pochi giorni, è raggiunto da Joan Baez, che racconta la routine del menestrello di Duluth: passava la giornata alla macchina da scrivere, accompagnato incessantemente da sigarette e bottiglie di vino, e spesso nel cuore della notte avendo avuto una intuizione si metteva a scrivere senza soluzioni di continuità. Dylan è cauto, e affina tutti i particolari: alla prima sessione di registrazione canta da solo acustico. Il giorno dopo, 14 Gennaio 1965 che nella storia del rock è un giorno importante, si presenta con una band elettrica: i chitarristi Al Gorgoni, Kenneth Rankin, e il grande Bruce Langhorne, il pianista Paul Griffin, i bassisti Joseph Macho Jr. e William E. Lee, e il batterista Bobby Gregg. Registrano per ore, e le canzoni volano veloci e in poche ore, quando è notte fonda, è pronto metà disco. La sera successiva, il 15 Gennaio, Dylan dopo cena si presenta con una nuova band, tra cui John P. Hammond, che diventerà suo fido braccio destro negli anni a seguire, e John Sebastian, che diventerà famoso con i Lovin' Spoonful. Di questa sessione però non fu salvato nulla, così il 16 torna in studio con tutti i musicisti e finisce di registrare il disco. Che secondo il racconto dei presenti fu tutto di first takes, cioè canzoni registrate e considerate buone dopo solo una registrazione. Dylan, timoroso che il passaggio totale alla musica elettrica fosse un passo troppo lungo, decide di dividere il disco a metà con canzoni vecchia maniera musicalmente, ma che nei testi e nelle idee lo propongono del tutto nuovo: un surrealismo fantastico che lega Rimbaud alla beat generation, e che inizia a popolare lo scenario della musica giovanile di luoghi e personaggi che diventeranno archetipi.
Il 22 Marzo 1965 viene pubblicato Bringing It All Back Home dalla Columbia. Verrà distribuito in alcuni paesi con il titolo di Subterrean Homesick Blues, nome del primo singolo, ma ciò che importa è che è uno dei più grandi dischi di Dylan, ergo, è uno dei più grandi dischi della storia del rock. Perchè riesce nell'intento che si era prefissato, cioè trovare un legame credibile tra la tradizione folk, il blues e il nascente rock, creando paesaggi lirici che sconvolgono, consegnando alla storia canzoni mito su cui tutti hanno preso spunto. La sequenza di canzoni è ormai a quasi 60 anni dall'uscita un greatest hits: Subterrean Homesick Blues è il biglietto d'ingresso nel mondo elettrico, e passa anche alla storia per l'innovativo videoclip, famosissimo e stracitato, di Dylan con i cartelli di parole chiavi del testo, con Allen Ginsberg che passeggia sullo sfondo di una vecchia fabbrica in rovina. Il testo, che utilizza anche espressioni da strada, è una infinita carrellata di riferimenti, più o meno chiari, alla società, alla politica, al giornalismo, e inizia a creare delle espressioni che diventeranno futuri slogan tra studenti, manifestanti per i diritti civile e così via (il più famoso You don't need a weather man\To know which way the wind blows). She Belongs To Me è l'ennesima novità stilistica: la prima figura di "donna ammaliatrice" (definizione di uno dei massimi studiosi di Dylan, Robert Shelton) con cui esiste un rapporto difficoltoso, sebbene non si sappia chi sia realmente l'spirazione, le più accreditate sono Suze Rotolo, la sua ex fidanzata che sta con lui sulla copertina di Freewheelin' Bob Dylan, Joan Baez, sua sodale, Nico, la cantante svedese che conobbe alla Factory di Warhol e che canterà con i Velvet Underground o forse Sara Lownds, quella che diventerà sua moglie poche settimane dopo l'uscita del disco. Ogni canzone diventerà un'icona: Maggie's Farm, probabilmente un blues contro ogni forma di sfruttamento; On The Road Again è una dichiarazione profetica sul rapporto Dylan-successo, dove il primo spesso sceglie la lontananza e l'autoesilio, impaurito da quello che succede; It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding), tutta acustica, è uno dei massimi capolavori lirici dylaniani, con una carrellata drammatica per tensione e suggestione di immagini e sensazioni che esprimono un impellente desiderio di critica nei confronti dell'ipocrisia, del consumismo, dei sostenitori della guerra, e della cultura americana contemporanea, che rispetto al Dylan folk stavolta non si risolve in un ottimismo rivoluzionario, ma in un arrabbiato status quo da osservare. Ricordo altre due perle: It's All Over Now, Baby Blue, Dylan alla chitarra acustica e all'armonica a bocca e William E. Lee al basso come unica strumentazione, è un'altra ballata storica, dai mille significati (chi sia o cosa sia Baby Blue, per esempio) ma la canzone più famosa è senza dubbio Mr. Tambourine Man, altra canzone dai mille significati e simbolismi, che diventerà un soprannome dello stesso Dylan, e oggetto di centinaia di saggi, anche accademici, alla ricerca dei messaggi più reconditi di questo vagabondo con tamburo intento a suonare una canzone per lui mentre la notte sta per terminare avviandosi verso il mattino tintinnante.
Il disco è un successo: numero 6 nella classifica americana, addirittura numero 1 in Gran Bretagna, dove in quei mesi inizia una vera e proprio Dylanmania. E sarà uno dei più coverizzati di sempre: i Byrds lo riprenderanno quasi del tutto, e molte delle loro versioni di questi brani diventeranno famose, anche per l'uso nelle colonne sonore, da ricordare quelle in Easy Rider. Ma non tutti furono folgorati, e non posso non ricordare l'episodio che avvenne al Festival Di Newport: il 25 luglio 1965 Dylan si presentò sul palcoscenico non come cantante solista con chitarra e armonica come suo solito, ma con una chitarra elettrica accompagnato dalla Paul Butterfield Blues Band, formidabile band di blues elettrico. Qui succede questo: non si sa nemmeno bene se fosse colpa dell'acustica che non funzionava, ma il pubblico iniziò a fischiare Dylan, che dopo un paio di brani lasciò il palco; gli organizzatori lo convinsero a ritornare, solo con armonica e chitarra, per una sessione solo acustica che leggenda vuole finisca con It's All Over Now (Baby Blue), da allora canzone anche per sancire un passaggio epocale nella vita delle persone deluse dai cambiamenti.
Rimane da raccontare la copertina: Daniel Kramer con una lente distorsiva fotografa Dylan in un salotto con una donna, Sally Grossman, moglie dell'allora manager di Dylan, Albert Grossman. Sul tavolino tra i due dischi famosi Keep On Pushing de The Impressions, King Of The Delta Blues Singers di Robert Johnson, India's Master Musician di Ravi Shakar, Sings Berlin Theatre Songs by Kurt Weill di Lotte Leyna e l'amico Eric Von Schmidt con The Folk Blues Of Eric Von Schmidt; dietro Sally Grossman, seminascosto da un cuscino, c'è il lato superiore della copertina dell'album Another Side Of Bob Dylan, e sotto il suo braccio destro, una copia della rivista Time con Lyndon B. Johnson in copertina. Sulla mensola del camino, alla sinistra del dipinto, si vede l'album di Lord Buckley The Best Of Lord Buckley. Compare un gatto, che si chiamava Rolling Stone, Dylan indossa dei gemelli regalati da Joan Baez e in primo piano, in basso a sinistra della fotografia, campeggia un cartello con su scritto Fallout Shelter (rifugio antiatomico). Questo tavolino sarò il punto di partenza di nuove storie, nel nome di Dylan e di uno dei dischi fondamentali della storia.
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fridagentileschi · 7 months
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Io non sono un Conservatore. Non simpatizzo con la Destra più di quanto non simpatizzi con la Sinistra. Sebbene rifiuti ogni classificazione politica, mi considero una rivoluzionaria. Perché la Rivoluzione non significa necessariamente la Presa della Bastiglia o del Palais d’Hiver. E certamente per me non significa i capestri, le ghigliottine, i plotoni di esecuzione, il sangue nelle strade. Per me la Rivoluzione significa dire «No». Significa lottare per quel «No». Attraverso quel «No», cambiare le cose.
E di sicuro io dico molti «No». Li ho sempre detti. Di sicuro vi sono molte cose che vorrei cambiare. Cioè non mantenere, non conservare. Una è l’uso e l’abuso della libertà non vista come Libertà ma come licenza, capriccio, vizio. Egoismo, arroganza, irresponsabilità. Un’altra è l’uso e l’abuso della democrazia non vista come il matrimonio giuridico dell’Uguaglianza e della Libertà ma come rozzo e demagogico egualitarismo, insensato diniego del merito, tirannia della maggioranza. (Di nuovo, Alexis de Tocqueville…). Un’altra ancora, la mancanza di autodisciplina, della disciplina senza la quale qualsiasi matrimonio dell’uguaglianza con la libertà si sfascia. Un’altra ancora, il cinico sfruttamento delle parole Fratellanza-Giustizia-Progresso. Un’altra ancora, la nescienza di onore e il tripudio di pusillanimità in cui viviamo ed educhiamo i nostri figli. Tutte miserie che caratterizzano la Destra quanto la Sinistra.
Cari miei: se coi suoi spocchiosi tradimenti e le sue smargiassate alla squadrista e i suoi snobismi alla Muscadin e le sue borie alla Nouvel Riche la Sinistra ha disonorato e disonora le grandi battaglie che combatté nel Passato, con le sue nullità e le sue ambiguità e le sue incapacità la Destra non onora certo il ruolo che si vanta di avere. Ergo, i termini Destra e Sinistra sono per me due viete e antiquate espressioni alle quali ricorro solo per abitudine o convenienza verbale. E, come dico ne La Forza della Ragione, in entrambe vedo solo due squadre di calcio che si distinguono per il colore delle magliette indossate dai loro giocatori ma che in sostanza giocano lo stesso gioco. Il gioco di arraffare la palla del Potere. E non il Potere di cui v’è bisogno per governare: il Potere che serve sé stesso. Che esaurisce sé stesso in sé stesso.
di Oriana Fallaci
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be-appy-71 · 1 month
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Il rispetto è molto di più di una parola, il rispetto non si pronuncia si dimostra. Il rispetto è sincerità, coerenza e lealtà. È il saper guardare gli altri come guarderesti te stesso, esattamente allo stesso identico modo. Se hai sofferto e sai cosa vuol dire, non far soffrire. Se sei stato deluso, non deludere. Se sei stato ferito, non ferire! Non usare le persone, non entrare nei loro cuori solo per vincere battaglie con te stesso, quella che hai di fronte è una persona come te, nulla ti ha fatto e magari dietro di essa ci sono dolori più grandi dei tuoi. Se le persone capissero questo ci sarebbe più amore tra loro, ma l'egoismo, la falsità, le parole usate con leggerezza, i gesti non sentiti sono ormai uso, manovra e tattica di molti... ♠️🔥
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Silvia Nelli
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kvara si rende conto che forse la rivalità che sente per davide non è esattamente platonica. enjoy!
Lui non era mai stato un tipo molto aperto, anzi, fin da piccolo era stato un ragazzo di poche parole, che faticava a fare amicizia con gli altri. Impacciato, taciturno, goffo.
Khvicha non aveva molti posti nel mondo da chiamare casa. Certo, c'era la sua terra natale, ma ormai la Georgia si trovava a migliaia di kilometri si distanza da lui. E quella grande e strana città nella quale ora viveva, dove tutti lo trattavano come un dio, dove inneggiavano il suo nome e dove avevano esposto foto, bandiere e murales con la sua faccia e quelle dei suoi compagni, non poteva certo essere considerata davvero casa, o perlomeno non ancora. Si sentiva più come un re nel suo palazzo dorato pieno delle sue chincaglierie: bello, anche divertente viverci, ma gli mancava quel calore, quella familiarità che solo un posto che veramente si considera casa potrebbe dare.
Ma il campo. Il campo da calcio era tutta un'altra storia.
Forse era lì, solo lì, che si sentiva veramente nel luogo dove poteva essere completamente libero. Senza paranoie, senza pensieri. Gli bastava avere un pallone tra i piedi e nient'altro per tornare a respirare con leggerezza. Per tornare a sentirsi di nuovo vivo.
E non c'era momento in cui si sentiva più vivo che durante i big match, quelli contro le altre grandi squadre, quelli che contavano davvero, quelli dove giocano i fuoriclasse che ti spingono a dare il meglio di te per non esserne da meno, che ti fanno sudare ogni centimetro conquistato, ogni pallone, l'adrenalina alle stelle.
Era da poco più di un anno al Napoli, eppure già si era scontrato con alcune delle più grandi squadre europee, contro diversi calciatori che gli avevano dato filo da torcere e che gli avevano regalato la soddisfazione di un vero duello.
Eppure.
Eppure c'era qualcosa di diverso con quel Calabria.
Dal primo momento in cui si erano ritrovati faccia a faccia, con lo sguardo intenso dell'altro completamente concentrato su di lui, Khvicha era stato investito da una scarica di adrenalina diversa dalle altre. Era come se Calabria fosse il suo doppio, anticipava quasi ogni sua mossa, gli era costantemente col fiato sul collo. Khvicha era suo, e non se lo sarebbe fatto scappare per nulla al mondo.
Anche questo primo scontro di stagione non era stato diverso. Khvicha avrebbe mentito se non avesse ammesso di aver aspettato con ansia proprio il momento in cui lui e Calabria si sarebbero di nuovo ritrovati sullo stesso campo.
Alla fine però, questa volta, nessuno dei due aveva davvero vinto. Un pareggio, forse evitabile, forse no, ma comunque un pareggio. La frustrazione gli bruciava dentro. Aveva deluso i loro tifosi, per giunta in casa, e se solo quella palla fosse entrata in porta all'ultimo momento, allora –
«Hey, great match!»
Khvicha si girò verso Calabria. Gli si stava avvicinando ancora col fiatone, ma con un sorriso compiaciuto sulle labbra. Inspiegabilmente, il suo primo, irrazionale pensiero fu che gli mancava vederlo coi suoi vecchi capelli ricci.
Scosse la testa. «Yeah, you've been very good, man» gli rispose, ricambiando il sorriso.
Questa volta Calabria rise di gusto. «You're pretty good yourself!» disse, per poi avvicinarglisi ancora di più, a braccia aperte. E per quanto solitamente lui non fosse il tipo da contatto fisico ravvicinato con persone che conosceva poco, aprì a sua volta le braccia e ricambiò l'abbraccio senza un attimo di esitazione. Poteva giurare di sentire Calabria sorridere mentre gli stringeva un braccio intorno alle spalle, la mano che si alzava ad accarezzargli la testa.
Una calda sensazione che proveniva da qualche parte nella sua pancia gli risalì fino al petto. Cercò di ignorarla, focalizzandosi solo sul calore dell'abbraccio dell'altro. Respirò a fondo l'odore di sudore dell'altro per calmarsi. Sudore, erba falciata, terreno umido: quelli erano gli odori del campo, odori di casa, che non mancavano mai di farlo stare meglio. Calabria sapeva di tutti questi messi insieme, e di un altro odore che non riusciva a classificare ma che doveva essere semplicemente lui. Era un buon odore, pensò.
Quando si separarono – e oddio, quanto tempo era passato? Gli era sembrata passata un'eternità, ma dovevano essere stati solo pochi secondi – Calabria gli stava ancora sorridendo, tutto denti. Khvicha notò che quando sorrideva gli si formavano delle rughe di espressione intorno agli occhi. Perché le trovava adorabili?
Dopo un attimo di quella che per un momento gli era sembrata esitazione – doveva essere un abbaglio, esitazione per cosa? – Calabria si allontanò, salutandolo con una mano. «To the next match!» urlò, prima di raggiungere i suoi compagni.
Khvicha restituì il saluto, anche se ormai non gli stava più prestando attenzione. Al prossimo match, di nuovo. Sarebbero passati mesi prima di riscontrarsi. Non era una novità.
E allora perché il cuore gli si era stretto in petto a sentire quelle parole?
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Khvicha non aveva idea del perché, ma quell'abbraccio era stato ripreso da praticamente tutti gli account sportivi italiani.
Cioè, era solo un abbraccio. Un sacco di avversari si salutano alla fine di una partita, no? Però tutti sembravano voler elevare quel momento a picco massimo della sportività tra due avversari, per qualche strana ragione. Forse era proprio perché la rivalità tra lui e Calabria era ormai nota, e quell'abbraccio a qualcuno poteva essere sembrato strano per quello. Sbuffò. Per certe persone era davvero difficile distinguere la rivalità sul campo dalla vita vera. Lui era esattamente l'opposto, e una rivalità così sentita non poteva portargli altro che avere maggior ammirazione del suo avversario, e quell'abbraccio non ne era stato che la naturale conseguenza. Semplice rispetto reciproco. Nulla di più.
Il fatto che si fosse andato a cercare e salvare tutte le angolazioni possibili in cui i giornalisti avevano scattato quel momento era un altro discorso. Era un bel ricordo da mantenere, ecco tutto.
Fu proprio mentra scollava il feed di Instagram che si accorse che Calabria aveva messo una nuova storia. Toccò l'icona rotonda colorata senza neanche pensarci su e si ritrovò davanti la foto di loro due che si abbracciavano, con la caption Respect.
Di nuovo quella sensazione di calore in fondo allo stomaco. E stava pure sorridendo come un deficiente.
Mise un cuore alla storia e gli mandò un messaggio.
Respect to you too, brother
It was a fun match
Chiuse Instagram e bloccò lo schermo del telefono. Aspettò la bellezza di dieci secondi netti prima di sbloccarlo di nuovo per controllare se ci fosse un messaggio di risposta. Ma che cazzo gli stava prendendo.
Stava per ribloccare il telefonino e andarlo a chiudere a chiave in un cassetto per non toccarlo mai più, quando il suono di una notifica echeggiò per la stanza. Erano due messaggi di Calabria.
Li aprì subito.
It's always fun to play against you! 😉
I wish we could do it more often... ☹
Oh. Quindi anche a Calabria mancava scontrarsi con lui. Sentì il cuore iniziare a battere più forte.
Me too
Si fermò un secondo, poi aggiunse un altro messaggio:
I really like how we fit together on the field
Ecco, l'aveva inviato. Oddio, sperava di non essere andato troppo oltre con quel commento. E se avesse frainteso? Se gli avesse dato fastidio? Se –
Oh you bet we fit well together 😉
Khvicha dovette ripetersi più volte che stavano parlando solo ed esclusivamente dei loro scontri sul campo di calcio. Nient'altro.
Uno scontro sul campo particolarmente allusivo.
Cazzo cazzo cazzo.
Il suono di una nuova notifica gli evitò un crollo mentale imminente riportandolo alla realtà.
How about we see each other for a rematch next time we both have a free day? I could come to Napoli or you could come to Milano
What do you think? 😁
Khvicha rilesse quelle parole.
Cosa ne pensava? Pensava che forse, forse, quello che provava per Calabria non era solo ammirazione da avversario e che forse aveva un principio di infatuamento...
(Ripensò ai suoi occhi azzurri, ai suoi capelli ricci, al suo sorriso che gli arrivava fino agli occhi: forse il forse era un eufemismo)
...e forse questo suo infatuamento era ricambiato.
I would like that very much, Cala
La risposta arrivò dopo qualche istante.
And please, call me Davide 😉
Khvicha sorrise. Forse poteva anche trovarsi a migliaia di kilometri da casa sua, ma chi lo diceva che non se ne poteva costruire una nuova dalle fondamenta?
Thank you, Davide
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
GLI STRATI DEL TEMPO
«Fino alla nascita dei décollage, nel 1953, io facevo della pittura neo-geometrica. Avevo studiato tutti gli stili e tutti i più grandi maestri, da Kandinskij a Mondrian, da Picasso a Matisse. Poi mi trasferii per due anni negli Stati Uniti, e realizzai una mostra anche lì. Quando tornai in Italia, non volevo più dipingere, perché ero giunto alla conclusione che tutto ormai, in pittura, fosse stato fatto. Una mattina del ’53, mi trovavo nel centro di Roma, e osservavo i muri completamente tappezzati di manifesti pubblicitari lacerati. Ciò mi colpì moltissimo, e pensai: ‘Ecco le nuove immagini che io devo dare al pubblico’. Nessuno aveva mai fatto questo. Così è nato il décollage: è stata una sorta di… illuminazione zen. Allora uscivo di notte dal mio studio e rubavo i manifesti dai muri. Una sera venne a vedere i miei lavori un critico giovane e molto intelligente, un filologo, Emilio Villa. Fu entusiasta, e mi disse: ‘Tu stai inventando una nuova forma d’arte, che va al di là della pittura’. Mi invitò ad allestire una mostra con sei pittori romani sul Tevere. All’inaugurazione c’era un critico americano, il quale sostenne nella sua recensione che l’unico a proporre un nuovo messaggio ero io. Mi definì ‘neo-dadaista’.».
Con queste parole Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 – Milano, 8 gennaio 2006) rievocava la nascita del "decollage", intuizione capace d'innovare il linguaggio artistico del secondo Novecento, inserendosi nella scia della Pop Art, dell'Informale, del Nouveau Réalisme, del NeoDada.
Tuttavia, gli schemi non raccontano.
Indicano un percorso, delle assonanze, dei richiami.
Non bastano: gli artisti fanno storia a sé.
La libertà in quegli anni convulsi è massima.
La tecnica diviene essa stessa fenomeno creativo, così prorompente da ribaltare il tradizionale rapporto tra significante e significato, fino a una semiosi inaspettata, controversa.
Eppure dotata di una poetica profonda, ammessa, come nel caso di Rotella, all'antico mistero del tempo e delle sue infinite narrazioni.
Lo "strappo" diventa scoperta.
E quanto rimane è rappresentazione artistica di un divenire che annulla le distanze, saldando passato e presente.
Suggestione del perenne.
Nascosto.
Svelato.
- Mimmo Rotella, "Europa di notte", 1961, Mumok, Vienna
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