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#patti campani
patti-campani · 4 months
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Skank Bloc Bologna: Alternative Art Spaces Since 1977 è un volume a cura di Roberto Pinto e Francesco Spampinato che ricostruisce la storia degli spazi espositivi non-profit a Bologna dal 1977 a oggi. Che si tratti di iniziative individuali, imprese cooperative o centri sociali, questi spazi hanno prodotto un vero e proprio “modello Bologna”, peculiare sia rispetto alla situazione di altre città italiane sia su scala internazionale. Il titolo del libro richiama un brano del 1978 della band post-punk inglese Scritti Politti, emblematico della percezione internazionale di Bologna come epicentro di agitazione politica e innovazione culturale. Il volume include saggi a carattere storico-teorico, interviste con i membri fondatori degli spazi in oggetto, preziosi documenti visivi d’archivio e una mappa infografica che ricostruisce la genealogia del fenomeno. Il progetto è stato vincitore dell’undicesima edizione del bando Italian Council (2022) indetto dalla Direzione Generale per la Creatività del Ministero della Cultura italiano.
A cura di Roberto Pinto e Francesco Spampinato Testi di Roberto Pinto, Francesco Spampinato, Andrea Lissoni, Lara De Lena e Davide Da Pieve ed. MOUSSE, 2024
Alcune pagine sono dedicate a Fiorile Arte
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fiorile-arte · 25 years
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Ljuba Via d'uscita a cura di Patti Campani (...) In una società dove i condizionamenti, le chiusure, gli obblighi, le tradizioni, le regole, i doveri, il profitto rendono le persone prigioniere in mondi chiusi, sigillati, ermetici, dove si atrofizzano le forze vitali l'unica via di uscita è il rifiuto di accettare il gioco perverso di queste gabbie apparentemente luccicanti e distruggerle proclamando la libertà possibile della vita. Patti Campani
L'allestimento è composto da un video elaborato da un'azione performativa dell'artista, poesie, immagini e scatole. Tantissime scatole ingombrano la galleria, rendendo difficoltosi movimenti e azioni. Sopra di esse è proiettato, occupando tutto lo spazio della galleria, il video "Via d'uscita".
Il penultimo giorno della mostra con un'azione collettiva finale le scatole che riempiono lo spazio sono distrutte per l'apertura di una "via d'uscita" dai condizionamenti attuali.
L'ultimo giorno, la mostra è visibile con i "residui" dell'azione collettiva sulle scatole.
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fiorile-framcafe · 7 years
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Nuovo Mondo Enrico Fuser a cura di Patti Campani
… e se trovassi dimora sul più lontano dei mari. Secondo Natura, W.G. Sebald
Sfogliare i disegni di Fuser riporta ogni volta in modo sorprendente alla dimensione di un tempo lontano, quello delle antiche spedizioni oltre i confini conosciuti alla scoperta dei continenti inesplorati, ai viaggi dei ricercatori del mondo naturale che nel settecento ci hanno riportato incredibili immagini di animali e vegetali fino ad allora sconosciuti, rivelandosi spesso anche formidabili disegnatori e acquerellisti. Molti di quegli splendidi esemplari sono irrimediabilmente estinti ormai, travolti dal cambiamento indotto dai danni di una civilizzazione che ha sempre più il temperamento di un’invasione vandalica da parte dell’uomo verso il mondo naturale e che fa comprendere appieno la differenza tra natura e società. E appare chiaro che tutto si riduce, la proliferazione delle specie è mera illusione, nessuno sa quale sarà il traguardo. (ibidem W.G.Sebald) Ma se al di là di ogni nostro lento ed ostacolato sforzo di rientro da questa distruzione fosse la Natura a segnare una nuova evoluzione, a spostarci con mano possente dalla sua strada? In Nuovo Mondo Enrico Fuser suggerisce forse proprio questa possibilità ed affida all’opera della Natura stessa la salvezza dei generi attraverso nuove specie, metamorfosi che conducono a formidabili incroci tra mondo animale e vegetale o tra generi animali diversi. E così tra disegni effettivamente documentativi troviamo l’Antilocapra corallina che indossa elegantemente rami del fondale marino o il Polipo che sboccia come un fiore con lunghi stami e tentacoli come foglie raccolte a corona, oppure i grandi cetacei che portano sul dorso intere isole vegetali, cactus fioriti e tartarughe ed ancora gufi magnifici con enormi conchiglie a definirne lo sguardo o Granchi cui vengono affidati i colori del tramonto. Una Natura colta in incessante metamorfosi, un luminoso viaggio visionario in un possibile Nuovo Mondo. Patti Campani, gennaio 2018
Fiorile+FramCafè via Rialto 22 – Bologna 3 febbraio -> 31 marzo 2018
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fiorile-tatler · 5 years
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Attrito#03
Per incanti a sé ritrarlo Pietro Mancini a cura di Patti Campani
Giovani figure sono immobili, gli occhi chiusi. Quanto li circonda al contrario è animato da un vitale movimento, anche se fissato nella sospensione silenziosa del momento che è pronto a manifestarsi. Del resto ogni incantamento ha sospensione temporale e sonora. Come il momento nel quale si apre il sipario. Forme geometriche che sembrano racchiudere immagini di volti in realtà le disvelano, come fossero lenti di cannocchiale, otturatori di una macchina fotografica; quanto giunge ai nostri occhi è dato dalla rimozione di un fitto reticolato, un velo, che cela presenze scultoree che così ci giungono, chiare nella loro materia, come apparizioni. Immagini che ci consegnano nuove/antiche/desuete rappresentazioni, qui dalla scultura classica, non di personaggi mitologici, ma di altri adolescenti. Un rimando, quindi; uno specchio atemporale. Forse. Ma non è uno svelamento completo, analizzabile o scientifico. E’ provvisorio e mutevole, animato dal cammino o dal volo di cicale, grilli, libellule, a presenza di una natura che pure è di per sè stessa in divenire nel continuo movimento. Natura intesa come physis, come sostanza propulsiva, afflato vitale, forza in fieri. Così com’è in movimento la conoscenza intuitiva che, unica, può cogliere quello slancio formatore di ogni cosa, che va per l’appunto dall’interno all’esterno, proprio come nella potenza di una gemma, e che ci raggiunge, nel suo essere, come uno stupore improvviso. Tutto pare sospeso in questo momento potente. Arrivare all’essere, senza fermarci all’essente. Riportarci a noi stessi, quindi, riprenderci il senso della nostra stessa esistenza/sostanza. A sé ritrarre, condurre nuovamente a sé, prendere nuovamente possesso. E fare questo per incanto, per un momento di sospensione fugace e illuminante, un varco. Patti Campani, febbraio 2020
Per incanti a sé ritrarlo Pietro Mancini a cura di Patti Campani dal 29 febbraio al 30 marzo 2020
Nel rispetto dell'ordinanza Regionale che prevede In primo luogo la “Sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, anche di natura culturale, ludico, sportiva ecc, svolti sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico” l'inaugurazione della mostra ATTRITO#03
PER INCANTI A SE’ RITRARLO - di Pietro Mancini, prevista per sabato 29 febbraio, è rinviata a data da definirsi.
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thehours2002 · 6 years
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don’t mind me just fantasizing about the idea of bernadette replacing patti once campany transfers
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lucacoser · 6 years
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marzo 2018 / L.C One Show (with D.Coletti) / Di tutto resta un poco / curated by Patti Campani / Fiorile-Tatler / Bologna
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personal-reporter · 5 years
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CAROSELLO. Pubblicità e Televisione 1957 – 1977. In Mostra alla Fondazione Magnani-Rocca
Alla Fondazione Magnani-Rocca si apre un nuovo capitolo nell’indagine della storia della Pubblicità in Italia. La #mostra “Carosello. Pubblicità e Televisione 1957-1977” – allestita alla Villa dei Capolavori, sede della Fondazione a Mamiano di Traversetolo presso #parma dal 7 settembre all’8 dicembre 2019, a cura di Dario Cimorelli e Stefano Roffi – segue infatti dopo due anni la prima esposizione dedicata alla storia della pubblicità dal 1890 al 1957. Fu l’occasione per ripercorrere la nascita e l’evoluzione della comunicazione pubblicitaria e in particolare del manifesto, permettendo al visitatore di comprenderne la genesi, dai primi schizzi ai bozzetti, fino al manifesto stampato. Se in quella prima tappa della storia della pubblicità fu possibile ammirare le creazioni di cartellonisti come Leonetto Cappiello, Sepo, Marcello Dudovich o Plinio Codognato. Questa nuova occasione espositiva permette di continuare a seguire l’evoluzione della storia della #grafica pubblicitaria e del manifesto con grandi designer come Armando Testa, Erberto Carboni, Raymond Savignac, Giancarlo Iliprandi, Pino Tovaglia, affiancandola a un nuovo media – la televisione – che con Carosello mosse i primi passi nel mondo della pubblicità. Il visitatore quindi troverà tantissimi, celebri manifesti di quel periodo, affiancati ai bozzetti e agli schizzi, e insieme avrà la possibilità, grazie a una serie di schermi distribuiti nelle sale espositive, di ripercorre l’unicità e l’innovazione degli inserti pubblicitari di Carosello, vincolati al tempo a rigide regole di novità e lunghezza. Si scoprirà così l’universo dei personaggi animati che sono nati con la televisione, come La Linea di Osvaldo Cavandoli, Re Artù di Marco Biassoni, Calimero di Pagot o Angelino di Paul Campani, fino alla moltitudine di personaggi nati dalla matita di Gino Gavioli. Bozzetti, schizzi, rodovetri, storyboard sono gli elementi a complemento della serie di cartoni animati presentati in #mostra. A cui si aggiungono gli inserti pubblicitari in cui sono protagonisti i più importanti cantanti dell’epoca da Mina (Barilla) a Frank Sinatra, da Patty Pravo a Ornella Vanoni e Gianni Morandi o grandi attori come Totò, Alberto Sordi, Virna Lisi, Vittorio Gassman e grandi registi come Luciano Emmer, Mauro Bolognini, Ettore Scola, i fratelli Taviani, oltre a personaggi tv popolarissimi come Mike Bongiorno, Pippo Baudo, Raffella Carrà, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. La cultura di massa – Una selezione dei più importanti oggetti promozionali dell’epoca come l’ippopotamo Pippo, o i gonfiabili di Camillo il Coccodrillo, della Mucca Carolina, di Susanna tutta Panna completano la presentazione della pubblicità dei primi trenta anni della seconda metà del Novecento. Carosello, infatti, ebbe successo anche perché creò e impose i suoi caratteristici personaggi. Umberto Eco all’epoca sosteneva, nel saggio Ciò che non sappiamo della pubblicità televisiva, che si trattava di personaggi ambigui ed esili, di personaggi cioè che, a differenza degli eroi e dei personaggi mitologici tradizionali, non erano «portatori di un’idea» e avevano perso «la nozione di ciò che dovevano simboleggiare». Eppure, forse proprio grazie a questa loro apparente debolezza comunicativa, tali personaggi hanno saputo integrarsi efficacemente con la cultura di massa della società italiana. Hanno saputo cioè diventare vere e proprie “icone”, esseri senza profondità, spesso, come ha sottolineato lo stesso Eco, anche indipendentemente dai prodotti da cui erano nati. La fiabesca rivoluzione dei consumi – La pubblicità di quel periodo – dal 1957 al 1977, non solo televisiva – introdusse una vera e propria rivoluzione nel patrimonio culturale e visivo di tutti. Carosello era trasmesso in bianco e nero, ma per gli italiani era ricco di colori. Aveva infatti i colori del consumo, i colori di un nuovo mondo di beni luccicanti che si presentavano per la prima volta sulla scena sociale: lavatrici, frigoriferi, automobili, alimenti in scatola, etc. Carosello non era semplicemente pubblicità, ma un paesaggio fiabesco dove regnavano la felicità e il benessere, un paesaggio estremamente affascinante per una popolazione come quella italiana che proveniva da un lungo periodo di disagi e povertà. Un paesaggio onirico che esercitava un effetto particolare nei piccoli paesi, nelle campagne e nelle regioni più arretrate, dove rendeva legittimo l’abbandono di quell’etica della rinuncia che apparteneva alla vecchia cultura contadina, in favore dell’opulenza della città e dei suoi beni di consumo. Carosello, dunque, ha insegnato a vivere la modernità del mondo dell’industria, ha insegnato cioè che esistevano dei nuovi beni senza i quali non ci si poteva sentire parte a pieno diritto del nuovo modello sociale urbano, industriale e moderno. E ha insegnato anche come tali beni andavano impiegati e collocati all’interno del modo di vita di ciascuno. Seppure vincolato dalle rigide norme imposte dalla Rai puritana dell’epoca, ha comunque potuto mostrare le gratificazioni e le diverse fonti di piacere che erano contenute nei nuovi beni di consumo. Forse non è un caso che a Carosello lavorassero insieme i migliori creativi e le migliori intelligenze del teatro e del cinema italiano dell’epoca. Le collaborazioni – L’esposizione, fra gli altri contributi, si avvale della collaborazione col prestito di un importante numero di bozzetti originali e manifesti di Carboni, Iliprandi, Testa, Tovaglia del Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università di #parma, e di manifesti d’epoca del Museo nazionale Collezione Salce di Treviso e della Collezione Alessandro Bellenda – Galleria L’IMAGE, Alassio (SV), della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, di archivi aziendali e di importanti collezioni private. Per tutta la parte filmica si avvale del contributo dell’Archivio Generale Audiovisivo della Pubblicità Italiana e del personale apporto del suo Fondatore e Direttore, lo storico della pubblicità Emmanuel Grossi. L’Archivio Storico Barilla, da ora disponibile online sul sito www.archiviostoricobarilla.com con oltre 35.000 documenti consultabili, ha messo a disposizione alcuni spettacolari caroselli con Mina (1967) con gli abiti disegnati da Piero Gherardi, costumista di Fellini, rari “rodovetri” utilizzati per le animazioni dei caroselli con Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda, per il Gran Pavesi disegnati da Marco Biassoni e alcune storie di Topo Gigio, testimonial per i Pavesini fra il 1963 e il 1975. La #mostra e il catalogo – La #mostra – a cura di Dario Cimorelli, cultore di storia della pubblicità, e Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione, come il precedente capitolo dedicato alla pubblicità del periodo 1890-1957 – è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, dove, oltre ai saggi dei curatori e alla riproduzione di tutte le opere esposte, vengono ripubblicati testi fondamentali di Omar Calabrese su Carosello e su Armando Testa, a cui vengono affiancati nuovi testi di Emmanuel Grossi su cinema, musica e animazione in rapporto a Carosello, Roberto Lacarbonara sull’attività di Pino Pascali in ambito pubblicitario, Stefano Bulgarelli sulla Scuola modenese di Carosello. CAROSELLO. Pubblicità e Televisione 1957-1977 Fondazione Magnani-Rocca, via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma). Dal 7 settembre all’8 dicembre 2019. Aperto anche tutti i festivi. Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Aperto anche 1° novembre e 8 dicembre. Lunedì chiuso. Ingresso: € 12,00 valido anche per le raccolte permanenti – € 10,00 per gruppi di almeno venti persone – € 5,00 per le scuole. Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 [email protected] www.magnanirocca.it Il sabato ore 16.00 e la domenica e festivi ore 11.30, 15.30, 16.30, visita alla #mostra con guida specializzata; è possibile prenotare via mail a [email protected] , oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 17,00 (ingresso e guida). Presentando il biglietto d’ingresso della Fondazione è possibile visitare lo Csac a prezzo scontato www.csacparma.it. Mostra e Catalogo (Silvana Editoriale) a cura di Dario Cimorelli e Stefano Roffi, saggi in catalogo di Omar Calabrese, Stefano Bulgarelli, Dario Cimorelli, Emmanuel Grossi, Roberto Lacarbonara, Stefano Roffi. Ufficio Stampa: Studio ESSECI, Stefania Bertelli [email protected] tel. 049 663499 La #mostra è realizzata grazie al contributo di: FONDAZIONE CARIPARMA, CRÉDIT AGRICOLE ITALIA. Media partner: Gazzetta di #parma. Con la collaborazione di: AXA XL Art & Lifestyle, parte di AXA XL, divisione di AXA, e di Aon Angeli Cornici, Cavazzoni Associati, Fattorie Canossa, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico. www.magnanirocca.it Read the full article
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tmnotizie · 7 years
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CASERTA -Sarà la Casertana ad affrontare la Paganese il prossimo 6 dicembre per gli ottavi di finale della Coppa Italia di serie C. I campani hanno superato la Samb per 3-1 dopo i tempi supplementari. La prima frazione di gioco si era chiusa con i rossoblù di Capuno in vantaggio per 1-0 grazie alle rete messa a segno all’ 8′ pt da Di Pasquale che di testa corregge in rete una puzione di Vallocchia. Ampio turn over in casa marchigiana con il tecnico che così ha avuto modo di valutare attentamente tutto l’organico a sua disposizione.
La Casertana pareggia al 20′ st. Conclusione in diagonale dell’ ex Alfageme, Pegorin si impappina anche a causa di un rimbalzo strano del pallone e la sfera rotola in porta. Si chiudono così sull’ 1-1 i novanta minuti regolamentari. Si va ai supplementari e l’ equilibrio si rompe dopo appena un giro di lancette. Verticalizzazione per Alfageme, Patti non intercetta la sfera e per il centravanti campano è un gioco da ragazzi battere Pegorin.
Il match si chiude al 9′ del primo tempo supplementare dopo che la Samb aveva creato un serio pericolo alla porta difesa da Benassi. Nel rapido capovolgimento di fronte Alfageme serve un comodo assist a Cigliano che fissa il risultato sul 3-1 finale. Da segnalare le espulsioni di Capuano (proteste) e di Patti ed Alfageme per reciproche scorrettezze.
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redazionecultura · 8 years
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sede: Fiorile+Tatler (Bologna); a cura di: Patti Campani.
Tramite una ricerca online è possibile vedere le webcam che riprendono 24 ore su 24 i diversi luoghi del nostro pianeta, panoramiche delle città, montagne, spiagge, luoghi sensibili come uffici e banche. Questi frames hanno una vita breve ed effimera, si “auto-cancellano” in una frazione di secondo per dare spazio a nuovi frames altrettanto effimeri. Pur nella loro fugacità però ci raccontano frammenti di vita, spaccati della nostra società, momenti dalla nostra quotidianità. L’artista Julien Cachki in questi anni ha catturato e salvato una grande quantità di fotogrammi che vengono selezionati per la loro qualità narrativa e rielaborati con una tecnica molto personale. Julien Cachki infatti li dipinge solo ed unicamente con i “bianchi”. Come ci spiega l’artista: “Utilizzo il termine bianchi al plurale perché, in base al il medium utilizzato, il bianco cambia sia come sostanza, sia come cromatismo creando profondità spaziali inaspettate. I bianchi eliminano i già deboli connotati del frame che spesso è a bassa risoluzione. Questo continuo cancellare mette sempre più in evidenza gli elementi di verità delle immagini”. Per questa mostra Julien Cachki ha realizzato 6 nuove tele ad olio più 4 opere su carta (dipinte a tecnica mista) che basandosi sulle riprese di una webcam, raccontano un breve frammento della vita di alcune persone in coda alla Levain Bakery, una piccola panetteria di Manhattan a New York. La gente è ammassata all’interno del negozio ad aspettare il proprio turno senza avere grande possibilità di spostamento. Le persone sono fisicamente molto vicine fra loro ma nessuno chiacchiera, nessuno parla, sembrano chiuse in loro stesse, sono Close. Il termine inglese “close”, non solo significa vicino, stretto, serrato ma anche, secondo il contesto, chiuso, senza aperture, poco espansivo; connotati questi tutti in qualche modo riconducibili alle persone rappresentate nelle 6 opere che troviamo in Close di Julien Cachki.
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Julien Cachki. Close sede: Fiorile+Tatler (Bologna); a cura di: Patti Campani. Tramite una ricerca online è possibile vedere le webcam che riprendono 24 ore su 24 i diversi luoghi del nostro pianeta, panoramiche delle città, montagne, spiagge, luoghi sensibili come uffici e banche.
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patti-campani · 11 years
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Accrochage
“Il problema della nostra epoca è che è tutta piena di cartelli e priva di destinazioni”  questo l’appunto trovato a bordo pagina di quaderno e, come spesso mi succede, senza autore o riferimenti: fiducia in una memoria che è da tempo vagabonda. La cosa particolare è che alcuni giorni fa, in tempi perfetti per questo progetto, un’amica me l'ha suggerito involontariamente inviandomi un link che riportava la citazione completa di autore… coincidenze. Ma tant’è.  A ben vedere però  farei una piccola, ma significativa, variante al testo di Kronenberger e direi piuttosto che “Il problema della nostra epoca è che è tutta piena di cartelli che indicano destinazioni”.  Personalmente preferisco gli indizi alle indicazioni: quanto poco spazio resta altrimenti  all’attenzione, all’intuito e alla scoperta se si segue una traccia  certa. Meglio perdersi un poco lungo il percorso. Del resto  Walser, amato maestro dell’eterno vagabondare nella natura così come nella vita e nell’arte, mi ha insegnato, senza mai deludermi, che in  “… un’avventura nomade, dissociata e abbandonata agli incontri più incongrui, casuali e sorprendenti,  si abbraccia ogni particolare del circostante e insieme lo si osserva da una invalicabile distanza … “
E questo pensiero mi ha condotta attraverso Accrochage: non volevo dare o avere  indicazioni,  passare un filo di lettura orientato, ma piuttosto mischiare le carte e dare l’opportunità ad autori diversi tra loro per ricerca ed espressione, di convivere, di confrontarsi e di unirsi in imprevisti incontri. Del resto questo è il tempo o il modo  delle espressioni contemporanee, mutanti e aperte, nel quale  i confini tra i vari linguaggi sono sempre più labili, difficili da definire  e capire, perché si trasformano in continuazione. Accrochage, quindi, un bisticcio o schermaglia, un confronto di lingue, pensieri e poetiche, che rappresenta nel suo insieme una parte dell’espressione artistica attuale, acuta e presente a dispetto di alcuni vuoti propositivi che ci circondano.
Difficile costruire i limiti di una mostra  con l’intenzione di non volerla improntare seguendo un tema specifico. Come definire un limite  del campo  all’interno del quale poter rappresentare l’ordine o il disordine del senso del discorso? Ho scelto  di dare un ruolo fondamentale all’insieme cercando di evitare di racchiudere le opere di ogni  artista in una situazione di definizione ed invitando artisti in grado di attraversare liberamente ogni contesto espressivo, abbattere generi di appartenenza o correnti e  creare una sorta di rebus nel quale poter rintracciare  una soluzione, possibile solo tenendo conto dell’ insieme. 
Ho chiesto espressamente agli artisti invitati di partecipare con più lavori e  su un formato contenuto per poter realizzare  un’onda multiforme di immagini che andasse ad invadere in maniera serrata lo spazio, li ho invitati a   lasciare andare un’ immediata leggibilità personale per puntare sulla forza di una coralità a più voci.
Un’opera unica, quindi, ad occupare i limiti fisici del locale in una proposizione senza soluzione di continuità tra un autore e l’altro, tra una tecnica e  l’altra. Più di sessanta artistia rappresentare pittura, fotografia, grafica, illustrazione, installazione, video, mail art e quanto nasce dalla contaminazione dei singoli ambiti.
Un flusso continuo che  contenga , spavaldo,  dissonanze e armonie di questa modalità nomade e inquieta . E da questo flusso bisogna lasciarsi assorbire, prestargli attenzione, dare senso e presenza ad ogni singolo passaggio ad ogni frame che lo compone. Del resto le relazioni e le intersezioni si possono strutturare solo attraverso il dettaglio o il frammento, appunto. E qui naturalmente si entra nel merito dei singoli lavori, dell’opera nella sua unicità, nel filo armonico della poetica di ogni singolo artista che possiamo riconoscere e rintracciare, come una  voce amata, all’interno del coro di commistioni di segni e linguaggi.
La partecipazione così numerosa rende impossibile dedicarmi con parole ad ogni singola presenza senza cadere in una sintesi parziale  e vaga; solo la visione accurata delle  opere stesse  può accompagnarci in questa conoscenza. E se l’incessante bombardamento di immagini e di informazioni spesso portano la vista  ed insieme il pensiero ad essere distratti e superficiali, qui, forse, le dissonanze possono esserci d’aiuto: farci  da inciampo per condurci a rallentare il movimento e salvarci dal battere il naso contro la disattenzione.
Patti Campani,  maggio 2013
ACCROCHAGE   un progetto a cura di Patti Campani
Partecipano:
Claudio Alba, Marco Ara, Aseret Marille, Giampaolo Atzeni, Angelo Barile, Pietruccia Bassu, Lancillotto Bellini, Mauro Bellucci, Davide Bonazzi, Barbara Bonfilio, Carmine Calvanese, Silvia Camagni, Totò Cariello, Daniele Carnovale, Luna Cesari, Daniele Contavalli, Corti Manuela, Michele D’Agostino, Laura della Gatta, Federica De Ruvo, Luca Di Martino, Fernando Di Nucci, Roberta Fanti, Fathi Hassan, Massimo Festi, Roberta Filippelli, Maria Grazia Galatà,  Alberto Gallingani, Marina Gasparini, Anna Girolomini, Vittorio Gui, Piotr Hanzelewicz, Holly Demetra Heuser, Gabriele Lamberti, Marco Lavagetto, Paolo Maggi, Bruno Mangiaterra, Luigi Mastrangelo, Viviana Mauriello, Antonella Mazzoni, Gianfranco Milanesi, Mauro Molle, Monalisa Tina, Daniela Montanari, Sabrina Muzi, Emilio Nanni, Nieddu Gianni, Marilena Pasini, Simone Ponzi, Loredana Raciti, Nicola Rotiroti, Mauro Sambo, Gianfranco Sergio, Mike Michele Sigurtà, Gabriele Talarico, Elettra Tam Vania, Danilo Vaiz, Vittorio Valente, Samantha Vichi, Stefano Scheda, Sozzi Valentina, Xel, Roberto Zizzo
Opening: sabato 8 giugno dalle 19 alle 23
Fiorile+spazioUN1CO, via baruzzi 1\2 Bologna
8 - 18 giugno
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fiorile-arte · 25 years
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Sabrina Muzi Good morning! a cura di Patti Campani
Sabrina Muzi nelle sue video installazioni ci ha abituato ad assistere a piccoli giochi al massacro, creati ed offerti con l’uso di circostanze ed elementi quotidiani. (…) la struttura di Good morning! È molto semplice, quasi fuorviante: quattro sono i tempi, quattro i personaggi, quattro le situazioni in una sequenza di montaggio che adotta la forma esteriore di un genere popolare quale quello della fiction televisiva. Una prostituta, un’insegnante, un uomo d’affari e un poliziotto ci vengono proposti nei riti quotidiani del mattino: sveglia, toilette e abiti, colazione, gli strumenti del mestiere e porta che si chiude alle spalle. (…) poi un caotico cambio di ruoli e di costumi che si sussegue, dall’ordine si passa al caos, dall’esattezza alla indeterminatezza; una molteplicità che, come tessere di un puzzle che non combaciano, dà incompiutezza e sospende ogni definizione identitaria. (…)
Patti Campani, gennaio 2000
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fiorile-framcafe · 5 years
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L’Ora Blu Giulia Neri a cura di Patti Campani
“In questa nuova serie di illustrazioni Giulia Neri realizza, con la sua solita luminosa incisività, L’Ora Blu dei rapporti di coppia: quel momento di transizione tra amore e non amore, tra non amore e amore, che scorre lungo il costante ed inquieto domandarsi che sempre lo accompagna. Passaggi che ci lasciano sospesi con noi stessi, con il nostro ritrovarci, con i desideri, i timori, i fantasmi e con i nostri sogni, in un continuo oscillare, incerti, tra il ripiegarci su noi stessi o aprirci ad una vita necessariamente mutata. Sarebbe facilmente possibile scrivere un breve racconto mettendo in successioni diverse i titoli delle opere esposte, come nel bel gioco delle filastrocche illustrate e musicate di Virgilio Savona o quello delle carte settecentesche dei paesaggi che consentivano di realizzare skyline immaginari diversi a seconda delle combinazioni scelte. Noi ne suggeriremo uno. A voi gli altri possibili.” Patti Campani, maggio 2019 
FramCafè via Rialto 22 – Bologna 11maggio -> 27 luglio da lunedi a venerdi, ore 9 -> 22 sabato, ore 16 -> 23 https://www.facebook.com/FiorileFramcafè Primo appuntamento di Illustrissimo/a, ciclo ideato e curato da Patti Campani (Fiorile+) “Illustrissimo/a” è progetto legato ai temi dedicati all’ambiente, alla natura, agli stili di vita “aperto verso orizzonti che ci mantengano in sintonia con un ideale di  benessere che non sia antropocentrico e  che  ci riporti, piuttosto, alla consapevolezza di essere una parte responsabile e partecipe  di quanto ci circonda. La mia  scelta si è rivolta al disegno e all’illustrazione.  Ho scelto sette autori (Davide Bonazzi, Fabio Bonetti, Lisa Lazzaretti, Giulia Neri, Gianni Nieddu, Marilena Pasini, Valentina Sozzi) con poetiche e tecniche diverse per tenere ampio lo sguardo e dare l’attenzione dovuta alla capacità di sintesi e all’incisività immediata propri del disegno. Racconti brevi a narrarci. Temi e autori che  mi paiono particolarmente in consonanza col carattere dedicato e dichiarato del FramCafè  e di chi lo frequenta”
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fiorile-tatler · 6 years
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Gianluca Morozzi  per Di Tutto Resta un Poco  Chi sei Marika fragile Eccola qua la soluzione!, pensa Marika. Si catapulta fuori dai venticinque-trenta minuti di sonno che ultimamente le sono abituali, e la sua mente di colpo è lucida, le idee sono chiarissime. Dormire mezz’ora spesso regala soluzioni logiche a un problema complicato e in apparenza insormontabile.Il problema che l’ha tenuta sveglia nel letto con gli occhi sbarrati nel buio, mentre l’orologio segnava le tre di notte e poi le quattro di notte e poi le cinque, adesso è risolto.   La soluzione è: uccidere La Strega. Era così semplice, alla fine.     Marika si alza dal letto con un mezzo sorriso. Ora che sa come riprendersi Lauro, è molto più serena. Davvero. Perché si è tormentata per tutto quel tempo? Perché ha annullato tutti quei concerti, perché si è messa a dipingere quei quadri, perché ha perso il sonno fino quasi a diventare pazza? Bastava uccidere La Strega. Ci voleva tanto poco. Non che i suoi quadri non siano belli, pensa osservandoli dagli angoli bizzarri della casa in cui li ha appoggiati in modo precario. Quello con l’ometto col gufo gigante, il primo della sequenza del sesso orale in contesti quantomeno bizzarri, non è davvero bello? Certo che è bello. Quasi quanto quello in cui Paperino uscendo da una botola viene strangolato da Topolino. O quello dell’impiccagione con tucano meteoritico. O la crocifissione con fionda e orsacchiotti. Sono belli, davvero i suoi quadri. Cioè, le sembravano orribili fino alla sera precedente, quando il problema sembrava non trovare una soluzione, ma ora che la soluzione ce l’ha, tutto le pare luminoso e bello.   Marika fa colazione con un goccio di caffè e mezzo biscotto di farro -per uccidere La Strega le servirà tutta l’energia possibile- e poi va a informare Mimì della decisione appena presa. “Mimì, ho deciso. Uccido La Strega e mi riprendo Lauro. Era facile. Ciao ciao, vado a eliminarla e torno.” Mimì, come sempre, non dà alcuna risposta. Né dà segno di averla ascoltata.
I primi dubbi sorgono quando Marika mette piede in strada. Fuori, sul marciapiede, con la gente, le auto, gli autobus, il rumore, i clacson… Cavolo, sembrava un’idea così bella un attimo prima, al risveglio, in casa sua… era così logico, così ovvio… La Strega si era presa il suo –come chiamarlo?- fidanzato, e per riprendersi il fidanzato lei doveva uccidere La Strega. Matematico. Be’, ma ucciderla in che modo, prima di tutto? Marika s’incammina pensando a questo trascurabile particolare pratico. Mica può aspettarla fuori dalla palestra e strozzarla: Marika ha la muscolatura e la struttura fisica di una mozzarella, mentre La Strega sembra uno degli All Blacks. A parte la sesta misura di reggiseno, i capelli fucsia sparati in ogni direzione e quella bocca che da sola potrebbe risucchiare tutto il petrolio nel Golfo del Messico. Lo scontro fisico, basta guardarle, è inverosimile. Accoltellarla? Marika è uscita di casa senza neppure un’arma. E poi il sangue le fa schifo, la impressiona…. Oh, quanti problemi pratici. Sembrava un’idea così bella, al risveglio! Un chiodo! Ecco. Un chiodo abilmente collocato sotto una gomma del suo SUV. La gomma si buca, il SUV esce di strada, La Strega muore orribilmente tra le fiamme. Marika non si deve sporcare le mani né vedere la scena. Ecco, perfetto. Questo sembra un piano migliore. Con qualche piccola, piccolissima lacuna, d’accordo, ma ci sono venti minuti da fare a piedi per arrivare alla palestra. I dettagli verranno messi a punto strada facendo. Oh, era tutto così perfetto, prima che arrivasse La Strega! Lauro era così dolce, così comprensivo, così tenero… era così bello stare sul divano a darsi i bacini per tutta la notte… Certo, anche lui aveva le sue fissazioni, d’accordo. Per esempio, aveva la mania di fare domande assurde. Tipo, la centesima o duecentesima volta che Marika si era rifiutata di fare l’amore con lui, anzi, di togliersi qualunque capo di abbigliamento collocato sotto la cintola, Lauro l’aveva guardata incredulo e aveva detto “Ma senti, puoi dirmelo. Hai avuto dei traumi da piccola? Hai subito molestie?” Lei lo aveva guardato perplessa, aveva risposto “Molestie? Io? Ma quando mai!” Che strano tipo, Lauro. Del resto, scriveva libri di fantascienza. Marika aveva provato a leggerne uno ma non ci aveva capito niente, con tutte quelle storie di universi paralleli, raggi laser e –com’è che si chiamavano?-, ah, sì, doppelganger. Figurarsi. Doppelganger! Cosa diavolo è un doppelganger? E poi, quando Marika gli aveva confidato alcune delle sue fobie, tipo, il terrore dei pesci, Lauro aveva rilanciato. Aveva detto “Ha qualcosa a che vedere con, cioè…” “Cioè cosa?” “Con, voglio dire…” “Vuoi dire cosa?” “Con, ehm, la paura deee, uh, dell’organo sessuale maschile, o…” “Cosa c’entra un pesce con, be’, quella cosa lì?” “No, sai, a livello simbolico…” “Livello simbolico? Un pesce è un pesce. Rappresenta un pesce.” (Scrittori di fantascienza. Che gente.) “Comunque, se vuoi saperlo” aveva aggiunto lei “è stata colpa di mio cugino.” “Tuo cugino? Nel senso che, non so, uhm, te l’ha fatto vedere o…?” “Cos’è che mi ha fatto vedere?” “Niente. Vai avanti.” “Ascolta. Quando andavo a scuola mia mamma mi metteva sempre nella cartella una banana. Lei non voleva che mangiassi delle schifezze per merenda, e allora mi dava una banana. Be’, ti ho detto che vivevo in un paese di mare, no? Un giorno mio cugino mi aveva fatto uno scherzo, aveva rubato un pesce appena pescato e me l’aveva ficcato nella cartella. Così, quando avevo infilato la mano nella cartella, anziché la banana, avevo toccato quella cosa viscida. E avevo tirato fuori un orrendo pesce, boccheggiante, mezzo morto, che mi guardava con gli occhi sbarrati.” “Tutto qui?” “Tutto qui.” “E da allora hai il terrore dei pesci.” “Sì. E delle banane.” “E c’entra qualcosa col fatto che non vuoi che facciamo l’amore?” Lei si era rabbuiata, lo aveva guardato con aria di rimprovero, a braccia incrociate. “Ma guarda che sei proprio strano, Lauro. Cosa c’entra lo scherzo di mio cugino col fare o non fare l’amore?”       Uomini, aveva pensato. Non capiscono proprio niente. Poverini. Marika gira a destra puntando dritto verso la palestra, ancora ben determinata a portare a termine la sua missione. Va bene, non ha un chiodo con sé, ma questi sono dettagli ancora secondari. L’importante è non incontrare cose brutte lungo il percorso. Cose brutte, bruttissime, tipo AAAAAAAAAAAAAH I PICCIONI! I passanti possono assistere a una scena abbastanza surreale. C’è questa ragazza che cammina rasente al muro, una ragazza che sarebbe anche carina se non pesasse, tipo, nove chili, e non fosse bianca come la calce e non avesse la faccia di una che ha dormito l’ultima volta quando ancora c’erano le lire, che d’improvviso caccia un urlo acutissimo fissando con orrore un innocuo piccione che le vola davanti senza aggredirla o disturbarla, del tutto indifferente alla sua esistenza. Un attimo dopo l’elfo dei boschi insonne è scappato via velocissimo con la testa tra le mani. Marika se ne sta appoggiata a un cartellone pubblicitario a riprendere il respiro, aggirata da tutti come una drogata. Guarda il cielo terrorizzata, come se il piccione dovesse piombare giù in picchiata per cavarle gli occhi. Ha il terrore dei piccioni ancor più di quanto ne abbia dei pesci. Poco a poco, sempre ansimando come un mantice, ricomincia a camminare. Ora, l’importante sarebbe proseguire il percorso senza incontrare qualcuna delle altre cose che le fanno paura. Tipo, un pescivendolo con la merce esposta. O un fruttivendolo con dei caschi di banane in bella vista. Oppure AAAAAAAAAAAAH UN UOMO PELOSO IN CANOTTIERA! L’uomo peloso in canottiera –un impiegato delle poste in ferie, impegnato a innaffiare le piante nel proprio giardino- può a quel punto assistere a un’altra scena surreale: uno scheletrino femmina che passa davanti al suddetto giardino, si blocca paralizzata davanti al suo cancello, guarda verso di lui, si tappa la bocca con una mano, cerca un angolo riparato con occhietti disperati, si butta tra due cassonetti dell’immondizia e, inequivocabilmente, vomita. Gesù, pensa l’impiegato delle poste continuando a innaffiare le piante, Poveri ragazzi, come vengon su strani. Marika si pulisce la bocca con il dorso della mano, si rialza tremante, si allontana un po’ debole dai cassonetti, e continua il suo percorso. Ormai ha perso il senso di quella pericolosissima camminata per la città –in casa, oh, come si sta bene in casa!, o a dipingere, oh, come si sta bene a dipingere!-, non ha più neppure bene in mente come procurarsi un chiodo, o cosa fare esattamente alle gomme della Strega. No, è difficile, troppo difficile uscire in città. Troppa folla. Troppe cose. Troppe orribili, orribili pesci. Troppe banane, troppi uomini pelosi in canottiera, troppi piccioni. Ora manca solo un AAAAAAH UN BARBONE CHE MI GUARDA!   Marika rientra in casa pochi minuti dopo, distrutta, ancor più pallida del solito. “Mimì” singhiozza “non ce l’ho fatta, non ho ammazzato La Strega, non ce l’ho fatta, c’è tanta roba brutta là fuori, ho visto un piccione, e un uomo peloso in canottiera, e un barbone, lo sai che io ho paura dei barboni, Mimì, come faccio ad ammazzare La Strega?, dimmi tu, Mimì…” Mimì non risponde e non fa segno di aver capito. Pochi cactus nani, in effetti, risponderebbero alla loro padrona o darebbero segno di aver capito. Mimì si comporta come tutti i cactus nani battezzati con un nome di donna: ascolta in silenzio, e serena vive la sua vita da cactus.
***
Eccola qua la soluzione!, pensa La Strega. Era così semplice. Come ho fatto a non arrivarci prima? Troppo lavoro, pochi integratori, e poi il mio cervello non funziona a dovere. Anche quello stronzo di Lauro che non risponde, lo sa benissimo che quel cazzo di iPhone deve tenerlo acceso - stronzo, stronzo, stronzo -, che poi se non risponde io ho paura che sia con la violinista anoressica che parla con le piante, cretina, nana, come faceva a pensare di poter stare col mio Lauro?, cosa ci trovava in lei quel cretino?, non gliela dava neanche, almeno, questo è quel che mi racconta lui, sarà vero o non sarà vero?, magari scopavano dalla mattina alla sera e lui a me racconta che non gliela dava neanche pitturata, cazzo, è vero, e io che ci ho creduto, e io che dicevo Oh, io te la do quanto e quando ti pare bello mio, non me ne frega un benenamato cazzo se devi finire il capitolo del tuo romanzetto, ciccio, sono in casa tua e noi adesso facciamo quel che si deve fare, ma ti pare?, hai ‘sto bel pezzo di femmina qui in casa tua e devi perdere tempo a scrivere le tue boiate? -  con rispetto parlando, eh -, quelle storie lì dei marziani che vanno sulla Luna o cose così, no, no, adesso si tromba, bello mio, non son mica come la violinista di ‘sto cazzo che non te la faceva vedere neanche disegnata, io te la faccio vedere e ti ci faccio una foto e te la appendo sul letto così quando sei da solo ti ricordi bene come son fatta, bello mio, e adesso invece mi viene il dubbio, cazzo, se non è vero che la nana non gliela dava?, ah, ma comunque ho avuto la genialata in questo momento, ah, che testa che hai, Sandra, era così facile, Lauro mi ha detto che la deficientina ha il terrore dei barboni, no?, e allora, quell’ubriacone che ho pagato stamattina per aggirarsi intorno a casa della nana e controllare se per caso andava da Lauro mentre io ero qua al lavoro, ecco, lo pago il triplo, gli dico di stare seduto dalla mattina alla sera davanti a casa della mentecatta, quella mette il naso fuori, vede che c’è un barbone, se ne torna subito in casa, sì, sì, certo, così son sicura che la cretina non se ne va dal mio Lauro, ma perché spegne il telefono quel demente?, va bene, mi ha detto Oh, Sandra, io devo lavorare, l’editore vuole il romanzo entro due giorni, io spengo tutto, mi chiudo in casa, devo pensare solo alle mie cazzo di astronavi e ai miei cazzo di marziani, va bene, non ha detto così, il cazzo di astronavi e i cazzo di marziani ce li ho messi io, comunque, cazzo, io son qua che lavoro, faccio un lavoro vero, questo è un centro fitness con i contromaroni e non azzardatevi a chiamarlo palestra e io sono una personal trainer con i contromaroni ma io sono anche una donna innamorata e gelosa, gliel’ho anche detto alla signora Boldrini prima di sbatterla a correre sul tapis roulant per farla star zitta, signora Boldrini, le ho detto, lei mi vede come la sua personal trainer tutto d’un pezzo ma io sono anche una donna gelosa e innamorata, e… Oddio. Ma da quanto tempo è sul tapis roulant, la signora Boldrini?
****
Eccola qua la soluzione, pensa Lauro. Era così semplice. Semplicissima. Arrivano in sogno le soluzioni, arrivano sempre in sogno. Uno si arrovella tanto, si maciulla le meningi su un problema, poi si fa un bel sonno, ed eccolo qua. Tutto risolto. Lauro si stiracchia sotto le lenzuola, soddisfatto. Aaah. Era così facile. Il Conte Cremisi è il clone difettoso del leader della Resistenza di Terra 32! Fatto. Si chiude perfettamente la trama, il romanzo fila, e si capisce perché la combattiva Darkena si è fatta ingannare così facilmente nel capitolo dieci. Ah, che bella la vita dello scrittore di fantascienza! Senza neppure un problema al mondo. “Lauro? Sei sveglio?” sbadiglia Claudine, nuda sotto le lenzuola. “Sì, tesoro, mio unico amore, passerotta mia. Sono talmente felice che ti preparo la colazione, guarda!” Lauro si alza in piedi. Accende lo stereo, diffondendo nell’appartamento una bizzarra versione lounge di Egg cream di Lou Reed. Controlla che l'iPhone bianco sia spento –sia mai che lo cerchino Marika o Sandra o la cameriera del pub-, che quello nero sia acceso –sia mai che lo chiami la sua agente, o l’editore, o un importante giornalista- e va a fare il caffè. Il clone difettoso del Conte Cremisi. Era così facile risolvere il problema. La vita non è meravigliosa?
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fiorile-spazioun1co · 11 years
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patti-campani · 5 months
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Patti Campani Testo di presentazione a Luca Dimartino Vintage age "Il moltiplicarsi all'infinito delle fotografie che colgono solo il fuori della vita può contribuire alla fine del mondo. Ma alcuni fotografi, grandi in questo, cercano di salvarlo".  Poesia e fotografia – Yves Bonnefoy
La bellezza dell’arte e del paesaggio è patrimonio comune, ma in questo contemporaneo che la ignora e la priva di senso, la distrugge come un vandalo terribile e ce la rende in un fluire di immagini irrimediabilmente superficiale e continuo di allettanti mete per le vacanze, è ancora possibile percepire  il senso della sua presenza, del suo essere splendida, della sua singolarità? Per preservarla è necessario uno sguardo che sappia non solo coglierla, ma anche e soprattutto divenire dispiegamento del visibile. Bonnefoy suggerisce  che “il fotografo come i veri poeti, percepisce nelle cose ciò che oltrepassa il loro senso mondano” e ancora “Come il poeta, solo il fotografo è colui che accoglie e custodisce la presenza, dialogando con il tempo e lo spazio, presentificando anche il nulla, allontanando l'orrore attraverso lo sguardo meravigliato del primo giorno, strappando al non senso un frammento di senso.” La fotografia può mostrare il lampo della presenza nella distruzione che la modernità ha perseguito e lo sguardo poetico sulle cose dell’arte, del paesaggio, di noi stessi, è una forma di custodia attiva, una custodia che permette di sentirsi parte di un mondo che anziché distruggerle, le moltiplica. Luca Dimartino, artista e poeta, ricerca da sempre questa prossimità alle cose, in un rapporto poetico che lo conduce al loro mostrarsi essenziale e quindi denso di esistenza. Ne accoglie la presenza, ne percepisce l’istante,  le pensa e le rende a noi con gesto artistico. In alcuni precedenti progetti che abbiamo realizzato insieme (Luca Dimartino, personale a Walk about, Post Cards, collettiva a Fiorile+De Diseno)  le immagini fotografiche erano strettamente fuse alla parola, brevi versi che ne definivano la durata  termine inteso qui - sui magnifici versi  di P. Handke in Canto alla durata -  come il momento in cui ci si pone  in ascolto, mutando il momento in meditazione e restituendo l’immagine in una nuova apparenza: libera da ogni simbolizzazione e allo stesso tempo non ridotta alla lettera. Così pure per il ciclo dedicato al Teatro (presentato per Accrochage, collettiva) nel quale il gesto degli attori era di fatto il fluire stesso della durata. In  Vintage age   Luca Dimartino accompagna una preziosità altra e realizza una serie di scatti dedicati all’arte e al paesaggio della sua terra: emulsioni dipinte su carta da incisione Rosaspina.  Una tecnica antica quella dell’ emulsione, lenta, che si appropria di visibilità ad ogni singolo passaggio per arrivare ad essere un unico irripetibile pezzo.  Riporto le parole, che lo stesso Dimartino mi ha inviato: - Le emulsioni sono una tecnica che, se usata come faccio io stesa su carta da incisione Rosaspina, cerca di ritrovare la texture delle Albumine di fine ottocento (…) io le utilizzo perche come le albumine mi riportano ad una sorta di prima Impronta (...) cioè ripercorrendo tutti i procedimenti per emulsionare la carta, per stendere col pennello l'emulsione alla luce rossa, lasciarla asciugare e poi stampare (...) ripercorro, dicevo, le fasi iniziali della stampa; perciò produco immagini uniche, irripetibili. Poi una cosa importante del testo (cioè l'emulsione è come la pagina di un romanzo) è che, sotto la cadenza del  japonisme, viene dipinto a mano,  acquerellato. Queste sono da sempre le sue funzioni nel mio lavoro; le  immagini agresti, le architetture (che simulano i viaggiatori del Grand Tour, le vedute e i particolari) e le marine (…) riportare la fotografia da dove i  fotografi dell800 l'avevano lasciata (...). -
In Vintage age  la parola è sostituita dalla lentezza preziosa della tecnica di stampa, per ricondurre il qui ad essere un luogo dotato di valore, nella consapevolezza che questo  luogo fissato nell’immagine ha rifrazioni infinite, resta dentro di noi ed ha il ritmo della durata. Vintage age ci rende la presenza di una parte di ciò che ci circonda, la sottolinea e ne esalta la presenza e singolarità e lo sguardo poetico di Luca Dimartino ci riporta questa presenza, fino ad un istante prima immersa ancora nel buio della disattenzione, situandola in un nuovo significato, in una nuova sorprendente luce.
Patti Campani
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patti-campani · 5 months
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Patti Campani Testo di presentazione al catalogo: Pietro Meletti La spirale degli eventi Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí   - El dinosaurio - Augusto Monterroso
"Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì" -  questo è il racconto di Augusto Monterroso: quello che Calvino indica come il più breve racconto nella storia della letteratura. Una visione completa in sé, ma aperta; separata dal resto dell’universo, ma in grado di comprenderlo tutto; un frammento capace di suggerire l'esistenza di ciò che sta fuori di lui non attraverso il riferimento, ma attraverso la propria instabilità. E il tutto  diventa possibile. E da qui parto per la mia breve presentazione a Spirale degli eventi per decifrare la chiave di lettura dell’operare artistico di Pietro Meletti. La sua produzione  si è articolata nel tempo per Cicli, sperimentazioni su materiali diversi, installazioni, performance, ricerca musicale, testi, un interscambio continuo dei linguaggi e delle scritture sempre sostenuto dalla imprescindibile necessità di creare. Del resto è proprio da un suo breve appunto affidatomi che Meletti dichiara la sua kunstwollen: Banalmente e sottilmente direi che il fine della mia urgenza creativa è la vita…ovvero, rileggendo la mia vita, l’urgenza creativa è il fine della mia vita. In questo senso mi pare evidente che  siamo di fronte ad una narrazione che si sforza di svilupparsi aderente alla vita dell’artista stesso che si prefigge nella sua espressione di tradurre un modo di pensare in un modo di vivere e viceversa naturalmente. E questo filo rosso  discreto e privato, ma universale e potente,  non l’ha mai abbandonato lungo tutto il corso dei suoi progetti. In questo senso la chiave di lettura, il codice da cui partire, mi pare racchiusa nella ricerca costante e continua di un possibile alfabeto espressivo fruibile e riconoscibile. Alfabeto che Meletti attinge a piene mani dal patrimonio di immagini facilmente reperibili e riproducibili dalle attuali tecnologie. Per questo penetra nelle immagini, le riconosce, le frammenta, le scompone,  se ne appropria: si tratta della costruzione di un  vocabolario e così lo rende pronto, ready made, all’uso; ridefinisce la sequenza e le parole sono lì pronte per essere usate. Crea il frammento instabile e vibrante di infinite possibilità che mi ha condotto a Monterroso.
Radici profonde e storiche ha l’uso del frammento che è stato oggetto della costante sperimentazione formale e linguistica teorizzata e praticata in campo artistico nel corso di tutto il 900. In questo la poetica di Meletti ha basi intellettualmente forti. Se posso dare un riferimento in questo senso direi che il termine Bildidee - idea figurale – teorizzato da Albe Steiner, possa essere considerato il generatore della ricerca espressiva di Meletti. Un motivo ad un tempo formale e significativo, ancora allo stadio potenziale, che costituisca  gli elementi base, i frammenti dell’alfabeto espressivo appunto, necessari alla creazione di un costrutto linguistico autosufficiente: l’opera.Ogni risultato è sempre pensato, vissuto e creato come atto comunicativo. Dichiarato a volte nel coronamento del gioco linguistico: il titolo che può contenere i rimandi o le citazioni svelate o segretamente autobiografiche. Qui, in  Spirale degli eventi, troviamo saldi tra loro i ritagli di dieci anni di vita: momenti privati, vita  passata, letture, eventi, progetti, opere degli ultimi due anni, lo scritto Melettiano - che ci rende con parole ed in modo perfetto l’intera genesi del progetto - e il più recente a la suite de Max Bill.Ci muoviamo all’interno di questo nuovo racconto sempre condotti dallo sguardo dell’artista a sonda del reale: una  visione attenta ai particolari e in grado di isolarli  prelevandoli dal loro contesto per renderceli con una nuova identità significativa che è quella propria dell’autore. La funzione della memoria, del recupero e della sua trasformazione sono ben lontane da un riuso acritico, sono piuttosto una sempre nuova definizione dettata dal fare artistico. L’ingresso in questa memoria di reperti visuali, in questo archivio di immagini  crea un tracciato , una migrazione degli elementi iconografici  in infinite versioni e varianti,  condotta su segni di tensione emotiva e culturale imprevedibile ma mai casuale. E così in questo diario senza una continuità temporale, ci viene consegnata quell’identità sostenibile che mi è permessa - riportando proprio le parole di Meletti -, l’unica possibile anche per noi.  Ma naturalmente anche questo non è che un altro Frammento di una storia vista dall’artista. E qui ringrazio  per le parole perfette - e che ho rubato - Gianfranco Baruchello, intravisto  con mia gioia tra  le letture citate e gli artisti amati presenti in  Spirale degli eventi di Pietro Meletti. Patti Campani
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