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#vestiti premaman
gillianiriss · 5 months
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una volta trovato l'abito dei tuoi sogni
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Finalmente , goditi una giornata! Perché non regalare a tua mamma (e a te stesso) una manicure o una pedicure in anticipo per la Festa della Mamma? Assicurati inoltre che mangiate entrambi qualcosa di buono vestiti eleganti premaman, così nessuno "muore di fame" quando inizierete a comprare vestiti! Quindi, una volta trovato l'abito dei tuoi sogni, puoi organizzare una location divertente in seguito. Il tè pomeridiano abiti da sposa lunghi, un cocktail o un pasto elegante sono il modo perfetto per festeggiare con stile. Apprezzare!
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tortorellashop · 1 year
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Abbigliamento Allattamento in Italia: Comfort e Stile per le Mamme
L'allattamento è un momento prezioso per le mamme e i loro piccoli, e l'abbigliamento adeguato può rendere questa esperienza ancora più piacevole. In Italia, l'abbigliamento allattamento offre una combinazione di comfort, praticità e stile per le mamme che desiderano alimentare i loro bambini con facilità e senza rinunciare alla moda. Esploriamo le opzioni disponibili e come l'abbigliamento allattamento sta diventando una tendenza sempre più diffusa nel paese.
Comfort e Accessibilità
L'abbigliamento allattamento è progettato per offrire comfort e facilità di accesso al seno durante l'allattamento. I capi di abbigliamento allattamento in Italia spaziano da tuniche e top a maglie e vestiti appositamente progettati. Solitamente, questi capi presentano aperture discrete o bottoni nella zona del seno, consentendo alle mamme di allattare in modo discreto e comodo.
Inoltre, l'uso di tessuti morbidi e elasticizzati garantisce un'aderenza confortevole senza costringere o irritare il seno sensibile. I capi di abbigliamento allattamento italiani sono pensati per adattarsi alle diverse fasi del corpo postpartum, fornendo un sostegno adeguato e adattandosi ai cambiamenti del busto durante il periodo di allattamento.
Stile e Versatilità
L'abbigliamento allattamento in Italia si distingue per il suo stile moderno e alla moda. Le mamme possono trovare una vasta gamma di opzioni che si adattano al loro stile personale, dai capi casual ai look più eleganti. Gli abiti allattamento sono progettati per apparire come capi tradizionali, con tagli e design attuali che si adattano alle tendenze della moda.
Inoltre, l'abbigliamento allattamento offre versatilità alle mamme. Molti capi possono essere indossati anche dopo il periodo di allattamento, poiché le aperture o i bottoni possono essere nascosti o camuffati. Ciò significa che le mamme possono investire in capi che dureranno nel tempo e non saranno limitati solo al periodo di allattamento.
Facilità di Acquisto e Variegata Scelta
In Italia, l'abbigliamento allattamento è diventato sempre più accessibile grazie alla varietà di opzioni disponibili sul mercato. Le mamme possono trovare capi allattamento presso negozi specializzati, boutique online e grandi magazzini. La scelta è ampia, con numerosi marchi italiani e internazionali che offrono capi progettati appositamente per le esigenze delle mamme che allattano.
Per maggiori informazioni.:-
prodotti per la cura della mamma online
abbigliamento allattamento Italia
acquistare online brallette per l'allattamento
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scontomio · 1 year
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virginiamanda · 5 years
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*  “Quindi sei quasi al termine, no?”
Così mi ha detto sorridendo cassiera del supermercato stamattina.
Nooo, volevo scoppiarle a piangere su una spalla, noooo signora, noooo, il termine è ancora lontanissimo, prima di marzo qua non si vedrà niente e sono una balenaaaa.
E invece sorridendo le ho risposto che partorirò a marzo e lo so che non si direbbe perché ho un pancione enorme. Lei, imbarazzata, ha balbettato che spesso i vestiti premaman fanno sembrare la pancia più grande. Poi mi ha chiesto, come fanno tutti qui, se è il primo. E io cerco di prenderlo come un complimento, perché magari dimostro di essere una giovincella mentre dieci giorni fa ho compiuto 35 anni.
  Cosa è successo dall’ultima volta che ho scritto
L’ultima volta che ho scritto un post sul blog ero in partenza per l’Australia. Era un post stile il vecchio blog su Splinder di un tempo: passo di qui, mi sfogo, e me ne vado, come se questi anni non fossero passati mai dietro gli steccati degli amori tuoi (per chi non coglie, qui).
E avevo voglia di parlare d’altro, adesso, qui sopra, perché mi immagino che stare a sentire una che parla di quanto le cresce la panza non sia il massimo del divertimento (O no? Mio marito invece è elettrizzato ogni volta che gli racconto di quanti centimetri cresce. Non potreste imparare tutti a fingere l’entusiasmo come lui?).
E mi aspetto da un momento all’altro il cazziatone di Gordon.
Ma credo che un aggiornamento sia necessario, perché il precedente post era così disperato e i commenti sotto così teneri che lasciare le cose in sospeso sarebbe di grande maleducazione.
Dunque: cosa è successo dall’ultima volta che ho scritto?
E’ successo che siamo partiti. Abbiamo fatto una sosta in Qatar, mi hanno messo su una sedia a rotelle in aeroporto e mi sono vergognata come una ladra. C’è da dire che mentre mi vergognavo come una ladra ho anche riflettuto su quanto sia difficile da accettare di dipendere da qualcun altro e di non poter mai veramente guardare qualcuno fisso negli occhi con astio. Sul tema (persone in sedia a rotelle) per motivi personali sono molto sensibile e non voglio cavarmela con qualche frase di circostanza, però se non ci pensate spesso, fatelo adesso e guardatevi le gambe: è una fortuna e non un merito che funzionino. Quando tutte le cose non vanno e vi dicono “Pensa alla salute!“, non prendetelo per un commento leggero ma come un vero imperativo: bisogna pensare alla salute e ringraziare di stare bene. Punto.
In Italia a metà del quinto mese mi avevano diagnosticato una lievissima forma di diabete gestazionale perché ai medici non sembrava vero che tra le dieci sfighe più divertenti della gravidanza a me ne fossero capitate solo nove, quindi hanno pensato bene di rimediare aggiungendo anche questo carico da novanta.
L’aggettivo “lievissima” non è lì per caso, ma è il preciso grado medico con cui questa forma di diabete mi è stata diagnosticata.
Ho maledetto tutti i miei avi (“Ah, ma me la pagherete non appena ci vedremo!”)  e la mia eccessiva bocca buona e poi ho scoperto che il diabete gestazionale (per chi, come me fino a due mesi fa, non sa cosa sia è una forma di diabete che compare in gravidanza, nel 99% dei casi sparisce con il parto. Capita ad una donna su sette – e quella donna dovevo naturalmente essere io – e averlo è un segnale: il bambino potrebbe essere a rischio di malattie dovute al metabolismo come obesità e diabete. Se tenuto a bada in gravidanza con una dieta specifica, si limitano i danni e spesso si eliminano proprio) ha cause molto varie: specifiche etnie come sud-est asiatico e ispanica, obesità, familiarità ed età superiore ai 40 anni.
Ora io non sono del sud est asiatico né sudamericana, non sono obesa, nessuno nella mia famiglia fino al tredicesimo grado di parentela ha il diabete e ho appena compiuto 35 anni.
“Quindi??? Come si spiega?“, ho chiesto con sguardo torvo alla ginecologa.
E lei con il suo inimitabile savoir faire ferrarese ha risposto: “Ehhh. Ti è stà sfigà!“.
E a quanto pare in quella categoria ci rientro pienamente.
  Ma l’ho presa bene.
  Quindi cos’è successo dopo avermi detto “Sì, hai il diabete gestazionale”?
Mi hanno fatto visitare dal centro diabetico dell’ospedale, mi hanno affidato un aggeggino elettronico, delle strisce di carta sensibile e una specie di penna e mi hanno spiegato come pungermi le dita con la penna, inserire la striscia nell’aggeggino e leggere il risultato del livello di glicemia.
Il kit è così composto: quello più grosso è il misuratore della glicemia, quello snello è la penna con cui pungersi le dita e la striscetta è quella che si tocca con la goccia di sangue che dice al misuratore il livello del glucosio nel sangue. Così è se ho capito tutto giusto.
Il giorno dopo mi hanno mandato dalla dietologa che mi ha stipulato una dieta per evitare i picchi di glicemia.
La dietologa (il cui lavoro pensavo consistesse nel far dimagrire le persone) mi ha ampiamente cazziata per aver perso peso in gravidanza. “Ma non è colpa mia! Io mangio! E le assicuro che mangerei pure di più! E’ che non posso mangiare niente!!!” ho piagnucolato io. E lei ha preso la dieta che mi aveva appena consegnato e ha iniziato ad aggiungere commenti come “ben condito con olio extravergine d’oliva” o “con molto parmigiano”. E le ho voluto un po’ di bene.
Quell’attributo “lievissima” mi permetteva, secondo i medici, di misurare la glicemia solo una volta al giorno.
E così sono partita dall’Italia con le mie due valigie (ehm, veramente una sola perché avevamo fatto male i conti dei chili. “Amore, vuoi pesarle?” – “No no, sono sicuro che siano 90 chili in tutto” aveva risposto l’Orso prima di arrivare a Venezia e scoprire che i chili in tutto erano CENTOSETTE), il certificato medico e il kit per controllare la glicemia una volta al giorno.
E un chilo e mezzo di speranza che in Australia avessero altri parametri e mi dicessero: “Ma va, quelle sono pippe che si fanno gli italiani, qui sei a posto, va e mangiati un hamburger con le patatine fritte e ci vediamo al parto! See ya!“.
Questa era la midwife dei miei sogni.
      Cosa mi sono lasciata alle spalle
In Italia ho lasciato le mie amiche alle prese con vari problemi di vita e lavoro, abbastanza gravi al punto che nessuna prestava particolare attenzione alla mia gravidanza. Ed è stata una fortuna che tra tutte, io (con – ricordiamolo –  tutte e dieci le sfighe della donna incinta) venissi considerata “quella che stava bene” perché non avrei sopportato le mie amiche più care a controllarmi la pancia tutti i giorni.
Purtroppo però in Italia c’era anche un sacco di altra gente e tutti si sono sentiti in dovere di dire la propria sul mio stato interessante.
Col tempo ci si fa il callo e si capisce che non lo fanno per cattiveria.
Il fatto è che quando hai a che fare con un evento di vita “pubblico” come laurea, matrimonio e gravidanza, le persone sanno solo quello di te. E quindi per fare conversazione tirano fuori l’argomento. A seconda del grado di confidenza e sensibilità, in modo più o meno maldestro.
Pensavo che questa consapevolezza (non è cattiveria, lo dicono solo per fare conversazione perché non hanno altri temi) acquisita da anni mi avesse reso più zen davanti ai commenti altrui.
E invece ho scoperto di non sopportare proprio queste incursioni non autorizzate nel mio privato.
Ma perché proprio a me? Insomma, entro su Facebook ogni otto mesi, ho aspettato di essere al quarto (in alcuni casi anche al quinto) mese prima di dare la notizia non dico solo agli amici, ma pure ai miei fratelli (ed ho un rapporto molto stretto con entrambi), non divulgo sui social le foto col pancione e soprattutto non ho mai chiesto pareri a nessuno.
Ma invece chissà com’è o come non è, TUTTI si sono sentiti in dovere di elargirmene.
Questo momento di saggezza ha come testimonial il Genio delle tartarughe.
  Ecco quindi in pacco promozionale natalizio le migliori citazioni.
Anzi, le in- ci –n- tazioni.
  Siccome meritano un’attenta analisi, ecco il mio pensiero su ognuna di esse. (Poi alla fine vi dico i veri autori).
Ma dai? Oh, grazie, davvero, se non me l’avessi detto tu non me ne sarei mai accorta. Ma dici sul serio?
Ecco, lo so da sola che non è una malattia. Questa frase vorrebbe spingere la donna gravida a fare esattamente le stesse identiche cose di prima, con l’unica differenza della pancia.
Sono consapevole che là fuori ci siano un sacco di donne incinte che non hanno alcun problema a fare le maratone e le scalate in montagna, io purtroppo, però, non sono una di queste.
Perché a gravidanza appena iniziata mi hanno detto “Stia a riposo” e non come consiglio generico, ma come imperativo medico, e dopo due mesi mi hanno detto di evitare: percorsi lunghi in macchina, buche, biciclette e rapporti sessuali. Dopo altri due mesi mi hanno detto che mi era vietato anche stendermi a pancia in su e saltare.
Ho trascorso settimane in cui ogni mattina l’unico posto dove andavo era l’ospedale (ho visto nell’ordine: ginecologa, tantissime infermiere dei prelievi, neurologo, cardiologa, ostetrica, altri ginecologi – un totale di otto diversi, e non per volere mio o perché fossi schizzinosa -, diabetologa, dietologa, medico di base specializzato in ginecologia, ostetrica australiana, dentista, vario personale medico incaricato di informare, prevenire, aiutare, fare le ecografie etc… )  e ad ottobre ho fatto dieci giorni consecutivi in ospedale tutte le sacrosante mattine.
Mi hanno trovato problemi fuori dall’utero, alla placenta, al sangue… e mi devo sentire dire “Beh, ma non comportarti da malata, la gravidanza non è mica una malattia“!?
Ma per piacere, non sarà stata una malattia per te, non sarà una malattia per tante donne ma visto che frequento spessissimo gli ospedali, mi manca il fiato se sto in piedi più di venti minuti, non posso fare attività fisica per ordine medico, devo pungermi le dita quattro volte al giorno, mangiare solo cibi prestabiliti sei, e assumere cinque diversi tipi di integratori in momenti diversi della giornata, beh, scusa se un po’ sfigata mi ci sento e se non prendo e vado a saltare alla corda dopo 5 chilometri di corsa.
(E tutto questo lo dico da persona miracolosamente SANA, che non ha mai avuto problemi seri di salute prima e che spera che tutto questo una volta partorito sia solo un ricordo).
Magari prima di sparare frasi così pressapochiste informatevi sulla salute della persona che avete davanti.
Reazione mia: sorriso e “Sì, non è una malattia ma io l’ospedale così spesso non l’avevo mai visto“.
  Che domanda cretina. “Che sia sano” è stata la mia risposta, ma secondo te con tutte le scadenze quotidiane di medicinali e altre palle a cui devo stare dietro, il sesso del nascituro mi preme? La mia priorità è fare in modo che esca sano, ed è per questo che sto attenta a tutte queste cose.
E allora insistono: “Eh ma qualche preferenza ce l’avrai…”
Reazione: “Preferisco che sia sano. O sana. O sani. O sane. E che sia bello come la mamma e intelligente come il papà o bella come il papà e intelligente come la mamma“.
  Ah ah ah ah ah.
Dunque, io mi vanto sempre del fatto che non ho avuto traumi grossi nella vita: i miei genitori stanno assieme da 40 anni, sono in salute, non ci sono stati lutti in famiglia quando ero bambina, sono sana (o almeno così credevo, prima della gravidanza), vado d’accordo con i miei fratelli, e ho un gruppetto di amiche solidamente costruito e mantenuto negli anni. Sono sposata con la persona che ho iniziato a frequentare più di nove anni fa, sono disoccupata ma per fortuna non ho l’ansia di arrivare a fine mese, ho studiato quello che mi piaceva, spesso sto simpatica alla gente.
Detto questo, veramente il parto sarà il momento più orribile della mia vita?
Ah sì?
A dodici anni il ragazzo di cui ero follemente innamorata mi ha fatto ubriacare per approfittarsene, per questo per ben sei anni non sono riuscita ad avere nessun tipo di relazione con ragazzi (tutto sotto controllo per me adesso e a lui, beh, la vita l’ha rimborsato con gli interessi).
A sedici anni sono stata seguita per giorni da un maniaco (riconosciuto come tale in città, quindi non stalkerava solo me, eh) che aspettava che uscissi dal bar dove lavoravo e facessi i duecento metri di strada a piedi prima che mi venissero a prendere. Un giorno si è presentato anche nel prato davanti a casa mia (abitavo a 15 km dal bar) e mi ha spinta e strattonata per convincermi ad andare dietro il cespuglio con lui. Sono scappata via, ho preso correndo il telefono dentro la borsa e ho implorato mamma di uscire e venirmi incontro.
Più avanti sono stata fidanzata ufficialmente e serissimamente per tre anni con un bravissimo ragazzo buono e caro, sogno di ogni mamma di figlia femmina, che in realtà era un mentitore seriale. Aveva inventato una doppia vita ma quando (dopo due anni) non ce l’ha più fatta a fingere, ha confessato e a me è crollato il mondo addosso. Perché io ci avevo creduto.
Dopo un anno sono finita in una relazione cupa con un manipolatore che un po’ alla volta mi ha tagliata fuori da tutto quello che mi rendeva felice, mi ha levato affetti, amicizie, passioni (ce la ricordiamo ancora “Scegli o me o il blog“!?)  mentre continuava felicemente a incontrare a cadenza settimanale la sua ex. Era pure un tirchio di prima categoria. Sono dimagrita di dieci chili nel periodo in cui stavamo assieme, e all’apice della follia mi ha pure chiesto se volessi andare a convivere: io, lui e l’ex. (Anche lui lautamente rimborsato dal fatto che ora è sposato proprio con l’ex).
Nel frattempo avevo come unico coinquilino un ragazzo marocchino che in una notte di troppo alcol mi ha confessato la passata vita da marinaio e di aver ammazzato delle persone, e che per questo motivo era scappato dal Marocco.
Quando ho deciso di andarmene si è arrabbiato così tanto che ha iniziato a picchiare il mio ragazzo dell’epoca e io ho dovuto chiamare la polizia perché mi sono spaventata a morte quando si sono avvicinati pericolosamente al cassetto dei coltelli, con tutto il condominio che si affacciava dalle scale per vedere cosa stesse succedendo, visto che io continuavo a piangere e urlare.
Sono stata derubata cinque volte. Una di queste pure delle chiavi di casa quando abitavo in Francia. Ho aspettato sulla panchina che la notte finisse per bussare a casa dei padroni di casa e chiedere umilmente di poter salire al mio appartamento.
In Cappadocia tre ragazzi che ospitavano tramite il Couchsurfing me e la mia coinquilina, con la scusa di farci vedere il paesaggio ci hanno portato in macchina di notte  in montagna su un sentiero sterrato non illuminato, lontano da ogni centro abitato, e tutti e tre avevano una bottiglia di vodka pura a testa. Ci hanno provato e solo il muro della paura e la bontà divina ha fatto in modo che tornassimo a casa sane e salve e che loro si scusassero dell’ardire.
Sono svenuta mentre mi trovavo da sola a casa in Svezia, dopo pochi mesi che ci eravamo trasferiti. Ho perso i sensi e mi sono accasciata al suolo lentamente, per mia grandissima e baciata fortuna, perché l’Orso era in Italia e se avessi sbattuto la testa mi avrebbero trovato dopo tre giorni.
Mi sono persa, di notte, in Svezia, in periferia, sotto la neve che cadeva, con il cellulare scarico, senza parlare lo svedese e nessuno voleva aiutarmi.
La mia nonna preferita è morta il giorno del mio compleanno. Nessuno ha voluto dirmelo, così io non sono riuscita ad arrivare in Italia in tempo per il funerale.
Ho avuto per due anni una classe di ventisette alunni di cui tredici avevano delle diagnosi gravi e vari problemi comportamentali. Sono sopravvissuta senza fare un esaurimento, ma uno degli ultimi giorni un alunno (alto due metri, dalla stazza imponente) ha minacciato il mio collega (basso e mingherlino) spingendolo al muro con violenza. Per difenderlo mi sono messa in mezzo. Per legge non si possono toccare i ragazzi e quindi ho cercato solo di allargare la distanza tra me e loro e di parare i colpi. E’ arrivata la polizia e dopo le due settimane canoniche di sospensione siamo stati obbligati a reintegrarlo in classe.
Ho avuto un attacco di panico, da sola, in casa, in Svezia, dopo aver dato le dimissioni. Mi è mancato il respiro e non riuscivo più a muovere neanche un muscolo. L’Orso stava tornando da una trasferta e mi ha trovata a terra, incapace di parlare.
  No, certo, però è il parto l’esperienza più orribile che mi possa capitare.
Reazione: Mavaccagher.
  Bene, per fortuna che sei arrivato tu a spiegarmi la vita, perché la sessione di due con la nutrizionista, la visita con la diabetologa, il piano medico stilato apposta per me con la dieta dall’ospedale, la sessione di quattro ore con la nutrizionista specializzata in diabete gestazionale evidentemente sono tutte delle sciocchezze e perdite di tempo. Perché tanto, basta mangiarne un boccone o berne un pochino che tanto male non fa.
Reazione: “Sì, invece sarà proprio questo boccone a farmi male. E se non ci credi, puoi tranquillamente leggere le sei pagine di dieta dettagliata su misura che mi porto appresso”.
    E sai cosa c’hai avuto? Un grande, grandissimo, enorme culo. Io no, perché se supero i 45 grammi di carboidrati a pasto il mio corpo non riesce a spezzare il glucosio e questo potrebbe dare dei problemi al nascituro, e come credo immaginerai, non è un rischio che voglia correre.
Reazione: “Beata te!”
E quali sarebbero? Non posso bere, non posso mangiare niente che non sia proteine, non posso muovermi, non posso neanche fare l’amore.
  Reazione: “Ahahahahahahah!”
  Meglio se non commento proprio e passo direttamente alla reazione.
Reazione: “Ma vai a quel Paese!”
  Ogni volta che siamo a Milano io ho i miei piccoli rituali.  C’è un autobus che prendo sempre, una strada che mi piace percorrere, un bar in particolare dove mi piace andare a prendere il caffè, dei negozi dove mi piace entrare a bighellonare. Ogni volta cerco di inserire qualcosa che non ho ancora visto: un museo, una chiesa…
E così, a fine settembre ci trovavamo a Milano e io di giorno avevo fatto i miei bravi due forse tre chilometri a piedi, per andare nel mio solito bar (e prendere un cappuccino decaffeinato stavolta) e a vedere (senza speranza alcuna di trovare la taglia balena) i soliti negozi. Come sempre.
Quando sono tornata a casa dall’Orso ero dolorante.
Ma come!? Ho trascorso tutta la serata a spiegare che avevo fatto esattamente le stesse cose di sempre, addirittura più lentamente, com’era possibile che mi facesse male il nervo sciatico? (Anche questa grande scoperta della gravidanza, io manco sapevo dove abitasse il nervo sciatico, PRIMA) Com’era possibile? Interrogavo con veemenza l’Orso. E lui ad un certo punto ha sorriso, mi ha abbracciata  e mi ha detto: “Non è colpa tua“.
E io me lo ripeto come un mantra tutte le volte che mi trovano qualcosa che non va o che mi fa rientrare in quella piccolissima percentuale di donne che ha una particolare sfiga in gravidanza… non è colpa mia. Punto.
    Soluzione:
Oscar Wilde: mia suocera; Virginia Woolf: chiunque;  Ennio Flaiano: amica storica; Gualtiero Marchesi: chiunque; Oriana Fallaci: mia madre; Carlo Cracco: amiche che hanno già partorito;  Jim Morrison: sempre mia madre; Bob Marley: mio marito.
  Ma ecco, vedo che non sono l’unica…
    Come mi sono organizzata
  La settimana scorsa questo amabile oggettino qui sopra rappresentato mi ha svelato un’amara verità.
La mia circonferenza giro ombelico è di UN METRO.
E con questa panza, signori miei, non sono mai stata in vita mia.
Ho quindi delle difficoltà a muovermi, girarmi, farmi spazio in treno…
Così mi sono attrezzata: abbiamo preso un appartamento con l’ascensore. Poi mi sono iscritta al servizio di spesa a domicilio di due supermercati. Ce ne sarebbe pure uno sotto casa ma è caro e poi dovrei portarmi le buste da sola, ma stiamo scherzando?
Ho liquidato i sensi di colpa per l’ambiente con il fatto che il fattorino del supermercato fa parecchie consegne in un giorno, quindi il suo consumo di carburante e incremento del traffico sono comunque ridotti rispetto alle venti macchine private che si muoverebbero per la città per fare la spesa… giusto?
In questo mio stato ingombrante mi ritrovo anche da sola, perché l’Orso è dovuto partire per una trasferta imprevista di un paio di settimane, domani tornerà ma dopo pochi giorni dovrà ripartire per un mese.
In Italia le nostre famiglie sono tutte in allarme: “Non puoi stare da sola all’ottavo mese!” è la frase che ho sentito ripetere più spesso negli ultimi tempi.
Innanzitutto, io non sono da sola: ho una bambina dentro la pancia!
Poi: c’è l’ambulatorio medico a cinquanta metri, e la fermata dell’autobus per l’ospedale dietro casa.
A proposito, appena arrivata ho subito preso contatti con l’ospedale dove, dopo lunghissime e approfondite ricerche, avevo scelto di partorire e lì mi ha visitato una midwife (ostetrica è la traduzione, ma sarebbe una via di mezzo tra una ginecologa e un’ostetrica, dal momento che per esercitare deve farsi 13 anni di università). Dopo aver guardato i miei esami italiani, mi ha chiesto: “E così hai il diabete gestazionale, eh?”. Eh sì, ma una forma lievissima, mi sono affrettata a specificare.  “Bene, noi qui diamo per buoni i tuoi esami italiani, ci fidiamo, non c’è bisogno di rifarli. Quindi lunedì vieni a fare la sessione informativa sul diabete gestazionale”.
Ma come!? Ma non dovevate essere tutti scialli qui? Ma questo non era il momento in cui mi mettevi in mano una sausage pie e un fish and chips e mi dicevi cià, ci vediamo in spiaggia?
E quindi malvolentieri sono andata a questo incontro di quattro ore in cui ci hanno spiegato (a me e altre cinque fortunelle) come si usa un nuovo aggeggino che fa le stesse cose di quello che mi avevano dato in Italia e che tipo di dieta seguire per evitare che il livello di glicemia si alzi troppo.
E ta dà, invece di misurare una volta sola, qui devo misurarlo QUATTRO volte al giorno.
Mi sono sentita come in quel racconto di Buzzati su quel paziente che finisce in clinica per sbaglio e poi viene spostato con una scusa o con un’altra al piano inferiore, dove si trovano i malati più gravi, e continuamente viene spostato al piano successivo… e lui si dispera e non sa più come spiegare che non ha niente, che è tutto un errore ma i medici lo prendono per pazzo…  Ecco. Uguale.
Poi, per evitare di trasformarmi in divano (anche perché chi mi rialza, poi!?) mi sono iscritta a vari corsi di yoga premaman e pilates premaman. Il dottore mi ha detto che non posso mantenere la stessa posizione a lungo, non posso sdraiarmi e non posso saltare e che – per l’amor di Dio – devo smettere immediatamente appena noto che qualcosa mi fa male o mi affatica.
Praticamente il mio sogno di persona pigra trasformato in realtà: vado in palestra ma appena non c’ho voglia dico “Non me la sento” e tutti sono comprensivi e fanno sì con la testa senza giudicarmi, anzi, preoccupandosi pure!
  A chi non fa tenerezza una balena esausta?
A livello pratico in casa ho messo tutte le tazze e i piatti a portata di braccio e ogni tre metri c’è una sedia, perché, purtroppo, a fare qualsiasi cosa mi stanco molto. (E infatti questo post lo sto scrivendo dal 5 novembre).
Ma perché vuoi stare da sola quando potrebbe venire qualcuno della tua famiglia dall’Italia?
Perché!?
Perché?
Perché quel qualcuno sarebbe stato mia suocera. (Con cui vado molto d’accordo, sia chiaro, ma un mese è proprio luuuuungo.)
      A cosa penso / What have you done?
L’altro giorno mentre stavo in vasca (perché una delle gioie che non mi hanno levato è il bagno – sì, per quanto debba farlo in acqua tiepida e senza getti diretti alla pancia- ) è partita questa canzone natalizia che inizia chiedendo in modo impertinente: “And so this is Christmas, and what have you done?“.
E io ho pensato che pochi giorni fa ho compiuto 35 anni. Quest’anno ho abitato in Spagna, Inghilterra, Cile, Italia e Australia. Mi sono abilitata e sono rimasta incinta.
A 16 anni se me l’avessero chiesto: “Dove ti vedi a 35 anni? Cosa farai a 35 anni?” avrei risposto qualcosa come “In viaggio, in giro per il mondo” oppure altri giorni avrei risposto “Sposata con un uomo che amo e mi ama e con dei figli”.
Non avrei mai pensato che sarei riuscita a realizzare tutte e due.
Buon Natale!
  (A chi non fa tenerezza una balena esausta in versione natalizia?)
So, you are nearly due, huh?* *  "Quindi sei quasi al termine, no?" Così mi ha detto sorridendo cassiera del supermercato stamattina.
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premamanmytummy · 7 years
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Offerta di Abbigliamento Premaman My Tummy Italia
www.mytummy.it
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lobyart · 6 years
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I miei pensieri sulla gravidanza vanno molto contro corrente a quanto pare su diversi argomenti e questo è un ulteriore capitolo: non vedo l’ora di rimpossessarmi del mio corpo e potermi rimettere i miei vecchi vestiti! Saranno anche comodi e utili, anche se non tutti lo sono stati per quella che è la mia esperienza, ma una cosa che non mi mancherà sono di sicuro i vestiti premaman!! 🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼🙏🏼▪️▪️▪️▪️▪️▪️▪️▪️▪️▪️▪️ • • 💝️ #pregnant #pregnantbelly #pregnantlife #fashion #babylove #babyboom #babybump #pregnancy #pregnantstyle #babyboomer #family #famille #mommylife #bebe #baby #babyblog #momtobe #mommytobe #futuremaman #pregnantbeauty #babyontheway #pregnantlife #mamablog #instamummy #maman #futurpapa (presso Voltri, Liguria, Italy) https://www.instagram.com/p/BrubDjrg8jW/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=sjrpvok2xoq1
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camillasernagiotto · 4 years
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La moda dovrebbe sostenere maggiormente le donne nel periodo del post-parto. Quella premaman è una sottocategoria ben precisa, quindi perché non pensare a una moda “post-maman”? A lanciare un S.O.S. da non sottovalutare è Blake Lively. Ve ne parlo su Sky TG24 e vi dico che prima di tornare nei miei vestiti (e in me stessa, anche) ci ho messo parecchio dopo avere avuto due gemelli. Non si tratta solo di corpo ma anche di mente, siete d’accordo mamme? ❤️
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fashioncurrentnews · 6 years
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Kate Middleton batte Meghan Markle: i suoi look sono i più venduti
È da quando Kate Middleton è arrivata nella famiglia reale che si fanno valutazioni sul suo armadio, confrontando i suoi look anche con quelli dell’amatissima suocera, la compianta Lady Diana. E ora che c’è Meghan Markle, l’attenzione non poteva che spostarsi su quest’ultima. Ma chi è la ‘Royal Influencer’ più potente? Tradotto in termini più semplici, chi tra le due Duchesse fa vendere più vestiti? Il confronto vede la vittoria schiacciante, ancora una volta, di Kate, nonostante il 2018 sia stato, senza ombra di dubbio, l’anno di Meghan Markle.
Secondo l’Evening Standard, il report annuale di vendite di eBay, infatti, mostra che la Duchessa di Cambridge ha avuto un impatto più importante sulle abitudini di shopping delle persone. Al centro di tutto, i look che ha indossato durante la gravidanza del suo terzogenito. Tra i capi più cercati pare ci siano i cappottini premaman – le ricerche si sono triplicate rispetto al 2017 – e l’abito rosso di Jenny Packham che la Duchessa di Cambridge indossò per presentare al mondo il piccolo Louis. E continuano a crescere le ricerche dei suoi stilisti preferiti: Jenny Packham, Alexander McQueen, e il brand premaman Seraphine.
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gracethegrace · 8 years
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Abbigliamento donna
Dopo il primo vestito con il fiocco ne ho realizzato un altro, i due modelli hanno riscosso successo e  sono già stati acquistati, 😊 in questi giorni realizzerò altri vestiti e saranno presto messi in vendita nel mio negozio online e in boutique a Reggio Calabria in via Fata Morgana n 64  
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gillianiriss · 2 years
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I diversi tipi di stili di bouquet da sposa
Oggi vestiti cerimonia premaman, l'unica superstizione dei bouquet da sposa è riservata alle donne single che saltano per prenderle al pianerottolo. (Dicono che chiunque catturi il bouquet da sposa sarà il prossimo a sposarsi.)
I diversi tipi di stili di bouquet da sposa
Dalla corona al bouquet, dal bouquet al bouquet a cascata, chi sapeva che c'erano oltre 19 diversi stili di bouquet da sposa tra cui scegliere? Di tutte le bellissime opzioni Gillne.it, i bouquet da sposa a cascata hanno fatto la nostra lista delle migliori scelte di bouquet da sposa in questa stagione.
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superfuji · 8 years
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Questa cosa è incredibile. Pensare di mettere al mondo un figlio, voglio dire. Ma avete pensato bene alle conseguenze? Avete pensato, che ne so, avete pensato che magari questo figlio non ha per niente voglia di diventare un essere umano come noialtri, noi tutti, noi qui e gli altri fuori, avete pensato alle implicazioni, alla dipendenza, alla responsabilità sia di procreare che di essere procreati? Avete pensato a tutta la merda, a tutta la bava, a tutti gli strilli, a tutto il sonno che perderete? O ancora prima: all’agitazione, alle ecografie, alla nausea, alla pancia che si gonfia, alle tette che quasi esplodono, all’accoppiarsi sapendo che c’è già un inquilino nel bassoventre? A chi fa la spesa, e quanti pesi portare, e ai vestiti premaman, alla stanza da arredare, dipingere, ai giocattoli che dopo due anni detesterà, alle tutine? Al mese e al giorno in cui verrà al mondo, al segno zodiacale, al problema della ginecologa adatta, alla gelosia inconscia del maschio trascurato, alle seghe in bagno del maschio trascurato? Alla femmina che si sente un bidone e piange guardandosi allo specchio, con quelle vene esplose tutt’intorno al ventre? Oppure alle voglie notturne, alla musica che non potrete piú ascoltare, ai film che non potrete piú vedere… all’allerta, allo scadere dei giorni, alle acque che si rompono, alla corsa all’ospedale? Alla malasanità italiana, al travaglio lungo e sconquassante, alle facce poco rassicuranti di medici stufi e infermiere doppioturniste? All’anestesia, a qualche errore – avete pensato agli errori? –, alla posizione del feto, al dolore triturante, alle grida, all’anestesista sotto cocaina che sbaglia e ficca un po’ piú di quello e un po’ meno di quell’altro? Vi è passato per la mente un parto cesareo, e ciò che comporta, e il chirurgo che si fa sventratore, avete pensato al taglio profondo (e se il medico è un sadico?), alla cicatrice che seguirà per sempre, per sempre, all’utero che si svuota come se vomitasse carne, ossa e placenta? Al cordone ombelicale, al sangue, cristodidio, tutto quel sangue, e tutta quella puzza, e al cordone che lo strangola? Lucia e i miei amici erano presenze offuscate. Spariti i loro volti, spente le loro voci. Ma capivano le mie parole? – Non avete paura, quand’anche il bambino nascesse vivo, – continuai quasi senza riprendere fiato, un silenzio irreale attorno a me, – non avete paura che un qualche inspiegabile malore gli arresti il cuoricino piccolo come un’unghia? Non vi terrorizza l’idea che muoia tra le braccia di un’infermiera ubriaca di sonno, un’infermiera che scivoli sulla placenta e cada contro il muro, e la testa del vostro bambino tra lei e il muro, zuff!, materia cerebrale sulla parete? Non siete spaventati dai black-out nelle sale operatorie, dai bisturi che tagliano a casaccio? E che mi dite dell’eventualità che l’embrione dentro la pancia di lei stia sviluppando a insaputa di tutti una sindrome incurabile ancora non diagnosticata? O se il bambino fosse leucemico, cardiopatico, se il sangue di una trasfusione necessaria durante il cesareo provenisse accidentalmente da un donatore HIV positivo? O se il sangue fosse del gruppo incompatibile e provocasse la morte di mamma e figlioletto? O se il figlioletto fosse epilettico? Narcolettico? Talassemico, emofiliaco? È questo quello che volete? Immaginatelo: sareste colpevoli delle sue sofferenze solo per aver preteso di perpetuare una specie che forse sarebbe meglio condurre piú velocemente possibile sull’orlo dell’estinzione. Il vostro egoismo che genera un essere torturato dal dolore. E se malauguratamente fosse sano? Sano. Ci avete pensato? Non vi dilania il pensiero di chi possiate aver buttato nella folla eterogenea degli Homo sapiens sapiens? Voglio che entrambi vi rendiate conto dell’enormità, della madornalità del vostro arbitrario errore. Tutto ciò che avreste potuto evitare alle vostre vite e al resto dell’umanità. Pensate un momento: chi ci assicura che non si riveli, col passare del tempo e il progredire della sua personalità, un individuo incontestabilmente fuori della grazia di dio? Perché non riflettete sulla possibilità tutt’altro che remota di aver generato il peggiore dei mostri che questo pianeta abbia mai dovuto ospitare? Non sto piú parlando di un mostro in senso fisico, ma in senso psichico. Pensate, per esempio, alla signora Heydrich, alla signora Himmler, alla signora Stalin. Alla mamma e al papà di Charles Manson, di Ted Bundy, di Andrej Romanovič Čikatilo. Ai signori Dahmer. Ai signori Milošević. Pensate ai genitori di quei tizi che innescarono le bombe in piazza Fontana, o in piazza della Loggia. E non pensate mica di cavarvela mettendo al mondo una femminuccia. Credete che non siano capaci di atrocità? Lo sono, eccome. Pensate alle donne kamikaze a Gerusalemme. Pensate alle donne figlicide, a quelle che infilano i propri piccoli nelle lavatrici. In un mondo violento, lussurioso, criminale, voi scodellate la vostra creatura e lo fate con leggerezza, come fosse un atto dovuto. E non sapete che avete procreato un altro carnefice o un altro agnello sacrificale. E a volte il carnefice è agnello. E a volte l’agnello è carnefice. Voi volete mettere al mondo un essere destinato alla tristezza, alla povertà, alla pazzia e alla morte. Per inedia, per suppurazione, per paura. E la paura genera incubi, e la paura e gli incubi insieme generano azioni violente. E se la malattia a causa della quale sto per avere a questa tavola l’ennesima crisi di panico non è altro che la paura, e la paura è propria della nostra razza, e a quella paura rispondiamo con azioni violente o con attacchi di panico, allora è tutta colpa di chi mi ha preceduto da Adamo ed Eva in poi, o dalla prima scimmia che decise di assumere una postura eretta in poi. E se la paura è nell’uomo, è anche nel bambino, e se è nel bambino è anche nel vostro bambino, in quell’essere che avete deciso di buttare nel mondo. Per questo il vostro bambino non dovrebbe nascere, cara Carmen, caro Rosario. Dovreste interrompere la gravidanza ora, subito!, prima che avvenga l’irreparabile, prima che quel vostro figlio rimanga vittima anch’egli di quell’irrimediabile guasto tecnico umano che è la paura. No, Lucia, non voglio che tu mi versi nessunissimo Rivotril in nessunissimo cazzo di bicchiere. Voglio che tu resti seduta. Per capire, se davvero mi ami, da quale tipo di lucido orrore l’uomo con cui hai trascorso gli ultimi anni della tua vita è attraversato, condizionato, piagato, un giorno probabilmente ucciso. Questo orrore arriva da lontano, una specie di ciste nel mio cervello il cui pus ha ammorbato tutto il mio essere. Quella ciste ce l’ha ogni individuo, ma solo un trauma la fa esplodere. Perciò voglio darvi un consiglio, solo un modestissimo consiglio: fate attenzione. Fate molta attenzione. Ché i figli non sono solo figli, ma esseri umani che prescindono da voi. Staccati. Imprendibili. Insalvabili. Immaginate vostro figlio a sei sette otto nove dieci anni, sereno di essere dov’è, consapevole del vostro amore, fiducioso circa la propria incolumità. È pomeriggio. Vostro figlio è solo in casa. Eravate distratti dai casini delle vostre vite e avete dovuto rivolgervi a qualcuno perché se ne occupasse. Questo «qualcuno» è una persona apparentemente affidabilissima, dice buongiorno e buonasera, chiacchiera del tempo con voi quando è estate e fa caldo, a volte – magari – viene a bere qualcosa sul vostro terrazzo. Diciamo che è un ragazzo quasi adulto. Un individuo come tanti. È un parente, è un vicino, è un conoscente, è un amico? Non importa. Ormai è nella tana. È penetrato e ha conquistato la vostra fiducia. E anche la fiducia del vostro bambino. Che magari, durante le visite del ragazzo, gli dimostra un grande affetto: lo abbraccia, si siede sulle sue gambe, gli tocca il viso. Risvegliando e alimentando pulsioni. Ora immaginate il ragazzo con le sue pulsioni. Solo in casa con il bambino. Il ragazzo e il bambino. Siete stati voi, invitando il primo e procreando il secondo, a formare la coppia di quel pomeriggio. Voi con la vostra fretta, coi vostri lavori, la vostra approssimazione, la vostra cieca fiducia nel prossimo, il vostro egoismo che vi ha portati a generare un bambino di cui non sempre – e quel pomeriggio ne è la dimostrazione – potrete occuparvi. Ora immaginate che il ragazzo, l’affidabilissimo e posatissimo ragazzo, sia in piena tempesta ormonale. E che, drammaticamente, non abbia un grande appeal sulle ragazzine. Pur desiderandole, pur desiderandole tanto, quelle lo tengono lontano. Succede. A chi non è successo? È umano. Cosí come sono umane le pulsioni erotiche, gli istinti del ragazzo. Inappagati. Ebbene: immaginate il ragazzo col bambino tutto il pomeriggio da soli in casa. Il ragazzo desidera. Ed è arrabbiato per il fatto di essere ignorato proprio da chi vorrebbe essere considerato. Il bambino è ancora all’oscuro di certi pruriti. Si fida del ragazzo. Gli vuole bene. Lo invidia persino. Il ragazzo, agli occhi del bambino, rappresenta tutto ciò che significa la parola «crescere». È un modello da imitare. In un mondo di giochi e di fiducia per chi gli sta accanto, il bambino è ingenuo. E chi è ingenuo risulta tremendamente attraente agli occhi di chi cerca piacere. Immaginate il ragazzo seduto su quel divano che guarda il bambino giocare. Lo guarda. Il bambino si muove. Il bambino ha un corpo. Improvvisamente, il corpo del bambino è l’unico corpo che il ragazzo capisce di avere a disposizione. Vieni qui, dice il ragazzo al bambino. Facciamo un gioco. Sí, risponde tutto felice il bambino, e corre da lui. Quale gioco?, gli chiede. Giochiamo a spogliarci, propone il ragazzo. E lui, il ragazzo, si spoglia per primo, in fretta. È eccitato. Ha il pene eretto. Il bambino non capisce. Dài, insiste suadente il ragazzo, spogliati anche tu. Il bambino, il vostro bambino, vede quel coso duro sbucare dalla rada peluria del pube del ragazzo. Si preoccupa. Continua a non capire. Ma vuole bene al ragazzo, gli vuole bene e si fida di lui in maniera incondizionata. Non si aspetterebbe mai di essere tradito. Si spoglia piano, impacciato. Vuole capire che gioco è. Ora sono nudi. Il ragazzo dice al bambino, la voce strana: Girati. Ora ti faccio vedere una cosa divertente. Il bambino dà uno sguardo al pene eretto del ragazzo. Ha un sospetto, ma non sa che tipo di sospetto possa mai essere. Il ragazzo gli sorride. Il bambino sorride. Dài, lo esorta ancora il ragazzo. Il bambino si gira. Il ragazzo lo tocca, entrambi hanno un fremito, lo conduce piano verso il divano. Issa il bambino sul divano, il bambino appoggia le mani alla parete. Stai fermo cosí un po’, gli chiede il ragazzo. Fermo. E non voltarti. Altrimenti il gioco finisce. Il bambino è a quattro zampe sul divano. Davanti al cazzo duro del ragazzo. Il bambino non si volta. Sente che il ragazzo dietro sta facendo qualcosa. Un movimento continuo. Soffi dal naso. Ansiti. Non girarti, dice il ragazzo. E la sua voce è spaventosamente roca. La sua voce non sembra piú la sua voce, ma quella di un altro. Ancora quel movimento convulso. E il bambino – sí, ci siamo, siamo arrivati al punto –, il bambino per la prima volta nella sua vita conosce la paura. Ha paura. Ha paura. Ha paura. Mentre dietro di lui la respirazione del ragazzo si fa affannosa. Una specie di lamento alla fine di ogni respiro. Come se stesse soffrendo, come se stesse per vomitare. No, dice il bambino. No! E invece sí: qualcosa succede. Qualcosa che non è la morte, ma un evento che ci si avvicina. Di schianto, improvvise, inattese, gocce dure e calde lo raggiungono sulle natiche, sulla schiena, sulle gambe, una persino sul collo. È peggio della paura. Perché la paura è solo una sensazione. Mentre quelle gocce calde e dure ci sono, gli sono addosso, gli si appiccicano sulla pelle mentre il ragazzo emette un verso che ha dello spaventoso, e il bambino, il vostro bambino, quello che avete messo al mondo per il vostro egoismo ma che non siete e non sarete mai capaci di proteggere come credete, poiché nemmeno lontanamente avreste potuto credere di doverlo proteggere da una cosa del genere – ed è quindi solo colpa vostra! solo colpa vostra! –, mentre il bambino scopre per sempre la paura, la paura che era dentro di lui e che è dentro di noi e che è dentro chiunque e che a volte si manifesta solo in qualità di piccoli spaventi sopportabili, la paura esplode nel cuore del bambino, che la porterà in corpo fingendo di non riconoscerla, fino a quando – magari da adulto, magari durante una nottata lavorativa qualunque – quella paura non riesploderà fuori tutta insieme perché troppo e da troppo compressa, manifestandosi come una crisi di panico di proporzioni devastanti, la prima di una serie inarrestabile. Cosí come gli abusi subiti sotto il ricatto del ragazzo – «Se lo dici a qualcuno, ci succede qualcosa di brutto» – dureranno per anni e poi per sempre nella memoria.
Il panico quotidiano - Christian Frascella - Ho un amico che soffre di attacchi di panico e questo libro devastante descrive la quotidianità di chi soffre di questo disturbo: una vita autodistruttiva dove paura, ipocondria e panico diventano incontrollabili, dove il ritmo della tua desolante esistenza è scandito da turni in fabbrica, dosaggi di psicofarmaci, corse in ambulanza verso il reparto psichiatrico, appuntamenti con psichiatri fino a perdere amicizie, l’amore ormai disperato ed impaurito che non è più in grado di proteggerti dai tuoi fantasmi , il lavoro, allontanarsi dalla famiglia, rinchiudersi in casa, ingrassare a dismisura mangiando pizze surgelate ed altre cagate, pisciarsi addosso nell’autobus. desiderare il suicidio, Vedere ex colleghi ormai consunti da anni di turni in fabbrica morti per aver inalato troppa merda, muoversi inorridito tra gli spettri del sert che sono in fila per il metadone. Scritto bene, si legge tutto di un fiato
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cooladddy · 8 years
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virginiamurrayblog · 6 years
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Kate Middleton batte Meghan Markle: i suoi look sono i più venduti
È da quando Kate Middleton è arrivata nella famiglia reale che si fanno valutazioni sul suo armadio, confrontando i suoi look persino con quelli dell’amatissima suocera, la compianta Lady Diana. E ora che c’è Meghan Markle, l’attenzione non poteva che spostarsi su quest’ultima. Ma chi è la ‘Royal Influencer’ più potente? Tradotto in termini più semplici, chi tra le due Duchesse fa vendere più vestiti? Il confronto vede la vittoria schiacciante, ancora una volta, di Kate, nonostante il 2018 sia stato, senza ombra di dubbio, l’anno di Meghan Markle.
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premamanmytummy · 7 years
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