Tumgik
#ma ora che ci sono il posto fisso non lo lasciano perché ho iniziato ad ascoltarle sul serio
belteppismo · 1 year
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Nella mia playlist "A rotazione" si susseguono "Furore" di Paola e Chiara, "La solitudine" della Pausini e "Vattene amore" di Mietta e Amedeo Minghi. Evidentemente ho dei problemi
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Caterpillars,laughter and confessions  (part 2)
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15.07.2076
K: «oooh» annuisce «mi sembrava strana effettivamente la questione» annuisce andando a versarsi ancora acqua nella tazzina ormai quasi vuota e lasciando la bustina ancora a mollo «Ecco..» batte la destrorsa sul ginocchio destro piegato tornando ad appoggiarsi in posa sexy col braccio sinistro sullo schienale del divano «ora so una cosa imbarazzante su una parte del corpo del bruco».Sorride mentre si allunga per prendere la tazzina e sorseggiare un po` di the «Dipende.. se servisse per salvarti la vita...» - «diciamo che non vorrei essere da quelle parti in quel caso» - «o quantomeno dalla parte sbagliata della squadra» sorride ma in parte è seria. Fa spallucce, e si umetta le labbra «Sai Illy..» si fa seria «chi ha passato quello che abbiamo passato noi..» intende lei o sebastian, «chi più chi meno ovviamente..»
«chi ha un passato difficile rimane sempre un po` marchiato da esso.. e la malattia può esserne una causa ma non la conseguenza delle azioni che ne derivano da lì in poi.. o almeno non in totale colpa»
sorseggia il the «alla fine del processo sono andata via.. non tanto per il risultato ottenuto..ma perché mi sono posta anche io il problema di essere o di poter diventare come lui..per la malattia» ovviamente seh seh
«ma... diciamo che sono arrivata al risultato di come la malattia a volte sia solo una scusa.. ci può rendere più sensibili, più instabili in alcuni gesti e in alcune decisioni...ma è ciò che siamo noi che ci permette di decidere se quelle decisioni compierle o no...» 
fa un grosso respiro «Se ci fosse stato Adam, se Adam fosse stato preso di mira da qualcuno di pericoloso.. il mio essere..» ... «Adam come un qualsiasi membro della famiglia...il mio essere mi avrebbe portato ad agire in battaglia, a decidere anche di uccidere probabilmente se la scelta fosse stata Adam o lui/lei o Elliot o tu.. o la mia vita rispetto alla sua..» - «ma agire quando la persona è a terra, agire quando la persona da ferma cerca di ferire nonostante sia legata, decidere di uccidere piuttosto che ferire...quella è una scelta Ilary..» altra pausa mentre abbassa la tazzina vuota «Una scelta che è totalmente distaccata dalla malattia o dal suo passato... ma è un qualcosa tu scegli di fare» una nuova pausa guardandola negli occhi questa volta «e di questa scelta non ha colpa nessuno se non lui.» - «Fai male quando non hai altre armi e altra forza per vincere.. ma tu non devi ferire nessuno.. non devi dimostrare a nessuno quello che senti o non senti nei suoi confronti o nei confronti di Harry» - «ma in questi casi la vendetta non ti servirebbe a niente, sia essa pratica o fatta di indifferenza.. credo che la cosa migliore per te e per lui..sia quella di andare avanti ognuno per la sua strada.. puoi anche provare affetto per Sebastian e per quello che avete avuto di bello nel vostro matrimonio senza doverti sentire in colpa..perchè sai che come c`è stato è ora finito per qualcosa di ancora più bello e genuino...»una pausa «di meno malato ecco..» nuova pausa «non sentirti in colpa per tutto santo Merlino siii libera di amare, essere arrabbiata e provare qualsiasi cosa tu voglia provare, non devi dar conto a nessuno se non a te stessa in primis e al bruco in secondis(?)»sull`ultima parola rimane poco convinta ma fa spalluce «ASSOLUTAMENTE SI COL THE»
I: Il cipiglio a farsi più serio e concentrato, quando l`ombra familiare invade il viso di Katrine, facendole respirare ancora una volta il sentore di un passato difficile che ha sempre e solo immaginato e mai domandato. Forse le sta bene così, forse le basta ascoltare quel che Katrine ha voglia di dire, solo con la dovuta precisazione che «non è una gara». Le dita a rafforzare la stretta attorno alla tazza, mentre uno spiacevole groppo le chiude la gola e lo stomaco nell`apprendere certe similitudini. «Io sono andata a vomitare» dopo il processo, inserendosi nel suo racconto con discrezione, forse per lasciarla meno sola in quei racconti difficili. «Credevo che fosse perché mi dispiaceva per lui e perché al suo posto mi sarei sentita morire, ma...» - «non era solo questo» tirando un profondo sospiro. «Era anche che... credevo se lo meritasse» il tono ad abbassarsi, quasi quel pensiero portasse con sé un peccato irripetibile. «Credevo che avrebbe tenuto un po` più al sicuro chi gli sta intorno» perché Sebastian non ferisce solo con la magia e lo sanno bene entrambe. «Anche io ho avuto quella paura» il tempo passato è figlio del tentativo di debellarla anche così e parla del timore di diventare come Sebastian, esatto. «Quando ho smesso di avere paura di... incontrare un altro Sebastian...» - «...ho iniziato ad aver paura che il Sebastian fossi io e di aver incontrato il troppo affetto e la troppa devozione della Illy o della Rachel o della Kat di turno» deglutisce a fatica. «Ma Rachel mi ha dato della troll» - «e di smetterla di ficcarmi da sola il dito nelle cicatrici, che non ce n`è alcun bisogno» un altro sospiro per allentare la tensione. «E sai cosa ci direbbe Silente?» per concludere, sporgendosi appena in avanti «che siamo le scelte che facciamo» siamo al timone della nostra nave. Come testimonia il sorriso mesto con cui accoglie la fine delle sue parole, lo sguardo un po` acquoso e il cuore inquieto. «Lo so» che non deve dimostrare niente a nessuno.
K: «Oh ma non voglio che lo sia e nel caso per qualcuno lo fosse preferirei di gran lunga perdere guarda»sguaiata, ride, forse un po` data dal discorso e dal voler stemperare l`atmosfera che si sta creando. «reazione più che comprensiva..»annuisce convinta,ascolta infine il discorso di Ilary, quelle frasi che si sovrappongono alle sue, ma lo sguardo questa volta rimane fisso su di lei, quelle iridi smerladine si posizionano a fissarla mentre non proferisce parola per un po`, una statua inquietante quanto il nano da guardino che le fissa dal lato del camino, ad un occhio poco attento potrebbe quasi sembrare che non respiri, ma respira ,respira come respirava quel mattino sulla spiaggia, respira come respira sua nonna quando..inizia a parlare sempre più piano «una parte di me vorrebbe davvero darti una sberla..»lo dice piano «ma odio la violenza.. e odio i segni che lasciano gli schiaffi..»pausa «però fai conto che te l`abbia dato..»parla con pause, lenta sempre «non permetterti più di paragonarti o di pensare di paragonarti o di essere come Sebastian, Ilary Wilson hai capito?»
«Stare con una persona malata non ti rende o non ti fa diventare malata, hai così tanta luce in quel corpicino e in quel cuore che per spegne quella luce, per farti giocare al buio dovrebbero esserci duecento Sebastian Waleystock o forse trecento Sebastian.. quindi NO!» 
di scatto si sistema sul divano con la schiena dritta «il vomito era il tuo cervello che voleva eliminare queste stron***» - 
«Quello che hanno scelto,anzi che ha scelto il giudice a discapito di quello che ci lega o ci ha legato a Sebastian è la scelta migliore, non puoi essere un mago se non riesci a controllare le tue emozioni, o la tua magia, altrimenti la magia controllerà te e non possono permetterselo. Quindi in parte un po` se lo merita Ilary, si, se lo merita perché ha avuto mille modi per imparare la lezione, mille occasioni, ma quando già al quarto anni effettui incantesimi dettati dalla rabbia su una ragazzina più piccola, se per dispetto incendi i mantelli con la gente dentro durante la lezione perché quella persona non ti calcola buhu Oh santo Merlino allora la bacchetta è meglio spezzata perché dell`essere mago non hai capito proprio nulla!»
parla ora senza respirare «E tu temi di essere come lui? di essere la persona marcia che usa le persone e il loro amore o il loro affetto per poi sputarle via come frutta marcia o noccioli di una pesca?!» la destrorsa e la mancina andrebbero dunque a posarsi sulle gambe di Ilary e nel caso vi riuscisse andrebbe ad avvicinarsi guardandola negli occhi 
«NON SEI LUI»
annuisce alle parole successive «e Silente ne sapeva!»
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I: «Non credo sia così diffuso pensarla così, sai? Chi fa a gare di certe cose, ama stare dalla parte che pende della bilancia e lamentarsene facendo sentire in colpa chi malauguratamente sia stato più fortunato. O più accorto». Ma sorride, lieta di sentirla ridere, lasciando che quel suono sciolga un po` la tensione dei muscoli. Le gambe strette al petto in difesa del cuore, un sorrisetto colpevole per averle tirato fuori quell`istinto violento. «Mi fai un po` paura, in effetti» sincera e in vena di battute infelici e irripetibili. «Quello sì che ti renderebbe simile a Sebastian» lo schiaffo? Stira un sorriso che spera di far sbollire così le ire funeste della Warren, gettando poi gli occhi al cielo; ormai incapace di prendere sul serio quei discorsi e quindi ben venga l`umorismo più nero. «Vai a dirlo alla Me che si castava Flamora sulle gambe» la leggerezza di quella battuta mette i brividi, ma la retorica suggerisce che il confine fra malato e vittima non sia poi così netto come lo vorrebbe Katrine. Lo sguardo scivola altrove non a caso, il nasino arricciato nell`ascoltarla di malavoglia, e non perché l`altra non dica cose sensate. Anzi. Ne dice troppe, lei vorrebbe solo averle afferrate prima. E se gli occhi pizzicano di lacrime sarà solo lo gnomo a vederle. Le unghiette affondano inutilmente contro la ceramica della tazza e il respiro cessa senza che lei lo abbia deciso. Così come i piedini si intrecciano nervosamente uno sull`altro mentre lei va a completare quel lungo elenco con tono tremante: 
«... quando tenti di soffocare qualcuno per gelosia, quando lasci morire un concasato perché pensi che sarà un rivale in meno, quando casti un bombarda sotto i piedi di qualcuno solo perché pensi che potrebbe darmi cento volte quello che mi hai dato tu in un quarto del tempo, quando mandi all`aria il tuo matrimonio per un ragazzino di cui ti sarai dimenticato non appena avrai distrutto anche lui e sarai passato alla prossima vittima sacrificale e quando perdi il controllo uccidendo una strega indifesa. Merlino!» 
solo ora tornerebbe a volgersi verso Kat «sembra la trama di un pessimo film di terza categoria, non è vero?» un sorriso sghembo ha persino la forza di stropicciarsi di lato, sulle labbra. Ma quella disinvoltura non imbroglia nessuno eccetto se stessa. «Le metafore ti riescono che è una meraviglia, sai?» tutto ciò che riesce a proferire prima che la voce si incrini definitivamente e le prime lacrime righino il visetto costringendola a roteare gli occhi al cielo. «Sono davvero... un disastro» quella metafore ritorna con uno sbuffo esausto, ma in qualche modo è una consapevolezza necessaria alla ripartenza, visto che non sembra esserci voglia di piangersi addosso quando la testolina sprofonda indietro contro lo schienale. Lo sguardo a roteare su Kat quando le sue mani trovano le proprie ginocchia, il labbrino tremolante ai discorsi sul bruco, che vengono accolti con mugolio non meglio identificato che dovrà bastare come assenso
K: «Io credo che chi sia stato più fortunato abbia solo avuto un destino migliore.. ma non è il passato che ti rende ciò che sei, ma ciò che scegli di essere nonostante quel passato» lo dice quasi convinta, o forse si è ingarbugliata anche lei nei suoi stessi pensieri; fa spallucce «A volte è capitato..»lo ammette un po` a malincuore, sopratutto con sua sorella Melanie, nelle scenate tra sorelle e i drammi familiari, lascia un po` cadere quel discorso senza darci troppo peso, sono discorsi che vanno affrontati non con leggerezza e in quella serata di discorsi spessi ce ne sono stati a sufficienza «ecco...»una pausa mentre Ilary finisce il suo discorso «ci sono stati mille segnali e sicuramente mille persone che gli hanno fatto notare la cosa, io stessa gli ripetei diverse volte che stava cambiando, che non era più lo stesso, hai tempi di Joey, di Rachel lo dicevo, lo dicevo e mi beccavo il male, mi beccavo il marcio... quindi ad un certo punto basta.. basta Ilary»lo dice a lei ma in realtà lo sta dicendo ad entrambe, sorride al suo dire «come quelle telenovelas argentine dove ogni parola e un pianto e un drama di quarantacinque minuti»ride, ride davvero per poi fermarsi quasi di colpo e tornare seria «lo so grazie»falsa modestia «Comunque..» guarda un po` altrove prima di parlare prendendo fiato 
«quando tu mi parlerai dei flamora io ti parlerò di me..»
fa spallucce facendo finta di niente, come a far intendere di averla capita e non averla capita allo stesso tempo. Finisce poi alla penultima frase di Ilary per saltarle quasi addosso in un abbraccio, dal suo posto lunga lunga verso di lei a far sparire quasi il visino di Ilary sulla sua spalla  «Non sei un disastro»lo dice quasi sorridendo con una dolcezza da mamma «Sei buona, sei pura e sei di famiglia» una pausa «e in famiglia siamo tutti un casino» I: «Sebastian ti direbbe che non è così facile» scegliere chi essere nonostante il passato. «E forse un tempo gli avrei dato ragione, ma... quando ho scoperto di poterla controllare eccome la paura, di fronte alla persona giusta» - «... ho iniziato a rivedere quel monte di giustificazioni che ogni volta mi rifilava» e che lei si beveva con la scusa che la aiutassero a comprenderlo senza per questo giustificarlo. «"A volte" fa la differenza» suggerisce, dolcemente allusiva, al suo accennare alle scenate con la sorella. «Nessuno di noi è perfetto e da nessuno si può pretendere infallibilità» anche se lei da sé stessa l`ha sicuramente pretesa.Esattamente come il sollievo che la permea all`idea che Sebastian sia stato punito, e punito dalla giustizia, e ora anche dal karma per quella mano dolorante e intorpidita che l`ha condotto in ospedale. «Anche se... ogni tanto ammetto d`aver paura di essere diventata un tantino...intollerante» dopo Seb. Alla minima avvisaglia di problema potrebbe far saltare in aria anche il castello più solido. Un`altra confessione che sbocconcella a uso e consumo di Kat, che si sta rivelando sempre più qualcosa di più che una cugina acquisita e una Wilson in più sull`albero genealogico. Infine annuisce, annuisce a quei "basta" e aggiunge nuovi tasselli alla ferma determinazione che ormai va costruendosi di tenere l`ex Grifondoro alla giusta distanza.  «Abbiamo fatto il possibile...» tutte quante, e per ammissione di Sebastian stesso. Un mezzo sorriso ad accogliere il dire sulle telenovelas, che sembra illuminarle lo sguardo più di quanto dovrebbero fare certi prodottacci delle televisioni babbane. «O una di quelle italiane...!» le fa eco difatti, concedendosi una risatina acquosa e di tornare a respirare. Anche se tutto torna a bloccarsi un po` quando quella promessa di nuovi confronti si insinua fra loro, ma dura un attimo, poi è di nuovo il sorriso ad avere la meglio in quell` «okay» che sembra promettere non la lascerà sola nemmeno allora, nei racconti brutti. Soffocata a sorpresa nell`abbraccio di Kat, lascia ruzzolare volentieri la tazza a terra per stringerla di rimando,
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gryffsophia · 5 years
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⁖  ♡  Sophia & Valentyne @ Dormitorio di Serpeverde / 13 Gennaio.
Non è troppo tardi, in realtà. Son trascorse circa due ore dalla cena, e dal conseguente smistamento di Sophia, e c'è da dire che ha avuto tutto il tempo di mettere in ordine le proprie cose... solo che le ore sembrano trascorrere troppo lentamente. Perciò non si sorprende quando entra nel dormitorio maschile del settimo di Serpeverde, dopo aver praticamente strappato via la parola d'ordine ad un primino, e lo trova ancora sveglio: l’unica cosa che fa è scivolare sul letto di suo fratello, avvolta da quel completino di raso che lei osa pure chiamare / pigiama /. ‹ Dormo con te. › Senza se e senza ma.
Non che non se lo aspettasse, nessuno è grifondoro quanto sua sorella. Nessuno è /coraggioso/ quanto lei; questo è uno dei motivi per i quali più spesso l'ha invidiata. ( ... ) 《 Ci hai messo meno di quanto mi aspettassi ad infrangere il regolamento. 》 Soffia, ma non ha intenzione di romperle le palle con questo, soprattutto perché per Valentyne l'importante non è essere ligi alle regole, quanto non farsi scoprire. L'ha coperta con le lenzuola, soprattutto perché è troppo nuda per i suoi gusti, e poi-- 《 Domani vai via prima che gli altri si sveglino. 》
Coraggiosa, sì — ma in realtà è la costante ricerca di adrenalina a muovere la maggior parte delle sue gesta. Ma non stasera. Stasera è semplicemente un po’ tesa, e la presenza di suo fratello la tranquillizza, nonostante quelle parole che un po’ la fanno ridere. ‹ Perché, avevi dubbi? › col capo reclinato. E non dice niente quando l’altro la copre, ché non è in vena di litigi, ma anzi allunga le braccia per tirarlo a sé. ‹ Ci provo! › con un sorrisino un po’ vago che non lascia intendere niente, ma che ben presto nasconde sul volto altrui — ché ha iniziato a dargli tanti piccoli baci, sfilandosi via un po’ da quelle coperte solo per circondargli il collo con le braccia.
《 Nessuno. 》 Soffia, mentre lascia risalire lentamente le dita lungo la sua schiena, facendo appena pressione con i polpastrelli. 《 Com'è andato il primo giorno? 》 Le sussurra all'orecchio, per non svegliare gli altri, ma intanto ha già chiuso gli occhi per via di quei baci, godendoseli uno ad uno.
Lei rabbrividisce, a causa di quella pressione, del tocco altrui, un sospiro che le lascia involontariamente le labbra. ‹ Non mi lamento, poteva andare peggio... › in un’altrettanto sussurro che va dritto contro la pelle della mandibola altrui, su cui adesso prende a lasciare qualche altro bacio. ‹ Va meglio adesso. ›
Accenna un sorriso a quelle parole. Debolissimo. Ma gli occhi ora sono decisamente aperti, e vagano su tutta la sua figura; le parti che riesce a intercettare; I grandi occhi blu, gli zigomi affilati, le clavicole, la curva dei seni... 《 Questo non è un pigiama. 》 Commenta. Così. 《 È una fascia per capelli, e non me ne intendo ma credo siano passate di moda da un pezzo... 》
È abituata ad esser guardata, e sa di essere bella — ma non v’è sguardo che ami più su di sé di quello di suo fratello. Ecco perché si tira appena un po’ indietro, la lingua che sguscia ad inumidire le labbra e le falangi d’una mano che gli sfiorano la pelle del collo. ‹ Non saprei › e lo guarda da sotto le lunghe ciglia, le gote un po’ imporporate: ‹ Io le ho sempre trovate piuttosto carine... › E adesso sorride, vaga. ‹ Credi non mi stia bene? ›
Le sfiora la pelle con la punta delle dita, lentamente, con tocco leggero, spostandole i lunghi capelli scuri dietro la schiena per scoprirle la spalla, la clavicola, che accarezza quasi distrattamente. Ma non c'è nulla di distratto in quello sguardo. 《 Non è importante qiello che credo io, ma quello che credono loro. 》 I compagni di stanza, che non devono /assolutamente/ guardarla.
 Lei sospira, sotto quel tocco delicato — le palpebre che calano pigramente verso il basso per qualche istante e che, quando si riaprono, lasciano scoperti gli occhi blu un po’ lucidi. ‹ Loro stanno dormendo... › un soffio, il cuore che adesso batte più veloce. ‹ E poi a me interessa quello che credi tu. › Un sorriso vago che le si dipinge in volto, mentre la mano discende e si spinge in avanti, per sederglisi in braccio.
Soffia un sorriso. Un sorriso leggero. Di quelli rari, no? Quelli veri, non di cortesia! 《 Che è quello che dovresti fare anche tu. 》 Ma tanto lo sa che sono parole al vento, e mentre le pronuncia la punta delle dita ora vaga sui suoi fianchi, e quella posizione che-- 《 Non mi hai mai dato retta. 》 Ma glielo dice senza amarezza, come per dirle che non lo ha mai ascoltato. Che non lo ha mai rispettato, no? Il burattino eccetera eccetera... ! Se si è rabbuiato dentro, fuori non si vede.
Quei sorrisi da parte di lui sono così rari che non può fare a meno di inclinare le labbra di rimando, mentre entrambe le gambe vanno a circondargli i fianchi ed il braccio sinistro le spalle. ‹ Dopo. › dice semplicemente, ché si sa che quando non vuol fare una cosa c'è poco di cui discutere. E se un istante prima si sta godendo il suo tocco, quello dopo gli porta una mano sul viso –– gli occhi blu quasi sbarrati. ‹ Questo non è vero... › e gli carezza uno zigomo, mentre rimugina: ha sempre mal sopportato l'inclinazione di Valentyne ad esser il soldato di sua madre, ma... ‹ Amo te più di quanto io potrò mai amare persino me stessa. Non pensare mai il contrario. ›
Quel "dopo" lo diverte, perché sa bene che poche volte è riuscito ad avete l'ultima parola con Sophia, e la sua è /sempre/ l'ultima parola. Solleva gli occhi sui suoi, dunque, e il sorriso questa volta è solo un'ombra. 《 Lo so che mi ami. 》 Posa una mano sulla sua, che tiene sul proprio volto, e la fa scivolare via lentamente. 《 Ma non ho il tuo rispetto. 》 E gli è stato insegnato che il rispetto è più importante dell'amore, no? Perciò...
Quando allontana la propria mano dal suo volto Sophia si sente vuota, ed è per questo che adesso tiene entrambe le braccia lungo i fianchi –– ed è chiaro che sia triste, no? Perché non è mai stata in grado di nascondere le proprie emozioni, e gli occhi lucidi o le labbra all'ingiù sembran parlare al suo posto. ‹ Solo perché non osi mai contestare mamma e papà. Neanche quando dovresti. › E non è l'unico ad essersi rabbuiato, ché adesso si inumidisce le labbra, lei, un po' in tensione. ‹ Non hai detto niente quando mi hanno rispedita in America. / La sera stessa in cui sono arrivata /. ›
Ora la guarda con un po' di rabbia, no? Solo un pizzico, che gli scintilla negli occhi nebulosi. 《 Quello che non hai mai capito è che se non li contesto, è perché sono d'accordo con loro. Non perché ho paura. 》 Ha contestato più volte suo padre, tra l'altro, ma sua madre... hanno la stessa testa. Le stesse idee. Ma quelle parole-- sono quelle che fanno più male. Non avrebbe mai immaginato che lei-- forse doveva aspettarselo. Recupera in un attimo la bacchetta dal comodino e insonorizza il baldacchino, ma una volta riposta, non sa come guardare sua sorella. 《 Hai ragione. Io non volevo che tornassi ma-- mi sono sempre fidato di nostra madre, a differenza tua, e anche se non me ne ha mai spiegato il motivo... aveva una buona ragione. Le ho solo creduto. 》
Quelle parole la rabbuiano, tant'è che non ci mette poi troppo a scendergli di dosso e raggiungere la testiera del letto –– tirando le gambe al petto e nascondendosi il volto con alcune ciocche corvine. Perché le viene spontaneo pensare che se è d'accordo con loro, lo è anche quando sembrano allontanarla... e quindi adesso non lo guarda. Non più. E non dice niente, nonostante di solito la parlantina non le manchi. Neanche s'accorge dei suoi movimenti, del fatto che adesso il baldacchino è chiuso ed insonorizzato, perché riapre solo in un secondo momento le palpebre. ‹ Quale buona ragione? › domanda, adesso, un po'... ferita. ‹ Quella di allontanarmi dalla famiglia perché non ne faccio parte? Perché farmi frequentare Hogwarts avrebbe messo a nudo i loro segreti?, quelli di una figlia presa chissà dove che li sfida di continuo? › E adesso lo guarda, fisso in volto, succhiandosi il labbro inferiore in un moto di nervosismo. Perché per lei è quello, no, il motivo per cui l'hanno cacciata? Quale altro potrebbe essere? ‹ Quindi sei d'accordo. › Anche se fa male pronunciarle, queste parole.
Quando lei si allontana è come avere freddo, ma tanto si è capito che per avere qualche minuto di pace devono farsi la guerra, no? 《 Loro ti amano. Hanno dei metodi discutibili, è vero, sono molto duri, ma ti amano, e non devi pensare queste cose nemmeno per un istante. 》 E la ama anche lui, no? Ci si potrebbe chiedere se il mondo abbia mai visto amore tanto sconfinato. Ma non può dirle che la ama, guardandola negli occhi così. Non ce la fa. 《 Sono d'accordo su alcune cose, ma no, non sono mai stato d'accordo sull'averti lontana. E poi-- sei tu che sei voluta andare via, all'inizio. 》 Sempre per quel pizzico di guerra e di colpe.
Lei non ci crede, che la amano. Perché sennò si sarebbero comportati in maniera differente, no? E poi quale altro motivo avrebbero potuto avere per mandarla via così in fretta, oltre a quello? Non ne riesce ad immaginare. ‹ Non è vero. › Si limita a dire, dunque, e... l'ha notata quell'assenza. “ Loro ti amano ”, ha detto. “ E tu? Tu mi ami? ” vorrebbe chiederglielo, ma non lo fa –– perché è spaventata da quella che potrebbe esserne la risposta. Perché è insicura, Sophia, e lo si nota dal modo in cui adesso le tremano le mani. ‹ All'inizio. Poi sono tornata, ho / implorato /. E io non imploro mai. Ma sono stata mandata via lo stesso. › il labbro inferiore che adesso trema, e per quanto vorrebbe tornare a toccarlo non lo fa. ‹ Mi hai guardata andare via e ne sembravi quasi felice, nel tuo non esprimere emozioni. ›
 E lui le nota quelle mani che tremano, e le labbra, pure, che lui non si stanca mai di guardare. Perciò le cinge le spalle con un braccio e se la porta contro il petto, stringendola, perché ha un po' ragione, e lui si sente così in colpa... 《 Quando te ne sei andata per me è stato terribile. 》 Confessa, ed è difficile. 《 Non so perché ti hanno rispedita lì, non so nemmeno perché ho nascosto il fatto che mi facesse male, Ma -- credo che ognuno abbia la sua parte di colpe. 》 Anche lei. Anche lei! Perché era l'unica luce nella sua vita buia, ed è andata via. 《 Mi ero abituato a stare senza di te, ma faceva schifo. 》
È sorpresa dalle sue gesta, ma non si ribella; anzi, a dirla tutta si fa stringere –– posando una guancia nell'incavo del suo collo e una mano all'altezza del cuore. Non se le aspettava, le parole che invece pronuncia, perché sa quanto sia difficile per Valentyne esternare quello che prova. Le iridi di Sophia adesso sono dilatate, enormi, e quando tira un po' indietro il capo per guardarlo in volto deve resistere alla tentazione di lasciar cadere una lacrima. ‹ Ho implorato di tornare per te. Mi mancavi. Era come se non riuscissi a respirare, così lontana da te. › Anche se non l'ha mai detto. Non prima d'adesso. Trascorrono istanti, istanti in cui a risuonarle nella testa è la voce della sua migliore amica, di Noora, e la domanda sorge spontanea. ‹ Tu mi ami, Valentyne? Almeno la metà di quanto io amo te? ›
Era come se non riuscissi a respirare, ha detto, e lui un po' le crede. Le crede perché anche a lui più volte è mancata l'aria pensando a quel sorriso, perché avrebbe voluto le sue mani addosso, quelle carezze a rassicirarlo, e dirgli che ce l'avrebbe fatta. Perché ricorda quanto Sophia rendesse speciale ogni suo giorno, dai progetti durante le noiose serate di gala alle battute che a tavola facevano impallidire sua madre, e sorridere lui, sotto i baffi. 《 Non è mai passato un giorno senza che io ti abbia pensata. Ti ho immaginata in classe, a fare dispetti ai professori, durante la cena con le tue compagne, ti ho immaginata nella tua divisa... 》 E qui, ora tace. Non la guarda, piuttosto fissa un punto indefinito davanti a sé, con un macigno su quel cuore che troppo spesso dimentica di possedere. 《 Non puoi chiedermelo. Non so cosa significhi. 》
La rabbia provata qualche istante prima ormai è solo un ricordo, anche se una lacrima adesso sfugge ai suoi occhi –– ma l'asciuga subito, perché non le piace mostrarsi così debole. Non fino a questo punto. Ma dopotutto lui è l'unico in grado a farle provare una così ampia gamma di emozioni, no? E quelle parole... Sophia sente una morsa al cuore. Perché anche lei l'ha immaginato. L'ha immaginato nel suo letto, durante le partite di Quidditch, in quella casa enorme, a cena da solo, con quel numero di ragazze a fargli gli occhi dolci e che nella sua testa l'hanno sostituita. Ma non dice niente. Non dice niente perché è troppo persino per se stessa. E poi è distratta dalle sue altre parole, e se lui non la guarda... lei lo sta fissando. ‹ Non è vero che non sai cosa significa. › E adesso si inginocchia tra le sue gambe, seria, entrambe le mani che gli stringono il volto. ‹ Non importa quanto provi ad essere glaciale, Valentyne. Io lo so che tu non sei un guscio vuoto. Devi solo capirlo anche tu. › E forse... se lei gli dimostrasse quanto è grande il suo amore...
Ma lui lo sa che ha ragione, in parte, lo sa perché Sophia rappresenta la sua umanità, perché poche volte il cuore di Valentyne ha battuto per paura, e solo lei è riuscita a rianimarlo d'emozione; e per il resto, poi, a stento si è accorto di averlo incastrato nel petto. Ma non può ammetterlo a sé stesso né a lei, ed anche se è uno che analizza sempre ogni cosa, quella diagnosi lo ucciderebbe. Però ciò che accade nei successivi istanti non è frutto di alcun ragionamento; Si sporge a posare le labbra sul suo zigomo, dove s'infrange quella lacrima che /mai/ vorrebbe vedere sul suo volto, non a causa sua: anche se lo sa che è bravo a fare del male. E le dita le sfiorano la spina dorsale, lentamente, al di sotto del tessuto che la copre appena, e l'altra scivola lungo la sua gamba, con quel pizzico d'eccitazione che non-- non va bene. Eppure. 《 Tu lo sai. 》 Sussurra, quindi solleva finalmente gli occhi suo suoi. 《 È questo che conta. 》
Ma lei non si aspetta una risposta, anche se la spera — perché ha imparato a conoscerlo, nel corso degli anni, e sa bene quanto sia incline a non mostrarle, certe cose. Non a se stesso, e certamente non agli altri. E lo sta osservando ancora, in realtà, perché non sa cosa aspettarsi... tant’è che quel bacio la coglie di sorpresa, ed un po’ la fa sorridere, perché è proprio questo ciò che intende. Anche se magari lui non se ne vuole rendere conto. Solo che quelle mani, quei tocchi leggeri... sono quelli a farle battere il cuore. A farle issare e calare il petto in modo quasi convulso. Perché Valentyne le ha sempre fatto quell’effetto un po’ strano, le ha sempre suscitato dentro quelle sensazioni che lei cerca d’accantonare. Tant’è che adesso stringe le gambe tra di loro, con forza, e se il labbro inferiore trema o si schiude non è più a causa dell’insicurezza né della tristezza. Anzi. Ma lo sa che non va bene, e quindi cala le palpebre, con l’intenzione di calmarsi ma senza riuscirci. ‹ Noora dice una cosa, su di te. › Gli occhi che si aprono lentamente, mostrandogli quelle pozze blu che adesso sono più scure, più lucide, quasi languide. Perché ha sedici anni e non riesce a controllarlo, il suo corpo. ‹ Dice che hai un modo di guardarmi che fa arrossire le altre persone nella stanza. › E non lo dice proprio così, l’amica, però...! Ovviamente, non riesce a fare a meno di allungare una mano per sfiorarlo. Ovunque. Perché Sophia il contatto fisico con lui non riesce a resistere.
È vero, non riesce ad esprimerle, certe cose, anche se è un oratore tanto eccellente che se potesse... saprebbe anche scegliere le parole giuste. Ma non ci sono parole giuste per qualcosa che non può esser detto. O pensato. E prima--- lui sentiva la sua risata in ogni singola corda tesa del proprio violino, percepiva la sua pelle sotto le dita ad ogni nota pigiata sul piano, si è inchinato al suo orgoglio ad ogni sferzata con la sua spada, ma non è più né un violinista, né un pianista, né uno schermidore. Ed ha gettato via le parole insieme ai suoi libri di poesia. Come potrebbe guardarla, dunque? Come fa adesso, che gli occhi scivolano lentamente sulle sue curve, sulle labbra, si fermano nei suoi occhi. 《 Com'è che ti guardo, Sophia? Come se tu fossi preziosa? Come se tu fossi bella? 》 Perché lo è. Ed è di più. E lui non dovrebbe guardarla così.
Sophia non è mai stata brava con le parole, invece. Né con tutto il resto. Non perché non sia intelligente, o arguta, o acculturata –– ma piuttosto perché, a differenza di suo fratello, lei è... impulsiva, piuttosto che razionale. Si lascia sempre sopraffare da quello che prova, da quello che ha dentro, soprattutto se in / sua / presenza. Valentyne abatte ogni suo muro. Ogni certezza. Come adesso, ad esempio, che la guarda così... e dice quelle cose... e lei deglutisce. ‹ Non lo so. Ma a me piace quando lo fai... › e questo è un sussurro flebile, che sembra morirle un po' in gola; un soffio, dritto sulle labbra di lui, perché sono così vicini. Forse troppo. Non dovrebbero. E allora perché sente quel brivido lungo la schiena? Ma non trova risposte, ovviamente, e l'unica cosa che può fare è far vagare lo sguardo sul suo viso, le dita che formano cerchi invisibili sulle spalle, sulle braccia, sull'addome, sul collo, sulle palpebre, sulle labbra. Perché toccarlo la fa sentire bene, no?
Le dita di Valentyne si insinuano tra i suoi capelli scuri, vi avvicina il volto, lascia un bacio tra i suoi capelli, e ne inspira l'odore. E gli fa male. Perché quel profumo sa di casa, sa di quell'angolo di casa in cui faceva sempre caldo, quello con la finestra sempre aperta e i vetri illuminati dal sole. Quell'angolo di luce in mezzo al gelo. La luce. La sua luce. La sua casa. 《 Sophia... 》 Sposta lo sguardo, quindi, ché non può più sostenerlo. 《 Devi dormire adesso. 》 Deglutisce a forza. 《 Vado a fare una doccia. 》
Le corde della sua anima sembrano vibrare, a quel tocco. Quel bacio rapido, forse troppo. Delicato, che le fa calare le palpebre per una manciata di secondi. Non le piace ammetterlo, ma questi anni passati divisi... Sophia ne sente la mancanza nelle ossa, anche adesso che ce l'ha dinnanzi. Anche adesso che lo può toccare. E ogni volta che s'allontana è come perderlo di nuovo, e lei non vuole –– e il cuore inizia a batterle più forte. Come se avesse paura. ‹ Non andartene. › le dita che gli cingono un polso, adesso, le iridi lucide che si posano sul suo volto. ‹ Per favore. ›
Potremmo prenderci del tempo per spiegare quel graffio sul cuore, quella lacerazione improvvisa che lo fa sanguinare dentro, ma il tempo è poco, perché Valentyne posa gli occhi nei suoi, una volta staccati dal suo polso, e delicatamente scioglie la presa.《 Buonanotte. 》 Un po' troppo gelido.
E Sophia... Lei è fragile. Lo è sempre stata, come una bambola di porcellana pronta a spezzarsi. Troppo facile da ferire. E se lui posa gli occhi nei suoi, lei distoglie lo sguardo; lo posa sulle tende chiare del baldacchino –– e si fa indietro. Senza dire una parola. Perché il tono gelido di Valentyne sembra creparle il cuore. E quindi gli dà le spalle, senza dir niente, rannicchiandosi contro le lenzuola.
❪ CONCLUSA ❫
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