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#vincenzo ostuni
marcogiovenale · 3 months
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nuovo ebook su gammm: "equivalente generale", di vincenzo ostuni
https://gammm.org/2024/07/01/ebook-equivalente-generale-vincenzo-ostuni-2022-24/ _
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gammm-org · 3 months
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ebook: equivalente generale / vincenzo ostuni. 2022-24
Oggi un nuovo ebook su gammm.org: Equivalente generale, di Vincenzo Ostuni. Il file pdf [58,7 Kb] è leggibile e scaricabile qui o dalla pagina gammm/ebooks. * From today, a new ebook at gammm.org: Equivalente generale, by Vincenzo Ostuni. You can read and download the pdf file [58,7 Kb] here or @ gammm/ebooks. _
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centroscritture · 7 months
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"Poesie dell'Italia contemporanea. 1971-2021" (ed. il Saggiatore, 2023) giovedì 29 febbraio 2024 alla Libreria Panisperna 220 di Roma, per il ciclo di eventi "Nuove Uscite". L'abbiamo fatto vivere, come merita, mettendolo al centro di un'ampia conversazione insieme a Stefano Bottero, Carmen Gallo, Arturo Mazzarella, Noemi Nagy, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Antonio Francesco Perozzi, Laura Pugno, il curatore Tommaso Di Dio e il coordinamento di Valerio Massaroni.
www.centroscritture.it
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garadinervi · 5 years
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Retrospettiva Balestrini, Presented by Valerio Massaroni, Introduced by Marco Giovenale, Centro di Poesia e Scritture Contemporanee dell'Upter – Università Popolare di Roma, Roma, September 23, 2019. Feat, Maria Grazia Calandrone, Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Guido Mazzoni, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Lidia Riviello, Franca Rovigatti, Sara Ventroni, Michele Zaffarano
Esplose improvviso
poi dilagò che         sconvolse il mondo la prima forza         sovversiva stai ascoltando provocata dall’abbondanza         che un movimento non voleva e non dalla miseria         non più sacrificarsi per la ma vivere         pienamente ascolta bene la rivoluzione e ancora         che voleva grazie alla cambiare ascolta la         vita e il mondo ma senza questa volta         prendere il potere qualcosa di simile a una ri         portata da testimoni ascolta ancora         viventi in evoluzione quindi permanente         uno strano tipo di rivol vissuta nel presente         la della parola nel presente vissuta         permanente quindi in evoluzione adesso parla tu         testimone vivente del mondo e della vita         cambiata nell’abbondanza sovversiva dilaga e
– Nanni Balestrini [Balestrini, N., Caosmogonia, «Lo specchio», Mondadori, Milano, 2010; also in Caosmogonia di Nanni Balestrini per Autoanalfabeta, 2013 (pdf here)]
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lenostreposizioni · 6 years
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Nuovo post su https://is.gd/Z8iCy7
La terra d'Otranto del XVII secolo nei versi di un autore coevo
di Armando Polito
Oggi l’Italia arranca disperatamente in Europa e nel mondo e le roboanti, giornaliere  dichiarazioni su un presunto riconoscimento altrui del nostro prestigio rappresentano solo un tentativo di gettare fumo negli occhi per avere consensi in cabina elettorale. Ancora più desolante è il quadro se lo sguardo per settori si sofferma sul profondo sud. Che la situazione, soprattutto sotto il profilo economico, per quanto territorialmente ci riguarda fosse radicalmente diversa quattro secoli fa, lo mostra non solo una vasta letteratura specialistica con le sue testimonianze del tempo, ma anche la produzione poetica. Prenderemo in considerazione, per quanto riguarda quest’ultima, Paolo Antonio Di Tarsia1 e la sua opera Europa pubblicata a Madrid nel 1659, prima edizione ormai introvabile. Una seconda uscì a Lione nel 1661 e ad essa farò riferimento2.
L’opera, tutta in latino,  contiene all’inizio ben tre dediche: due in prosa, rispettivamente di uno di coloro a spese dei quali l’opera fu pubblicata (C. Bourgeat) a Giovanni Clemente di Belle-Croix e del Di Tarsia a Pasquale d’Aragona; la terza, ancora del Di Tarsia, in distici elegiaci, a papa Alessandro VII, che già era stato vescovo di Nardò3. Seguono 14 elegie celebranti l’Europa. Alla fine il volume contiene note esplicative per ogni elegia (in questa seconda edizione, come si legge nel frontespizio, sono del fratello Biagio.
Appare significativo che nella parte dedicata al Regno di Napoli (Elegia V, pp. 19-22) sono ricordati, ognuno con una o più peculiarità, ben dieci centri di Terra d’Otranto. Siccome vi compaiono in ordine sparso nelle pp. 21-22, ne riproduco i dettagli dopo averli estrapolati (nota esplicative comprese, laddove ci sono), aggiungendo alla trascrizione la traduzione e qualche nota. Le elegie, superfluo dirlo, sono in distici elegiaci; di solito, però, ogni toponimo non occupa l’intero distico ma solo la prima o la seconda parte, cioè o l’esametro o il volgarmente detto pentametro. La E o la P in parentesi tonde accanto ad ogni toponimo hanno questa funzione indicativa. Anticipo che dominanti sono i riferimenti all’economia o al paesaggio, ad eccezione di quelli culturali di Rudie e Martina Franca.
                                                                            BRINDISI (E)
Brundusium commendant Castra, Via Appia, Portus. (Fanno apprezzare Brindisi i castelli, la via Appia, il porto)
                                                                           TARANTO (E)
Aequor ut immensum, extendit se fama Tarenti. (Come l’immenso mare si estende la fama di Taranto)
                                                                              GALLIPOLI (P)
Gallipolis cultros, vinaque, vela facit. (Gallipoli produce coltelli, vini, veli)
Gallipolis. Vela ibi fiunt ex bombacio sive xylo, aureis sericisque filis intexta, quibus Mulieres tegendis, ornandisque capitibus utuntur. (Gallipoli. Ivi si fanno veli di bambagia ovvero cotone, intessute di fili di oro e di seta, dei quali le donne si servono per coprire e ornare la testa)
E dopo? Si legge in Pietro Maisen Valtellinese, Gallipoli e suoi dintorni, Tipografia municipale, succursale della Tipografia Garibaldi in Lecce, Gallipoli, 1870, pp. 53-54: Uno sguardo retrospettivo di due o tre secoli, ci addita Gallipoli la città delle industrie e delle belle arti. Avevansi diverse manifatture come di mussolini e veli di finissima ventinella, fregiati di vari colori, ed altri travagli di cotone di cui era molto esteso il lavoro. Si fabbricavano guanti e calze di finissima ventinella, di cui i Maltesi, i Veneziani, i Genovesi e Siciliani ne facevano grande smercio; ma ora tali lavori decaddero in depreziamento per le esotiche manifatture che s’introdussero a prezzi mitissimi, di cui non ponno sostenere la concorrenza le indigene.
                                                                              LECCE (E)
Dulce domos ornent pelles, quas pingit Aletum. (Le pelli che colora Lecce, piacevole cosa, ornino le case)
Aletum. Vulgò Lecce. Provintiae Hydruntinae caput. Pelles ibi coccinei coloris ex Oriente delatas,auro et coloribus graphicè exornant, pinguntque,quibus sellas, mensas, scrinia, ephippia, caeteraque utensilia tegunt. (Aleto. Correntemente Lecce. Capitale della provincia otrantina. Ivi con oro e colori adornano e dipingono artisticamente le pelli di colore scarlatto importate dall’Oriente, con le quali rivestono sedie, tavoli, cofanetti, selle e altri utensili) 
Aletum mi appare come deformazione di Aletium (nulla a che fare con l’attuale Alezio) che il Galateo (XV-VI secolo) riporta come una delle tante varianti: Urbem hanc alii Lupias, alii Lypias, alii Lopias, alii Lupium, alii Lispiam, alii Lypiam, alii Aletium, alii Licium, alii Lictium, a Lictio Idomeneo, alii Liceam: omnia haec nomina idem sunt. (Alcuni chiamano questa città Lupie, altri Lipie, altri Lopie, altri Lupio, altri Lispia, altri Lipia, altri Alezio, altri Licio, altri Littio da Littio Idomeneo, altri Licea: tutti questi nomi sono la stessa cosa)
                                                                        GALATONE (P)
Vite, oleis, plena est Galata, melle, croco. (Galatone è piena di vite, di ulivi, di miele, di zafferano)
Quanto allo zafferano ancora oggi, nonostante tutto, fiorisce spontaneamente, almeno nella campagna in cui, a Nardò, ho la fortuna di vivere, ma la storia è vecchia. Scriveva, infatti, il già citato Galateo: Hic coelum salubre, ac tepidum, aurae salutares, et suaves, ager apricus semper vernans floribus, et bene olentibus herbis, thymo, thymbra, pulegio, serpillo, hysopo, melolotho, camomilla, calamentho, ubique abundans; unde et caseum nobile, et mel gignit, non deterius Hymectio, ac crocum laudatissimum. Itaque ut apud Marsos, et Pelignos Sulmonensis, sic et apud Salentinos Galatanensis crocus ceteris praestat. Temporibus patrum nostrorum in Salentinis hic, non alibi crocus habebatur. Unde huc venerit incompertum est: attamen videtur hoc solum sponte sua crocum gignere. Omnis ager, ubi sues non sunt, silvestri croco abundat; qui flore, bulbo, capillamentis, ortensi sive sativo similis est; tempore etiam conveniunt, uterque enim floret post ortum Arcturi.(Qui [nel territorio di Galatone] il clima è salubre e tiepido, l’aria salutare e soave, la campagna soleggiata che sempre si ricopre di fiori e di erbe profumate: timo, santoreggia, puleggio, serpillo, issopo, meliloto, camomilla, nepeta abbondante ovunque. Perciò produce pregiato formaggio e miele non inferiore a quello dell’Imetto [monte della Grecia famoso nell’antichità per la bontà del suo miele] e zafferano apprezzatissimo. E così, come presso i Marsi e i Peligni il croco di Sulmona, presso i Salentini lo zafferano di Galatone supera gli altri.Ai tempi dei nostri padri il croco c’era qui in Salento, non altrove. Da dove sia giunto qui, non si sa, tuttavia si vede che questa terra lo produce spontaneamente. Ogni campo dove non ci sono maiali  abbonda di zafferano selvatico, che nel fior, nel bulbo, nei filamenti è simile a quello dei giardini o coltivato. Concordano pure nel tempo: entrambi infatti fioriscono dopo il sorgere di Arturo [stella visibile in primavera guardando ad est])
                                                                           GROTTAGLIE (E)
Spumantes offert bibulis Cryptalla racemos. (Grottaglie offre ai bevitori spumeggianti vini)
Si legge in Vincenzo Corrado, Notiziario delle produzioni particolari del Regno di Napoli, Nicola Russo, Napoli, 1792, p. 128 : Produce di particolare il territorio di questa Terra [Galatone] grossissime e gustose mela granate; puranche saporite uve, per cui il vino delle Grottaglie vanta un’eccellenza superiore agli altri vini della Provincia.
                                                                               OSTUNI (E)
Ostuni Diana dedit sua munera sylvis. (Diana diede i suoi doni alle selve di Ostuni)
In Giovanni Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Parrino, Napoli, 1703, parte II, p. 177: Nelle selve assai feconde di Salvaggina, e fra’ Campi fertili di odoroso, e gratissimo Vino, di Olio, di Formento, e di altro esquisito, siede questa [Ostuni ]…
Sarebbe interessante sapere quanto esattamente è rimasto di quella selva e, questa volta, per colpa di quale dio o sedicente tale…
                                                                                     RUDIE (P)
Eversas Rudias Ennius erudiit. (Ennio erudì la devastata Rudie)
                                                                                   EGNAZIA (E)
Olim ignes factos, Equites nunc Gnatia gignit. (Egnazia ora genera cavalieri, un tempo fuochi fatti [senza che si vedessero4])
Gnatia. Nunc Monopolis, Urbs praeclara, et nobilis in Apulia Peucetia. Hic olim thura liquescere credebant Gentiles in primo templi aditu,sine igne, supero nimirum calore, de quo Horatius lib. serm. saty. 5. (Egnazia. Ora Monopoli, città illustre e nobile nella Puglia peucezia. Qui un tempo i pagani credevano che gli incensi si liquefacessero nel vestibolo del tempio senza il fuoco, senza dubbio per il calore celeste, della qual cosa [parla] Orazio, libro I, satira 5)
Ed ecco il pezzo oraziano (vv. 97-100):… dein Gnatia Lymphis/iratis exstructa dedit risusque iocosque,/dum flamma sine tura liquescere limine sacro/persuadere cupit. (… poi Egnazia dalle acque adirate5 diede occasione di ridere mentre vuol farci credere che sulla sacra soglia l’incenso si liquefà senza fiamma)
                                                                     MARTINA FRANCA (E)
Me iuvenem Martina dedit Grecumque Latinum. (A me giovane Martina diede il greco e il latino)
Martina. Alludit ad doctissimum Ludimagistrum Iosephum Caramiam in ea Urbe natum, à quo Auctor, Graecis Latin(is)que Litteris Cupersani imbutus fuit. (Martina. Allude al dottissimo maestro Giuseppe Caramia nato in quella città, dal quale l’autore fu istruito a Conversano nelle lettere latine e greche)    
                                                                            OTRANTO (P)
Ex Hydruntinis citria mala pete. (Agli otrantini chiedi cedri)
Oggi non so, ma questa caratteristica permane nel XVIII secolo; si legge in Francesco d’Ambrosio, Saggio istorico della presa di Otranto .., Giuseppe De Bonis, Napoli, 1751, p. 3: Questa Città ha breve il suo orizonte,per il sito basso che tiene, vedendosi per terra circondata da valloni; e però sarebbe di aria mal sana, se i molti arbori di cedri, e melaranci, de’ quali nelle sue vicinanze abbonda, non la purificassero col grato, e continuo odore. E in Francesco Antonio Primaldo Ciatara, Relazione di fatti che interessano la fedelissima città di Otranto, Stamperia Simoniana, Napoli, 1772, p. 6: Il terreno della Città di Otranto poi è molto atto agli aranci, cedri, e limoni per le acque, che lo bagnano.
                                                                               NARDÒ (P)
Stragula Neriti xylina lectus amat. (Il letto ama le coperte in cotone di Nardò)
Neriti. Urbs Neritonensis celebris est. Texuntur ibi stragula, sive lectorum tegumenta lemniscata ex bombacio, sive Xilo, quae sunt in pretio. (Di Nardò. La città di Nardò è celebre. Vi si tessono coperte o coperture di letti decorate di nastri di bambagia ovvero cotone, che sono apprezzate)
Coverte di bombace di Nardò ricorre, quasi a mo’ di etichetta, negli inventari presenti in atti notarili fino alla fine del secolo XIX e riferentisi, è ovvio, a famiglia abbienti.
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1 Nato a Conversano nel 1619 , morto a Madrid nel 1670, pubblicò anche: 
De S. Io. Baptistae humanae salutis prodromi laudibus oratio panegyrica. Ad illustrissimum, D. D. Iulium Aquavivam Aragonium, Francesco Savio, Napoli, 1643
Divae Virginis insulanae cupersanensis historia, Iuliano De Paredes, Madrid, 1648
Historiarum Cupersanensium libri tres, Iuliano De Paredes, Madrid, 1649
Memorial politico-historico, s. n., Madrid, 1657
Succus prudentiae sacropoliticae ex nonnullis r. Pp. Ioan. Eusebii Nierembergii, Societ. Iesu, operibus expressus, & per locos communes digestus, a spese di Claude Bourgeat e Michel Lietard, Lione, 1659
Vida de Don Francisco de Quevedo y Villegas, S. M. Redondo, s. n., 1663
Tumultos de la ciudad y Reyno de Napoles, en ano de 1647, En Leon de Francia: a costa de Claudio Burgea, mercador de libros, 1670
2 https://books.google.it/books?id=kJhf-zqGOCcC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false
3 http://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/02/alessandro-vii-un-papa-gia-vescovo-fantasma-di-nardo-e-il-suo-vice/ . Credo che questa dedica e l’altra della prima opera indicata nella nota 1 a Giulio Acquaviva (marito di Caterina d’Aragona duchessa di Nardò) siano due dati non sufficienti ad ipotizzare un qualche rapporto tra il Di Tarsia e Nardò, tanto più che il futuro papa da vescovo non vi mise mai piede e la stessa Caterina dopo le nozze risiedette stabilmente nella città del marito, a Conversano.
4 Per comprendere il senso della traduzione e di questa integrazione è necessario leggere il seguito.
5 Questa è la traduzione letterale di lymphis adiratis, locuzione la cui oscurità ha propiziato fin dai tempi antichi una ridda di interpretazioni: chi vi ha trovato un’allusione alla penuria di acqua dolce, chi, quasi collateralmente, all’abbondanza di acqua salmastra, chi al potere distruttivo dei torrenti precipitanti dalle Murge (in questo caso la traduzione sarebbe “distrutta dalle acque adirate”.
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usmaradio · 3 years
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Crown is a project born during the Italian lockdown in 2020. Roberto Paci Dalò plays an improvised session together with a guest. Musicians, artists, writers, actors, poets, singers, radio lovers performing from their very homes. Everyday for 30 days artists from all over the world came together for a live improvised session of radio, music, words and sound experiments together with Roberto Paci Dalò. To play together from different locations, yet united through radio. To listen together, from different locations, thanks to the medium of radio. – Crown is for Mirko Bertuccioli Zagor, in memoriam. Visit podcasts
Episodes Crown I – Fabrizio Modenese Palumbo Crown II – Andreij Rublev Crown III – Michele Selva Crown IV – Paolo Bragaglia Crown V – Paolo Dellapiana Crown VI – Gianpaolo Antongirolami Crown VII – Fabrizio Modenese Palumbo Crown VIII – Aspect Ratio Crown IX – Michele Selva Crown X – Lorenza Ghinelli Crown XI – Johann Merrich / L'impero della luce Crown XII – Karen Wernwer Crown XIII – Gabriele Frasca Crown XIV – Robert Lippok Crown XV – Eleftherios Krysalis Crown XVI – Enrique Mendoza
Crown XVII – Laura Magni
Crown XVIII – Rupert Huber
Crown XIX – GX Juppiter-Larsen
Crown XX – Mia Zabelka
Crown XXI – Absolute Value of Noise Crown XXII – Paolo Dellapiana Crown XXIV – Vincenzo Ostuni Crown XXV – Roberta Busechian Crown XXVI – Fabio Mina Crown XXVII – Francesco Giomi Crown XVIII – HOLLYSPLEEF Crown XXIX – Michele Braga Crown XXX – Lello Voce
Crown XXXI – Wissal Houbabi Crown XXXII – Roberto Fabbriciani Crown XXXIII – Fabio Mina  
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marcogiovenale · 4 months
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nuovo post sul blog 'esiste la ricerca': due testi di vincenzo ostuni
https://www.mtmteatro.it/due-testi-di-vincenzo-ostuni/ _
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gammm-org · 2 years
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due inediti dal "faldone" / vincenzo ostuni. 2023
. cliccare per ingrandire
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centroscritture · 1 year
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Nuovi corsi in partenza
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*In partenza questa settimana*
da lunedì 8 maggio ore 18 / POESIA E MONDO OGGI
Una poesia, come atto culturale, entra inevitabilmente in relazione con contesti sociali, storici e filosofici, che condiziona e da cui è condizionata. Astraendo dalla situazione contingente in cui ogni singola poesia è inserita, la poesia offre anche occasione di riflessione sul modo stesso in cui definiamo, e nominiamo, i contesti. In questo corso la vedremo a confronto con alcuni concetti centrali della nostra esperienza del mondo, dal soggetto all’oggetto, dal pensiero alla politica con un'impostazione seminariale volta al coinvolgimento attivo della classe.
con Marco Giovenale, Riccardo Socci, Ranieri Teti, Vincenzo Ostuni, Valerio Massaroni, Giovanna Frene
da martedì 9 maggio ore 18/ GLI ULTIMI 20 ANNI DI POESIA ITALIANA
Quarta tappa di un’esplorazione attraverso opere esemplari che hanno segnato l’evoluzione della scrittura in poesia dal Novecento a oggi in Italia. Di ogni opera sarà ricostruito il contesto sociale e culturale, saranno letti e commentati testi, al fine di evidenziarne la distinzione e l’importanza letteraria. In questo corso andremo dal Dal Bianco di Ritorno a Planaval (2001) al Mazzoni de La pura superficie (2017).
con Laura Di Corcia, Gian Luca Picconi, Maria Borio, Bernardo De Luca, Valentina Murrocu
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latristereina · 7 years
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On this day in history: death of Bona Sforza, Queen Consort of Poland and Grand Duchess of Lithuania, and Duchess of Bari and Rossano in her own right
Already, before her husband’s passing, Bona must have felt unsafe and lonely. In the last months of his life, the weak and ill Sigismund the Old could not protect his wife anymore. Her Polish subjects hated her, and her once beloved and devoted son, Sigismund Augustus, whose policies she did not approve of, rejected her completely. In June 1547, a year before the old king’s death, queen Bona’s adversaries started gossiping maliciously about how she planned on leaving the country, and was in the middle of the process of exporting the fortune, that she had amassed during her reign thanks to her hard work. Bona must have been aware that her immense wealth aroused jealously and was most likely afraid that after the king’s death, she would be stripped of it. 
Cracow, where the royal family resided, was not a safe place at the time, and after Sigismund the Old’s passing on April 1st 1548, she decided to retreat to Mazowsze, along with her fortune. In the meantime, the rumors about Bona’s plans to go back to Italy did not cease. It seems, however, Bona made such decision only at the turn of 1552/1553, so after Barbara Radziwiłł’s death (1551), and after her attempts to reconcile with her son failed. In January 1552, during her meeting with Sigismund Augustus in Radom, she officially touched upon this matter for the first time, but the new king only replied coldly that he would yet have to present her case at the Sejm. At the same time, he started keeping a weather eye on his mother and her actions, particularly those concerning Italy and her contacts with Charles V. 
As we can deduce from letters that he wrote to his friend Radziwiłł, he was particularly anxious about the ambassadors whom Bona sent with secret missions and the fact his mother exported money and valuables, which he would gladly intercept in the process, but was afraid that during the commotion, they could end up in the Habsburgs’s hands. He was also worried Bona would disinherit him and leave her Italian lands to someone else. Indeed, in the 1550’s Bona’s actions in the diplomatic sphere were active, and a few times between 1550 and 1555, she sent her trusted courtier, Gian Lorenzo Pappacoda, with diplomatic missions to Charles V and Philip II of Spain. Being out of the picture of Polish influences, ambitious and still not that old, Bona was looking for another sphere of activity. According to some scholars she wanted to become a viceroy of Naples with sweeping powers, and that’s why in 1553 she loaned Charles V 150.000 ducats, counting on his support. The loan was to be paid back within six years.
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Bona took the ultimate decision about her retreat to Italy in 1555. Officially it was all for the sake of her health, for she said she had to undergo an anti-rheumatic therapy at the Abano springs, nearby Padua. The senators, of course, did not approve of Bona’s plans, since she would take her immense riches and property away, and also because, according to them, ‘this scandal would shroud Poland in infamy.’ 
To avert Bona’s departure, the senators sent special ambassadors to her at the beginning of 1555, in order to dissuade her from this idea. But the Dowager Queen was stubborn. Moreover, she was well aware they wanted to retain her only out of greed, which only reassured her that she should leave. At the last moment Sigismund Augustus made a public announcement that he would punish everyone who would help his mother to leave Poland, which made Bona’s departure impossible in practice. Bona was outraged and said she was being held in captivity by her own son, who owed his life, and every good that he had ever had, to her. Eventually, the king had to submit because they spoke of the whole case all over Europe. Bona had to sign a document in which she gave up all her property that she had on Polish territory. She was allowed to take movable property, such as money and jewels, which, incidentally, she had a lot. According to one rumor, all her riches were bundled up in 24 wagons. A trip throughout Europe with such baggage was not safe, so the new rumors quickly spread that 150 plunderers planned on setting upon Bona. 
The Queen Dowager left on February 1st 1556. Her younger daughters, Anne and Catherine bid her farewell in Warsaw, both crying, and the eldest one, Isabella, escorted Bona beyond the walls of the city. Sigismund Agustus was not present during the farewell.
The route led through the Alps, where a special trail had been prepared for Bona’s wagons. Sigismund Augustus had appointed a small retinue that accompanied Bona as far as Venice. She travelled through Vienna where she was magnificently received by Ferdinand I, with whom she dialogued about Hungarian matters. She then reached Padua on March 27th 1556, where she had been awaited by the cardinals, Otto Truchsess and Hipolit d'Este. And on April 26th, she was already in Venice. From Venice, she went to Bari, travelling on board of a Signori’s ship, escorted by six galleys. She arrived in Bari on May 13th, being enthusiastically welcomed by her subjects.
Bona’s departure from Poland and her return to Italy was an international sensation. The rumors about the riches that she had brought with herself fueled the interest even more. Philip II sent two of his diplomats, Persico Brocardo and Marcantonio Colonna, to Bari, who were to investigate if, given the bad relations between Bona and her son, the Queen Dowager would not be willing to transmit her Italian apanages to the Spanish Crown. Bona did not agree, but she was reckless enough as to lend Philip II 430.000 ducats at 10% annual interest, when Naples was threatened by the French. The loan was guaranteed by custom duties collected in Foggia, but it would later turn out that it was to never be paid back.
During her stay in Italy, Bona never broke off her ties with Poland. Shortly before her departure, she had attended to her duties at Mazowsze diligently, which indicates she might have wanted to come back to Poland one day.
Sigismund Augustus, being anxious that she would leave her Italian lands to the Spanish Crown, got in touch with her and proposed to her to come back, promising he would give her all the property on Polish territory that once had been taken away from her. In March 1557 Bona sent the Bishop of Bitonto, Cornelio Musso, to Philip II of Spain, who had been instructed to give the negative response to the suggestions about leaving Bari and Rossano to the Spanish Crown. At the same time, she began preparing her trip to Venice, and from there, to Poland, as she herself had told her maid, Marina d'Arcamone, who certainly passed the information over to Pappacoda. It seems Bona did not feel safe in Bari anymore. The hassle with the Spanish officials bothered her, and she most likely realized she was being surrounded by Philip II’s undercover agents.
Further sequences of events resemble a crime novel. We know about them thanks to materials that had been stored at the archive in Venice; letters, relations, documents, such as the copy of Bona’s last will and testament, etc.
As can be deduced from Bona’s letters to cardinal Jacobo Puteo, written in October 1557, the 63 year old Queen Dowager did not complain about her health, she was at her sharpest, and like always was interested in politics and current events. On November 8th, all of a sudden, she succumbed to a mysterious illness. In spite of the care of six physicians, her state deteriorated dramatically. According to an eye witness, Cesare Farina, who at the time was at the castle in Bari, poison had been twice given to Bona, at the behest of her trusted secretary, Gian Lorenzo Pappacoda, who, it turned out, was an agent of Philip II of Spain and his uncle, Ferdinand I. 
Initially, the poison was served by physician, Gio Antonio di Matera, and the second time it was given by Bona’s cook, Paolo Matrillo. On November 17th Pappacoda brought a notary, Marco Vincenzo de Baldis, to Bona, who was unconscious and wasted by fever, delirious, and laying on her back in a large bed. Her maid Marina sat at the bedhead and imperceptibly slipped her hand under the pillow, and after each bequest that was read out, she raised Bona’s head to make it look as if the Queen was nodding in an act of approval.
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According to this last will and testament, Sigismund Augustus was the general beneficiary, but only in theory, given the numerous and generous bequests, which in practice left him with nothing, except some jewels and silver. Philip II got Bari, Rossano, and domains of Ostuni, Grottaglie, and Montesarchio. Her eldest daughter, Isabella, was to receive 10.000 ducats annually from custom duties in Foggia, and the rest of her daughters 50.000 ducats to be paid once. Pappacoda made a fortune, having gotten the domains of Noia and Triggiano, as well as annual income from Rutigliano, additionally he got 13.000 ducats, horses from Bona’s fine stable, and her silver dinnerware. Courtier Camillo Brancaccio received administration of Rutigliano’s domains, and Marina got the domain of Palo – everything in order to ensure their silence about the whole case. Many other people and institutions received small legacies. The Archbishop of Bari was to get 10.000 ducats, the Neapolitan church Santa Maria del Carmine received 4.000 ducats, that was guaranteed by custom duties in Foggia, the Universty of Naples got 5.000 ducats (out of 10.000 that had been once lent them by Bona), 5.000 ducats were to be spent on dowries for unmarried maidens from Bari, and other small monetary legacies were granted to Bona’s Italian courtiers, such as Ferdinand de Opulo, Francesco Giacomo Calco, and to some of her ladies-in-waiting. Gian Lorenzo Pappacoda, his brother Francesco Pappacoda, Camillo Brancaccio, and Francesco Giacomo Calco were to be the executors of the last will. 
The notary sealed the document and handed it over to Pappacoda, who approached the Queen’s bed, holding the document in the air while Marina plunged the quill into the inkpot. She then put it in between Bona’s fingers and signed the will with the Queen’s hand, in the presence of eight witnesses.
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The next day, on November 18th, Bona felt a bit better and summoned the secretary of the castle registrar’s office, Scipione Catapani, with whom she recreated the sequence of the events from previous day. According to Catapani, the Queen was very outraged at Pappacoda’s malpractices and decided to draw up a new last will and testament, revoking the previous one.
Having sent almost all her court to the church, where they were supposed to pray for her health, she kept by her side only her old and loyal courtiers: Hannibal Carmignano, Lucrezia Critopolis and Niccolò de Foscis. They were to act as witnesses when the new testament was being written down by Catapani, who had the eligibility of a papal notary.
In the new last will and testament Bona revoked the bequest for Philip II and left all her lands and fortune to Sigismund Augustus. In case of his childless death, her daughter Isabella and Isabella’s son were to be the heirs, and only after their childless passing, everything would pass on to Bona’s younger daughters, Sophia, Anne, and Catherine respectively, and their progeny. Her daughters also received 50.000 ducats out of the sum of 430.000 that she had lent Philip II. Some courtiers got small bequests too, as well as the University of Bari and the poor.
Even Pappacoda received 13.000 ducats (that the Queen had lent him before) and domain of Capurso, which certainly alleviated his disappointment. One of Bona’s relatives, Maria d'Aragona, the marchioness of Vasto, got the most beautiful pearl from the Queen’s collection, and a carriage with exquisite horses.
Bona wanted to be buried at Santa Maria del Carmine in Naples, where Sigismund Augustus was supposed to fund a special chapel under the invocation of saint Stanislaus, the patron of Poland. It was Bona’s way to demonstrate her ties with her second homeland. The Queen voted 300 ducats annually, from custom duties collected in Bari, for the foundation of the said chapel. This last will and testament was signed by Bona in full possession of her senses, on which the three witnesses, as well as Catapani, put their signatures besides hers. Shortly after that, Bona’s condition worsened, like her biographer, Maria Bogucka, ironically says: ‘the one who in Poland had been so often accused of using poison to destroy her enemies, died poisoned herself, on November 19th 1557, at 4am.’
Immediately after the Queen’s death, Pappacoda proceeded to the execution of Bona’s last will, of course, using the one that he had himself written. According to Bogucka, there is no doubt he acted at the behest of the Habsburgs and had their full support.
Catapani, being afraid of the revenge, defected from Bari. It was a very prudent move, given that those who had been mixed up in the case of the testament and Bona’s illness, started dying one after another. All of a sudden, the two poisoners, Gio Antonio di Matera and Paolo Matrillo passed away, followed shortly afterwards by Bona’s pageboy, Serafino, who had watched over the Queen, the majordomo John, courtier Giovanni Barbiero, and the young scribe, Niccolò Mario Romanello, who had been writting down the testament dictated by Pappacoda. The people of Bari were horrified, being perfectly aware of what had happened.
 By January of 1558, and in spite of the protests of Sigismund Augustus’s agent, the solicitor of Philip II of Spain took possession of all Bona’s property that could be found in the castle, most of which had already been stolen. The individuality of Bari and Rossano began to be erased. The domains of Ostuni and Gorttaglie were sold. Montesarchio was granted to Barzini di Toledo. And Pappacoda obained the confirmation of his rights to Capurso, Noia, and Triggiano, as well as the title of the marquis.
The news about Bona’s death reached her children at the turn of 1557 and 1558. Her daughters were affected by it, and Sophia fell ill. Sigmund Augustus, however, received the news with indifference. Only the information about the existence of other, authentic testament of his mother, moved him. He found out about it over a year after Bona’s death, in June 1559. The information was sent by a merchant from Bari, Cesare Curto, who had searched out the notary, Scipione Catapani, who was in the possession of the original document. However, before Sigismund Augustus’s agents managed to obtain the testament, Catapani, having been terrorized or bribed by Philip II’s people, suddenly had claimed the document had been forged on the orders of Sigismund Augustus. He died shortly afterwards, in mysterious circumstances, just like other people who had anything to do with the affair. The inhabitants of Bari were of opinion Catapani had fallen victim to Pappacoda’s poison.
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Hence, Sigismund Augustus did not have proper documents that would help him to retrieve the legacy of his mother, although, at first, he was optimistic. A special Polish outpost was created in Naples that was to take care of everything. George from Tyczyn was one of the most active agents of the Polish king. He asked the pope for the excommunication of those who usurped Sigismund Augustus’s rights, which bothered Pappacoda. George from Tyczyn reported Pappacoda’s life was miserable and he lived in constant fear. In 1569 Pappacoda was indeed arrested and thrown into prison in Naples, being accused of numerous crimes that he had committed already after Bona’s death. Even though his imprisonment was not directly tied to the Polish case, the Polish agents thought they could use it to their advantage, additionally accusing him of having stolen Bona’s money and goods.
 In his letter from May 15th 1559, George from Tyczyn reported that Pappacoda had been crying in jail, claiming he was lost. The accusation of usurping the rights of Sigismund Augustus was introduced to the viceroy of Naples, but the trial dragged on and the Polish team was not able to manage the loopholes. George from Tyczyn complained the legal powers did not arrive on time and he did not get proper documents, such as the list of Bona’s property, jewels, and money, which were indispensable for the trial.
George also clashed with a lawyer, who had been sent to him from Mazowsze, and he often did not get replies to his letters sent to Poland. Hence, the lack of competency, or the negligence on the Polish side, hampered the process. Additionally, Pappacoda had his protectors and in June 1570 he was declared not guilty of the charges and released from prison. In January 1571 the Polish agents accused Pappacoda of heresy, basing their claim on the fact Pappacoda had stolen Bona’s fotrune in spite of the threat of the excommunication, which had been solicited by George from Tyczyn. They also added numerous other proofs of Pappacoda’s alleged heresy; it was said he once had thrown a lance at the image of the crucified Jesus Christ. Witnesses from Poland were brought and interrogated. But again, Pappacoda squirreled out of everything and was released from prison. He died five years later on July 13, 1576, leaving more than 40.000 ducats of debt.
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But Pappacoda was only a pawn in the Habsburgs’s hands. Philip II of Spain was Sigismund Augustus’s true enemy. In 1562 negotiations between Poland and Spain took place, by the agency of Ferdinand I, Holy Roman Emperor. Some of Bona’s silver and jewels were handed back to Sigismund Augustus, as well as having his rights confirmed to the 430.000 ducats that Bona had lent Philip II. But the duchies of Bari and Rossano turned out to be out of reach. Although, at times, it seemed like there was some light of hope. 
On January 14th,1570, George from Tyczyn reported that according to Marcantonio Colonna, Philip II was willing to hand back Bari to Sigismund Augustus, with the exception of the Bari’s castle, but two months later, those turned out to be false hopes. Not only were Bari and Rossano out of reach, but also the sum of 430.000 ducats, which had gained the name of ‘The Neapolitan Sums.’ Only part of the interest was paid a few times. After Sigismund Augustus’s death, the whole case fell to his sister, Queen Anne of Poland, and her husband, Stephen Báthory (who was the real ruler in this relationship, delegating to his wife the role of a figurehead), but given that Stephen did not pay much attention to it, the problem was not resolved. Anne’s successors, the Vasas and their heirs, inherited the claim to Bona’s lands, but the trial had dragged on for 250 years and nothing came of it.
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Bona was eventually buried at The Pontifical Basilica di San Nicola in Bari.
Sources:
Maria Bogucka, “Bona Sforza” pp. 236-247
Kamil Janicki, “Damy złotego wieku”, p. 5
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Gesuiti salentini in America (II parte)
di Francesco Frisullo e Paolo Vincenti
  Le vicende risorgimentali costrinsero a più riprese i gesuiti alla fuga dall’Italia. In particolare, i gesuiti salentini, che interessano da vicino la nostra disamina, dopo aver vagato tra i collegi di Malta, Spagna, Francia, presero la via dell’America.
Occorre dire che l’ordine dei gesuiti risulta ab imis vocato ai viaggi e alle esplorazioni delle terre lontane. I figli di Ignazio più degli altri confratelli si rivelano cittadini del mondo, essi fin dal Cinquecento si disperdono per i cinque continenti e si spingono verso le terre selvagge con l’obiettivo di evangelizzare i popoli.
Tra i primi gesuiti italiani che dovettero lasciare l’Italia alla volta degli Stati Uniti troviamo Giuseppe Bixio (1819-1889) fratello del più noto Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi. Nel 1844 giunse negli Stati Uniti, nei territori delle Montagne Rocciose, il gesuita Michele Gil Accolti (1807-1878) che molte voci dicono erroneamente nato a Copertino, Lecce, ma che è in realtà originario di Conversano[1]. Gil Accolti nel 1851 a Santa Clara (California) fonda l’omonima Università che oggi si presenta come “The Jesuit University in Silicon Valley”, nel cui cimitero riposano anche i resti di Vito Carrozzini, missionario originario di Soleto. Una storia lunga e proficua, dunque, quella delle missioni gesuitiche italiane nel Nuovo Continente[2].
  Vito Carrozzini
Nasce a Soleto (Lecce), il 15 agosto 1838. Entra nel collegio dei Gesuiti a Napoli il 22 dicembre 1857[3], all’età di 20 anni. Il suo esempio viene seguito un anno dopo da uno dei suoi fratelli, Vincenzo. Quando scoppiò la rivoluzione nel regno di Napoli, le case e i collegi dei gesuiti furono chiusi ed i frati dispersi in altre Province della Società.  Carrozzini fu inviato a Balaguer, in Spagna, insieme al fratello, per seguire il corso di filosofia[4]. Nell’autunno del 1863, per ordine dei Superiori, partirono in missione[5].  Tra il 1854 e il 1868, a più riprese i gesuiti vennero cacciati dalla Spagna e a parziale compensazione il governo iberico consentì l’insediamento della Compagnia nelle Antille. Nel 1852, per volere della regina Isabella II, era stato fondato il Colegio de Belén, a L’Avana.  Vito e Vincenzo Carrozzini partirono dunque da Balaguer per Porto Rico. Arrivati a L’Avana, furono costretti a sbarcare, poiché Vincenzo era gravemente ammalato e prossimo alla morte. A malincuore, Padre Vito riprese il viaggio alla volta di Porto Rico, lasciando il fratello, che morì tre o quattro giorni dopo. A Porto Rico, Carrozzini insegnò un anno grammatica e quattro anni scienze naturali.  Fu molto ligio al dovere di insegnante pur non trascurando la missione apostolica. A causa dei pochi mezzi per ventilare la stanza nella quale viveva, inalò una grande quantità di gas nocivo che gli procurò la malattia cardiaca che, qualche anno dopo, lo portò alla morte. Nel 1868 fu richiamato in Spagna per avviare lo studio di teologia, nella città di Leon. Si trasferì però subito a Laval, dove passò quattro anni nello studio di teologia.
Ripartì per l’America nel 1873[6]. Dopo una breve permanenza a Porto Rico, venne inviato nel Nuovo Messico e nel Colorado. Tra estremi sacrifici, portò avanti con zelo la sua attività, pur afflitto da difficoltà respiratorie. Per visitare la vasta comunità cattolica presente in quel territorio doveva percorrere molte miglia nella sconfinata e selvaggia distesa che si estendeva da Las Animas a Trinidad, costretto spesso a passare la notte all’aria aperta, senza bere né mangiare. Carrozzini lavorò molto anche a San Miguel, a Las Vegas, nelle città di La Junta e Pueblo, senza risparmiare energie. Di lui ci parla, unica fonte italiana, Padre Barrella[7]. Quando le sue condizioni di salute peggiorarono, venne mandato nel clima più mite della California, per potersi ritemprare. Giunse nel mese di giugno 1876 a Santa Clara, California, sede dell’omonima università fondata nel 1851 dai gesuiti. Qui morì per complicazioni polmonari a 39 anni, dopo 19 trascorsi nella Compagnia di Gesù[8]. Oltre alle scienze naturali, egli aveva un talento particolare per la pittura. Il ritratto di Sant’Ignazio, custodito nella sala ricreativa dei Padri del Woodstock College[9], è opera sua, così come molte altre pitture presenti nelle missioni che aveva frequentato. Il profilo di Padre Carrozzini è tratto da una importante fonte gesuitica americana, le Woodstock Letters[10]. 
  Giovanni Guida
Nasce a Nola nel 1828, si trasferisce con tutta la famiglia a Lecce. Qui fu influenzato dalla presenza del collegio /convitto gesuitico lupiense, retto da Carlo Maria Turri dal 1839, e infatti ben presto maturò la vocazione di entrare nella Compagnia di Gesù e prendere i voti[11]. Il 15 giugno 1843, a quindici anni, fu ricevuto nel noviziato di Sorrento[12]. Studia teologia e filosofia a Napoli e viaggia in Italia, in Francia e in Belgio. Inizia l’insegnamento a Benevento, ma soffre problemi di salute, infatti è colpito da una infermità polmonare che lo costringe ad abbandonare la cattedra. Viene ordinato sacerdote nel settembre 1854. La professione dei voti ebbe luogo il 15 agosto 1862. Ristabilitosi in salute, ben presto si trasferisce negli Stati Uniti, a Georgetown, Washington, dove tiene lezioni di teologia presso la Georgetown University, fondata nel 1789 e diretta dalla Compagnia di Gesù dal 1851 fino ad oggi, e poi a Boston, presso il Boston College, fondato nel 1863 dai gesuiti.  Quando era a Georgetown, Padre Guida fu protagonista di un episodio davvero singolare che portò il suo nome agli onori delle cronache. Per un fortuito quanto rocambolesco scambio di persona, egli venne infatti ritenuto l’assassino del Presidente degli Stati Uniti Abramo Lincoln. Venne così arrestato, prima che l’equivoco fosse risolto. Le cronache locali si impadronirono di quell’episodio e intorno ad esso fiorirono delle leggende, dovute alle diverse versioni che la vulgata attribuiva all’accaduto. In particolare, l’episodio alimentò la nota leggenda nera per la quale più volte nella storia la Compagnia è stata accusata di regicidio, accusa che viene dai sentimenti anticattolici all’epoca largamente presenti nella società europea. Sta di fatto che Padre Guida passò dagli altari alla galera per una caso che oggi definiremmo di malagiustizia. Probabilmente, a determinare la sua incriminazione fu la notevolissima somiglianza con John Wilkes Booth, un famoso attore di teatro che era a capo di una larga cospirazione contro il Presidente Lincoln e che fu l’esecutore materiale dell’omicidio. Lincoln venne colpito il 14 aprile, mentre assisteva ad uno spettacolo al Ford’s Theatre di Washington durante le fasi conclusive della guerra di secessione americana, e morì la mattina successiva, 15 aprile. Guida, interrogato ed esaminato da un ufficiale non fu in grado di scagionarsi e venne quindi detenuto fino a quando non fu rintracciato il vero criminale.
Chiamato dal vescovo Machebeuf, di Denver, giunse in Colorado nell’agosto 1879, quando iniziò la sua missione. Fra mille difficoltà e ostacoli, fondò la Parrocchia del Sacro Cuore e, durante i diciannove anni del suo missionariato, eresse molte altre chiese nella diocesi. Nel 1890, costruì una scuola e una residenza per le suore. Insegnò filosofia e teologia alla Georgetown University. Cultore dei classici antichi, parlava fluentemente inglese, francese e spagnolo, oltre alla sua lingua madre. Pur ammalatosi, nel luglio del 1896, Padre Guida fu nominato Rettore del Sacred Heart College di Denver. Nell’ottobre 1898, venne richiamato a Napoli per diventare rettore del nuovo scolasticato a Posillipo.  Nel 1902, tornò a Denver, dove rimase fino alla sua morte. Il 15 giugno 1918, festeggiò il settantacinquesimo anniversario del suo ingresso nella Compagnia e il 23 maggio 1919 passò a miglior vita. La Messa funebre venne celebrata nella sua adorata Chiesa del Sacro Cuore[14].
  Alessandro Leone
Su Padre Alessandro Leone sappiamo che nasce a Scorrano, Lecce, il 28 dicembre 1838. Entra nella Compagnia di Gesù il 26 ottobre 1855[15] e nel 1870 viene inviato nella Missione del New Mexico e del Colorado. Durante gli anni del suo missionariato, fu indefesso nell’opera apostolica e spese tutto sé stesso nell’evangelizzare e convertire i messicani al Cristianesimo. Le fonti americane lo descrivono come uno di più zelanti gesuiti nell’instancabile opera a difesa della fede. Appena giunto in America, viene mandato nelle parrocchie di Albuquerque, La Junta, Trinidad e Isleta. Percorre lunghe distanze a cavallo per visitare i suoi parrocchiani, accontentandosi di pasti frugali e ricoveri di fortuna. Muore ad Albuquerque, la sera del 26 luglio 1913[16]. Di lui ci ha lasciato un  ritratto Rosa Maria Segale, ovvero Suor Blandina (1850-1894), proveniente da Cincinnati (Ohio) ma originaria di Genova, appartenente all’ordine delle Suore di Carità, missionaria a Trinidad, tra il Colorado e il Nuovo Messico, che riportò i suoi ricordi in un prezioso diario più volte ripubblicato[17].
  Salvatore Personè
Su Padre Salvatore Personè, uno dei pionieri della missione nel New Mexico-Colorado, disponiamo di molte informazioni. Nacque ad Ostuni, nel 1833, ultimo di una famiglia di otto figli, sette ragazzi e una ragazza. Dei ragazzi, tre divennero religiosi: Raffaello, teatino; Carlo e Salvatore, gesuiti. Frequentò il Regio Liceo San Giuseppe a Lecce e poi entrò nel Collegio Argento sempre a Lecce. A vent’anni decise di accompagnare suo fratello Carlo (di due anni più grande[18]) a Napoli, dove entrò nel noviziato, il 14 novembre 1853. A Napoli, Padre Personè, oltre al suo insegnamento, iniziò a predicare nelle diverse chiese, inclusa la Cattedrale. La sua naturale eloquenza attirava grandi folle di fedeli. Quando nel 1860 i gesuiti vennero espulsi dal regno, la maggior parte dei membri dispersi raggiunse la Francia e gli scolastici continuarono i loro studi a Vais, il collegio della provincia di Tolosa. Salvatore in breve tempo padroneggiò facilmente il francese; così, anche da studente, accompagnava l’eminente moralista padre Gury a svolgere le missioni nelle città circostanti. Dopo la sua ordinazione, il 14 giugno 1865, ritornò in Italia e frequentò molte residenze della Campania e della Basilicata. Intenzionato a prendere i voti, quand’era al terzo anno di prova, venne raggiunto dall’ordine di imbarcarsi per l’America in compagnia di altri fratelli. Lungo la costa occidentale della Francia (la guerra franco-prussiana imperversava), procedendo con cautela da una città all’altra, la nave raggiunse Brest, da dove salpò per gli Stati Uniti.  Giunto a Frederick, nel Maryland, dopo molto tempo e con grande fatica poté riprendere il viaggio che lo portò ad Albuquerque, nel New Mexico, allora quartier generale della missione. Fu lì, il 26 novembre 1871, che prese i suoi ultimi voti.  Si recò a Conejos, in Colorado, e fu il primo gesuita a giungere in quella città. Richiamato a Las Vegas, nel New Mexico, dove era stata avviata la Revista Catolica, divenne superiore della residenza. Da quel momento, coprì la maggior parte del Nuovo Messico nelle sue escursioni apostoliche, predicando in quasi tutti gli insediamenti del territorio. Fu spesso anche in Messico. Quando venne aperto il Collegio di Las Vegas, divenne il suo primo rettore, il 4 novembre 1878.  Poiché i mezzi di comunicazione e di trasporto erano scarsi, doveva abbastanza frequentemente prendere il posto degli insegnanti assenti e impossibilitati a raggiungere la missione, per permettere agli studenti di non perdere le lezioni. Nonostante queste difficoltà, il Collegio si sviluppò e prosperò, i ragazzi erano numerosi, si mantenevano elevati standard di studio e la città era orgogliosa della sua sede di apprendimento.
Nel 1883 Padre Personè lasciò la presidenza a Padre Pantanella mentre tornava ad Albuquerque come superiore. Questa disposizione, tuttavia, non durò a lungo. Verso la fine del 1884 a Padre Pantanella fu affidato il compito di aprire un nuovo collegio a Morrison, vicino Denver, e Padre Personè tornò a Las Vegas e vi rimase fino a quando i collegi di Las Vegas e Morrison furono fusi nel Sacred Heart College (ora Regis College) di Denver. Dal 1892 al 1902, fu superiore a Trinidad, in Colorado. Nel 1902 venne richiamato in Italia e nominato rettore del Collegio di Lecce. Fu nel Salento che subì il primo attacco di reumatismi infiammatori, un disturbo dal quale non si riprese mai più. Su consiglio dei medici tornò in America, la terra che amava. Del resto, come riferisce Barrella, a Lecce non era molto apprezzato[19] e questo fatto rafforzò il suo proposito di abbandonare l’Italia. Per qualche tempo governò a Las Vegas, fino a quando nel 1908 assunse ancora una volta la direzione della residenza di Trinidad.  Qui si adoperò per la costruzione di una nuova e più grande casa della missione, benedetta dal vescovo di Denver l’11 febbraio 1912[20].
Padre Personè, soprannominato dai nativi americani “il Nemico della tristezza”[21], era costretto a lunghi soggiorni in ospedale. La sua memoria divenne compromessa e i suoi occhi si indebolirono; aveva ormai ottant’anni. Il 20 dicembre 1922, entrò per l’ultima volta in ospedale. Morì il 30 dicembre dello stesso anno. Al suo funerale, presieduto dal reverendo vicario generale della diocesi di Denver, parteciparono non solo i cattolici, ma anche i protestanti e gli ebrei e vi fu un grandissimo concorso di popolo[22].
  Note
[1] Su Accolti si veda Voce, a cura di G. McKevitt, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús (4 volúmenes) biográfico-temático, a cura di Charles E.O’Neill e Joaquín María Domínguez, Universidad Pontificia Comillas, Madrid, Insititutum Historicum Societatis Iesu, Roma, 2001, p. 63 (del pdf); Voce, a cura di Pietro Pirri, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 1, 1960 (on line).
[2] Per la precisione storica, i primi gesuiti arrivarono in America nel 1566. Per la storia della Compagnia di Gesù nel Nord America si rinvia a Raymond A. Schroth, S.J., The American Jesuits A History, New York, University Press, 2007. Un’opera monumentale sulla presenza dei gesuiti italiani in America con molti riferimenti anche ai missionari citati in questo contributo è: Gerard McKevitt, Brokers of Culture Italian jesuits in the American West 1848-1919, Stanford University Press, Stanford, California, 2007, passim.
[3] Catalogo Provinciae Neapolitanae, 1859, p.53.
[4] Catalogus Provinciae Hispanie, 1861, p. 36.
[5] Antonio López de Santa Anna, Los Jesuítas en Puerto Rico de 1858-1886 contribución a la historia general de la educación en Puerto Rico Santander, España : [Sal Terrae], 1958, p.161: “P. Carrozzini Vicente-Scol. . . . 1863-1865 e P. Carrozzini Vito-Scol 1863- 1868”.
[6] Catalogus Provinciae Merylandiae 1873, p.8. Precisamente, nel noviziato di Frederick Maryland risulta: “Patres Tertiae Probationis  Vitus  Carrozzini”.
[7] Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù nelle Puglie 1574-1767. 1835-1940, a cura dell’Istituto Argento, Lecce, Tip. Editrice Salentina, 1941, p.133.
[8] Jack Mitchell, S.J., Necrology of the California province of the Society of Jesus 1845-2008, p. 80.
[9] Il Woodstock College venne inaugurato nel 1869 e primo rettore fu il gesuita napoletano Angelo Paresce (1817-1879). Ha operato fino al 1975.
[10] Woodstock Letters, Volume VI, Number 2, 1 May 1877, pp. 124-129.
[11] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1839, p. 18.
[12] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1844, p. 23.
[13] https://www.jesuit.ie/news/the-assassins-lookalike/
[14] Preziosa fonte per la conoscenza di questa figura sono le Woodstock Letters, Volume XLIX, Number 1, 1 February 1920, pp. 122-126. Le pubblicazioni delle Woodstock Letters vanno dal 1872 al 1969, per un totale di 98 volumi.
[15] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1856, p.17.
[16] Woodstock Letters, Volume XLIII, Number 1, 1 February 1914, p.99.
[17] Suor Blandina una suora italiana nel West, a cura di Valentina Fortichiari, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1996, pp.200-201.
[18] Carlo Pesonè è stato missionario in America dal 1831 al 1916:  Voce Salvatore Personè, a cura di  T. Steele, in  Diccionario, cit., p. 6404.
[19] Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù, cit., pp. 34-35.
[20] Father Persone 50 Years Priest to Sing Jubilee Mass at Trinidad; Founder of Sacred Heart College, in «Denver Catholic Register», Vol. IX, n.45, June 11, 1914, pp.1, 4.
[21] Suor Blandina una suora italiana nel West, cit., p.198.
[22] Woodstock Letters, Volume LIII, Number 3, 1 October 1924, pp.387-390. Inoltre si veda J. Manuel Espinosa, The Neapolitan Jesuits on the Colorado Frontier, 1868-1919, in «The Colorado Magazine», Vol. XV, Denver, Colo., March, 1938, n.2,  p. 68 (l’articolo cita anche Alessandro Leone); Voce, a cura di  T. Steele, in  Diccionario, cit. Questa fonte indica che Salvatore fu addirittura ad Albuquerque (1883-1884) presidente della prima compagnia petrolifera del New Mexico.
  Per la prima parte vedi:
Gesuiti salentini in America – Fondazione Terra D’Otranto
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pangeanews · 5 years
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Critica al romanzo anti-Salvini. “Il censimento dei radical chic” di Giacomo Papi, ovvero: se la letteratura fosse l’ovvio dei popoli, questo romanzo meriterebbe il Nobel
A quale libro e autore pensiamo quando sentiamo la parola distopia? A 1984 di George Orwell, a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, a Sottomissione di Michel Houellebecq o alla trilogia Hunger games di Suzanne Collins. Tutte storie che trasportano il lettore in un futuro nel quale le tendenze sociali hanno condotto a scenari estremi, società invivibili, apocalissi di ogni genere. Uno scrittore di romanzi distopici è come un agricoltore che vede un seme di gramigna e, disperato, avverte i suoi vicini del pericolo che l’erba, serpeggiando, infesti tutti i campi.
Il censimento dei radical chic, Feltrinelli, 13 euro (al mio paese è il prezzo di una pizza e birra media), celebrato da diversi critici come un avvertimento per le generazioni future, non possiede una scrittura di catastrofe e non mette il lettore sull’orlo dello spaventoso abisso tra presente e futuro che fa tremare le vene e i polsi. È un romanzo molto sciatto che non provoca paura né risate. È un già detto, un già sentito, già urlato nelle piazze e giudicato in centinaia di articoli, interviste, trasmissioni televisive.
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C’è un buono, Giacomo Prosperi, un intellettuale che, da giovane papà, faceva addormentare la figlia leggendole Le streghe di Roald Dahl e, anni dopo, all’uscita di un liceo, invece di chiederle: “Com’è andata?”, cercava di farle capire il giudizio sintetico a priori di Kant.
C’è un cattivo, un “Primo ministro dell’Interno” che, dopo avere ottenuto “pieni poteri” dagli elettori grazie a uno slogan molto furbo: “Prima gli italiani”, chiude porti e aeroporti e impone dazi in entrata e uscita.
C’è Olivia, la figlia dell’intellettuale, che da anni vive a Londra e, rientrando per il funerale, trova un’Italia che non riconosce.
E dunque c’è del marcio… no: c’è dell’ovvio in Danimarca, avrebbe detto il Bardo. Ovvi i personaggi, ovvia l’ambientazione, ovvia la trama.
Il buono, il papà con le Clarks ai piedi (altro picco di audacia scritturale, sic!) muore prima che il romanzo inizi, e questa è una furbata: un paio di pagine ancora e qualche lettore avrebbe manifestato il desiderio di farlo fuori (io, ad esempio, lo trovo amabile come un chiodo arrugginito ficcato nei talloni).
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Scorrono i capitoli e Papi non osa fare pubblicamente il nome del Primo ministro (perdindirindina, che suspence!) ma lo addita come il mandante morale di tutte le aggressioni e le morti che avvengono nel romanzo. Scrive che gli intellettuali “radical chic” non sono le uniche vittime degli amici del ministro: “All’inizio se la sono presa con i clandestini, poi con i rom, dopo è venuto il momento dei raccomandati e degli omosessuali, e ora si mettono ad attaccare gli intellettuali”. Qui forse il diavolo ci ha messo lo zampino, perché la presenza di quel “raccomandati” mi fa credere che esista un mondo di intellettuali raccomandati… ma cosa dico? Bugia, bugia! Mannaggia al diavoletto che mi ha fatto pensare male!
Scorrono altri capitoli e Papi semina indizi come un Giufà che pensa di averla fatta grossa e si nasconde dietro un germoglio di quercia. Dice che il cattivone ha una squadra di professionisti del web che lavora tutta la notte ai tweet e ai post del giorno dopo. E quando viene attaccato dagli intellettuali, li chiama con disprezzo “professoroni”.
Qui il coro dei lettori erompe in un canto di stupore: “Dove l’abbiamo già sentita questa?”.
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Forse perché preda di un attacco di secca creativa, a un certo punto Papi decide di riempire due pagine di romanzo elencando tutti i sostenitori del Primo ministro: panettieri, pizzicagnoli, netturbini dell’Ama, tranvieri dell’Atac, ciclisti di Foodora, casalinghe del Mic, tassisti della Tam, baristi e banchieri dell’Abi, farmacisti della Fofi, disoccupati organizzati e disoccupati disorganizzati, impiegati dei ministeri in pausa caffè, baristi in pausa ministero, senza casa e senzatetto, cani sciolti, meteorine, letteronze, colf filippine, camerieri polacchi, lavoratori dei call center e negozianti cinesi, funzionari del Cnel, consiglieri del Censis, notai, bottai, bottonieri, la squadra di calcio della Lazio. E poi, gli intellettuali poveri: filosofi frustrati, filologi depressi, filogenetici rabbiosi, laureati in scienze delle comunicazioni che non comunicavano niente perché non avevano mai trovato lavoro o ne avevano trovato uno che non ritenevano all’altezza, telefonisti afoni, insegnanti in attesa di abilitazione, assenteisti in attesa di abilitazione, precari quarantenni, stagisti cinquantenni e cottimisti sessantenni, tutte persone che non avendo ottenuto quello per cui avevano studiato, si erano illividite e incazzate.
Mi domando: nelle intenzioni dello scrittore, questa lista dovrebbe far sorridere? Dire che i funzionari del Cnel, sopravvissuti a Renzi, votano a destra, è una battuta? Le letteronze sono ancora innamorate del Berlusca? I notai votano Lega? Trasecolo. E i banchieri? Ma dài! Anni di ironie su Maria Etruria Boschi e poi si scopre che i banchieri hanno cambiato casacca? Anche i filosofi e i filologi strizzano l’occhio a Salvini (Tiè, l’ho detto! Sono certo che nessuno di voi c’era arrivato), ma solo se frustrati e depressi, perché sulle teste di quelli appagati e allegri continua a splendere il rosso sol dell’avvenire. E la Lazio? Sappiamo che ha gli ultras più a destra di tutti, ma perché non accanirsi sulla squadra preferita dal Primo ministro? Forse Papi vive a Milano e non vuole inimicarsi il suo barbiere milanista, o ha paura che il macellaio con la fissa per Ibrahimović possa vendergli tagli di seconda o terza scelta. Comunque sia, la lunga elencazione è solo un modo per esprimere pensieri che i radical chic rimuginano da anni: gli elettori di destra sono tristi, frustrati, depressi, rabbiosi, cattivi, fascisti, analfabeti, votano di pancia e bla e bla e bla.
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Di ovvietà in ovvietà, il romanzo ci regala un’altra chicca: la notizia che una commissione ministeriale per la semplificazione della lingua italiana ha redatto un elenco di parole da vietare perché troppo complicate (due pagine di elenco, e qui vi svelo un segreto del mestiere: è così che noi scrittori allunghiamo il brodo).
Questa ennesima lista mi ha fatto pensare alle #paroleorrende che l’editor Vincenzo Ostuni raccoglie da anni. Poiché Ostuni è uno che nel suo profilo Facebook si definisce “comunista”, ho il sospetto che lui e Papi si conoscano e si prestino idee e golfini di cachemire.
Il resto della trama non lo svelo, ma se chiedessi cos’altro vi aspettate dopo cotanta ovvietà, sono certo che mi rispondereste: “Una storia d’amore combattuta”.
Bingo! C’è anche quella.
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In un’intervista al Sole 24ore, la giornalista Alessandra Tedesco ha chiesto al Papi: “Ti sei ispirato alla realtà?”. E lo sventurato ha risposto: “Assolutamente sì”.
Ma dài, non è possibile! Chi lo avrebbe mai pensato?
Potremmo infine ringraziare Papi di averci risparmiato le sardine? Sì, ma senza merito. Quando il romanzo è stato scritto, Mattia Durban’s Santori era un oscuro impiegato part-time in una società di ricerca nel settore dei mercati energetici. Non scendeva in piazza e nel tempo libero si dedicava al frisbee.
Poiché sono sicuro che i fan di Paci, irritati dalla stroncatura, mi inviteranno a praticare l’ippica, chiudo il pezzo con una metafora equestre. A questo romanzo manca il coraggio di saltare lo steccato del reale. È come quei cavalli che prendono una lunga rincorsa e poi si piantano di fronte all’ostacolo, mandando a gambe all’aria il fantino.
Rialzati, scrittore! Anche per te arriverà un tempo in cui, come diceva Byron, il destino cambia cavalli.
Francesco Consiglio
L'articolo Critica al romanzo anti-Salvini. “Il censimento dei radical chic” di Giacomo Papi, ovvero: se la letteratura fosse l’ovvio dei popoli, questo romanzo meriterebbe il Nobel proviene da Pangea.
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rideretremando · 5 years
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Vincenzo Ostuni
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tmnotizie · 6 years
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SAN BENEDETTO – Sono 142 i comuni italiani e spagnoli insigniti della ‘Bandiera verde’ dei pediatri 2019. A ottenere per la prima volta il riconoscimento – che indica una località marina con caratteristiche adatte ai bambini, selezionata attraverso un’indagine condotta fra un campione di pediatri – Alba Adriatica (Teramo), Margherita di Savoia (Barletta-Andria-Trani), Lido dei Saraceni a Ortona (Chieti), Terracina (Latina) e la spagnola Marbella.
“Tutte riconfermate le altre località, e la Calabria con 18 ‘vessilli’ si conferma al primo posto”, spiega all’Adnkronos Salute l’ideatore dell’iniziativa, il pediatra Italo Farnetani, che annuncia l’elenco delle Bandiere verdi 2019 oggi da Montesilvano.
Le regole restano sempre quelle: “Acqua limpida e bassa vicino alla riva, sabbia per torri e castelli, bagnini e scialuppe di salvataggio, giochi, spazi per cambiare il pannolino o allattare, e nelle vicinanze gelaterie, locali per l’aperitivo e ristoranti per i grandi”, aggiunge Farnetani, ordinario alla Libera università degli Studi di scienze umane e tecnologiche di Malta. Il 28 giugno, presso il Comune di Praia a Mare (Cs), si terrà la cerimonia di consegna ai sindaci dei 142 Comuni della ‘Bandiera verde’ 2019. Il riconoscimento viene assegnato dal 2008: in dodici anni, con il contributo di 2.550 pediatri italiani ed europei, sono state selezionate le 142 spiagge in Italia e in Spagna più adatte ai bambini.
“Se la Calabria con 18 bandiere resta prima, quest’anno è seguita da Sicilia e Sardegna con 16. La Puglia consolida il piazzamento al terzo posto con una località in più (Margherita di Savoia) e arrivando a quota 13 – sintetizza Farnetani – Nessun cambiamento per il quarto posto occupato da Marche e Toscana, entrambe con 11 bandiere”.
Qualche sorpresa al quinto posto, le regioni con 10 bandiere sono “Abruzzo, Campania, Emilia Romagna e Lazio: l’ingresso delle abruzzesi Alba Adriatica e Ortona e della laziale Terracina hanno fatto fare un salto in avanti alle rispettive regioni, che raggiungono Campania ed Emilia Romagna”. Ormai gli ‘under 18’ vanno al mare non per curarsi, come si faceva nell’Ottocento, ma per stare all’aria aperta e giocare, insieme ai genitori: insomma, soprattutto “per divertirsi”, dice Farnetani. Il mare offre una possibilità ai bambini di muoversi, fare attività fisica, stare all’aperto e passare del tempo con i genitori.
Ecco dunque l’elenco delle Bandiere verdi 2019. In Abruzzo: Alba Adriatica (Teramo), Giulianova (Teramo), Montesilvano (Pescara), Spiaggia dei Saraceni-Ortona (Chieti), Pescara, Pineto-Torre Cerrano (Teramo), Roseto degli Abruzzi (Teramo), Silvi Marina (Teramo), Tortoreto (Teramo), Vasto Marina (Chieti).
Basilicata: Maratea (Potenza) e Marina di Pisticci (Matera). Calabria: Bianco (RC), Bova Marina (Reggio Calabria), Bovalino (Reggio Calabria), Capo Vaticano (Vibo Valentia), Cariati (Cosenza), Cirò Marina-Punta Alice (Crotone), Isola di Capo Rizzuto (Crotone), Locri (Reggio Calabria), Melissa-Torre Melissa (Crotone), Mirto Crosia-Pietrapaola (Cosenza), Nicotera (Vibo), Palmi (Reggio Calabria), Praia a Mare (Cosenza), Roccella Jonica (Reggio), Santa Caterina dello Jonio Marina (Catanzaro), Siderno (Reggio Calabria), Soverato (Catanzaro), Squillace (Catanzaro).
Campania: Agropoli-Lungomare San Marco, Trentova (Salerno), Ascea (Salerno), Centola-Palinuro (Salerno), Ischia: Cartaroma Lido San Pietro (Napoli), Marina di Camerota (Salerno), Pisciotta (Salerno), Pollica-Acciaroli, Pioppi (Salerno), Positano-Spiagge: Arienzo, Fornillo, Spiaggia Grande (Salerno), Santa Maria di Castellabate (Salerno), Sapri (Salerno).
Emilia Romagna: Bellaria-Igea Marina (Rimini), Cattolica (Rimini), Cervia-Milano Marittima-Pinarella (Ravenna), Cesenatico (Forlì Cesena), Gatteo-Gatteo Mare (Forlì-Cesena), Misano Adriatico (Rimini), Rimini, Riccione (Rimini), Ravenna-Lidi Ravennati (Ravenna), San Mauro Pascoli-San Mauro Mare (Forlì-Cesena); Friuli Venezia Giulia: Grado (Gorizia), Lignano Sabbiadoro (Udine).
Lazio: Anzio (Roma), Formia (Latina), Gaeta (Latina), Lido di Latina (Latina), Montalto di Castro (Viterbo), Sabaudia (Latina), San Felice Circeo (Latina), Sperlonga (Latina), Terracina (Latina), Ventotene-Cala Nave (Latina).
Liguria: Finale Ligure (Savona), Lavagna (Genova), Lerici (La Spezia), Noli (Savona).
Marche: Civitanova Marche (Macerata), Fano-Nord-Sassonia-Torrette/Marotta (Pesaro-Urbino), Gabicce Mare (Pesaro-Urbino), Grottammare (Ascoli Piceno), Pesaro (Pesaro-Urbino), Porto Recanati (Macerata), Porto San Giorgio (Fermo), Numana Alta-Bassa Marcelli Nord (Ancona), San Benedetto del Tronto (Ascoli), Senigallia (Ancona) Sirolo (Ancona).
Molise: Termoli (Campobasso). Puglia: Fasano (Brindisi), Gallipoli (Lecce), Ginosa-Marina di Ginosa (Taranto), Margherita di Savoia (Barletta-Andria-Trabi), Marina di Pescoluse (Lecce), Marina di Lizzano (Taranto), Melendugno (Lecce), Ostuni (Brindisi), Otranto (Lecce), Polignano a Mare – Cala Fetente – Cala Ripagnola – Cala San Giovanni (Bari), Porto Cesareo (Lecce), Rodi Garganico (Foggia), Vieste (Foggia).
Sardegna: Alghero (Sassari), Bari Sardo (Ogliastra), Cala Domestica (Carbonia-Iglesias), Capo Coda Cavallo (Olbia), Carloforte-Isola di San Pietro: La Caletta – Punta Nera – Girin – Guidi (Carbonia-Iglesias), Castelsardo-Ampurias (Sassari), Is Aruttas-Mari Ermi (Oristano), La Maddalena-Punta Tegge-Spalmatore (Olbia Tempio), Marina di Orosei-Berchida-Bidderosa (Nuoro), Oristano – Torre Grande (Oristano), Poetto (Cagliari), Quartu Sant’Elena (Cagliari), San Teodoro (Nuoro), Santa Giusta (Oristano), Santa Teresa di Gallura (Olbia Tempio), Tortolì – Lido di Orrì, Lido di Cea (Ogliastra).
Sicilia: Balestrate (Palermo), Campobello di Mazara – Tre Fontane – Torretta Granitola (Trapani), Casuzze-Punta secca-Caucana (Ragusa), Cefalù (Palermo), Giardini Naxos (Messina), Ispica-Santa Maria del Focallo (Ragusa), Marina di Lipari-Acquacalda-Canneto (Messina), Marina di Ragusa, Marsala – Signorino (Trapani), Mondello (Palermo), Plaja (Catania), Porto Palo di Menfi (Agrigento), Pozzallo – Pietre Nere, Raganzino (Ragusa), San Vito Lo Capo (Trapani), Scoglitti (Ragusa), Vendicari (Siracusa).
Toscana: Bibbona (Livorno), Camaiore – Lido Arlecchino – Matteotti (Lucca), Castiglione della Pescaia (Grosseto), Follonica (Grosseto), Forte dei Marmi (Lucca), Marina di Grosseto, Principina a mare (Grosseto), Pietrasanta – Tonfano, Foccette (Lucca), Monte Argentario – Cala Piccola – Porto Ercole (Le Viste), Porto Santo Stefano (Cantoniera – Moletto – Caletta) – Santa Liberata (Bagni Domiziano – Soda – Pozzarello) (Grosseto), San Vincenzo (Livorno), Viareggio (Lucca), Pisa – Marina di Pisa, Calambrone, Tirrenia (Pisa).
Veneto: Caorle (Venezia), Lido di Venezia (Venezia), Cavallino Treporti (Venezia), Jesolo- Jesolo Pineta (Venezia), Chioggia-Sottomarina (Venezia), San Michele al Tagliamento-Bibbione (Venezia).
Chiudono l’elenco le spagnole Malaga e Marbella (new entry 2019).
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