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#ora legale 2019
mariacallous · 9 months
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(JTA) — Advocates for Jewish women who say their estranged husbands are abusing them by refusing to assent to a religious divorce are cheering after a New Jersey appellate court overturned a ruling against a woman in that state who used social media to advocate for her divorce.
A lower court ruled in 2021 that the woman’s social media posts constituted harassment and incitement. The American Civil Liberties Union of New Jersey got involved in the case then, joining several Orthodox women’s rights groups who had already been working on her behalf.
The woman, who was identified only by her initials, LBB, in Wednesday’s 39-page court ruling, has been separated from her husband since 2019. She says that he has refused to give her a get, or ritual divorce document.
According to Jewish law, if a husband does not give his wife a get, she becomes an “agunah,” Hebrew for “chained woman,” who is unable to divorce and therefore to remarry — even if the couple has already completed a civil divorce. Men who refuse to deliver a get, often to gain leverage in a civil divorce proceeding, face no such restrictions under Jewish law.
A number of organizations in the United States, Israel and beyond have mobilized to press Jewish legal authorities to find a solution to the issue, which Orthodox women’s rights advocates consider a form of domestic abuse. Three Jewish groups filed legal briefs in support of the woman, including the Organization for the Resolution of Agunot, Unchained at Last and the Jewish Orthodox Feminist Alliance.
“We applaud the court’s upholding of the right of agunot, those denied a Jewish divorce, to advocate for themselves within their communities without fear of repercussion.” Keshet Starr, CEO of the ORA, said in a statement. “Get refusal is unquestionably a form of domestic abuse; today, the court has stood up for survivors and against abuse in all its forms.”
In recent years, agunot and their advocates have turned to social media to recruit support for their cause and pressure their husbands to deliver a get. That appears to be what happened in this case. According to the court ruling, in 2021 the woman in question created a video in which she asked viewers to “press” her husband to give her a get. She says she sent it to only two people, but it appears to have spread more widely, and to have led to other social media activism that identified him by name, along with a photo.
The man testified that he subsequently received a series of anonymous phone calls, some containing threats. According to the ruling, he “explained his belief that the Jewish community reacts violently to the withholding of a get and that identifying him as a ‘get refuser’ subjected him to kidnappings and brutal beatings.” 
He also said his father was a get refuser and was subject to beating as a result. And he testified about a history of verbal abuse throughout their marriage.
The man also claimed that he did not withhold the get and that he had in fact given it to someone identified in the ruling as the “Chief Rabbi of Elizabeth,” who could have given it to the man’s wife. It is unclear which rabbi the ruling referred to: There is no broadly recognized “chief rabbi of Elizabeth,” a New Jersey city, and unlike other countries such as Israel or the United Kingdom, the United States or its cities do not have a chief rabbi. 
In 2021, the man received a temporary, and later a final, restraining order that barred his estranged wife from contacting him and ordered her to remove social media posts calling for the get. The court that issued the restraining order ruled that the social media posts constituted harassment, an invasion of privacy and incitement, and were thus not protected under the First Amendment’s free speech provisions. 
The appellate court’s three-judge panel rejected that reasoning, saying that her social media activism did count as protected speech. 
“In sum, the judge’s finding that the Jewish community was prone to violence against get refusers — and the implicit holding that defendant was aware of and intentionally availed herself of such violent tendencies — is not supported by the record,” the decision says. “The video was intended to get a get. The video did not threaten or menace plaintiff, and nothing in the record suggests that plaintiff’s safety or security was put at risk by the video.”
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realnews20 · 9 days
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Giustizia & Impunità “Sono passati due anni e mezzo dalla sentenza di condanna a 5 anni e 6 mesi e siamo ancora in attesa che il Tribunale di sorveglianza si pronunci per la pena che deve scontare. Non sappiamo ancora nulla”. A dirlo è Edward von Freymann, il papà di Gaia (a sinistra nella foto, ndr), la 16enne travolta e uccisa da un’auto alla fine di dicembre 2019 mentre attraversava corso Francia, a Roma, insieme alla sua amica e coetanea Camilla Romagnoli. Von Freymann, in precedenza a sua volta vittima di un incidente stradale a seguito del quale ha perso l’uso delle gambe, è intervenuto questa mattina a Napoli all’iniziativa “Sii saggio, guida sicuro” . L’uomo ha creato una fondazione, la Fondazione Gaia Von Freymann, che fornisce supporto legale e psicologico gratuito ai familiari e alle vittime di incidenti stradali e ai diversamente abili, e partecipa a numerosi incontri nelle scuole con i ragazzi. “Spesso gli studenti mi fanno una domanda – racconta – mi chiedono: cosa è successo al ragazzo che era alla guida dell’auto che ha investito mia figlia? Purtroppo, dopo due anni e mezzo, siamo ancora in attesa che il Tribunale di sorveglianza si pronunci”. Il ragazzo in questione è Pietro Genovese, 25 anni, figlio del regista Paolo Genovese, condannato a 5 anni e 4 mesi con l’accusa di duplice omicidio stradale. “Fino ad oggi non ha avuto alcun percorso riabilitativo – racconta il papà di Gaia – ha fatto solo gli arresti domiciliari per un anno e due mesi. Ora si trova a Londra e per la giustizia è un uomo libero a tutti gli effetti, in attesa che si pronunci il Tribunale di sorveglianza”. Secondo Edward Von Freymann “bisognerebbe rivedere le pene e soprattutto fare in modo che siano esecutive, perché la condanna c’è ma a tutt’oggi siamo ancora in attesa. Quanto tempo deve ancora passare?”. Il dolore per la perdita della figlia, per Von Freymann, è diventato una motivazione per costruire la fondazione: “Da questa tragedia è nato qualcosa di bello. Ho devoluto l’indennizzo ricevuto per mia figlia alla fondazione per aiutare tutte le famiglie delle vittime della strada che non hanno possibilità economica di affrontare un processo. La fondazione mette a disposizione gratuitamente avvocati e i periti per aiutare i familiari nei processi. Poi incontriamo i ragazzi nelle scuole, parliamo di sicurezza stradale ma anche di inclusione e disabilità”.
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notizieoggi2023 · 2 months
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Ora legale 2024, torna nella notte tra sabato 30 e domenica 31 marzo: come spostare le lancette, petizione online per averla tutto l'anno Ora legale 2024, quando spostare le lancette? Conto alla rovescia per l'ora legale 2024: torna nella notte tra sabato 30 e domenica 31 marzo, il giorno di Pasqua, dalle 2 alle 3 le lancette che dovranno essere spostate un'ora in avanti. Quindi si perderà un'ora di sonno. Un passaggio quello da ora solare a ora legale e viceversa non indolore, e che ha effetti negativi su salute, energia, bollette, ambiente e tasche dei cittadini, al punto che già 336mila italiani hanno firmato la petizione online per rendere permanente l'ora legale tutto l'anno. Ora legale, la petizione per averla tutto l'anno Lo afferma la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) che assieme a Consumerismo No Profit ha avviato una raccolta firme per chiedere al Governo l'ora legale permanente.  "Sul fronte energetico - ha calcolato Sima - l'adozione dell'ora legale permanente tutto l'anno produrrebbe nel nostro Paese minori consumi di energia per circa 720 milioni di kwh equivalenti, e si considerano solo le attuali tariffe della luce sul mercato tutelato, ad un risparmio in bolletta di circa 180 milioni di euro annui. A ciò si aggiungerebbe un massiccio taglio alle emissioni climalteranti pari a 200.000 tonnellate di CO2 in meno, equivalenti a quella assorbita piantando dai 2 ai 6 milioni di nuovi alberi". "Chiediamo al governo Meloni di impegnarsi per arrivare in Italia all'abbandono definitivo dell'ora solare adottando l'orario legale tutto l'anno. - afferma il presidente di Sima Alessandro Miani - Una possibilità prevista dall'Unione Europea che già nel 2019 ha approvato una Direttiva che pone fine al doppio cambio orario durante l'anno lasciando ampia discrezionalità agli Stati Membri, auspicando un coordinamento tra le varie nazioni per evitare ripercussioni sugli scambi commerciali e i movimenti transfrontalieri".
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lamilanomagazine · 4 months
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Chiara Ferragni indagata per truffa anche sulle uova di Pasqua e la bambola Trudi
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Chiara Ferragni indagata per truffa anche sulle uova di Pasqua e la bambola Trudi. Le uova di Pasqua con la Dolci Preziosi e la bambola Trudi. Sono queste le ultime due contestazioni nei confronti di Chiara Ferragni, che si aggiungono a quella per la vicenda del pandoro Balocco. L’influencer è indagata a Milano per truffa anche in merito a questi altri due casi. Le nuove contestazioni emergono dall'atto con cui il procuratore aggiunto milanese Eugenio Fusco ha attivato la Procura generale di Cassazione per risolvere la questione di competenza territoriale dell'inchiesta tra il capoluogo lombardo e Cuneo. Sono quindi stati portati all'attenzione anche altri due casi, ossia quello delle uova di cioccolato e quello della bambola prodotta in collaborazione con Trudi, l'azienda friulana acquisita nel 2019 dalla Giochi Preziosi, con sede legale a Milano, e per i quali inizialmente l'ipotesi di reato era frode in commercio, poi diventata truffa aggravata. Ora la parola passa al sostituto procuratore generale della Suprema Corte, posto che l'unica Procura ad aver sollevato la questione di competenza chiedendo gli atti relativi al pandoro è quella di Cuneo, guidata da Onelio Dodero. «Siamo totalmente certi della assoluta innocenza di Chiara, emergerà dalle indagini», hanno commentato gli avvocati di Chiara Ferragni.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 6 months
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30 nov 2023 09:03
“QUESTI VESCOVI BERGOGLIANI SONO DEI COGLIONI” - L’EX LEADER NO GLOBAL LUCA CASARINI, INDAGATO CON ALTRE 5 PERSONE PER FAVOREGGIAMENTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, USAVA UNA LETTERA DEL PAPA PER FARSI FINANZIARE MA POI DICEVA: “HO AVUTO LA FACCIA DA CULO PER DIRE A BERGOGLIO DI METTERE I SOLDI. ORA PERO’ ME NE DEVE FARE UN’ALTRA, MA STAVOLTA MI DEVE CHIAMARE “FIGLIO PREDILETTO” - A FAVORIRE IL RAPPORTO TRA L’EX CAPO DELLE TUTE BIANCHE E IL PONTEFICE, I VESCOVI ZUPPI E LOREFICE - L'INCHIESTA DI "PANORAMA"
Giacomo Amadori e Fabio Amendolara per La Verità - Estratti
Le carte dell’inchiesta di Ragusa su Luca Casarini e altre cinque persone, compreso il suo fraterno amico e compagno di lotta Giuseppe Caccia (tutti indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre la violazione delle norme del codice della navigazione), raccontano come in un reality show tutte le manovre di avvicinamento dell’ex capo delle Tute bianche ai vertici della Chiesa.
Un film che si dipana tra il 2019 e il 2021, sino al sequestro dei cellulari. In un dossier interno dell’associazione di promozione sociale Mediterranea, di cui Casarini e Caccia sono animatori, viene spiegato come sia iniziato tutto. «La relazione tra Mediterranea e la Chiesa cattolica è una cosa che ha lasciato stupiti molti.
(...) Ma com’è nato tutto ciò? Il merito (o la colpa) di aver avviato questo rapporto è degli arcivescovi delle due città in cui si trovano la sede legale e la sede operativa di Mediterranea, Bologna e Palermo: Matteo Zuppi e Corrado Lorefice.
(...)
Il punto di svolta nel rapporto tra Mediterranea e la Chiesa è stato poi l’incontro tra Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, e l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, avvenuto l’8 aprile 2019. Quell’incontro ha rappresentato una svolta ed è stato epifanico».
Soprattutto perché l’arcivescovo avrebbe dato un nome ai sentimenti che spingevano l’ex attaccabrighe dei centri sociali a salvare migranti. «Lorefice ha fatto capire a Luca e a tutta Mediterranea che quello che stavamo vivendo era il Vangelo» e «da quel momento Luca e tutti i ragazzi e le ragazze di Mediterranea hanno iniziato ad avere ancora più interesse verso il Vangelo e la Chiesa e hanno chiesto di poter avere un cappellano dentro Mediterranea, cioè un prete che li accompagnasse spiritualmente nel cammino, figura che poi è stata individuata in don Mattia Ferrari a motivo della sua storica amicizia con i ragazzi e le ragazze dei centri sociali bolognesi Tpo e Làbas, che sono tra i fondatori di Mediterranea».
(...)
La testa di ariete per l’ingresso dentro alle diocesi sono proprio don Mattia e anche don Luigi Ciotti, di Libera. Il primo è in tutte le chat, fa parte del direttivo di Mediterranea, naviga sulla Mare Jonio. E in una conversazione annuncia tutto felice il ritorno in auge della Teologia della liberazione: «Leggete l’omelia del Papa questa mattina. Ancora in versione comunista».
Anche se ogni tanto, pure don Mattia, qualche dubbio sui suoi «compagni di viaggio» lo nutre: «Mi disse una volta una compagna di Labas: “Ci abbiamo messo anni e anni e finalmente abbiamo distrutto la famiglia”. Giusto per favorire il dialogo con la Chiesa. La famiglia resta un tema su cui tra Chiesa e centri sociali resta una certa distanza». Bontà sua.
È sempre il cappellano ad ammettere che la loro marcia per occupare il Vaticano, al contrario di quella di Mao, non è stata neppure troppo lunga: «È partito tutto con l’incontro tra Casarini e Lorefice. E sette mesi dopo siamo dal Papa».
È il 5 dicembre 2019 e quell’incontro non è stato troppo pubblicizzato per preciso volere della Santa Sede.
Dopo pochi giorni, però, la banda festeggia un’altra omelia del Pontefice: «Il succo del discorso di papa Francesco di oggi: Casarini è diventato il ghost writer di papa Francesco», scrive don Mattia. Anche il cardinal Michael Czerny avrebbe notato la stessa cosa. E aggiunge: «Quel santegidiano di Zuppi imparerà che con noi si fa sul serio». Casarini ribatte: «Siamo gesuiti», Don Mattia non ci sta: «Io sono Mediterranea e basta». Casarini rilancia: «Ormai siamo arruolati». Don Mattia: «Tu più che altro nel discorso di oggi sei stato il ghost writer del Papa».
Casarini è realista: «Tu pensi che abbiamo arruolato noi loro, o il contrario Fratello mio?». Don Mattia: «Siamo noi che abbiamo arruolato loro». Poi fa un passo indietro. «È Gesù di Nazareth che ci ha arruolati tutti».
Passano un paio di mesi, e un altro indagato, Giuseppe Caccia sembra infastidito di essere trattato come un amante da tenere nascosto: «Posso dire che i nostri amici vescovi bergogliani sono un po’ dei coglioni a decidere di non gestirsi pubblicamente alla grande il rapporto con noi?». Anche in questo frangente Casarini invita alla pazienza: «Tempo al tempo. Vedrai che Czerny non si lascia sfuggire la cosa e la giocherà dal basso».
Nel febbraio 2020 Casarini & C. partecipano a un convegno dei vescovi a Bari, che don Mattia lo definisce «una ciofeca».
Caccia chiede: «Quando abbiamo appuntamento privato con i “nostri” vescovi?».
Don Mattia avverte: «Zuppi mi ha garantito che a Bari ci farà salutare il Papa. Questa volta ci sono le macchine fotografiche e le telecamere». Non devono più nascondersi. Il cappellano è di ottimo umore: «Non dimenticherò mai Bassetti che ci confonde con Tirrenia e la cena in cui ci siamo imbucati tra vescovi. E i vescovi che vengono a riverire Casarini. E l’ausiliare di Messina che dice: “Grazie, mi avete edificato”.
E Lorefice che quando gliel’ho riferito, ha detto: “A me lo dici? A me Luca Casarini mi ha evangelizzato. Che poi è quello che dico sempre io: voi mi evangelizzate sempre». Casarini cita solo con le sigle il loro «squadrone»: «Z, P, C, K, M, L, H».
Ovvero i cardinali Zuppi, Czerny, Konrad Krajewski, Lorefice e Jean-Claude Hollerich e i monsignori Domenico Mogavero (sempre che M non stia per il cardinale Francesco Montenegro) e Michele Pennisi.
«L mi ha detto che è pronto ad andare a parlare con il Papa. Anche P l’ho visto determinato. H bisogna informarlo di tutto, anche C».
La diffidenza del Vaticano sta per essere definitivamente superata, anche se con un po’ di fatica: «Krajewski gli ha ribadito (a Zuppi, ndr): “Io a loro (cioè a noi) non gli do niente direttamente. Voi fatemi una richiesta scritta in cui è chiarissimo che io i soldi li do a voi e non a loro”. Domani Zuppi chiama Lorefice, Mogavero e Montenegro per procedere con la richiesta scritta».
Arriva il 19 marzo e don Mattia scrive a Caccia e Casarini: «E nel giorno della festa del papà, auguri ai miei due papà politici».
Caccia non è d’accordo: «Festa del papà? Oggi è San Giuseppe!».
L’11 aprile, il giornale dei vescovi, Avvenire, pubblica una lettera del Pontefice, di risposta a quella di Casarini, che si era lamentato per tutti gli ostacoli incontrati per «poter salvare dalla morte i nostri fratelli e sorelle migranti»: «Luca, caro fratello […] grazie per tutto quello che fate» aveva scritto Francesco. Anticipando il futuro aiuto: «Vorrei dirvi che sono a disposizione per dare una mano sempre.
Contate su di me».
La banda prende la palla al balzo e usa questo viatico per fare il giro delle sette chiese, nel vero senso della parola.
Dopo un po’ di tempo Casarini ha uno scontro con il leghista Igor Gelarda.
I due si scambiano querele e l’ex no global scrive: «Questo, dal video che ha fatto, mi pare davvero un coglione, tra l’altro. Su tema oratorio suggerisco di produrre lettera del Papa a me». Poi ci pensa: «Sarà ora che me ne faccia scrivere un’altra… quella ormai ce la siamo venduta in ogni dove». Un interlocutore ricorda l’incipit: «Luca, caro fratello» e Casarini rilancia: «Per la seconda lavoriamo su “Luca, figliolo prediletto” e “Benedico quei santi avvocati che ti proteggono”».
Quando don Mattia riesce a portare i suoi strani compagni di viaggio davanti al Papa confessa quale sia stato il vero motivo dell’incontro: «Ragazzi devo ancora riprendermi da questi giorni e soprattutto dallo sforzo fisico che ho fatto per avere la faccia da c...
per dire al Papa di mettere i soldi». In un altro messaggio si era vantato: «Come sai so essere un ottimo rompic...».
Per lui le diocesi sono un bancomat: «La Chiesa cattolica sta diventando il nostro Soros». Ovvero il filantropo George che da decenni finanzia Ong in tutto il mondo.
Ma i fondi stentano ad arrivare e don Mattia inizia a perdere la pazienza. A suo giudizio Zuppi è troppo «prudente» e «vuole la botte piena e la moglie ubriaca»: «Per quanto sia un grande a me con ‘ste lentezze ha un po’ rotto i coglioni». Casarini ha un’idea: «Scrivigli che l’hai visto (in tv, ndr) e che era bello e così gli chiedi». Per Caccia «importante è per noi non restare con coglioni schiacciati in mezzo alla porta mentre vescovi e Krajewski tirano da una parte all’altra».
Don Mattia ha le sue idee sui rallentamenti del cardinale elemosiniere: «Il punto di fondo è questo: appena Francesco saprà che sta bloccando tutto perché crede alle balle della Lamorgese (Luciana, ex ministro dell’Interno, ndr), farà procedere». Ma anche ha l’asso nella manica: «Poi al massimo abbiamo l’ultima carta, quella che ti ha detto Lorefice, facciamo parlare Lorefice con il Papa».
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oktested · 7 months
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Sequestrati più di 779 milioni di euro a AirBnb. Evase tasse per quasi 4 miliardi di euro
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La Guardia di Finanza di Milano ha eseguito il sequestro, su ordine del giudice, di oltre 779 milioni di euro appartenenti a Airbnb Ireland Unlimited Company, società proprietaria della piattaforma di affitti brevi omonima. Questa operazione è stata condotta nell’ambito di un’inchiesta della Procura che riguarda presunti reati fiscali. La vicenda legale di Airbnb ha avuto un nuovo sviluppo con il deposito delle motivazioni della sentenza 9188/2023 il 24 ottobre. Questa sentenza emanata dalla IV quarta sezione del Consiglio di Stato ha stabilito che Airbnb è obbligata a riscuotere e versare all’Erario la ritenuta sugli affitti brevi. La decisione è stata accolta con favore da Federalberghi, che sperava che questo mettesse fine a una lunga controversia durata più di sei anni, durante i quali Airbnb avrebbe cercato in ogni modo di eludere le leggi italiane. Il 22 dicembre 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva già emesso un parere sulla compatibilità della normativa italiana del 2017 con il diritto dell’Unione Europea. Non sorprendentemente, lunedì è stata avanzata una contestazione penale per evasione fiscale e omessa dichiarazione dei redditi per il periodo dal 2017 al 2021. La giudice delle indagini preliminari Angela Minerva ha ordinato il sequestro preventivo a fini di confisca di 779 milioni e 453.000 euro nei confronti di Airbnb Ireland Unlimited Company, società di diritto irlandese, e di tre manager che hanno ricoperto cariche di amministrazione nel gruppo. Secondo quanto sostenuto dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Milano, insieme alla Procura, Airbnb avrebbe evitato di dichiarare e versare la cedolare secca del 21% sui canoni di locazione breve pagati dagli ospiti delle strutture ricettive pubblicizzate dalla piattaforma. Questi importi, sottratti dalla commissione per l’utilizzo della piattaforma digitale, sono stati stimati dalla Guardia di Finanza in 3,7 miliardi di euro. La legge del 2017 imponeva ad Airbnb di versare al Fisco italiano la ritenuta relativa alla cedolare secca nelle dichiarazioni dei redditi tra il 30 gennaio 2019 e il 30 gennaio 2023, un importo che Airbnb avrebbe invece omesso di versare, dando luogo al sequestro di lunedì per un valore di 779 milioni di euro. I magistrati milanesi hanno motivato questa misura sottolineando il rischio di aggravare le conseguenze del reato e il possibile danno economico per gli altri operatori del settore che rispettano la legge. Secondo i pubblici ministeri Giovanni Polizzi, Cristiana Roveda e Giancarla Serafini, Airbnb è consapevole da anni degli obblighi fiscali introdotti in Italia nel 2017 ma ha deliberatamente scelto di non adeguarsi per evitare di perdere quote di mercato a favore della concorrenza, ostacolando apertamente l’amministrazione finanziaria italiana. Airbnb, rappresentata dall’avvocato Fabio Cagnola, per ora ha scelto di non rilasciare commenti. Nel corso delle controversie degli ultimi anni, l’azienda ha basato le proprie argomentazioni sul fatto che i proprietari degli immobili (host) abbiano caratteristiche che li avvicinano più a imprenditori che a privati, e quindi non sarebbero soggetti alle normative del 2017. Il governo sta attualmente lavorando a uno schema di legge di bilancio che prevede un aumento al 26% della cedolare secca sugli affitti brevi e una regolamentazione più rigorosa per i portali di intermediazione immobiliare. Alle regole del 2017 si aggiungerebbe l’obbligo per i soggetti residenti al di fuori dell’Unione Europea di adempiere ai propri obblighi attraverso il concetto di “stabile organizzazione”, o di nominare un rappresentante fiscale se non ne fossero in possesso. Chi è AirBnB Airbnb è una piattaforma online che facilita la locazione di alloggi privati per brevi periodi di tempo. Fondata nel 2008, l’azienda mette in contatto host (persone che mettono a disposizione la propria proprietà) e ospiti interessati a soggiornare in queste residenze temporanee. Gli alloggi offerti su Airbnb possono variare da stanze private a interi appartamenti o case. La piattaforma ha guadagnato popolarità in tutto il mondo grazie alla sua vasta rete di proprietà disponibili in oltre 220 paesi. Airbnb ha rivoluzionato l’industria dell’ospitalità, offrendo agli ospiti un’alternativa ai tradizionali hotel e agli host la possibilità di guadagnare affittando le proprie proprietà. Gli utenti possono cercare alloggi in base a vari criteri, come la posizione, le date e le caratteristiche desiderate. La piattaforma offre anche recensioni e valutazioni degli ospiti per garantire una maggiore trasparenza e fiducia tra le parti coinvolte. Tuttavia, Airbnb è da tempo oggetto di dibattiti e controversie in diversi paesi riguardo alle regolamentazioni e alle implicazioni fiscali. Alcune città hanno introdotto restrizioni sull’affitto a breve termine per mitigare l’impatto sulla disponibilità di alloggi a lungo termine e preservare l’equilibrio nei quartieri residenziali. L'articolo Sequestrati più di 779 milioni di euro a AirBnb. Evase tasse per quasi 4 miliardi di euro sembra essere il primo su Cellulare Magazine. Read the full article
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Breaking Barriers and Building Bridges: The Māori Justice Movement in the Age of Social Media
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As their name implies, peopleagainstprisonsaotearoa (PAPA) are a prison abolitionist group based in Aotearoa, advocating for incarcerated people and the end of prisons. The post which was posted to their Instagram account calls for people to sign its petition, which aims to implement all 12 recommendations of the Turuki! Turuki! Report into New Zealand’s current justice system. PAPA argues that the government should abandon its tough on crime rhetoric, and implement a preventative, restorative, and rehabilitative justice system that reflects the treaty of Waitangi. 
New Zealand’s criminal justice system has long been a difficult terrain for Māori to navigate. Despite Māori being only approximately 15% of the New Zealand population, statistics show that they are overrepresented at every level in the criminal justice system. Māori represent 37% of people proceeded against by police, 45% of people convicted, and 52% of people in prison. PAPA, point to issues such as poverty and inequality, inadequate mental health support, poor educational outcomes, and other social issues as key drivers of crime in Aotearoa. According to PAPA, politicians are to blame for upholding the current criminal justice system that focuses on imprisoning people disproportionately affecting working-class, Māori, and ethnic minority communities. 
Government inaction and lack of legislation to tackle these issues are underpinned by media representations of Māori. Abel (2016) argues that news media representations of Māori contribute to policymaking in relation to Māori and Treaty issues in New Zealand. News media is widely accepted as the primary source of people’s knowledge and attitudes, particularly regarding issues or groups of whom media audiences have little firsthand experience with (Abel, 2016). Research has shown that mainstream news media has often painted Māori in a bad light. News media on Māori, when included, frequently focuses on violence and crime. Negative portrayals of Māori in the media can perpetuate stereotypes and biases, further alienating Māori communities and reinforcing a sense of "otherness." This, in turn, affects the willingness of non-Māori citizens to engage in meaningful dialogue and act on issues related to criminal justice reform and indigenous rights. Pakeha in New Zealand represent 70% of the total population, a powerful majority of the voting electorate. Any government wanting to enact the type of policy and legislation that PAPA are fighting for, will need the support of the majority non-Māori population. Therefore, the attitudes and opinions of Pakeha and other non-Māori population are central to the policies any government will pursue (Abel, 2016). However, because mainstream news media has inadvertently fostered negative attitudes towards Māori, it is unlikely that any government will garner the type of support needed for such policy. 
The Turuki! Turuki! report was released in 2019, calling for urgent transformative change to New Zealand’s justice system. The review was overseen by the Te Uepū Hāpai i te Ora – Safe and Effective Justice Advisory Group, under the leadership of Chester Borrows, a former National Party Minister for Courts comprised experts and advocates in the domains of Māori legal issues, healthcare, sociology, and criminology. The review was also informed by the community who offered their experiences, stories, and visions for a new system. Despite the extensive research that has gone into the review, 5 years on and successive governments have ignored its recommendations. 
The prevalence of social media has challenged traditional ideas of how people participate in politics. People of marginalized groups who have historically felt left out of the political conversation are increasingly using social media platforms to amplify their voices and share their perspectives. Social media has proved a powerful avenue for bypassing traditional forms of media, who are often seen as the gatekeepers of objective knowledge. Citizens in numerous countries are progressively using specialized online platforms, mainstream social media, or blogs as channels to express their opinions, whether it is for advocacy, endorsement, or criticism of their elected officials, aiming to amplify their voices on the internet (Frame & Brachotte, 2015). In New Zealand, social media has played a crucial role in Māori political activism. Groups and individuals use platforms like Twitter and Instagram to advocate for indigenous rights, land rights, and social justice issues. It is important to highlight that there is still hope for achieving change through social media activism. Social media has become a powerful tool for grassroots movements, allowing marginalized communities to mobilize, gain visibility, and rally support for their causes. By leveraging the reach and influence of platforms like Instagram and Twitter, groups like PAPA and others can engage a wider audience, raise awareness, and build momentum for the transformative changes they seek in the criminal justice system. 
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lincolnsblog · 7 months
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Breaking Barriers and Building Bridges: The Māori Justice Movement in the Age of Social Media
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As their name implies, peopleagainstprisonsaotearoa (PAPA) are a prison abolitionist group based in Aotearoa, advocating for incarcerated people and the end of prisons. The post which was posted to their Instagram account calls for people to sign its petition, which aims to implement all 12 recommendations of the Turuki! Turuki! Report into New Zealand’s current justice system. PAPA argues that the government should abandon its tough on crime rhetoric, and implement a preventative, restorative, and rehabilitative justice system that reflects the treaty of Waitangi. 
New Zealand’s criminal justice system has long been a difficult terrain for Māori to navigate. Despite Māori being only approximately 15% of the New Zealand population, statistics show that they are overrepresented at every level in the criminal justice system. Māori represent 37% of people proceeded against by police, 45% of people convicted, and 52% of people in prison. PAPA, point to issues such as poverty and inequality, inadequate mental health support, poor educational outcomes, and other social issues as key drivers of crime in Aotearoa. According to PAPA, politicians are to blame for upholding the current criminal justice system that focuses on imprisoning people disproportionately affecting working-class, Māori, and ethnic minority communities. 
Government inaction and lack of legislation to tackle these issues are underpinned by media representations of Māori. Abel (2016) argues that news media representations of Māori contribute to policymaking in relation to Māori and Treaty issues in New Zealand. News media is widely accepted as the primary source of people’s knowledge and attitudes, particularly regarding issues or groups of whom media audiences have little firsthand experience with (Abel, 2016). Research has shown that mainstream news media has often painted Māori in a bad light. News media on Māori, when included, frequently focuses on violence and crime. Negative portrayals of Māori in the media can perpetuate stereotypes and biases, further alienating Māori communities and reinforcing a sense of "otherness." This, in turn, affects the willingness of non-Māori citizens to engage in meaningful dialogue and act on issues related to criminal justice reform and indigenous rights. Pakeha in New Zealand represent 70% of the total population, a powerful majority of the voting electorate. Any government wanting to enact the type of policy and legislation that PAPA are fighting for, will need the support of the majority non-Māori population. Therefore, the attitudes and opinions of Pakeha and other non-Māori population are central to the policies any government will pursue (Abel, 2016). However, because mainstream news media has inadvertently fostered negative attitudes towards Māori, it is unlikely that any government will garner the type of support needed for such policy. 
The Turuki! Turuki! report was released in 2019, calling for urgent transformative change to New Zealand’s justice system. The review was overseen by the Te Uepū Hāpai i te Ora – Safe and Effective Justice Advisory Group, under the leadership of Chester Borrows, a former National Party Minister for Courts comprised experts and advocates in the domains of Māori legal issues, healthcare, sociology, and criminology. The review was also informed by the community who offered their experiences, stories, and visions for a new system. Despite the extensive research that has gone into the review, 5 years on and successive governments have ignored its recommendations. 
The prevalence of social media has challenged traditional ideas of how people participate in politics. People of marginalised groups who have historically felt left out of the political conversation are increasingly using social media platforms to amplify their voices and share their perspectives. Social media has proved a powerful avenue for bypassing traditional forms of media, who are often seen as the gatekeepers of objective knowledge. Citizens in numerous countries are progressively using specialised online platforms, mainstream social media, or blogs as channels to express their opinions, whether it is for advocacy, endorsement, or criticism of their elected officials, aiming to amplify their voices on the internet (Frame & Brachotte, 2015). In New Zealand, social media has played a crucial role in Māori political activism. Groups and individuals use platforms like Twitter and Instagram to advocate for indigenous rights, land rights, and social justice issues. It is important to highlight that there is still hope for achieving change through social media activism. Social media has become a powerful tool for grassroots movements, allowing marginalised communities to mobilise, gain visibility, and rally support for their causes. By leveraging the reach and influence of platforms like Instagram and Twitter, groups like PAPA and others can engage a wider audience, raise awareness, and build momentum for the transformative changes they seek in the criminal justice system. 
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personal-reporter · 1 year
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Sanità: Codacons lancia battaglia contro liste d'attesa infinite
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Sempre più italiani si rivolgono a sanità privata: spesa sale a 37,1 miliardi di euro, +32% sul 2016. Gli utenti hanno diritto a rimborso delle visite mediche eseguite privatamente. Ecco come avanzare richiesta alle ASL. Contro le liste d’attesa nella sanità pubblica. Codacons e Articolo 32 (associazione specializzata nella tutela del diritto alla salute) lanciano oggi una nuova battaglia legale a favore degli utenti. Il problema delle attese eccessive per effettuare visite e analisi specialistiche non solo non è stato risolto nel nostro paese, ma addirittura è peggiorato, anche a causa della pandemia Covid – spiegano Codacons e Articolo 32 – Le ultime indagini sul tema registrano tempi massimi di attesa fino a quasi 2 anni (720 giorni) per una mammografia, 465 giorni per una Tac, 375 per una ecografia, 365 per un intervento cardiologico, 360 per una operazione ortopedica, 300 per visite specialistiche (dermatologia, reumatologia, endocrinologia). Una situazione di grave crisi che spinge una fetta sempre più larga di cittadini a rivolgersi alla sanità privata, pagando di tasca propria le prestazioni: la conferma arriva dai numeri forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, secondo cui la spesa sostenuta dagli italiani per prestazioni sanitarie private è passata dai 28,13 miliardi di euro del 2016 ai 37,16 miliardi del 2021, con una crescita del +32% - analizza il Codacons. E chi non può permettersi di eseguire visite e interventi presso strutture private è costretto ad attendere i tempi infiniti della sanità pubblica, rischiando di veder peggiorare le proprie condizioni con ripercussioni anche gravi sul fronte della salute. In base agli ultimi dati Istat, nel 2021 ben l’11% delle persone che avevano bisogno di visite specialistiche o esami ha dichiarato di aver rinunciato per problemi economici legati alle difficoltà di accesso al servizio, mentre il 3,3% della popolazione, circa 2 milioni di persone, ha rinunciato alle cure mediche a causa dei tempi di attesa eccessivi. Nemmeno l’introduzione nel 2019 del Piano nazionale di governo delle liste di attesa (PNGLA) ha saputo risolvere quella che è a tutti gli effetti una emergenza – denunciano Codacons e Articolo 32 – Tale piano vincolava le Regioni a garantire ai pazienti un tempo massimo di attesa di 72 ore per le prestazioni urgenti, di 10 giorni per le prestazioni in classe di priorità B (breve) e di 30 giorni per le visite e 60 giorni per gli accertamenti diagnostici per le prestazioni in classe D (differibile). Proprio per sostenere i cittadini danneggiati dalle liste d’attesa nella sanità pubblica, Codacons e Articolo 32 lanciano oggi una nuova iniziativa legale, mettendo a disposizione degli utenti un modulo attraverso il quale ottenere dalla propria Asl il rimborso del costo sostenuto per le prestazioni sanitarie eseguite presso professionisti e strutture private a causa dell’oggettiva impossibilità di effettuare le medesime prestazioni presso il Servizio Sanitario Nazionale, in considerazione di tempi di attesa eccessivi. Rimborso che rappresenta un diritto a fronte dell’evidente inadempimento da parte della P.A. Per info https://codacons.it/liste-dattesa-infinite-ora-basta/ Read the full article
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fraudnewsalert · 2 years
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Maxi-frode, scoperto l’ideatore del sistema
False fatture con la vendita di auto di lusso, la Gdf sequestra beni per tre milioni di euro al commercialista milanese
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A gennaio di due anni fa, erano stati condannati in quattro, accusati di un giro di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, in relazione a un sistema che gestiva vendita di auto, anche di grossa cilindrata, importate dall’estero, la cui base operativa era a Porlezza. Proponendo prezzi concorrenziali, tali da essere diventati i venditori più convenienti e attraenti della zona. Nelle settimane successive al loro arresto – l’ordinanza di custodia cautelare aveva raggiunto Ivan Tenca 42 anni e la compagna Eryca Selva 29 anni di Grandola, Claudio Contrino, 44 anni di Vigevano e Alfio Biacchi, 43 anni di Menaggio - le indagini si erano sviluppate per arrivare a capire un aspetto che rimaneva mancante: come era stato creato quel sistema fraudolento, e chi aveva la competenza professionale per gestirlo. Così la Guardia di finanza di Menaggio, coordinata dal sostituto procuratore di Como Simona De Salvo, anche sulla scorta di quanto emerso dagli interrogatori dei precedenti imputati, era arrivata a individuare Marco Santinoli, 58 anni commercialista di Basiglio, nel Milanese, ritenuto l’amministratore di fatto della S&B Auto, società con sede legale a Grandola ed Uniti fino al 2016, trasferita successivamente a Milano, e di altre società collegate. Ora a suo carico è stato eseguito un sequestro preventivo di denaro, beni mobili e immobili, firmato dal gip di Como Carlo Cecchetti, per un valore di circa tre milioni di euro. In particolare, oltre ai conti correnti riconducibili a lui o alle società interessate dalle indagini, è stata sequestrata una imbarcazione ormeggiata in Sardegna del valore di 300mila euro. Santinoli risulta indagato per reati tributari e per autoriciclaggio. Avrebbe infatti ideato il modello di frode scoperto nel 2019, curandone gli aspetti operativi: dal reclutamento dei prestanome al dirottamento dei proventi illeciti su conti correnti esteri e …
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altabattery00 · 2 years
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L'accordo su TikTok è reale e puoi ottenere denaro da esso
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TikTok deve soldi a molte persone. Non in un momento vago in futuro, ma in questo momento, grazie a una recente class action. Ma dato che il telefono di tutti esplode continuamente con truffe e altri rifiuti, potrebbe essere registrato come inaffidabile quando ricevi una notifica che dice che sei appena stato pagato. Accadrà qualcosa di brutto se provi a spendere questi cosiddetti "soldi"? No. Sono solo vecchi soldi normali, ed è reale. Alcuni utenti di TikTok (o Musical.ly, come era noto) improvvisamente notano di aver appena ricevuto una somma di denaro equivalente a un pasto in famiglia in un fast food. Forse ricordi vagamente che questo stava accadendo leggendo notizie di un anno fa sui soldi che arrivavano a un certo punto. Bene, ora siamo a quel punto.
Qual è l'accordo sulla privacy dei dati di TikTok? Puoi leggere il testo completo dell'accordo qui, ma i tratti generali sono così:
ByteDance, la società madre di TikTok, è stata colpita da un'azione legale collettiva nel 2019 per ciò che i querelanti consideravano una violazione dei diritti alla privacy dei bambini ai sensi della legge federale sulla protezione della privacy dei video, il che significa che ByteDance avrebbe rivelato quali video erano stati guardati da quale specifico persona. E ha anche denunciato violazioni dell'esclusivo atto di tracciamento biometrico dell'Illinois che rende illegale la distribuzione di una "impronta facciale", se vuoi. Dal 2014 al 2019, secondo la causa, i proprietari di Musical.ly, e successivamente di TikTok, non sono riusciti ad acquisire il consenso dai genitori degli utenti sotto i 13 anni.
La causa del 2019 è arrivata dopo che la Federal Trade Commission aveva già vinto un proprio accordo separato di 5,7 milioni di dollari da ByteDance per violazioni simili all'inizio dello stesso anno. Parte del loro accordo con la FTC ha portato TikTok a rimuovere i contenuti pubblicati da ragazzi di età inferiore ai 13 anni. Nel febbraio del 2021 ByteDance ha accettato un accordo di 91 milioni di dollari, pur mantenendo la sua innocenza. Ciò significava che gli utenti di entrambe le app dal 2014 al 30 settembre 2021 potevano beneficiare di un pagamento imminente... in attesa di una o due ulteriori manovre legali. Quindi, nell'agosto del 2022, un giudice di nome John Lee del distretto settentrionale dell'Illinois ha approvato l'accordo. Ah, ma c'erano ancora appelli fastidiosi da risolvere.
Quindi, secondo TikTokDataPrivacySettlement.com, un sito Web affiliato al team legale che ha organizzato la causa, l'appello finale è stato respinto il 12 ottobre, a quel punto ByteDance deve aver iniziato a scrivere assegni, perché l '"amministratore della transazione" ha iniziato a distribuire denaro due settimane più tardi, che è stato mercoledì, quando le persone hanno iniziato a vedere i loro conti bancari aumentare di $ 27,84.
Chi riceve denaro dall'accordo sulla privacy dei dati di TikTok? Prima di tutto, è troppo tardi per ottenere i tuoi soldi se questa è la prima volta che senti di questa causa. Il 21 marzo 2022 era il termine ultimo per presentare un reclamo, secondo TikTokDataPrivacySettlement.com.
La prossima cosa da sapere è che quanti soldi ti stanno arrivando, avendo già presentato la tua richiesta, dipende dal fatto che tu sia stato o meno in Illinois durante il periodo coperto dalla causa. Se sei nella "classe nazionale", il che significa che vivi negli Stati Uniti e hai utilizzato l'app prima del 30 settembre 2021, ricevi $ 27,84. Se eri in Illinois e non solo hai utilizzato TikTok, ma hai creato video prima del 30 settembre 2021, allora sei fortunato: ricevi $ 167,04. Quindi, se non hai ancora ricevuto i tuoi soldi, continua a guardare il conto PayPal o Venmo che hai utilizzato nella tua richiesta, oppure attendi un'e-mail o una notifica push che dice che hai ricevuto un pagamento. $ 27,84 e $ 167,04 non sono somme che cambiano la vita per la maggior parte delle persone, ma ehi: goditi una serata modesta con ByteDance. Te lo sei guadagnato.
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realnews20 · 13 days
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Giustizia & Impunità “Sono passati due anni e mezzo dalla sentenza di condanna a 5 anni e 6 mesi e siamo ancora in attesa che il Tribunale di sorveglianza si pronunci per la pena che deve scontare. Non sappiamo ancora nulla”. A dirlo è Edward von Freymann, il papà di Gaia (a sinistra nella foto, ndr), la 16enne travolta e uccisa da un’auto alla fine di dicembre 2019 mentre attraversava corso Francia, a Roma, insieme alla sua amica e coetanea Camilla Romagnoli. Von Freymann, in precedenza a sua volta vittima di un incidente stradale a seguito del quale ha perso l’uso delle gambe, è intervenuto questa mattina a Napoli all’iniziativa “Sii saggio, guida sicuro” . L’uomo ha creato una fondazione, la Fondazione Gaia Von Freymann, che fornisce supporto legale e psicologico gratuito ai familiari e alle vittime di incidenti stradali e ai diversamente abili, e partecipa a numerosi incontri nelle scuole con i ragazzi. “Spesso gli studenti mi fanno una domanda – racconta – mi chiedono: cosa è successo al ragazzo che era alla guida dell’auto che ha investito mia figlia? Purtroppo, dopo due anni e mezzo, siamo ancora in attesa che il Tribunale di sorveglianza si pronunci”. Il ragazzo in questione è Pietro Genovese, 25 anni, figlio del regista Paolo Genovese, condannato a 5 anni e 4 mesi con l’accusa di duplice omicidio stradale. “Fino ad oggi non ha avuto alcun percorso riabilitativo – racconta il papà di Gaia – ha fatto solo gli arresti domiciliari per un anno e due mesi. Ora si trova a Londra e per la giustizia è un uomo libero a tutti gli effetti, in attesa che si pronunci il Tribunale di sorveglianza”. Secondo Edward Von Freymann “bisognerebbe rivedere le pene e soprattutto fare in modo che siano esecutive, perché la condanna c’è ma a tutt’oggi siamo ancora in attesa. Quanto tempo deve ancora passare?”. Il dolore per la perdita della figlia, per Von Freymann, è diventato una motivazione per costruire la fondazione: “Da questa tragedia è nato qualcosa di bello. Ho devoluto l’indennizzo ricevuto per mia figlia alla fondazione per aiutare tutte le famiglie delle vittime della strada che non hanno possibilità economica di affrontare un processo. La fondazione mette a disposizione gratuitamente avvocati e i periti per aiutare i familiari nei processi. Poi incontriamo i ragazzi nelle scuole, parliamo di sicurezza stradale ma anche di inclusione e disabilità”.
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corallorosso · 3 years
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Siria, 80 civili morti in raid Usa, il Pentagono insabbiò la strage Un’inchiesta del New York Times ha rivelato che per due anni gli Stati Uniti hanno nascosto un raid a Baghuz, ultima roccaforte dell’Isis in Siria. I fatti risalgono al marzo 2019 e sotto lo bombe dei jet Usa, in bombardamenti mai ufficialmente dichiarati, morirono decine di civili, soprattutto donne e bambini. Ora gli Usa – attraverso il Central Command – ammettono per la prima volta la veridicità dei fatti: nell’attacco sono morte 80 persone. Il New York Times racconta il panico scaturito quando le truppe americane si accorsero dell’errore che aveva causato la morte di decine di persone: “Abbiamo lanciato bombe su 50 donne e bambini“, le parole di un analista militare. Un ufficiale legale descrisse a caldo l’incidente come un possibile crimine di guerra che richiedeva un’indagine. “Ma a quasi ogni passo le forze armate hanno cercato di nascondere il raid. Il numero dei morti è stato minimizzato. Le informazioni al riguardo tenute segrete. E i principali leader non sono stati avvertiti”, scrive il New York Times. E infatti sulla mattanza di Baghuz non è mai stata aperta alcuna indagine indipendente. Il raid era stato eseguito su indicazione della Task Force 9, unità per le operazioni speciali di cui fa parte il commando di élite Delta Force. Kulturjam
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giancarlonicoli · 7 months
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31 ott 2023 08:54
DANILO IERVOLINO INDAGATO PER CORRUZIONE, DALLA PROCURA DI NAPOLI, INSIEME AD ALTRE SEI PERSONE - GLI EPISODI DI CORRUZIONE SAREBBERO STATI COMMESSI PER OTTENERE IL PARERE FAVOREVOLE, IN PRECEDENZA NEGATO, ALLA DIVISIONE DEL PATRONATO ENCAL-INPAL CONSERVANDONE PERÒ I VANTAGGI ECONOMICI E PATRIMONIALI - SECONDO I PM, PER RAGGIUNGERE I LORO OBIETTIVI, GLI INDAGATI HANNO OFFERTO VACANZE, BARCHE E AUTO A NOLEGGIO, BORSE E CONTRATTI DI LAVORO… -
(ANSA) - NAPOLI, 30 OTT - Vacanze, barche e auto a noleggio, borse griffate: la procura di Napoli ha chiuso l'inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza su una presunta corruzione che coinvolge alcuni personaggi di spicco dell'imprenditoria, del sindacato e della pubblica amministrazione. Tra i sette indagati figurano, infatti, Danilo Iervolino, ex proprietario dell'università telematica Pegaso e presidente della Salernitana, il segretario generale del sindacato Cisal Francesco Cavallaro, il segretario generale del ministero del Lavoro Concetta Ferrari e Fabia D'Andrea, all'epoca dei fatti vice capo di Gabinetto del ministro del Lavoro.
Gli episodi di corruzione sarebbero stati in particolare commessi, secondo l'accusa, per ottenere il parere favorevole, in precedenza negato, alla divisione del patronato Encal-Inpal in Encal-Cisal e Inpal conservandone però i vantaggi economici e patrimoniali. Il 18 gennaio 2018 l'ufficio legislativo del ministero diede parere negativo alla forma di scissione proposta dal segretario della Cisal Cavallaro, ma il 24 giugno 2019 il ministero cambia orientamento e dà parere favorevole, secondo la Procura di Napoli grazie ai favori riservati, in particolare, alla Ferrari.
Gli inquirenti, in particolare, ritengono che Cavallaro, in cambio di vantaggi per la sua organizzazione sindacale, avrebbe offerto come contropartita alla Ferrari e alla D'Andrea diverse 'utilità' come, per esempio, l'assunzione del figlio della Ferrari alla Pegaso. Ma tra gli episodi finiti al vaglio dei finanzieri figurano anche una vacanza a Tropea per la Ferrari e il marito, il noleggio di una barca e di un'auto, oltre a una borsa e cravatte griffate.
Il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Gdf di Napoli ha già eseguito un sequestro preventivo nei confronti del figlio della Ferrari per un importo di oltre 68 mila euro, pari ai compensi netti percepiti come professore dalla Pegaso dal primo aprile 2019 al 10 giugno 2022.
L'iscrizione nel registro degli indagati risale a oltre un anno fa. Ora i magistrati (procuratore aggiunto Sergio Ferrigno e sostituto procuratore Henry John Woodcock) hanno chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli indagati, di cui fanno parte anche Mario Miele (presidente del consiglio di amministrazione del "Centro autorizzato di assistenza fiscale Cisal srl", ex consigliere di amministrazione dell'Università Mercatorum e attuale dirigente della Salernitana calcio), Francesco Fimmanò (che avrebbe svolto il ruolo di mediatore) e Antonio Rossi (figlio del segretario generale del ministero del Lavoro).
L'udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 24 novembre. "Prediamo atto della diffusione, tardiva e non casuale, di questa notizia", commenta l'avvocato Alessandro Diddi, legale di Concetta Ferrari, contattato dall'ANSA. "Peccato - aggiunge - che siano già state chieste delle misure cautelari per gli indagati, tutte rigettate dal giudice per le indagini preliminari sia dal Tribunale delle Libertà di Napoli".
Dello stesso tenore il commento dell'avvocato Domenico Colaci, difensore di Cavallaro, secondo cui "colpisce il fatto che chi ha divulgato la notizia si sia guardato bene dal dire che il competente Tribunale della Libertà, con venti pagine di motivazione, ha ritenuto insufficienti finanche i semplici indizi di colpevolezza a carico del mio assistito". Dal canto suo Università Pegaso precisa che "si tratta di una vicenda precedente all'attuale gestione, per la quale è stata fornita piena collaborazione alla Procura, che ha qualificato Università Pegaso come parte lesa e si riserva di ricorrere in tutte le sedi a propria tutela".
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superfuji · 3 years
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«Aiutare i migranti ora è un diritto»: così un contadino ha convinto la Corte Costituzionale francese
Cédric Herrou ha vinto la sua battaglia legale dopo arresti e processi durati cinque anni. Ha offerto un rifugio ai clandestini alla frontiera di Ventimiglia. E ora ha creato una comunità
di Sabrina Pisu
«La frontiera sono tutte queste montagne», dice Cédric Herrou mentre sale a piedi lungo il suo terreno ripido a Breil-sur-Roya, in Francia, nelle Alpi Marittime, a pochi chilometri dall’Italia. Vista da qui, la linea di confine tra i due paesi non esiste, spezzata dalle vette dei monti e dalle mani di questo contadino francese, di quasi 42 anni, tese ad aiutare i migranti nel viaggio verso un altro destino.
La sua solidarietà è finita sotto processo per quasi cinque anni, durante i quali è stato arrestato undici volte, subendo cinque perquisizioni. Una lunga battaglia giudiziaria che ora ha vinto: il 31 marzo scorso la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Procura Generale di Lione dopo il suo rilascio deciso il 13 maggio 2020 dalla Corte d’Appello. Cédric Herrou era stato accusato e condannato per aver aiutato i migranti ad attraversare il confine tra l’Italia e la Francia senza essersi accertato del loro status irregolare e per averli ospitati. Questo contadino francese si è battuto fino a veder riconosciuto nel 2018 dalla Corte Costituzionale il principio di solidarietà che permette a tutti i cittadini di aiutare persone in difficoltà, per motivi umanitari.
«È una decisione frutto di una lunga battaglia legale e rappresenta un simbolo molto importante per il nostro sistema giudiziario», spiega il suo avvocato, Sabrina Goldman. «I saggi del Consiglio Costituzionale hanno ritenuto che la fraternità non è un principio astratto, ma un valore che deve avere una traduzione concreta nel nostro ordinamento giuridico». E così è stato, il Consiglio Costituzionale ha sancito, si legge nella sentenza, che «deriva dal principio di fraternità la libertà di aiutare gli altri, per scopi umanitari, senza considerare la regolarità del soggiorno sul territorio nazionale». E così Cédric Herrou è ora un uomo libero.  
Coltivare la terra da queste parti è una battaglia costante con la natura. «Questa terra mi ha insegnato a combattere», dice Herrou che ha fondato qui la comunità agricola Emmaüs Roya che produce prodotti biologici con i migranti. Le montagne risuonano tra gli alberi di ulivo e le piante di timo agitate dal vento in un fischio che si mischia al profumo. Il maiale Rico e le galline scandiscono la salita, quando i cani vedono arrivare Herrou è festa. Alla fine c’è uno spiazzo dove ci sono dei bungalow in legno, un paio di camper, un biliardino, un grande tavolo con le uova fresche al centro, un lampadario giallo appeso a un filo, in aria, a illuminare il buio che scenderà, mentre banchi di nebbia coprono già in lontananza l’orizzonte. In una casetta di legno c’è la cucina.
È questo il luogo in cui Herrou accoglie i migranti: ne ha ospitati finora 2.500, in fuga da guerre, dittature, in cerca di un’altra vita. Qui vivono «les compagnons», come li chiama lui, non solo migranti o richiedenti asilo ma anche persone in difficoltà trovano la porta della sua terra sempre aperta. Ora ce ne sono sette e sono arrivati da tutto il mondo: da Fevo, che viene dalla Nigeria, a Lassad, tunisino.
Cédric Herrou, il contadino che «milita per la dignità di tutti gli esseri umani», come precisa lui, è diventato un simbolo internazionale dell’accoglienza ai migranti. Per conoscere la sua storia bisogna tornare indietro, a Nizza, nella banlieue difficile di L’Ariane, dov’è nato e cresciuto. Lì ha imparato quello che conta: «La mia famiglia era molto modesta ma accoglieva bambini abbandonati, spesso figli di immigrati, dati in affidamento dai servizi sociali. Ho imparato a condividere tutto».
Parla dei suoi genitori, «più inquadrati» di lui, e del fratello Morgan al quale lo accomuna invece uno stile di vita simile. È stato grazie a lui che è arrivato a Breil-sur-Roya: «Quando avevo sedici anni venivo a trovarlo. Nel 2002, a ventitré anni, ero perso, non sapevo cosa volevo. E così ho deciso di ripartire dal sogno che avevo da bambino, di avere un pezzetto di terra, che costasse poco. L’ho trovato qui, l’ho pagato 1500 euro, era abbandonato». Per dieci anni era stato perito meccanico, un lavoro che ha lasciato nel 2006 quando è diventato agricoltore. Ha cominciato a produrre olio, paté di olive e uova, senza sapere ancora che quel pezzetto di terra non sarebbe stato un rifugio solo suo.
Tutto è iniziato quando Parigi, nel giugno 2015, ha deciso di chiudere la frontiera con l’Italia, attuando respingimenti sistematici di migranti irregolari, anche minori. In centinaia, in gran parte del Corno d’Africa, soprattutto eritrei, erano bloccati a Ventimiglia. «Si erano messi sugli scogli per far vedere che esistevano, era come una manifestazione. Ho incontrato dopo qualche tempo persone, famiglie, bambini che camminavano sul bordo della strada. Mi sono fermato e li ho portati con me, sapevo che a Breil-sur-Roya l’associazione Roya Citoyenne forniva accoglienza».
Smettere o andare avanti? «Se non fossi andato avanti avrei rinnegato chi sono, la mia infanzia». Ha deciso di proseguire: «Il mio Paese, pensavo, è responsabile della condizione che vive l’Italia. La Francia si è messa contro queste persone a causa del colore della loro pelle. Non volevo essere complice di questo razzismo di Stato». Così Cédric Herrou ha traportato i migranti da Ventimiglia a Breil-sur-Roya: «Sono andato a prendere dei bambini nella chiesa delle Gianchette a Ventimiglia. All’epoca non c’era ancora una presa in carico dei minori non accompagnati, ad accoglieri c’era solamente un parroco, Don Rito, che ha aperto la parrocchia. Ho portato i bambini a Breil-sur-Roya dove abbiamo fatto il necessario per farli andare in altre località della Francia, in Germania e Svizzera».
In fretta, il nome e il numero di Herrou e la sua «terra dell’accoglienza» fanno il giro tra i giovani migranti che cominciano ad arrivare da soli. «Ci siamo ritrovati nella stessa situazione dell’Italia, la val Roya di fatto era diventata una Repubblica a parte rispetto alla Francia, sacrificata alla lotta all’immigrazione». È stato arrestato per la prima volta nell’agosto 2016: «Sono stato fermato con sette eritrei nel mio veicolo, erano in uno stato sanitario deplorevole. Il giudice ha archiviato il caso per immunità umanitaria».
Herrou è uscito dal tribunale più determinato di prima. I migranti aumentavano e venivano accolti anche in un deposito abbandonato della Sncf, la società ferroviaria francese, a Saint-Dalmas-de-Tende, venti chilometri a nord di Breil-sur-Roya. Nell’ottobre del 2016 la polizia ha trovato lì dentro 57 migranti, tra cui 29 minori. La procura di Nizza ha aperto allora un’inchiesta contro Herrou. Nel febbraio 2017 il contadino francese è stato condannato in primo grado dal tribunale di Nizza a tremila euro di multa con la condizionale, una pena aumentata sei mesi dopo in appello dalla Corte di Aix-en-Provence che per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, gli ha inflitto otto mesi di carcere con la sospensione condizionale.  
Cédric Herrou non si è fermato neanche allora contro quello che definisce «un accanimento giudiziario e della polizia», continuando con la sua azione che è un «atto politico, perché la politica non può che essere umanitaria contro l’assurdità» della chiusura delle frontiere. La situazione, nella sostanza non è cambiata. Nel novembre scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha raddoppiato il numero degli agenti che controllano i confini. «La chiusura delle frontiere è solo ideologica, non è pragmatica, le persone che sono a Ventimiglia passano, sono però costrette a mettersi in una condizione di clandestinità e pericolo, una specie di gioco dell’oca cinico in cui prima di arrivare alla casella finale bisogna rischiare la morte», dice.  «Perché la vita di un bambino eritreo vale meno di quella di uno europeo?  Se in questa valle un giorno sparisse un piccolo inglese, la sua ricerca sarebbe un affare internazionale. Qui sono spariti tantissimi bambini eritrei nell’indifferenza».
Le sistematiche violazioni da parte della Francia dei diritti dei minori non accompagnati alla frontiera sono state denunciate da molte associazioni, tra cui “La Cimade” che in un rapporto dell’ottobre 2020 ha scritto che «al confine tra Ventimiglia e Mentone, nonostante diverse sentenze del Tribunale amministrativo di Nizza che ha condannato i respingimenti nel 2018, 2019 e inizio 2020, molti bambini continuano a essere rimpatriati, alcuni dopo essere stati privati ​​della libertà per diverse ore, in condizioni indegne, senza una protezione sanitaria specifica e senza essere separati dagli adulti». Dal 2018 al 2020 almeno 18.292 minori stranieri sono scomparsi, secondo il collettivo di giornalisti di 12 Stati europei “Lost in Europe”, una cifra a cui mancano i numeri della Francia che non ha mai risposto alle richieste di dati.
Secondo Cédric Herrou bisogna cambiare sguardo sui chi emigra: «Per farlo, dovrebbe succedere a tutti di vedere camminare sul ciglio della propria strada una madre con un neonato tra le braccia o bambini da soli, come un eritreo scalzo di dodici anni. Dovrebbe succedere a tutti i Salvini, di incontrare questo piccolo eritreo e rimetterlo con le proprie mani in una barca di fortuna per farlo tornare nel suo paese. È troppo facile farlo fare agli altri».
Chi è oggi Cédric Herrou? «Sono invecchiato, ma nel senso nobile del termine, e ho capito che la mia storia, così come quella dell’immigrazione, ha a che fare con la lotta di classe. Tutti, a partire dalla prefettura di Nizza, erano convinti che avrei perso perché non sono nessuno. È un po’ come la storia di Davide contro Golia, per una volta mi rende felice sapere che io, povero, ho vinto, e in modo onesto».
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ilgrafico-2era · 3 years
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Aprile 2021
Sinceramente oggi potremo essere qui a leggere come a fare una qualsiasi altra attività, sicuramente più interessante ed educativa, eppure rieccoci per l’appuntamento del mese. Mese che è l’ennesimo disastroso se vogliamo poi specificare, perché qui qualcuno sta indubbiamente prendendosi gioco di noi del team del Grafico. Si prospetta un’entrata molto breve.
Purtroppo, con l’ennesima quarantena si hanno perso i contatti con le fonti primarie del trash, e tristemente non è solo la pandemia [che un po’ ha rotto] a creare distanze, ma anche i membri del Grafico stessi sembra si stiano impegnando il più possibile al non rimanere in contatto fra loro. Da un certo punto di vista, come biasimarli, ma allo stesso tempo qui stanno ostacolando il nostro duro lavoro! Ad illuminarci circa tale graduale allontanamento è proprio Leshi - chi l’avrebbe mai detto si sarebbe incastrato fra un post? - il quale si rammarica di non aver più compagni di viaggio in quanto tutte le sue amiche prede in classe sono fidanzate e la sua boy band degli Onigo Boy non è da meno. Che nessuno gli dica una cosa non elimina l’altra, altrimenti va in cortocircuito. Ha provato poi a cercare conforto, nonché una figura che occupasse il sedile del passeggiero, in Anna, ma ha poi ammesso che ormai i rapporti non sono più così idilliaci come un tempo. Possiamo dire che il regalo di qualche mese fa e del quale contenuto è ancora segreto, non è stato particolarmente gradito.
Leshi non deve però preoccuparsi, c’è ancora qualcuno che si preoccupa di lui. E se ne preoccupa costantemente a vedere dal numero di messaggi che gli dedica, e qui la diretta interessata ha già capito di star per leggere il suo nome fra poche parole. Si parla infatti di tale Chiara Zilio, che fra le tante speranze che ci sa per un possibile futuro di #chieshi, ci fa partecipi delle avventure ed evoluzioni delle pelurie del sopracitato. È un’informazione particolarmente importante o sconvolgente? Assolutamente no; e non è nemmeno troppo unica a giudicare da come ogni altri ragazzo della 5F sembra aver subito una trasformazione degna di Chuck Nolan intrappolato per quattro anni nell’isola deserta di Cast Away. Eppure in questo Aprile 2021 c’è siccità di tea e bisogna accontentarsi anche di queste cagate.
Chi altro si accontenta di poche cagate per fare overdose di dopamina è un personaggio che per avere una cotta preoccupante per un docente di matematica, si impegna davvero poco per attirare la sua attenzione facendogli notare interesse per la sua disciplina. Parliamo ora di Ciulia Fontana, il quale è ormai nome legale ed unico accettabile, che cade nuovamente ai piedi di Noal non appena lui la chiama “tesoro” a lezione. Giulia tiene a specificare che è rientrata subitamente a far parte del team #schiaccianelcuore. Ci fosse qualcos’altro da aggiungere a questo paragrafo magari non sembrerebbe così misero, ma c’è davvero bisogno di commentare? La risposta è abbastanza scontata.
Cosa non è, invece, scontata è la vita amorosa di Steffan, che si sta rivelando essere al di sopra delle aspettative di, probabilmente, chiunque. Dopo esser stato uno dei protagonisti indiscussi della stagione 2018-2019 si è rintanato per un anno intero nel dimenticatoio dell’archivio del Grafico. Ciò che non ci aspettavamo era senz’altro che nel frattempo si fosse allenato per fare un rientro col botto in questi ultimi mesi del quinto anno.
Ricordate dell’episodio dei fiori in stazione? Bene, scordatevelo. O per meglio dire, cancellate tutto quello riguardante la misteriosa ricevente dall’altra parte della linea ferroviaria e scordatevi anche ciò che era stato predetto su Jaqueline ed un suo probabile imminente futuro con Piero, perché a quanto sembra qualche giorno dopo quel fatidico venerdì, Steffan ha conosciuto una terza ragazza che poi ha fatto conoscere al mondo con uno Snap nel quale la slinguazzava.
Ebbene sì, Steffan ha trovato una dolce metà, anzi, ha trovato la sua “WIFEY” così come l’ha salvata sul telefono. Il come lo si sa? Basta sapere che, in quei miseri giorni di presenza, Steffan preferiva mandarle messaggi pieni di cuori al posto che ascoltare la lezione. Non sappiamo ancora se il tutto sia dolce oppure se abbia un velo di cringe. Con quel “wifey” tendiamo più alla seconda opzione. Nel caso vi stiate chiedendo chi sia questa misteriosa terza pretendente e vincitrice, abbiamo reperito sufficienti informazioni circa la sua identità, ma per privacy [ogni tanto ci ricordiamo che esiste], riveleremo solamente che si chiama Katia A. ed è della classe del 2003. Diciamo pure che Steffan ha un tipo preciso, coloro graziate da un anno supplementare di giovinezza e con nomi particolari.
Ma ora che siamo agli sgoccioli di questo alquanto deludente post, possiamo finalmente goderci una tanto meritata quanto attesa ricompensa: dopo mesi di assenza dalle righe del Grafico torna la vera coppia del cuore, della quale speriamo di saper ancora come digitare. Si parla ovviamente di #anesh, la quale è ufficialmente approvata anche dal sito attendibilissimo nomix.it e il suo calcolatore di affinità di coppia. Anaïs e Alesander ottengono uno sfavillante 99%. Ci aspettavamo altro? Assolutamente no. Non raggiungono il 100% perché il sedere di culo di panipuri è troppo pesante e impedisce alla barra di alzarsi completamente.
Concludiamo così questo post, che è meglio. Questa volta non mi perderò nemmeno troppo in chiacchere per il paragrafo finale, risparmio tutte le parole per il gran finale, il tanto atteso epilogo. Ci si rivede fra 31 giorni.
XoXo Grafico.
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