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Francesca Lappezzata
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Sono la versione seria di Lesyeuxsansvisageblog | Insta: fra.lappe
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“Dicono che, la prima volta che incontri gli occhi della tua anima gemella, un brivido di piacere corre lungo la tua spina dorsale. Dicono che in quel momento realizzi che ogni singola decisione che hai preso fino allora non avrà più importanza, perché ora stai rinascendo come un essere umano nuovo. Lo chiamano colpo di fulmine, ne parlano come di una folgorazione. Dicono anche che tutti noi siamo inconsciamente alla ricerca disperata di questo singolo istante di perfezione.”
Francesca Lappezzata
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Intrappolato
Guardami. Ho tutto eppure non ho niente. Guarda la falsità che mi circonda: una moglie che non mi ha mai amato e che vorrebbe il divorzio solo  per spennarmi. Un figlio con l'ultimo Iphone ma sempre in fattanza. Sono circondato da lupi e io sono il povero agnellino squartato a terra. Ormai non c'è più carne, sono rimaste solo le ossa, eppure loro continuano il banchetto impietosi. “Di te non rimarrà niente”. Mi dicono che sono un ingrato e probabilmente hanno ragione, però vedere la fortuna che mi sostiene non è facile quando a cinquantadue anni ti rendi conto di non aver costruito niente nella vita. Avessi lavorato un po’ di più! Fossi uscito al tempo con quella ragazza alla quale interessavo per la mia anima! Fossi stato meno immaturo in tutte le decisioni che ho preso! Fossi stato un po’ più povero da capire la morale comune e da desiderare le vacanze come un qualcosa di straordinario! E invece no, sono nato ricco, ricco, ricco con tanti soldi da poter comprare quasi qualsiasi cosa. Sono nato circondato da una famiglia di stupidi ricchi che non mi hanno mai insegnato il piacere della quotidianità, che non mi hanno mai spiegato il valore dei soldi. Non mi hanno mai insegnato come quelli che per noi sono centesimi, per altri sono la sopravvivenza. Io sono stato ancora più stupido, perché sono stato un padre assente e a mio figlio non ho trasmesso alcun valore. Ed eccoci qui, alla fine della fiera: padre e figlio senza una cultura di vita vera. Vorrei cambiare, ma come posso? Dovrei abbandonare quella iena che mi trovo come moglie, quella vittima pessima a prendere decisioni di mio figlio e persino quegli amici finti che mi trascino dietro da tempo immemore (tutti sciacalli da “oggi offri tu e domani pure”). Quindi no, non cambio, rimango così, lascio tutto così, non faccio niente, rimango incastrato in una vita che non amo più e non ho scelta. Cosa dovrei fare? Ricominciare a 52 anni suonati? Sono troppo vecchio persino per imparare a cucinare. L'unica volta che ho toccato i fornelli avevo 17 anni e volevo fare colpo su una ragazza: è finita che ho mandato la domestica in rosticceria a prendermi qualcosa. Io sono troppo vecchio per cambiare, per questo vorrei che mio figlio cambiasse al mio posto. Vorrei che non commettesse gli stessi errori che ho commesso io. Vorrei che mio figlio scegliesse come sua compagna una ragazza che lo ama per quello che è e non per gli zero del suo conto in banca. Vorrei che mio figlio capisse quanto è bella l'umiltà. Vorrei che mio figlio avesse una vita vera. Vorrei che mio figlio lavorasse e avesse dei sogni normali. Vorrei che mio figlio avesse problemi comuni e difficoltà maggiori delle mie. Vorrei che trovasse la maturità prima dei cinquant'anni. Vorrei che non fosse dannato come lo sono io. Ma cosa dovrei fare? Ha solo vent'anni ed è già stato una volta in rehab. Quando è uscito è stato pulito per quattro mesi, poi ha ricominciato la vitaccia. Cosa dovrei fare? “Chiudi i rubinetti!”, mi dicono i miei amici. Ma a quale scopo? Perché dovrei fare una cosa del genere? Tanto i soldi per comprarsi la roba li troverebbe comunque. Come quella volta in cui ci avevo provato e aveva iniziato a rubare. Uno scandalo tremendo per la famiglia. Lui è la personificazione del mio fallimento. Non sono mai stato un padre: ho creato un mostro. Mio padre nonostante i suoi errori era stato in grado di insegnarmi la differenza tra giusto e sbagliato, ecco, io non sono stato in grado di fare nemmeno questo. Se mio figlio lotta contro una dipendenza è solo colpa mia e del mio stupido egoismo. L'avessi seguito prima! Io sono l'unico problema della mia famiglia, io e i miei dannatissimi soldi. Ogni mattina passo dalla sua camera e gli controllo il polso e ascolto il suo respiro. Ogni singolo giorno ho una paura dannata di perderlo. Ogni singolo giorno il mio primo pensiero è lui e il terrore di essere colpevole di una morte. Perché se un giorno dovesse morire per i suoi eccessi, la colpa è solo mia. Sono io che avrei dovuto insegnargli il valore della vita, sono io che avrei dovuto spiegargli perché è bellissima, sono io che sono un assoluto disastro. “I figli non sono altro che lo specchio dei genitori”, io sono stato un pessimo padre e lui oggi è un pessimo figlio. Eppure io quel pessimo figlio lo amo comunque.
Quindi rimango qui, intrappolato in una vita che non capisco, pensando che quelli che mi danno dell'ingrato hanno ragione, eppure senza avere la forza di cambiare.
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“Tu parli così perché non hai mai avuto paura di uscire di casa al mattino, perché non ti sei mai svegliato piangendo nel mezzo della notte ripetendoti che erano solo incubi quando invece erano immagini della tua giornata appena finita. Tu non ti sei mai chiesto da dove venga la tua forza perché non l'hai mai dovuta mettere per davvero alla prova. Tu non ti sei mai ritrovato a dover dire addio a una persona per poi sentire a oltranza la sua voce nella tua testa che ti ripete di resistere. Tu non hai mai dovuto fingere che tutto andasse bene solo perché, dicono, hai già creato troppi problemi. Tu non sai cosa vuol dire essere me.”
(via lesyeuxsansvisageblog)
Quando ho scritto questo post avevo 13 anni e una vita di inferno. Ero vittima di bullismo, spesso venivo malmenata anche in casa e mi sentivo sola nell’affrontare tutto questo. In quegli anni ho preso tante decisioni sbagliate, ho pensato spesso al suicidio, sono scappata di casa e mi sono affidata alle persone sbagliate. Però, in tutto questo, volete sapere qual è stato l’errore più grande che ho fatto? Credere che tutto quello che mi stava succedendo fosse colpa mia.
Ora, non sto scrivendo questo post per mettermi in mostra, perché se avessi voluto solo dell’attenzione gratuita l’avrei scritto otto anni fa.
Sto scrivendo questo post perché voglio parlare con tutte quelle persone che si trovano in una situazione simile e voglio dire a ognuna di esse tre cose:
1. Non è colpa tua se sei circondato/a da stronzi!
2. Non sei solo/a! Sono tante le persone che si trovano nella tua stessa situazione e sono ancora di più quelle che sono disposte ad ascoltarti e aiutarti! (Se pensi di non avere nessuno, hai me! Scrivimi quando vuoi e per dirmi quello che vuoi: @lesyeuxsansvisageblog )
3. Te lo giuro: quel dolore che stai provando è solo temporaneo. Ti prometto che un giorno amerai la tua vita.
PER FAVORE, CONDIVIDETE!  È IMPORTANTE!
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Mi fermo
a un passo da te
e ti guardo
mancarmi.
-Francesca Lappezzata
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Due sconosciuti
[tratto da una storia vera]
Ciao, oggi vi voglio raccontare una storia.
Non erano altro che due sconosciuti. Lui non era il ragazzo più bello del mondo, ma nemmeno il più ricco o il meglio vestito. Diciamo che, di sicuro, non era quello che avresti notato per strada. Lei era la ragazza che non ha mai fretta, che vive nascosta dietro a due cuffiette e un finto sorriso. La riconosci per la strada, la vedi a distanza, ma non la saluti.
Lei, però, lo aveva visto! E lui -ve lo giuro!- la voleva salutare!
Passarono i giorni e quella vita che loro non avevano il coraggio di andare a trovare, bussò alla loro porta. Fu così che si ritrovarono davanti allo stesso manifesto e cominciarono a parlare. Avevano tante frasi da dirsi e ancora prima di rendersene conto avevano passeggiato per l'intera città.
Lui adorava il suo modo di sorridere a metà delle frasi. Lei già pensava che forse non tutti gli uomini sono cattivi.
La notte era ormai arrivata e si salutarono velocemente. Lui si nascose in un vicolo e raccontò la sua storia a un clochard. Lei corse a casa e sperò di non dimenticare mai nemmeno un dettaglio di quella giornata.
La vita non bussò più alla loro porta. Ora, sono di nuovo due sconosciuti.
~Francesca Lappezzata
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Cinque minuti
di sensi di colpa
per poi tornare
al mio nulla.
-F
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“Dicono che, la prima volta che incontri gli occhi della tua anima gemella, un brivido di piacere corre lungo la tua spina dorsale. Dicono che in quel momento realizzi che ogni singola decisione che hai preso fino allora non avrà più importanza, perché ora stai rinascendo come un essere umano nuovo. Lo chiamano colpo di fulmine, ne parlano come di una folgorazione. Dicono anche che tutti noi siamo inconsciamente alla ricerca disperata di questo singolo istante di perfezione.”
Francesca Lappezzata
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~F. L.
Giocavamo a essere unici,
ma non eravamo niente di speciale.
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Per favore, concedetemi due minuti del vostro tempo e leggete questo post.
Ciao,
sono una di quei ragazzi che ieri era in Piazza del Popolo a protestare contro un governo che non si confà ai suoi ideali.
La fortuna sembrava dalla nostra parte quando il segretario del partito ha deciso di pubblicare una foto scattata in autobus con i miei compagni, ma poi sono iniziati ad arrivare tantissimi commenti di odio ingiustificati.
Ve ne cito solo alcuni:
“Certo che non avete un cazzo da fare”;
“Una massa di kieriketti, perfettini, volti puliti, immacolati, camice linde stirate dalla mamma, benpensanti, benestanti, privilegiati coi soldini di papà”;
“Massa di sfigati, trombate di più”;
“Manica di coglioni”;
“Ridicoli”;
“Una manica di sfigati”;
“Poveri coglioni... di sicuro non sono disoccupati, ma figli di banchieri, di industriali...”;
“4 Rimbambiti”.
Questi commenti arrivavano da persone sconosciute che non sanno assolutamente nulla della mia vita o di quella dei miei amici.
Detto questo, capisco che puoi non comprendere le ragioni che ci hanno spinto a svegliarci a orari indecenti e a percorrere in lungo e in largo l'Italia solo per passare due ore in una piazza sotto un sole soffocante. Capisco anche che puoi non condividere le mie idee politiche. Ma quello che proprio che non so comprendere è, perché non puoi rispettare le mie idee proprio allo stesso modo nel quale io rispetto le tue? E soprattutto, in un mondo nel quale la politica passa sempre più in secondo piano e nel quale l'attivismo sociale è più un'utopia che una realtà, non puoi essere semplicemente felice se dei giovani credono ancora in qualcosa anche se ritieni che quel qualcosa sia sbagliato?
-Francesca Lappezzata
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31 gennaio 2018
Guardo quegli occhi
che dettero e tolsero
un battito acerbo
al mio cuore di anziano.
Tu, Creatore
di mondi infiniti,
incredibili promesse
di eterni per sempre.
Da una parte all’altra
una ferita mi lacera 
e non guarirà 
se non nel ricordo
tenero e sospeso
del nostro impossibile 
scambio di vita.
-Francesca Lappezzata
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Quando guardo le nostre foto, sento ancora il tuo profumo.
Francesca Lappezzata
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Ti guardo mentre te ne vai. Vorrei ti voltassi, ma so che non succederà.
Sai qual è la parte che mi fa più male di questo addio? Che io andrò avanti, mi innamorerò di un altro ragazzo e dimenticherò il profumo dei tuoi abbracci. Sarò felice con qualcun altro, quando vorrei che tu fossi la mia unica ragione di felicità.
Francesca Lappezzata
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Oggi, vi voglio parlare di un mio amico: è testardo, orgoglioso come pochi, egocentrico e ama essere al centro dell'attenzione. Sa usare dannatamente bene le parole ed è estremamente perspicace. È la classica persona che quando si trova in gruppo parla, parla, parla, fa ridere tutti, ma non dice mai niente. Eppure, se hai la fortuna di beccarlo da solo, ti rendi conto che dietro quella maschera si nasconde un cervello meraviglioso. Ride sempre, ma non è sempre felice. Non dovrei, ma capisco perché lo fa: è più semplice illuderci che agli altri non importi ciò che sentiamo piuttosto che ammettere di non essere invicibili e chiedere aiuto. Anche se non lo ammetterà mai, è buono e ha un animo gentile. È capace di sentimenti profondi e si sente in colpa anche solo quando crede di aver fatto del male a qualcuno. Dovrebbe imparare a fregarsene del giudizio delle persone e dovrebbe dare più importanza al giudizio che ha di se stesso. Idealizza le persone e non si crede mai all'altezza degli altri, quando invece è migliore dell'80% delle persone su questa Terra. Vorrei che si vedesse con i miei occhi solo per un secondo, così potrebbe vedere la luce che brilla dentro di lui e che illumina di riflesso tutti coloro che gli sono intorno.
Francesca Lappezzata
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Dicono che, la prima volta che incontri gli occhi della tua anima gemella, un brivido di piacere corre lungo la tua spina dorsale. Dicono che in quel momento realizzi che ogni singola decisione che hai preso fino allora non avrà più importanza, perché ora stai rinascendo come un essere umano nuovo. Lo chiamano colpo di fulmine, ne parlano come di una folgorazione. Dicono anche che tutti noi siamo inconsciamente alla ricerca disperata di questo singolo istante di perfezione.
Francesca Lappezzata
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L'ospedale
A Francesco
Questo è un momento di riflessione. Negli ultimi giorni ho passato molte ore negli ospedali e questo mi ha fatto capire molte cose.
Puoi essere a Roma, Cesena, Firenze e Milano, eppure, in un qualche modo, si assomigliano tutti. Alcuni sono più grandi, oppure più rumorosi, ma l'essenza rimane la stessa: luoghi di asettica fiducia e mera speranza. In ogni ospedale ci sono dei corridoi lunghi che sembrano infiniti, dei colori pastello e delle regole quasi ferree.
Anche i dottori si assomigliano tutti. Uomini che hanno iniziato a lavorare già da vecchi e che sentono le loro spalle costantemente piegarsi sotto il peso delle continue incertezze. Infondo, hanno sempre paura di sbagliare ed è proprio questo a renderli non solo umani, ma degli umani migliori. La loro anima è stata risucchiata dagli stessi ospedali e sono di poche parole, distaccati dai pazienti, freddi e di “color pastello”.
Pare che i bisognosi meritino solo rispetto e cure, nulla di più. Pare che questo posto non abbia per loro nessun piacere da offrire.
Poi arrivano loro, dei giovani con il camice azzurro e il sorriso stampato in faccia. Sono tutti poco più che ventenni e si sentono realizzati nell'aiutare gli altri. Nonostante tutta la sofferenza con la quale entrano quotidianamente in contatto, amano ancora il loro lavoro e sanno strappare un sorriso anche nel momento del più alto grado di sofferenza. Corrono da una stanza all'altra, di continuo, sono instancabili rocce che nulla riesce a scalfire. Sono gli infermieri, il volto umano degli ospedali.
F.L.
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Libero
Perché mi drogo? Per ridere, è l'unico modo col quale mi dimentico chi sono. Adoro spogliarmi del mio corpo mortale e innalzarmi alla ricerca di un'entità superiore: della mia vera essenza. È un modo come un altro per ricercare la mia libertà e la mia felicità... Chi voglio prendere in giro? Sono solo un ragazzo che non ha la forza di affrontare i problemi e si rifugia nella droga. Sono dipendente da delle sostanze chimiche che mi stanno lentamente uccidendo e non ho paura della morte. Il mio corpo è un tempio in rovine.
All'inizio era solo la ricerca di un divertimento diverso, ora è un bisogno. Una necessità che non sono in grado (e non voglio) controllare.
Mi sono sempre sentito diverso da tutti coloro che avevo intorno. Ho frequentato prima un asilo e poi delle scuole elementari private. Ho passato gli anni della mia infanzia circondato da bambini che quando litigavano finivano sempre urlando “Tu non sai chi è mio padre!”. Sono sempre stato isolato dagli altri: io non ero come loro, non lo sono mai stato. In quegli anni non ho legato con nessuno. Anche al di fuori della scuola ero un bambino anormale, non praticavo sport e passavo la maggior parte del tempo da solo o con la tata. Ero molto tranquillo e amavo leggere e studiare. Ogni tanto, nei week-end, capitava che fossi obbligato a partecipare a delle cene con i miei genitori. I loro amici rimanevano sorpresi nel vedere un bambino così mansueto e tranquillo. Credo che per la mia famiglia fossi una sorta di trofeo da mostrare con fierezza. Non capivano però che mentre il mio aspetto fisico cambiava anche qualcosa dentro di me si stava modificando. Con l'inizio delle scuole medie ho incominciato a farmi domande. Mi chiedevo per quale ragione non mi sentissi mai a mio agio e mi rispondevo che la colpa era della falsità delle persone che mi circondavano e del loro pensare solo ai soldi. Solo col tempo capirò che io ero il mio unico problema.
Finirono anche le scuole medie e io chiesi ai miei genitori di frequentare delle scuole pubbliche. Non credo che ai miei genitori sia mai importato veramente dei sentimenti che provavo. Fatto sta che rifiutarono perché “Ne va del buon nome della famiglia” e “questo liceo ti darà delle opportunità che altrove nessuno ti darà”. In qualche modo avevano ragione, mi ha dato la possibilità di essere talmente insoddisfatto della mia vita da non avere più paura di niente. Anche se guardando la mia storia con l'occhio dell'adulto, credo che sarebbe successo anche in una scuola pubblica: ciò che mi ha condannato non erano le persone che avevo intorno, ma la mia stessa mente. Però, in quel momento la decisione dei miei genitori mi sembrò un oltraggio e reagii con una sensazione mista di rabbia e rassegnazione. Loro non mi capivano, non mi avevano mai capito e non mi avrebbero mai capito. Mi sentivo solo al mondo e la mia vita non era altro che un grosso macigno in bilico sulla mia testa. Mi immaginavo a scappare di casa, ad andarmene lontano all'estero e a far perdere tutte le mie tracce. Sognavo una nuova vita, circondato da persone vere e amici coi quali parlare di tutto. Eppure ero immobile, rinchiuso in quella vita che iniziavo a odiare e non avevo il coraggio di fare niente per allontanarmi da essa. Schiavo di me stesso e delle decisioni degli altri.
Incominciai il liceo circondato da ragazzi con la puzza sotto il naso e io in un qualche modo ero simile a loro, ma mai parte di loro. Quando un giorno arrivò l'invito a una festa di compleanno nella villa di una compagna di classe. Ovviamente non volevo andare, mia madre mi obbligò, sempre in nome della famiglia. Appena arrivato fui colpito dal numero di persone presenti, c'era tutta la scuola. Con lo sguardo esperto iniziai a voltarmi intorno alla ricerca di un angolino nel quale sedermi per passare inosservato, ma l'intero giardino era ricoperto di persone in vestiti di marca e drink colorati che parlavano dell'ultima settimana della moda. Seguii con lo sguardo la linea del muro della casa e vidi una zona in penombra. Ero troppo lontano per vedere se qualcuno si fosse già accaparrato il mio futuro nascondiglio, quindi decisi di avvicinarmi. Proseguii passando a filo del muro con la camminata più disinvolta possibile e voltai intorno all'angolo cercando di evitare ogni sguardo. Mi ritrovai davanti quattro ragazzi del terzo con in mano quello che scoprii essere un grind e varie bustine. Cercai di voltarmi per tornare indietro sperando che non mi avessero visto. La voce  di uno di loro spense la mia illusione: “Hey! Piccoletto vuoi un tiro?”. Mi voltai rosso di vergogna e scossi la testa. Sentii due mani sulle mie spalle e una voce da dietro le mie scapole rivolgermi parole fintamente amichevoli: “Ma perché stai tremando? Qua siamo tutti amici! Dai prendi un tiro, offriamo noi!”. Mi avvicinarono al viso la prima canna della mia vita condannandomi a un futuro già scritto. Mi dissi “Perché no? Infondo cosa mi può fare male un tiro? Infondo lo fanno tutti!”. Così lo feci, presi un tiro, provai a trattenerlo un po' ma mi ritrovai a tossire davanti a tutti. Gli altri risero. Allora la presi d'orgoglio e ci riprovai. Questa volta non tossii e la mia mente incominciò a volare. Per la prima volta mi dimenticai i problemi, della mia famiglia, dell'apparenza. Ero libero. Così incominciai e così mi feci anche degli amici. Iniziai a uscire spesso e la mia famiglia era felice, incominciai a provare ogni tipo tipo di droga e così anch'io mi rendevo felice. Senza rendermene conto entrai in un limbo dal quale non voglio uscire.
Il tutto precipitò al mio diciottesimo. Classica festa, classiche persone e stessa roba, ma in maggiore quantità. Semplicemente sopravvalutai il mio corpo e superai il limite. Svenni, chiamarono un'ambulanza, fui portato in ospedale, mi salvarono la vita. I miei genitori furono avvisati, mio padre mi urlò contro a lungo e mi rinchiuse in un rehab, mia madre non si presentò nemmeno in ospedale. Il periodo di riabilitazione fu il peggiore della mia vita, soffrivo fisicamente per l'astinenza, ma ancora di più mentalmente ad affrontare la realtà. Mi ricordo una seduta con lo psicologo diversa dalle altre, gli parlai di quando ero un bambino e di come sono cresciuto. Usai queste parole: “Da piccolo, ero il figlio modello, sembrava che mi avessero costruito su misura. Ero davvero perfetto: studente modello, che non giocava e che amava studiare; tranquillo ed educato. Ma io non ero felice. Mi sentivo solo, perché ero solo. Poi a quella festa ho fumato la prima canna e per la prima volta ho anche fatto delle amicizie. All'inizio ero davvero felice, poi anche quella è diventata una stupida routine. Senza rendermene conto sono diventato un drogato di merda e non c'è fuga per me da questo. Prima ero un fallimento per me stesso, ora, non solo sono un fallimento per me stesso, ma anche per tutti coloro che ho intorno. Sinceramente non so nemmeno se mi interessa più”. Era la prima volta che mi aprivo per davvero con qualcuno.
Finiti i sei mesi in clinica sono dovuto tornare alla vita normale con tutte le sue tentazioni. Non sono durato nemmeno un mese. Mio padre l'ha scoperto subito ma questa volta non mi ha fatto scenate, mi ha fatto sedere al tavolo e mi ha fatto una sola domanda “Perché?”. Avrei voluto rispondere: “Perché non sono abbastanza forte da affrontare la vita con tutti i suoi ostacoli, perché sono comunque un fallimento, perché odio la vita ma non voglio morire, perché non lo so nemmeno io perché lo faccio in realtà,  perché se non l'hai mai provato non puoi capire, perché sono debole, perché voglio solo non pensare, perché non voglio più lottare con me stesso, perché mi sento come se stessi soffocando ogni singolo secondo nel quale guardo la realtà con gli occhi lucidi, perché altrimenti penso troppo e pensare è più pericoloso della droga”. Ma non risposi nulla, solo alzai le spalle e me ne andai.
Non ho paura delle conseguenze delle mie azioni, non ho nemmeno più paura della morte. La droga è l'unico destino nel quale posso e voglio vivere. Non fraintendetemi, non sono fiero di me stesso, ma sono un mostro debole e bastardo che vuole solo scappare da se stesso. 
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Intrappolato
Guardami. Ho tutto eppure non ho niente. Guarda la falsità che mi circonda: una moglie che non mi ha mai amato e che vorrebbe il divorzio solo  per spennarmi. Un figlio con l'ultimo Iphone ma sempre in fattanza. Sono circondato da lupi e io sono il povero agnellino squartato a terra. Ormai non c'è più carne, sono rimaste solo le ossa, eppure loro continuano il banchetto impietosi. “Di te non rimarrà niente”. Mi dicono che sono un ingrato e probabilmente hanno ragione, però vedere la fortuna che mi sostiene non è facile quando a cinquantadue anni ti rendi conto di non aver costruito niente nella vita. Avessi lavorato un po' di più! Fossi uscito al tempo con quella ragazza alla quale interessavo per la mia anima! Fossi stato meno immaturo in tutte le decisioni che ho preso! Fossi stato un po' più povero da capire la morale comune e da desiderare le vacanze come un qualcosa di straordinario! E invece no, sono nato ricco, ricco, ricco con tanti soldi da poter comprare quasi qualsiasi cosa. Sono nato circondato da una famiglia di stupidi ricchi che non mi hanno mai insegnato il piacere della quotidianità, che non mi hanno mai spiegato il valore dei soldi. Non mi hanno mai insegnato come quelli che per noi sono centesimi, per altri sono la sopravvivenza. Io sono stato ancora più stupido, perché sono stato un padre assente e a mio figlio non ho trasmesso alcun valore. Ed eccoci qui, alla fine della fiera: padre e figlio senza una cultura di vita vera. Vorrei cambiare, ma come posso? Dovrei abbandonare quella iena che mi trovo come moglie, quella vittima pessima a prendere decisioni di mio figlio e persino quegli amici finti che mi trascino dietro da tempo immemore (tutti sciacalli da “oggi offri tu e domani pure”). Quindi no, non cambio, rimango così, lascio tutto così, non faccio niente, rimango incastrato in una vita che non amo più e non ho scelta. Cosa dovrei fare? Ricominciare a 52 anni suonati? Sono troppo vecchio persino per imparare a cucinare. L'unica volta che ho toccato i fornelli avevo 17 anni e volevo fare colpo su una ragazza: è finita che ho mandato la domestica in rosticceria a prendermi qualcosa. Io sono troppo vecchio per cambiare, per questo vorrei che mio figlio cambiasse al mio posto. Vorrei che non commettesse gli stessi errori che ho commesso io. Vorrei che mio figlio scegliesse come sua compagna una ragazza che lo ama per quello che è e non per gli zero del suo conto in banca. Vorrei che mio figlio capisse quanto è bella l'umiltà. Vorrei che mio figlio avesse una vita vera. Vorrei che mio figlio lavorasse e avesse dei sogni normali. Vorrei che mio figlio avesse problemi comuni e difficoltà maggiori delle mie. Vorrei che trovasse la maturità prima dei cinquant'anni. Vorrei che non fosse dannato come lo sono io. Ma cosa dovrei fare? Ha solo vent'anni ed è già stato una volta in rehab. Quando è uscito è stato pulito per quattro mesi, poi ha ricominciato la vitaccia. Cosa dovrei fare? “Chiudi i rubinetti!”, mi dicono i miei amici. Ma a quale scopo? Perché dovrei fare una cosa del genere? Tanto i soldi per comprarsi la roba li troverebbe comunque. Come quella volta in cui ci avevo provato e aveva iniziato a rubare. Uno scandalo tremendo per la famiglia. Lui è la personificazione del mio fallimento. Non sono mai stato un padre: ho creato un mostro. Mio padre nonostante i suoi errori era stato in grado di insegnarmi la differenza tra giusto e sbagliato, ecco, io non sono stato in grado di fare nemmeno questo. Se mio figlio lotta contro una dipendenza è solo colpa mia e del mio stupido egoismo. L'avessi seguito prima! Io sono l'unico problema della mia famiglia, io e i miei dannatissimi soldi. Ogni mattina passo dalla sua camera e gli controllo il polso e ascolto il suo respiro. Ogni singolo giorno ho una paura dannata di perderlo. Ogni singolo giorno il mio primo pensiero è lui e il terrore di essere colpevole di una morte. Perché se un giorno dovesse morire per i suoi eccessi, la colpa è solo mia. Sono io che avrei dovuto insegnargli il valore della vita, sono io che avrei dovuto spiegargli perché è bellissima, sono io che sono un assoluto disastro. “I figli non sono altro che lo specchio dei genitori”, io sono stato un pessimo padre e lui oggi è un pessimo figlio. Eppure io quel pessimo figlio lo amo comunque.
Quindi rimango qui, intrappolato in una vita che non capisco, pensando che quelli che mi danno dell'ingrato hanno ragione, eppure senza avere la forza di cambiare.
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