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#nocciolino
rudnitskaia · 3 months
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If Augusto wants to call Maura somehow especially tenderly, he calls her mia marasca (my cherry, implying my little cherry). Marasca is a sort of wild cherries with small sweet-sour berries that are perfect for creating cherry liqueur. Despite it would be more linguistically logical to associate Maura with blackberry (which is la mora in Italian), for Augusto Marasca cherries have a very special meaning, nostalgic even. As I wrote in his story, his family owned a small vineyard, but there also were a few Marasca cherry trees that usually start to blossom in April, just the month when Maura was born.
In the distant future Mau will also call her son Niccolò mio nocciolino (my little nut) sometimes, but mostly she perceives it as a cute family tradition that she took from her father.
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3nding · 1 year
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A Roma, gira che ti rigira, quartiere che vai usanza che ritrovi, i tipi di bar che puoi incontrare sono fondamentalmente quattro, vediamone due:
Il Bar dei Cinesi: Senza nome, situato in zone semi periferiche, è il simbolo di quartieri come Tor Pignattara, Quadraro, Tuscolano. Tendenzialmente non è davvero gestito da cinesi, o comunque non sempre. I gestori possono essere bengalesi, pakistani, moldavi, rumeni: per il circondario cresciuto a pane e critica neocoloniale il solo fatto di non avere un italiano al bancone lo renderà comunque automaticamente “er bar dei cinesi”. Il caffè è sempre bruciato, il Book of Ra ha i tasti consumati, le sambuche cominciano ad essere servite intorno alle 9:20 del mattino e il parco avventori è costituito da un melting pot di 40-50enni che farebbero la felicità di Daniel Pennac. Ai tavoli del Bar dei Cinesi, in un qualunque martedì mattina, è infatti possibile ascoltare insulti a cristo e catcallate potenti in almeno 12 lingue differenti.
Il Bar Italiano Anonimo: Si chiama Gecko Bar, Bar 2000, Bar Incontro, Bar Sport o una combinazione dei precedenti. A volte spiazza il pubblico con un misterioso nome tipo “l’Elefante”. Si trova ovunque, dalle piazze di Roma centro fino ai vicoli di Ostia. Interni bianchi, neon, televisore acceso fisso sulle tv delle radio che mandano in diretta i deejay che parlano (format misterioso). Serve il peggior caffè che l’essere umano abbia mai concepito, ma lo propone in versioni dal prezzo ingiustificatamente maggiorato tipo “nocciolino”, “crema pistacchiella”, “coattello”. Chi ci lavora non è MAI chi lo gestisce, e i banconisti hanno un turnover rate più asfissiante di quello che si trova in consulenza. Non ha clientela fissa ma è amatissimo dalle forze dell’ordine, che incoraggiano la popolazione locale all’uso di mezzi di circolazione alternativi all’auto bloccando con la volante l'intera carreggiata
Il Bar col Cognome Plurale: Appannaggio e quasi essenza spirituale, a volte proprio zeitgeist, dei primi municipi (in ognuno ce n’è uno, secondo gli avventori sempre il migliore bar di Roma), questo tipo di esercizio gioca sull’inconscio, sul non detto ma sull’evocato. Per esempio: da quanto è aperto? Nessuno lo sa, tutti lo ricordano presente nelle loro vite da sempre. Ti ci portava nonno a prendere il cucciolone, ma a sua volta tua madre ti racconta che ce la portava sua nonna a prendere il mottarello e così via in una catena infinita di avi sempre più remoti e gelati sempre più sconosciuti (il tuo trisavolo ci portava la tua bisnonna a prendere una Gran Coppa Mazzini al Maraschino). Al bancone hanno livrea e cappellino e sono sempre nervosissimi, come fossero nel pieno di un servizio da Marchesi. Dietro alla cassa spicca una pagina di quotidiano incorniciata su cui un cronista locale, in cambio dello stralcio di un conto lunghissimo mai saldato, ha decantato a tre colonne storicità e clientela vip del locale (è il preferito di Lino Banfi). La qualità è effettivamente alta, ma non tanto da giustificare prezzi, file per lo scontrino (in cui ci si trova a sgomitare con le creature più grottescamente stronze che l’urbe abbia mai partorito) e l’insistente namedropping che ne fanno i romani nei loro discorsi per ostentare uno stile di vita da generone orbitante in area vip. Non battono uno scontrino dall’83. Il Bar dei Vecchi: Ha direttamente il nome proprio, tutt’uno tra esercizio e proprietario, tra macchina e uomo: Bar Nello, Bar Franca, Bar da Pino, Al Bar da Vittorio e così via. Sempre più raro, lo trovi in luoghi assurdi, a volte incassato ai bordi di una consolare tra sprawl urbanistici fuori controllo come la casa del vecchio di Up!, ultimo baluardo di un’epoca in cui ci si rifugiava al bar per leggere i giornali sul pozzetto dei gelati, per telefonare coi gettoni o per sfuggire alle responsabilità domestico-familiari. Al bancone c’è un anziano segnatissimo, coi baffi se maschio o coi capelli corti e la parannanza se femmina, con le rughe che me c’è voluta na vita pe fammele veni’ come la Magnani e allenatissimo a dirti, col tono più cinico del mondo, che l’articolo che hai richiesto è terminato. “Un magnum grazie” “n c’avemo”, “una coca grazie” “n c’avemo”, “un tramezzino” “n c’avemo”. In pratica al Bar dei Vecchi puoi prendere tre cose: caffè&cornetto, freddolone alla menta e rigorosamente UN articolo assurdo e casuale che varia da bar a bar. Solero shots rimasto in frigo dal 2003, wackos al formaggio e cipolla, Kinder merendero, coppa malù. Sul cartello di lamiera dei gelati algida c’è una croce lapidaria su ogni prezzo, e ad ogni ora di ogni giorno, non importa quando entrerai, mattina pomeriggio o sera troverai sempre la nipotina del titolare a un tavolo in fondo che fa i compiti sotto a uno specchio promozionale coca-cola del 67. - via fb
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Magione: Olivagando al via con i premi ai migliori oli 2023, show cooking e degustazioni Quest’anno è stato l’olio extra vergine di oliva dell’azienda agricola Montemelino di Tuoro sul Trasimeno, le cui olive sono molite dal frantoio Morin...
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giancarlonicoli · 11 months
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6 nov 2023 17:24
TIM, STORIA DI UN GRANDE ORRORE/1 – LA VENDITA DELLA RETE AL FONDO USA KKR È L’ULTIMO ATTO DI UN DISASTRO LUNGO 25 ANNI: NEL 1997, QUANDO VIENE PRIVATIZZATA, TELECOM È LA QUARTA AZIENDA IN ITALIA, HA UNA “FORTE CAPACITÀ INNOVATIVA” E OCCUPA 120MILA PERSONE. DA ALLORA, HA BRUCIATO QUALCOSA COME 70-80 MILIARDI, ED È COSTRETTA A VENDERE L’INFRASTRUTTURA STRATEGICA, CON L’AIUTO DEI SOLDI DEI CONTRIBUENTI PER RISANARE IL DEBITO – I “CAPITANI CORAGGIOSI” DI D’ALEMA, LA STRANA COPPIA ELLIOTT-CDP E LE MOSSE DI VIVENDI -
Estratto dell’articolo di Marco Palombi per “il Fatto quotidiano”
Ella fu. Tim continuerà ancora formalmente a vivere per un po’, almeno fino alla vendita pezzo dopo pezzo di quel che rimane, ma la lunga storia della società iniziata nel 1933 con la fondazione della Stet è finita ieri ed è, per i suoi ultimi trent’anni, una storia ingloriosa in cui convergono l’insipienza dolosa o colposa della classe dirigente politica e il cialtronismo straccione della cosiddetta “grande impresa” italiana, ché “il cretinismo degli industriali” di cui Antonio Gramsci non può coprire tutta la vicenda.
[…] L’ultimo atto […] l’ha scritto ieri pomeriggio il cda […]: vendere entro l’estate […] la rete telefonica al fondo Kkr, che grazie a Meloni&giorgetti si ritroverà come soci di minoranza il Tesoro e Cdp. […]
Questo disastro inizia però trent’anni fa, quando “la madre di tutte le privatizzazioni” fu necessaria all’italia per rispettare i parametri di Maastricht: nessun piano industriale, solo il bisogno di fare cassa. È la prima delle molte scelte finanziarie che hanno portato all’inferno un colosso industriale.
Tim nel suo perimetro attuale nasce tra il 1994 e il 1997 dalla fusione della Sip con la Stet dell’iri. L’azienda, citiamo dal recente Illusioni perdute di Marco Onado e Pietro Modiano (Il Mulino), nel 1998 è “la quarta in Italia per fatturato e la prima per valore aggiunto, aveva una elevata redditività (l’utile superava l’11% del fatturato) e praticamente non aveva debiti”. A non dire che occupava 120mila persone contro le 40mila di oggi e aveva “una forte capacità innovativa” garantita da consociate all’avanguardia come la Cselt.
A Palazzo Chigi c’è Romano Prodi e la privatizzazione è gestita a livello politico dal ministro dell’economia Carlo Azeglio Ciampi e a livello tecnico dal dg del Tesoro Mario Draghi: si decide di venderla tutta, ma spingendo a investire un gruppo di azionisti italiani, il “nocciolo duro”.
Lo Stato incasserà 26mila miliardi di lire e Telecom finirà a un “nocciolino” che ha meno del 7% del capitale ed è guidato dalla Fiat con un misero 0,6%. Si butta un anno e più tra incertezze e litigi, con gli Agnelli che impongono un vertice digiuno di competenze nel settore, finché (febbraio 1999) non arriva l’opa di Roberto Colaninno, frontman di una cordata basata in Lussemburgo a cui partecipano Enrico Gnutti ,i Lonati e altri.
Sono “i capitani coraggiosi” benedetti dal premier dell’epoca, Massimo D’alema, che prendono il controllo di Telecom via scatole cinesi e leva finanziaria. Tradotto: il controllo della società passa in una finanziaria estera, la Bell, che controlla Olivetti che controlla Telecom; la gran parte dell’opa viene finanziata a debito, […] che […] viene poi scaricato sulla stessa Telecom, che in sostanza paga per farsi comprare.
Passano due anni, a Palazzo Chigi torna Silvio Berlusconi ed è il turno di Marco Tronchetti Provera di Pirelli: stavolta non c’è nessuna Opa perché per prendersi Telecom basta prendersi Bell.
[…]  La società s’avvia ormai moribonda alla rivoluzione delle tlc: non la salveranno “l’operazione di sistema” tra le banche e la spagnola Telefonica (2007), che pure consentì di andarsene felice pure al buon Tronchetti, né l’ingresso “ostile” dei francesi di Vivendi (2018) o la reazione della strana coppia tra il fondo britannico Elliott e Cdp, oggi secondo azionista di Tim col 9% circa.
È stato calcolato che questo rutilante avvicendarsi di azionisti sia costato a Tim tra debito e dividendi qualcosa come 70-80 miliardi.
E così si arriva all’ennesima operazione finanziaria: la vendita della rete al prezzo di 20-22 miliardi, che Kkr pagherà per metà a debito. […] un’infrastruttura strategica e monopolista del mercato, viene venduta a Kkr con la contrarietà del primo azionista e il non voto del secondo (è in conflitto di interessi: controlla Open Fiber), ma con la benedizione di Meloni e i soldi dei contribuenti (ma ce ne vorranno di più: il cda di Tim chiede un prezzo migliore per i cavi sottomarini di Sparkle, destinati appunto al Mef ). Non si sa se la rete avrà gli investimenti di cui necessita: quello che si sa è che il fondo Usa avrà il solito rendimento del 10% sul capitale investito.
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Nocciolino for summer black coffee for the rest of the year
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scontomio · 1 year
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justmythings-stuff · 1 year
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Quel nocciolino di Lollo che vive da solo a 19 anni, o chissà se ha compagni o coinquilini
Chissà
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themadworldofwatson · 7 years
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Nocciolino~
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sportvillagemonza · 4 years
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lallamojito-blog · 6 years
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amaragiulia · 4 years
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Sono inquieta e sarà perché sono a pochi metri da te, in macchina al freddo ad aspettare. Ma tu nn lo puoi sapere. Il piede mi batte sul tappetino e nn ricordo a che ora sono arrivata qui. E nn so che fare.
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giancarlonicoli · 1 year
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20 ago 2023 18:48
“IL FATTO QUOTIDIANO” ESCE DAL CORO DI LODI A ROBERTO COLANINNO, MORTO IERI A 80 ANNI: “L’APICE LO TOCCA A INIZIO 1999. CON LA BENEDIZIONE DI PALAZZO CHIGI DOVE ALL’EPOCA SIEDE D’ALEMA, CREA UNA CORDATA E CON UN SISTEMA DI SCATOLE CINESI PORTA AL SUCCESSO UN’OPA TOTALITARIA SU TELECOM, PRIVATIZZATA DA POCO, PAGANDO LA CIFRA MONSTRE DI 117 MILA MILIARDI DI LIRE. POI RIVERSA I DEBITI SUL GIGANTE DELLE TLC EUROPEE, CHE NON SI È PIÙ RIPRESO” – D’ALEMA: “VINSE IL MERCATO, NON I SALOTTI” (FACCE RIDE) – DE BENEDETTI: “LA CONSIDERAVO UN’IMPRESA ARDUA E SBAGLIATA. LUI LA FECE LO STESSO” -
1. COLANINNO, ADDIO AL RAIDER “PADANO” DEL DOPPIO DISASTRO TELECOM E ALITALIA
Estratto dell’articolo di Nicola Borzi per “il Fatto quotidiano”
Morto ieri a 80 anni, Roberto Colaninno da tempo era lontano dai riflettori della finanza. Ma da metà anni 90 per un quindicennio il manager e imprenditore di Mantova aveva tenuto banco nelle cronache per le sue numerose scorribande, spesso benedette dalla politica nazionale ma non sempre dal successo.
De mortuis nisi bonum è il mantra di questo Paese: dunque giù lodi per un capitano d’azienda che ha fatto parlare molto di sé, ma le due cui due maggiori avventure, Telecom e Alitalia, non sono tra le case history da insegnare nelle business school.
[…]  Da Mantova “l’ingegnere” lo porta a Ivrea, dove nel 1995 prende le redini della Olivetti in crisi nera. Colaninno cede l’informatica e trasforma l’azienda in holding di telecomunicazioni. Nel 1998 vende per oltre 7 miliardi Omnitel, all’epoca secondo gestore nazionale dei cellulari.
[…]  L’apice lo tocca a inizio 1999 quando, con la benedizione di Palazzo Chigi dove all’epoca siede Massimo D’Alema (“l’unica merchant bank dove non si parla inglese”), Olivetti crea una cordata di imprenditori del Nord tra i quali il bresciano Emilio Gnutti […] e con un sistema di scatole cinesi societarie porta al successo un’offerta pubblica di acquisto totalitaria su Telecom Italia, privatizzata da poco e gestita da un “nocciolino duro” di azioni, pagando la cifra monstre di 117 mila miliardi di lire, suppergiù 59 miliardi di euro.
Poi riversa i debiti per “la madre di tutte le Opa” sul gigante delle Tlc europee, che nonostante due decenni di tagli e cessioni da quel salasso non si è più ripreso e ormai è un attore di secondo piano nel settore.
Lui ne esce nel 2001, cedendo a Trochetti Provera in cambio di un gruzzolo adeguato e della Immsi. […] a dicembre 2008 nuova avventura: il governo Berlusconi benedice i “capitani coraggiosi” guidati da Colaninno che comprano il 75% di Alitalia-Cai. A ottobre 2013 Cai arriva al capolinea dopo aver perso un miliardo e 252 milioni in 4 anni e 7 mesi.  A confronto, i 5 miliardi di perdite in 20 anni dell’Alitalia pubblica erano quasi meglio. […]
2. MASSIMO D’ALEMA “NON ERA UNO SPECULATORE TELECOM UN’OPERAZIONE STORICA VINSE IL MERCATO, NON I SALOTTI” LA PRIVATIZZAZIONE “
Estratto dell’articolo di Fabio Martini per “La Stampa”
[…] D'Alema ha un ricordo forte: «Devo dire la verità: credo che sia una perdita significativa per l'economia italiana: oramai non abbiamo più, tra i grandi, molti imprenditori-produttori, che cioè abbiamo un interesse preminente per la produzione di beni. In occasione dell'Opa su Telecom, Colaninno fu protagonista di un'operazione senza precedenti: in Italia mai una grande impresa era passata di mano sul mercato, ma sempre attraverso i salotti».
Sono passati 24 anni dalla celebre Opa Telecom ad opera dei "capitani coraggiosi", da allora se ne è molto discettato e tra i principali protagonisti ci fu una strana coppia: il primo presidente comunista della storia d'Italia e quel figlio di un sottufficiale dell'esercito e di una sarta, che aveva studiato ragioneria e aveva dovuto smettere l'Università a Parma per iniziare a lavorare.
Roberto Colaninno aveva mostrato subito di saperci fare alla guida di piccole e grandi imprese, fino a quando alla fine degli anni Novanta, consigliato da banchieri d'affari interessati a guadagnare commissioni miliardarie, si era deciso al grande passo: tentare la conquista di Telecom.
A Palazzo Chigi piaceva l'idea di campioni nazionali capaci di conquistarsi un posto al sole e questa simpatia ha incoraggiato dietrologie di ogni tipo sul rapporto personale tra Colaninno e D'Alema.
L'ex presidente del Consiglio affronta l'argomento con un sorriso divertito, privo del proverbiale sarcasmo: «Quando lui fece la famosa Opa, io non lo conoscevo personalmente, cosa alla quale non credeva nessuno e tutti si facevano matte risate, ma in realtà diversi anni dopo Colaninno mi disse: "Caro D'Alema hanno messo in giro la voce che avrei pagato tangenti per Telecom e noi sappiamo come stanno le cose e perciò ti chiedo: ti posso offrire una cena?". Un aneddoto che D'Alema corona così: «Ricordo che andammo a cena con le nostre famiglie».
[…] Massimo D'Alema chiosa così: «Parliamoci chiaro: in Italia mai una grande impresa era stata acquisita sul mercato, ma sempre attraverso i salotti. Era un'operazione di mercato in un contesto di capitalismo asfittico e controllato da pochi. Ricordo che dissi ad Umberto Agnelli: il governo non c'entra e se lo ritenete possibile, perché non fate una controfferta?».
Operazione con forti margini di rischio, legata ad una scommessa: colmare il forte debito del passato con gli utili del futuro. E infatti non mancarono le riserve, a cominciare da quella di Draghi, allora direttore generale del Tesoro. Ricorda D'Alema: «La linea del governo ovviamente la decidemmo assieme. Avevo come ministro dell'Economia Carlo Azeglio Ciampi, che non era precisamente uno che facesse quel che dicevo io. Con lui discutevamo con grande rispetto reciproco.
L'idea in definitiva era questa: se davanti ad un'operazione di mercato, il governo fosse intervenuto per impedirla, sarebbe stato un messaggio molto antipatico, che avrebbe potuto allontanare investitori stranieri».
Lo Stato avrebbe potuto far valere i propri "diritti" su una azienda strategica come Telecom? D'Alema obietta: «Avremmo potuto far leva su una piccola quota pubblica, ma come avremmo potuto opporre un interesse strategico del Paese, quando un gruppo di italiani voleva comparsi un'azienda italiana? Capisco, se fossero stati ostrogoti…».
[…] Per D'Alema, «Colaninno avrebbe dato un'impronta diversa alla storia delle tlc nel nostro Paese». E dunque quale è stata la sua cifra imprenditoriale ed umana? «Anche alla Piaggio ha dimostrato di essere un industriale e di non essere uno speculatore. Era un uomo estremamente perbene».
3. CARLO DE BENEDETTI SU ROBERTO COLANINNO: «ERAVAMO CONCORRENTI, POI DIVENTÒ UN MIO GRANDE AMICO»
Estratto dell'articolo di Nicola Saldutti per il “Corriere della Sera”
«È l’unica persona che ha vissuto un pezzo di strada importantissima con me. Aveva con me una sorta di rapporto di figliolanza, anche se avevamo soltanto nove anni di differenza. L’Italia perde un grande imprenditore, aveva una capacità di lavoro, un coraggio e un ottimismo di cui c’è un gran bisogno per questo Paese».
Carlo De Benedetti ripercorre la lunga storia insieme a Roberto Colaninno. Due uomini profondamente diversi, le cui strade si sono incrociate tanti anni fa: «Colaninno lavorava in un’azienda a Mantova, la Fiaam Filter, di filtri olio e aria per auto. All’epoca ero a capo della Gilardini. Eravamo concorrenti…».
Concorrenti?
«Sì, anche noi producevamo filtri. Ci siamo conosciuti allora e ho visto in lui un grande potenziale […]. Così insieme abbiamo fondato la Sogefi nel 1981, lui amministratore delegato, io presidente. Il nostro lungo rapporto è nato così».
Poi la svolta dell’Olivetti?
«Quando in Olivetti mi ritrovai senza amministratore delegato, con l’uscita di Caio, conoscendo le sue capacità, la sua dedizione al lavoro e le sue doti gli proposi di lasciare Sogefi. E diventò lui il capo azienda dell’Olivetti […] Prendemmo insieme la decisione di vendere la perla Omnitel (la società di telefonia mobile, ndr) ai tedeschi di Mannesmann che poi la rivendettero a Vodafone. In quegli anni fece un lavoro straordinario, cercò di ridurre i costi anche perché l’Olivetti era in una strana situazione, non c’erano più i prodotti per cui era nata, le macchine da scrivere, ed era diventata la società più liquida d’Italia, una specie di cassaforte che però continuava a perdere sul suo business tradizionale…».
Allora partì per l’avventura Telecom. Era stata la madre di tutte le privatizzazioni e diventò la madre di tutte le scalate...
«Entrò in contatto con il gruppo dei soci bresciani, in particolare Gnutti, e inventarono di comprare Telecom Italia. Un’operazione alla quale, e glielo dissi, ero assolutamente contrario perché non ritenevo avessimo la squadra per gestirla. La consideravo un’impresa ardua e sbagliata. Lui la fece lo stesso perché era una persona totalmente indipendente e determinata. Si organizzò l’Offerta pubblica di acquisto, poi mio figlio Marco andò con lui e Colaninno lo scelse come amministratore delegato di Tim».
[…] Vi sentivate ancora?
«Per lungo tempo ci siamo sentiti la domenica mattina alle dieci. Lo facevamo sempre. Lui mi parlava dei suoi progetti, dall’apertura del nuovo stabilimento in Vietnam a nuove idee di imprese possibili. Questo era Colaninno e queste conversazioni sono uno dei ricordi più belli che custodirò di noi».
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i-am-a-polpetta · 2 years
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potrei come non potrei aver versato il latte dentro lo stesso bicchiere dove ieri sera ci ho bevuto la coca cola e questo latte potrebbe come non potrebbe essere diventato di un colore accattivante tipo nocciolino e io potrei come non potrei non essermene accorta, averne bevuto un po', aver sentito che fosse lievemente frizzantino e adesso credo che pregherò affinché non mi venga lo squaraus perché RAGA È TUTTO VERO
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scontomio · 2 years
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💣 Note D'Espresso Nocciolino, Capsule Compatibili Soltanto con Sistema NESCAFE DOLCE GUSTO 🤑 a soli 10,39€ invece di 16,40€ ➡️ https://www.scontomio.com/coupon/note-despresso-nocciolino-capsule-compatibili-soltanto-con-sistema-nescafe-dolce-gusto/?feed_id=18051&_unique_id=633a952d82fa3&utm_source=Tumblr&utm_medium=social&utm_campaign=Poster&utm_term=Note%20D%27Espresso%20Nocciolino%2C%20Capsule%20Compatibili%20Soltanto%20con%20Sistema%20NESCAFE%20DOLCE%20GUSTO
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cutepetclub · 4 years
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From @ilenia_rescue: “Questa mattina ti ho pesato. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ 10 grammi. Un miracolo! ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ E te lo ripeto ogni giorno: ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ “ sei il mio piccolo, grande, miracolo!”.⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ Ora se con questa dose di dolcezza e pucciosità riuscissi a trovarmi pure un lavoro, faresti tu un miracolo a me!! 🥺⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ Anche perché Nocciolino del mio cuor, parliamoci chiaro, le tue pappe e quelle dei tuoi compagni di scorribande non si pagano da sole eh!! 🤭” #cutepetclub [source: https://instagr.am/p/CKUFIaCDxuh/ ]
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calderone-news · 5 years
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Spinarolo (nocciolino) in vasocottura al microonde
Spinarolo (nocciolino) in vasocottura al microonde
O per gusto o per necessità, il fast food va di moda e il microonde è lo strumento principale per realizzare pietanze facili e veloci da preparare. E il corretto uso di questo forno dà come risultato dei piatti veramente gustosi e di alto livello.
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Lo spinarolo, chiamato anche nocciolino, è un pesce appartenente alla famiglia degli squali dal sapore molto delicato e dalla polpa morbida. Si…
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