Tumgik
#vermis moss
noelle-tea · 2 years
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geminicrisis · 3 years
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Il fascino glamour della larva
Critica pratica per sopravvivere ai post sulla giornata dei DCA senza risvegliare la bestia
Con i vostri cazzo di fiocchetti lilla vi ci potete soffiare il naso. Inutile fare la giornata nazionale dei disturbi alimentari quando non esiste una rappresentazione autentica di quello che è smettere di mangiare o volersi bruciare vivə per aver mangiato.
Se questa giornata avesse un senso il simbolo non sarebbe un fiocchetto ma una cazzo di bara. Invece mi imbatto solo in contenuti che romanticizzano lo schifo. Come se infilarsi in un DCA fosse una fase come lo sono stati i gruppi hipster, indie, hardcore punk, electro-pop, e i Cani.
Così continuano le storielline con foto di quando si stava peggio di ora per romanticizzare questo orrore.
Oh guarda che buffa e naive ero, portavo le converse e facevo gli scoobydoo coi fili di gomma!
Oh guarda che buffa e naive ero, pesavo 2 chili vestita e mangiavo un pomodoro e una fetta di bresaola al giorno!
Peccato che non funzioni così. Avere un disturbo alimentare non è romantico, non è glamour, non è un cazzo di fiocchetto lilla. Peggio di questo dannato nastrino color nausea ci sono solo le frasi di accompagnamento tipo: “chi ha un disturbo alimentare ha fame d’amore”.
No mi dispiace, quando ero anoressica avevo fame di morte putrida e fame di qualsiasi altra cosa commestibile. L’amore c’entra ma non è il punto. 
In tutta questa faccenda non c’è nulla di estetico, nulla di poetico nulla di fascinoso.
Non riesco a condividere la scelta di chi pubblica post fotografici col proprio corpo durante la malattia e dopo un’eventuale cura. Come una dieta dimagrante al contrario, si usa nuovamente l’immagine del corpo per lanciare un messaggio, anche giusto, ma usando le argomentazioni sbagliate. Per guarire dobbiamo liberare il corpo dalla sua funzione di dover cristallizzarsi in modelli da seguire. Dobbiamo ripensarlo in linguaggi nuovi. 
Personalmente il primo spiraglio di luce l’ho avuto quando mi sono resa conto di essere più vicina ad una larva che a Kate Moss. E vorrei cancellare quella memoria dai miei occhi come da quelli di chiunque mi abbia visto in quel periodo di agonia.
Quando stavo male avrei probabilmente sfoggiato il nastrino lilla, emblema della mia vita alla Effy Stonem, dannata ribellina alternativa.
Ci ho messo quasi 10 anni a capire che l’anoressia non è rivolta, non è anarchia, non è voglia di essere diversə, non è essere alternativə.
L’anoressia è schiava del patriarcato, serva del capitale e pena di morte ultimativa. Pura voglia di raggiungere il fango e i vermi nel modo più lento possibile.
I vostri fiocchetti lilla li repello come la peste perché hanno il fascino della setta, di chi ha vissuto qualcosa di speciale. Così come le vostre foto tristi ma patinate di quando le cosce vi entravano nel palmo della mano.
I fiocchetti lilla non strozzano la narrazione marcia che produce questa epidemia di digiuni, vomiti e abbuffate.
Con i nastrini si nasconde l’orrore mostruoso di un cervello delirante. Come lo è l’aver provato invidia per il regime alimentare nei campi di sterminio perché, durante l’ora di storia, avevo scoperto che i deportati prendevano più calorie di quante me ne concedessi io.
Con le coccardine o i film Netflix sull’anoressia con Lily Collins non si vedono le stempiature stile Andreotti, i gomitoli di capelli caduti nella doccia e la laniccia di peli sulla pelle ingiallita. Senza contare lo sfarinamento delle articolazioni e l’atrofia dell’utero.
I fiocchetti lilla sono da bellə e dannatə e con l’anoressia non c’entrano nulla. C’entra invece farsi la pipì sotto perché anche se sei nel cuore dell’adolescenza, dopo due anni di digiuno, ad una certa il corpo non riesce più a contenersi e torna come quello di un neonato o quello di un novantenne. L’età non conta l’importante è essere progressivamente sempre più incapaci di intendere e di volere.
Un’altra cosa che manca negli ipocriti commenti sensibilizzanti su questa giornata è il denunciare il profondo senso di deficienza mentale che prende chi sta male.
Altra frase aberrante: Eh ma lə anoressicə sono particolarmente brillanti, perfezionistə, sensibili.
Magari prima del calvario. Posso dire con certezza che dal terzo mese di semidigiuno in poi diventi più scemə di Salvini. Il cervello non riesce a concentrarsi su nulla e tutto è coperto da un velo di sonno e fame ovviamente.
Il cervello compie ossessivamente lo stesso ragionamento 24 ore su 24. Non c’è nessuna poesia, nessun brio geniale da ragazza interrotta. Solo un calcolo continuo di energia introdotta e energia bruciata. Inali senso di colpa perpetuo mentre sviluppi una memoria inossidabile riguardo qualsiasi cibo tu abbia mangiato nell’arco di 90 giorni.
La dittatura e l’isolamento dettati dal proprio cervello nei fiocchetti lilla non ci sono e non ci saranno mai. Sono andata a mangiare fuori più in un anno di CoVid che nel biennio 2012-2014.
I nastrini lilla non tengono conto neanche della furba metaconsapevolezza suicida. Del sapere di andare incontro alla morte e continuare comunque a saltare il pranzo.
Quindi che dire amicə, non fiocchetti lilla ma rivolta e rabbia pura. I DCA proliferano nella narrazione che pretende ci sia un modello di corpo maschile, un modello di corpo femminile, un modello di corpo umano e un modello di corpo animale. E invece no, maledetti voi e i vostri nastrini categorici.
Non fiocchetti lilla ma cannonate di fuoco. I nostri corpi sono come galassie, siamo masse di energia libera che pervade la natura e brucia i vostri cazzo di nastrini e le vostre storie instagram con Skinny love di sottofondo.
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intotheclash · 4 years
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"Ehi, Pietruccio, ci sei ancora?"
La voce di Tonino proveniva da una zona remota della mia testa, ma ebbe comunque la forza di trascinarmi indietro.
"Certo che ci sono! Stavo pensando!"
"E a cosa? Alle chiappe di culo sulle cartoline?" Disse il Tasso, guardandomi con malizia esagerata l'uccello.
Cavolo! Mi era venuto duro! Di sicuro avevo continuato distrattamente a toccarmi, mentre ero perso nel fondo dei miei pensieri.
"Ci hai fatto preoccupare! Ti abbiamo parlato tre, o quattro volte, ma tu niente, Dove cazzo stavi col cervello? Sembravi Schizzo!"
"Io lo odio il mare! Con tutte le mie forze lo odio!" Disse Schizzo, a riprova che la similitudine era perfetta.
Lo fissammo per un istante e scoppiammo a ridere. Povero Schizzo, tutti eravamo a conoscenza della sua disavventura e ci venne subito in mente. E non solo noi, i suoi amici, la conoscevamo, l'intero paese ne era al corrente. D'altra parte, è risaputo, in un piccolo centro funziona così: tutti sanno tutto di tutti. Capita anche che sappiano molto di più. Sanno cose che non sono mai accadute e che, con molte probabilità, non accadranno mai, eppure le sanno, C'è sempre qualcuno che le sa. Qualcuno che le sa e qualcun altro che glielo ha detto.
Iniziammo a lanciare sassi nel fiume, cercando di colpire tutto ciò che galleggiava.
"Facciamo una gara!" Propose bomba, lanciandone uno ben oltre l'altra riva.
"Che tipo di gara?" Chiesi
"A chi va più lontano!"
"Che cazzo di gara è? Tanto lo sappiamo che vinci tu! Non hai un braccio, ma una catapulta!"
"Facciamo la gara di seghe! A chi viene prima!" Propose Tonino, come alternativa.
Perché no? Eravamo nudi come vermi, l'attrezzatura era in bella mostra e la voglia non mancava mai.
"Va bene, però Sergetto è fuori e fa da giudice. Con lui non si può gareggiare, è svelto come un fulmine!"
"Col cazzo che sono fuori! Voglio giocare anch'io!" Protestò ferocemente Sergetto. Anche perché quella era l'unica gara in cui ci passava la biada a tutti.
"Io non voglio farla!" Si lamentò Schizzo, arrossendo.
"Perché non ti si rizza!" Lo punzecchiò il Tasso
"Certo che mi si rizza! Ed è pure più lungo del tuo! Non mi va e basta!"
"Non ti si rizza! Non ti si rizza!" Lo sfottemmo in coro, girandogli intorno.
"Andate tutti a fare in culo! Portatemi qui le vostre sorelle e vedrete se mi si rizza!"
"Allora fai il giudice di gara. Come a Giochi senza Frontiere." Disse Tonino.
"Mi sa che tu non ci stai con la testa. Secondo te io sto qui a guardare che vi fate le seghe?"
"Che male c'è?"
"C'è che mi fate schifo! Ecco cosa c'è." Concluse Schizzo, tuffandosi in acqua.
Non ci restava che iniziare la gara. Anche senza giudice. Tanto l'esito era scontato. Ci mettemmo in fila, spalla contro spalla: pronti? Via! Partimmo a razzo, mezza lingua di fuori, che, in quelle occasioni, sembrava aiutasse e la mano che andava su e giù come il pistone di una Ferrari. Non ci fu nulla da fare, quel coniglio arrapato di Sergetto trionfò in meno di un minuto. Lo odiavamo per questo. E lo invidiavamo anche. Solo qualche anno dopo ci saremmo ricreduti, felici che quel primato fosse tutto suo. Dopo un po', anche io, Tonino e Bomba tagliammo faticosamente il traguardo. Il Tasso era rimasto indietro. Terribilmente indietro, lui non arrivava mai. Mentre si accaniva a testa bassa sul pezzo, lo incitavamo e lo prendevamo per il culo contemporaneamente. Gli ci volle una mezz'ora buona, per arrivare felice e sudato alla bramata meta e noi lo portammo in trionfo come un vincitore. E lo era davvero. Anche questo lo avremmo capito più tardi, insieme alle nostre donne. "Beati gli ultimi, che saranno i primi", in questo campo specifico, forse solo in questo, valeva per davvero.
Terminate le solenni celebrazioni, saltammo nel fiume e raggiungemmo Schizzo, che, nel frattempo, stava cercando di far navigare un vecchio tronco marcio recuperato dalla riva. Ci sistemammo tutti su quella sottospecie di maleodorante zattera e ci lasciammo cullare da quell'indolente corrente. Gli uccelli si fermavano a guardarci stupiti e il sole martellava la nostra pelle senza troppa cattiveria.
"Certo che, a noi ragazzini, di "fregnacce" ce ne raccontano tante." Disse Tonino, con lo sguardo perso da qualche parte sulle canne dell'altra sponda.
"Hai fatto la scoperta dell'acqua calda." Risposi, cercando di capire cosa stesse guardando.
"No, dico: a parte Babbo Natale, la Befana, come nascono i bambini, quella che se ti fai le seghe diventi cieco è proprio la stronzata più grossa che abbia mai sentito."
"Bene, bravo! Ma ora che cavolo c'entra?"
"Ci stavo pensando prima. Mentre stavamo facendo la gara. Ho guardato prima Schizzo, poi noi, poi ancora lui che era l'unico a non gareggiare."
"E allora?"
"Allora ho pensato che non solo quella storia è una palla gigantesca, ma che, forse, è vero l'esatto contrario. Che diventa cieco proprio chi non si fa le seghe!"
Ridemmo felici per la scoperta. Sembrava chiaro che avesse ragione Tonino. Non c'erano santi. E quando se ne fosse convinto anche Schizzo, di sicuro non avrebbe disertato una gara.
"Ehi, guardate laggiù!" Urlò improvvisamente Sergetto.
Ci voltammo di scatto, tutti insieme. A quell'età la curiosità è vorace come una belva feroce digiuna da settimane. Un branco di mucche pezzate, bianche, nere e marroni, stava placidamente guadando il fiume su in una secca; forse in cerca di pascoli migliori.
"Stanno attraversando il fiume! Il nostro fiume!" Aggiunse, facendosi torvo in viso.
"Addirittura nostro!" Commentai sarcastico.
"Certo che è nostro. Qui ci veniamo solo noi. Così ci sporcano l'acqua, bestiacce maledette!"
"Ma che cazzo dici? Come fanno a sporcarci l'acqua se sono più a valle? Certo che ne spari di palloni!"
"Non me ne frega niente! Questo fiume è nostro e io qui non ce le voglio! Andiamo a prenderle a sassate!"
Seguì un coro di: andiamo! andiamo!, ma io rimasi in silenzio. Ero perplesso. Mi piaceva lanciare sassi e avevo anche una bella mira. Certo, non lanciavo lontano come Bomba, ma ero molto più preciso. Però non mi piaceva colpire gli animali, mi facevano pena, tutto qui. Facevo un'eccezione soltanto per quei schifosi ratti di fogna che, ogni tanto, incontravi per le vie del paese e per le odiate vipere. Ma era un altro discorso. Decisi di passare la mano. Nuotai fino a riva e mi sdraiai su uno dei tanti massi levigati che sbucavano prepotenti dalla vegetazione e mi misi ad osservare in disparte la spedizione punitiva. I miei amici arrivarono, con passo lesto, ad una decina di metri dalla mandria, poi diedero inizio ad una fitta sassaiola. Le povere bestie furono colpite a raffica, anche se diedero l'impressione di non curarsene troppo. Insomma, sembrava non considerassero le sassate più fastidiose delle centinaia di punture di mosche e tafani che subivano in continuazione. tuttavia la cosa non mi piaceva lo stesso. Decisi di alzarmi ed andare a porre fine a quello stupido gesto. Non feci in tempo. Dalla riva opposta partì, come un proiettile, un pezzo bello grosso di legno marcio e, per quanto lo trovassi impossibile, arrivò dalla nostra parte ed andò a schiantarsi contro il povero Bomba che cadde al suolo come un sacco di patate. In quell'attimo si fermò il mondo. Lo stupore si poteva tagliare con la motosega, tanto era presente. A farci uscire da quella fase di stallo fu un sasso. Un sasso lanciato dallo stesso punto di prima. Sasso che, con altrettanta forza e precisione, andò a colpire Sergetto proprio in mezzo alla testa. Lui lanciò un urlo disumano e, subito dopo, come a fargli compagnia, anche una gran bestemmiona. Rimase immobile, con le mani in testa, per un tempo indefinibile, gridando: "Non ci vedo più! Non ci vedo più!"
Fummo azzannati dalla paura, paralizzati, ma, per fortuna, subito dopo tornò a vederci. anche se quello che vide peggiorò la situazione. Si portò la mano destra davanti agli occhi e constatò, con la paura che gli si allargava in faccia, che era sporca di sangue. Del suo sangue. A quel punto le lacrime tracimarono dagli occhi e si trasformarono ben presto in un fiume in piena. Fu così che la paura si trasformò in rabbia e i miei amici iniziarono a lanciare tutto ciò che capitava loro a tiro verso il punto in cui aveva avuto origine il fuoco nemico. Io me ne rimasi ancora in disparte. Ancora dovevo capire.
Finalmente riuscimmo a vederlo. Dapprima solo una sagoma oscura tra i fitti cespugli dell'argine, poi, piano, piano, venne fuori la forma di un ragazzino, più o meno della nostra età, scalzo, con i pantaloncini corti e a torso nudo. Non sembrava affatto impaurito. Non fosse altro che per la differenza numerica. E, con nostro grande stupore, ce lo dimostrò pure. Saltò in groppa ad una delle mucche e ci raggiunse attraversando il fiume.
"Certo che ne ha di coraggio!" Pensai.
Fu Tonino a parlare: "Guarda come cazzo lo hai conciato! Gli hai rotto la testa, brutto figlio di puttana!" E gli mostrò, come prova, la zucca di Sergetto che ancora frignava.
Gli aveva detto proprio figlio di puttana! Era l'offesa mortale! Quella che necessariamente significava: cazzotti! Poteva passare solo tra amici stretti e detta per scherzo; ma urlata in quel modo ad uno sconosciuto! Nessuno di mia conoscenza avrebbe lasciato correre. Era la regola. Anche a costo di prenderle. Era una questione di onore. Eppure il nuovo arrivato sembrò non dargli peso. Rimase lì, immobile come un masso. Non era minimamente turbato. forse perché, nudi come eravamo, facevamo più ridere che spavento.
"Avete iniziato voi." Si limitò a dire. Con un tono così calmo che faceva quasi paura.
" Anche a me potevi rompere la testa, brutto stronzo di un matto!" Rincarò la dose Bomba.
"Avete iniziato voi." Disse ancora.
Era il turno del Tasso. Ma lui era uomo d'azione, non di parola, fece l'unica cosa che era capace di fare, caricò a testa bassa il nuovo arrivato, menando pugni all'impazzata e sbuffando vapore come un toro nell'arena. Il ragazzino con i calzoncini non mosse un muscolo. Attese la carica con le braccia conserte, quando il Tasso gli era praticamente addosso, veloce come il demonio scartò di lato e con uno sgambetto lo fece finire lungo disteso nel fiume.
Non potevo più aspettare, dovevo intervenire. Tra i miei amici, ero io il più bravo a fare a pugni, toccava a me condurre le danze. Certo, l'avversario sembrava una brutta bestia, anche troppo brutta, ma dovevo farlo, non potevo rimetterci la faccia. "Adesso basta, vuoi fare a botte? fallo con me!" Dissi.
I miei amici si fecero da parte ridacchiando nervosamente e urlarono in faccia al mio nemico: "Ora sono cazzi tuoi, stronzetto!"
Non è che io ne fossi troppo convinto, ma, come si dice, il tifo aiuta sempre.
"Non mi batto con te." Disse quello, sempre con quel tono gelido.
"Meno male" Pensai. Ma "Perché no? Hai paura?" Mi sentii dire.
"Non ho paura, è che tu sei l'unico che ha lasciato in pace le mie mucche. Non mi batto con te."
Aveva ragione, per Dio! E anche per fortuna! Avevo lasciato in pace le sue mucche! Feci qualche passo avanti e mi presentai: "Io mi chiamo Pietro, e tu?"
Quello mi fissò per un attimo, fece una smorfia che somigliava vagamente ad un mezzo sorriso, si voltò e ritornò nel nulla da dove era venuto.
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hoilcollobloggato · 3 years
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la mia vita al tempo del COVID-19 (giorno 22)
Solo un altro pezzetto… Più piccolo… L’ultimo…! …L’ultimo…Ti prego…!!?
Guarda quei biscotti al cioccolato… li trovi interessanti ,vero? E se ti dicessi che ognuno di questi biscotti al cioccolato è una bomba che corrisponde a migliaia di calorie, ti farebbe cambiare idea? E, no! Neanche a me. Ed è normale. Tutti in fondo siamo mortalmente attratti, amiamo le cose che ci fanno male. Chissà perché i cibi più dannosi per la nostra salute, sono così buoni? Dev’essere qualcosa che ha a che fare con la storia della mela là, nel Giardino dell’Eden. Subiamo il fascino del pericolo per questo coltiviamo abitudini malsane. Alcune sono sicuramente più difficili di altre da scusare… La maggior parte di noi è convinta di sapere come controllare i propri impulsi, ma sfortunatamente per altri, la forza di volontà si rivela carente per la lotta agli istinti oscuri. Io, ad esempio, quando sono alle prese con un vassoio di pasticcini, mi proietto nel futuro, li divoro il più velocemente possibile. Non vedo l’ora di mangiare l’ultimo. Non riesco neppure a gustarmeli, l’unica cosa che voglio è finirli per buttare via il vassoio e non pensarci più. Preferisco avere una cosa subito o sapere di non poterla avere mai, per non doverci pensare. Un po’ come quelle persone che senza rendersene conto hanno un aspetto da vecchio nonostante siano giovani; questo, per non dover pensare che un giorno avranno l’aspetto di un vecchio.
Il richiamo verso le proprie ossessioni per alcuni è troppo forte per essere ignorato; e non riescono a far a meno di quei desideri. Fino al momento in cui ci rendiamo conto che, nel raggiungere le cose che più ambivamo nella nostra vita, siamo rimasti senza niente. Senza una vita. Ma alla fine, le nostre ossessioni sono ancora lì, anche dopo che ci hanno portato quasi alla morte, o ci hanno condotto verso luoghi terribili e inimmaginabili.
Non sono affatto convito che la forza di volontà possa essere addestrata… Mi spiego meglio: ci sono periodi in cui l’enorme massa muscolare di cui si compone il mio corpo erculeo non è perfettamente simmetrica. Il pettorale di destra è impercettibilmente più moscio di quello di sinistra, ad esempio… capita, e se capita è un problema. Allora sono solito preparare un workout mirato, con carichi calcolati al μg microgrammo (sottomultiplo del grammo e corrisponde esattamente a 1 milionesimo di grammo, o equivalentemente a 1 miliardesimo di chilogrammo: 1 μg = 10-6 g = 10-9 kg) , che nel giro di alcune sessioni di allenamento, permetterà alla simmetria, in questo caso del mio petto, di ritornare perfetta. La domanda che mi pongo spesso è: anche la volontà può essere allenata? È possibile definire, aumentare di un microgrammo alla volta la propria volontà? Della serie più ne possiedi e meno probabilità avrai di adoperarla… (questa mia ultima affermazione, potrebbe benissimo essere una delle leggi di Murphy).
Prendiamo il caso dell’amore. Una mia amica che fa l’avvocato divorzista, ama ripetere spesso che l’amore non è altro che il più grande contratto non applicabile, poiché necessita di venir continuamente rinegoziato nel tempo. Anche una persona proiettata verso il futuro come me, che si divora un vassoio di pasticcini in un attimo, pensa che questa definizione sia arcigna ed inespugnabile come un blocco di giaccio antartico… ma, che si tratti dell’amore di un marito per la propria moglie, di un genitore per un figlio, o anche di un innamorato per la sua amata devo ammettere che, l’avvocato ha ragione, e arriva sempre il momento di rinegoziare. L’inevitabile, l’infausto giorno in cui l’accordo, quelle clausole incantevoli che definiscono una relazione cambiano. Dipende dal tempo, dall’intimità, o a volte solo dal naturale, inevitabile corso degli eventi. Il grande teatro, il grande cinema, tutti i grandi libri che sono stati scritti sull’amore potrebbero farci credere che il sangue non è acqua, ma nella vita vera spesso la carenza di quella facoltà propria dell'uomo di tendere con decisione e piena autonomia alla realizzazione di fini determinati, chiamata volontà viene a meno. Non è sufficiente.
Sì, lo so, nessuno tocca il cielo con tutte e dieci le dita, ma è dura da mandar giù. Le vicende umane e naturali si identificano con il trascorrere del tempo. Durante la transumanza degli eventi in successione lungo la nobile autostrada della vecchiaia a bordo dell’automobile esperienza, io ho compreso che la volontà difficilmente è espandibile. Aver a che fare con le altre persone, la necessità sociale, richiede una dose di determinazione continua. È sfiancante, lo so, ma solo così è possibile affrontare necessità, nevrosi e compromessi, e comunque qualche iniezione di indulgenza e due supposte di calma sono sempre un ottimo tonico… durante il ménage tra me e mia moglie, l’andamento della mia vita domestica, io ne faccio largo uso. Il mio diario di oggi è più alienante del solito, retto da un filo balzellante costantemente turbato dal vento… Mi scuso. Succede, quando l’attività principale nella vita di una persona si riduce al riflettere e allo scrivere, oltre all’ossessiva cura e mantenimento di un corpo finito e ineccepibile come il mio.
Giorno dopo giorno mi guardo allo specchio e finisco sempre per trovarci qualcosa… I miei deltoidi sono lievitati almeno di 0,12/0,13,5 millimetri negli ultimi mesi. Faccio un paio di mosse da Mr.Olimpya e poi assumo delle espressioni solo per me. Storco le labbra come a dire: E ALLORA…?, inarco le sopracciglia in modo alternato e poi, solitamente concludo con la scena finale di Rambo 1.
COLONNELLO: … è questo che vuoi? È finita Jonny! È finita!!! IO: non è finito niente. Niente!!! Non è un interruttore che si spegne, non era la mia guerra… e io, ho fatto quello che dovevo fare per vincerla. Ma qualcuno ce l’ha impedito! E il giorno che torno a casa mia, trovo un branco di vermi all’aeroporto che mi insultano e mi sputano addosso. Mi chiamavano assassino e dicono che ho ammazzato vecchie e bambini… Chi sono per urlare contro di me? Chi sono per chiamarmi assassino? [ + enfasi]: PER ME LA VITA DA CIVILE NON ESISTE!
Qui, ci troviamo di fronte a una delle più belle frasi degli ultimi cinquant’anni, e di solito arrivato a questo punto mi viene sempre il magone…. E ancora:
… Io là, pilotavo gli elicotteri, guidavo un carro armato, disponevo delle attrezzature migliori [ di certo questa cosa delle “attrezzature migliori” andrebbe indagata. Ho sempre avuto il sospetto che si tratti di un errore di traduzione]… Qua, non riesco nemmeno a trovare un lavoro come parcheggiatore. [accenno di pianto trattenuto]: Ma perché? Dove sono finiti, dove sono finiti tutti quei ragazzi? Avevo un sacco di compagni… erano amici miei. Qui non c’è più nessuno [espressione arcaica di dolore misto a sofferenza]: Che cosa devo fare? [John James Rambo esce in manette. Camminata fiera, è scortato dal colonnello. Dissolvenza lenta a nero] E… musica: “Its’a long road” cantata da Don Hill (link nei commenti).
MIA MOGLIE: Amoooo…?!!! Si può sapere cosa cavolo stai facendo? È un ora che sei in bagno…
IO: “PER ME LA VITA DA CIVILE NON ESISTE!”, le urlo….
MIA MOGLIE: Eheee…? Dai, datti una mossa che c’è il pattume da portar via!
Ecco l’inevitabile corso degli eventi, il momento di rinegoziare.
Un’iniezione di indulgenza… due supposte di calma. OK… Posso farcela. Its’a long road…
Fine giorno22
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noelle-tea · 1 year
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I JUST REALIZED VERMIS IS ALIENKIN... i have no clue how i didnt realize this earlier 😭
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whileiamdying · 6 years
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La Divina Commedia • Inferno • Canto III
‘Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.
Queste parole di colore oscuro vid’ ïo scritte al sommo d’una porta; per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».
Ed elli a me, come persona accorta: «Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto che tu vedrai le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto».
E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond’ io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’ aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo? e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».
Ed elli a me: «Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».
E io: «Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa sì forte?». Rispuose: «Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna che girando correva tanto ratta, che d’ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch’i’ non averei creduto che morte tanta n’avesse disfatta.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva d’un gran fiume; per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sì pronte, com’ i’ discerno per lo fioco lume».
Ed elli a me: «Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d’Acheronte».
Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no ’l mio dir li fosse grave, infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti». Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: «Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti».
E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».
Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude, che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti, l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s’adagia.
Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l’onda bruna, e avanti che sien di là discese, anche di qua nuova schiera s’auna.
«Figliuol mio», disse ’l maestro cortese, «quelli che muoion ne l’ira di Dio tutti convegnon qui d’ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».
Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l’uom cui sonno piglia.
— Dante Alighieri
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