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Reale digitale
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Un blog nato per il corso di Rivoluzione Digitale al Politecnico di Torino, in cui quattro studenti si interrogano sulle differenze tra il mondo reale e quello digitale.
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realedigitale · 5 years ago
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L’oggettificazione della bellezza
Negli ultimi anni stiamo assistendo a canoni di bellezza perfetti e idealizzati, a modelle senza la minima imperfezione, ad attori senza la minima “sbavatura” fisica e a modelli estetici sempre più astratti e irraggiungibili. Questo processo, apparentemente innocuo, ha causato grandi danni indiretti a uno dei pubblici più fragili e influenzabili esistenti, ovvero quello adolescenziale.
Nonostante la bellezza sia infatti uno dei sentimenti più personali e mutevoli esistenti, negli ultimi anni si sono creati dei modelli che sono diventati dei veri e propri canoni. Il problema di questa tendenza è facilmente riconoscibile: come può un concetto così soggettivo essere standardizzato a parametri universalmente riconosciuti come perfetti?
In realtà questa contraddizione non nasce con la tecnologia e i social, ma al contrario ha radici assolutamente analogiche: i concorsi di bellezza sono per esempio il tentativo massimo di rendere la bellezza un parametro valutabile da un numero e da dei giudici, in base a varie caratteristiche più o meno conformi a questi presunti canoni.
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Una foto dell’edizione di Miss Italia del 1993, il più famoso concorso di bellezza italiano. Fonte: Wikimedia Commons, autore: AleImpe 
Fin quando il problema è stato limitato a questi e pochi altri casi tuttavia questo concetto non ha attecchito particolarmente. I due fattori che hanno condizionato negativamente una grandissima parte delle persone, e in particolare proprio gli adolescenti, sono stati l’avvento dei social e l’evoluzione dei programmi di fotoritocco.
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Il logo di Adobe Photoshop, il più famoso programma di fotoritocco. Fonte: Wikimedia Commons, autore: Fred the Oyster  
Con la possibilità di modificare le fotografie scattate, si è cercato fin da subito di ridurre al minimo, se non eliminare, qualunque imperfezione. Ciò ha ovviamente permesso una fruizione migliore di fotografie o film, grazie alla possibilità di ottenere immagini più “pulite”, creando tuttavia un ideale di bellezza irraggiungibile.
Ogni persona ha infatti delle peculiarità fisiche, che possono essere più o meno apprezzate; questi elementi sono parte integrante del nostro aspetto e quindi della nostra unicità e della nostra bellezza, perché sono appunto esclusivamente nostri, delle caratteristiche che ci differenziano da chiunque altro. Se questi vengono però etichettati non più come particolarità ma come difetti da eliminare, si crea immediatamente un sentimento di inadeguatezza e inferiorità nei confronti di questi modelli così perfetti che ci vengono ripetutamente proposti.
La situazione è esplosa con l’avvento dei social. Prima infatti la presenza di queste immagini era limitata a pochi spazi riconoscibili e identificabili, come pubblicità, film o riviste di moda. I social e la facilità sempre maggiore nel modificare le proprie fotografie ha fatto invece crollare la distinzione tra realtà e finzione, al punto che oggi molto spesso quando guardiamo un qualunque contenuto, che sia un video, una fotografia o un post, non sappiamo definire con certezza se sia genuino o se sia stato modificato.
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I social network più diffusi al mondo. Sicuramente quelli che hanno contribuito maggiormente a questo fenomeno sono Instagram, Facebook e Snapchat. Fonte: Pixabay, autore: Gino Crescoli
Questo fenomeno è purtroppo oggi alla base di molte delle insicurezze degli adolescenti; ciò implica infatti molto spesso una vergogna del proprio corpo in rapporto ai modelli di bellezza con cui vengono incessantemente bombardati, che possono essere personaggi pubblici ma anche conoscenti o amici.
È assolutamente fondamentale quindi ricordare oggi più che mai che la perfezione è impossibile da replicare e, soprattutto, non è un obiettivo da raggiungere. Quello che ci rende belli agli occhi delle persone a noi care non è infatti la perfezione o l’adesione a dei canoni di bellezza, ma, al contrario, i nostri piccoli difetti e particolarità, che solo pochi conoscono e amano davvero. Come viene detto nel film “Il genio ribelle”,
“Sono queste le cose che più mi mancano. Le piccole debolezze che conoscevo soltanto io. Questo la rendeva mia moglie. […] Queste cose la gente le chiama imperfezioni, ma non lo sono. Sono la parte essenziale. Poi dobbiamo scegliere chi fare entrare nel nostro piccolo strano mondo.”
Mattia Chiarle 
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realedigitale · 5 years ago
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Home Smart Home
Quanto ti piacerebbe avere una casa intelligente, o ‘smart home’, che abbassa le tapparelle e spegne le luci in un orario definito e ti permette di controllare telecamere e allarme da remoto tutto grazie ad app dedicate installate sul tuo smartphone o addirittura con il comando vocale?
Cos’è la domotica?
La domotica è il futuro della casa e noi lo stiamo vivendo. La parola domotica è formata da due parole greche, ‘domos’ che significa casa e ‘ticos’ che indica le discipline di applicazione, cioè è definita come:
l'insieme delle scienze che si occupano delle tecnologie capaci di aumentare la qualità della vita di casa e degli altri ambienti dove si vive
Domotiqua
E’ un campo molto versatile e in continua evoluzione con potenzialità smisurate, che si adatta alle necessità di chi ne usufruisce. Questo anche grazie al utilizzo degli assistenti vocali sviluppati da colossi della tecnologia come “Alexa Echo” di Amazon e “Google Home” di Google, che oltre a funzionalità di base come riprodurre musica, con il comando vocale si possono controllare l’illuminazione della casa, la smart tv, controllare lo stato dei pannelli solari e molto altro.
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Disegno stilizzato di una casa e un tablet collegato alle funzionalità della casa; fonte: Architettura ecosostenibile
Oltre che essere usato nelle case private, con lo scopo di migliorare la vita di chi ci abita, sta spopolando anche in ambienti pubblici, i così detti “Building Automation” (o più semplicemente “Edifici Intelligenti”) cioè quegli ambienti che vengono automatizzati per offrire elevate prestazioni, per migliorare l’efficienza del servizio e tenere sotto controllo la gestione dell’attività.
 L’esempio lo portano diversi ristoranti, anche italiani, che durante la pandemia di ‘Corona Virus’, per evitare la trasmissione del virus e quindi per salvaguardare la salute dei clienti e dei camerieri, hanno usano e continuano ad usare robot che portano i piatti al tavolo ed interagiscono con il cliente.
Queste nuove tecnologie semplificano il rapporto della persona con gli ambienti che frequenta quotidianamente, anche grazie alla loro flessibilità. Rendere un ambente “domotico” significa creare un ecosistema partendo da un software di gestione collegato tramite rete Wi-Fi o LAN alle periferiche che possono conseguire infinite configurazioni, decise da chi li usa e che gli dà la possibilità di apportare modifiche in futuro.
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Schermata dell’applicazione spagnola “Domo Alert”;fonte:flickr ; autore: Domoalert Smart Life Quality
Vantaggi
Oltre questo, presenta degli aspetti vantaggiosi per chi ne usufruisce, ad esempio:
·        riduce i costi di energia e di luce grazie, ad esempio, al automatizzazione dell’attivazione e spegnimento delle luci al passaggio delle persone;
·        la loro presenza aumenta il valore dell’immobile, a cui sarà assegnata una classe energetica superiore;
·        permette un elevata sicurezza della casa grazie al controllo da remoto delle videocamere e dell’allarme e ti permette di ricevere via messaggio allarmi di vario genere (allarme antifurto, fuga di gas, perdita d’acqua). Quest’ultima funzionalità può essere usata in caso di furto anche mandando messaggi e telefonate ai carabinieri;
Problematiche
Ma come ogni cosa presenta anche degli effetti svantaggiosi perché, oltre ad essere un servizio costoso, questa rete potrebbe rendere la casa ancora più vulnerabile infatti, per chi decide di utilizzarla, bisognerebbe avere sotto controllo i dispositivi che si utilizzano e per qualsiasi motivo bisogna far fare un check up della rete da un tecnico informatico per evitare che le funzionalità vengano manomesse.
Ancora c’è tanta strada da spianare e questo è solo l’inizio, chissà cosa ci aspetta in futuro nel campo delle “tecnologie della casa” e come si svilupperanno anche in altri ambienti.
Chiara Tomaselli
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realedigitale · 5 years ago
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social network: un arricchimento dannoso?
Un dato di fatto indiscutibile è che i social network sono diventati parte integrante delle nostre vite, talmente tanto da far immaginare dei pensatori che se dovessimo essere vittime di un’invasione aliena probabilmente gli “ospiti” considererebbero lo smartphone una parte del nostro corpo; il motivo di tale considerazione è evidente: lo portiamo sempre con noi e racchiude una parte stessa della nostra vita, la vita digitale.
La prima apparizione del termine smartphone risale al 1997, data in cui la Ericsson definì il suo GS88 Penelope uno “smart phone”. L’esemplare più giovane di questa nuova tecnologia digitale (il cui nome fu Simon) fu progettato nel 1992 dalla IBM e commercializzato l’anno successivo dalla BellSouth, ma è ovvio che non rispecchiava l’idea che abbiamo oggigiorno di esso; infatti oltre le funzioni di telefono, incorporava “solo” applicazioni come: rubrica, orologio, blocco note, posta elettronica e fax.
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IBM Simon Personal Communicator e base di ricarica; fonte: Wikipedia Commons, autore: Bcos47
Come tante altre nuove tecnologie, non è stato subito chiaro l’impatto che avrebbe potuto avere questo settore digitale; inizialmente i più non ritenevano il cellulare necessario a tal punto da dover spendere una cifra elevata per l’acquisto, ma le cose sarebbero cambiate con l’avvento dei social network.
La storia dei social network inizia nel 1997, anno in cui uno statunitense di nome Ellison lancia il sito SixDegrees.com, anche se in quegli anni il termine “social network” non era ancora stato coniato, infatti esso nasce nel 2003 grazie a un social di nome Friendster.
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logo di SixDegrees; fonte: Wikipedia Commons, autore: Six Degrees
Con la diffusione di internet e l’evoluzione digitale, i social network hanno cominciato a rivestire un ruolo di primo piano all'interno degli smartphone, in poco tempo i più sono stati attirati da Facebook, Whatsapp e quant'altro, arrivando, oggigiorno, al punto in cui la vita reale e quella digitale non solo sono fortemente connesse tra loro, ma l’una influenza l’altra e viceversa.
Purtroppo, spesso si sottovalutano alcuni aspetti del mondo digitale, infatti se usati sconsideratamente, i social network possono diventare alienanti fino al punto di perdere quasi il contatto con la realtà. L'alienazione causata è stata motivo di innumerevoli studi nei settori della psicologia e ha interessato un vasto numero di menti tra cui Marc Maron ideatore di uno short novel molto crudo dal titolo “The social media generation animated” in cui vi è la volontà di sottolineare il morboso bisogno di amore che si cela dietro un social-dipendente.
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foto che raffigura in lontananza due donne intente a parlare, un uomo e una donna seduti a fissare lo smartphone; fonte: Flickr, autore: Chris (a.k.a. MoiVous)
Indubbiamente il mondo dei social network ci ha anche donato molti aspetti positivi: è, ad esempio, uno strumento per mezzo del quale tutti hanno la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione su qualunque tematica, ma questo aspetto è fortemente dibattuto: infatti esiste un’altra scuola di pensiero che può essere ben riassunta dalla risposta che diede Umberto Eco a dei giornalisti, dichiarando:
“i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”
Dunque, chi credere? I social hanno arricchito le nostre vite o le hanno danneggiate? Ognuno ha indubbiamente opinioni diverse, ma una cosa è certa, i social così come la maggior parte delle scoperte fatte sono un’arma a doppio taglio, per trarne solo l’aspetto positivo è necessario un utilizzo responsabile.
Emilia Toro
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realedigitale · 5 years ago
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La mia prima volta con...Internet
È davvero strano pensare che fino a qualche decennio fa le persone compravano e consultavano enciclopedie per tenersi aggiornate e per fare ricerche andavano in biblioteca, quando adesso basta accendere il computer ed avere una connessione ad Internet per accedere a (quasi) tutto lo scibile umano. Ovviamente le persone si sono dovute abituare a questo nuovo mondo digitale, ancora tutto da scoprire.Quindi, come ogni cosa, hanno dovuto affrontarlo per una prima.
La prima  volta che ho avuto a che fare con Internet non è stato un approccio diretto ma è avvenuto grazie a mia cugina che, essendo più grande, aveva già il permesso dei genitori per utilizzarlo. Mi ricordo che appena tornava da scuola si sedeva davanti al computer e passava tutto il pomeriggio su Messenger, anche conosciuto come “MSN” (un famoso sito di messaggistica), a chattare e videochiamare tutti i suoi compagni di classe. Io ero davvero stupita dal suo funzionamento allora quando andavo a casa sua lo usavamo insieme e parlavamo con i nostri amici in comune.
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Logo di MSN, 2015; fonte: Wikimedia Commons; autore: MSN
Invece il mio primo approccio diretto fu davvero bizzarro e particolare. Verso il 2010 ero una grande fan di_ Lady Gaga_, la adoravo quindi una mia amica mi aveva consigliato di andare a vedere su Youtube i suoi video musicali. Allora appena tornata a casa mi feci spiegare da mia mamma, ancora ignara di quello che avrei visto tra poco, come navigare in Internet e riuscì da subito a capirne il funzionamento. Mi sedetti sulla scrivania, accesi il computer e iniziai a vederne un paio. Diciamo che il contenuto non era proprio adatto ad una bambina di 9 anni. Infatti quando lo scoprì mia madre non mi face più toccare il computer per più di un anno, se non sotto sua osservazione.
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Logo di Youtube; fonte:Wikimedia Commons; autore:Youtube
Questo fino al 2011 quando finalmente la convinsi ad iscrivermi a Facebook, grazie anche al aiuto di mia cugina Giorgia (quella con cui utilizzavo “MSN”). Mi ricordo che la prima cosa che feci fu mandare la “richiesta di amicizia” a qualsiasi persona io conoscessi (anche a persone che non conoscevo benissimo) e cominciai a scrivere messaggi a chiunque e in continuazione. Passavo i pomeriggi a chattare, condividere e mettere “mi piace” a tutti i post che vedevo nella “home”. Era il mio primo anno di scuole medie e questo strumento mi ha aiutato a rimanere in contatto con i miei compagni delle elementari, che ormai non vedevo più, e a creare nuovi rapporti con i nuovi compagni.
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Logo di Facebook; Fonte:Wikimedia Commons; autore:Facebook
Al inizio il mio rapporto con Internet prevedeva esclusivamente l’utilizzo dei primi social media, che erano in circolazione in quel periodo, ma andando avanti è diventato molto di più. Ha sviluppato la mia curiosità, soprattutto con l’utilizzo Wikipedia, cercavo qualunque cosa mi passasse per la testa e su cui avevo dei dubbi; andavo alla caccia di libri gratis in pdf e tante altre cose, che con il corso del tempo sono aumentate anche grazie alla diffusione e l’utilizzo degli smartphone che hanno facilitato questo processo di digitalizzazione più di quanto già non lo fosse.
Ormai tutto questo è diventato la normalità, siamo noi a farlo crescere e migliorare sempre di più. È parte integrante del nostro essere e a questo punto non riesco ad immaginare un mondo senza.
Chiara Tomaselli
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realedigitale · 5 years ago
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L’alienazione del digitale
Nel corso dei secoli, ma soprattutto negli anni più recenti, l’uomo ha diviso la propria vita in due ambiti principali: il lavoro e il tempo libero. È indubbio infatti che, grazie al progresso scientifico e tecnologico sempre maggiore e all’introduzione di norme che tutelassero i lavoratori, le condizioni di vita delle persone, perlomeno nei paesi più sviluppati, sono rapidamente migliorate.
Anche se il concetto di tempo libero nasce con la rivoluzione industriale, inizialmente la sua connotazione risulta radicalmente diversa da quella odierna, in quanto indica semplicemente la porzione della giornata in cui non si lavora in fabbrica. La disponibilità economica media delle famiglie non era infatti elevata, e questo, congiunto alla totale assenza di tecnologie digitali dedicate allo svago, comportava una certa monotonia e ripetitività della quotidianità anche sotto questo aspetto.
Grazie ai cosiddetti boom economici (a partire dagli anni Venti in America e nel secondo dopoguerra in Europa) e alla conseguente nascita del consumismo, il tempo libero assume una concezione decisamente più simile a quella attuale. Le famiglie potevano infatti permettersi la televisione, un maggior numero di giochi (da tavolo e non) e addirittura delle vacanze. 
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La Fiat 600, uno dei simboli più conosciuti del miracolo economico italiano. La foto deriva da una campagna pubblicitaria di Fiat. Fonte: Wikimedia Commons, autore: Fiat
Si diffondono inoltre capillarmente cinema, teatri e altri divertimenti; alcune di esse erano ovviamente già presenti da moltissimi anni (il teatro addirittura dai Greci), ma il fattore rivoluzionario era l’accessibilità a un numero decisamente più elevato di persone.
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Il teatro di Epidauro, uno dei molti teatri del popolo greco, amanti delle rappresentazioni teatrali. Fonte: Pixabay, autore: 1440602  
Fino a pochi anni fa le principali fonti di svago sono rimaste per la maggior parte immutate, seppur con i propri miglioramenti derivanti dallo sviluppo del sapere tecnico-scientifico nel corso degli anni. Per assistere alla seconda (e ultima finora) grande rivoluzione del tempo libero è stato quindi necessario attendere l’introduzione di internet.
Questa tecnologia non ha di fatto creato nessuna nuova forma di intrattenimento, ma ha “semplicemente” reso possibile la fruizione di tutti gli svaghi già esistenti senza la necessità di dover uscire di casa. Il web ha di fatto sostituito progressivamente il mondo reale, a partire dalla comunicazione interpersonale fino ai giochi e ai film. I colossi tecnologici che l’hanno reso possibile sono ormai conosciuti e utilizzati da moltissime persone, ovvero WhatsApp, Netflix, Sony (con la Playstation) e innumerevoli altri.
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Il vecchio logo di Netflix, il servizio di streaming più utilizzato al mondo. Fonte: Flickr, autore:  Global Panorama 
Tuttavia, le persone tendono troppo spesso a farsi trascinare passivamente dalle ondate di cambiamenti, senza soffermarsi a pensare a dove tutto ciò potrebbe portarle. A tal proposito, penso che questo periodo di quarantena, nonostante sia stato connotato in modo fortemente negativo, abbia fatto aprire gli occhi a molte persone.
L’uomo è infatti per definizione un animale sociale, che ha bisogno di relazioni personali di amicizia, familiari e di tutti i tipi per essere poter essere felice. Se questo concetto è (fortunatamente) chiaro bene o male a tutti, molto spesso ci si dimentica di come queste interazioni debbano avvenire nel mondo concreto, e non in un mondo virtuale.
Ciò non implica che il mondo digitale sia negativo e da evitare a tutti i costi: in moltissimi casi (come appunto in questa quarantena) è risultato uno strumento importantissimo, se non fondamentale, per moltissimi scopi, come il poter restare in contatto con chiunque si voglia quando non si ha la possibilità si vederlo di persona.
Da tutti i periodi negativi si riescono a trarre degli insegnamenti assolutamente necessari, che in realtà sono quasi dei promemoria, un richiamo di un concetto che dentro di noi già esisteva ma a cui non avevamo mai dato particolare importanza. Ecco, in questo caso quello che spero che rimanga dalla quarantena è che la tecnologia deve rimanere un mezzo, e assolutamente mai un fine, nelle relazioni personali e che in nessun modo può e potrà mai sostituire le medesime esperienze fatte nella vita reale.
Mattia Chiarle
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realedigitale · 5 years ago
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L’impatto etico della guida autonoma
Oramai gli abitacoli delle auto moderne stanno diventando sempre più una conquista da parte dei monitor, il posto riservato al tachimetro, contagiri  o qualsivoglia strumento di tipo “meccanico” sta lasciando il posto ai nuovi modelli digitalizzati, ma quali potrebbero essere le conseguenze di queste espansioni digitali sul mondo reale?
Nel 2018 una pioniera e leader nelle innovazioni di intelligenza artificiale conversazionale, la Nuance Communications Inc, ha presentato i progressi fatti in merito a innovazioni presenti nella piattaforma automobilistica che prende il nome di Dragon drive ,la quale sarebbe in grado di comprendere il tono di voce, le emozioni, il movimento degli occhi e della testa del conducente e dei passeggeri a bordo, rendendo l’esperienza della guida interamente umanizzata oltre che sempre più autonoma.
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logo della Nuance Communications; fonte: Wikipedia Commons, autore: Nuance Communications 
Come tante altre tecnologie anche nella guida autonoma sono nati non pochi dilemmi morali, mostrando il complesso impatto che il digitale può avere sul reale (il che non sempre è da considerarsi positivo). Il dipartimento di biologia dell’evoluzione umana di Harvard e il dipartimento di psicologia dell’università della British Columbia  e della scuola di economia di Tolosa hanno condotto nel 2018 il più grande sondaggio mai effettuato sull'etica decisionale di un’intelligenza artificiale alla guida di un’auto; i risultati ottenuti hanno dato una risposta che in realtà noi tutti in fondo conoscevamo già, ovvero che i principi morali degli uomini non sono universali, ma variano in base alla cultura, alla provenienza e alle condizioni economiche.
Molte menti si sono appassionate a questo dibattito “moderno” (utilizzo questo termine perché in realtà sono dilemmi nati proprio con l’avvento delle nuove tecnologie), tra cui il divulgatore inglese di scienza e filosofia David Edmonds autore di “uccideresti l’uomo grasso? Il dilemma etico del mal minore” o il celebre autore di “io Robot” Isaac Asimov.
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immagine di Isaac Asimov; fonte: Wikipedia Commons, autore: Phillip Leonian
È incredibile come tecnologie digitali create proprio per semplificare il mondo reale possano metterlo così tanto in crisi. Non è per nulla semplice decidere quale corrente di pensiero seguire per programmare i software di queste auto a guida autonoma, questo lo sa molto bene Nicholas G. Evans, assistente di filosofia alla Mass Lowell University che insieme al suo team cerca di tradurre in forma di software i principi e le regole che guideranno i processi decisionali delle auto: quest’ultimo nel 2019 partecipando ad un’ intervista spiegò i possibili scenari estremi che un’auto potrebbe incontrare e disse:
“pensate a due scenari, dove in entrambi i casi si possano salvare lo stesso numero di vite, ma non le stesse persone”                 
Ad esempio decidere tra un uomo e una donna: chi potrebbe dire di conoscere la risposta a questo quesito? Chi saprebbe con certezza quale decisione dovrebbe prendere l’auto? Queste e molte altre domande sono solo dei tasselli di un mondo a noi ancora ignoto, un mondo reale ma intrinseco di digitale.
Emilia Toro
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realedigitale · 5 years ago
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Arte: tra tradizione e innovazione
Andando avanti con gli anni il mondo continua ad evolversi e a digitalizzarsi, i computer sono dappertutto, fanno lavori che fino a qualche decennio fa non esistevano e hanno creato nuove figure professionali apposite alla costruzione e manutenzione di essi. 
La stessa arte, così vicina alla sensibilità umana, si sta a mano a mano digitalizzando sempre di più, soprattutto in questo periodo di quarantena in cui le persone sono costrette a stare a casa e luoghi come mostre e musei, anche essi costretti al lockdown, cercano nuove soluzioni per far sì che collezionisti, turisti e appassionati possano usufruire di opere e collezioni d’arte da casa propria.
La stessa Google ha sviluppato delle modalità come “Google Arts & Culture” dove è possibile “visitare” siti culturali di ogni genere ,tra cui le grandi collezioni di musei prestigiosi come “La galleria degli Uffizi” e il “Musee D’Orsay” e anche delle piccole pinacoteche vicino casa tua grazie alla funzione “Qui vicino”, che apre una versione di “Google Maps” dove sono segnati geograficamente tutti i piccoli e grandi musei nel mondo e ne mostra le meraviglie che contengono. Le opere, inoltre, sono accompagnate da descrizioni storiche e tecniche che stimolano l’interesse degli appassionati che possono usufruirne comodamente dal proprio divano.
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Logo di “Google Arts & Culture” ; fonte: Wikimedia Commons; autore: Google
Anche sui social media vengono sponsorizzati dei tour digitali come quelli che offre la startup “Art Basel” la quale, prima della pandemia, organizzava ogni anno una fiera di arte moderna e contemporanea a Basilea che raccoglieva artisti internazionali e ogni tipo di espressione artistica. Il lockdown ha significato il rinvio dell’evento e l’anticipo del lancio del loro nuovo progetto delle sale di osservazione online per supportare le gallerie e gli artisti che si sarebbero dovuti esporre nella fiera di quest’anno ad Hong Kong. La start-up ha deciso di anticipare i tempi e creare delle vere e proprie sale virtuali che danno la possibilità di visitare le opere che saranno poi esposte a settembre.
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“Institute of Intimate Museums/Viewer Outside” di Kenji Sugiyama ,mostra “Art Basel” nel 2012 a Basilea; fonte: Flickr; autore: Dennis Yang
Ma quale sarà il piano dopo la quarantena? Questo sviluppo digitale si fermerà o continuerà ad evolversi?
Già da prima della quarantena esistevano e sono sempre più frequenti nuove realtà che sperimentano strategie innovative per ampliare la loro visione digitale, alcune di queste hanno iniziato ad incentrarsi solo su questo aspetto così creando nuove attività multimediali.
Ad esempio, nel 2017 si è tenuta nel Palazzo Corvaja a Taormina una mostra multimediale del pittore olandese Vincent Van Gogh dove non erano presenti quadri fisici ma solo degli schermi che proiettavano le opere più famose dell’artista con delle casse accanto che spiegano le caratteristiche dell’opere. Il percorso è terminato con un’esperienza fatta con il visore per la realtà aumentata che permette al visitatore di immergersi a 360 gradi nel dipinto che perde la sua “istantaneità” e acquisisce una nuova prospettiva, quella tridimensionale, che lo rende quasi reale.
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“Notte stellata sul Rodano” di Vincent Van Gogh (1888); a sinistra: opera originale conservata al “Musee D’Orsay” di Parigi, a destra: proiezione su un telone al “Van Gogh Multimedia Experience” a Taormina; scatto personale
Ma a che costo? Quale sarà il futuro dei musei e delle opere fisiche? Saranno ancora apprezzate quanto lo sono adesso o saranno rimpiazzate da schermi luminescenti che le replicano?
Per ora le attività digitali sono di accompagnamento e arricchimento dell’opera ma la tecnologia è anche un espediente per gli artisti stessi, perché li aiuta a creare nuovi modi per dare sfogo alla propria creatività, rendendola dinamica e interattiva.
Proprio come fece l’artista Andy Warhol che, oltre ad essere stato il più grande esponente della pop art, si occupò di “digital art”. Un esempio è il ritratto di Debbie Harry, cantante della band newyorkese “Blondie”, creato partendo da una foto che è stata modificata con un software dedicato all’elaborazione di immagini nel “Commodore Amiga 1000”, uno dei primi computer in circolazione. Da qui nasce una delle opere più famose dell’artista, un ritratto digitalizzato della cantante con i colori accesi e vivaci che caratterizzano le sue opere.
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Parete del “Museum of Modern Arts” a San Francisco, California; il quadro del centro a destra è il ritratto di “Debbie Harry” di Andy Warhol; fonte Flickr; autore: torbakhopper.
Chiara Tomaselli
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realedigitale · 5 years ago
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Il consumismo della fotografia
Nonostante la fotografia richieda necessariamente l’uso della tecnologia per essere realizzata, ho ritenuto comunque rilevante il profondo cambiamento del modo di intenderla, il quale è collegato all’innovazione tecnologica che stiamo vedendo negli ultimi anni. Si può quindi distinguere tra un’epoca in cui la fotografia era considerata come un qualcosa di fisico, strettamente legata al mondo reale, e una in cui invece la sua fruizione è diventata quasi esclusivamente digitale.
La prima fotografia mai realizzata risale al 1816, anno in cui Niépce riuscì a immortalare un angolo del suo studio su un foglio di cloruro d’argento. Tuttavia, la prima immagine che possa essere definita tale fu ottenuta nel 1826.
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La prima fotografia mai realizzata. Fonte: Wikipedia Commons, autore:  Joseph Nicéphore Niépce  
Anche se infatti risulta difficile immaginarlo, inizialmente immortalare immagini era tutt’altro che immediato: per realizzare le prime fotografie in questi anni infatti erano necessarie ben 8 ore di posa, numeri assurdi se confrontati con l’istantaneità a cui siamo abituati oggi.
Pochi anni dopo nacque quindi il dagherrotipo grazie agli studi di Niépce e Daguerre, ma la vera svolta avvenne nel 1888: se prima infatti c’era un monopolio da parte di studi fotografici e poche altre persone (in quanto i macchinari erano costosi e le tecniche complesse, dedicate esclusivamente a immortalare paesaggi), in quest’anno Kodak introdusse la prima macchina fotografica portatile.
L’innovazione straordinaria di questo dispositivo era la possibilità di separare le varie fasi della realizzazione dell’immagine (ovvero scatto e sviluppo) e soprattutto i costi molto contenuti: lo sviluppo di 100 immagini (la capienza di un rullino) costava solo 10 dollari, mentre la macchina (la Box Kodak) solo 25 dollari! Inoltre, a partire dallo stesso rullino si potevano realizzare più copie delle stesse immagini.
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Un’immagine della Box Kodak; il nome Box deriva proprio dal formato della fotocamera. Fonte: Wikimedia commons, autore: Bronger
Per vedere il successivo grande salto generazionale bisogna aspettare il 1948, anno in cui viene commercializzata la Polaroid 95, il primo esemplare di macchina fotografica istantanea. Questa tecnologia nasce dalla volontà di poter vedere gli scatti poco dopo averli realizzati. La qualità era ovviamente inferiore, ma ciò ha permesso di andare in una direzione sempre più simile a quella odierna.
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La Polaroid 95, la prima macchina fotografica istantanea della storia. Fonte: Wikimedia commons, autore: OppidumNissenae  
Infine, l’ultima rivoluzione è stata l’introduzione della fotografia digitale nel 1975, anno in cui un ricercatore della Kodak, Steven Sasson, riuscì a realizzare un prototipo che registrava le immagini su cassetta a una risoluzione di 0.01 megapixel. Questa tecnologia venne quindi commercializzata nel 1981 con la Sony Mavica FD5. In poco più di 20 anni le macchine fotografiche digitali sono state progressivamente soppiantate dagli smartphone, diventando quindi sempre meno diffuse.
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La Sony Mavica FD5; come si può notare dall’adesivo, le immagini venivano salvate su un floppy disk. Fonte: Flickr, autore: Dave Jones 
Al giorno d’oggi stiamo assistendo a un vero e proprio consumismo nell’ambito fotografico grazie all’immediatezza nella realizzazione di immagini, snaturando (o forse semplicemente evolvendo) la sua definizione originale. I social network sono un emblema di ciò, in quanto spesso le fotografie vengono realizzate per farle vedere agli altri e non per essere conservate privatamente come ricordi di momenti felici.
E forse è proprio questo il motivo per cui oggi sta tornando di moda una concezione più vintage della fotografia, con una rinnovata diffusione di macchine istantanee e un ritorno di fiamma per le affascinanti macchine a rullino, forse una sorta di ribellione implicita e silente delle persone più legate alla concezione originale, contrarie allo “smercio” di immagini buttate in pasto ai social e al web.
Concludo con uno spunto di riflessione: la fotografia digitale ha quindi effettivamente migliorato la concezione della fotografia e la loro fruizione, oppure è stata una di quelle tecnologie introdotte solo per amore del progresso che l’hanno danneggiata, rendendola semplicemente una merce come molte altre e privandola di ogni significato affettivo e personale a essa collegata? L’attesa dello sviluppo e l’incertezza sul risultato della fotografia erano veramente un danno e un fastidio da eliminare o forse erano l’essenza stessa della fotografia?
Mattia Chiarle
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realedigitale · 5 years ago
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La mia prima esperienza con l’immenso mondo del digitale
 È ormai evidente come il progresso digitale abbia influito profondamente sulle vite di tutti noi; è impensabile oggigiorno andare a cercare in un’enciclopedia per comprendere un concetto a noi non familiare, così come lo è utilizzare una lettera per scrivere ad un amico lontano, mi sono sempre chiesta come sia stato possibile un tale abbandono drastico nei confronti di tutte le “vecchie” abitudini, e in realtà la risposta risiede proprio nel concetto di velocità del mondo digitale, la stessa velocità che ha sempre affascinato anche me sin dalla giovanissima età.   
Facendo parte della generazione 2000, la cosiddetta “digitale”, crescendo sono stata letteralmente immersa in questo mondo; sin da bambina non sono mai stata indifferente nei confronti del fascino del mio vecchio, ma ai tempi modernissimo, computer Asus, mi elettrizzavano le funzionalità, infatti passavo ore su paint e sulla calcolatrice (sì, esatto: la calcolatrice), non riuscivo a capire come potesse fare calcoli complicatissimi in microsecondi, tant’è che la mettevo alla prova costantemente attraverso operazioni e speravo ogni volta con tutta me stessa che sbagliasse e quando accadeva, in realtà, controllando meglio, avevo sbagliato io.
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logo di Asus; fonte: Wikipedia Commons , autore: AsusTek computer Inc
Il non comprendere determinati funzionamenti mi spingeva a cercare di sviscerare il computer, ricordo che andavo sul caro vecchio “start”, un tempo verde, che era collocato in basso a sinistra e aprivo letteralmente tutte le cartelle presenti, ed è stato proprio cercando tra quest’ultime che mi imbattei in encarta kids: da quel momento abbandonai la calcolatrice e mi immersi in questa enciclopedia che rubava intere ore alle mie giornate.
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esempio del logo (in questo caso Wikipedia) di un’enciclopedia; fonte: Wikipedia Commons, autore: Nohat 
Ai tempi ero solo una bambina, non avevo neanche lontanamente immaginato che quella misteriosa scatola potesse in qualche modo connettermi col mondo esterno, era impensabile, probabilmente se non avessi avuto una sorella maggiore (in piena adolescenza) avrei capito molto più tardi l’immenso mondo di internet e soprattutto dei social network. Nel 2009 tra gli adolescenti andava molto di moda un portale web della Microsoft, MSN, e più nello specifico messenger (come dimenticare le imbarazzanti email nate proprio a causa sua), feci anch’io un profilo che rimase per lo più inattivo, ma esso rappresenta il mio primo approccio con i social.
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logo di messenger; fonte: Wikipedia Commons, autore: The Oxygen Team
Io e il mio compagno di avventura, il computer, in realtà non ci siamo mai separati, era ed è (essendo tutt'ora perfettamente funzionante) uno dei primi prototipi messi in commercio a schermo piatto (il che lo rendeva ancora più stupefacente ai miei occhi).
Nel corso degli anni ho utilizzato per lo più laptop, ma il computer fisso rimaneva una certezza, era ed è lì da 11 anni, mi ha vista crescere ed è incredibile come possa provare un senso di sconforto nel pensare che un giorno non si accenderà più.
Concludo il racconto della mia prima esperienza con il mondo digitale, sperando di aver acceso in voi il ricordo del  vostro primo approccio.
Un saluto
Emilia Toro
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realedigitale · 5 years ago
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Un approccio offline
Il mio primo contatto con il mondo digitale è stato in realtà molto particolare e anticonvenzionale: mentre leggevo i post degli studenti degli anni passati mi sono infatti rapidamente reso conto che, per la maggior parte delle persone, l’approccio a questa nuova tecnologia è collegato all’avvento delle connessioni internet, più o meno avanzate, nelle loro case. Io tuttavia, sia per cause anagrafiche sia per le mie esperienze personali, non associo questi due concetti, in quanto le prime operazioni che ho effettuato con un computer sono state principalmente legate all’uso di Word.
Nei miei primi ricordi d’infanzia mio padre lavorava già in America (dove tutt’ora vive); Skype era diventato quindi un software essenziale nella mia quotidianità, sebbene non sapessi usarlo. Tutto quello che capivo era infatti che attraverso questo strumento, un vecchio computer fisso con annesso monitor, riuscivo a vederlo e a sentirlo, nonostante fosse a centinaia di chilometri di distanza. Durante le mie giornate gli scrivevo quindi delle lettere o gli facevo dei disegni che poi, grazie all’aiuto di mia madre, avrei scansionato e mandato via mail.
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 Una delle lettere scansionate
La caratteristica che più mi stupiva e emozionava di questa tecnologia era la velocità della trasmissione dei dati: nonostante le connessioni non fossero neanche lontanamente paragonabili a quelle attuali, riuscivo tuttavia a mandargli in pochi minuti le mie lettere e perfino a giocare a scacchi con lui attraverso la piattaforma “chess-mail” Non appena tornato da scuola, il mio pensiero andava subito al computer, che, una volta acceso, mi avrebbe permesso di effettuare la mia mossa giornaliera per poi aspettare pazientemente il giorno successivo per vedere quali danni avevo fatto. 
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Il vecchio logo di Skype; foto di keiner, da kein Werk presa da Wikipedia Commons  
Tuttavia, come ho anticipato, il mio primo utilizzo personale è stato offline: amavo scrivere delle brevi storie (spesso insensate) di poche righe su personaggi di mia fantasia e, soprattutto, annotare con cura maniacale l’elenco dei libri che avevo letto nel corso dell’anno. Chiunque mi conosca si stupirebbe nel sentire che fin da piccolo non smanettavo su internet, ma in realtà ero molto più legato al mondo analogico che a quello digitale, anche grazie al fatto che i miei genitori non mi hanno permesso di avere un telefono e nessun social media fino all’inizio delle superiori. 
Non sono quindi cresciuto considerando il web come un mezzo per socializzare e comunicare con i miei amici, ma, al contrario, vedendolo quasi esclusivamente come un’enciclopedia infinita, che mi permetteva di approfondire tutti gli ambiti che mi interessavano maggiormente con una facilità e un’immediatezza che fino a pochi anni prima erano assolutamente inimmaginabili.
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Il logo di Wikipedia, l’enciclopedia libera più conosciuta sul web; foto di Angelus presa da Wikipedia
Si evince facilmente quindi che sono sempre stato più osservatore che attore, e ciò mi ha permesso di forgiare il mio profilo di utilizzatore di internet con caratteristiche che tuttora mi descrivono. Mi considero infatti un “onnivoro” del web, in quanto sono caratterizzato da una profonda curiosità nel cercare informazioni su qualunque argomento, a partire dalle ultime novità del mondo tecnologico fino agli ambiti che più ci riguardano nel quotidiano (e per questo spesso monotoni e noiosi). 
Nonostante sia considerato da molti un fastidio, io al contrario mi diverto nel cercare programmi, offerte o metodi alternativi e più efficienti che permettano di semplificare e ottimizzare la tecnologia nella mia vita.
Mattia Chiarle
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