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#sì dolce è 'l tormento
unabashedqueenfury · 9 months
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Reign 2013-2017
Toby Finn Regbo as Francis Valois
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sfumature-dime · 3 years
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Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.3
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.6
Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata9
vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.12
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.15
"O tu che vieni al doloroso ospizio",
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio,18
"guarda com’entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!".
E ’l duca mio a lui: "Perché pur gride?21
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".24
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.27
Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.30
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.33
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.36
Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.39
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali42
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.45
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,48
ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: "Maestro, chi son quelle
genti che l’aura nera sì gastiga?".51
"La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
"fu imperadrice di molte favelle.54
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.57
Ell’è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che ’l Soldan corregge.60
L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.63
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.66
Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille.69
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.72
I’ cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri".75
Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno".78
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!".81
Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;84
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.87
"O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,90
se fosse amico il re de l’universo
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merrowloghain · 3 years
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20.02.77 Corridoio - Hogwarts
Sono passi silenziosi quelli che compiono, ed un lungo istante che intercorre tra il proprio primo dire, ed il successivo «Come...stai?» seriamente? Una domanda normale, eppure sembra costarle un po` a giudicare dalla pronuncia non così atona, e dal correre a lui con lo sguardo. Un timido tentativo di tastare forse la temperatura dell`acqua, del lago freddissimo che sta tra loro, e che denota la tipica incertezza d`una confidenza che prima aveva e che ora non è più sicura di possedere. Di meritarsi forse, o che sia addirittura mai esistita.
Che rende scomoda anche una domanda semplice come quella che, alla fine, lei gli porge. E la guarda, nuovamente, con attenzione, un’ombra di stupore che gli segna il volto per una manciata d’istanti, prima che torni ad avere una parvenza di controllo di se stesso. « il solito, bene. » Apparentemente senza problemi, apparentemente privo di preoccupazioni. Apparenza, sempre. « Ares mi ha regalato una lucertola morta questa mattina, non capisco se voglia provarmi la sua capacità di sfamarmi o mi stia minacciando. Ho sempre più voglia di lasciare una volta per tutte Aritmanzia. E se Moore continua a metterci così tanto tempo in bagno, la mattina, lo mando definitivamente a fare compagnia alla Piovra. » Ecco. « Il solito. » Come se nulla fosse cambiato, come se non avesse fatto una scelta la settimana prima. « E tu? »
Ecco il perchè di quella domanda, ecco il perchè incontrarlo con le iridi, il respiro forzato in un ritmo che il cuore non segue, ma che l`accomuna al Serpeverde in quel senso d`apparenza che si sforza di mantenere, per quanto le è possibile. E lui risponde, mentre lei rimpalla l`attenzione da un occhio all`altro di lui, ancora in esplorazione, ascoltando poi il dire successivo di lui che prima le fa abbassare lo sguardo verso il suo petto a causa d`un sorriso storto che le nasce in automatico sul volto, e che mano a mano che Tristan prosegue, finisce per mutare in un ridacchiare che da cupo si trasmuta in divertito, con tanto di risata vera ma brevissima, cristallina e leggera «Magari Ares lavora per me, che ne sai.» la famosa testa di lucertola a monito nel letto. Si ritrova però ad interrompersi, a quell`ennesimo "il solito". Si rabbuia, lentamente, come se a quelle parole si ricollegasse qualcosa che le fa male, che la coglie impreparata e che si riflette per un istante appena, sul viso che poi ritorna neutro, giusto in tempo per la domanda rivolta a lei. Bivio. Non dinnanzi a sè ma dentro di sè, con le conseguenze che un dire rispetto all`altro, potrebbero manifestarsi tra loro. Si volta verso sinistra, verso di lui, ed è con un solo incrocio di sguardo che cerca delicatamente in un sentimento strano e che lui non deve averle mai visto sul viso 
«Mi manchi, Tris.» 
la voce che s`abbassa e si fa più dolce, sporcata da un`amarezza che non vuole celare, nonostante il sorriso che accompagni tale dire, prima di distogliere da lui l`attenzione «Sto cercando d`abituarmi ad un`assenza che non pensavo potessi creare.» a dimostrazione che forse, anche per lei, è tutto nuovo, tutto strano, tutto diverso dopo quel San Valentino, e ciò che comporta l`aver scelto, di tutti e tre. Non sembra aspettarsi nulla in risposta, non davvero, ecco forse perchè si concentra in un sospiro che porta alzando il volto al soffitto, socchiudendo brevemente le palpebre, mentre prende un paio di passi alla cieca, sicura che da lì a poco non ci siano ostacoli importanti.
Sbuffa un principio di risata divertita a quelle parole su Ares, o per quella risata che sente nascere dalla sua labbra, ma che lo portano a scuotere comunque un po’ il capo, lo sguardo che la cerca senza che si volti completamente verso di lei. « Spiacente. So per certo che lavora per il suo predecessore divino. » Lo stesso Ares, dio della guerra, dello spargimento di sangue e della violenza. Ed ha diverse sottili cicatrici sulle mani e sulle braccia a riprova proprio di questa discendenza indiretta. Non può non notare quel suo rabbuiarsi, non quando la sta guardando, eppure sembra confuso da quel repentino cambio del comportamento altrui, le sopracciglia ora lievemente aggrottate ed il sorriso che sfuma dalle labbra piene, di fronte a quel volto che torna ad una neutralità che impiega qualche istante a riacquistare a sua volta. Ma lo fa, ed è con questa rinnovata mancanza di espressioni, che sente quelle sue parole, quell`ammissione dolce che nonostante il ‘ti voglio bene’ della settimana prima lo coglie un po’ alla sprovvista, lo sguardo bluastro che non riesce a celare un lampo di stupita sorpresa che non potrà celare a lei, ora ferma davanti a lui. «Non dev’essere così. » Piano, forse quasi dolce per gli standard a cui l’ha abituata, le parole che sembrano come sempre ragionate e mai pronunciate senza attenzione. E poi, dopo aver umettato le labbra, conclude. « Ma non mi dev’essere chiesto di scegliere. » Forse l’ha già detto a qualcun altro, forse ha trovato una via verdeargento per rendersi più facile la vita e, non è detto, che questa nonostante i colori che l’altra indossa, non sia la soluzione migliore.
Il sollevare di sopracciglia, divertita reazione nel sentire del mandatario di Ares, quel mezzo-kneazle che lei continua ad adorare ed a fissare di tanto in tanto con occhi rapiti, dura giusto il tempo della risposta di lui in un annuire che quasi fa rimbalzare il capo, prima che l`umore di quella breve conversazione, richiami ad una serietà che forse, era inevitabile. Perchè gli manca, sceglie di dirglielo, nonostante l`incapacità altrui di cooperare con i sentimenti propri o quelli altrui, cosa che oramai, pare aver capito in tutti quegli anni in cui hanno condiviso perlomeno una quotidianità costante, lì al castello. Si prende il suo stupore, ricambiando il suo sguardo con qualcosa di più delicato, a richiamare una complicità più intima, che è stata completamente assente nell`ultima settimana. Non dev`essere così, e lei che finisce per abbassare appena gli occhi, un istante appena, prima di tornare al blu delle sue iridi, ascoltando anche il successivo dire che sembra quasi un compromesso possibile, un ramoscello d`ulivo, o una lucertolina morta ai piedi del letto, in un gesto che a lei sa di cura. Ci mette qualche secondo, prima di fermare appena il passo, in un letargico rallentare che s`arresta, mentre la mancina esce dalla tasca a sfiorare con i polpastrelli la manica del maglione di Tristan «Tu non sai quanto vorrei che fosse diversamente.». Sincera, con quel tono delicato che prosegue ed un`incertezza manifesta dal labbro inferiore che torna ad essere torturato «Ma Domenica nessuno dei due ti ha chiesto di scegliere, Tris.» lo guarda adesso, in volto con un dispiacere inequivocabile a sporcarne il visetto così candido «Eppure tutti e tre sappiamo cos`è accaduto. A chi va la tua lealtà.» inutile girarci intorno, perchè oramai non si può più negare nulla dinnanzi all`evidenza «C`è una parte di me che non vorrebbe più nemmeno sentirti nominare. Che non ti sopporta... che..» ma non continua, perchè ora che lo sguardo è precipitato a terra, lei fa fatica a spiegarsi senza interruzione, ma testarda prosegue, forse per l`importanza che ha ciò che cerca di fargli comprendere «Vorrei tagliarti fuori.» anche qui, senza nascondergli nulla, con le parole che, basse, vengono accompagnate da un leggero arricciarsi di naso «Ma ho capito che no... che in realtà sono solo ferita, e che ti rispetto troppo per sbagliare di nuovo con te, nella stessa maniera di una volta: la scelta è tua.» inspira lentamente, espirando in un socchiudersi di palpebre «Non voglio farlo io per te, non voglio un giorno rendermi conto che sono stata io a lasciarti andare.» le mani nelle tasche che si muovono un secondo, in un tormento nervoso che non viene palesato «Mi dispiace d`aver lasciato intendere che lui potesse trattarti com`è successo a me... sono stata...» il termine non le viene, ma s`adatta velocemente «stupida. Tu non sei come me, per lui.» ora, solo ora rialza gli occhi ai suoi «E non è mia intenzione giudicare il vostro rapporto o paragonarlo ad altri...» di nuovo quell`arricciarsi di naso, e l`attenzione che adesso si sposta sul corridoio «E` solo che» sbuffa piano «mi ha fatto così tanto male che non volevo succedesse anche a te.»
Era inevitabile, sì, che presto o tardi sarebbero finiti a parlare di quanto successo. Se lo aspettava, e forse è con consapevolezza che ha scelto di andarle incontro oggi piuttosto che un qualsiasi giorno della settimana appena passata. Eppure non riesce ancora ad abituarsi del tutto alla facilità con cui lei dimostra e da voce ai suoi sentimenti, impensabile per lui che sembra scegliere la logicità dei fatti a l`illogicità delle emozioni. Ed è per questo che, a quel tocco non sfugge, no, seguendolo anche con lo sguardo, ma non fa una mossa per ricambiarlo, né sembra voler affrontare quel discorso con l’emotività di lei. Rimane più freddo, meno coinvolto in qualche modo in quanto va a dire, quasi cercasse coscientemente di rimanere il più lontano possibile da quella situazione, quasi cercasse di analizzarla dall’esterno . « Dovresti saperlo ormai, Merrow. » E’ il primo dire fra tutti, per qualche motivo, pratico e quasi risolutivo. « La mia lealtà, va in primis a me stesso. » Ma infondo non dovrebbe essere una novità per l’altra, a differenza di quanto viene proferito poco dopo, ora con un tono più conciliante, paternalistico quasi, ma che in qualche modo si collega a quanto detto. « L’avete fatto entrambi. Tu chiedendomi di venire con te, quando mi hai visto con lui. Sapendo che avrei dovuto lasciarlo indietro per farlo. Sceglierti. » Ed è questo il punto. « E lui … » lui di cui non pronuncia il nome, ma è chiaro a chi si riferisca, « che ha fatto la stessa identica cosa. » Di chi è quindi la colpa, alla fine dei conti? Sembra volerglielo chiedere con quel silenzio che si concede, inarcando un sopracciglio, fissandola con quell’intensità che risulterebbe scortese in un contesto normale, le mani spinte nella profondità delle tasche del cardigan. E poi, dopo essersi umettato le labbra, riprende a parlare, le iridi che dopo un momento d’incertezza cercano le sue prima d’iniziare. « E io ho fatto la mia scelta. Oggi, qui. » Scegliendo di andarle incontro, di accompagnarla o più semplicemente di parlarle come se nulla fosse successo prima. « Vuoi tagliarmi fuori? Puoi farlo. Puoi scegliere di farlo. » Perché tutto si riduce a quello, a quella parola che continua a tornare in qualche modo. « Ma non puoi chiedermi di scegliere. » Fra loro. « Come io non lo farò a te. » Mette in paro le loro situazioni, ma solo un quel momento, perché poi si ritrova a deglutire, a distogliere lo sguardo per un lungo momento. « Noi » lui e Xaviér. « Siamo diversi. » Ed è così riduttivo ed incompleto descriverlo così, che non può che sospirare alla sua stessa ammissione, lo sguardo ora nuovamente a cercare il suo. « Anche solo perché possiamo farci male a vicenda. Perché in qualche modo siamo più equilibrati di quanto non lo foste voi. » Loro con quel rapporto al quasi limite del malsano, per come gli è stato mostrato quel pomeriggio alla Stamberga. « Ma se può rassicurarti. Non permetterò che mi faccia male. » O almeno ci proverà.
La sinistra sta ancora là, mezza a sfiorargli il maglione, mentre la destra rimane contratta e nascosta, quando lo sguardo di lui viene meno, e lei si ritrova ad inseguirlo con un chinare del capo, ed un passo in avanti quasi automatico, fatto in sua direzione, pietrificandosi poi di nuovo, non appena le iridi blu tornano a cercare le proprie. E` sull`ultima battuta che lei espira lentamente, trasformando il tocco sul maglione in una sorta di leggera presa, che scorrerebbe dall`avambraccio al suo bicipite, mentre il resto di sè gli si avvicina discretamente, concedendogli tutto il tempo per sottrarsi, fuggire, o semplicemente stopparla. Eppure se ciò non accadesse, quello che la Loghain cercherebbe di fare, è soltanto tornare a stringersi a lui come se fossero di nuovo in quell`aula e stessero provando i passi per il Ballo dell`Agrifoglio: braccia al collo e tempia destra contro la sua guancia sinistra, in un chinare di capo che la vedrebbe osservare il vuoto dietro le spalle del Serpeverde «Io volevo solo passare del tempo con te, ecco perchè ti avevo chiesto di venire con me alla Stamberga.» a richiamare l`invito che non è andato a buon fine, con un sussurro morbido e caldo, in una dolcezza così sentita, da risultare strana a chi la conosce più superficialmente «Io non voglio fargli del male, non gliene ho mai voluto. Questo non significa che io non abbia potuto, ma che semplicemente ho scelto di non farlo.» ci tiene a precisarlo, perchè la cura che lei ha messo nel rapporto con Xavier non è debolezza, ma una presa di posizione consapevole, che purtroppo non ha portato un cieco a riacquisire la vista «E non c`entra con l`equilibrio: è solo che lui non ha scelto me come io ho scelto lui. Come si fa in ogni tipo di rapporto, di qualunque natura.» ci si sceglie, oppure no. Si prende qualche secondo di pausa, ed infine conclude solo con un «Grazie.» a quelle parole che si, la rassicurano, a tal punto da farla brevemente scostare per cercare con le labbra la sua guancia, proprio come ha fatto altre volte nel corso del tempo, solo con un contatto più leggero e sentito, tenero nella sua natura «Io ci sarò per tutto il tempo in cui tu lo vorrai.» e così sembra strano, se non fosse che aggiungerebbe delicatamente «Per me ne vali la pena.» e solo adesso si allontanerebbe di qualche passo, lasciandolo andare oppure no, ma comunque con tutta l`impressione di voler proseguire quel percorso verso la Torre Ovest. Senza lasciarlo indietro, ma aspettandolo al suo fianco.
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Claudio Monteverdi, Sì dolce è 'l tormento Silvia Frigato, soprano Marta Graziolino, arpa Live - Teatro Bibiena, Mantova - Festival MiTo 2011
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cafestilnovista · 6 years
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Di pensier in pensier, di monte in monte
mi guida Amor, ch’ogni segnato calle
provo contrario a la tranquilla vita.
Se ’n solitaria piaggia, rivo, o fonte,
se ’nfra duo poggi siede ombrosa valle,
ivi s’acqueta l’alma sbigottita;
e come Amor l’envita,
or ride, or piange, or teme, or s’assecura;
e ’l volto che lei segue ov’ella il mena
si turba et rasserena,
et in un esser picciol tempo dura;
onde a la vista huom di tal vita experto
diria: Questo arde, et di suo stato è incerto.
Per alti monti et per selve aspre trovo
qualche riposo: ogni habitato loco
è nemico mortal degli occhi miei.
A ciascun passo nasce un penser novo
de la mia donna, che sovente in gioco
gira ’l tormento ch’i’ porto per lei;
et a pena vorrei
cangiar questo mio viver dolce amaro,
ch’i’ dico: Forse anchor ti serva Amore
ad un tempo migliore;
forse, a te stesso vile, altrui se’ caro.
Et in questa trapasso sospirando:
Or porrebbe esser vero? or come? or quando?
Ove porge ombra un pino alto od un colle
talor m’arresto, e pur nel primo sasso
disegno co la mente il suo bel viso.
Poi ch’a me torno, trovo il petto molle
de la pietate; et alor dico: Ahi, lasso,
dove se’ giunto! ed onde se’ diviso!
Ma mentre tener fiso
posso al primo pensier la mente vaga,
et mirar lei, ed oblïar me stesso,
sento Amor sí da presso,
che del suo proprio error l’alma s’appaga:
in tante parti et sì bella la veggio,
che se l’error durasse, altro non cheggio.
I’ l’ò piú volte (or chi fia che mi ’l creda?)
ne l’acqua chiara et sopra l’erba verde
veduto viva, et nel tronchon d’un faggio
e ’n bianca nube, sí fatta che Leda
avria ben detto che sua figlia perde,
come stella che ’l sol copre col raggio;
et quanto in piú selvaggio
loco mi trovo e ’n piú deserto lido,
tanto piú bella il mio pensier l’adombra.
Poi quando il vero sgombra
quel dolce error, pur lí medesmo assido
me freddo, pietra morta in pietra viva,
in guisa d’uom che pensi et pianga et scriva.
Ove d’altra montagna ombra non tocchi,
verso ’l maggiore e ’l piú expedito giogo
tirar mi suol un desiderio intenso;
indi i miei danni a misurar con gli occhi
comincio, e ’ntanto lagrimando sfogo
di dolorosa nebbia il cor condenso,
alor ch’i’ miro et penso,
quanta aria dal bel viso mi diparte
che sempre m’è sí presso et sí lontano.
Poscia fra me pian piano:
Che sai tu, lasso? forse in quella parte
or di tua lontananza si sospira.
Et in questo penser l’alma respira.
Canzone, oltra quell’alpe
là dove il ciel è piú sereno et lieto
mi rivedrai sovr’un ruscel corrente,
ove l’aura si sente
d’un fresco et odorifero laureto.
Ivi è ’l mio cor, et quella che ’l m’invola;
qui veder pôi l’imagine mia sola. 
Francesco Petrarca, " Rerum Volgarium Fragmenta" CXXIX
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sakurabreeze · 7 years
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Claudio Monteverdi, Sì dolce è 'l tormento
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whileiamdying · 5 years
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LA DIVINA COMMEDIA
Inferno • Canto XVIII
Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l’ordigno.
Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura,
tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da’ lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli,
così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ’ fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli.
In questo luogo, de la schiena scossi di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
A la man destra vidi nova pieta, novo tormento e novi frustatori, di che la prima bolgia era repleta.
Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto, di là con noi, ma con passi maggiori,
come i Roman per l’essercito molto, l’anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto,
che da l’un lato tutti hanno la fronte verso ’l castello e vanno a Santo Pietro, da l’altra sponda vanno verso ’l monte.
Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro.
Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno le seconde aspettava né le terze.
Mentr’ io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi: «Già di veder costui non son digiuno».
Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi; e ’l dolce duca meco si ristette, e assentio ch’alquanto in dietro gissi.
E quel frustato celar si credette bassando ’l viso; ma poco li valse, ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,
se le fazion che porti non son false, Venedico se’ tu Caccianemico. Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
Ed elli a me: «Mal volontier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico.
I’ fui colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella.
E non pur io qui piango bolognese; anzi n’è questo loco tanto pieno, che tante lingue non son ora apprese
a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno».
Così parlando il percosse un demonio de la sua scurïada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio».
I’ mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo là ’v’ uno scoglio de la ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo; e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo.
Quando noi fummo là dov’ el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
lo viso in te di quest’ altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati».
Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l’altra banda, e che la ferza similmente scaccia.
E ’l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda:
quanto aspetto reale ancor ritene! Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne.
Ello passò per l’isola di Lenno poi che l’ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l’altre ingannate.
Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna; e questo basti de la prima valle sapere e di color che ’n sé assanna».
Già eravam là ’ve lo stretto calle con l’argine secondo s’incrocicchia, e fa di quello ad un altr’ arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d’una muffa, per l’alito di giù che vi s’appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso.
E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parëa s’era laico o cherco.
Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
già t’ho veduto coi capelli asciutti, e se’ Alessio Interminei da Lucca: però t’adocchio più che li altri tutti».
Ed elli allor, battendosi la zucca: «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe ond’ io non ebbi mai la lingua stucca».
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
Taïde è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse “Ho io grazie grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”.
E quinci sian le nostre viste sazie».
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painfulpresent · 4 years
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Le poesie più belle dedicate alla Luna
Alla luna, Giacomo Leopardi
O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge l’anno, sovra questo colle Io venia pien d’angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile, O mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l’etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Canto alla luna, Alda Merini
La luna geme sui fondali del mare, o Dio morta paura di queste siepi terrene, o quanti sguardi attoniti che salgono dal buio a ghermirti nell’anima ferita. La luna grava su tutto il nostro io e anche quando sei prossima alla fine senti odore di luna sempre sui cespugli martoriati dai mantici dalle parodie del destino. Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo, ma forse al chiaro di luna mi fermerò il tuo momento quanto basti per darti un unico bacio d’amore.
Romanza della Luna, Federico Garcia Lorca
La luna venne alla fucina col suo sellino di nardi. Il bambino la guarda, guarda. Il bambino la sta guardando.
Nell’aria commossa la luna muove le sue braccia e mostra, lubrica e pura, i suoi seni di stagno duro.
Fuggi luna, luna, luna. Se venissero i gitani farebbero col tuo cuore collane e bianchi anelli.
Bambino, lasciami ballare. Quando verranno i gitani, ti troveranno nell’incudine con gli occhietti chiusi.
Fuggi, luna, luna, luna che già sento i loro cavalli. Bambino lasciami, non calpestare il mio biancore inamidato.
Il cavaliere s’avvicina suonando il tamburo del piano. nella fucina il bambino ha gli occhi chiusi.
Per l’uliveto venivano, bronzo e sogno, i gitani. le teste alzate e gli occhi socchiusi.
Come canta il gufo, ah, come canta sull’albero! Nel cielo va luna con un bimbo per mano.
Nella fucina piangono, gridano, i gitani. Il vento la veglia, veglia. Il vento la sta vegliando.
Tristezza della luna, Charles Baudelaire
Questa sera la luna sogna più? languidamente; come una bella donna che su tanti cuscini con mano distratta e leggera prima d’addormirsi carezza il contorno dei seni, e sul dorso lucido di molli valanghe morente, si abbandona a lunghi smarrimenti, girando gli occhi sulle visioni bianche che salgono nell’azzurro come fiori in boccio. Quando, nel suo languore ozioso, ella lascia cadere su questa terra una lagrima furtiva, un pio poeta, odiatore del sonno, accoglie nel cavo della mano questa pallida lagrima dai riflessi iridati come un frammento d’opale, e la nasconde nel suo cuore agli sguardi del sole.
O falce di luna calante, Gabriele d’Annunzio
O falce di luna calante che brilli su l’acque deserte, o falce d’argento, qual mèsse di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua giù! Aneliti brevi di foglie, sospiri di fiori dal bosco esalano al mare: non canto non grido non suono pe ’l vasto silenzio va. Oppresso d’amor, di piacere, il popol de’ vivi s’addorme… O falce calante, qual mèsse di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Giacomo Leopardi
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga Di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita La vita del pastore. Sorge in sul primo albore Move la greggia oltre pel campo, e vede Greggi, fontane ed erbe; Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale Al pastor la sua vita, La vostra vita a voi? dimmi: ove tende Questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo, Mezzo vestito e scalzo, Con gravissimo fascio in su le spalle, Per montagna e per valle, Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, Al vento, alla tempesta, e quando avvampa L’ora, e quando poi gela, Corre via, corre, anela, Varca torrenti e stagni, Cade, risorge, e più e più s’affretta, Senza posa o ristoro, Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva Colà dove la via E dove il tanto affaticar fu volto: Abisso orrido, immenso, Ov’ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale E’ la vita mortale.
Nasce l’uomo a fatica, Ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento Per prima cosa; e in sul principio stesso La madre e il genitore Il prende a consolar dell’esser nato. Poi che crescendo viene, L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre Con atti e con parole Studiasi fargli core, E consolarlo dell’umano stato: Altro ufficio più grato Non si fa da parenti alla lor prole. Ma perchè dare al sole, Perchè reggere in vita Chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura, Perchè da noi si dura? Intatta luna, tale E’ lo stato mortale. Ma tu mortal non sei, E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che sì pensosa sei, tu forse intendi, Questo viver terreno, Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante, E perir dalla terra, e venir meno Ad ogni usata, amante compagnia. E tu certo comprendi Il perchè delle cose, e vedi il frutto Del mattin, della sera, Del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore Rida la primavera, A chi giovi l’ardore, e che procacci Il verno co’ suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, Che son celate al semplice pastore. Spesso quand’io ti miro Star così muta in sul deserto piano, Che, in suo giro lontano, al ciel confina; Ovver con la mia greggia Seguirmi viaggiando a mano a mano; E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito Seren? che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? Così meco ragiono: e della stanza Smisurata e superba, E dell’innumerabile famiglia; Poi di tanto adoprar, di tanti moti D’ogni celeste, ogni terrena cosa, Girando senza posa, Per tornar sempre là donde son mosse; Uso alcuno, alcun frutto Indovinar non so. Ma tu per certo, Giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, Che degli eterni giri, Che dell’esser mio frale, Qualche bene o contento Avrà fors’altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata, Che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! Non sol perchè d’affanno Quasi libera vai; Ch’ogni stento, ogni danno, Ogni estremo timor subito scordi; Ma più perchè giammai tedio non provi. Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe, Tu se’ queta e contenta; E gran parte dell’anno Senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, E un fastidio m’ingombra La mente, ed uno spron quasi mi punge Sì che, sedendo, più che mai son lunge Da trovar pace o loco. E pur nulla non bramo, E non ho fino a qui cagion di pianto. Quel che tu goda o quanto, Non so già dir; ma fortunata sei. Ed io godo ancor poco, O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno. Se tu parlar sapessi, io chiederei: Dimmi: perchè giacendo A bell’agio, ozioso, S’appaga ogni animale; Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s’avess’io l’ale Da volar su le nubi, E noverar le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in giogo, Più felice sarei, dolce mia greggia, Più felice sarei, candida luna. O forse erra dal vero, Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: Forse in qual forma, in quale Stato che sia, dentro covile o cuna, E’ funesto a chi nasce il dì natale.
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gargantua · 7 years
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Sì dolce è ’l tormento Si dolce è’l tormento Ch’in seno mi sta, Ch’io vivo contento Per cruda beltà. Nel ciel di bellezza S’accreschi fierezza Et manchi pietà: Che sempre qual scoglio All’onda d’orgoglio Mia fede sarà. La speme fallace Rivolgam’ il piè. Diletto ne pace Non scendano a me. E l’empia ch’adoro Mi nieghi ristoro Di buona mercè: Tra doglia infinita, Tra speme tradita Vivrà la mia fè. Per foco e per gelo Riposo non hò. Nel porto del Cielo Riposo haverò. Se colpo mortale Con rigido strale Il cor m’impiagò, Cangiando mia sorte Col dardo di morte Il cor sanerò. Se fiamma d’amore Già mai non sentì Quel riggido core Ch’il cor mi rapì, Se nega pietate La cruda beltate Che l’alma invaghì: Ben fia che dolente, Pentita e languente Sospirimi un dì. Testo di Carlo Milanuzzi
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donnagueda-blog · 7 years
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Gabriel ...redenzione
salve mie giovani veneri ; che sia di Milo o di Botticelli .. fate voi .. Comunque tornando a noi oggi voglio parlarvi di una trilogia erotica ..peccaminosa , lussuriosa , invidiosa ,goduriosa.. ecco giovani donzelle , lo so mi starete considerando una matta..ma vi dico che non mi sbaglio ; https://goo.gl/images/Rbn7P8 ebbene si oggi vi parlerò della trilogia Gabriel’ Inferno di Sylvain Reynard nessuno di certo si sarebbe mai aspettata una storia così ; Gabriel un professore universitario e soprattutto specializzato nell’ argomentazione su Dante , ok fin qui tutto normale .. ma cosa succederebbe se un essere umano si fondesse con Dante e la divina commedia?? E se Dante e Beatrice esistessero ??? e Virgilio ?? beh di certo nessun umano sano di mente , si lascerebbe trasportare in questo folle meandro Dantesco .. ma Gabriel e Julia ne avranno modo di fondersi in esso. Questa trilogia porta il lettore a una specie di espiazione quasi ; già perché fin dalle prime righe lasci lascia il lettore senza fiato . Gabriel Owen Emerson e tutto un programma .. divora , consuma e trafigge l ‘ anima in ogni singolo e fittissimo punto . Di certo si , lui si aggiunge alla lista degli uomini più tormentati e incasinati dei romanzi che ho letto fin ora ; ( Gideon , Antony , Christian ) ne hanno segnato fortemente la mia anima La trilogia è così composta : Gabriel’s Inferno (Tentazione e Castigo) Gabriel’s Rapture (Redenzione e Tormento) Gabriel’s Redemption (Tentazione ed Estasi) : Gabriel's Inferno.: Tentazione e Castigo è il primo volume della trilogia È uno stimato professore universitario, un’autorità negli studi danteschi. Eppure, dietro quella maschera di affascinante uomo di successo, Gabriel Emerson nasconde un animo inquieto: i demoni del passato non gli danno tregua, sebbene cerchi di placarli cedendo a ogni tentazione, alla lussuria più sfrenata, ai giochi di potere, alle pratiche sessuali estreme. Poi, d’un tratto, nella sua vita arriva Julia, una giovane e ingenua studentessa. A Gabriel basta uno sguardo per rendersi conto che quella donna potrebbe davvero salvarlo, guarendo le sue ferite. Ma Gabriel ha paura. Proprio come Dante, Gabriel è circondato da una selva di rimpianti e di peccati inconfessabili. Sarà capace di abbandonare la strada dell’eccesso e di dedicarsi totalmente a un’unica donna, oppure il suo lato oscuro prenderà il sopravvento, impedendogli di amare persino la sua Beatrice? Cosa ne penso ??? ultimamente: il genere erotico. Se in passato spopolavano vampiri liceali con un secolo di verginità alle spalle e ultra brillantinosi alla luce del sole, licantropi con il testosterone a mille e svariate e svariate Bella Swan di vario genere adesso sono stati surclassati da questo genere, di riferimento ad un pubblico più adulto ma nato come fan fiction della suddetta serie - come non dimenticare il boom delle“Cinquanta Sfumature”, serie che ha aperto le danze ad una valanga di romanzi erotici approdati in Italia con una tale prepotenza tanto da far scandalizzare i moralisti e i ben pensanti. Ma tutti avevano un unico punto in comune, a parte il tema trattato: protagonisti con passati oscuri alle spalle, per di più il protagonista maschile, che trovavano la loro ancora di salvezza spesso in ragazze anonime che si sentivano nullità e al quanto cozze ma che in realtà non avevano nulla né di inutile, né di cozza. Il libro di cui sto per parlarvi si annovera anch’esso tra gli erotici. Un libro altalenante, che mi ha portato ad avere pareri contrastanti durante l’intera lettura. il primo libro della serie “Gabriel’s Inferno” di Sylvain Reynard e non è da meno, come trama e supercomplessità mentali dei protagonisti, rispetto alle altre serie che ci sono già in giro. Infatti narra la storia di un professore universitario specializzato in Dante, Gabriel Emerson, “complessato a più non posso, indossa una maschera di giorno di perfetto e rispettato professore, per poi buttarla di notte e trasformarsi nella dissolutezza in persona...”, e di una specializzanda in Dante, Julia Mitchell, “che nonostante sia anonima, guarda caso fa svalvolare il composto di giorno - ma non tanto di notte - professor Gabriel facendo sì che si innamori perdutamente di lei e divenendo così la sua arma di redenzione...”. Però, “Gabriel’s Inferno”, si discosta decisamente dal resto degli erotici: prima fra tutti non è inframmezzato una pagina sì e una no da scene di sesso acrobatiche e allucinanti, niente fruste e frustini, niente spacconate alla Mr. Grey. L’unica scena di sesso la ritroviamo solo alla fine, e non è sesso anonimo o valvola di sfogo, ma l’unione più pura e normale che ci possa essere fra un uomo e una donna che si amano: Gabriel e Julia fanno semplicemente l’amore. Inoltre rispetto agli altri libri non è per nulla volgare – come non dimenticare il linguaggio osceno di Eva Tramell, protagonista della serie Crossfire Trilogy di Sylvia Day – anzi, l’ho trovato a tratti anche poetico. Parola grossa, vero? Be’, è così, invece. I due si corteggiano citando Dante, facendo riferimenti alla storia impossibile tra Dante e Beatrice, ed è forse questa la parte più erotica del romanzo: il corteggiamento di Gabriel nei confronti di Julia, il fatto di non poter andare al di là dei baci e di qualche carezza perché il loro rapporto è proibito dal regolamento dell’università, ma la tensione sessuale tra i due è palpabile, concreta ma anche giusta e regala più di un batticuore e di sospiri a chi si ritrova a leggere delle loro tribolazioni amorose. Vi starete domandando se lo consiglio di leggerlo ??? > Se ne avete letto parecchi di libri di questo genere e siete sopravvissuti a Antony di Sylvia Kant e Gideon Cross ; “Gabriel’s Inferno” non sarà certo un problema per voi. È inutile dire che è una lettura sconsigliata per chi di questo genere non ne vuole sentire parlare neanche pagato a peso d’oro.. ma è un argomento che sta facendo il boom. Gabriel’s Rapture (Redenzione e Tormento) Trama: Gabriel e Julia sono anime gemelle. Per lui quella timida e dolce studentessa universitaria è la luce che ha spazzato via le tenebre del passato; l’angelo che lo ha allontanato dalla strada dell’eccesso e che gli ha insegnato ad amare. Per Julia l’incontro col professor Gabriel Emerson è stato l’inizio di una «vita nova». Grazie a lui Julia si è lasciata alle spalle i ricordi dolorosi, e ha trovato la forza per superare le proprie insicurezze. E adesso è pronta per farsi guidare lungo un sentiero costellato di desideri e di trasgressioni, verso il paradiso della felicità All’improvviso, però, il destino volta loro le spalle; qualcuno ha scoperto la loro relazione e, per evitare uno scandalo che trascinerebbe nel fango l’ateneo, il rettore li mette di fronte ad un ultimatum: devono separarsi, altrimenti la loro vita diventerà un inferno. Ma come potrà Gabriel scegliere tra la sua Beatrice e la carriera? Come potrà Julia essere felice se rinuncerà ai suoi sogni in nome dell’amore? Profondo, sensuale e straordinariamente romantico, Gabriel’s Rapture trascina il lettore in un vortice di sentimenti contrastanti e segreti inconfessabili, di slanci impetuosi e decisioni sofferte, proseguendo il racconto della storia d’amore che ha conquistato milioni di lettori in tutto il mondo. Cosa ne penso ??? Appunto è un vero tormento questo secondo libro ; Gabriel mette la cosi detta anima all’inferno per amore di Julia . ..lasciandola per tre mesi interi nella desolazione più assoluta (per lei ) .. mentre lui si distrugge l anima aspettando in vano una sua chiamata , un suo sms , una sua e-mail.. (che purtroppo non arrivano) … perché Julia ha scoperto troppo tardi il vero significato del libro che aveva trovato nella casella della posta del college .. insomma troviamo nel libro molte cose che un uomo non farebbe mai e soprattutto cose ..che lasciano il lettore avvolto nel mistero Si sono lasciati, ma lui l’ha lasciata per salvarle la carriera universitaria, mettendo a rischio la loro relazione. La proposta di matrimonio mi è piaciuta molto.(cioè quale uomo faccia riprodurre una mela d’ oro con all’ interno un anello ,e poi glielo ha chiesto nel loro primo posto dove si sono incontrati quando per lui Julia era Beatrice .. e per lei Gabriel era Dante .., e poi una cosa molto particolare si ripete nei libri “ voglio essere il primo per ….. ed l’ ultimo “ ) Il libro è stato pieno di misteri, soprattutto nella parte in cui lui la lascia.(di certo chi ha scritto il libro ha avuto i suoi motivi per non scriverlo .. ma io penso che se noi prendessimo il testo letterario citato nel libro e gli altri libri citati in esso capiremo alcuni motivi e alcuni chiarimenti sul passato di Gabriel che lo scrittore ha lasciato avvolto nel mistero ) Le scene d’amore sono state giuste e posizionate nel punto giusto.(ecco a differenza di altri libri che ho letto le parti d amore sono state messe nella posizione giusta e soprattutto nei punti giusti .. senza che il lettore si confondesse ) Si sono lasciti, ma è stata una cosa breve e risolvibile.(il lettore lo capirà al volo tutta questa situazione e credo che tutti gli uomini dovrebbero prendere spunto da esso , al di là del tema del romanzo . questa saga ha grosse pretese e ci tiene sin da subito a distaccarsi da tutte le altre in cui il maschio alfa prima si porta a letto la bella e poi se ne innamora . Dietro il nome Reynaud si nasconde un’autrice canadese la cui passione per la medievalistica italiana, e Dante in particolare, l’ha portata a scrivere prima una fan fiction e poi tre romanzi, in cui i protagonisti si paragonano a Dante e Beatrice e, per non togliere niente a nessuno, abbiamo anche un Virgilio del Minnesota Chiaramente, Gabriel non ha idea che la studentessa decisamente timida e poco brillante che frequenta i suoi corsi sia la sua Beatrice, considerata da tempo immemore un sogno; lei vive come un affronto il fatto che lui l’abbia dimenticata. E, ovviamente, affinché la storia faccia il suo corso, lui finalmente ricorda e tutto cambia: a dire il vero, non tutto. lui la tratta malissimo e a pesci in faccia, finché non la idealizza; praticamente, senza soluzione di continuità, passa dal bistrattarla ed umiliarla ad elevarla a santa vergine e martire dei suoi comportamenti schizofrenici. Colpevole, Gabriel si ritiene indegno della sua piccola Beatrice, la quale, sinceramente, se escludiamo una compiacenza anche eccessiva, mischiata ad un’umiltà alla madre Teresa, non è certo un personaggio di spicco del primo libro; praticamente, in tutto quello che le succede, sembra più una vittima sacrificale che una donna adulta che compie le sue scelte. Lui passa dall’essere il classico professore satiro, ad un esempio di virtù e decenza, se non fosse che, chiaramente, deve tenere nascosto il tutto fino a quando lei non sarà più una sua studentessa .Il secondo libro della saga(quello di cui vi sto parlando )comincia con il coronamento di un sogno d’amore, che però vive un momento drammatico quando sembra che il professore lasci la sua amata studentessa, ma chiaramente è tutta una finta per permetterle di entrare nell’Ivy League, senza che la loro storia e i gossip le impediscano di avere una brillante carriera accademica. Gabriel’s Redemption (Tentazione ed Estasi) : Il Professor Gabriel Emerson ha lasciato la sua cattedra all'Università di Toronto per imbarcarsi in una nuova vita con la sua amata Julianne. Insieme, è sicuro che potranno affrontare ogni sfida. E lui è impaziente di diventare padre. Ma il programma di dottorato di Julianne minaccia i piani di Gabriel, mentre la pressione di essere studente diventa divorante. Quando a Julia viene consesso l'onore di presentare una lezione accademica a Oxford, Gabriel è costretto a confrontarsi con lei sul soggetto della sua presentazione - una ricerca che è in conflitto con le sue. E ad Oxford si presenteranno molte persone del loro passato, compresa una vecchia nemesi che intende umiliare Julia e raccontare uno dei segreti più oscuri di Gabriel. Nel tentativo di confrontarsi con i suoi rimanenti demoni, Gabriel comincia una ricerca per scoprire di più sui suoi genitori biologici, dando inizio ad una catena di eventi che avrà allarmanti ripercussioni per lui, Julianne e la sua speranza di avere una famiglia. Cosa ne penso ??? Gabriel e Julianne dovrebbero godersi il meritato riposo, ma lei sclera perché il percorso accademico non è facile e il suo Dante fa, come dire, una leggera pressione verso la procreazione. ma è chiaro che ancora una volta la nostra inconsapevole eroina si ritrova in parecchie situazioni che non ha, come dire, scelto. Capisco che tu voglia esplorare il tuo passato da figlio adottato, ma è una buona ragione per non parlarne con tua moglie? E se tu, moglie, non desideri avere subito dei figli, perché mai parlarne con il tuo ex (ed attuale) spasimante, e non con tuo marito? Ora io non voglio mettere in crisi i lettori, ma su questo terzo ed ultimo romanzo mi ha stravolto , oltre a divorarmi l anima … ho anche pianto per tutto il tempo della lettura .. (ebbene si , l ammetto Kiara Scoma ha pianto per un libro )!!! È vero che nella vita bisogna avere qualcuno con cui sfogarsi , prendersi a parole , litigare e divertirsi .. ma tra tutte le persone che ci proprio il tuo spasimante devi andare a prendere ?? Paul Virgil Norris ..ecco appunto il così citato “ Virgilio del Minnesota “… Eravamo rimasti a Todi, in una magnifica villa di campagna, dove Gabriel e Julia stavano consumando (moltissimo) la loro luna di miele. Li ritroviamo a Sellinsgrove, la cittadina dove entrambi vivevano, nella casa dei Clark, dopo qualche mese di matrimonio, innamorati e felici nel loro frutteto. Gabriel sente fortissimo il bisogno di far crescere la famiglia con Julia, ma lei è restia perché ha paura che poi non riuscirà a finire il suo dottorato e la sua carriera accademica si concluderebbe ancora prima di cominciare. Tra l’altro è stata appena invitata a tenere una lezione ad un convegno a Oxford. E proprio sull’argomento di questa lezione i due avranno la prima discussione. Ecco perché io sono sempre contraria ai triangoli amorosi (non è citato nel libro ) Ma io vedo Christa come una minaccia per loro , l ho sempre considerata una minaccia , infatti credo che sia il personaggio che fa venire la rabbia al lettore .. cioè il lettore la snobberebbe subito con >. Insomma in questo terzo romanzo … Gabriel e Julia discuteranno spesso, Julia non è più la studentessa impaurita del primo libro, tira fuori gli artigli, e quasi mai Gabriel avrà la meglio nei loro scontri La storia si svolgerà tra alti e bassi per tutto il libro, ma in questo terzo capitolo non saranno solo loro due a trovare la conclusione del loro percorso. Chi più, chi meno, tutti i personaggi della storia avranno spazio, conosceremo le loro vicende e tutte le storie che erano rimaste sospese dai due precedenti libri troveranno una conclusione. Rachel e Aaron, Scott e Tammy, Simon e Nathalie, Paul e Allison, Christa e Pacciani, Paulina, il padre di Julia, Richard, Diane, Katherine e Jeremy, tutti avranno il loro momento, e conosceremo il destino che l’autore ha riservato loro. Non posso e non voglio raccontarvi altro per non rovinarvi la sorpresa, la trama è un metà complessa e metà articolata, ci sono cambi di prospettiva e flash back, rivelazioni e colpi di scena. Reynard scrive in maniera divina, in alcuni momenti è capace di creare ansia e suspense nel lettore, che si aspetta che la storia prenda una certa piega, per poi cambiare prospettiva e dimostrare che le cose raramente sono quello che sembrano all’inizio. Ciononostante Gabriel e Julia si danno da fare moltissimo, vedrete, e in maniera sempre più passionale e meno romantica. Insomma finalmente conosceremo il lato sensuale del Professore.. era ora! Insomma dopo che Gabriel mi ha divorato l anima ..vi posso dire che alla fine di questa storia .. il lettore trovi la pace e il rilassamento in paradiso ..come Gabriel la percorrerà con la sua Julianne , e la loro storia si conclude con la frase “Ecco che appare la mia beatitudine”..
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cafestilnovista · 7 years
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ROMEO AND JULIET, Hakon Soreide
O voi, che per la via d'Amor passate, attendete e guardate s'elli è dolore alcun, quanto ‘l mio, grave; e prego sol ch'audir mi sofferiate, e poi imaginate s'io son d'ogni tormento ostale e chiave. Amor, non già per mia poca bontate, ma per sua nobiltate, mi pose in vita sì dolce e soave, ch'io mi sentia dir dietro spesse fiate: «Deo, per qual dignitate così leggiadro questi lo core have?» Or ho perduta tutta mia baldanza, che si movea d'amoroso tesoro; ond'io pover dimoro, in guisa che di dir mi ven dottanza. Sì che volendo far come coloro che per vergogna celan lor mancanza, di fuor mostro allegranza, e dentro dallo core struggo e ploro.
Dante Alighieri, “O voi, che per la via d'amor passate”
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whileiamdying · 6 years
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La Divina Commedia • Inferno • Canto XVIII
Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l’ordigno.
Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura,
tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da’ lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli,
così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ’ fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli.
In questo luogo, de la schiena scossi di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
A la man destra vidi nova pieta, novo tormento e novi frustatori, di che la prima bolgia era repleta.
Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto, di là con noi, ma con passi maggiori,
come i Roman per l’essercito molto, l’anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto,
che da l’un lato tutti hanno la fronte verso ’l castello e vanno a Santo Pietro, da l’altra sponda vanno verso ’l monte.
Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro.
Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno le seconde aspettava né le terze.
Mentr’ io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi: «Già di veder costui non son digiuno».
Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi; e ’l dolce duca meco si ristette, e assentio ch’alquanto in dietro gissi.
E quel frustato celar si credette bassando ’l viso; ma poco li valse, ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,
se le fazion che porti non son false, Venedico se’ tu Caccianemico. Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
Ed elli a me: «Mal volontier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico.
I’ fui colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella.
E non pur io qui piango bolognese; anzi n’è questo loco tanto pieno, che tante lingue non son ora apprese
a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno».
Così parlando il percosse un demonio de la sua scurïada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio».
I’ mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo là ’v’ uno scoglio de la ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo; e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo.
Quando noi fummo là dov’ el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
lo viso in te di quest’ altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati».
Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l’altra banda, e che la ferza similmente scaccia.
E ’l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda:
quanto aspetto reale ancor ritene! Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne.
Ello passò per l’isola di Lenno poi che l’ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l’altre ingannate.
Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna; e questo basti de la prima valle sapere e di color che ’n sé assanna».
Già eravam là ’ve lo stretto calle con l’argine secondo s’incrocicchia, e fa di quello ad un altr’ arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d’una muffa, per l’alito di giù che vi s’appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso.
E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parëa s’era laico o cherco.
Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
già t’ho veduto coi capelli asciutti, e se’ Alessio Interminei da Lucca: però t’adocchio più che li altri tutti».
Ed elli allor, battendosi la zucca: «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe ond’ io non ebbi mai la lingua stucca».
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
Taïde è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse “Ho io grazie grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”.
E quinci sian le nostre viste sazie».
— Dante Alighieri
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whileiamdying · 6 years
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La Divina Commedia • Inferno • Canto V
Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia e tanto più dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia.
Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio, dicono e odono e poi son giù volte.
«O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio,
«guarda com’ entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».
Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’ io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga; per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l’aura nera sì gastiga?».
«La prima di color di cui novelle tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell’ è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che ’l Soldan corregge.
L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussurïosa.
Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch’amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I’ cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov’ è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettüoso grido.
«O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’ io intesi quell’ anime offense, china’ il viso, e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangëa; sì che di pietade io venni men così com’ io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
— Dante Alighieri
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whileiamdying · 6 years
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LA DIVINA COMMEDIA
Inferno • Canto V
Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia e tanto più dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia.
Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio, dicono e odono e poi son giù volte.
«O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio,
«guarda com’ entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».
Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’ io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga; per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l’aura nera sì gastiga?».
«La prima di color di cui novelle tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell’ è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che ’l Soldan corregge.
L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussurïosa.
Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch’amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I’ cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov’ è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettüoso grido.
«O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’ io intesi quell’ anime offense, china’ il viso, e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangëa; sì che di pietade io venni men così com’ io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
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