Tumgik
#per farsi mettere sotto i riflettori
buscandoelparaiso · 2 years
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voi mi dovete dare del gossip e dirmi cos’e successo a fedez dopo sabato e perche’ non ha postato nemmeno una foto con la ferry e perche’ ha messo quelle ig story e quel post con tutti tranne che con lei e perche lei era solo con le sorelle e con i bambini dopo la finale e tornata a casa, e perche---
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hunnyb-san · 5 years
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Is it friendship or love?
#2 writober2019
Fandom: Miraculous Tales of Ladybug and Chat Noir
Pairing: Ladynoir (Ladybug x Chat Noir)
Prompt: Bacio (pumpINK) and Fluff (pumpFIC)
Other tags: a little bit OOC, fluff, thought, love, kiss, Ladybug's shy, Chat Noir's cool and tries things
@fanwriterit
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Ed eccomi tornata, in stra ritardo con la pubblicazione, con il secondo giorno di questo evento!
Dico solo che questa fanfiction è stata sfornata alla velocità della luce, quindi spero non ci siano orrori grammatici.
Trama: la nostra Ladybug è stata profondamente colpita dalla dichiarazione del compagno e ha quella magica serata incisa in testa.
La brezza autunnale le sfiorava il volto, carezzandole le guance e infiltrandosi tra i suoi capelli. Le ciocche che le ricadevano ai lati seguivano il flusso del vento, svolazzando prima dietro e poi di fronte, ostacolandole la vista.
Il suo corpo fluttuava leggero, fremendo e squarciando l’aria ogni qual volta il suo yo-yo si agganciasse ad un palazzo, dandole lo slancio per librarsi in aria e spostarsi, mano mano sempre di più, verso la sua meta: la Torre Eiffel.
Quella notte, il monumento simbolico della città brillava sotto la luce dei riflettori e del lieve bagliore lunare, rendendo il paesaggio ancora più suggestivo agli occhi di coloro che, desiderosi di godere di tale vista, avevano solcato l’edificio raggiungendo l’altezza massima consentita.
Ma uno dei privilegi di essere Ladybug era il vantaggio di poter raggiungere il vertice di qualsiasi cima con un minimo sforzo!
Così, quando, immersa nelle giocose luci della città e celata ad occhi esterni dalla notte, i suoi piedi aderirono alle travi di ferro del piano superiore, che, come si aspettava, era deserto, Marinette si adagiò al suolo, soffocando un sospiro stanco e sdraiandosi comodamente per ammirare il cielo stellato.
Mentre spostava lo sguardo da una stella all’altra, quasi cercando – sperando – di collegarle tra loro tramite linee invisibili, un volto, ormai fin troppo conosciuto, le apparve dinanzi: si sarebbe aspettata di riconoscere i capelli dorati, i tratti leggeri e morbidi e un paio di profonde iridi verdi che la squadravano dall’alto, regalandole un sorriso sincero.
Ma ciò che il suo cuore decise di mostrarle, invece, era una folta chioma bionda, un sorriso provocante e due grossi occhi felini messi in risalto da una maschera nera che le ammiccavano.
Il suo cuore smise di battere per un attimo, sigillando le sue vie respiratorie e privandole dell’aria: era sempre stato naturale, per lei, fare parallelismi tra i due biondi, come se cercasse di giustificare il suo amore non corrisposto per il modello.
Ma ultimamente, più che porli su una bilancia, la sua mente non poteva fare a meno di associare alla figura del partner tutti i momenti fraintendibili avvenuti tra loro. E, con essi, il suo primo bacio.
Inizialmente, per chiunque lo chiedesse, o per sé stessa, era solita giustificarlo dicendo che si era verificato in una situazione di totale emergenza, ovvero riportare dal suo lato Chat Noir, caduto nelle mani del nemico.
Il che era fondamentalmente vero.
Se non fosse per la poca credibilità che Ladybug dava ora a quella giustificazione, in seguito ad un certo evento.
Chat Noir le si era dichiarato, aveva espresso perfettamente i suoi sentimenti dopo aver scherzato e flirtato con lei in ogni singola battaglia contro gli akuma.
Ladybug era rimasta profondamente colpita da ciò, ma il pensiero di poter perdere l’amicizia con Chat per una simile faccenda le aveva dato il coraggio di rifiutarlo e di rivelare che il cuore dell’acclamata supereroina di Parigi batteva già per qualcun altro.
Ma sin da quando Chat aveva accettato ciò e le aveva donato quella rosa, salutandola con un bacio sulla guancia… egli era diventato un pensiero fisso.
Marinette continuava a pensare al loro prossimo incontro e a sperare - arrogantemente - con impazienza che si verificasse in città un evento che richiedesse la presenza dei suoi due protettori.
Eppure, allo stesso tempo, il pensiero di ritrovarsi davanti colui che aveva mandato in tilt il suo sistema nervoso e che aveva azionato una bomba ad orologeria nel suo cuore, la rendeva più nervosa e incapace di decidersi sul da farsi.
Cos’era dunque Chat Noir per lei, adesso?
E mentre si interrogava con domandi incentrate sulla relazione che condivideva col partner, la sua concentrazione sull’ambiente esterno venne meno e non udì, o riconobbe, il rumore di passi a qualche centimetro di distanza da lei.
- My Lady, sai che per una fanciulla è pericoloso girovagare a quest’ora della notte tutta soletta? - le disse provocante, alzando appena le sopracciglia.
Ladybug, colta completamente alla sprovvista e nel bel mezzo di una crisi adolescenziale, balzò sorpresa, arrossendo di colpo di fronte allo sguardo dannatamente penetrante del compagno.
- C-Chat! Mi hai spaventata a morte! - si lamentò, mordendosi il labbro e posando la mano sul petto, come a indicare che il suo battito accelerato fosse la conseguenza di essere stata colta all’improvviso, e non qualsiasi altri motivo.
- Davvero? Credevo mi avessi sentito. - disse lui sorpreso, inclinando il capo e squadrandola attento: se la posa non diritta, le labbra leggermente schiuse e gli occhi puntati su di lui non erano indizi sufficienti, allora lo era di sicuro il rosso accesso sulle sue guance.
Curioso di tale comportamento le si avvicinò, non potendo fare a meno di notare il modo in cui il corpo della ragazza si irrigidisse ad ogni suo passo.
Chat Noir sorrise beffardo e un po’ intenerito, trattenendo l’immensa eccitazione che una tale reazione dell’amata suscitava nel lato più timido e introverso di Adrien.
Che la sua Lady fosse stata colpita dalla sua dichiarazione fino a quel punto?
Beh, aveva solo un modo per scoprirlo.
- C-Che stai facendo? - chiese lei, osservandolo raggiungerla in pochi, ampi, passi che la costrinsero ad indietreggiare fino ad incontrare il muro alle sue spalle.
Chat Noir puntò un braccio su codesto muro, annullando le distanze fino a che le loro fronti si sfioravano appena, mandando intensi brividi lungo i corpi di entrambi - Non sarà mica che la coraggiosa Ladybug ha perso la sua determinazione per colpa della serenata di un gattino innocente -
Di fronte a quelle parole, il volto di Marinette esplose in mille sfumature di rosso, una più forte dell’altra, mente percepiva l’ansia della sua vita quotidiana farsi spazio in lei e riaffiorare.
- Ma cosa dici? - sospirò lei, scuotendo il capo a destra e sinistra con violenza, come se volesse convincere sé stessa di ciò, mentre cercava di spingere il compagno lontano.
Tuttavia, forse perché le sue parole l’avevano colpita al punto da privarla della sicurezza determinante nel suo ruolo di supereroe, o forse perché non voleva allontanarlo, Chat non si mosse di un centimetro, ma anzi, comprendendo che Ladybug non riusciva – o non voleva – allontanarlo da sè, egli si chinò su di lei, lasciando defluire il peso sul braccio poggiato al pilastro.
Il corpo di Chat chiuse il suo in una morsa e Ladybug, le cui mani erano ancora posizionate sul petto tonico dell’altro, non faceva alcun accenno a spingerlo via.
- Perché se così fosse, sarebbe una conquista fin troppo semplice -
Il secondo che seguì quelle ultime parole era immerso nel silenzio totale e la mente di Marinette era talmente buia e caotica da mettere in dubbio ogni certezza.
L’unica sua sicurezza, era che Chat Noir se n’era andato, lasciandola lì, da sola, sul vertice della Torre Eiffel, in quel vortice di emozioni incomprensibili.
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magicnightfall · 5 years
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JE SUIS CALME. WHAT ABOUT YOU?
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Se Taylor Swift fosse nata a Tor Pagnotta questa canzone si sarebbe intitolata “Nun ce devi cacarcazzo”. Invece - aiutatemi a dire “purtroppo” - è nata a Reading, Pennsylvania, e quindi questa canzone si intitola “You Need To Calm Down”.
Secondo singolo estratto dal suo settimo album, Lover, dopo Me! (di cui potete leggere qui-ih-ih), è un pezzo leggero, perfetto per il periodo estivo. A parer mio, però, funziona solo dopo una bella manciata (o anche più d’una) di ascolti. Confesso che di primo acchito non mi aveva colpito e, se l’ha fatto, è stato più che altro in negativo. Poi, dai e dai e dai (e ridai), ha iniziato a piacermi.
Tuttavia, devo dire, non mi ha convinta del tutto.
You Need To Calm Down, rispetto a Me! (per forza di cose immediato termine di paragone), a fronte di un testo più impegnato cede però terreno a livello di melodia: laddove la seconda è subito orecchiabile, questa resta invece tristemente anonima, fatta eccezione un po’ per gli ultimi tre versi del ritornello (“You need to just stop / like, can you just not / step on my gown? You need to calm down”).
Ma non è l’unico motivo per cui la ritengo soccombente. Me!, infatti, arrivava all’improvviso dopo un lungo silenzio radio, pioggerellina fresca dopo la siccità. Fondamentalmente, in tutto il post reputation, Taylor aveva accuratamente evitato di apparire sotto i riflettori, snobbando eventi piccoli e grandi, blasonati e meno, dalla sagra delle salsicce col paracadute di Monte San Vito ai Grammy. Immagino che uno dei motivi per cui ho apprezzato Me! fin da subito (oltre all’essere oggettivamente più orecchiabile), sia stato il fatto che la gattara ‘mbriacona mi mancava. Avevo così tanto bisogno di nuova musica che mi sarebbe andato bene perfino un singolo in cui avesse cantato le istruzioni di un forno a microonde. Poscia, più che l’orecchiabilità poté l’astinenza. E allora ben venga una canzone leggera, allegra, disimpegnata, scanzonata (ma non certo priva di significato), quand’anche avesse come unico scopo quello di farci sapere che era, in effetti, ancora viva, quale appunto è Me!
Una volta confermata la sua esistenza terrena (e, con essa, quella di TS7), però, avrei preferito un secondo singolo musicalmente più sostanzioso o più audace. Il tutto, ovviamente, nei limiti di quanto ammettono e concedono le consuetudini estive. Il fatto è che di recente ho riscoperto il metal, e i gruppi che ascolto io sono solidi sia a livello di testi che di musica, pertanto inizio a nutrire un po’ di insofferenza per il pop elevato al pop con contorno di pop e spolverato al pop.
You Need To Calm Down mi ricorda, come tema di fondo, Shake It Off, ma anche rispetto a questa canzone non riesce a imporsi: si avverte un grano di maggiore specificità, in quanto strizza l’occhio alle problematiche della comunità LGBTQ+, contro la generalità dell’altra, ma a livello di incisività Shake It Off è, e resterà, ineguagliata. In effetti, dubito che You Need To Calm Down sarà in grado di vivere di vita propria al di fuori del contesto dell’album, nel senso di diventare un tormentone a tutti gli effetti.
Inoltre, il proliferare della legione di idioti su internet dimostra che, per quanto uno ci provi, non si riuscirà mai a metterli a tacere. A ogni “Nun me devi cacarcazzo” corrisponderà sempre un “E allora il piddì? E allora le foibe? E allora i marò? E allora Daenerys?” uguale e contrario. Forse scrollarsi di dosso la negatività è meno soddisfacente, nel lungo termine, che impedire che la stessa venga creata e diffusa, ma di certo è molto più facile da realizzare. “You need to calm down” è senza dubbio una catchphrase efficace, ma è altrettanto vero che quella di Taylor è solo una vox clamantis in deserto.
Altro problema, e non di poco conto, è il bridge. Questo perché, da che mondo è mondo, when you think Taylor Swift pensi a due cose, principalmente: ai gatti e ai bridge. Lei che ci ha regalato transizioni tra le più belle di sempre - penso a quelle di All Too Well, di Dear John, di Last Kiss, di Treacherous, di Getaway Car - non può venirsene fuori con questa... roba. Ma cos’è? Anzi, in nome di tutto ciò che è sacro, perché? Di cosa era strafatta mentre lo scriveva, di tequila Patrón come una Meredith Grey qualsiasi? L’unico “ponte” più moscio di quello di questa canzone è quello sullo Stretto di Messina
e soltanto perché
non esiste.
Questo si salva giusto per il concetto che trasmette, che è anche il terzo blocco tematico del brano complessivamente considerato.
Le prime tre strofe e il primo ritornello, infatti, riguardano gli hater che attaccano Taylor nello specifico (“You are somebody that I don't know / But you're taking shots at me like it's Patrón”; “And snakes and stones never broke my bones”; “Like, can you just not step on my gown?”), le successive tre riguardano i suoi amici LGBTQ+ (“But you're coming at my friends like a missile”; “Why are you mad / when you could be GLAAD?”; “Sunshine on the street at the parade / But you would rather be in the dark ages”; “'Cause shade never made anybody less gay”) e il bridge, appunto, tratta invece di questa malsana tendenza a voler mettere le donne in competizione le une contro le altre (“Comparing all the girls who are killing it”) quando in realtà ognuna di noi ha valore nella propria unicità, e il successo di una non esclude il successo di un’altra (“We all got crowns”).
Ora, nonostante le (per me) evidenti criticità, la canzone ha avuto comunque il pregio di lasciarmi curiosa del resto dell’album, soprattutto perché voglio vedere (rectius: ascoltare) fin dove ha deciso di spingersi con questa sua nuova e benvenuta consapevolezza politica, specie in un album tanto pop.
Punto di forza del brano, infatti, è senza dubbio la decisione di Taylor di farsi paladina di una comunità vilipesa e discriminata, invitandola a non farsi cacareilcazzo da una manica di trogloditi il cui unico scopo nella vita è quello di restarsene seduti dal lato sbagliato della storia.
Di conseguenza il video (in cui dentro ha ficcato l’equivalente dell’intera popolazione di San Marino, castelli compresi, da Serravalle a Faetano) è, per dirla con uno degli sceneggiatori di Occhi Del Cuore, una “strana, colorata, luccicante frociaggine, smaliziata e allegra come ‘na cazzo di lambada”.
Inoltre, segna la fine della guerra tra Taylor e Katy Perry (ed evidentemente anche di quella ai grassi saturi).
Ora, lo sceneggiatore di cui sopra terminava il suo monologo sulla “locura” con questa chiosa: “Se l’acchiappi, hai vinto”.
È ancora presto per dire se Taylor l’abbia acchiappata o no, dopotutto ci sono altre sedici canzoni da scoprire (che, mi auguro a livello di musica siano migliori di questa), ma di sicuro è sulla buona strada.
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iversididante · 5 years
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Ho passato una vita ad accontentare tutti,ho passato una vita a vivere nell’ombra di tutti.
Sono stanco.Stanco di vivere così,di sentire e capire tutti ma non essere compreso da nessuno.
Sembra facile vivere così?
Di mantenere la mia figura di ragazzo pacato e sorridente quando in realtà muori dentro?
No,non è per niente facile,sopratutto quando i problemi ti mangiano e tutti ti ascoltano ma nessuno riesce a comprenderti.
Sapete perché tutti vi ascoltano,sopratutto se siete come me,tranquilli e pacati,pronti sempre ad aiutare tutti.
Ma ripetetevi sempre,chi realmente aiuta te?Chi ti vuole veramente bene?Chi ti aiuterà quando realmente ti servirà?
Si forse dovrei imparare ad essere più egoista,si perché anche in materia ragazze lo stronzo attira di più no?
Sono l’ombra di tutti e la personalità che non vorrebbe nessuno.
Sempre in quattro per tutti e mai sotto i riflettori,pronto a mettere sempre qualcun’altro prima di me stesso.
Ho detto basta..poi con il tempo,con l’età,si incomincia a capire chi realmente vuole starti accanto e chi ti usa e basta.
E anche se fa e farà male allontanate chi vi fa stare male,non vi merita.
Certo è più difficile dimenticare che ricordare,ma dimenticate rancori e persone sbagliate,perché si perdonare è importante,ma non farsi prendere in giro...molto di più.
Non siamo invincibili anzi,proprio chi è più forte è perché si è permesso di essere fragile.
Sapete esiste una tecnica chiamata tecnica del kintsugi,un‘arte giapponese che consiste nel riparare un oggetto rotto valorizzando la sua spaccatura,riempiendo ogni crepa con dell’oro,una metafora per dire che una cosa anche se cosparsa da cicatrici,possa essere così bella.
~F
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seminostorie · 3 years
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Mani d’inchiostro
La tempra di chi scrive è la stessa di chi combatte.
Il gong rintoccò tre volte e l’arbitro gridò “fuori i secondi”. Mani d’inchiostro aveva un occhio gonfio e il naso intorpidito, ma nonostante questo, era in vantaggio ai punti. L’altro non era messo meglio: naso intorpidito, zigomo livido e forse qualche dente che era andato a farsi un giro.
Mani d’inchiostro subì un doppio jab; legò. Dopo il break, si spostò sulla sinistra e rientrò con un gancio dritto sulla mascella. Per l’avversario scese la notte.
Erano dieci anni che Mani d’inchiostro frequentava la palestra e si allenava con regolarità, ma non era mai salito sul ring per un incontro ufficiale. 
Si allenava e faceva sparring con tutti: baby-boxe, amatori, dilettanti, over 50 e anche qualche professionista. 
Ogni tanto incrociava i guantoni in tornei di esibizione, e sempre per una giusta causa. Esattamente come questa volta: “Boxe For Burundi”, con i proventi della serata donati a un missionario locale, che aveva scelto di aiutare quella terra dimenticata dai più.
Lo chiamavano “Mani d’inchiostro” perché amava scrivere e si guadagnava da vivere così. Scriveva di tutto (politica, sport, cronaca rosa, cronaca nera, annunci pubblicitari, racconti, schede di prodotti) e su ogni mezzo (siti web, quotidiani, riviste, brochure, manifesti, cartoline per gli auguri). 
Bazzicava per le quattro/cinque redazioni giornalistiche della città e aiutava alcune aziende a raccontarsi.
Sosteneva che per raccontare una storia ci volesse “coraggio”, esattamente come salire sul ring. E, in fondo, aveva ragione. Non si può più raccontare “il nulla cosmico”: o hai da dire, veramente, o resti al palo. O sai stare nelle mazzate o resti all’angolo.
Una mattina si ritrovò a fare i guanti con un certo “Leone di montagna”, un prospetto locale lanciato a tutta birra verso una brillante carriera dilettantistica. Pronti, via: prese due diretti in bocca. Non fece una piega. Nella seconda ripresa, lo chiuse all’angolo e lo riempì di botte. Leone di montagna andò via carico di meraviglie. 
La notizia fece il giro delle palestre di tutta la regione, e gli appassionati di pugilato iniziarono a chiedersi chi fosse questo Mani d’inchiostro. Lui, dal canto suo, evitò con cura i riflettori di quelle settimane, sapendo bene che di lì a poco sarebbe ritornato un perfetto sconosciuto. E così fu. 
Dopo qualche anno, venne riconosciuto da un vecchio giornalista in pensione, un tale “Brontolo”. 
Brontolo era un appassionato di pugilato e ne aveva vista passare di acqua sotto i ponti; o di pugili salire e scendere dal ring.
Lo avvicinò al parco, mentre Mani d’inchiostro guardava le anatre giocare con gli anatroccoli nel laghetto. Gli chiese come mai non avesse mai combattuto. Domanda inevitabile.
“Sai - rispose - o ce l’hai o non ce l’hai; la vocazione, intendo”.
Mani d’inchiostro era così: amava la boxe, ma amava ancor di più scrivere. Anche le lunghe passeggiate lo rasserenavano molto. Se non altro, lo aiutavano a mettere a posto i pensieri. 
Eh! I pensieri… magari non aveva la vocazione, ma di pensieri ne aveva tanti. Nessun rimpianto, nessun problema, solo tante cose a cui pensare.
Probabilmente, aveva trovato un suo equilibrio: le lunghe passeggiate servivano per mettere in ordine i pensieri, la scrittura per dargli voce e la boxe per allontanarli, almeno per qualche ora.
E per fare tutto questo, non ci vuole un gran coraggio? Io penso di sì, proprio come chi combatte. 
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darthdodo · 4 years
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Ecco perché a questo bastardo non manca la mamma..
Premettiamo prima di tutto che la principessa Diana Spencer discende dallo stesso sangue bastardo dei Churchill ma non proprio plebeo, come quella trombona rimbambita e bombardona di Kate Middle-Class ( Catherine Elizabeth Middleton )
INFATTI.. Gli Spencer erano emersi come una cospicua famiglia della nobiltà terriera del Northamptonshire a partire dal XV secolo, accedendo alla nobiltà all'epoca degli Stuart[10]. Henry Spencer, I conte di Sunderland morì nel 1643 nella battaglia di Newbury combattendo per Carlo I nella guerra civile inglese; suo figlio Robert Spencer, II conte di Sunderland, fu lord presidente del Consiglio durante il regno di Giacomo II e il figlio di quest'ultimo, Charles Spencer, fu a sua volta lord presidente al servizio di Giorgio I. Il matrimonio tra il conte di Sunderland e lady Anne Churchill portò alla famiglia Spencer il patrimonio e i titoli Churchill. Si formarono così due famiglie, quella ducale di Marlborough, che nel 1817 assunse il doppio cognome Spencer-Churchill, e quella che assunse il titolo comitale di Earl Spencer: da quest'ultima discese lady Diana Spencer, principessa del Galles, figlia dell'VIII conte Spencer. (fonte Wikipedia)
Per quindi non è difficile ritenere la suddetta  Diana Frances Spencer un caso del destino, un modello intramontabile di integrità.. di genuinità, un autentico esempio di bontà, gentilezza, semplicità “DISUMANA”, e spontaneità laddove esisteva nelle condizioni favorevoli che la sbocciarono in tutta la sua fottuta riconoscenza che una puttana mantenuta nei soldi infiniti può emanare, e se non fosse per quel minuscolo quasi insignificante dettaglio che se vogliamo.. non è che le briciole e la nullità di suo marito o nient’altro che la polvere altruista che sollevava un oggetto sessuale votato all’ultimo assalto per farsi strada e nell’artefatto di una signora che oggi sguazza avvizzita seppure rispettabile nell’anonimato tra le arie di una codesta chiamiamola così rendita da arciduchessa porcagliola (nei dintorni della Cornovaglia con capatina in Provenza) come tante languide leggiadrie cagne dello stile libero scassato..
allora quasi nel disincanto, potremmo dire che per farsene una ragione molte di quelle altere letizie e primizie crebbero come bambinaie che si sbattevano come puttane alla tenera età del primo imene coi complessi di Peter Pan e si può capire quasi addirittura la disinvoltura snob che trovava la sua predisposizione naturale in Lady D-Day nell’esserne il suo centro gravitazionale ed universo del suo benessere, dalle idee e nella freddezza precoce, impagabile di un’autentica giostra pelvica spaccata nella femminilità che quell’immagine appassionata l’ha spesso cavalcata per decenni tuffandosi dal trampolino in uno stile egoista quanto spesso luridamente strumentale, avventato, carpiato e lievitato, avvitato o svitato, quando non era ritornato rappreso e ruminato, rovesciato e vomitato, e poi raggruppato per essere infine imboccato e rimbambito;
in ogni dove la superbia di una razza simile di parassiti può arrivare quando si fotte con tutte queste maiale crogiolate e abbronzate, strafogate sotto il sole dei tempi morti, dei tempi lenti, dei tempi perfetti e dei diletti intercontinentali diluiti nella vorace certezza che ogni ostrica ha conservata nella sua perla in ogni collana indiamantata, incastonata, infarcita, impreziosita di carati fino alla lucida consapevolezza che le illumina nella misera reputazione di cannibali e carnivore predatrici falliche e che anche in questa fottuta Lady D-Day ha ammirato i confini dell’oscenità; dove lì colei poteva spingere oltre la volontà stessa estesa ad una voluttà sempre nuova, quella parte più inconscia di fiore di geisha che non appassisce mai e crede di rinascere negli slanci e negli innamoramenti senza rimpianto ne lamento nemmai tormento e negli stridori di chiappe delle più pietose e tristi pieghe che le smagliature e le convinzioni alla fine trascinano con loro inevitabilmente.. in chi queste grazie le volle così e tutte inginocchiate a vent’anni sbocciandole fino all’ingoio di quella personalità in ognuna e in questa trombona nell’ossessione che trova ancora oggi gli scampoli di un mito e il coraggio di chi la difende nella logorrea di veri e propri prostituti mentali paraculi pronti e volentieri a leccarle il tafano per dedicarle una targa o un altro libro.
Nello spirito che mai le mancò o s’arrese davanti alle sfide, neppure se ne accorgesse, quando di fronte alla parabola discendente non doveva distoglierla nelle idee e ambizioni di una vacca divaricata che osava mentire e si atteggiarsi proprio come la sfacciata e ariosa che era col disprezzo dipinto in faccia, mentre sul viso accigliava le solite espressioni di sufficienza sbarazzina e smorfie tracimanti una falsità e una bastardaggine a priori figlie di una manipolatrice finalmente realizzata, e una spregiudicata perfezionista che quando l’occasione e la visione distorta, perversa, smoderata e sempre rivolta a finalizzarci un utile, un mezzo o un fine le consentiva di predisporre ogni cosa proiettava lei nella sua luminosa rosa celestiale, in quella quinta essenza.. e in un assolo che per pura apparenza di essere la bigotta, contorta, artefice protagonista e l’incazzata posa che soltanto una stronza avvilita può provare a dare se non ritorna subito ad accavallare le gambe quando glielo chiedono, magari non apre più le cosce a dovere quando deve fare la carriola nel kamasutra dei padroni d’Europa;
una monade che sapeva e doveva perché voleva accostarsi ad un genere infinito di doppiezza, convenienza, compiacenza infido, infimo, insidioso quant’oltremodo subdolo come intriso del viscido catrame nauseante e strisciante d’esserne nel vittimismo l’altra mater lacrimosa e piagnucolante che la sua mentita spoglia a Parigi non sarebbe mai stata, una manipolatrice che il male lo persegue da arpia capace di far uscire dal suo bozzolo ogni farfallone e incomodo, o intrigo per suggestionare stati interessanti, incoronazioni e scampanate sfracellando il mazzo e il cazzo successivamente in quello zimbello complice e in armonia colla sua maestade reginade tirannide razza nelle aspettative e nell’intuizione di un lieto tragico fine; in quella rinascita combattuta fra divorzi, amarezze, tradimenti e ineluttabili lutti, per trasmetterne l’ideale iconico che ha impresso le mode e la dimensione esasperata di un’esistenza tremendamente imperfetta che spazia e trasuda ogni abitudine informale e ovattata di eleganza a certe incoscienti generazionali che nel fare di questa divina si sono rispecchiate in una rivelazione all’eterna eredità ammiccata, imbonita, rimbambita e accattivante di suo figlio.. nonché nella posata sbiadita da cerimoniale di una mammalucca che ha di fatto inchiodato, incollato, rammollito e insomma e nonostante la sborra, spappolato la normalità di milioni di cittadini, babbani e pecorone e fanfaluche scoglionando nella sua smania di Godiva anche l’esistenza del vostro affezionatissimo alla causa dei santi e degli imbecilli internazionali che a quei tempi e a quel gioco l’avevano per così dire data in pasto ai tabloid solo per eleggerla sul contraltare di una fiaba santificata, osannata, canonizzata, immolata, sacrificata per i versi e alle traversie di una figura materna, patetica, empatica, amante laddove la seppero usare e motivare a diva nell’amalgama e nel carisma che aveva nella capacità di ammaliare di credibilità l’aura di una dinastia sanguinaria, macellaia, caina e sadica ancor di più che trovò pure la maniera giusta di far parlare di se quando scomparve, tastando costantemente nei fili e nelle corde dei deboli, negli spunti giusti per far sparlare nel bene e nel male, nella precisione dei gesti raffinati e cotonati di una soffice controinformazione.. quel che sapevano porgere solo quegli involucri di plastica pisciati di neologismi maestri del trasformismo, servendo più che da spazzatura apparendo, per farla sparire nell’uscita di scena di una mastodontica piovra lesbica medusea più consumata di un attrice coi tentativi e coi tentacoli della sua famiglia che superò nella stessa nella arte dramatica dell’Almà così da calarsi nei trucchi e nel mestiere di chi conosce gli appigli e la tecnica di arrampicarsi negli specchi quando sa pure come comportarsi se c’è da sporcarsi, da rotolarsi nel fango e esporsi all’attenzione e al clamore mediatico dei riflettori rilanciando sempre un osso, o per darsi a quel manierismo ammantato di preghiere e emozioni carezzevoli, svenevoli, ciuccevoli o ad ogni sprovveduto che le cascava ai piedi quando lei concedeva un’intervista.. non si era perfino sgocciolato sopra come un gelato, in tutta quella sua ROYAL stima.. 
Colei che si struggeva cuore e telecamere a furor di popolo arrossendo, atteggiandosi di commozione e natiche coll’emozione sulle guance.. e sulle gote stirate di fresco la cipria che l’hanno salvata da occhiaia e borse liftate sugli zigomi di una nottambula, frenetica e lunatica tutta discoteche e superalcolici, non era che l’alterego che venerava l’immagine di una reputazione costruita sulle mancanze altrui e a proposito che la potevano mettere su quel piedistallo di chi la sapeva lunga e scopriva ogni giorno come sciogliere l’inverno col disappunto, anche quando vi commiseravano o vi dilaniavano l’anima ieri, dovunque e ad ogni occasione si presentasse il conto salato di quelle colpe che nessuna famiglia così poteva mietere senza scontare.. continuando in quella finzione e in quella parte melodrammatica mentre tra un singhiozzo e un sospiro squagliava il fard con le lacrime dell’insinuazione, dell’ostentazione, della malizia e nella perseveranza, di una presenza che spappola ancora oggi i testicoli agli indifferenti, e di quei diffidenti che finivano per convincersi se faceva bagnare persino per il povero orfanello William anche la beata Cristina Parodi, l’esibizione fino al balletto sulle punte che da un eccesso all’altro avrebbe prodotto e massacrato in termini di aspettative ai minimi storici le palle, e i rapporti e la vivibilità di molti mariti, o la quieta normalità di quegli uomini di mondo costretti a comportarsi come padri modello per causa sua e alla faccia di chi per giunta e a discapito di quei cani maledetti ancora subisce teorie complottiste sventolate e sbandierate di vagonate d’amenità e retorica meschina, tra le favole rimacinate della buona notte e per queste madonne violoncelliste, menefreghiste o campionesse di frigidità e frigidura elevate a potenza di sporche sgualdrine e grandi castratrici orgasmiche della mimosa giudicate dalla storia più dei mortacci loro dei loro nonnini.. e inesorabilmente la piaga e la conseguenza di queste spine nel fianco che un impero di favori e tradizioni nella recrudescenza hanno restaurato e legittimato in quel consenso di meretrici e lesbiche bisbetiche che auspicavano una volta ogni semplicità nella famiglia e una vita sugli allori, perfettamente ed esattamente nella piena discendenza e ascendenza e accondiscendenza che ha prodotto i frutti avulsi, e nei seni spremuti quel mosto di viziosi e perversi e mai pervenuti cancri viventi come la metafora di quell’infiltrazione o la metastasi smielata della SOCIELITE’ che si insinua e spartisce privilegi a destra e a sinistra, strisciando, sfruttando e ammucchiando tesori per i capricci di questi ceti e miceti avvampati di certa felicità puttana che investe i profitti nel mercato nominale incominciando dallo slancio di un controllo autocratico per imporsi alle quote di maggioranza di un rilancio che il prestigio di questa categoria di signorili industriali e armieri con le mani nelle marmellate di comitati e di potentati che affermano le ragioni di una lobby petrolifera, diamantifera, e delle terre rare, stabiliscono cos’è lecito se il primo coglione che si alza una mattina per impadronirsi di tutto è disposto a scalare le vette e i lotti di un espropriazione, disintegrando tutte le conquiste della libertà, in quella forma di proprietà che vivacchiano, vi circondano e che vi ospitano nei lidi dell’estasi.. dell’estate che appartiene oramai solo alle prospettive lussuriose e lussureggianti di quello spazio vitale hitleriano, fatto di ecosistemi incontaminati, bonificati e cementificati sospesi a mezz’aria come giardini pensili nel benessere e nella brezza e la salsedine o nel profumo di quei vigneti rigogliosi colle cantine e le sinuosità di quelle colline che a perdita d’occhio si stagliano all’orizzonte tra terrazzamenti, e appezzamenti, e fra campi sterminati di Lavanda e culture autoctone a denominazione d’uve pregiate o d’origine protetta.. dalla Biscaglia fin laggiù in Borgogna e dalla Provenza alla Toscana.. e in ogni lago e ogni ogni dove rappresenti e ricrea i suoi castelli, le sue baite, i suoi ritrovi e i suoi casini o casinò, o nei bordelli ad alte quote sulle Alpi ammantate di bianco Natale fino a Pasqua dello strafotto cantonale, e nei luoghi dove rilassano il culo certe languide fluvie e gli istinti di certi puttanieri si accendono cogli stimoli e gli abbandoni di parentesi nudiste dove i piaceri si incontrano e albergano come sguazzano tra mille grazie di troie devote che ogni piscina a sfioro desiderano con vista mozzafiato da Patrasso al Mar Nero, e che dalla Tunisia al Mar Rosso fin laggiù a Famagosta compiono il loro balzello ovunque al destino per cui questi paradisi dei sensi esistono e possono servire queste supine prede carnali vittimizzate per rinfrancarsi e rincuorarsi e ripagarsi d’agio del disagio altrui e dal malincuore che solamente il senso compiuto di riservarsi un coperto ai circoli esclusivi e innominati Nizzardi, Girondini, Meneghini, Ginevrini, Parigini, Londinesi può placare.. e spiegare angoli di paradiso disseminati dalle Alpi alla Dalmazia fino alle isole del Mediterraneo che i buoni propositi condonati e sparpagliati tra questi ecomostri hanno risparmiato, nell’iniziativa di ghettizzare ogni vivibile possibilità di movimento, e nell’ostentazione a buona pace e nella giusta regola di entrare in ogni aspetto della vostra esistenza..
dall’invadenza e nell’arroganza immane che introdusse l’avidità come parametro dello status e diritto d’appartenenza nella sete di questi arrivisti dilapidò ogni sorta e forma di risparmio ..dagli anni 80 in poi per segnare lo spartiacque e il rinnovamento di quella stagione fatta a immagine e somiglianza di William e di suo padre per soggiornare ad una quiescenza esistenza spensierata, scialacquata, disinvolta e fuoriporta con visto sul passaporto e alle destinazioni svampite dei viaggi di una zoccola senza rimorsi come Lady D-Day, sull’agenda e sulle carte di credito delle medesime tappe che un pontefice itinerante come Woytila sapeva concedersi, e che pure quella cosiddetta borghesia o socialité dalla Dakar in una “normale destinazione esotica” poteva regalarsi, al modo in cui il tenore si riappropriava di una dimensione protetta, quasi familiare, quasi ideale e nel fine di blindare, precludere pur liberalizzando, per riscoprire le mete e quei luoghi o spazi appunto a dimensione di bambino a cui le nostre leggiadrie non potevano e non possono tuttora rinunciare.
Per colpa di William ..e per colei che invocava i fantasmi che sarebbero stati somministrazione col contagocce di un’inesauribile visione catastrofica, imprevedibile, inenarrabile dove utopia è l’illusione si mescolavano assieme nell’evasione dalla realtà.. e dove fenomeni inspiegabili come le mafie, Chernobyl, le guerre nei Balcani e il terrorismo sovvertivano gli scenari della sfiga per atterrirvi fino alla rinuncia appunto di tutta quella libertà.. ogni parentesi esaltata si dischiudeva da uno spettacolo pallonaro mondiale ad una Disneyland che apriva adesso alle tradizioni d’altura, alla portata delle tasche di tutti e di quelle famiglie soprattutto che sprofondarono intanto nella paranoia che l’agone e il magone della paura in quello spettro d’incertezza e d’invivibilità aveva previsto; soprattutto in quegli anni che per le adunanze di sorellanze femministe furono tutto e una parabola scanzonata, del vizio fatto la virtù oltre l’eccesso, d’invidia e il sudore del cazzone sulla fronte spinto nei meriti di quelle Carlà, Naomi, Moss, Castà che ad ogni calcio in bocca che diedero o ricevevano mentre si alzavano sui tacchi, e per ogni palpata sui seni eburnei e mansueti e muliebri ..zavorravano litrozzo dopo litrozzo labbra e davanzali di reggiseni come chiatte di silicone spianando gli inestetismi della cellulite coi laser e coi miracoli della prodigiosa chirurgia estetica, giacché col fotoritocco digitale e con le grinze fuori gioco adesso e a suffragio universale per le saffiche principesse sul pisello, che tante amicizie aride da anatre fluvie vantano con le troie glaciali Amnesty, avevano nuova linfa e rivali siffatte e motivate da ridurre come loro a delle bambole turgide col Rolex e un difetto da scatto di nervi.. Modellissime dello Star System in coma da pompini, nottambule e sonnambule, modaiole oltrechè festaiole e incallite verginiste capezzolate di voglie erogene pure sulla Giudecca.. che come cosmopolite dalle cene parigine russe londinesi milanesi newyorkesi venivano catapultate alla ribalta calendarizzando e proclamando l’inno alla gioia che si spogliava come per immortalare la loro fottuta leggiadria e candida per sempre da quel giorno rivendicandone diritti nel loro corpo in quel sogno edipico d’emancipazione libertina che le avrebbe innalzate agli attici di liberte maggiorate e masticate permettendogli di pianificare ascese e amplessi annaffiati di bollicine e uccellaggioni ritagliate sui favori di quelle grandi castratrici orgasmiche che si mantenettero nel primato e col mestiere dei più vecchi e abbeverati anni che le aveva fatte il simbolo dell’euforia e dei veri altari carnali come uniche e inimitabili buttane aristocratiche.. eterne troie col fabbisogno nell'ugola e il sogno di cagne colla fame del mondo assetate ogni giorno e anche di notte di cazzo umido anche a colazione e che più di queste millenarie sulle rotte intercontinentali di un mercato ricreato apposta per loro le transumava dal secolo che fu delle guerre mondiali all’insediamento e all’ inseguimento dei monopoli cambiando pelle e tramutandole per sempre in altere femmine stupefacenti insaziabili e impellicciate su ogni passerella o sfilata della fashion-week ad un rinascimento bestiale che ora più di prima col desiderio alla portata di ognuna gli si offriva ad un JetLag fatto di soggiorni, tempi lenti, shopping sfrenato e Traviate e crociere mordi e fuggi senza elemosinare più uno strappo sullo yacht del magnaccia, o tirarsi nel codazzo degli amici di questi cazzoni meno signorili e venerabili di questi cessi coronati e perché le ha inaugurate alla delizia e alla maniera di un ozio.
Un’epoca di distensione, di cagne distese, di generazioni distratte e concentrate nei discorsi e nelle interviste di queste divine odalische piene di se che rilasciavano e ruminavano ogni dire sui cazzi vostri quando ancora non esistevano i Reality, e il Royal Style Look era solo un bracciale al polsino.. così che nel 2021 a distanza di 24 anni da questa tragica dipartita ( poiché per tutti è lei è una vittima di femminicidio proprio come Reeva Steenkamp subì a causa della sua fama o fame) dobbiamo più che una lapide a Lady D-Day e forse più che un mausoleo, sospeso in un cielo di schiaffi e di pernacchi.
Il pretesto che certi autori registi televisivi paparazzi, signorili scesi a patti e ai compromessi in un innumerevole schiera di scribacchini lecchini nei tabloid hanno trasformato nella droga ad uso e consumo delle masse, che resuscita dall'oltretomba in ogni sfilata VALENTINO, VERSACE, GUCCI o PRADA quella leggerezza primavera estate e quella sufficienza fino all’idiosincrasia a questo  anniversario che da una puttana con l’abito nel pizzo lo indossa vuole anche una modella francese col dito nel coù-coù per celebrarlo a ricordo di questa mignotta col suo CLAN DINASTY nel genere limite e mostruoso dove nessuno riesce a intravedere le ragioni reali e una luce di speranza che li motiva assieme ad una fetta nutrita di fanghi che li ha tirati sulle spalle fino a trasformarli in esseri irraggiungibili, con la mezza certezza e quella poca verità, che mille versioni ufficiali, surreali, incestuose, pseudo-sanguinose o oltraggiose non hanno mai chiarito si nella sua presunta morte.. e sia a riprova di una fottuta Lady de Winter dove e quando per lei sono stati gli spunti e la ragion pura di quelle teorie pratiche che come lei chi le spinge negli scrupoli di queste teste di cazzo coronate, le fa sue per stare al gioco di un mondo spietato laddove conta ognuno che arriva solo se riesce a far desistere subito nel pensiero chi gli sta attorno o ancora col fiato sul collo per farlo abdicare..
Dove ieri imperava un neocolonialismo e nei suoi meandri la lucida consapevolezza di incasinare il mondo, quella padronanza di agire Lady D-Day la imparò anche sulle sponde di quella spiaggia Gold, dove visse e trascorse in una tenuta molti anni di abbronzature e passeggiate sulla battigia e nei pressi di quella striscia sabbiosa dove morirono decine di migliaia di inglesi sotto la pioggia termobarica e a Giugno i gabbiani reali nidificano, oggi non si contendono più i resti di quelle spoglie carbonizzate, dilaniate e sbrindellate per sfamare le loro covate, ma vicino a quegli alberghi che i figlioni frignoni di quei marescialli dell’aria si sfamano con l’aria fritta e la frittura di pesce e malgrado me e chiunque come me se la racconti abbastanza nel frattempo che se sa come stare al mondo non se la beve troppo intanto con quel pò di buon senso che gli resta o amor proprio che gli scorre ancora nelle vene.. l’ultima sfumatura di questa vittimista.
Ad ogni voltagabbana che la usa maldestramente nel sempre e nel solito ritratto della femminilità, svuotandovi nel ciò che vorreste essere.. in quel barlume che vorreste intravedere, rinsavire, sapere o sentire.. gettandovi palate e vagonate e pallettate di autocommiserazione trovando nella vostra delegittimazione e poi nella vostra supina immaginazione il rifugio della mentalità distorta e della constatazione che fanno la gioia e la scusa di queste lesbiche malate per adorare questi pazzi; protetti dall'autostima e dalle possibilità che solo un’iniziativa danno, negli ardori opachi tra i vizi e gli anni di pose e foto di cortesia, a favor di scatti rubati alla loro “intimità tormentata” dalle telenovelas e negli schianti che non offuscano mai i loro orizzonti, ne hanno nelle prospettive rimpianti o sconfitte quando divengono la piaga tremenda di questa Gently,  che negli sforzi e nei complici ha i media e i numeri per convincere la storia stessa di quello che non è mai accaduto; ma che nonostante questi cani comunque non riuscirà mai ad ammazzare la speranza che la forza dei fatti come la potenza di ogni parola li può ancora ferire.. e far sanguinare dopo 80 anni
Per questo e nonostante le vaccate e gli spunti che permettono di preparare nozze e cozze di 30 anni suonati a lune di miele sdolcinate per stramazzarle coi divorzi annunciati, preconfezionati e conditi alle pause e ai tempi celentani della dramatica o dell'estetica queste Royal-Bitches studiano ad Oxford e a Cambridge.. passando per la Sorbona e la CaFoscari a Venezia..
E nonostante questo e nel mare che corre tra il loro bene e il vostro male sembrano intoccabili sull’onda portante delle loro passioni animali anche nelle tempistiche quantomeno esasperate, in quel limite brutale e brutto da capire per i figli quando crescono e si confrontano con un mondo reale che li mette sul fatto compiuto e gli trasmette il cancro vivente, moribondo di un‘appartenenza che è recrudescenza e lievito in ciascuno di loro e davanti agli anni della giovinezza li sorregge leggeri e al massimo delle belve incontrastate che sono quando riempiono come monumenti di devianza o nei recipienti di imitazione dei loro amici le ore di disagio cogli illustri e i venerabili vecchini tra i salotti e le esperienze artificiali che hanno sempre l’appetito e il chiodo fisso in quelle camere da letto della sana consuetudine di dare sfogo alla violenza passionale sverginando e penetrando ogni vittima mansueta mentre danno libera vitalità agli istinti e alle pulsioni nel cuore di quelle fragili gioie che gli si abbandonano come prede carnali indifese all’orgasmo accarezzando la grazia che le fan fanciulle docili, facili e pronte come tele da lacerare, da vittimizzare da ammirare nelle irrefrenabili ripassate a colpi di pennello e delle anime da stuprare, da iniziare e da perpetuare.. ancora nel più brutto ricordo da rivedere.. da rivivere nelle loro abbrutite smorfiose aiuole figliole, nell’interminabile supplizio che diviene l’escalation di una verità difficile impossibile da ingoiare, da inculcare, da inginocchiare se nel frattempo quando questa politica di cose mal gestite non giustifica affatto tutti questi dissennati, e nel bel mezzo dell’imbarazzo resta il senso ameno di apparire buoni.. tiepidi cosìcché accade nella riprova e nel disgusto della dimostrazione di cosa è ludibrio e a quale impagabile figura materna sia capace di riflettersi e piegarsi un abietto e inconfessabile significato del fabbisogno inteso col tipico senno del poi che s’accorge troppo tardi di cosa é violenza o di chi sputando in faccia ad una generazione che ha tenuto gli occhi ben chiusi e ha ben poca dimestichezza con la crudeltà di certo sangue marcio, lurido, insalubre ha rappreso un pubblico che voleva ieri come oggi sempre affamato di essere e nel benessere aspetta degli anni o si accosta alle rime (come nelle fiabe) spesso e volentieri nella medesima ragione di compiacere.. farsi abbindolare.
Quelli che furono la mediocrità plebea e i gesti decresciuti.. subissati dagli Influencer o dal gossip nudista che tutto mischia nel mazzo del faceto per quanti idioti sanno crogiolarsi al sole e alle sfacciate di queste burattine mascherate, nell’indifferenza rinchiusa supina e strappa-applausi che quel ricamo sull’orlo l’ha cucito dove aumenta il clamore e l'interesse per queste maiale tiranne reginadi dinastiadi d’oltremare d’altri tempi e per quante come lei si sono rivalse sia nelle radici che la sua legenda ..quel che ha di regale nella sua appartenenza i tratti e la qualità nel vezzo un passato per fare presenza, è il domani e l’avvenire di amministrare le figlie concubine indispensabili di una famiglia allargata all’inverosimile che già nel suo ceppo ha l’inclinazione e nella predisposizione l’estetica naturale ad usare i tempi dell'agguato.. dell’esproprio.. dell’inganno ..per mentire senza chiedere scusa a nessuno mentre forzando lo spirito verso quella convenienza fatta tutta eleganza e personificazione.. si congegna l’espediente di una lucida ambizione fissata nella stella polare che ogni idea illumina di emanazione e gaudio e perseveranza anche quando trova nel lutto l’acme e il suo luogo per sfruttare a proprio vantaggio l’immagine vincente da tramandare accanto ad un marito oggettivamente fesso..
un partito se vogliamo Charles
che disponeva of course senza troppi biasimi già prima di conoscerla di un’assortita  panchina lunga di TROIE e prime scelte o “puttane titolari”  tra la FRANCIA e l’INGHILTERRA in perizoma.. piegate al TURN-OVER del furetto Charles che coi suoi AMIS avvenne nel diletto di inginocchiarle tutte e farle ognuna vittima sacrificata sull’altare pelvico del suo cospetto: Charles Philip Arthur George Mountbatten Windsor è stato tutto fuorché un esempio di Boyscout o fedeltà coniugale anche se per se e malgrado non fosse altro che la brutta copia di sua moglie dovette divorziando (in coscienza sua e nell’incoscienza in disparte) mantenere un basso profilo per avere avuto lei e comunque tutto il tempo di svezzare, crescere e iniziare i SUOI FIGLI.. assieme a LEI 
restandole sempre complice.. e vividamente vicino
Ogni neonato quando nasce e fissa le prime immagini del mondo che lo circonda all’età di 2-3 mesi, incomincia a distinguere forme, colori, facce, l’odore della pelle di sua madre, sensazioni grezze impalpabili come la salsedine o l’aria di campagna, quel climaterio frizzante e quelle nette carezze emozioni perfino nelle sensazioni inconfondibili della sua terra, della sua casa, nel clima dove percepisce il tepore della primavera, e addirittura incomincia a orientare lo sguardo distinguendo lo Sky-Line di una città come Parigi, o riconosce sua madre tra quelle facce di culo che non assomigliano per niente a lei, quelle suore di Biarritz col velo grigio, e i molluschi della Gendarmerié appuntata sui canali dei Carabinieri.. 
E purtroppo connotativamente tutto questo va in malora quando quel cervelletto si abitua pure alle facce di culo menzionate, perciò se il povero William fosse stato allevato da una madre diciamo putativa.. Lady Diana, all’età giusta sarebbe stata la ragione per essere informato da suo padre che la sua vera madre biologica è il meno FIVET-tato e sfortunato rovescio della medaglia che Henry invece rappresenta e che nel nasconderlo non avrà mai ragione d’esserlo per come l’ingombrante illegittimo erede di suo fratello, sia nella successione e sia come cocco-bello di suo padre (per via di sua madre Diana) la piega e la piaga nonostante tutto e quella disinvoltura che ha disinibito al pari di suo fratello la pratica del male e uno sport di travestitismo Nazi.
Di qui la povera LADY D- DAY assomiglia ad un pagliaccio per quante arie s’è data e per quanti sforzi abbia inscenato o oscenamente cercato di illudere apparendo convincente, dall’81 quando sposò e posò accanto ad uno scopofilo, un sessuomane da circa 15 anni, un puttaniere incallito fino all'estate di quel tragico 97 quando si diede alla macchia e per tutti quei cretini che ancora oggi la ricordano tramutò un’icona immortale di stile in una ricca e tranquilla pensionata rendita dalle parti di quegli stronzi in Normandia sulla spiaggia delle retoriche ammazzate dove le ondate di soldati Ryan inglesi s’infransero e trovarono la morte a causa della sua razza Coburgo-Churchill.. E nell’agio di una signora sessantenne che se la vive e se la spassa per ridere nel più totale anonimato irriconoscibile ai paparazzi che proprio grazie a lei si sono realizzati e grattandosi la schiena a vicenda come fanno le scimmie le hanno fornito l’alibi perfetto e l’uscita di scena più memorabile che questa maledetta abbia mai sceneggiato.. per lei, e per la causa di una dinastia, quella più bastarda d’Europa: Sassonia-Coburgo-Gotha, campione del piffero, nella praticità che doveva ridarsi lustro, vanto, rimanendo l'impressione e il ricordo indelebile della sua apparenza.. per sempre fissata in quell'acconciatura corta ben tenuta  nascosta tra le mode di quei cappellini ..e abbondantemente ossigenata per non tradire il riflesso meno biondo-castano e per non farsi mancare il vezzo chic e quella scappatoia che la sua stirpe maledetta di sotterfugi e luride passerelle ha lasciato ai posteri in ogni lettera scritta di suo pugno e in ogni chiacchera data in pasto per conto suo da quell’anatra anale e giuliva Middle-Class alle sue cortigiane.
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tmnotizie · 5 years
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ASCOLI PICENO – Un poker di produttori scelti per rappresentare le Marche del buon bere all’interno di Casa Coldiretti, il grande stand allestito di fronte all’ingresso principale Cangrande della Fiera di Verona. Dai grandi autoctoni alla scelta bio fino agli under 25 nei 4 giorni di manifestazione, al via domani (domenica 7 aprile) ci sarà la possibilità per i vini delle province di Ancona, Macerata e Ascoli, scelti per l’occasione, di raccontare la regione in un bicchiere. Degustazioni con abbinamento di piatti elaborati dagli agrichef di Coldiretti. Ecco il programma:
Domenica 7
Spazio ai vini da vitigni autoctoni per mettere in luce la grande biodiversità vitivinicola nazionale, uno dei principali valori del vino made in Italy, particolarmente apprezzato anche sui mercati esteri. Saranno presenti, dall’ascolano, la tenuta Cocci Grifoni di Ripatransone con l’Offida Pecorino Docg Colle Vecchio 2014. A rappresentare la provincia di Ancona, ecco Renato Romagnoli con la sua Lacrima di Morro d’Alba Superiore.
Lunedì 8
La scena è dedicata a vini biologici e biodinamici. Produttori sostenibili, particolarmente apprezzati all’estero, come il maceratese Saputi che, da Colmurano, presenterà il suo Colli Maceratesi doc Ribona 2018. Il biologico nelle Marche, secondo gli ultimi dati Sinab, è crescito come terreni del 9,5% andando a concorrere al primato nazionale che vede le Marche come la regione più green d’Italia per densità di aziende biologiche.
Martedì 9 
Il futuro è nelle mani dei giovani. Tanti hanno riscoperto la campagna e per questo Casa Coldiretti ha deciso di ospitare la “Zeta generation wines & co”: incontro con produttori giovanissimi del vino. Under 25 come Edoardo Dottori che proporrà il suo Collebianco 2017, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico doc.
All’interno di Casa Coldiretti anche incontri e mostre come quella dedicata alle Terre del Vino: un padiglione nel verde per conoscere, vedere e toccare con mano i terreni dai diversi colori, origini, caratteristiche e consistenze che garantiscono ai vigneti quelle proprietà uniche e irripetibili. E anche qui le Marche, con 21 filiere tra doc, docg e igp, un valore di 82 milioni di euro e un export cresciuto negli ultimi 10 anni del 38%, possono ben farsi valere.
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sportpeople · 6 years
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Se per il popolo bergamasco la stagione 2017-2018 sarà ricordata tra le più impegnative degli ultimi anni, considerato il felice ritorno sul palcoscenico europeo e la possibilità di tornare a viaggiare senza obbligo di tessera del tifoso, quella 2018-2019 parte con la quinta marcia ingranata.
Chiuso il campionato scorso con una trasferta (Cagliari) tra le più scomode e costose del panorama nazionale, c’è poco più di un mese di tempo per tirare il fiato e poi è già l’ora di “tiras inséma”, come si dice da queste parti. Gli impegni in calendario, a causa della riammissione del Milan in Europa League per mano del TAS svizzero, sono infatti di quelli da fare tremare i polsi ed il portafoglio, e soprattutto da fare saltare (o quasi) le vacanze.
Così nel giro di quaranta giorni si sono susseguiti nell’ordine: sei giorni di Festa della Dea (tornata dopo due anni a fare incontrare, divertire e… dissetare Bergamo & provincia, con tutto quello che comporta l’organizzazione “prima, durante e dopo” di un evento del genere), due partite dei preliminari di Europa League tra le mura amiche (cioè a circa 200 km da casa), una trasferta a Sarajevo (in pullman) ed una trasferta a Tel Aviv (in aereo), senza dimenticare poi l’esordio di campionato contro il Frosinone (di lunedì sera, per non farsi mancare nulla), la presentazione della squadra, le prime amichevoli, le nuove battaglie sul fronte del “codice etico” e, infine, la partecipazione alle esequie di Titta Rota, giocatore ed allenatore simbolo dell’Atalanta che fu.
“Siamo tutti con Claudio”
Al netto di prevedibili discussioni con mamme, mogli e fidanzate per avere dedicato un’estate intera al “folle amore nostro”, gli “scècc” (ragazzi) tornano al Mapei Stadium anche in questo giovedì 23 agosto per la partita con il Copenaghen. E con loro, mi piace evidenziarlo, tante, tantissime “scète” (ragazze) che vivono la Nord con passione ed impegno, ricoprendo ruoli forse meno visibili ma non per questo meno importanti. Provate a dire loro che non si possono mettere nei primi dieci gradini: se siete fortunati vi prendete un sonoro “…ma inculet!” ma potrebbe andare molto peggio…
Sull’argomento, se mi è consentita una parentesi per esprimere un pensiero del tutto personale, credo che l’ormai famoso volantino distribuito nella curva laziale abbia affrontato una questione in parte giusta ma con un approccio sbagliato. Affermare che la curva è un luogo sacro, con regole, codici eccetera eccetera è senz’altro opportuno nel mondo (ultras) odierno, dove l’apparire virtuale/digitale (ad esempio l’uso e l’abuso di selfie, social, chat, ecc.) imperversa, ma pensare che il rispetto o meno di quei gradoni e dei valori di cui sono pregni possa dipendere esclusivamente dall’essere donna o uomo mi pare francamente una sciocchezza, e lo dico con tutto il rispetto e con la simpatia che ho per gli Irriducibili, soprattutto per quelli dei primi anni di vita. Più che una valutazione legata ad un fattore di genere, e quindi in sé un po’ stereotipata e superficiale, penso che, sempre, vada valutata la persona, e dunque stando al tema la sua mentalità, l’abnegazione e l’attaccamento ad una squadra, ad una maglia, ad una curva, ad un gruppo. Conosco donne che vanno in curva da quarant’anni, che hanno macinato kilometri e si sono “sporcate le mani” quanto e più di tanti maschietti, per i quali magari il vivere ultras si è rivelato poco più che una moda passeggera. Di più: conosco ragazze e donne che non solo si sono guadagnate il loro posto nei direttivi dei gruppi e sulle balaustre delle curve, ma che potrebbero tranquillamente stare nelle prime dieci file di un corteo, oppure (perché anche questa è mentalità) che sono in grado di capire qual è il momento in cui non devono più stare lì. Volendola liquidare con due slogan, quindi, meglio delle donne “con le palle” che degli uomini muscolosi, perfetti nei loro vestiti rigorosamente trendy e griffati ma che poi “sotto il vestito niente”. Detto questo, la montatura mediatica a cui abbiamo assistito è stata esagerata ed a tratti infame e, come spesso accade in questi casi, strumentalizzata per gettare fango su tutti e su tutto ciò che ha a che fare con l’universo delle curve.
Il contingente danese
Torniamo a noi: se il colpo d’occhio che regala la Tribuna Sud è di tutto rispetto una parte di merito va anche riconosciuto alla società di Percassi, che nuovamente ha messo in prevendita i biglietti al prezzo ultrapopolare di 10 euro. Una scelta, quella di premiare la passione pur a discapito dell’incasso, a mio avviso molto apprezzabile e tutt’altro che diffusa.
Al cospetto dello striscione “SIAMO TUTTI CON CLAUDIO”, che almeno oggi non pare avere avuto divieti od ostacoli, i neroazzurri partono a testa bassa e provano subito a sfondare: l’intensificarsi della manovra orobica è accompagnato dal coro “Vinci per noi magica Atalanta” che conquista progressivamente decibel su decibel e a tratti contagia la tribuna coperta.
Sugli scudi il Papu Gomez, ma anche Pasalic sembra in partita, mentre pare faticare ancora Barrow nel confronto con avversari che hanno un fisico e un’esperienza diversi da quelli che lo contrastavano, fino a pochi mesi fa, nel campionato Primavera. Si gioca ad una porta sola ma, un po’ per i meriti del portiere Joronen ed un po’ per l’imprecisione dei bergamaschi, il risultato non si schioda. Né ci si può lamentare del goal annullato alla mezz’ora, perché quando lo stesso Barrow devia in rete il tiro del capitano, ha mezzo corpo oltre la maginot danese.
Si alza un “Copenaghen vaffan…” che ha il sapore di uno sfogo rituale e che, a giudicare dai gesti di risposta, il manipolo di ospiti è riuscito a tradurre. Non sono esperto del tifo di quelle fredde lande, per cui non so dire se il numero di presenti sia da considerare deludente o meno. Mi attengo ai fatti: cori sporadici, qualche battimani e delle belle bandiere che ogni tanto sventolano. Il minimo sindacale, insomma, è stato garantito.
“Menti Perdute” Ternana
Le schiene sudate dei lanciacori luccicano sotto le luci dei riflettori, nemmeno i minuti di time-out accordati dall’arbitro fermano l’incitamento vocale e, anzi, si alza un vibrante “Noi vogliamo questa vittoria!”.
I minuti passano e si registra qualche timido tentativo dei danesi di uscire dall’assedio, anche perché l’undici di Gasperini deve per forza tirare un po’ il fiato. Il tabellino non cambia ed il “Forza ragazzi” che accompagna il ritorno negli spogliatoi è quasi scontato.
Si riparte con la sostituzione di Zapata per Pasalic, mentre a bordocampo si riscalda anche Cornelius tra l’incitamento della curva. La mossa del mister infonde nuova linfa all’attacco orobico ma il copione sostanzialmente non cambia: i danesi sono chiusi nella loro metà campo, le opportunità da rete si moltiplicano ma il goal non arriva.
Nemmeno l’artiglieria pesante, che vocalmente parlando è il “Forza Atalanta Vinci Per Noi” urlato a ripetere, riesce ad essere decisivo, così come nemmeno l’ingresso in campo all’80° di Cornelius (applaudito anche dai connazionali presenti sulle tribune) al posto dello stremato Barrow cambierà il risultato. L’assedio continua fino al triplice fischio ma la porta danese si conferma stregata e resta inviolata… e tutto sommato bene così, perché se fosse scattata la regola del “goal sbagliato goal subito” sarebbe stata un’autentica beffa.
Finisce dunque con uno zero a zero che fa recriminare i bergamaschi per la mole di gioco e di occasioni prodotte ma che lascia aperta la strada della qualificazione alla fase a gironi. Le due formazioni, ovviamente con animo diverso, salutano i rispettivi tifosi a fine gara.
I danesi intonano un coro sulla melodia de “L’estate sta finendo”: ai neroazzurri interessa poco l’arrivo dell’autunno, l’importante è che non finisca l’avventura europea…
Lele Viganò
“Siamo tutti con Claudio”
“Menti Perdute” Ternana
Il contingente danese
Atalanta-Copenaghen, Europa League: e la chiamano estate Se per il popolo bergamasco la stagione 2017-2018 sarà ricordata tra le più impegnative degli ultimi anni, considerato il felice ritorno sul palcoscenico europeo e la possibilità di tornare a viaggiare senza obbligo di tessera del tifoso, quella 2018-2019 parte con la quinta marcia ingranata.
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ginevra-malcolm · 8 years
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Chapter 10 - Frenchmen Street
Nora
Nora Keaton è uno di quei nomi più o meno noti nel mondo legale. Non così tanto come ci si aspetti ma, il caso principale che l'ha vista al centro dei riflettori, è stato quello su Noah Atkinson condannato dal Tribunale della Louisiana alla pena di morte e lei è stata catalogata – per un lungo periodo – come l'avvocato delle cause perse per il suo modo di accanirsi sul suo cliente, tentando in ogni modo possibili di scagionarlo ben consapevole della sua non colpevolezza. Ed è per questo che è sparita da New Orleans per un lungo periodo, quello necessario per tornare a calcarlo con maggior convinzione. Un po' come cammina velocemente al momento per le vie della cittadina e, in particolare, lungo la Frenchman Street tra il suono di qualche gruppo jazz e il calore del Mardì Gras che continua a tempestare ogni angolo di NOLA. La gente è fin troppa, il casino anche ma, a quanto pare, per lei non è un grande problema tanto da riuscirsi a ritagliare più di uno spazio tra qualche turista e un paio di tipi mascherati da indiani d'America. Scivola sulla sinistra, praticamente quasi attaccando la spalla ad un vecchio palazzo, pronta a sgusciare via ben oltre quel gruppo più o meno a metà di quel percorso e non troppo distante da un vecchio bar tipicamente anni cinquanta con un'insegna di legno al di fuori. Il passo di Miss Keaton è veloce e per niente insicuro su quelle decoltè nere dal tacco non molto alto ma che le serve per sollevarsi al di sopra di quello scarsissimo metro e sessanta centimetri che si ritrova. Un completo bianco firmato da Chanel in un pantalone a palazzo e a vita alta composto da un tessuto incredibilmente morbido come lo è la casacca al di sopra; una linea che nasconde perfettamente le forme burrose di un corpo non proprio da modella come dimostrano i tratti in carne del proprio corpo che vengono sottolineati appena, da un impermeabile nero a maniche lunghe e stretto in vita da una cintina nera con un fiocco laterale. Capelli neri sciolti lungo le spalle, dove una frangetta pare nasconde appena uno sguardo incredibilmente velato di una lucida vivacità in uno smeraldo infinito. Un trucco ridotto davvero all'osso e di cui resta solo una piccola traccia di Eyeliner. Labbra a cuore e dei tratti concilianti del viso, mentre le mani sono nascoste all'interno delle tasche dell'impermeabile. Le spalle leggermente piegate in avanti e il respiro un po' più corto; probabilmente sta camminando così da un bel po' di tempo.
Ginevra
Esce di casa praticamente di corsa, si ritrova in strada e si ferma per chinarsi ad allacciare una scarpa che, in tutta probabilità, non ha fatto in tempo ad allacciare prima. Indossa un paio di pantaloni a palazzo che arrivano appena sotto il ginocchio, a righe verticali di due sfumature di verde, sopra una camicia dal taglio femminile rosso bordeaux i cui primi bottoni sono lasciati aperti. Le calze sono dello stesso rosso della camicia. Ai piedi un paio di anfibi allacciati, ora entrambi, per metà. I capelli sono raccolti dietro la nuca in uno chignon mal fatto e trattenuto con una matita. Nella mano sinistra stringe la tracolla di una borsa di pelle morbida verde. Ha anche la cravatta, che come al solito è tenuta lenta ad appoggiarsi al petto appena sotto i bottoni lasciati aperti della camicia, diversamente dal solito però, il nodo è scomposto. E insomma arrivata in strada si volta a guardare la porta che ha appena lasciato. Fa un paio di salti sul posto «oh cavolo! oh cavolo!» passa il dorso della mano sulla fronte «questo è un problema grosso!» lo dice saltando sul posto per calcare ogni parola e... si, lo sta dicendo alla porta.
Malcolm
Il giornalista ha appena messo qualcosa sotto i denti, uscendo proprio da quel bar anni cinquanta da cui ci si aspetterebbe che esca esattamente un tipo come lui. Un uomo grigio che ha passato sicuramente i cinquant’anni, asciutto, dall’aspetto curato e un’espressione molto seria sul volto spigoloso. Indossa abiti scuri: un cappotto, con gli interni rossi, quasi dello stesso colore dei pantaloni, una camicia blu scuro e delle scarpe nere lucide. Una volta messo piede fuori dal locale si guarda un momento intorno come a ricordare quale direzione deve prendere. E così si inserisce in quel panorama di gente che festeggia il carnevale cittadino, prendendo a camminare lungo il marciapiede, nella direzione opposta a quella da cui proviene Nora.
Nora
Il cellulare nella tasca dell'impermeabile vibra. Raccoglie il telefonino sblocca la tastiera e legge il messaggio con un sopracciglio sollevato come se, qualcosa, non le tornasse in quelle parole. Si acciglia visibilmente, inclina la testa in avanti e anche un po' le spalle cominciando a digitare con entrambe le mani come una povera scema che ha pochissima confidenza con la tecnologia, magari anche sbagliando una cifra infinita di parole che cancella e rimette «Maledetto traduttore.» aggiunge di nuovo ad un tono leggermente più alto, quel tanto che basta per esprimere pienamente il proprio disappunto. «Ma perché ti hanno inventato?» un altro paio di passi, prima di rallentare del tutto la falcata probabilmente inquietata dalla presenza di Ginevra. Ma non per la povera ragazza (ci mancherebbe pure) ma per il vestiario. Il capo viene girato in direzione della mora, scorrendo una lunga occhiata verso i suoi anfibi e poi da lei alla porta verso cui sembra nutrire un profondo disappunto. Abbasserà del tutto il cellulare, fermandosi al fianco di Ginevra e a due passi da Malcolm che sta venendo nella loro direzione e che, per qualche secondo, si troverà pure ad inquadrare. Arcua un sopracciglio, poi, verso la ragazza «Ti sei persa qualcosa?» ha un tono di voce morbido e piacevole e dove l'accento di NOLA non si sente per niente.
Ginevra
Si rivolge ancora alla porta alzando il braccio con cui tiene la borsa ad indicarla «Ah, ma io torno con i rinforzi!» il tono è quello di una minaccia seria, molto seria «quella casa è troppo piccola per tutti e due!» e dopo poco aggiunge a specifica «... e non sei tu che paghi le bollette!»; abbassa il braccio e afferra la parte bassa della camicia con entrambe le mani per tirarla giù a sistemarla, poi mette la borsa a tracolla ancora fissando in cagnesco verso la porta e solo una volta sistemata la borsa, si volta per guardarsi attorno con tutta l'aria di chi deve decidere dove andare e con una certa preoccupazione ben visibile sul viso. Alza lo sguardo verso il primo piano dell'edificio da cui è uscita, ma esattamente sta guardando il balcone di fianco a quello che dovrebbe essere il suo, dove una grassa signora si è affacciata e le ha gridato qualcosa, le risponde alzando la voce per farsi sentire «No! No e No! Io non ci torno! E' uscito un'altra volta dallo scarico della cucina!» poi con il tono di chi evidentemente lo ha comunicato altre volte senza essere presa sul serio «C'è un nido Maman!» Si gira verso Nora e allarga e braccia con gli occhi spalancati «un ragno enorme! Sarà stato come una palla da baseball! Ero lì a prendere un bicchiere d'acqua e me lo vedo venir su dallo scarico!» sta fissando Nora con l'espressione da "ma ti rendi conto?!"
Malcolm
Il caso sembra non poter tenere lontani Ginevra e Malcolm per più di un giorno, a quanto pare. Perché a quanto pare la sua collega è proprio lì e la sta sentendo mezza New Orleans mentre intraprende quel dialogo ad alta voce con una donna affacciata al balcone. Mentre Nora non è altro che una dei tanti sconosciuti che si incontrano ogni giorno per strada, Ginevra la conosce fin troppo bene e si avvicina cautamente alle due donne. Ancora una volta Malcolm spunta dove e quando meno te lo aspetti, ma a sua discolpa c’è da dire che da lì ci passa spesso, solo che non sapeva fosse – a quanto pare – la casa di Ginevra. O meglio quella che condivide. Il grigio e distinto signore si accosta quindi alla scena in questione, alzando anche lo sguardo verso l’alto, al primo piano, per individuare l’interlocutrice di Ginevra. Lui viene dalla parte opposta a quella dove sta Nora quindi presumibilmente Ginevra potrebbe non notarlo, mentre taglia le distanze con lei, alle sue spalle, e fermatosi ad una breve ma rispettosa ed innocua distanza: «Si quieti, Miss Durand» la invita con tono saldo e austero, le mani infilate nelle tasche del cappotto, lui materializzato lì dietro, dritto e statuario nella postura quanto nell’espressione. «Finirà per mettere in allarme tutto il circondario. Iniziano a credere che sia in pericolo.» e mentre lo dice dà anche una lunga occhiata a Nora, accennando un educato ma silenzioso saluto nei suoi confronti, forse cercando di identificarla, di capire il suo senso nel contesto. Non sembra che conosca Ginevra, a prima vista.
Nora
Ha oramai lasciato l'ipotesi di continuare a scrivere quel messaggio, adagiando il cellulare nella tasca del suo impermeabili, prima di puntare lo sguardo in direzione di Ginevra. Le palpebre si sgranano mostrando un tono smeraldo di quelle iridi che si appoggiano sulla ragazza, muovendo appena le mani come a farle capire di abbassare la voce. Si guarderà anche intorno un paio di volte come a cercare di capire se qualcuno si è fermato per assistere a quella scena e, vista la zona in cui trovano, ci mancano solo i malintenzionati. «Signore bendetto, calmati.» gli dà direttamente del tu, senza passare a quel formale “lei”. L'espressione sorpresa di Ginevra che le si rivolge direttamente la porterà a socchiudere le palpebre: «Ehm..» si guarda un secondo intorno, riuscendo ad inquadrare anche Malcolm alle spalle della ragazza e verso cui, in maniera del tutto formale, allungherà un breve saluto compiuto con il capo che viene chinato in avanti. Ritornerà poi sulla ragazza grattandosi la fronte e avvicinandosi di un passo. «Hai mai pensato di buttare un po' di acido dentro lo scarico?» lei gliela pone così la questione con una semplicità proprio basilare «a meno che non vuoi firmare un atto per far cessare il subaffitto alla creatura.» ma, l'ultima parte, è dettata in maniera ironica. Solleverà il suo sguardo in direzione della pertica Malcolm: «Beh, se un ladro esce dallo scarico della cucina è un vero mago, Mister.» stringerà anche le labbra tra di loro «ma, infondo, ha ragione il suo amico Miss Durand.» perché il cognome l'ha davvero afferrato e, implicitamente, glielo ripropone con un sopracciglio sollevato.
Ginevra
«Certo che l'ho buttato l'acido!» con aria da chi si sente trattata da idiota «ma quello sente il rumore del tappo della bottiglia, secondo me, e va a nascondersi prima!» Sta ovviamente rispondendo a Nora. Non può che sobbalzare quando sente la voce di Malcolm alle sue spalle, l'espressione si irrigidisce proprio come quella di un qualsiasi studente che sta imitando il preside e a un certo punto si accorge di averlo dietro. Istintivamente porta la mano a sistemare la cravatta, la lascia lenta, ma sistema il nodo e si volta lentamente «Signor Bar...» si interrompe per alzare di nuovo lo sguardo verso il balcone dove Marie sta ancora parlando, in creolo, verso Ginevra «Maman, retourne à l'intérieur!» praticamente glielo ordina e la donna dopo aver aggiunto ancora qualcosa sul non stirarle più i vestiti se ne torna all'interno. Espira profondamente e riporta lo sguardo su Malcolm «Marie, la mia vicina» spiega, poi si stringe nelle spalle «non so dove abita lei, Signor Barnes, ma qui è normale...» lo dice con una espressione vagamente mortificata, sembra scusarsene. Poi come per uscire da quel momento che trova imbarazzante cerca di far cadere l'attenzione su Nora «le presento questa signorina... che...» non la conosce, non sa cosa dire «... che è vestita tutta di bianco» guarda poi Nora e indica Malcolm «lui è il Signor Barnes e...» fa una pausa perché a lei non sembra una bella cosa da dire, ma d'altra parte così le è stato ripetuto spesso «...e non è un mio amico» chiude poi la bocca arricciando le labbra verso destra mentre con i denti afferra l'interno della guancia sinistra.
Malcolm
In effetti vedere quel trio in azione è alquanto bizzarro, con due consiglieri a cercare di placare Ginevra, sempre deliziosamente impulsiva. Malcolm è un tipo silenzioso perché non aggiunge altro se non alle parole già dette che sembrano avere una specie di effetto sedativo istantaneo su Ginevra. Con sguardo acuto ed austero studia la donna sconosciuta, tenendo gli occhi su di lei quando parla e propone soluzioni ed ironia, dando infine ragione proprio a Malcolm, quella specie di presenza spettrale dall’indole pragmatica che dà un cenno di conferma o forse d’intesa a Nora, sempre serissimo ma con una parvenza di cordialità. Alle presentazioni invece guarda prima in alto per qualche istante, quasi a voler individuare di nuovo la vicina di Ginevra ormai tornata dentro e poi replica pacatamente: «Dove vuole che abiti? Sempre in città…» allarga un po’ le braccia, come a sottolineare che non viene mica da Saturno. Spesso la gente si dimentica che non è un alieno, chissà perché. Quando Ginevra cerca di presentarli, ha la conferma che Nora sia una perfetta sconosciuta. Malcolm accenna ad un breve e rapidissimo sorrisetto, quasi invisibile a dire il vero, forse divertito dal goffo tentativo di presentazione a cui aggiunge, rivolgendo nel mentre lo sguardo a Nora: « e che immagino sia un avvocato..?» ipotizza lui, a seguito di alcuni elementi osservati e ad una prima conclusione di massima gettata lì anche in maniera un poco indecisa, ma speranzosa. Quindi riporta lo sguardo a Ginevra, dall’alto del suo metro e ottanta e qualcosa, la osserva senza una particolare espressione e solo dopo annuisce e conferma: «E’ esatto, non.. non siamo amici»
Nora
Alza un sopracciglio nel sentire che ha buttato l'acido. Ha un velo di effettiva perplessità al momento: «quindi non è morto.» effettiva constatazione, prima di grattarsi di nuovo la fronte facendosi spazio tra quei fili neri dei suoi capelli. Tira su con il naso, prende un respiro e la ritroviamo a puntare tutta la sua attenzione sulla ragazza: «Allora coglilo di sorpresa. E' l'unico modo per eliminare il problema dalla radice.» muove anche due dita sotto al collo come per mimare un taglio netto e definitivo alla vita del povero ragno. La voce di Marie, però, stoppa non solo Ginevra dal rivolgersi a Malcolm, ma anche qualsiasi cosa stava per dire Nora, che si ritroverà con le labbra appena dischiuse e il capo che viene spinto in avanti per lasciarsi andare ad una breve risatina: «L'avevo capito.» solleva anche la mano destra, come per giurarle che – senza ulteriore specifica – ha ben chiaro a chi si stava riferendo. «Beh, insomma. Da queste parti è più normale vedere qualcuno che fa pipì per strada.» lo annuncia altamente formale, con un briciolo di vergogna che le farà mormorare quelle parole verso i due, occhieggiandoli da dietro il velo delle palpebre che si abbassano. «Credo che veda il mio colore, ammesso che non sia daltonico.» chiaramente, mette di nuovo le mani avanti «comunque, sono Nora.» quindi si presenta senza allungare mani o spingersi in chissà quali formalismi. «Ok.» prende aria e guarda Malcolm timidamente mortificata. «giuro che non volevo indagare nella vostra vita sentimentale e non.» si tira anche indietro con un mezzo passo che si ferma lì quando l'altro tira ad indovinare la sua professione. «mhn?» pausa di qualche secondo in cui lo osserva un po' più acutamente «e da cosa lo deduce, Mister Barnes?» il cognome dell'altro la recepito. Lungi da lei, però, l'essere austera come un ghiacciolo ma, anzi, è delicata e gentile con un sorriso materno e soffice per chiunque.
Ginevra
Con un gesto di impazienza delle mani che si palesa anche nel tono, si volta verso Malcolm «si, si... lo abbiamo capito, non serviva rispecificarlo» ad annotare le sue ultime parole usando il plurale per includere anche Nora. Riporta lo sguardo su Nora «farò così! Lo prenderò di sorpresa! Dovessi stare tutta la notte davanti al lavandino al buio ad aspettare che esca» lo dice con una certe serietà e convinzione. E' altamente probabile che non lo dica solo per dire, ma che lo farà davvero. Poi a voler spiegare la presentazione «era la cosa più eviden...» si interrompe sentendo il resto per poi riprendere «s-si, ho... ho v-visto anche io uno fare pipì proprio a quell'angolo ieri notte mentre tornavo» indicando in un punto a caso dove non c'è nessun angolo. Si schiarisce la voce «io comunque mi chiamo Ginevra» calcando il nome «e non Miss Durand» a Nora, ma nel tono non c'è nulla di scortese o di seccato per l'uso del cognome
Malcolm
Alla menzione di una vita sentimentale e non, Malcolm prende fiato e cerca di dire qualcosa, anche con un cenno nervoso della mano, rivolto un po’ ad entrambe: «N-n-non…» ma stavolta questo suo balbettio è stato più istintivo che altro, infatti si ferma subito dopo stringendo le labbra e abbassando lo sguardo, con un respiro della serie “stai calmo e conta fino a cinque”. Tace, assistendo a qualche altro scambio fra le due donne, più o meno ironico mentre lui a quanto pare non ha molta familiarità con l’essere sciolto e socievole, al di là di quella formalità educata che ne impregna i modi e gli atteggiamenti. Risponde solo quando interpellato da Nora, che intanto ha continuato a studiare con discrezione: «Indossa abiti eleganti, giurerei di marca, a quest’ora della sera: probabilmente è abituata ad un certo status. Quegli indumenti danno l’impressione che sia una donna in carriera. E questo, unito alla prontezza e le qualità  della sua battuta “a meno che non vuoi firmare un atto per far cessare il subaffitto alla creatura”, cito testualmente,» è indubbio che per tutto il tempo non ha fatto che processare nella mente la correttezza e la raffinatezza tecnica di queste parole, motivo per cui se le ricorda con esattezza «mi ha fatto pensare che sia un avvocato: è il lavoro che mi è venuto in mente per primo. Credo di aver sentito battute del genere solo quando ho avuto a che fare con persone di legge.» conclude, delineando con una tagliente logicità le sue osservazioni e la conclusione. «Comunque, devo lasciarvi. Auguro una buona serata ad entrambe.» si congeda così, in maniera breve ed ermetica, di un’educazione rigida ed impostata. Per poi andare via come ha appena preannunciato, con la sua andatura un po’ marziale e stereotipata.
Nora
Sospira un secondo sentendo le parole di Ginevra «beh, non serve stare lì appostata tutta la notte. Basta che torni a casa e lo butti dentro lo scarico. Non credo che lo immagini.» alza anche le spalle dentro cui si stringe per qualche secondo. Si volterà verso la zona indicata da Ginevra, soffermandosi a guardare il vicolo incriminato per poi sospirare «poi si lamentano, i turisti, quando dicono che alcuni posti puzzano di pipì e di vomito.» le priorità e le particolare di una terra come la Louisiana e di New Orleans in particolare. «Piacere mio Ginevra.» le dà del tu senza tanti problemi, ritrovandosi anche a cedere in un breve inchino del capo. Non si scompone al balbettio di Malcolm, ma lo osserva silenziosamente. Che stia o meno conducendo un'analisi sulla sua persona non è dato saperlo ma, in quello sguardo smeraldo, c'è davvero un momento di incertezza in cui si sentirà persino in colpa per averlo messo in difficoltà. «Si rilassi, come non detto.» annuncia poco dopo con un sorriso ben più pieno dei precedenti. Ascolterà, poi, tutti i motivi che l'hanno spinto a credere che lei sia un avvocato. Solleva un sopracciglio e annuisce di tanto in tanto, quasi a dargli ragione. «sarà che abbiamo battute stereotipate? Un po' come quelle dei medici.» afferma infine sganciando un sorriso pieno e intenso, compiendo un ulteriore passo indietro dal duo. «ottimo spirito di osservazione Barnes. Qualcosa mi dice che anche tu sei infilato nello studio delle persone.» ma non annuncia un giornalista, sarebbe troppo facile. Sta per aggiungere qualche altra cosa quando il cellulare squilla di nuovo dalla tasca del suo impermeabile. L'espressione cambia completamente e diventa ben più seria del previsto. Accetta la chiamata con un passo indietro scusandosi con entrambi con un cenno del capo «Signori, vi devo salutare.» una telefonata urgente, sicuramente. «Buon proseguimento di serata e...» guarda Ginevra «fammi sapere come finisce.» quindi, li saluterà ancora prima di addentrarsi nella Frenchman Street e tornare in ufficio.
Ginevra
Porta lo sguardo su Malcolm quando prende a balbettare qualcosa che alla fine decide di non dire, ne osserva i movimenti e l'espressione, almeno finché non inizia la sua fluida analisi su Nora. Corruga la fronte sentendo le annotazioni sull'abbigliamento di Nora e abbassa il capo a guardarsi, l'espressione che segue sembra che l'abbia portata alla conclusione che va tutto bene, ha anche una cravatta, quella di Wells, di cui sistema il nodo. Rialza lo sguardo e si dondola sui piedi; la sua attenzione va su Nora che ascolta e da cui distoglie lo sguardo quando si rivolge a Malcolm dandogli del tu. Dischiude le labbra per dire qualcosa a Malcolm probabilmente, perché le richiude quando lui annuncia che deve andare «Signor Barnes...» a salutarlo, con tono basso e a Nora rivolge un leggero cenno di assenso e un sorriso in saluto mentre prende la sua chiamata urgente. Non le rimane che tornare a guardare in cagnesco la propria di casa, si sposta sembra intenzionata a rientrare, ma scarta all'ultimo momento verso la porta di fianco. Si attacca al campanello e ovviamente Marie si affaccia al balcone per vedere chi è, lei fa quindi qualche passo indietro per poterla guardare «Maman, s'il vous plaît, laissez-moi dormir chez vous» in creolo con tono di supplica, dal balcone arriva qualche borbottio ma poco dopo la porta si apre e Ginevra con un saltello di giubilo va a infilarsi dentro
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