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#1453 la caduta di costantinopoli
istanbulperitaliani · 4 months
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L'eroe dell'assedio di Costantinopoli del 1453
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Il condottiero genovese Giovanni Giustiniani Longo (1418-1453) fu uno dei principali comandanti cristiani che si mosse per la difesa di Costantinopoli contro l'esercito ottomano guidato dal sultano Mehmet II.
Giustiniani disponeva di una forza di circa 700 soldati, principalmente arcieri e fanti armati con balestre e armi da taglio. La loro presenza rafforzò significativamente le difese della città. Le abilità tattiche di Giustiniani e la disciplina dei suoi uomini furono evidenti durante l'assedio. Riuscirono a resistere all'assalto ottomano in diverse occasioni, infliggendo pesanti perdite all'esercito nemico e dimostrando grande coraggio e determinazione.
Tuttavia, nonostante gli sforzi eroici le soverchianti forze ottomane riuscirono a superare le mura della città il 29 maggio 1453. Durante l'ultima fase dell'assedio, Giustiniani fu gravemente ferito e costretto a ritirarsi dalle linee difensive, il che indebolì ulteriormente la resistenza dei difensori. Il condottiero morì qualche giorno dopo sull'isola di Chio. La sua figura rimane un simbolo di coraggio e resistenza nell'ambito di uno degli eventi più significativi del Medioevo.
Foto: Autoproduzione digitale in AI realizzata il 25/01/2024 by Istanbulperitaliani.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti
L'ESIGENZA DEL SACRO
"Beato Angelico", strana figura di artista, tra il rivoluzionario Masaccio e l'ineguagliabile Piero della Francesca. Nella scia del primo, precorre il secondo. Perde le tracce del tardo gotico nella rivelazione della forma plastica data dal chiaroscuro. Eppure, la luce che irradia sulle sue figure indica un'esigenza incombente. Vive anni di estremo conflitto religioso: la fine della "cattività avignonese" sfocia nel "Grande Scisma". Poi, gli estremismi conciliari che provocarono il "Piccolo Scisma" nel tempo dei tentativi di riunificazione delle Chiese d'Occidente e d'Oriente. Cambiamenti radicali che assegnano nuovi confini alla visione del mondo, infine sanciti nel 1453 con la caduta di Costantinopoli. Può udire le voci di Nicola Cusano e di Leon Battista Alberti. È uomo di fede. Appartiene all'ordine domenicano: sente la lezione di Tommaso d'Aquino e quella di Meister Eckhart. Questo il crogiolo rovente nel quale agisce. I suoi testi pittorici divengono espressione di un'esigenza mistica: l'ineffabilità di Dio è compensata dal sentimento del sacro. La matrice originaria della pittura occidentale, il fondo dorato dell'icona, lo induce a mantenere uno sguardo incantato su quell'alterità che non appartiene alla dimensione umana. Alterità che è distacco preminente dalla mondanità, caotica e conflittuale. Non vi può rinunciare: è una scelta. Schietta. La sua vena artistica appartiene a quella scelta. Nella quale, per coerente necessità, è escluso ogni dramma. Per queste ragioni, rimane confinato in un passato ideale. Ma l'esigenza del sacro, inteso come figura di pensiero, è rimasta desiderio irriducibile, capace ancora di percorrere, sotto altre forme o tentativi di forma, la pittura contemporanea.
- Beato Angelico, Fra' Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro (1395 - 1455): "Pala di Fiesole", predella, particolare (Tutti i Santi), 1424 - 1425, Chiesa di San Domenico, Fiesole (Firenze) - In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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diceriadelluntore · 2 years
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Medioevo?
Il giorno dopo l’insediamento del nuovo governo, uno dei meme più gettonati richiamava un ritorno a pratiche medioevali, sospettando l’avanzata o il ritorno di istanze che definire a volte conservatrici è un eufemismo. Se da una parte le prime avvisaglie, soprattutto sui diritti civili, sembrano dar ragione a chi lo temeva, c’è una precisazione che voglio fare, uno spezzare la lancia sul termine di paragone per definire queste svolte retrograde: il Medioevo.
Una premessa fondamentale: per ogni periodo storico è facile cadere nel tranello di immaginare il passato “con gli occhi del presente”. Voglio dire che un abitante di, per dire, Tallin del 1027 d.C. (o come va di moda adesso, e.v., che sta per era volgare), non sapeva certo di essere nel Medioevo: viveva essenzialmente il suo tempo, la sua cultura, le sue abitudini, e in base alla sua brillantezza intellettuale, ne seguiva i cambiamenti. Se può sembrare un’ovvietà, basta aprire libri di storia famosi per scoprire che è invece il metodo di critica a ogni periodo storico passato.
Orbene, il Medioevo è un periodo storico lunghissimo, per convenzione si fa coincidere, per noi europei, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476, anno in cui Odoacre, generale probabilmente di origini unne, depose il piccolo imperatore Romolo Augusto fino ad avvenimenti del 1400: per alcune correnti storiografiche, con il viaggio di Colombo nelle Indie, che sappiamo benissimo fossero altro, nel 1492, oppure con la presa di Costantinopoli degli Ottomani, nel 1453, oppure la fine della Guerra dei Cento Anni, che finì nello stesso anno, e che era durata più del suo nome, 116 anni dal 1337 quasi ininterrottamente.
Qualsiasi sia l’episodio prescelto, sin dal periodo successivo, che ricordo sancisce per convenzione la fine della Storia Antica e l’inizio della Storia Moderna, ci fu un immotivato perseguimento di questi secoli: periodi bui, fatti di superstizioni, potere oppressivo della chiesa, caduta di valori umani, regresso tecnologico, politico e morale. Il culmine si ebbe nell’Illuminismo, soprattutto con la Scuola Scozzese, che prefigurando la Storia Umana come un continuo progresso, non poteva che vedere con disgusto quei secoli fatti di arretratezza. Tant’è vero che ancora oggi “medioevale” vale all'antica, (scherz.) antidiluviano, antiquato, arretrato, da medioevo, retrivo, retrogrado, sorpassato, superato (voce “medioevale”, Vocabolario dei Sinonimi e Contrari Treccani).
Tolti gli specchi deformanti, definizione questa di un grande storico europeo, Joseph Fontana, si scoprono che girano infinite balle su questo periodo, che come molte balle sono dure a morire. Dal Terrore dell’anno Mille, inesistente poichè la datazione dei coevi non veniva “codificata” come avviene oggi, e seguiva per dire gli anni di Regno del Monarca, oppure sul mitico ius prime noctis, definizione che non esiste in nessun documento dell’epoca, tranne, parola del mitico professor Barbero, in un documento della diocesi di Amies, dove veniva definita così la gabella che una giovane coppia dava al vescovo, in segno di benedizione, quando andava ad abitare una nuova casa; oppure la tortura come pratica “condivisa” per estorcere confessioni, pratica tra l’altro regolamentata nel 1215 da una bolla papale di Innocenzo III, che ne aboliva la benedizione. Si continuò a seguire il diritto romano e le prime decisive concessioni in senso “democratico” avvennero in questi periodi, si pensi alla Magna Charta libertatum, del 1215, documento che doveva garantire la tutela dei diritti della chiesa, la protezione dei civili dalla detenzione ingiustificata, offrire una rapida giustizia e limitare i diritti di tassazione feudali del Re d’Inghilterra, che pochi ricordano però fu disattesa da tutte le parti in causa (Corona, Nobiltà e clero) tanto che lo stesso Innocenzo III di cui sopra la abolì, facendo precipitare il paese nella prima guerra dei baroni. Non si era più sporchi che nei secoli successivi, nemmeno più stupidi e creduloni, e il ruolo degli intellettuali era libero, perfino in senso contemporaneo, al netto delle conoscenze e dei valori etici del periodo. Secondo Fontana, e questa cosa è stupefacente, si uccisero più donne di stregoneria nel 1700 che nel 1200, e l’ultima donna arsa viva al rogo ebbe supplizio in Svezia nel 1786, tre anni prima della Rivoluzione Francese. E persino la diceria che fossero terrapiattisti è del tutto fuorviante, dato che uno dei libri più letti, studiati e copiati di tutto il periodo fu il Tractatus de sphaera opera fondamentale di Giovanni Sacrobosco (che in realtà era inglese, John Of Holywood) che riprendendo i trattati tolemaici illustrava la sfericità della Terra. E basta pensare a Dante, alla nascita delle Università (Bologna, la Scuola Medica Salernitana simbolo anche di tolleranza religiosa, Parigi, Padova, Napoli e tante altre in tutta Europa), all’arte gotica, ad una cattedrale di quel periodo per comprenderne la grandissima tecnica e abilità di calcolo, di ingegneria e di architettura. Oppure una copia di un manoscritto o una miniatura di abbazia. 
Chiudo con una provocazione: uno dei simboli del periodo era la gogna, strumento punitivo, di contenzione, di controllo, di tortura. Propriamente era un collare di ferro, fissato a una colonna per mezzo di una catena, che esponeva i condannati alla berlina: la berlina era una tavola, o lo stesso palo dove veniva legata la gogna, dove era mostrato al pubblico chi aveva commesso il reato. Va detto che come mezzo di punizione, ha avuto vita ben più lunga di qualsiasi pratica medioevale: quasi del tutto scomparsa solo nel XIX secolo, in alcuni paesi ancora oggi è utilizzata. Se non fisicamente, vale la sua variante contemporanea attraverso non la colonna o la catena, ma l’esposizione mediatica. Esempio lampante è il caso sollevato dalla trasmissione televisiva Le Iene, riguardo una relazione virtuale sentimentale tra un 24enne di Forlì e una certa Irene, in realtà un uomo di 64 anni di Forlimpopoli che per oltre un anno ha condiviso messaggi con lui, con il doppio suicidio del 24enne, una volta scoperto l’inganno, e del 64enne, dopo che la trasmissione lo aveva rintracciato e filmato in un servizio del programma. Nelle gogne medioevali, i condannati venivano messi al pubblico ludibrio solo a condanna avvenuta, e duravano poche ore: oltre a lanciargli cose, tra cui i liquami dei pozzi neri (da cui nascono tutte le locuzioni sul tema), pratica comune era fargli il solletico (a Canelli in provincia di Asti, durante la rievocazione storica dell’Assedio alla città del 1613, c’è la riproposizione in chiave umoristica e folkloristica della gogna del solletico).
 Siamo forse meglio di loro a questo punto?
Nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora. Alessandro Barbero
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose.
Il tardo Impero e il vino germanico
Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi.
L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante.
I Barbari
I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito.
La Chiesa e il suo rapporto con il vino
Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare.
I Carolingi e il vino
Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino.
Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi.
Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano per la scarsa alcolicità. Strade non agibili ed i contenitori inidonei facevano il resto, cioè rendevano il vino imbevibile. Nel Medioevo si ha un grande arretramento delle tecniche di vinificazione. I vini non venivano più invecchiati bensì bevuti subito e quelli che risultavano troppo acidi ed astringenti subivano il trattamento con il miele e spezie.
I vini Italiani e medioevo
In Italia i vini che si diffusero nella parte Centrosettentrionale furono il Trebbiano della Toscana e delle Marche, la Vernaccia ligure e la schiava della Valle del Po che rendevano i vini Italiani già quella volta i più nobili.
Nel XIV secolo si verificò una glaciazione ,che fece notevolissimi danni ai raccolti. La carestia e la peste completarono l’opera di distruzione della vite ed un’ ulteriore decadimento della viticoltura.
Scoperta dell’America e le malattie della vite
La scoperta dell’America nel 1492 provocò un ulteriore danno alla vite. Da questo nuovo continente giunsero l’Oidio, la Peronospora, la filossera, questi tre flagelli fecero enormi danni. La viticoltura francese subì grandissimi danni, per combattere l’Oidio si adoperò lo zolfo, per la Peronospora si usò rame e calce, invece per la Filossera si decise d’innestare su radici Americane resistenti all’afide, centrando lo scopo di rendere l’intera pianta forte.
Le prime bottiglie di vino
Verso la fine del XVII secolo vennero adoperate le prime bottiglie in vetro per la conservazione ed il trasporto del vino (fino ad allora le bottiglie venivano usate come caraffe).  Unitamente all’invenzione od all’uso del tappo dal sughero sempre in questa epoca nacque un nuovo tipo di vino (champagne). Fu eliminata l’esclusiva delle botti e il trasporto era molto più facilitato attraverso l’ introduzione delle bottiglie di vino.
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mantruffles · 1 year
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose.
Il tardo Impero e il vino germanico
Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi.
L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante.
I Barbari
I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito.
La Chiesa e il suo rapporto con il vino
Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare.
I Carolingi e il vino
Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino.
Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi.
Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano per la scarsa alcolicità. Strade non agibili ed i contenitori inidonei facevano il resto, cioè rendevano il vino imbevibile. Nel Medioevo si ha un grande arretramento delle tecniche di vinificazione. I vini non venivano più invecchiati bensì bevuti subito e quelli che risultavano troppo acidi ed astringenti subivano il trattamento con il miele e spezie.
I vini Italiani e medioevo
In Italia i vini che si diffusero nella parte Centrosettentrionale furono il Trebbiano della Toscana e delle Marche, la Vernaccia ligure e la schiava della Valle del Po che rendevano i vini Italiani già quella volta i più nobili.
Nel XIV secolo si verificò una glaciazione ,che fece notevolissimi danni ai raccolti. La carestia e la peste completarono l’opera di distruzione della vite ed un’ ulteriore decadimento della viticoltura.
Scoperta dell’America e le malattie della vite
La scoperta dell’America nel 1492 provocò un ulteriore danno alla vite. Da questo nuovo continente giunsero l’Oidio, la Peronospora, la filossera, questi tre flagelli fecero enormi danni. La viticoltura francese subì grandissimi danni, per combattere l’Oidio si adoperò lo zolfo, per la Peronospora si usò rame e calce, invece per la Filossera si decise d’innestare su radici Americane resistenti all’afide, centrando lo scopo di rendere l’intera pianta forte.
Le prime bottiglie di vino
Verso la fine del XVII secolo vennero adoperate le prime bottiglie in vetro per la conservazione ed il trasporto del vino (fino ad allora le bottiglie venivano usate come caraffe).  Unitamente all’invenzione od all’uso del tappo dal sughero sempre in questa epoca nacque un nuovo tipo di vino (champagne). Fu eliminata l’esclusiva delle botti e il trasporto era molto più facilitato attraverso l’ introduzione delle bottiglie di vino.
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blissful-moontrip · 1 year
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose.
Il tardo Impero e il vino germanico
Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi.
L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante.
I Barbari
I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito.
La Chiesa e il suo rapporto con il vino
Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare.
I Carolingi e il vino
Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino.
Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi.
Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano per la scarsa alcolicità. Strade non agibili ed i contenitori inidonei facevano il resto, cioè rendevano il vino imbevibile. Nel Medioevo si ha un grande arretramento delle tecniche di vinificazione. I vini non venivano più invecchiati bensì bevuti subito e quelli che risultavano troppo acidi ed astringenti subivano il trattamento con il miele e spezie.
I vini Italiani e medioevo
In Italia i vini che si diffusero nella parte Centrosettentrionale furono il Trebbiano della Toscana e delle Marche, la Vernaccia ligure e la schiava della Valle del Po che rendevano i vini Italiani già quella volta i più nobili.
Nel XIV secolo si verificò una glaciazione ,che fece notevolissimi danni ai raccolti. La carestia e la peste completarono l’opera di distruzione della vite ed un’ ulteriore decadimento della viticoltura.
Scoperta dell’America e le malattie della vite
La scoperta dell’America nel 1492 provocò un ulteriore danno alla vite. Da questo nuovo continente giunsero l’Oidio, la Peronospora, la filossera, questi tre flagelli fecero enormi danni. La viticoltura francese subì grandissimi danni, per combattere l’Oidio si adoperò lo zolfo, per la Peronospora si usò rame e calce, invece per la Filossera si decise d’innestare su radici Americane resistenti all’afide, centrando lo scopo di rendere l’intera pianta forte.
Le prime bottiglie di vino
Verso la fine del XVII secolo vennero adoperate le prime bottiglie in vetro per la conservazione ed il trasporto del vino (fino ad allora le bottiglie venivano usate come caraffe).  Unitamente all’invenzione od all’uso del tappo dal sughero sempre in questa epoca nacque un nuovo tipo di vino (champagne). Fu eliminata l’esclusiva delle botti e il trasporto era molto più facilitato attraverso l’ introduzione delle bottiglie di vino.
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danni-phantom · 1 year
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
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Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose. Il tardo Impero e il vino germanico Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi. L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante. I Barbari I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito. La Chiesa e il suo rapporto con il vino Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare. I Carolingi e il vino Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino. Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi. Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano … Leggi tutto
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captainvegas · 1 year
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose.
Il tardo Impero e il vino germanico
Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi.
L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante.
I Barbari
I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito.
La Chiesa e il suo rapporto con il vino
Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare.
I Carolingi e il vino
Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino.
Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi.
Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano per la scarsa alcolicità. Strade non agibili ed i contenitori inidonei facevano il resto, cioè rendevano il vino imbevibile. Nel Medioevo si ha un grande arretramento delle tecniche di vinificazione. I vini non venivano più invecchiati bensì bevuti subito e quelli che risultavano troppo acidi ed astringenti subivano il trattamento con il miele e spezie.
I vini Italiani e medioevo
In Italia i vini che si diffusero nella parte Centrosettentrionale furono il Trebbiano della Toscana e delle Marche, la Vernaccia ligure e la schiava della Valle del Po che rendevano i vini Italiani già quella volta i più nobili.
Nel XIV secolo si verificò una glaciazione ,che fece notevolissimi danni ai raccolti. La carestia e la peste completarono l’opera di distruzione della vite ed un’ ulteriore decadimento della viticoltura.
Scoperta dell’America e le malattie della vite
La scoperta dell’America nel 1492 provocò un ulteriore danno alla vite. Da questo nuovo continente giunsero l’Oidio, la Peronospora, la filossera, questi tre flagelli fecero enormi danni. La viticoltura francese subì grandissimi danni, per combattere l’Oidio si adoperò lo zolfo, per la Peronospora si usò rame e calce, invece per la Filossera si decise d’innestare su radici Americane resistenti all’afide, centrando lo scopo di rendere l’intera pianta forte.
Le prime bottiglie di vino
Verso la fine del XVII secolo vennero adoperate le prime bottiglie in vetro per la conservazione ed il trasporto del vino (fino ad allora le bottiglie venivano usate come caraffe).  Unitamente all’invenzione od all’uso del tappo dal sughero sempre in questa epoca nacque un nuovo tipo di vino (champagne). Fu eliminata l’esclusiva delle botti e il trasporto era molto più facilitato attraverso l’ introduzione delle bottiglie di vino.
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
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Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose. Il tardo Impero e il vino germanico Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi. L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante. I Barbari I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito. La Chiesa e il suo rapporto con il vino Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare. I Carolingi e il vino Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino. Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi. Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano … Leggi tutto
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mimwashere · 1 year
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
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Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose. Il tardo Impero e il vino germanico Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi. L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante. I Barbari I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito. La Chiesa e il suo rapporto con il vino Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare. I Carolingi e il vino Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino. Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi. Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano … Leggi tutto
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose.
Il tardo Impero e il vino germanico
Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi.
L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante.
I Barbari
I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito.
La Chiesa e il suo rapporto con il vino
Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare.
I Carolingi e il vino
Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino.
Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi.
Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano per la scarsa alcolicità. Strade non agibili ed i contenitori inidonei facevano il resto, cioè rendevano il vino imbevibile. Nel Medioevo si ha un grande arretramento delle tecniche di vinificazione. I vini non venivano più invecchiati bensì bevuti subito e quelli che risultavano troppo acidi ed astringenti subivano il trattamento con il miele e spezie.
I vini Italiani e medioevo
In Italia i vini che si diffusero nella parte Centrosettentrionale furono il Trebbiano della Toscana e delle Marche, la Vernaccia ligure e la schiava della Valle del Po che rendevano i vini Italiani già quella volta i più nobili.
Nel XIV secolo si verificò una glaciazione ,che fece notevolissimi danni ai raccolti. La carestia e la peste completarono l’opera di distruzione della vite ed un’ ulteriore decadimento della viticoltura.
Scoperta dell’America e le malattie della vite
La scoperta dell’America nel 1492 provocò un ulteriore danno alla vite. Da questo nuovo continente giunsero l’Oidio, la Peronospora, la filossera, questi tre flagelli fecero enormi danni. La viticoltura francese subì grandissimi danni, per combattere l’Oidio si adoperò lo zolfo, per la Peronospora si usò rame e calce, invece per la Filossera si decise d’innestare su radici Americane resistenti all’afide, centrando lo scopo di rendere l’intera pianta forte.
Le prime bottiglie di vino
Verso la fine del XVII secolo vennero adoperate le prime bottiglie in vetro per la conservazione ed il trasporto del vino (fino ad allora le bottiglie venivano usate come caraffe).  Unitamente all’invenzione od all’uso del tappo dal sughero sempre in questa epoca nacque un nuovo tipo di vino (champagne). Fu eliminata l’esclusiva delle botti e il trasporto era molto più facilitato attraverso l’ introduzione delle bottiglie di vino.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti 
LA REALTA' APPARENTE
Si può ancora oggi, discorrendo d’arte, essere platonici: ridurre la rappresentazione a imitazione di un’imitazione delle idee; oppure, considerare l’espressione artistica un accrescimento delle capacità di conoscenza del reale.  Non ho usato a caso le parole “rappresentazione” e “espressione”.  Platonicamente, la rappresentazione imita: la repraesentatio come ri-presentazione di un’immagine, re-ad-praesentare, rendere di nuovo presente.  Espressione, invece, è exprimere da cui deriva expressio che indica lo spremere, il fare uscire qualcosa da qualcos’altro. Dunque, imitare oppure trarre, trarre da sé, trarre rielaborando il fenomeno sensibile portandolo in una nuova forma alla percezione dei sensi, una forma che non è comune, che non è mera imitazione ma realtà nuova.  Il ritratto di una persona non è quella persona: è un’altra cosa, è un’altra essenza, è il percepito proposto in una nuova forma, è altro anche dall’oggetto imitato.  Lo stile diviene così il modo in cui un supporto (la tela) viene utilizzato per tracciare un segno originale.  Solo chi copia un dipinto imita: imita lo stile mediante la perfetta riproposizione di linee e colori.  Ma il dipinto originale non imita: è! L’atto artistico è pura creazione di una forma, ma è creazione intertestuale: è il pensiero dell’artista sulla figura divina della Madonna o del Cristo in croce, ma il pensiero dell’artista non è una tabula rasa poiché è costituito da una continua revisione della memoria di tutta la realtà percepibile attraverso i sensi.  Di qui lo stile che è unico.  E che si piega all’interazione comunicativa: atto creativo di un concetto sovrasensibile (l’immagine divina) in una forma comprensibile.  Poiché se chi scrive desidera farsi leggere, chi dipinge desidera farsi guardare. Ecco spiegata la ragione intrinseca di atto artistico attribuibile anche alle espressioni figurative vissute come banali (i rilievi dell’arte longobarda, l’altare di Rachis e molto altro) e che al contrario occorre definire sintetiche.  Quel sintetismo è coerenza espressiva: da una parte comunica l’essenziale e dall’altra satura ogni argomento sulla impossibile rappresentazione reale del soprasensibile. Se le cose stanno così, bisogna ammettere che il realismo pittorico e plastico altro non sono che il riflesso stilistico ed estetico di una lunga epoca, un’epoca che dalla fondazione della diffusa civiltà comunale in Italia e nelle aree più sviluppate del continente europeo, si è evoluta anche nelle forme artistiche e nel loro significato.  Quel significato che soggiace ad ogni segno e che non bisogna mai perdere di vista. L’atto artistico “significa” nello stesso momento in cui “è”. La ri-scoperta della prospettiva è dunque un fatto significativo oltre che di stile della rappresentazione.  Può risultare utile un esempio. Quando Piero della Francesca (1416 - 1492) dipinge “La flagellazione”, in una data incerta a cavallo del 1453, anno della caduta di Costantinopoli e dell’eclissi dell’Impero bizantino, non usa la prospettiva per un afflato geometrico ma per collocare due eventi distinti nello spazio pittorico, assegnando di riflesso all’organizzazione prospettica degli spazi un significato simbolico specifico.  A sinistra, la scena della flagellazione con Pilato vestito come l’imperatore bizantino – chiara comparazione concettuale tra le due figure, mentre il riferimento non è chiaro se possa essere attribuito a Giovanni VIII Paleologo oppure a suo figlio Costantino XI – mentre uno sconosciuto ripreso di spalle, vestito come un turco – forse è Maometto II, forse è suo padre Murad II che ad un passo dalla conquista di Costantinopoli decise di desistere - assiste alla scena ma accenna con la mano un gesto che potrebbe essere di clemenza ma che potrebbe anche connotarsi come atteggiamento di potere verso il Cristo (quindi verso il simbolo della cristianità rappresentata dalla città bizantina - sottoposto alle pene inflitte dai due carnefici.  La scena è posta a Gerusalemme, dunque è vissuta nel passato che si trasfigura nel presente attraverso una simbologia che non ha nulla da invidiare a quella rinomata medievale.  Una simbologia che si riafferma nella scena posta a destra nella quale, sullo sfondo di un paesaggio urbano, probabilmente italiano e visto di scorcio, tre figure sembrano assorte in una conversazione di alto profilo (citazione del tema delle conversazioni sacre): forse la metafora delle inutili discussioni in Occidente, a Ferrara e poi a Firenze, nel 1436, durante il Concilio che avrebbe dovuto sancire la riunificazione delle chiese scismatiche e la riedizione di una crociata per respingere gli ottomani e salvare Costantinopoli – simbolicamente anch’essa uno dei centri della cristianità in Oriente, area dove la fede era sorta – ovvero la trattativa tra un diplomatico di alto rango (a sinistra, forse il cardinale Bessarione) ed un “signore” italiano (siamo in un’epoca di dominatori combattenti nei novelli stati signorili italiani, da Federico di Montefeltro a Sigismondo Pandolfo Malatesta e Francesco Sforza, solo per citarne alcuni) che dovrebbe assumere il ruolo di difensore della cristianità.  In mezzo a loro, un giovane che sembra ascoltarli assorto, che ha lo sguardo lontano: forse il "Porfirogenito" (porta un abito rosso porpora ed ha un atteggiamento regale, di cortese distacco) che avrebbe dovuto riassumere per diritto dinastico il trono di Bisanzio.  Ecco, in questa semplificata ricostruzione del significato di un dipinto, sul quale si sono arrovellati e continuano a farlo illustri studiosi, c’è tuttavia l’esempio di quanto simbolismo si affermi in esso e di come la dimensione prospettica funga da “macchina del tempo” traslando l’evento contemporaneo in uno spazio-tempo intrecciato, come in due piani sequenza sovrapposti, usando con formidabile maestria l’atto di sintesi delle immagini sul supporto bidimensionale.  La pittura del ‘400 non sfonda la terza dimensione ma fonda un linguaggio per immagini del tutto nuovo, una sintassi diversa che aveva bisogno di una grammatica diversa, parole nuove per parlare ad un tempo nuovo, parole che cambieranno nel corso dei secoli ma che fermano l’attimo e lo colgono.  Certamente, questo nuovo linguaggio è misura della potenza espressiva che la tela rivela fissando un punto di vista obbligato ma potenzialmente infinito.  Eppure, non c’è nulla di progressivo in questo, non c’è un mondo in via di maturazione ma artisti che segnano la contemporaneità e la tramandano ad un pubblico che oggi si pone annose domande sul significato mentre all’epoca tutto era ben chiaro o volutamente ambiguo per essere compreso solo dalle élite cui la raffigurazione era destinata.  Se nell’arte si pone, gerarchicamente, un presente perennemente superiore al passato, non rimarrà nulla di essa.  Ogni atto artistico è contemporaneo, segna il proprio tempo e solo in questa dimensione deve essere riletto e rivisto.
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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joaomurakami · 1 year
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Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Il vino dopo la caduta dell’Impero romano e nel Medioevo
Con la caduta dell’Impero Romano nel 376 D.C. la produzione del vino subì un forte rallentamento, ufficialmente, si verificò un blocco dell’economia se non un forte rallentamento, in primis le vie di comunicazione divennero non utilizzabili per diverse ragioni, e divenne un periodo molto deleterio per la pianta della vite e del vino, per fortuna la chiesa che per motivi spirituali ed ecclesiastici continuò a coltivare la vite, per produrre il vino che veniva usato durante le cerimonie religiose.
Il tardo Impero e il vino germanico
Il tardo Impero consegna al Medioevo una serie di latifondi coltivati da schiavi, essendo l’economia romana impostata sullo sfruttamento della schiavitù, poi il crollo dello Stato romano avvantaggia la Chiesa nelle proprietà delle viti e i nobili germanici che si sostituirono ai romani e le viti ripresero ad essere coltivate sia da uomini liberi che da schiavi.
L’unica zona che mantenne una buona produzione di vino fu la zona della Mosella e la zona del fiume Reno che arrivava fino a Coblenza, nella zona mediterranea e in Spagna la vite fu vietata dai Musulmani che vietavano l’uso di bevande alcoliche per motivi religiosi, altro colpo decisivo alla coltura della vite fu data con la caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi 1453 D.C.. La vite non fu più considerata una pianta fondamentale come ai tempi di Roma, dove la cultura del vino si era ormai diffusa a tutte le classi sociali, anche gli schiavi ne facevano un uso abbondante.
I Barbari
I popoli barbarici stanziati in Gallia e in Spagna ( Urgundi, Svevi, Visigoti e Vandali) sfruttando la manodopera dei sottomessi e continuarono la coltivazione della vite. Flavius Magnus Aurelius Senator (che poi assunse il nome di Cassiodoro) che era un Ministro del re Goto chiedeva alla corte di Ravenna Bizantina di procurargli un vino passito Acinaticium dato che l’avevano esaurito.
La Chiesa e il suo rapporto con il vino
Per quanto concerne la Chiesa, essa ne ammetteva l’uso di questa bevanda purché venisse consumata con parsimonia e sobrietà, perché era considerata afrodisiaca e stimolante di passioni se bevuta in modo eccessivo. Anche il famoso monaco San Benedetto da Norcia parla del vino, e ne ammetteva l’uso nel suo monastero imponendo regole precise e la quantità da consumare.
I Carolingi e il vino
Con l’epoca Carolingia la coltivazione della vite torna ad essere di nuovo ripresa in modo massiccio. Grazie anche alla stabilità politica imposta da dall’Imperatore Carlo Magno, possiamo affermare che dal secolo IX fino al XI secolo la viticoltura riprese vigore e nei monasteri si crearono dei piccoli commerci di vino, rivitalizzando il valore economico del vino.
Diciamo che nel Medioevo la Chiesa fu custode della vite e della produzione del vino e che i conventi furono adibiti ad piccole aziende agricole. Le istituzioni religiose avevano molti ettari di terreno che adibivano alla coltura della vite, anche se non era proprio un’impostazione prettamente economica, ma rappresentava una forma di sostentamento da parte dei conventi.
Durante il periodo medioevale i vini si caratterizzavano per la scarsa alcolicità. Strade non agibili ed i contenitori inidonei facevano il resto, cioè rendevano il vino imbevibile. Nel Medioevo si ha un grande arretramento delle tecniche di vinificazione. I vini non venivano più invecchiati bensì bevuti subito e quelli che risultavano troppo acidi ed astringenti subivano il trattamento con il miele e spezie.
I vini Italiani e medioevo
In Italia i vini che si diffusero nella parte Centrosettentrionale furono il Trebbiano della Toscana e delle Marche, la Vernaccia ligure e la schiava della Valle del Po che rendevano i vini Italiani già quella volta i più nobili.
Nel XIV secolo si verificò una glaciazione ,che fece notevolissimi danni ai raccolti. La carestia e la peste completarono l’opera di distruzione della vite ed un’ ulteriore decadimento della viticoltura.
Scoperta dell’America e le malattie della vite
La scoperta dell’America nel 1492 provocò un ulteriore danno alla vite. Da questo nuovo continente giunsero l’Oidio, la Peronospora, la filossera, questi tre flagelli fecero enormi danni. La viticoltura francese subì grandissimi danni, per combattere l’Oidio si adoperò lo zolfo, per la Peronospora si usò rame e calce, invece per la Filossera si decise d’innestare su radici Americane resistenti all’afide, centrando lo scopo di rendere l’intera pianta forte.
Le prime bottiglie di vino
Verso la fine del XVII secolo vennero adoperate le prime bottiglie in vetro per la conservazione ed il trasporto del vino (fino ad allora le bottiglie venivano usate come caraffe).  Unitamente all’invenzione od all’uso del tappo dal sughero sempre in questa epoca nacque un nuovo tipo di vino (champagne). Fu eliminata l’esclusiva delle botti e il trasporto era molto più facilitato attraverso l’ introduzione delle bottiglie di vino.
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istanbulperitaliani · 4 years
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La Caduta di Costantinopoli
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1453 La Caduta di Costantinopoli é un avvincente libro scritto da Roger Crowley e racconta dettagliatamente la memorabile conquista degli ottomani che porterà alla fine del millenario Impero Bizantino e dell’epoca medievale. 
Naturalmente, come ricordo sempre, il termine bizantino é stato usato dagli storici illuministi sul finire del ‘700. I bizantini altro non sono che “romani”. Si definivano romani pure se ad un certo punto della loro storia abbandonarono il latino ed usarono il greco come lingua ufficiale. Erano la parte dell’impero romano, precisamente l’impero romano d’oriente, che sopravvisse dopo la caduta di Roma (476 d.C.) per quasi altri 1000 anni! I turchi stessi definiscono ancora oggi i greci di Istanbul “Rum” vale a dire “romani”.
Ritornando al libro l’autore utilizza fonti e documenti di testimoni diretti o di poco posteriori all’evento. Quando la fonte non è ritenuta storicamente credibile e attendibile, lo scrittore informa il lettore e sostituisce questo vuoto con delle sue personali interpretazioni e deduzioni che rimangono sempre interessanti.
Un metodo che oltre a non rendere il racconto frammentario riesce a mantenere alta la tensione narrativa fino alla fine, cosa che spesso non accade con molti saggi di Storia che inevitabilmente interessano solo un pubblico di addetti ai lavori. 
Inoltre evitano il rischio di leggere un testo “stile Dan Brown“ che la Storia, invece, la mortifica con una serie di informazioni prive di fondamento.
Lo storico e scrittore inglese é autore anche dell’interessante Imperi del mare. Dall'assedio di Malta alla battaglia di Lepanto.
- Compra su Amazon il libro: 1453. La Caduta Di Costantinopoli
- Compra su Amazon il libro: Imperi del mare. Dall'assedio di Malta alla battaglia di Lepanto
La mia Vita a Istanbul: consigli e informazioni turistiche. Disponibile come GUIDA per delle ESCURSIONI in città. Scrivi una e-mail a: [email protected] Seguici anche su www.facebook.com/istanbulperitaliani
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abr · 3 years
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Domande sensibili
Coloro che si sentono offesi da questa bandiera: 
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conoscono l’origine di quest’altra? 
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Un riflesso della luna che occulta una stella, apparve nelle pozze di sangue degli slavi massacrati durante la battaglia di Kosovo Polje del 1448. Secondo un'altra leggenda, la mezzaluna e la stella erano nel cielo la notte della caduta di Costantinopoli nelle mani del sultano Mehmet II nel 1453. Massacri, okkupazioni, deportazioni, schiavitù: su questi nessuno ha nulla da dire, nessuno si sente offeso: riguardano cristiani bianchi.. 
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superfuji · 4 years
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Santa Sofia fu voluta dall'imperatore bizantino di fede cristiana Giustiniano I e venne inaugurata il 27 dicembre 537. La basilica ha rappresentato il tempio più grande del mondo cristiano per oltre mille anni. Dopo la conquista di Costantinopoli da parte degli ottomani e la caduta dell'Impero bizantino nel 1453, la cattedrale fu convertita in moschea, ma dal 1934 l'edificio, con decreto del fondatore del moderno stato turco, Kemal Ataturk, è diventato museo e ed è stato inserito nella lista dei patrimoni mondiali dell'UNESCO.
“Il Consiglio di Stato ha abolito la decisione del 1934 sulla riconversione della Santa Sofia in un museo”, riporta l’agenzia, osservando che ora il monumento può essere utilizzato come una moschea.
La decisione è stata adottata all'unanimità, tuttavia è possibile presentare un ricorso alla corte entro 30 giorni.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva affermato di essere in attesa della decisione del Consiglio di Stato sulla possibilità di modificare lo status di Santa Sofia.
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