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#stampa fotografica
patti-campani · 5 months
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Patti Campani Testo di presentazione a Luca Dimartino Vintage age "Il moltiplicarsi all'infinito delle fotografie che colgono solo il fuori della vita può contribuire alla fine del mondo. Ma alcuni fotografi, grandi in questo, cercano di salvarlo".  Poesia e fotografia – Yves Bonnefoy
La bellezza dell’arte e del paesaggio è patrimonio comune, ma in questo contemporaneo che la ignora e la priva di senso, la distrugge come un vandalo terribile e ce la rende in un fluire di immagini irrimediabilmente superficiale e continuo di allettanti mete per le vacanze, è ancora possibile percepire  il senso della sua presenza, del suo essere splendida, della sua singolarità? Per preservarla è necessario uno sguardo che sappia non solo coglierla, ma anche e soprattutto divenire dispiegamento del visibile. Bonnefoy suggerisce  che “il fotografo come i veri poeti, percepisce nelle cose ciò che oltrepassa il loro senso mondano” e ancora “Come il poeta, solo il fotografo è colui che accoglie e custodisce la presenza, dialogando con il tempo e lo spazio, presentificando anche il nulla, allontanando l'orrore attraverso lo sguardo meravigliato del primo giorno, strappando al non senso un frammento di senso.” La fotografia può mostrare il lampo della presenza nella distruzione che la modernità ha perseguito e lo sguardo poetico sulle cose dell’arte, del paesaggio, di noi stessi, è una forma di custodia attiva, una custodia che permette di sentirsi parte di un mondo che anziché distruggerle, le moltiplica. Luca Dimartino, artista e poeta, ricerca da sempre questa prossimità alle cose, in un rapporto poetico che lo conduce al loro mostrarsi essenziale e quindi denso di esistenza. Ne accoglie la presenza, ne percepisce l’istante,  le pensa e le rende a noi con gesto artistico. In alcuni precedenti progetti che abbiamo realizzato insieme (Luca Dimartino, personale a Walk about, Post Cards, collettiva a Fiorile+De Diseno)  le immagini fotografiche erano strettamente fuse alla parola, brevi versi che ne definivano la durata  termine inteso qui - sui magnifici versi  di P. Handke in Canto alla durata -  come il momento in cui ci si pone  in ascolto, mutando il momento in meditazione e restituendo l’immagine in una nuova apparenza: libera da ogni simbolizzazione e allo stesso tempo non ridotta alla lettera. Così pure per il ciclo dedicato al Teatro (presentato per Accrochage, collettiva) nel quale il gesto degli attori era di fatto il fluire stesso della durata. In  Vintage age   Luca Dimartino accompagna una preziosità altra e realizza una serie di scatti dedicati all’arte e al paesaggio della sua terra: emulsioni dipinte su carta da incisione Rosaspina.  Una tecnica antica quella dell’ emulsione, lenta, che si appropria di visibilità ad ogni singolo passaggio per arrivare ad essere un unico irripetibile pezzo.  Riporto le parole, che lo stesso Dimartino mi ha inviato: - Le emulsioni sono una tecnica che, se usata come faccio io stesa su carta da incisione Rosaspina, cerca di ritrovare la texture delle Albumine di fine ottocento (…) io le utilizzo perche come le albumine mi riportano ad una sorta di prima Impronta (...) cioè ripercorrendo tutti i procedimenti per emulsionare la carta, per stendere col pennello l'emulsione alla luce rossa, lasciarla asciugare e poi stampare (...) ripercorro, dicevo, le fasi iniziali della stampa; perciò produco immagini uniche, irripetibili. Poi una cosa importante del testo (cioè l'emulsione è come la pagina di un romanzo) è che, sotto la cadenza del  japonisme, viene dipinto a mano,  acquerellato. Queste sono da sempre le sue funzioni nel mio lavoro; le  immagini agresti, le architetture (che simulano i viaggiatori del Grand Tour, le vedute e i particolari) e le marine (…) riportare la fotografia da dove i  fotografi dell800 l'avevano lasciata (...). -
In Vintage age  la parola è sostituita dalla lentezza preziosa della tecnica di stampa, per ricondurre il qui ad essere un luogo dotato di valore, nella consapevolezza che questo  luogo fissato nell’immagine ha rifrazioni infinite, resta dentro di noi ed ha il ritmo della durata. Vintage age ci rende la presenza di una parte di ciò che ci circonda, la sottolinea e ne esalta la presenza e singolarità e lo sguardo poetico di Luca Dimartino ci riporta questa presenza, fino ad un istante prima immersa ancora nel buio della disattenzione, situandola in un nuovo significato, in una nuova sorprendente luce.
Patti Campani
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serial-traveler · 2 years
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#Wildlife Photographer of the Year 2021 in mostra
Anche quest'anno arriva a Milano il Wildlife Photographer of the Year, ospitata negli spazi di Palazzo Francesco Turati dal 30 settembre al 31 dicembre 2022.  #NoNewsMagazine #NNMagazine #NNMag #arte #mostremilano
Anche quest’anno arriva a Milano il Wildlife Photographer of the Year, la mostra di fotografie naturalistiche più prestigiosa al mondo, ospitata negli spazi di Palazzo Francesco Turati in via Meravigli 7 (zona Cordusio) dal 30 settembre al 31 dicembre 2022.  (more…)
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robertogandolfi · 6 months
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Lightpaint portrait. Stampa su carta fotografica baritata
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fotopadova · 7 months
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Fotografia italiana di 5 decenni fa, élite negletta: Geri Della Rocca de Candal
di Carlo Maccà
Dedico l’articolo a Gustavo Millozzi, grande amico e maestro da più di mezzo secolo. Lasciandomi come sempre piena libertà, ne ha seguito tutta la gestazione ed è scomparso proprio al momento della conclusione.
Ai tempi antichi, nel millennio passato, la fotografia era analogica. Ogni immagine fotografica era il risultato di un processo che oggi apparirebbe lentissimo. Il sensore era costituito da uno strato di gelatina contenente sali d’argento depositato su una pellicola. La luce liberata dallo scatto dell’otturatore produceva all’interno del materiale sensibile un embrione, che attraverso fasi fisico-chimiche successive (sviluppo e stampa) si concretizzava materialmente in una immagine partorita sulla superficie di un supporto solido, generalmente cartaceo. Solamente allora l’immagine entrava effettivamente nella vita reale, poteva ricevere un nome, vivere in una cornice appesa a una parete o dormire all’interno di un album, essere mostrata a parenti e amici, alla comunità fotografica, e, attraverso i media, alla società e al mondo intero. La speranza di vita dell’oggetto poteva facilmente superare quella dei suoi contemporanei umani, compreso il presente autore. [1]
Alla selezione della immagini che meritavano di essere conosciute e divulgate nell’internazionale fotografica provvedevano soprattutto alcuni Annuari di editori specializzati, per lo più Americani o Britannici. Anno per anno, professionisti e amatori evoluti, giovani o maturi, nuovi o affermati, inviavano agli editori stampe, sciolte o in portfolio, sperando che almeno una di queste selezionata e il proprio nome comparisse nell’indice degli autori accettati seguito dal numero della pagina in cui avrebbero ritrovato l’immagine o dal numero d’ordine di questa. Se di quei numeri ne compariva più di uno, l’autore poteva considerarsi - o vedersi confermato – “Autore” coll’A maiuscola.
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Figura 1. Geri Della Rocca deCandal -Sulla spiaggia. Ferrania XXI/7, luglio 1967, p.3.
Per Fotopadova immagini relative all'articolo
Per questa via, dalla metà degli anni ’60 cominciarono a farsi conoscere e apprezzare nel mondo fotografico internazionale alcuni dei nostri futuri Maestri, che già contribuivano ad animare e a svecchiare la fotografia italiana. Conservo con devozione alcuni di quegli annuari e ogni tanto li ripercorro con piacere (e qualche nostalgis). Per esempio, nel britannico Photography Year Book [2] del 1967 si rivedono Gianni Berengo Gardin con 4 fotografie (2 in doppia pagina), e Mario Giacomelli con 2 (fra cui l’iconico ritratto della madre colla vanga); con 2 immagini anche Cesco Ciapanna (futuro fondatore del mensile Fotografare, innovativo per l’ambiente fotografico italiano), e con una ciascuno Cesare Colombo e Michelangelo Giuliani. Via via negli anni si ritrovano anche altri autori italiani tuttora amati e apprezzati, assieme ad altri che hanno lasciato qualche memoria alla fotografia italiana. 
Fra fotografi italiani che nei pochi Photograpy Year Book dei primi anni ’70 a disposizione già a quel tempo avevano destato la mia attenzione per la qualità delle immagini e per i commenti che le presentano, soltanto uno, che portava un nome facilmente ricordabile : Geri Della Rocca deCandal, non sembra aver trovato ricordi permanenti nella nostra comunità fotografica. Nella pubblicista fotografica italiana di quegli anni parsimoniosamente tramandata fino ai nostri giorni sembra essersene occupata soltanto la rivista Ferrania [3], che nel numero di luglio 1967 presenta un ispirato articolo di Giuseppe Turroni [4] dal titolo La consolazione dell’occhio. L’autore, autorevole critico cinematografico e fotografico, scrittore e pubblicista notissimo in quegli anni, promuove alcuni giovani autori part-time che nella loro opera si distinguano per "chiarezza, onestà, purezza, spontaneità, e/o linearità di espressione". Doti che in uno di loro riconosce accompagnate da una spiccata sensibilità formale, che diremmo “classica”. Ecco come lo introduce.
 “Un giovane di Milano, studente in Fisica, Geri Della Rocca deCandal, ricerca un dilettantismo quasi prezioso, che può sembrare fuori moda e che anche per la scelta del soggetto non indulge alle convenzioni dei tempi. Ma in quanti siamo a stabilire l’esatta portata di un lavoro al di là degli aspetti formali o linguistici che ci suggestionano? Anche Geri Della Rocca de Candal ha spirito libero e introspettivo. Le sue foto ”artistiche” hanno un’impronta ovviamente diversa da quella che distingueva la produzione amatoriale italiana di lontana memoria. Sono centrate nel gusto formale del momento e nello stesso tempo riescono a tradurre un simbolo di realtà, per i nostri occhi abbacinati da tanta, da troppa cronaca che finisce per non dirci più niente, anzi per guastarci il sapore della realtà.” [4] Turroni accompagna questo testo con ben 5 immagini, certificando che il giovane, in Fisica ancora studente, in Fotografia ha già raggiunto un livello magistrale. 
Da qualche anno la Fondazione 3M offre, oltre alla collezione completa digitalizzata della rivista sopra citata, anche i files delle fotografie originali depositate presso il ricco Archivio Ferrania. Due immagini, una presumibilmente degli anni ’60, l’altra del 1974, presenti nel fondo Lanfranco Colombo sono evidenti tracce di una mostra del giovane Geri a Il Diaframma, la prima galleria in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica [5], e fanno pensare a una attività espositiva importante. Soltanto le fonti finora  citate  possono suggerire all'ambiente italiano l’esistenza di un Autore da non trascurare.
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Figura 2. Lower Manhattan Skyline - New York City, 1968. APERTURE, SPRING 1972.
Infatti rimane insoddisfatto chi, come noi, cerca di approfondire quelle notizie per la via più agevole, la Rete, che al giorno d’oggi segnala qualsiasi evento grande o piccolo e ne preserva la memoria, e perciò è indotto a supporre che l’attività fotografica del Nostro si sia conclusa in patria prima dell’avvento di Internet. Che però non si trattasse di cosa trascurabile, e che si espandesse anche all’estero, lo si può dedurre da altre tracce che attraverso Internet si reperiscono in archivi digitali della stampa specializzata straniera: per esempio, negli elenchi nominativi dei fotografi con opere presenti in raccolte fotografiche museali, in mostre antologiche dedicate all’eccellenza dell’arte fotografica mondiale o, infine, negli archivi di riviste fotografiche straniere fra le più autorevoli. Tracce lasciate in tutto il mondo, dalla Norvegia all’Australia e dagli anni ’70 fino a tempi recenti. In qualche caso contengono anche riproduzioni di opere. La figura 2, per esempio, è tratta da un articolo dedicato al nostro Autore dalla rivista Aperture [6] nel 1972.
Dalle opere così identificate si poteva già dedurre che Della Rocca de Candal conducesse nel bianco e nero ricerche sulle forme nello spazio parallele a quelle che Franco Fontana e Luigi Ghirri portavano avanti nel colore. Ma nell’accostarsi ai due coloristi a lui contemporanei, Geri manifestvaa ancor più evidente l’eredità dall’arte italiana dei periodi più classici: dalle scansioni spaziali dei pittori del 400 come Piero Della Francesca e Paolo Uccello, alla profondità della prospettiva aerea di Leonardo, ed infine al perfetto equilibrio in cui sono quasi sospese le architetture più compiute di Andrea Palladio. Spazialità tutta di tradizione italiana, da secoli ammirata (e superficialmente imitata) nei paesi anglosassoni.
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Figura 3. The Brooklin Bridge, NYC. 1968. Amon Carter Museum, Fort Worth, Texas.
Il nostro interesse per Geri Della Rocca de Candal si è meglio focalizzato quando, reperito qualche altro numero di quegli anni del Photography Year Book sopra citato, abbiamo trovato ripetutamente il suo nome, a conferma d’una produzione significativa, che si è imposta all’estero più durevolmente che da noi, e che ci è apparsa meritevole di meglio rivisitata.
 
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Figura 4. Fellers, Swiss Alps. Photography Year Book 1972, Fig. 141.
Nello Year Book del 1972, nel quale si affermano ancora Berengo Gardin con due immagini da un servizio sulle celebrazioni della Pasqua a Siviglia, e Giorgio Lotti con quattro storiche fotografie per la rivista EPOCA [7] sugli effetti dell’inquinamento delle acque e dell’aria in alta Italia, Geri figura autorevolmente in doppia pagina coll’immagine di un villaggio delle Alpi Svizzere (Figura 4). Nel 1974, 3 pagine del Photography Year Book presentano un saggio d’un suo progetto pluriennale (BN e colore) dedicato alla tradizionale sfilata delle signore newyorkesi, con vistosi copricapi e accompagnate dai loro pets, nel giorno di Pasquetta lungo la 5th Avenue appositamente chiusa al traffico (Easter Parade, gia all’attenzione con diverso approccio del franco-ungherese Brassaï nel 1957 [8]).
Tuttavia mancava ancora la possibilità di inquadrare compiutamente la figura di Geri Della Rocca de Candal e la sua attività fotografica. Questa opportunità si è avverata soltanto molto recentemente per una fortunosa coincidenza. Compare inaspettatamente in rete un omonimo, fresco di dottorato in discipline umanistiche presso l’Università di Oxford e collaboratore di un gruppo oxoniano di ricerca sul primo secolo di storia del libro a stampa. Il giovane studioso si rivela essere il figlio del nostro obiettivo, e ci dà la possibilità di contattare il padre. Questi accetta di metter mano per noi al proprio archivio fotografico, da decenni lasciato a dormire, e di rivisitarlo con affettuoso distacco.
L’autore stesso ci fornisce un buon numero di files ottenuti da stampe analogiche eseguite personalmente per mostre e pubblicazioni. Molti sono di immagini per noi nuove, altri sostituiscono vantaggiosamente parte di quelli ricavati dalle fonti a noi già note. Tutti insieme saranno di valido aiuto ad interpretare correttamente secondo la dell’Autore pe le immagini ricavate da atre fonti. 
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Figura 5. Easter Sunday Fashion Parade, NY. Photography Year Book 1974 fig.133 . 
Infine i suoi cenni autobiografici, seppure scarni, ci salveranno da induzioni ed esercizi di fantasia di precedenti commentatori [9] e ... nostri. E così possiamo raccontare che il giovane amatore (n. 1944), dopo un primo periodo di partecipazioni e successi in concorsi e mostre collettive, del quale rimase rara testimonianza l’articolo di Turroni sopra riportato, venne effettivamente "scoperto" da Lanfranco Colombo, che nel 1970 gli consentì la sua prima mostra personale presso la Galleria Il Diaframma [5]. Ben presto Geri interruppe gli studi universitari di Fisica per dedicarsi completamente alla professione di fotografo free-lance per la stampa internazionale. Fotografie realizzate nel corso dei suoi viaggi venivano pubblicate su quotidiani, settimanali riviste e libri negli Stati Uniti e in molti paesi europei (in Italia, per esempio, su Il Mondo). Contemporaneamente condusse un’intensa attività espositiva quasi esclusivamente all’estero, con mostre personali e partecipazioni a collettive in Europa e fino ai quattro angoli del mondo, dagli U.S.A. all’Australia e dal Brasile alla Cina. Considerato uno dei più rappresentativi fra i giovani fotografi Italiani del momento, sue opere vennero acquistate da musei stranieri. Ma all'inizio degli anni '80 Geri dovette occuparsi personalmente delle attività legate agli interessi di famiglia, tanto da abbandonare, prima gradualmente e poi del tutto, la fotografia. Le sue ultime apparizioni dirette non vanno oltre il 1984, ma sue opere continuano a comparire in ulteriori mostre dedicate alla più rappresentativa fotografia Italiana dei decenni in cui egli ha operato.
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Figura 6. Venezia, 1977 (bacino di S. Marco visto da S. Giorgio Maggiore)
Una fotografia dello scaffale in cui sono allineati gli annuari, i cataloghi e altri fascicoli occasionali in cui sono riprodotte le sue opere ci ha permesso di arricchire la documentazione figurativa, completando la serie di Photography Year Book degli anni fra il 1972 e il 1980, in ognuno dei quali compare almeno una sua opera. La loro successione ci ha aiutato a formulare una traccia sulla quale restituire l’evoluzione dell’Autore.
Sua caratteristica costante è la sapienza della composizione, distribuita nello spazio con equilibrio di stampo classico, anche quando la prospettiva geometrica è forzata coll’impiego di un grandangolo spinto (fino al 20 mm), e quando si combina con quella forma particolare di prospettiva aerea ottenuta coll’aiuto di foschie e nebbie (figura 6), che già si notava nelle foto dei primi anni (figure 1 e 2). A mano a mano si accentua la ricerca d’una geometria severa, rafforzata da forti contrasti con bianchi puri e neri intensi o addirittura chiusi. Tuttavia il facile rischio dell’aridità viene evitato dalla presenza della persona umana o da dettagli che la richiamano, spesso con una ironia garbata e benevola (figure 7 e 8).
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Figura 8. His, Hers (per Lui, per Lei). Photography Year Book 1980 fig.58.
Il bordino nero con cui l’autore costantemente racchiude l’immagine stampata (e nelle stampe da esposizione isola l’immagine entro un largo campo bianco) appare dettato, piuttosto che da una pretesa di eleganza, dall’intenzionale affermazione della compiutezza della composizione.
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Figura 8. Silhouettes. PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1977.
Nelle diapositive a colori l’impatto grafico è mediato da una forte saturazione del colore (Figura 9), che possiamo ritenere frutto d’una leggera sottoesposizione del Kodachrome in fase di ripresa.
 
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Figura 9. Storage closets. PHOTOGRAPHIE (CH) Juli 1978.
Varie mostre di successo e i frequenti portfolio ospitati da riviste fotografiche a grande diffusione portano la prova della sua popolarità. “Le sue frequenti permanenze negli Stati Uniti hanno dato alle immagini un’impronta, che per la fotografia europea risulta innovativa” (PHOTOGRAPHIE, Winthertur, Svizzera. Luglio 1978, editoriale). Reciprocamente, per i Nord-americani l’occhio con cui il loro paese è stato fotografato dall'ospite italiano era uno specchio insolito, rivelatore di aspetti da loro mai notati (o mai voluti prendere in considerazione, sebbene meno imbarazzanti di quelli bruscamente esibiti da altri stranieri come Robert Frank, Svizzero, o William Klein, Newyorkese ma culturalmente parigino e autodefinitosi straniero in patria).
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Figure 10 e 11. Dalla serie Bars (Sbarre) PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1978.
NOTE
 [1] Superfluo il confronto colla invadente, fugace, evanescente fotografia della nostra epoca digitale; ovvio e banale ogni commento. Sì, anche cumuli ben distribuiti di elettroni possono essere finalizzati a partorire immagini analogiche; ma ciò nella realtà avviene solo per frazioni fantastilionesimali di quelli partoriti dalle apposite strutture tecniologiche. Nonostante tutte le riviste di moda o di viaggi e gli album di matrimonio.
[2] In Italia fino agli anni ’60 quel poco che esisteva di editoria e pubblicistica fotografica  era orientato quasi esclusivamente alla divulgazione e all’aggiornamento in materie tecniche, e gli orizzonti artistici erano assolutamente provinciali. Chi voleva rimanere informato sulla fotografia nel resto del mondo poteva reperire soltanto in rare librerie più accorte (a Padova, la Libreria Internazionale Draghi) qualche periodico internazionale, come il mensile statunitense Popular Photography e il suo Annuario, o il britannico Photography Year Book. Coll’arrivo di Gustavo Millozzi, qui immigrato da Venezia e La Gondola, i frequentatori del Fotoclub Padova potevano prenotare il mensile svizzero Camera, principale punto di riferimento internazionale per la fotografia.
[3] La rivista Ferrania [ https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_(periodico) ], fondata nel 1947 e cessata nel 1967, era sponsorizzata dalla storica industria italiana omonima, che fu per vari decenni la produttrice di apparecchiature e materiali fotografici e cinematografici dominante sul nostro mercato. Memorabile la sua pellicola P30, matrice del bianco e nero del Neorealismo cinematografico italiano. La storia dell’azienda, conclusa definitivamente e infelicemente in questo millennio, si può trovare riassunta in https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_Technologies . I PDF di tutti i numeri della rivista sono liberamente consultabili in Rete sul sito https://www.fondazione3m.it/page_rivistaferrania.php . 
[4] Giuseppe Turroni, La consolazione dell’occhio,Ferrania XXI/7, luglio 1967 pagina 2.
[5] La Galleria Il Diaframma di Milano, fondata e diretta da Lanfranco Colombo, la prima in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica, presentava molti maestri stranieri e giovani innovatori nostrani, esercitando così un’azione fondamentale per lo svecchiamento della fotografia italiana.
[6] APERTURE magazine è un periodico con cadenza trimestrale nato a New York nel 1952 per opera d’un gruppo di fotografi (Ansel Adams, Minor White, Dorothea Lange e altri) al fine di promuovere la fotografia d’arte. Si è presto affermato come il più importante interprete della cultura fotografica mondiale assieme al più antico Camera. Nelle sue pagine hanno trovato slancio o conferma molti dei più apprezzati fotografi delle successive generazioni, come Diane Arbus, Robert Frank e tanti altri. La rivista è ancora attiva, disponibile anche in formato digitale assieme all’archivio di tutti i numeri dalla nascita; soluzione particolarmente conveniente in Italia dove recentemente sono state “perdute” per le strade postali la metà delle copie cartacee d’un costoso abbonamento biennale.
[7] Il settimanale Epoca della Arnoldo Mondadori Editore, nato nel 1950 sul modello dell’americano LIFE, faceva ampio uso di servizi fotografici, molti dei quali sono rimasti nella storia.
[8] Brassaï, 100 photos pour la liberté de presse. Reporters Sans Frontieres, 2022.
[9] Vatti a fidare delle informazioni reperibili in rete. Esempio:Amazon presenta così Incontri con fotografi illustri, Ferdinando Scianna, 2023: “Scianna ha realizzato migliaia di ritratti: i contadini duri e dignitosi di Bagheria, le donne estasiate durante le processioni siciliane, l’amico e coinquilino (sic) Leonardo Sciascia”. In evidenza la massima, ma non unica, baggianata contenuta in quella frase, nel suo insieme atta a disorientare l’ignaro compratore sul reale contenuto del libro.
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sssole · 1 year
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Breve riassuntino di questo periodo:
1. ho comprato una nuova macchina fotografica che fa foto davvero belle (quelle che ho messo sono foto che ho fatto senza postprodurle e sono fiera dei colori e della nitidezza :))
2. sto lavorando su di me, ormai è da due mesi e mezzo che vado in palestra e sto pian piano vedendo il mio corpo cambiare, anche se in questi giorni ho sgarrato con la dieta e sono gonfia.. insomma mi piaccio un po' di più e piaccio un po' di più
3. sono in sessione, ho fatto già un esame in cui ho preso 27 e il 21 ho un esame che mi mette super ansia, ecco spiegato il motivo per il quale guardo poco tumblr
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comunque sono più felice, vorrei essere altrove, vorrei non stare sui libri tutto il giorno però va bene così, fra meno di un mese avrò la mia pausa dallo studio e ciò mi sprona a continuare
non mi sto facendo sentire da nessuno, non perché odio tutti ma perché oggettivamente non ho proprio tempo per pensare
per il resto ho una voglia matta di spegnere il telefono e riaccendere quello coi tasti, per disintossicarmi un po', magari lo farò
ora tornerò in silenzio stampa, ritornerò quando avrò fatto l'esame del 21:)
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curiositasmundi · 1 year
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In una sala gremita, presso Francavilla al Mare, Rino Rocchelli sorride alla platea e ringraziando, dopo aver ricevuto un premio dedicato alla memoria del figlio, dice una frase molto significativa: “La Verità è stata trovata, non la Giustizia”. Non si può riassumere meglio quello che è successo il 24 maggio del 2014. Andy Rocchelli era un talento fotografico riconosciuto, i suoi reportage dai territori dell’ex Unione Sovietica erano precisi nello stile e riconoscibilissimi, la stima del suo lavoro era evidente e non deve essere riscoperta. Coprendo la questione del Donbas nei mesi dei referendum non riconosciuti del 2014, Rocchelli morirà insieme al collega e amico Andrej Mironov sotto il fuoco dalla parte ucraina nei pressi di Slovjiansk. Rimarrà ferito ma vivo il corrispondente francese William Roguelon. La notizia sconvolse l’industria fotografica nel profondo, furono tantissimi i presenti al funerale di Rocchelli a Pavia, e il ricordo addolorato dei ragazzi e delle ragazze di Cesuralab, realtà fotografica che Andy fondò anni prima insieme ad un pugno di altri fotografi, è un’immagine fortissima che rimarrà impressa a tutti i presenti. Il caso Rocchelli purtroppo si evolverà in una questione politica, da una parte i filo ucraini in Italia considereranno la questione argomento di propaganda filorussa, dall’altra molti canali simpatizzanti proprio dei filorussi useranno Rocchelli per descrivere gli ucraini come atroci assassini. È un’ingiustizia nell’ingiustizia, poiché la morte di Rocchelli rimane un dolore umano: un collega è rimasto brutalmente ucciso mentre faceva il suo mestiere, e chiunque abbia voluto indagare per capire chi fosse il colpevole di quest’atrocità ha fatto il suo sacrosanto dovere. Invece le indagini saranno sempre inquinate dalle urla di varie tifoserie, in particolare quando verrà arrestato Vitalij Markiv nel 2017. Il soldato ucraino venne accusato dell’uccisione dei reporter poiché era presente sulla collina da dove sono partiti i colpi, la quale era presieduta dal reparto della Guardia Nazionale di cui Markiv faceva parte e da uno dell’esercito. Il processo sarà piuttosto teatrale, ucraini presenti sempre in aula accoglieranno ogni volta Markiv con l’urlo “Slava Ukraïni!” e la risposta “Heroiam slava!” (Gloria all’Ucraina! Gloria agli Eroi!). Secondo il governo ucraino Markiv è vittima di un processo persecutorio fatto nell’isterismo di trovare un colpevole. Dall’altra parte le autorità italiane denunceranno chiaramente gli ostacoli posti dalle autorità ucraine durante le indagini nel tentativo di sabotarle. Il processo, il 3 novembre del 2020, finisce con l’assoluzione di Markiv che arriva per un errore formale. In un battito di ciglia Markiv se ne torna in Ucraina accolto da eroe. Il suo paese è già governato dal presidente Zelenskiy, che su questo tema non ha mai pronunciato una sillaba negli incontri oramai super amichevoli tra i nostri paesi. Solamente lo sforzo di due reporter italiani, Giuseppe Borello e Andrea Sceresini, porterà nuovi dettagli che metteranno luce su chi è colpevole di quello che è successo.
[...]
In tutto questo sulla famigerata lista ‘Myrotvorec’ il nome di Rocchelli era presente e orribilmente segnalato come: “liquidato”. Come se fosse stato un nemico politico, non un giornalista che svolgeva il suo lavoro. Ma su quella lista molti corrispondenti italiani ci finiscono ancora oggi, le autorità ucraine dicono che non la ritengono ufficiale e non ha peso, ma i nomi ci sono e uffici stampa, comandanti, soldati, fixer che sono legati a ideologie di estrema destra invece la leggono come fosse il Vangelo.Sulla morte di Rocchelli bisogna rimanere solidi “rompicoglioni”: quello che gli è successo è un crimine di guerra ed essere obiettivi significa che, se piangiamo i colleghi morti in Donbas sotto i bombardamenti dell’artiglieria russa, si deve anche puntare il dito su chi è responsabile nella Difesa ucraina, perché una famiglia ha perso un figlio, un’attivista che era voce autorevole per i diritti umani come Mironov non c’è più, colleghi si stringono nel dolore di un fratello ucciso ed è semplicemente insopportabile che su mille strette di mano e abbracci non venga detta la frase: la questione va chiusa per il bene della Giustizia. Qualcuno potrà pensare che Rocchelli si sia trovato nel posto sbagliato e queste cose capitano quando ci si immischia in una guerra. Questo pensiero è sbagliato e può esserlo per due motivi: o non fai il reporter e non conosci le dinamiche oppure sei fazioso, perché un reporter è sempre nel posto giusto quando la sua esperienza e il suo intuito lo portano dove la storia è presente. Gli incidenti capitano, ma qui parliamo di un’uccisione intenzionale.
[...]
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karenlojelo · 1 year
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#unquadroalgiorno @cristian.andreini_art ORIZZONTI INFINITI Pittura digitale su tavola grafica stampa su carta fotografica 50x70 cm (presso Lojelo art gallery) https://www.instagram.com/p/CqZwVfpIPPF/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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carmenvicinanza · 1 year
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Eva Besnyő
https://www.unadonnalgiorno.it/eva-besnyo/
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Eva Besnyő, fotografa e giornalista che ha fatto parte di quella schiera di apolidi ungheresi che tra gli anni 20 e 30 del ‘900 hanno girato l’Europa alla ricerca di una libertà  civile e artistica.
Si è occupata di reportage, ritrattistica, si è specializzata in fotografia di architettura, è stata la reporter ufficiale del movimento femminista dei Paesi Bassi.
La sua fotografia, realista e militante, l’ha resa una professionista indipendente che è riuscita a scegliere di vivere come sentiva di fare, nonostante fosse una donna, ebrea, attiva politicamente durante la seconda guerra mondiale e dopo. Ha viaggiato, frequentato importanti circoli artistici formandosi con grandi maestri, sperimentato stili e tematiche differenti.
Nacque a Budapest il 29 aprile 1910 da una famiglia ebrea benestante, da madre ungherese e padre ebreo che, nonostante avesse cambiato il suo cognome ebraico, Blumgrund, in quello ungherese Besnyő, morì a Auschwitz, nel 1944.
Suo amico d’infanzia e vicino di casa era Endre Friedmann che, ispirato da lei, che lo portava in giro a fotografare con la sua prima Kodak Brownie, sarebbe poi diventato il celeberrimo Robert Capa. La loro amicizia è durata per tutta la vita.
Dopo il liceo è andata ad apprendere il mestiere nello studio di József Pécsi, specializzato in ritratti e fotografia pubblicitaria, un importante luogo di ritrovo per i futuri artisti visivi degli anni ’20 e ’30.
La sua visione e tecnica fotografica è scaturita dal libro Die Welt ist schön (Il mondo è bello) di Albert Renger-Patzsch, precursore della Nuova oggettività in fotografia, che prevedeva un atteggiamento asettico verso la vita e l’arte, accentuando solo alcuni particolari per aumentarne l’effetto espressivo. Da quel momento in poi le sue fotografie hanno scrutato il mondo senza sentimentalismi o accenti lirici, guardando la realtà in maniera diretta e senza fronzoli.
Trasferitasi a Berlino nel 1930, allora centro dell’avanguardia e della sperimentazione artistica, vendeva le sue foto a riviste che le firmavano con nomi maschili.
Entrata a far parte della cerchia di artisti e intellettuali impegnati socialmente e politicamente, ha frequentato i corsi serali della Scuola marxista per lavoratori, conosciuto il teatro sperimentale, il cinema russo, la Bauhaus e le nuove correnti di architettura, facendo propria l’estetica della Neue Sehen, basata sulla sperimentazione tecnica, sull’uso di inquadrature inconsuete, diagonali, angoli di ripresa dall’alto verso il basso e viceversa, contrasti di luci e ombre, costruzione geometrica della scena.
Alla fine del 1931 era riuscita ad aprire il proprio studio fotografico, continuando a lavorare su reportage giornalistici commissionati da agenzie di stampa. La famosa fotografia del bambino che cammina lungo una strada, portando sulla schiena un violoncello, Boys with Cello, risale a quel periodo, così come la serie di foto dei portuali sulla Sprea, dei carbonai in strada, degli operai ad Alexanderplatz, allora il più grande cantiere in Europa.
Nell’autunno del 1932, per l’ondata crescente di antisemitismo, si vide costretta a lasciare Berlino per trasferirsi ad Amsterdam, dove era entrata a far parte della schiera di artisti che ruotavano intorno alla pittrice Charley Toorop (dedita a sviluppare lo stile pittorico del realismo sociale).
Le immagini di quel tempo includono molte iconiche fotografie su temi sociali. Il suo lavoro diventava sempre più politico, mentre si consolidava anche la sua reputazione come fotografa di architettura secondo l’idea di Nuova costruzione funzionalista, edifici creati dando priorità all’utilità funzionale, anziché all’estetica.
Ha fatto parte del Vereeniging van Arbeiders Fotografen (VAF), associazione di fotografi affiliata all’allora Partito Comunista dei Paesi Bassi, collaborato con la rivista socialista illustrata Noi. Il nostro lavoro, la nostra vita e fatto parte della BKVK (Associazione delle arti per la protezione dei diritti culturali) con cui ha organizzato la mostra di protesta del 1936 contro i Giochi Olimpici di Berlino “D-O-O-D” (De Olympiade onder Diktatuur).
Nel 1937 è stata fautrice della mostra internazionale Foto ’37, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, a cui parteciparono i più noti fotografi del tempo.
Per la resistenza olandese produceva fototessere per carte d’identità di persone appartenenti a gruppi clandestini.
L’invasione tedesca del maggio 1940, la costrinse, come ebrea, a vivere in clandestinità.
Dopo il Decreto Giornalistico del maggio 1941, non poté più pubblicare con il proprio nome a causa delle sue origini ebraiche e venne costretta a usare uno pseudonimo, Wim Brusse.
Attratta da una visione del mondo plasmata dall’umanesimo, negli anni del dopoguerra, le sue fotografie divennero stilisticamente decisive per il neorealismo.
Ha partecipato a mostre collettive al MoMa di New York e ricevuto la medaglia d’oro alla Prima Biennale della Fotografia di Venezia, nel 1957.
Negli anni ’70 è stata la “portavoce visiva” del movimento femminista marxista olandese Dolle Mina partecipando, come attivista, alle performance di strada che mescolavano umorismo e provocazione in un’atmosfera giocosa.
Nel 1980 rifiutò il Ritterorden (cavalierato) che le avrebbe voluto conferire la Regina dei Paesi Bassi.
Nel 1982 c’è stata la sua prima retrospettiva all’Amsterdam Historical Museum, dove era esposto circa mezzo secolo del suo lavoro.
Nel 1999, a Berlino, ha ricevuto il premio Dr. Erich Salomon per il lavoro svolto nella sua carriera e alla fine dello stesso anno il Museo Stedelijk le ha dedicato una mostra.
Si è spenta a Laren, in Olanda, il 12 dicembre 2003.
Gran parte delle sue foto sono conservate al Maria Austria Instituut di Amsterdam.
Nel 2021 una mostra online in corso al Museo Kassák di Budapest ha esplorato i punti di vista e di svolta della sua vita, dai primi autoritratti e fotografie sociali in Ungheria, agli anni esteticamente formativi a Berlino, fino al successo e alle prestigiose commissioni nei Paesi Bassi.
Eva Besnyo: 1910-2003: Fotografin / Woman Photgrapher: Budapest. Berlin. Amsterdam è il libro che racconta il suo percorso artistico.
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alixdifarfalla · 1 year
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Strapparmi la buccia Box, 2023, stampa fotografica su carta cotone, cornice in legno, lattice
Se resti dove sono, 2023, lattice e pigmenti su vetrina e su muro
Installazion view at "Transmateria", Art Studio Finestreria, Milano
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carlocolli · 2 years
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❤️FELICE 20023❤️ “Finalmente la pace - Planisfero fisico” | Poster: stampa digitale su carta fotografica satinata e profili in plastica bianca | 100x70cm. #carlocolli #diemauerartecontemporanea A colpo d’occhio diamo per scontato che si tratta di una semplice carta geografica, di un planisfero fisico, ma soffermando lo sguardo ci accorgiamo dell’anomalia, che, per quanto inquietante, invita e lascia spazio a molte riflessioni che possono dare e restituire infinite declinazioni all’immagine che si presenta davanti ai vostri occhi. Romanticamente, per come è presentata, ci riporta alla memoria i banchi di scuola, proprio la dove per la prima volta con grande stupore e meraviglia scoprivamo e localizzavamo le coordinate del punto esatto del nostro sguardo sull’immensità del mondo, ma oggettivamente, oltre a farci vivere questa nostalgica intima dimensione temporale, ci induce inevitabilmente a porci delle domande sulle possibili cause di tale scenario post apocalittico. A prescindere dalle possibili declinazioni che possiamo attribuire a tali cause, che non sto qui ad elencare per non condizionare le vostre intime riflessioni, di sicuro ci accorgeremo o spero ci ricorderemo che nulla è scontato, e che esse semplicemente o terribilmente sono connesse alla perdita di uno dei principali valori indispensabili per la naturale e sostenibile convivenza e coesistenza in questa nostra casa comune: il rispetto. Davanti alla celestiale calma di questo primordiale mare sconfinato, a voi le vostre intime riflessioni. Didascalia opera: C'era una volta, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, bla, finalmente la pace. . . . . #conceptualillustration #contemporaryartcollection #contemporaryprintmaking #contemporaryart #conceptual_art #alteration #contemporatyartist #planisfero #cartageografica #geographic #world #erased #mappa #pacenelmondo #planisferofisico #magazine (presso Prato, Italy) https://www.instagram.com/p/Cmy5QHmoqBe/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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agrpress-blog · 2 months
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Valorizzazione della cultura fotografica italiana: nasce Identità Fotografiche Il 24 settembre 2024 alle 11.30 presso ... #cameradeideputati #conferenzastampa #fotogiornalismo #fotografi #IdentitàFotografiche #marcogeppetti #MarcoRavagli #MaurizioRiccardi https://agrpress.it/valorizzazione-della-cultura-fotografica-italiana-nasce-identita-fotografiche/?feed_id=6253&_unique_id=66a81577b35db
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tispaccolafesta · 4 months
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Torta completa Brawl Stars 12 scatoline a forma di fette torta scenografica decorazione tavolo scatola porta gadget confetti caramelle bomboniere personalizzata con nome, età e tema festa compleanno. Dimensione Torta 30cm Il costo comprende: Personalizzazione disegno; Stampa su carta cartoncino fotografica 260gr patinata…
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londranotizie24 · 4 months
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Sergio Strizzi: The perfect moment è alla Estorick Collection of Italian Modern Art
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Di Silvia Pellegrino Ha preso il via ieri 15 maggio alla Estorick Collection of Italian Modern Art di Londra "Sergio Strizzi: The Perfect Moment", una mostra di 80 scatti che testimoniano il lavoro del grande fotografo nel cinema italiano. Sergio Strizzi, The perfect moment è alla Estorick Collection of Italian Modern Art Ha preso il via il 15 maggio e prosegue fino all'8 settembre "Sergio Strizzi: The perfect moment", la mostra fotografica ospitata dalla Estorick Collection of Italian Modern Art di Islington a Londra che presenta 80 scatti realizzati dal grande fotografo e dedicati al mondo del cinema italiano. La mostra presenta per la prima volta nel Regno Unito una panoramica pressoché completa del lavoro di Sergio Strizzi (1931-2004) che ha lavorato come fotografo di scena su alcuni dei più importanti set cinematografici sia in Italia che all'estero dagli anni '50 ai primi anni 2000. Il suo lavoro include fotografie iconiche di Monica Vitti, Marcello Mastroianni e Sophia Loren. L'esposizione che ha preso il via mercoledì scorso è il risultato di un progetto ambizioso nato circa un anno fa, frutto della collaborazione tra la Fondazione Sergio Strizzi e la Direttrice della Estorick Collection of Modern Italian Art, Roberta Cremoncini. Pensato per il pubblico inglese, il progetto ha avuto una prima fase di selezione di 120 foto, fino alla scelta delle 80 in mostra, principalmente in bianco e nero, che raccontano la carriera del famoso fotografo cinematografico. Come ci confermano Vanessa e Melissa Strizzi, le figlie del grande fotografo che abbiamo incontrato alla serata per la stampa, la scelta delle foto dei set cinematografici e dei ritratti non è stata così "indolore": "Avrei voluto anche la barriera...", confida Melissa. Ci spiegano che la foto in questione fa parte del set del film Fuga per la vittoria (Escape to Victory), presente in mostra in diversi scatti, ma senza la foto dei giocatori allineati sul campo, quella che loro chiamano affettuosamente "la barriera". Risulta altrettanto difficile trovare la loro foto preferita tra quelle in mostra: tra le più amate da Melissa, quella con Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, presente nel set "La Notte" e nella stessa locandina della mostra, perchè in questo scatto il padre è riuscito a cogliere qualcosa di  iverso: "Nella foto l'attrice sorride, mentre nel ruolo che interpreta nel film di Michelangelo Antonioni è sempre triste".   Per Vanessa la preferenza cade sul set del "Giudizio Universale" (The Last Judgement), con due foto in bianco e nero: un ritratto di Silvana Mangano che sembra avvolta dalla luce e quella corale del ballo di sala.   Per la direttrice della Estorick Roberta Comencini sono i ritratti del servizio fotografico realizzato alla Torre Galfa di Milano che hanno come protagonista un'altra icona del cinema italiano: Monica Vitti. Ma è lo stesso Strizzi che l'occhio attento riesce a scorgere nello sfondo di una foto di scena con l'attrice de "La Ragazza con la Pistola" (cercate in galleria 1) e così pure negli scatti di altri attori di cui divenne amico e che ci vengono indicati dalle sorelle Strizzi. "Ce ne sono diversi, sicuramente Stanley Baker...quando morì fu una delle poche volte che vedemmo papà piangere". L'amicizia con il leggendario attore non è l'unico legame che il fotografo strinse fuori dal set con attori inglesi e non. Oltre a Baker, prematuramente scomparso a 48 anni, ci raccontano dell'amicizia con Sir Michael Cane (in esposizione nelle foto di Escape to Victory) e con l'attore americano Ben Gazzara, immortalato da Strizzi con Audrey Hepburn sul set del film Bloodline. Tra gli italiani, il regista Francesco Rosi e Marcello Mastroianni, che erano di casa quando Vanessa e Melissa erano piccole. Nella bella video intervista di Luigi Abramo che vi suggeriamo di vedere all'entrata in galleria, Sergio Strizzi dice di Mastroianni: "Non amava farsi fotografare e non riusciva a distinguere tra una buona ed una cattiva foto, ma sempre disponibile sul set.. sempre collaborativo". Quello che per il visitatore è un viaggio nel mondo fantastico del cinema dei tempi d'oro, per Vanessa e Melissa bambine era la normalità. Entrambi i genitori lavoravano in quel settore, quindi giocare con i props del film Lo Squalo o vestirsi con costumi di scena delle Avventure del Barone Munchausen (in esposizione ci sono foto del set con Robin Williams) era il nostro equivalente di giocare con le bambole. Un po' meno facile spiegare il lavoro del padre agli amichetti e compagni di scuola, ci spiegano, perchè a quei tempi il fotografo cinematografico era una professione praticamente nuova. Niente a che vedere con la figura del paparazzo, sebbene alcune testate giornalistiche l’abbiano erroneamente associata al fotografo romano. ... Continua a leggere su
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robertogandolfi · 6 months
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Giorgia. Stampa fotografica su carta baritata.
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photodecor-it · 5 months
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scontomio · 6 months
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