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#E POI DI QUESTE DUE COSE IO ME L ASPETTAVO
ross-nekochan · 11 days
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Cercare un appartamento in Giappone è un'esperienza a sè che in Italia non ho mai fatto (per ovvie ragioni) e che, personalmente trovo tanto stressante (lo è già di suo, poi i giapponesi ci mettono il loro).
(Scrivo quindi queste cose senza sapere niente di come funziona in Italia e in Europa, quindi in caso funziona uguale e bestemmio troppo questo popolo, fatemelo sapere senza problemi).
Partiamo dalle cose belle, quelle che gli stranieri metterebbero nei reels di Instagram mostrando quando il Giappone sia futuristico e attento al cliente.
1. Quando sono entrata in agenzia mi hanno dato un bottiglietta piccola di tè verde
2. Quando vai a vedere un appartamento abbastanza lontanuccio dalla sede, prendono l'auto e ti portano di qua e di là, raccontandoti i pro e i contro della zona
Passiamo alle cose brutte. Costa decisamente troppo.
Traslocare di per sé è caro perché devi pagare il trasporto e (credo) una cifra per la firma del contratto.
In Giappone quando entri in un posto nuovo le spese non si contano.
Esistono prima di tutto 2 voci:
1. 礼金 (reikin) una cifra di ringraziamento per il padrone di casa
2. 敷金 (shikikin) la cauzione, che paghi quando entri ma sono le spese che servono al padrone di casa quando esci (pulizia e altro)
Poi, esistono le spese per l'agenzia che ti fa da garante: una volta entrati si paga dal 40% fino al 100% dell'affitto e poi, in base al tipo di contratto, paghi o una volta l'anno o una piccola somma (tipo l'1% dell'affitto) ogni mese.
Poi il cambio delle chiavi (circa 200€), le pulizie complete, la disinfestazione, altre menate di assicurazione ecc.
Alla fine dei giochi, entri che devi pagare letteralmente un intero stipendio per tutte le spese. Minimo minimo metà stipendio, ma è veramente economico se riesci ad arrivare a quella cifra (e, se ci riesci, vuol dire che c'è qualche altra voce nell'affitto mensile, quindi i soldi se li prendono da un'altra parte).
Poi devi pensare agli elettrodomestici perché qui non ti danno niente: lavatrice, cucina, frigorifero, elettrodomestici, stoviglie, tavoli, sedie, mensole ecc. Zero assoluto, tutto vuoto.
In ultimo, ma non per importanza, ti devi preoccupare se accettano o meno gli stranieri.
Poi, gli spazi. Piccoli, se non piccolissimi. Mi aspettavo una cosa del genere, ma a volte è veramente troppo. Non è difficile infatti trovare monolocali (che monolocali non sono, sono proprio "stanze") di 13-15 metri quadri. Considerando che dentro ci deve essere lo spazio per la cucina e il bagno, quello che rimane è a malapena lo spazio per il letto.
La stanza più grande che ho visto oggi è di 20 metri quadri (non in foto) e, nonostante fosse bella ampia, mi ha fatto pensare che forse sarebbe meglio passare al futon giapponese (così lo metto via in armadio durante il giorno e arrivederci).
Poi l'armadio. Sono femmina ma dei vestiti mi interessa zero e non a caso quando sono venuta 2 valigie sono state abbastanza. La mia roba estiva entra tutta abbondantemente in una valigia sola. Nonostante ciò, in un'altra camera che ho visto l'armadio era talmente piccolo che penso non sarebbe entrato quasi niente di quello che ho. Era molto nuovo e pulito quindi bello tant'è che la ragazza ha detto che è molto in voga... ma, personalmente, dopo che ho visto l'armadio e quanto cupo e buio fosse l'ambiente per me è un grande no. (Foto 3)
L'appartamento che invece era la mia prima scelta perché potrei raggiungere l'ufficio persino a piedi è anche grande abbastanza con un armadio decente, ma non è stato ancora pulito (foto 2) e non sapendo quanto a fondo puliranno sono leggermente impaurita (nonostante io sia zero schizzinosa, ma quando è troppo è troppo).
Poi, quello che loro considerano "importante" sono per me europea solo delle frivolezze. Esempi sono essere vicini a un grande supermercato; se i ristoranti sono più per "gruppi" o se puoi andare da solo; la ragazza che mi ha mostrato i posti mi ha detto che mi consiglia di cambiare tutto della serratura (anche tutte e due se ce ne sono due) perché sono una ragazza (il mondo vede questo paese il più sicuro al mondo eppure le donne giapponesi sono quelle che si sentono meno al sicuro al mondo, perché non sanno che giungla sia fuori). Poi ovviamente mi chiedeva in quale zona preferissi vivere, ma, da straniera, non ne ho la più pallida idea né mi interessa. L'unica cosa che mi interessa è essere vicino all'ufficio, niente più.
Altra cosa che mi ha stranita è la velocità con cui decidono. C'era in programma di andare a vedere un'altra camera, ma era stata appena presa.
Il motivo è abbastanza comprensibile (dal loro punto di vista) perché spesso si cambia lavoro o si è costretti a fare trasferimenti lunghi per lavoro. In più, come mi ha detto la ragazza, le persone che vivono in un posto che non piace sono tante, quindi a un certo punto si decidono e cambiano. Nonostante costi così tanto cambiare stanza... e questa per me è la follia più folle di tutte.
Quando ho incontrato persone adulte di 40-50 anni e passa che vivono nella mia sharehouse mi sono chiesta in parte come facciano... ora considerando quanto pago di affitto con spese incluse e tutte le stoviglie ed elettrodomestici e quanto poco costi solo entrare (50.000 yen che io credevo fossero esagerati) ho capito perché lo facciano. E questo la dice lunga su quanto possiamo essere poveri pur essendo lavoratori in questo paese.
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sciatu · 5 years
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SAVOCA - FESTA DI SANTA LUCIA
SICILIA  ESOTERIA - L’ABBAZIA DI THELEMA
Il sole era ormai sceso fin dietro le cime dei monti e le ombre stavano calando sulla festa di Santa Lucia a Savoca. Affrettai il passo perché non avevo molto tempo. La Moglie, che seguiva la festa con mia figlia e il suo fidanzato, era andata verso la chiesa collocata sulla salita che portava ai ruderi del castello normanno. Era la stessa chiesa che era apparsa nel film il Padrino insieme all’improbabile Bar Vitiello posto all’incrocio delle strade che dal mare salivano fino a Savoca. Io stavo andando dalla parte opposta, verso il convento dei Cappuccini e arrivatovi bussai alla porta. Una finestrella si aprì dopo quasi un minuto che aspettavo. “Cu jè” fecero due occhi da furetto che occuparono in diagonale la finestrella “Devo vedere Padre Francesco “ “Nu c’è – rispose velocemente la voce – sinni iju” Io presi la lettera che portavo nel borsello e gli mostrai il timbro che il mio amico Don Nino aveva fatto qualche giorno prima con il suo anello da monsignore “Devo parlargli – insistetti – due minuti” aggiunsi per farmi perdonare quella intrusione in un giorno di festa d’agosto. I due occhi guardarono il sigillo e sentii lo scatto metallico di una serratura “Trasissi” dissero velocemente i due occhi diventarono, aperta la porta, la schiena di un piccolo frate che si muoveva velocemente verso l’interno del convento. Passammo quasi di corsa una grande stanza e quindi ci incamminammo in un lungo corridoio alla cui fine salimmo delle ripide scale per arrivare di fronte ad una porta di legno scuro che il piccolo frate apri con una grande chiave. Di nuovo a passo accelerato entrò in un corridoio buio dove la poca luce del tramonto arrivava a stento dalle finestre socchiuse. Improvvisamente il piccolo frate entrò in una piccola stanza dalle pareti scure. Su un lato vi era un crocifisso con una piccola candela che lo illuminava alla base e dalla parte opposta una porta non più grande del frate. Lui si avvicinò e presa una delle tante chiave che gli pendevano dal cordone l’aprì. “Trasissi” ripeté mettendosi di lato con l’evidente intenzione di non entrare Fu allora che mi accorsi che sugli stipiti della porta che stavo per attraversare e sulla porta stessa erano appesi numerosi crocifissi di legno e rosari come ex voto lasciati all’ingresso di un santuario. O forse erano lì per tenere il più lontano possibile il Male. Entrai con qualche esitazione e vidi che vi era una specie di cappelletta con un piccolo altare, un inginocchiatoio e diverse candele collocate sul lato opposto dell’inginocchiatoio. Guardai dietro di me il piccolo frate che invece era rimasto dove era. Lui mi fece un cenno con il capo di proseguire verso una porta che dava sul lato opposto e risolutamente chiuse la porta dietro cui era dando diverse mandate di catenaccio. Mi avvicinai alla porta e l’aprii. Avevo di fronte un lungo corridoio dove le finestre sembravano ricavate dagli spalti di un castello coperte di pesanti lastre di vetro. In fondo al corridoio vidi un frate che passeggiava con in mano un libro. Mi incamminai verso di lui e notai che in mano non aveva un libro o un breviario ma un fumetto di Mister No. Era un frate alto e magro, con il volto scavato e due occhi neri sotto un paio di sopracciglia cespugliose e nere che contrastavano con la barba grigia. Tra lunghe dita da pianista stringeva il fumetto che osservava quasi lo studiasse. Mi avvicinai esitando a causa del fumetto e solo quando gli fui vicino lui si accorse di me. Mi guardò sorpreso ed io chiesi tutto di un fiato “Buonasera padre, sono un amico di monsignore don Nino, cercavo fra Francesco ….” Lui mi guardò girando di lato il volto e socchiudendo gli occhi quasi a cercare di capire chi e cosa fossi veramente. “Sono io” disse sibillinamente, Finalmente avevo di fronte il grande Esorcista dell’Arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela.
Qualche mese prima della mia salita a Savoca, in una RSA dove era ricoverato il nostro amico Beppe, avevo ritrovato anche lui in visita il mio amico Nino, che chiamavamo monsignore fin da quando aveva dato i voti senza immaginare che sarebbe diventato veramente un personaggio importante tra gli alti prelati di Messina. Quando le infermiere vennero a prendere Beppe per un esame, restammo a parlare. Ad un certo punto mi ricordai della richiesta di @malefica67 sulla Sicilia Esoterica e decisi di parlarne con lui. Quando gli accennai all’esoterismo lui mi guardò sconcertato “Ma tu sei il cantore della ricotta nei cannoli, il vate della pasta alla norma cu ti potta nta sti rotoli scassi?” “Mi ricordo di tutti gli scongiuri, dei riti per cacciare il malocchio che si faceva al paese – gli risposi - Sono cose che riguardano in un modo o nell’altro la nostra cultura, anche se abbiamo paura a parlarne perché è il nostro lato nascosto” “ma sono cose folcloristiche da lasciare stare” “la paura del male non può essere solo folclore, qualcosa in cui riassumiamo quello che non conosciamo o capiamo: parlarne può aiutarci a capire. Poi non penso che il diavolo sia li a pensare a noi” “Perché tu sai cosa pensa il diavolo?” “No, ma….” Lui fece un sorriso triste e amareggiato. Beppe tornò dagli esami che doveva fare e parlammo con lui delle solite cose. Finito il tempo delle visite, mi avviai con Nino verso l’uscita. Arrivammo di fronte alla stanza dove stavano le infermiere e mi chiese di fermarci. Si rivolse alle infermiere cercando un pezzo di carta ed una penna. Pensai che si stesse prendendo un appunto per il giorno dopo visto che era sempre preso con la Caritas e la diocesi. Lui piegò il foglio su cui aveva scritto poche righe, gli diede una forma di busta, la sigillò con un pezzo di  cerotto, poi bagnando il suo anello in un batuffolo di cotone imbevuto di mercurio-cromo lo pigiò contro un lato della busta. “Appena puoi – mi disse serio – vai al convento dei Cappuccini di Savoca. Cerca padre Francesco. Ti diranno che non c’è, allora tu mostra questo foglio e ti faranno entrare” Curioso guardai il foglio tra le mie mani non capendo “Perché devo vedere padre Francesco?” “Tu non sai cosa pensa il diavolo, padre Francesco ti può aiutare a capire: lui è l’ esorcista della diocesi: il diavolo, lo ha visto più di una volta.” “Ma io non so…” feci esitante con l’impressione che avevo involontariamente infranto il sigillo del vaso di Pandora. Nino mi guardò sorridendo “Una tua amica ti chiede una cosa e tu ti avventuri in una storia più grande di te! Non sei curioso di sapere perché tutto questo accade? O è questione di congiunzione astrale o è questione del male che tenta e seduce! Non puoi esitare: nel momento in cui tu chiedi del diavolo, lui diventa curioso di te ed incomincia a seguirti! Devi capire ed essere pronto!” Pensai alla sensazione che avevo avuto quando avevo lasciato a Madam Effie al cimitero di Messina, La sensazione che qualcuno mi seguisse anche se per strada mi vedevo solo. Uscimmo dall’ospedale e ci salutammo. Per strada sentii un brivido lungo la schiena. Aveva ragione Nino! Perché mi ero avventurato in queste cose? io ero uno da stupide rime e sciocchi versi: chi mi stava portando su un'altra strada? Decisi di lasciare stare. Lasciai il foglio di carta di Nino nel borsello per un sacco di tempo e quando incontrai di nuovo Nino non affrontai l’argomento, ne lui chiese dettagli. Il fidanzato di mia figlia, un ragazzone alto e biondo, la venne a trovare. Per onore di ospitalità lo portavamo in giro per fargli conoscere ed apprezzare la Sicilia. Fu La Moglie a proporre di salire a Savoca. Non so da dove le era venuta l’idea. Qualcuno dal parrucchiere le aveva parlato della festa di Savoca, quella dove c’era una bambina che rappresentava Santa Lucia, dei soldati romani, un diavolo saltellante che voleva uccidere Santa Lucia e tutto nel mezzo delle rovine normanne e dei luoghi dove si era girato il film Padrino. La Moglie, visto i tanti commenti delle sue amiche dal parrucchiere, aveva deciso che dovevamo andare a vedere la festa ed eravamo saliti nel piccolo paesino. Ad un certo punto della festa mi ero ritrovato solo e, scorgendo il cartello che indicava la direzione del convento, decisi improvvisamente di andare dai Cappuccini, convinto che, non essendo molto distante dal luogo dove la purezza della bambina difendeva l’umanità dal diavolo, non poteva succedere niente di strano.
Quando padre Francesco finì di leggere le poche righe che Nino aveva scritto dissi con una certa esitazione “ Ecco, … don Nino mi ha detto che lei ha visto il diavolo” chiesi esitante a Fra Francesco che aveva messo il foglio scritto da Nino nel mezzo del fumetto a segnare dove era arrivato a leggere. Lui sorrise. Chiuse il fumetto e si sedette su un parapetto dell’ultima finestra del corridoio. “Sicuro molte volte. Come l’avrà visto anche lei!” “In che senso?” “Lei non ha mai visto qualcuno vestito bene, che le diceva che lei è migliore di altri, che se lo ascoltava l’avrebbe fatto diventare una persona importante, che gli altri volevano defraudarlo dei suoi santi diritti e che bastava mettere una croce su una scheda, o inginocchiarsi ad adorarlo, o pagare un pizzo, o fare quello che lui diceva, per riprendere il suo legittimo posto al di sopra di tutti, perché lei è simile a Dio, ha un diritto che gli altri non  hanno, è migliore, viene prima di tutti gli altri, perché gli altri sono dei diversi, degli straccioni che rubano, uccidono, stuprano, mentre lei a tutto questo e a tutti è superiore, è al di fuori delle regole ordinarie. Non ha mai incontrato nessuno che le parlava così? Come il serpente parlò ad Eva, o il diavolo a Gesù nelle tentazioni del deserto” Non so perché ma in testa mi apparvero diversi politici e qualche conoscente a cui bisognava baciare le mani per avere un favore… “Ma… forse….” “La realtà è che noi abbiamo un idea del male che è iconografica, ma non sappiamo riparametrarlo ai tempi odierni e Lui questo lo sa e astutamente ne approfitta.” “Ecco ma, qui … in Sicilia…. mi sembra difficile che possa avere seguito… con tutta la fede, le feste religiose, tutte le chiese che ci sono….” Padre Francesco sorrise scuotendo la testa. “Lei lo sa che quando in Europa i templari furono scomunicati e imprigionati come eretici, i templari siciliani semplicemente scomparvero. Da che c’erano a che non c’erano più. Eppure le loro chiese erano ovunque: sul piano di Agrimusco, nelle grandi città, nei porti. Dove erano finiti?” Mi guardò sorridendo e continuò “Si erano semplicemente trasformati. In Sicilia è semplice trasformarsi, diventare dei camaleonti e mimetizzarsi con la società siciliana, così conformista e tradizionale. Pensi alla massoneria che all’arrivò di Garibaldi lo accolse con grandi onori anche se fino a quel momento non appariva perché nascosta nei salotti dei gattopardi di allora, pensi alla mafia, pensi al potere politico che dalla mafia è usato. Nessuno, sa, nessuno vede e nel momento che nessuno sa e vede, il male diventa padrone. Lei sa bene che in Sicilia vi sono apparenze che servono solo a nascondere il reale e che danno potere al Male” “Si ma ….” stavo per ribattere. Lui mi fece cenno di tacere e guardò la porta da cui ero venuto per qualche secondo come a vedere delle cose che io non scorgevo ma che erano li, dietro la porta. Dopo qualche secondo si girò verso di me come se nulla di quanto aveva scorto fosse importante. “Lei ha mai sentito parlare dell’Abbazia di Thelema, la chiesa satanica di Cefalù?” Sbattei gli occhi sorpreso dalla domanda e feci cenno di no. “Ha mai sentito parlare di Aleister Crowley che si autodefiniva, come scritto nell’ Apocalisse, la Bestia-666?” “Mi ricordo che ho letto questo nome in qualche testo di una canzone di Ozzy Osbourne o di David Bowie, e credo che qualcuno dei Led Zeppelin ne fosse ossessionato mi sembra” Padre Francesco sorrise “Lo vede? Vengono dagli Stati Uniti satanisti e ammiratori di Crowley a vedere o a studiare i resti dell’abbazia, ma qui in Sicilia nessuno ne parla, nessuno la ricorda, vede come è facile in Sicilia che tutto accada senza che nessuno sappia, ed è questo su cui il Male gioca, perché nel pensare solo alle cose nostre, a noi stessi, si tradisce il primo comandamento di Gesù: amatevi l’un altro come io ho amato voi…” “Ma questo Crowley chi era?” Padre Francesco socchiuse gli occhi e alzò le spalle “Un poeta? Un esperto in tarocchi e astrologia? L’adepto di una setta segreta che celebrava riti innominabili? Il fondatore di una nuova religione che gli fu rivelata da un angelo in Egitto – non so perché ma appena il padre nominò l’Egitto mi ricordai di quello che Madama Effie aveva detto sul conte Cagliostro e un brivido mi salì lungo la schiena – sono molte le cose che Mr. Crowley era. Forse fu il primo hippy fondatore di una comune dove ognuno poteva fare quello che voleva e vivere la sua sessualità in modo libero, durante riti di adorazione dell’innominabile che probabilmente finivano in orge dove il sesso era usato e abusato. Ma Mr Crowley era prima di tutto un ateo che credeva nella sua religione magica, nella divinazione, non credo che per lui il Male fosse diverso da Dio” “E nessuno se ne accorgeva di questa abbazia ?” “Alla fine si venne a sapere cosa succedeva dentro le sue mura, forse perché qualche persona locale vi partecipò e ne descrisse gli svolgimenti. Il vescovo protestò con Mussolini e questi fece mandare via gli inquilini, Mr. Crowley, le sue sacerdotesse e gli altri membri della setta o della comune. La stella a cinque punte sul pavimento del loro luogo di culto venne nascosta sotto piastrelle nuove e ricoperti di calce gli affreschi dove uomini e donne nude danzavano accoppiandosi liberamente” pensai qualche secondo “Lei è stato in quella abbazia?” “Si, su invito del vescovo sono andato ad esorcizzare gli affreschi quando sono stati ripuliti e sono riapparsi” “e ha sentito la presenza del demonio” Padre Francesco sorrise “C’è un'altra Abbazia, dedicata al male, quella costruita da un ministro dello scacchiere inglese nel 1700. Lì ho percepito chiaramente il male in tutte le sue forme più terribili, dopo tutto, scavando nelle sue fondamenta furono trovati, nascosti alla rinfusa, scheletri di giovani donne e di bambini, i poveri avanzi di riti ben peggiori di quelli dell’abbazia di Thelema. Ma in quest’ultima, non ho avuto la stessa sensazione. “ Si fermò ad osservare la porta da dove ero venuto restando qualche secondo in silenzio “Qualcuno l’ha seguita….” Si alzò e si dispose verso la porta come a dover fronteggiare qualcuno. Si toccò il crocifisso che gli pendeva al collo. “C’è una porta alle mie spalle – mi disse lentamente – esca di là, troverà una scala a chiocciola che porta giù a pianterreno e poi una porta che fa uscire sulla strada. Se ne vada subito” Avevo già abbastanza paura per non seguire le indicazioni del padre le cui mani tenevano il crocifisso e le cui nocche stavano diventando bianche dalla forza con cui lo stringeva. Lui non mi osservava più ma con gli occhi fissi sulla porta incominciò lentamente a recitare: “Exsurgat Deus et dissipentur inimici ejus: et fugiant qui oderunt eum a facie ejus. Sicut deficit fumus, deficiant: sicut fluit cera a facie ignis, sic pereant peccatores a facie Dei….” Io spinsi la porta a cui mi ero aggrappato, ma questa non si aprì; solo dopo qualche secondo capii che dovevo almeno abbassare la maniglia per aprirla così feci e dalla forza con cui la spinsi, quasi caddi sopra un pianerottolo da dove partiva una stretta scala a chiocciola che incominciai velocemente a discendere dicendomi che non mi sarei più occupato ne di diavoli ne di altre stronzate e che Nino aveva ragione a dire che non erano cazzi miei tutte quelle cose di maghi e demoni. Arrivai al piano sottostante con la testa che mi girava per tutti i giri che avevo fatto sulla scala. In fondo alla scala cercai di capire dove andare ma non sapevo in che direzione muovermi. “Di qua – mi fece una voce nel buio – veni cà” Era il frate con gli occhi da furetto appoggiato ad una porta di cui teneva la maniglia. Andai verso di lui ondeggiando. Lui mi prese per un braccio e senza troppi riguardi mi spinse fuori dalla porta che aveva socchiuso. “Vatinni, curri, curri…” Mi disse con forza e quasi spaventato. Ero finito diversi metri più avanti l’entrata del monastero. Non esitai, mi misi a camminare velocemente verso la confusione che vedevo qualche centinaio di metri più in alto, passato il cinematografico bar Vitielli. Appena entrai nella folla mi girai indietro ma ovviamente non vidi nessuno. Mi inoltrai tra la folla ancora spaventato per capire cosa fare finché non sentii la voce della Moglie “Cà, veni cà … semu cà” Vidi la moglie in mezzo alla folla dall’altra parte della strada e l’attraversai senza badare alla processione dei figuranti che in quel momento arrivava. Mi trovai di fronte il diavolo vestito di rosso con il suo forcone a forma di gancio con cui tirava verso l’inferno le anime. Si avvicinò gridando brandendo il forcone quasi a volermi prendere. Feci un salto e arrivai accanto alla moglie che rideva per la scena “Ce l’ha con te – disse indicando il diavolo che ancora mi minacciava - chissà che cattiveria ha scritto su di lui….” “Io? no! chi dici mai……” feci asciugandomi la fronte. “Forse è meglio lasciare stare - mi dicevo - è meglio tornare a parlare di cannoli e di paste alla crema, queste cose delle sette sataniche e del diavolo non sono cose per  me” Pensai spaventato “Ragiuni hai…” mi disse una voce dietro di me. Mi girai di colpo per vedere chi avesse parlato sentendo i miei pensieri, ma ….  non c’era nessuno.
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il-diario-di-moon · 5 years
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Il mercato ...
Parte 1
Per mesi non ci penso, per mesi loro non sono importanti per me,se non in qualche giorno di tristezza che li "uso" per tirarmi su… ma delle volte tornano importanti.
E’ una settimana che aspettavo arrivasse questo lunedì, è una settimana che lui mi sta riempiendo di raccomandazioni.
L:“Non fare come il solito! Non spendere tutto lo stipendio per alimentari cinesi e porcellane,Io non posso venire ma tu fai come se fossi li con te!...
...mi raccomando qua..mi raccomando la… quando ci si mette è davvero pesante
Stamattina mi sveglia con il mio portafoglio in mano.
L: Moon io vado al lavoro, tu divertiti al mercato
M:Grazie amore, ma perché hai il mio portafoglio in mano? Non ho soldi, devo passare a prelevare dopo...
L:Semplice piccola, ti ho messo 100 euro e tolto gli spicci che avevi. Tu oggi potrai spendere solo questi 100 e nemmeno un centesimo di più.
Mi siedo e lo guardo con gli occhietti tristi...
L: Ma dai Light, che ci faccio con 100 euro? Sono pochissimi.
L:Moon ho detto 100 euro e 100 saranno. Chiaro?
Il tono della sua voce è rigida e non lascia segno di contrattazione.
M:Si signore! Ma che palle...
L:Che hai detto?”
gli faccio una linguaccia capricciosa.
L: Moon è già tanto che ti ci faccio andare da sola, è già tanto che ti permetto di buttare dalla finestra questi soldi, e tu invece di ringraziarmi mi parli male??
M:Si… avrei voluto qualcosa in più... Dai Light...
L: Moon un'altra protesta e tolgo 10 euro dal portafoglio...
M:Nooooo… non puoi farlo….
L:A no?
senza farselo ripetere ulteriormente apre il mio portafoglio e mi sfila 10 euro.
M:noooo… per favore….
L:troppo tardi monella… ci potevi pensare prima!
Mi sto arrabbiando, mi sento salire il sangue al cervello e quando succede sono capricci a non finire…
Lui si accorge dal mio sguardo quando sta per succedere e fa il gesto di sfilare altri soldi…
L: prova a dire o fare qualcosa e altri 10euro spariscono signorina.
M: scusa… ti prego Light dammeli, mi servono tutti. Non puoi farmi questo…
L: E invece posso Moon e l’ho fatto. Ora basta protestare e vedi di prepararti altrimenti fai tardi...
M: No… io non ci vado con 90 miseri euro. Che ci faccio con questa miseria?
L:Ok, non ci vai! Allora resti a casa a pulire.”
M:NOOOOOO…….. IO CI VADO E FACCIO QUELLO CHE VOGLIO, SPENDO QUANTO VOGLIO E TU NON ME LO PUOI VIETARE!...
Lui odia quando grido, lui odia quando voglio fare di testa mia, lui ama quando faccio i capricci e lo vedo nei suoi occhi. Il suo viso è scuro, arrabbiato per quanto sto dicendo e facendo,ma un leggero sorriso si vede, sta godendo per questa cosa. Mi alzo e me ne vado in bagno senza lasciargli il tempo di rispondere, di agire, di replicare. Sto in bagno parecchio, mi faccio una doccia, mi asciugo i capelli e penso a lui li fuori che mi aspetta. So che è li fuori anche se non lo sento. So che sta tramando qualcosa per farmi pagare i miei capricci ma non mi importa… Come previsto quando esco sento il mio orecchio preso in una morsa a cui non so e non posso ribellarmi. In un attimo mi ritrovo sdraiata sulle sue ginocchia, spogliata del mio accappatoio.
M:Daiiii… lasciami…. Faccio come vuoi….
L: no signorina, te la sei cercata e ora l’avrai.
M:Ho freddo!
L:Non per molto ancora, vedrai che ti saprò scaldare per benino signorina pestifera!..
In un attimo mi ritrovo a scalciare sotto i colpi della sua severa mano, brucianti sculaccioni che risuonano nella stanza. Lui concentrato ad insegnarmi l’educazione e io concentrata a non fargli vedere che mi piace quando mi tratta cosi, quando mi tratta da bimba capricciosa. Parecchi minuti passati sulle sue ginocchia a godere della situazione, parecchi minuti della sua mano che sculacciava il mio sedere. Appena alzata mi dirigo da sola all’angolo della camera e mi massaggio il caldo fondoschiena. Penso e ripenso a perché sono li, nuda in un angolo con una parte del corpo che emana calore, penso perché mi sento cosi leggera e felice per quanto appena successo. La sua mano mi fa sobbalzare colpendo nuovamente il mio sedere.
L: Moon sto parlando con te!
M:Ehmm si si scusa!
La sua mano torna a toccarmi, questa volta con dolcezza, carezze amorevoli sulla schiena, bacini sul collo e dolci parole del mio amore.
L:Quanto sei bella con questo culetto rosso.
M: Light dai....
Mi imbarazzano le sue parole...
Mi fanno arrossire...
Un po’ di coccole e poi ci prepariamo entrambi per uscire. Lui deve scappare e mi mette sul letto il portafoglio.
M: Light....
L: Si Moon?
M:Farò del mio meglio per non spendere tutti i 90 euro. Promesso.
Mi da un bacio e si dirige verso la porta.
L: 70 Moon.… 20 te li sei giocata con i venti minuti in bagno.
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Lo vedo sparire dalla stanza e prendere la porta di casa come un fulmine. Non posso credere alle mie orecchie
M: Mha...
mi ha calato i fondi e non ha avuto il coraggio di dirmelo....
……
Ore 11:00
sono nervosa e arrabbiata con lui. Mi ha dato 70 euro che bastano a malapena per comprare la teiera con le tazzine in porcellana dipinte a mano e le bacchette...La rabbia e il nervoso però spariscono quando entro nel mercato. La visione di tanti scaffali,la visione di tante piccole scritte cinesi e gli alimentari messi li a mia disposizione mi entusiasma. Non potrò comprarne molti ma potrò guardarli quanto mi piace. Due padiglioni, 24 file, quasi 500 bancarelle di quei fantastici oggetti come wok, pentole, bacchette, teiere, tazze.... Io adoro questo mondo, Sono innamorata di questa cultura... Non ho mai speso capitali per tutto ciò, non ho mai dato peso al loro reale valore ma solo al fatto che mi piacciano o meno. E’ proprio questo mio modo di vivere questo mondo che fa stranire il mio amore. Lui dice che se spendessi i soldi per queste cose,con un criterio non avrebbe nulla da ridire,ma io verrei in questi posti ogni santissimo giorno...e questo comporta il non finire mai di spendere soldi per questi acquisti. Comincio dal primo banco, quello per cui sono li, faccio il mio primo acquisto in un attimo e poco meno di sessanta euro svaniscono nella cassa di un cinesino simpaticissimo sorridente....Il libro di ricette orientali non può mancare nella mia raccolta, E’ l’unico acquisto che Light accetta e non prova a negarmi. Con il mio grande acquisto comincio a girovagare per il mercato,guardo ogni banco, uno a uno. Sono una bimba nel paese dei balocchi. Mi sento felice, mi sento nel mio mondo. Light non c’è, se ci fosse continuerebbe a battere i piedi, a chiedermi di muovermi, a mettermi fretta. Oggi no… oggi sono sola… oggi ho tutto il giorno per loro… oggi posso passare ore qui a guardare con calma tutto. In alcuni banchi vedo delle grandi offerte che vorrei comprare, in altri vedo delle grandi fregature e mi domando chi ci cascherebbe mai, in altri vedo porcellane che valgono capitali e mi dico che io non li spenderei mai per un solo oggetto... Ogni cosa che osservo viene memorizzato nel mio cervello, ogni cosa che vorrei comprare mi fa venire voglia di disubbidire a Light e fare di testa mia. Stupendi libri di cucina, della Cina, del Giappone, cucina Asiatica, Marocchina... tante belle offerte. Ore passate immersa in questo mondo, ore passate ad immaginare questo o quello a casa mia, ore passate a fare i conti di quanti soldi mi sarebbero serviti per soddisfare i miei capricci. Arrivo agli alimentari dove sono presenti i Milk tea ...Quelle bevande mi danno tranquillità, mi rilassano...
Continua...
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saggiosguardo · 5 years
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Recensione Canon EOS R dal punto di vista di un fotografo abituato alle reflex
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Alcuni giorni fa Maurizio ha pubblicato la recensione della Canon EOS RP, mentre io ho acquistato il mese scorso una EOS R. Come fotografo professionale utilizzo reflex Canon da tanti anni e ormai la sento un po' come la mia Casa, ma in qualità di appassionato e per la mia collaborazione con SaggiaMente, ho avuto e provato tantissime fotocamere diverse. Mi piacciono molto le Fujifilm, tant'è che era lì che mi stavo indirizzando nel lungo periodo di immobilismo di Canon avendo avuto una X-T1, apprezzo molto i corpi e le funzionalità delle Lumix Micro Quattro Terzi come la mia GH4, ma non nego che appena Canon ha presentato la sua prima mirrorless APS-C l'ho comprata. La EOS M1 era poco più di un esperimento e dopo poco tempo la sua lentezza, in particolare nell'AF, mi ha stancato. Ho preso anche la M3 per il tempo libero, ma aspettavo che arrivasse una full-frame. E così è stato. Al momento del lancio, nel 2018, ho come tutti visto le limitazioni che sulla carta inficiano questo corpo e dunque non è scattata la scintilla. Arrivando dalla 5D Mark III volevo fare un passo avanti e seppure il sensore della EOS R sia derivato dalla successiva Mark IV, c'erano diversi aspetti che non mi convincevano. Con il trascorrere dei mesi alcuni di questi li ho sentiti sempre meno importanti e sono rimasto colpito delle ottiche che l'azienda ha sfornato, dunque alla fine ho deciso di acquistarla. Questa recensione non sarà la classica in cui si analizza il corpo punto per punto, anche perché molte caratteristiche sono identiche a quelle della RP e le trovate già descritte abbondantemente nella recensione di Maurizio. Ciò di cui vorrei parlarvi è invece la mia esperienza lavorativa passando da reflex a mirrorless Canon.
Ergonomia ritrovata
Una delle cose che più temevo di perdere insieme allo specchio è l'ergonomia. Io ho mani grandi e con le reflex come la 5D mi trovo molto bene, anche se ovviamente ridurre il peso mi piacerebbe. Da questo punto di vista il lavoro di Canon è stato certamente lodevole, perché con un corpo più piccolo la EOS R si impugna ancora molto bene. Non poggio interamente il mignolo in basso ma rimane comunque sul corpo e non scivola giù, dunque nel complesso devo dirmi soddisfatto. In più la fotocamera è compatta ma si avverte robusta in mano perché è realizzata in lega di magnesio e tropicalizzata. Su quest'ultimo punto posso portare già un'esperienza diretta, in quanto durante un matrimonio in un giorno di pioggia la fotocamera ha preso davvero tanta acqua e ne è uscita alla perfezione, con tutto che la stavo utilizzando con l'adattatore RF/EF.
Portandola per diverse ore al collo il miglioramento nel peso si avverte, anche se molto dipende dall'obiettivo che si innesta. Io ho scelto di acquistarla solo con l'adattatore e attualmente come unica ottica RF nativa ho il 35mm f/1,8 IS Macro. Con questo montato l'insieme è leggerissimo e la qualità degli scatti è davvero elevata. Non è un obiettivo serie L e si nota sia per la costruzione che il motore AF rumoroso e meno veloce ma è piccolo, luminoso, stabilizzato e con messa a fuoco ravvicinata, il tutto ad un prezzo più che ragionevole.
Controlli nuovi a cui abituarsi
Potendo scegliere, non avrei cambiato più di tanto i controlli della mia 5D, perché sono completi e nel giusto numero. Per via del corpo più compatto – ma forse anche per la volontà di introdurre novità anche quando non servono – la EOS R non è altrettanto diretta. Ad esempio non c'è il joystick per la messa a fuoco, la ghiera dei modi non ha nessuna serigrafia (P, Tv, Av, M, ecc...) e mancano tutti i tasti diretti per la modifica del bilanciamento del bianco, ISO, metering, AF e velocità di scatto che sono abituato ad avere vicino al display superiore. Ovviamente nessuno di queste funzionalità è assente, ma sono state tutte più o meno ricollocate. Ci vuole un po' per abituarsi, non lo posso negare, e anche oggi preferisco l'immediatezza della "vecchia scuola" per alcune cose, ma vediamo di capire come cambia l'operatività per grandi linee.
L'accensione è identica, con lo switch a sinistra che cambia aspetto (ed è più carino) ma si aziona nello stesso modo. La ghiera dei modi è stata spostata sulla destra, anche se in realtà ora è semplicemente un pulsante con la scritta "MODE". Cliccandolo si può poi utilizzare la rotella dei parametri che ha intorno per passare tra le varie modalità di scatto, che verrano visualizzate con un carattere bello grande nello schermo superiore e contemporaneamente anche nel mirino e nel display principale, quindi da qualunque parte si guardi è sempre disponibile.
L'elemento più importante con cui prendere confidenza è il tasto M-fn, che rispetto quello della 5D guadagna molte più funzioni. In pratica sostituisce tutti i tasti che mancano in cima ed ha un comportamento simile a quello di un quick menu controllabile con le ghiere. Quando si clicca appaiono due righe di icone visibili ovunque (compreso il display superiore monocromatico). La riga inferiore mostra il parametro da modificare, che si sposta intuitivamente con la rotella posteriore, mentre il valore dello stesso è nella riga superiore e si controlla con la rotella frontale.
Di default offre l'accesso a ISO, metodo Drive, metodo AF, bilanciamento del bianco e compensazione dell'esposizione, ma i parametri si possono personalizzare dal menu. La confidenza con la EOS R è migliorata molto quando ho guadagnato una maggiore velocità e scioltezza nell'utilizzare il tasto M-fn ma non mi spingerei a considerarlo un miglioramento. Certo è usabile, ma i tasti dedicati ai singoli parametri lo sono di più.
Un altro cambiamento per me è stata l'assenza del joystick per spostare rapidamente il punto di messa a fuoco. Avrebbero sicuramente fatto meglio ad inserirlo in qualche modo, ma ci sono comunque diversi metodi per muoverlo. Quello a cui mi sono abituato più facilmente consiste nel cliccare sul pulsante posteriore dedicato proprio al punto AF (quello che in play attiva l'ingrandimento) e poi utilizzare la rotella superiore per spostarlo in orizzontale e quella posteriore in verticale. Non è altrettanto immediato rispetto al joystick ma dopo un po' si viaggia abbastanza spediti. In alternativa è possibile utilizzare il touchscreen quando si inquadra con lo schermo, toccando il punto dove mettere a fuoco, oppure spostandolo in ogni direzione con lo scorrimento del pollice sempre sullo schermo mentre si utilizza il mirino. Questa opzione non è attiva di default ma si trova facilmente nei menu e ha diverse opzioni per evitare di attivarlo involontariamente col naso.
Importante novità della EOS R è la touch bar, di cui non avete già letto nella recensione della RP poiché lì non è presente. Questa può essere personalizzata nelle funzioni per controllare uno o più parametri e, visto che è sensibile al tocco, conviene attivare la funzionalità di blocco/sblocco manuale, che però richiede un passaggio in più prima di poterla utilizzare. Idealmente è simpatica ma onestamente non sono riuscito a farmela piacere. È certamente flessibile ma nel mio caso è rimasta inutilizzata. Non dico che sarà così per tutti ma la maggior parte dei fotografi con cui mi sono confrontato non la amano affatto. Forse sarebbe stato meglio sfruttare questo spazio per il famoso joystick AF che invece manca.
Ultimo elemento nuovo del sistema EOS R è la ghiera sugli obiettivi RF. È personalizzabile nella funzione, dunque si può usare per l'ISO, la compensazione d'esposizione, apertura, tempi o altro, assecondando la volontà del fotografo. Non essendo presente in passato non è un qualcosa che rappresenta di per sé un cambiamento nella modalità operativa ma offre una possibilità in più. La cosa più naturale potrebbe essere quella di controllarci la sensibilità, così da avere il terzo parametro sotto mano scattando in manuale. Tuttavia dipende molto dalle proprie abitudini perché scattando più di frequente con metodi a priorità potrebbe essere comoda per la compensazione o magari per modificare il bilanciamento del bianco. Non ho ancora capito se sia davvero utile, tuttavia mi sto impegnando ad utilizzarla e non è affatto male. Da notare che procede con piccoli scatti ma che non è facile spostarla accidentalmente visto che non è attiva finché non si tiene premuto il pulsante di scatto a metà corsa.
Dall'ottico all'elettronico
Per chi proviene da fotocamere reflex, uno dei punti di maggior dubbio è rappresentato dal mirino elettronico. Per me non è affatto una novità avendo utilizzato mirrorless fin dai primi anni della loro uscita, ma voglio provare brevemente a far capire cosa cambia per chi non lo sapesse. Senza lo specchio la luce che passa nell'obiettivo va sempre direttamente sul sensore, quindi non c'è possibilità di avere una visione ottica in tempo reale come quella che si ottiene nelle reflex grazie il pentaprisma. Quello che si vede avvicinando l'occhio al mirino è effettivamente un secondo display, più piccolo di quello principale con delle lenti che lo ingrandiscono e ci consentono di metterlo a fuoco grazie alla rotella per l'adeguamento delle diottrie. Nel caso della EOS R il pannello del mirino ha 3,69 milioni di punti ed un ingrandimento dello 0,76x.
La visione tramite schermo ha una serie di vantaggi e relativamente pochi svantaggi. Ovviamente questo considerando il livello qualitativo che si è raggiunto oggi, poiché in passato anche la risoluzione e la ridotta velocità di refresh rendevano l'esperienza d'uso infinitamente inferiore rispetto a quella di un mirino ottico. La prima cosa da sapere è che uno schermo offre molta più flessibilità, dunque è possibile personalizzare le informazioni visibili ed averne di più o di meno a seconda delle proprie preferenze. Uno dei vantaggi più evidenti però è un altro, ovvero che si ha l'anteprima in tempo reale dell'esposizione. Dunque non è più necessario controllare l'esposimetro per capire se una foto sarà sovra o sotto esposta, poiché si vedrà essenzialmente la resa dell'illuminazione prima ancora di premere il pulsante di scatto. L'esposimetro c'è comunque e volendo si può attivare anche un istogramma della luminosità, a conferma del fatto che si possono avere molte più informazioni utili.
Gli svantaggi di questo sistema non sono poi molti ma ci sono un paio di situazioni in cui si possono avvertire. La prima è che quando si scatta con poca luce l'occhio umano è ben più capace di adattarsi, mentre il mirino elettronico perde un po' di qualità e diventa più lento. Inoltre se in queste condizioni si preme il pulsante di scatto a metà corsa per mettere a fuoco si può vedere una temporanea sovra illuminazione della scena per renderla più chiara ed aiutare l'AF. Non è un reale problema ma non è piacevole da vedere ed introduce un po' di lag. La seconda si presenta a chi scatta in studio con luce flash, in quanto la scena con i parametri di scatto corretti sarà notevolmente sotto esposta finché le luci non scattano. Dunque si deve disattivare l'anteprima in tempo reale per poter avere una visione che non tenga conto dei dati impostati su tempo/apertura/ISO e ci mostra una scena chiaramente visibile sempre, in modo analogo a quanto farebbe un mirino ottico. Purtroppo questo passaggio non è automatico appena si collega un flash o un trigger, dunque ho dovuto mettere l'opzione nel my menu per poterla raggiungere in fretta tutte le volte che scatto in studio.
Articolazione dello schermo
Rispetto alla mia precedente reflex, che uso ancora in abbinata alla EOS R, una grande differenza risiede nello schermo articolato. A me non serve più di tanto il fatto che si ribalti, perché non ho necessità di fare selfie o cose simili, ma il fatto che si possa inclinare consente di realizzare scatti da angolazioni differenti con molta più semplicità. Ad esempio nei matrimoni durante i balli di gruppo riesco a fare delle foto dall'alto con le braccia tese avendo comunque un'idea del risultato, mentre con la reflex andavo alla cieca e dovevo fare tante prove prima di ottenere lo scatto giusto. La stessa cosa vale ovviamente anche per le foto dal basso e si rivela utile anche nei video.
Mi ha però colpito un passaggio della recensione di Maurizio sulla RP, quando parlando dello schermo ha scritto: "Con il tempo ho iniziato ad apprezzare alcuni vantaggi di praticità degli schermi che si inclinano solo in verticale". In effetti c'è almeno una situazione in cui la cerniera laterale è più scomoda ed è quando si deve collegare qualche cavo negli sportellini laterali. A parte quello del microfono, che è molto alto e non si tocca mai, tutte le altre connessioni lo bloccano. A me succede quando scatto in studio in modalità tethering collegando la fotocamera al computer via USB, poiché se apro lo schermo poi non lo posso ruotare per vederlo dall'alto. E con questo tipo di cerniera non c'è un altro modo per farlo. Può sembrare una sciocchezza ma se ci si trova in questa esatta condizione è fastidioso, mentre un display che rimane al suo posto non è ovviamente in grado di offrire l'auto inquadratura ma se si può inclinare in alto e in basso non tocca le connessioni laterali.
Per il resto trovo questo schermo molto valido, sia per la diagonale da 3,2" che per la resa colore e la buona risoluzione di 2,1 milioni di punti. Non uso sempre il touch screen, però devo confermare che in caso di necessità si rivela davvero comodo perché è molto reattivo, preciso e disponibile praticamente in tutte le aree del sistema, compreso il menu e il pratico quick menu che si attiva con il tasto al centro del pad direzionale.
Messa a fuoco 2.0 beta
Provando diverse fotocamere ho avuto modo di verificare la resa dei differenti metodi di messa a fuoco che vengono utilizzati nel mondo mirrorless. Canon ha realizzato il Dual Pixel CMOS AF, un sistema proprietario in cui sostanzialmente si replicano le funzionalità della ricerca di fase con pixel divisi sul sensore. Non entro nel dettaglio poiché se n'è già parlato più volte, ma voglio dirvi qualcosa della mia esperienza sul campo. La prima cosa positiva che si nota è che praticamente tutto il fotogramma può essere utilizzato per mettere a fuoco, offrendo molta più flessibilità e rendendo le inquadrature più semplici. Sempre nella colonnina dei pro rientra il fatto che incredibilmente la risposta dell'AF con obiettivi EF montati tramite l'adattatore è persino superiore a quella che avevo montandoli direttamente sulla 5D Mark III.
Tra le altre novità interessanti devo citare senza dubbio l'Eye AF, che riconosce automaticamente i volti delle persone e mette a fuoco sull'occhio più vicino. In generale ha una buona resa ed è davvero comodo in tantissime situazioni, tuttavia per passare dal volto all'occhio il soggetto deve essere relativamente vicino. Molto spesso non è un problema ma, quando si scatta con profondità di campo molto ridotte, mettere a fuoco genericamente sul volto può portare a risultati incerti. In questi casi, così come quando si voglia avere un controllo più diretto, il punto singolo è la modalità che preferisco e che tutto sommato si comporta meglio. Ce ne sono anche altre per aree, aree espanse, ecc.. ma si applicano a casi più limitati.
Sul tracking dei soggetti trovo invece che questa Canon non sia a livello delle dirette concorrenti. Le foto che si trovano effettivamente a fuoco dopo una raffica con inseguimento sono sotto la media e agendo sulle opzioni di personalizzazione non si ottengono comunque risultati al pari della 5D e delle rivali mirrorless più recenti. Probabilmente un problema è anche dovuto al fatto che nella raffica da 8fps lo schermo si oscura ripetutamente e in generale la velocità operativa della fotocamera non è al pari della 5D, anche solo quando si fa uno scatto e si attiva la revisione immediata, ci si accorge che trascorrono un paio di secondi prima di vederlo apparire a schermo.
Uso in studio / Flash
Una grande parte del mio lavoro è la fotografia in studio. Nell'arsenale ho sia dei flash classici da 500W (gli Elinchrom BRX500) che gli speedlite di Canon, oltre a quella via di mezzo rappresentata dal comodo Godox AD200 (al quale sto pensando di affiancare due Godox AD400). Questo per dire che uso spesso i flash, sia in TTL che in manuale, ed ho potuto provare anche varie combinazioni. Innanzitutto una nota di colore: sia la EOS R che la 5D Mark III hanno il tempo di sincronizzazione fisso a 1/200, ma l’otturatore della 5D deve essere “stanco” perché per una perfetta sincronia devo scendere a 1/160. Lavorare con i flash manuali in un ambiente controllato con la EOS R è semplice ma bisogna disattivare manualmente la simulazione continua dell’esposizione, come spiegato sopra parlando di mirino e schermo.
Sempre riprendendo alcuni dei punti già discussi, devo dire che con la EOS R posso permettermi angoli di ripresa prima difficili o impossibili con la 5D, inoltre posso realizzare un inseguimento più completo grazie all'ampia copertura dell'AF che mi è utilissimo durante “i salti” nella danza. Passando all’uso con TTL e anche in modalità HSS, il comportamento è simile ma non uguale. La macchina cerca di calcolare la luce a disposizione considerando anche i flash e se la luce senza flash non è sufficiente a visualizzare la composizione nel display, disattiva temporaneamente la simulazione dell’esposizione. Alla lunga ci si abitua a questo comportamento strano, ma questi continui cambi di “luminosità” nel display e nel mirino non sono piacevoli. In compenso c’è la possibilità di impostare il flash anche tramite il menu della fotocamera e sono onnipresenti le classiche opzioni: prima tendina, seconda tendina e HSS, oltre al controllo wireless, i gruppi e molto altro a seconda del flash collegato (cambia proprio la forma del menu). In studio uso molto lo scatto tether e quest’anno ho provato il software nativo di Canon sul mio MacBook attaccato ad una TV esterna. Il funzionamento con il cavo grazie all’interfaccia USB 3.1 di tipo C è veloce e senza nessun problema (vi suggerisco di acquistare questo cavetto che mi ha consigliato Maurizio e funziona molto bene). La questione è diversa quando si utilizza il Wi-Fi perché, nonostante tutto, la gestione dello scatto è ancora lenta e macchinosa. Utile forse più per sessioni di still life, dove però il cavo non dà troppo fastidio paradossalmente. In compenso ho apprezzato lo shooting tether con l’iPhone e l’iPad, dove le prestazioni sono degne di nota (anche perché non scarica l’immagine appena scattata) e ho potuto usarlo sul campo già in qualche occasione. Per la prima volta da quando provo le fotocamere, vedo che il Bluetooth è effettivamente utile perché l’app trova a primo colpo la fotocamera e riesce ad instaurare abbastanza rapidamente una connessione in Wi-Fi per usare il tethering vero e proprio. E sopratutto lo fa automaticamente, senza dover scegliere noi la rete wireless creata ad hoc dalla macchina fotografica.
Nuovi traguardi e nuovi limiti
La tecnologia nelle fotocamere digitali senza specchio ci offre numerosi spunti positivi e uno dei più importanti è che il ridotto tiraggio sta consentendo – e consentirà sempre di più in futuro –  di creare ottiche ben più performanti. In quest'ambito Canon ha già iniziato a dare dimostrazione di forza e devo ammettere che proprio il parco di obiettivi presentati e la qualità degli stessi mi ha dato l'ultima spinta necessaria per passare alla EOS R. Un'altra chicca esclusiva di questo corpo – che non troviamo neanche nella sorellina RP – è la tendina che protegge il sensore durante i cambi di ottica (che si attiva quando la fotocamera è spenta).
D'altro canto nelle mirrorless ci sono anche degli svantaggi e il più evidente di questi è la minor durata della batteria. È da apprezzare che Canon abbia mantenuto retrocompatibilità grazie alle LP-E6N, ma sulle mirrorless c'è sempre uno schermo attivo, che sia il mirino o il display posteriore, e il sensore è continuamente in funzione, ecco perché l'autonomia scende drasticamente. Rispetto alla 5D si fanno più o meno un terzo degli scatti con singola carica, anche se ovviamente dipende molto dal tipo di utilizzo.
Se ad esempio si tiene la fotocamera accesa per tante ore si consumerà comunque anche se si scattano solo un paio di foto. È un caso limite, ma è importante capire che i 370 scatti dichiarati dal CIPA per la EOS R sono solo indicativi. Comunque sia è una novità sgradevole a cui non ci si abitua facilmente e che ci obbliga sicuramente a dotarci di un paio di batterie di scorta. Devo però dire che, oltre a trovarsi facilmente quelle compatibili a prezzo valido, ne ho provate alcune di Patona che vengono perfettamente riconosciute dalla fotocamera, anche se all'atto pratico durano un po' di meno delle originali.
Lo sportellino laterale per la memoria è comodo ed è chiaramente adatto ad ospitare le più moderne UHS-II, che aiutano a svuotare più rapidamente il buffer nelle raffiche. Lo svantaggio della EOS R più evidente e di cui molto si è discusso, è che possiede un unico slot. Molti fotografi non prendono neanche in considerazione l'idea di lavorare senza un backup e in generale sono sempre stato abituato così anche io. Soprattutto perché nella maggior parte dei casi seguo degli eventi non ripetibili, come i matrimoni, dove l'eventuale rottura di una scheda non è una cosa da prendere sotto gamba. Anche oggi, se mi soffermo a pensarci, la singola memoria nella EOS R mi mette un po' d'ansia, però alla fine ho deciso di superarla. L'ho fatto pensando a diverse attenuanti, la primo delle quali è che le SD attuali non sono più quelle di un tempo e quelle buone è davvero difficile che si danneggino. Parlo di memorie come le SanDisk Extreme Pro, che la casa dichiara come impermeabili, resistenti ai raggi X, agli urti ed agli sbalzi di temperatura. Certo non sono indistruttibili, ma non sono neanche così scadenti come alcuni immaginano e non a caso vengono impiegate ormai anche in ambito professionale nelle medio formato o nelle cineprese. La seconda cosa che mi dà tranquillità è che lavoro sempre con due corpi, dunque è difficile che ci sia un momento della cerimonia che ho esclusivamente su una memoria. Infine ho l'abitudine di usare più schede di piccolo taglio che non una per tutto, in modo da limitare ulteriormente il rischio. E se proprio voglio stare ancora più tranquillo so di poter utilizzare uno strumento come quello recensito da Maurizio per fare una copia di backup al volo anche senza computer. Insomma due slot sono meglio, ma ho trovato il modo di convivere anche con uno.
La qualità che conosco
Arrivando da una Canon 5D Mark III la EOS R è stata un passo in avanti per la qualità d'immagine. Il suo sensore full-frame è infatti basato su quello della 5D Mark IV, che ha più risoluzione (30 MP), più gamma dinamica e minor rumore (soprattutto quando si aprono le ombre). Dirò forse qualcosa di impopolare, ma io già con la Mark III non è che abbia mai avuto problemi legati alla resa fotografica. Sono un appassionato di tecnologia oltre che di fotografia e seguo da vicino l'evoluzione di questo mercato, ma non sono uno di quelli per cui l'erba del vicino è sempre più verde. Il fatto che ci siano sensori tecnicamente migliori – perché ci sono – non lo vivo negativamente. La EOS R sforna degli ottimi file e mi dà la possibilità di post-produrre per quel tanto che mi serve. Inoltre apprezzo molto i colori di Canon che ritocco pochissimo e in un certo senso fanno ormai parte del mio modo di fare fotografie. So che questa disamina è tutt'altro che scientifica, ma se volete badare esclusivamente ai numeri posso già dirvelo io che attualmente tra le migliori nel segmento ci sono la Sony A7 III (recensione) e la Panasonic S1, però la prima non c'è verso di farmela piacere e la seconda è ancora agli inizi, con un parco di obiettivi davvero ristretto e poco appetibile.
Alcuni penseranno che sia illogico non puntare sul cavallo dato per vincente, ma da lavoratore autonomo ho imparato che la scelta degli "strumenti" non è una mera questione di matematica. Certo è un po' un cliché che da fotografo Canon su reflex abbia atteso le mirrorless full-frame della stesa casa per fare il passo, dopo anni di tentazioni dal mondo Fujifilm, ma questa scelta mi dà molta più tranquillità, sia perché conosco il brand – e non ho mai avuto problemi con i suoi prodotti – sia perché non è facile buttare per aria tutto il parco di attrezzature su due piedi per un cambio radicale dall'oggi al domani. È complicato sia dal punto di vista economico che operativo, perché comunque ho uno studio fronte strada che deve continuare a garantire la sua operativa tutto l'anno.
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E per chi fa video...
Rispetto la EOS RP la R ha qualche vantaggio anche in ambito video, come ad esempio il profilo C-Log, il TimeCode, l'uscita video 4:2:2 a 10bit, maggiori opzioni in termini di framerate. Rimane tuttavia l'enorme crop di circa 1,75x in 4K di cui ha parlato Maurizio. Entrambi i modelli dunque non brillano nell'attuale panorama ma per girare in FullHD con 25/50p va abbastanza bene. A fare parecchia differenza rispetto la RP è il C-Log, poiché offre dei file con più gamma dinamica ma non eccessivamente piatti e difficili da lavorare.
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Chi utilizza le cineprese Canon sa di cosa parlo e per questi può essere anche un buono modo per avere del girato aggiuntivo da una seconda angolazione da aggiungere al montaggio principale, girato magari con una C100. Parte del pregio in ambito video è anche dovuto alla buona resa della messa a fuoco Dual Pixel CMOS AF, che è abbastanza intelligente nel capire cosa mettere a fuoco e lo fa con passaggi quasi sempre buoni. Non è perfetta ma ci permette di premere rec senza preoccuparsi di mettere a fuoco sapendo che alla fine, più o meno, se la caverà da sola.
Conclusione
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La Canon EOS R non è la fotocamera che avrei disegnato per me prospettando un passaggio alle mirrorless. Ma soprattutto non è che questo cambio fosse strettamente necessario. Tuttavia il mondo fotografico si sta spostando in blocco in questa direzione, e non è un caso. Con il nuovo ampio innesto ed il tiraggio ridotto, Canon ha dimostrato che anche obiettivi apparentemente banali come il 24-105mm F4L, oppure estremi come il 50mm F1,2L, possono essere migliorati. E neanche di poco! Non sono così convinto che alcuni cambiamenti attuati in questo corpo siano vantaggiosi, penso ad esempio alla touchbar, ma di certo nel neonato sistema EOS R c'è parecchio di buono. In un certo senso mi sono voluto adattare in questa fase, ma vedendo i diversi vantaggi delle senza specchio erano anni che meditavo di cambiare ed è stato decisamente meglio farlo rimanendo nel mio stesso ambiente. Quando Canon presenterà una fotocamera di classe superiore a questa probabilmente coglierò l'occasione per pensionare la 5D Mark III e, se dovesse esserci la necessità, aggiornare pure l'attuale R. Nel frattempo sto avendo la comodità di cambiare pur ritrovandomi a Casa, non soltanto perché conosco e trovo comodi i corpi, i menu e le logiche di funzionamento delle Canon, ma anche perché sto utilizzando gli stessi obiettivi di prima, potendo pianificare un passaggio completo su RF a piccoli passi, con spese programmate in base alle possibilità del momento e senza nel frattempo intaccare il mio lavoro. Se dovessi dare un consiglio a chi si trova nelle mie stesse condizioni di qualche mese fa, gli direi di fare lo stesso. Certo se la fotografia è un hobby ci si può permettere di sperimentare un po' di più, si può rischiare di scoprire che una fotocamera eccellente sulla carta non ci piace da utilizzare, rivenderla e provare ancora, ma per chi ci lavora la stabilità, la sicurezza e la continuità sono dei valori da non sottovalutare. Continuo a provare diverse fotocamere e ci sono tante cose che mi attirano in altri brand, ma con la EOS R so di riuscire ad ottenere i risultati che voglio come voglio. Se trovi uno strumento che ti dà queste garanzie, non ha senso cercarne un altro. È molto meglio spendere le stesse energie per migliorare sé stessi.
PRO
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 Corpo compatto, robusto e abbastanza leggero
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 Ben tropicalizzata
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 Ergonomia convincente
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 Ottima copertura del frame con l'AF
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 Comodo Eye AF
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 Display superiore di stato
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 Mirino godibile
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 Autofocus video efficace
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 Display articolato e touch
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 Tendina di protezione sensore nel cambio obiettivo
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 Connessione wireless semplicissima
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 Audio in/out
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 Display completamente articolato
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 Menu semplice e ben organizzato
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 Controllo touch screen molto ben sviluppato
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 Ottima funzionalità dell'adattatore EF/RF
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Parco lenti di questo sistema ancora compatto ma molto interessante
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 Ricarica via USB-C
CONTRO
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 Un po' lenta in alcune operazioni
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 Crop esagerato nel video 4K
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 Elevata presenza di rolling shutter nel video
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 Autonomia non molto elevata
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 Un solo slot di memoria
L'articolo Recensione Canon EOS R dal punto di vista di un fotografo abituato alle reflex proviene da SaggiaMente.
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letsmercolediaddams · 7 years
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“Stupida falena con la tua stupida fiamma”
Difficile capire da dove iniziare, solo che da qualche parte dovrò pure farlo, prima o dopo. Ci sono tante persone che passano nella vita di ognuno, centinaia, forse anche di più: alcune rimangono, camminano al tuo fianco e sono sempre nella luce, senti la loro presenza, le vedi; altre camminano in sordina al tuo fianco, nell’ombra, non le vedi e non si fanno volutamente vedere, ma ci sono, camminano con te. 
Ci sono persone tra queste che diventano importanti senza volerlo, senza accorgersene, persone che diventano il tuo equilibrio, persone che cerchi quando senti qualcosa di te che non va e non sai come fare, persone che pian piano arrivano a conoscerti intimamente restando a guardarti negli occhi. Persone che senza volerlo hanno un grosso ascendente su di te, sulle tue scelte, sul tuo mondo. Tu eri quella persona per me, L., e probabilmente lo sei ancora nonostante anni e chilometri. Mi ricordo quando ti dissi che mi piacevi, eravamo alle superiori, stavamo entrambi per dare la maturità, eri nella mia stessa classe quell’anno, dopo l’unione delle due classi. Ti conoscevo, ci siamo forse parlati qualche volta. Ti ritenevo uno stronzo arrogante, ma la vita come molto spesso accade, è peggio del contrappasso dantesco. Siamo stati vicini di banco per quasi tutto l’anno, le mie cose erano tue, come le tue erano mie, dividevamo la merenda come scolaretti delle elementari e mi sorridevi attraverso gli occhiali. Mi piaceva il tuo sorriso, mi piaceva come mi guardavi, mi piacevi tu. Te lo dissi, senza mezzi termini né diplomazia, non sono mai stata troppo brava nel dichiararmi, te lo dissi fuori dalla biblioteca, in pieno inverno. Non ebbi il coraggio di guardarti in viso quando te lo dissi. Mi sarei aspettata una risata, un atteggiamento diverso forse. Quello che ebbi fu dannatamente peggio: “Ti tratterò male.“ fu la tua risposta e te ne andasti, tornasti dentro l’edificio lasciandomi sola nel piazzale. Ricordo ancora la tristezza della tua voce. La vita è stata ingiusta con noi due, molto. Io uscivo con F. ed F. e tu ogni tanto uscivi con noi, ti sedevi distante da me, sempre. Giocavamo a calcio balilla e tu sceglievi i rossi, io i blu; bevevamo un amaro: io Averna, tu Montenegro con ghiaccio. Passavamo le nostre serate così, in un pub a ridere tra amici, arrivavo e ti aspettavo, attendevo il tuo arrivo con impazienza seduta sulla panca di legno scuro a canticchiare con un’amica di fronte. Non mi aspettavo di conoscerti e farmi conoscere molto più di così. 
“Ti va un caffè?“ ti chiesi, non nutrivo troppe speranze anche solo in una risposta. “Certo, quando?“ mi chiedesti in risposta. Un’ora dopo avevamo il nostro caffè fumante in quel bar che sarebbe divenuto presto il nostro rifugio, il nostro piccolo mondo segreto, dove eravamo solo io e te avvolti nell’aroma di caffè. Sei arrivato a conoscermi bevendo quei caffè interminabili, sei arrivato forse a capirmi più di quanto ti saresti aspettato, sei forse arrivato a provare qualcosa per me, mentre io consolidavo sempre più la tua presenza nel mio mondo, cementavo i tuoi piedi quasi al centro della mia vita, ti guardavo sorridere tra quei caffè e ti guardavo goffo ed impacciato quando cercavi di farmi un complimento. L’aria attorno a noi era densa di imbarazzo, di parole non dette o dette a metà, frasi incomplete che lasciavano posto a milioni di interpretazioni. Noi eravamo così, incompleti nelle nostre esistenze, ma continuavamo a cercarci e continuavamo ad esserci l’uno per l’altra.  Ricordo la nostra notte in tenda. Dormisti fuori, da solo, lasciasti la tenda a me e a T. senza fornirci una spiegazione... ogni tanto aprivo la cerniera della canadese e spiavo, ti vedevo osservare il cielo stellato avvolto nel tuo sacco a pelo, con le braccia sotto la nuca, sorrisi e se fossi stata sicura di non svegliare T. sarei venuta a farti compagnia. Ricordo il mattino seguente quando noi tre, in pigiama, siamo andati nel bar più IN della città a fare colazione, ridevamo delle occhiate che dardeggiavano su di noi, mentre scompigliati e sfatti mangiavamo la pastina.  Ricordo la nostra pasquetta a Giazza, vicino al ruscello, ricordo che era una giornata da costume e nessuno di noi ce l’aveva, ricordo il tuo imbarazzo nel vedermi in reggiseno, ricordo il tuo sguardo sul mio viso candido; ricordo il mio rossore quando ti levasti la maglia restando in bermuda. Ricordo i visi dei nostri amici che assistevano a questi flirt non troppo velati. Ricordo le nostre scampagnate in montagna, ricordo la fine della nostre mete, ricordo i panini divisi e le bottiglie d’acqua finite, ricordo le vesciche ai piedi e ricordo le scottature, ricordo il tuo prendermi in giro ed il tuo fasciarmi i piedi, ricordo quando ti levavo gli occhiali e ti spalmavo il doposole sul viso. Poi crollai, vidi la mia vita rotolare giù per un burrone, la valanga che ne seguì fu disastrosa, per me e per tanti, arrivai a pesare 38kg: F. mi riprendeva spesso, si interrogava sul perché stessi diventando sempre più magra “Stress ed esami.” mentivo, lui l’ha sempre saputo, me lo disse diversi anni più tardi. Sapeva che non poteva fare molto se non starmi vicino come il fratello di cuore quale è. Quando vidi la mia vita in pericolo scappai, scappai tra le braccia di un uomo che mi amava, che tutt’ora mi ama. Fuggii distante dalla mia vecchia vita, dai miei fallimenti, dai miei errori e da tutto quel passato. Scappai senza dire nulla a nessuno, o quasi. Due persone quel giorno di luglio ricevettero un mio messaggio, due soltanto e tu non eri tra queste. Sapevo che una tua parola avrebbe potuto farmi restare e lottare. Lo sapevo fin troppo bene. Passarono gli anni e non dico di non averti mai pensato, sarebbe falso e stupido. Il tuo ricordo ogni tanto faceva capolino nella mia vita, era vago e sbiadito, ma serviva a farmi presente che la tua mancanza, la mancanza del mio equilibrio, faceva un male cane. Ogni tanto, senza destare troppi sospetti, chiedevo ad F. di te, non fece domande in merito, non me le fece apertamente, si limitava a rispondermi tranquillo e sincero.  Eri una presenza ai limiti più oscuri dell’ombra dei miei pensieri, c’eri, eri lì, ma non sapevo più nulla di te. Mi chiesi spesso come passassi la tua vita, scomparivi e riapparivi nella vita di tutti come sempre, magicamente quasi ripiombavi al locale e ti univi ai tuoi amici di sempre, mentre io ero chilometri e chilometri da quella vita.  Iniziai a scrivere per gioco, rileggendo mi resi conto che al protagonista diedi tanto di te, del tuo carattere schivo e a volte scontroso. Intelligente e pacato. Gli diedi i tuoi occhi ed il tuo sorriso. Gli donai quello che tu donasti a me inconsciamente. Gli diedi tua conoscenza e il tuo essere disposto a condividerla con gli altri, gli ho dato un’apparenza saccente, ma come per te la sua è solo una maschera. 
Ti ho chiamato Solas senza volerlo. Poi un sogno, stanotte, ti vidi in un’aula dell’ateneo. Mi sorridevi e ti avvicinavi a me, indossavi la polo blu che ti regalai, mi abbracciasti, il tuo petto era contro la mia schiena, sentivo il tuo cuore battere contro la mia scapola, sentivo il tuo viso affondare nei miei capelli arrivando al collo, me lo baciavi, sentivo la leggera barba pungermi la spalla, ero come spaesata, non capivo, ma non volevo andarmene, mi piaceva stare lì con te. “Attenta, - ti sentii dire - ti stai innamorando di una cosa che non esiste.“ 
Mi svegliai e il tuo ricordo scomparve lasciandomi il vuoto.
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iirrddkk · 5 years
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(Parte 2 :) )
Io non L ho mai detto ti amo in vita mia, ma son felice veramente che la prima volta che L ho provato sia stato per lei. Davvero. Chiunque la amerebbe conoscendola cazzo. È stupenda. E se un giorno scoprirà pure questo mio profilo... La cazzo sappilo, sei stupenda. Auguro a tutte le persone in questo mondo di merda, egoista, materialista, di incontrarla, di scambiarci due parole, di guardarla negli occhi quando sorride, di sentirla ridere. In questo momento mi è impossibile credere che esistano persone che siano sopravvissute senza conoscerla. Raga mi dispiace per voi, è meravigliosa. E non dico ste cazzate perché sono una romanticona del cazzo e basta, si Vabbhe son pure quella ma non fatemene una colpa, le dico perché le sento. Le sento sempre. Incondizionatamente. Anche quando mi fa incazzare e vorrei mandarla a quel paese io lo so che la amo. Ogni volta che entrò in classe e devo aspettare che entri lei, perché entra sempre all’ultimo ovviamente rido, ogni volta che la vedo ferma nella porta che ride sparando cazzate con le sue amiche, mi batte il cuore come se stessi vedendo chissà chi. E io mi chiedo se continuerà a farlo per molto tempo. Non lo so. So solo che il mio cuore non ha mai fatto così per nessun altro. So solo che da quando la conosco ho sempre la fottuta paura di perderla. Io lo so che mi vuole bene, lo riesco a sentire a volte; ma ahimè ormai son diventata troppo egoista nei miei confronti per farmelo bastare. Sono diventata incontentabile da quando L ho baciata quella notte. Non mi basta più nulla. Se mi da un bacio ne voglio altri tremila. Cazzo io la voglio veramente. Però sto cambiando argomento di nuovo, scusate, mi confonde pure solo pensarla. Non mi basta per niente essere solo amiche, sopratutto perché non possiamo tornare a esserlo come lo eravamo prima; non mi basta per niente. Ma faccio finta. Preferisco fingere di stare bene così e continuare a vederla, anche se non quanto vorrei, che dirle che ogni volta che la vedo mi sciolgo, che vorrei fare con lei tutte le forme d’amore esistenti, che vorrei dirle e farle tante cose... perché lei non le vuole da me. E questo la allontanerebbe. E io lontano da lei per ora non ci posso stare proprio per un cazzo. Come cazzo fa la gente con le relazioni a distanza? Io muoio dentro, anche se non lo dico magari, solo a non vederla per un paio di giorni. Raga voi che ci riuscite, siete forti cazzo. Come è forte lei, come è forte la sua ragazza, che a non so quanti km di distanza, ma tanti, e ancora sono come il primo giorno che si sono incontrate. Vorrei un amore così. Forse anche migliore. Si sì lo vorrei migliore, come spero che il loro migliori e resista. Io non ho mai cercato l’amore in realtà, e come dicono tutti gli smielati “arriva quando meno te l’aspetti”, peccato che ce L ho sempre avuto davanti ma invece di guardare stavo dormendo probabilmente.. Vabbhe. Io andrò avanti, non ora, ma lo farò credo. Però stanotte ho voglia di parlare di lei, sarà perché ho già stressato abbastanza la gente con cui ne parlo, sarà perché queste cose non posso dirle a lei o ad altri, sarà che scrivere mi ha sempre aiutato a distrarmi. Stanotte voglio scrivere di te La, sono le 11:11 della notte del 7 gennaio 2020 e io ho voglia di scrivere di te, come ogni notte d’altronde, però oggi solo cose positive menomale hahaha. Non so perché scrivo così visto che spero vivamente tu non leggerai mai sta roba. Sarebbe alquanto imbarazzante. Però mi ci son quasi abituata ad essere imbarazzata quando si tratta di te sai. Sappi che io sto bene, anche quando dico che non me ne va bene una, sto bene. Io spero tu sia felicissima. Spero tu stia piangendo ma dalla felicità se mai leggerai ste parole buttate Al vento. Spero tu sia in qualche Autobus o treno di Budapest mentre torni a casa dall’università o che ne so, chissà dove andrai, sei sempre stata inaspettata tu. Cazzo fino ad un paio di mesi fa aspettavo il principe azzurro guardando film del cazzo, pur non volendo quei ragazzi là perché dai anch’io so essere realista; poi bho mi sono accorta che non volevo qualsiasi principe (...)
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vesd94 · 7 years
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Cien Nature è una linea di cosmesi reperibile al Lidl che prima veniva posta sugli scaffali solo occasionalmente: a partire da qualche mese invece è diventata una linea fissa, trasformandosi da un miraggio in qualcosa di accessibile a tutti.
Buongiorno a tutti! Com’è il clima da voi? Qui ha piovuto per giorni, non c’è stato proprio sole: ho già installato delle lucine a carica solare nel mio giardino in occasione del mese di Natale e negli ultimi giorni non sono mai riuscite a caricarsi. Da ieri invece si sta un po’ meglio: c’è il sole. 🙂
Vi ricordate dell’iniziativa del Calendario dell’Avvento di Vanity Space cui avevo accennato negli articoli precedenti? Oggi è già il 5 di dicembre: è quasi una settimana che spacchetto! Vi lascio la foto della sorpresa riservata a ieri mattina. Seguitemi sui social per conoscere il contenuto degli altri pacchetti. 😀
Buongiorno e buon inizio di settimana, oggi finalmente c'è il sole! Scartiamo il quarto pacchetto dell'Avvento di @vanityspaceblog in collaborazione con l'e_shop @bioalchemillait . Ieri dal totopacco sul gruppo FB è risultato che stavamo sperando tutte in un tonico, e questo flaconcino incartato senza scatola lo sembrava a tutti gli effetti. Invece ci siamo ritrovati davanti, questa mattina, a uno spray fissativo per capelli, una lacca ecobio praticamente, alla rosa, del brand italiano @maternatura.it , che ringrazio. ❤️ Questo spray è a base di estratto di rosa damascena, olio di semi di lino e olio di mandorle dolci, certificato AIAB, testato al nickel e VeganOK. La fragranza è molto dolce e delicata. Andrà vaporizzato sui capelli umidi prima di asciugatura e messa in piega. Ottimo, visto che tra qualche giorno cambierò il taglio dei miei capelli…….. Shhhh!!! 😝 Ho deciso di regalarvi un bonus: in questo post, insieme alle immagini dello spray Maternatura, vi regalo anche una foto del mio GATTINO, si chiama Simpatico e quasi non c'entrava tutto. • #totopacco #nataleconvanity2017 #vanityspaceblog #vanityspace #vanityspacebeautyadvent #calendargirls #ecobioblog #ecobioblogger #naturalproducts #crueltyfree #madeinitalywithlove #beautyblogger #naturalbeauty #lovenature #ecofriendly #organicproduct #organicbeauty #maternatura #skincare #haircare #vegan #veganok #vegetarian #vegetarianok #crueltyfreebeauty #bio #ecobio #biologico #organico #naturale
A post shared by Veronica Pezzola (@vesd94) on Dec 4, 2017 at 1:31am PST
  Allora. L’argomento di oggi è una piccola review, a proposito di due creme particolari con cui mi sto trovando abbastanza bene: la Crema viso da giorno e la sua variante da notte al Melograno della Cien Nature.
Come dicevo nell’introduzione, mesi fa, la linea Cien Nature nei Lidl veniva venduta saltuariamente, di solito a primavera inoltrata, e le scorte venivano terminate nel giro di poche ore il primo giorno dell’offerta.
Evidentemente qualcuno l’avrà reclamato esplicitamente, avranno organizzato una raccolta firme, o, più semplicemente, i piani alti si saranno resi conto che era qualcosa di molto richiesto: la Cien Nature è stata impostata come linea fissa, quindi al giorno d’oggi praticamente tutti possiamo pensare di poter acquistare qualcosa senza svegliarci la mattina e metterci a correre più veloci del leone e della gazzella.
  Io vi avevo già parlato quasi due anni fa dei prodotti Cien Nature che ero riuscita a comprare. Vi linko l’articolo QUI: vi consiglio di andarlo a leggere poiché mi sono accorta che è uno degli articoli del blog più letti.
Oggi invece vi esporrò le mie opinioni su due prodotti che ancora non vi avevo mai presentato. Prego.
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Nello slideshow qui sopra, se ci avete già fatto caso, ci sono anche le immagini delle confezioni con le liste di ingredienti. Iniziamo. Preannuncio che i prezzi sono ridottissimi: nemmeno 3€ per confezione, se non erro.
  Stiamo parlando di due tubetti da 50ml di crema per la pelle del viso destinata alle pelli mature, con obiettivo anti-ageing, da applicare su pelle detersa, pulita, asciutta e massaggiata fino a raggiungere anche collo e decolleté. Certificate Natrue, ovvero una certificazione di cui vi avevo già spiegato abbastanza e che mi era piaciuta molto, infatti ho voglia di riportarvi quel che avevo scritto anche nella vecchia review.
Natrue approva diversi tipi di sostanze, completamente in linea con la mia personale filosofia.
“Le sostanze natural-identiche possono essere usate soltanto quando non è possibile ottenerle dalla natura, attraverso opportuni processi tecnici.”.
“Le sostanze natural-simili hanno una giustificazione soltanto quando la loro funzione non può essere svolta usando sostanze naturali. Ingredienti natural-simili sono sempre ottenuti da sostanze naturali. L’olio minerale, tuttavia non è ammesso come ingrediente [per chi non lo sapesse parliamo di petrolati, ndr.]. Per la loro produzione si dovrebbero impiegare soltanto processi che riproducono meccanismi fisiologici (per esempio la formazione di gliceridi nella digestione dei grassi). Il numero dei passaggi chimici necessari alla trasformazione dovrebbe essere il più basso possibile.”.
  A voi.
Crema viso da giorno al melograno. Innanzitutto la confezione di cartone riporta la scritta Face Cream Pomegranate, che appunto significa Crema Viso al melograno. O, qualcuno dice anche, melagrana. La crema da giorno ha confezione e tubetto verde chiaro. Al contrario di quanto si possa pensare, l’estratto di melograno è relativamente basso nell’inci. Innanzitutto l’ingrediente base è l’olio di semi di girasole, cui seguono in ordine decrescente di quantità: glicerina, olio di avocado, olio di MELOGRANO, olio di jojoba, olio di noci del babassu (qualitativamente simile all’olio di cocco). Ho idea che l’odore di questa crema sia leggermente più aspro rispetto all’altra. Gli odori sono entrambi molto dolci e delicati, persistenti sulla pelle per qualche ora (riferito dal fidanzato).
Crema viso da notte al melograno. Questa confezione si distingue dall’altra per essere blu piuttosto che verde. Idem il tubetto, e riporta ovviamente il simbolo del frutto e tutte le stesse diciture della sua alternativa da giorno. Anche in questo caso l’olio chiave è quello di semi di girasole, cui si aggiungono altri oli in quest’ordine: noci del babassu, avocado, jojoba, melograno, burro di karité. Come dicevo, gli odori sono molto simili tra loro, anche se la crema notte è leggermente più dolce.
  Non ho bisogno di creare due review diverse: ho trovato queste due creme molto simili. Addirittura prima di scrivere l’articolo per cercare di trovare delle differenze ho diviso idealmente il mio viso in due parti, destra e sinistra, e ho applicato una variante per parte (Esempio: da giorno a sinistra, da notte a destra). Senza dubbio la crema destinata alla notte è più corposa: lo notiamo già dall’inci. La crema notte ha la glicerina altissima, addirittura dopo l’acqua, e poi una serie di oli in quantità nettamente maggiore rispetto alla crema viso.
La fragranza, come dicevo, è molto delicata, assolutamente non fastidiosa: una volta applicata e assorbita ce ne dimentichiamo tranquillamente. Le cremine fanno una leggerissima scia bianca che però si assorbe molto facilmente con un massaggio delicato, nemmeno troppo duraturo. E la pelle resta morbida e vellutata tutto il giorno.
La texture è molto leggera ma allo stesso tempo coprente, non lascia assolutamente la pelle oleosa, anzi, la mia pelle mista con zone critiche secche che gli anni passati si desquamava e arrossava, quest’anno, da quando ho iniziato a usare queste creme, è guarita e non si è screpolata PER NULLA. Io sono stupefatta. Non mi aspettavo una cosa del genere da delle cremine così “”””povere””””. Ciò per dire che forse dovremmo dare un secondo sguardo alle priorità quando preferiamo acquistare prodotti di brand stra-costosissimi, quando il discount sotto casa ci propone roba simile…
  … COMUNQUE, tutto quello che dico vale per me, che ho 23 anni, pelle mista, la definisco sensibile perché si arrossa facilmente e secca perché necessita di idratazione in alcune zone particolari. Non ho problemi di rughe (per ora), di occhiaie scure, di acne e cose varie. INDI PER CUI mi sento di consigliare questi prodotti alle ragazze più giovani (nonostante siano indirizzate alle pelli mature), o comunque per il periodo estivo, quando non dobbiamo esporci al sole. Dico questo perché, secondo me, una pelle matura merita un trattamento mirato, con ingredienti più potenti che devono contrastare diverse problematiche che incombono in maniera quasi irreversibile, promessa che alcuni olietti non possono mantenere.
In sintesi, con queste due creme ho affrontato l’estate e l’autunno, con tanto di gelo delle ultime settimane, e non ho avuto necessità di aggiungere sieri et similia, e mi sono trovata molto bene. Probabilmente continuerò a comprarle.
  Tempo fa, se vi ricordate, avevo usato la versione di crema viso della Cien Nature alla rosa, con il target delle pelli giovani. Quella crema era troppo leggera per me e, sicuramente, molto più leggera e acquosa rispetto a queste al melograno. Fine. ❤
Non so se lo sapete già, ma quest'anno, con un po' di attenzione e con una buona connessione internet, sono riuscita ad accaparrarmi il famigerato 🔥Calendario dell'Avvento🔥 di @vanityspaceblog ideato in collaborazione con l e-shop @bioalchemillait . Non vedo l'ora di iniziare a spacchettarlo. :3 Questo calendario dell'Avvento funziona esattamente come quelli che ricevevamo quando eravamo bambini, con l'unica differenza che al posto dei cioccolatini, ogni giorno a sorpresa🎁 aprirò un prodotto ecobio di cosmesi per la cura della persona, e voi sarete testimoni di tutto🌟🌟🌟 Sono impaziente di cominciare! 😀 Ovviamente non sono l'unica a godere di quest'iniziativa: siamo state scelte in 💥300💥! Inizieremo a spacchettare la mattina del 30 novembre e andremo avanti insieme fino a Natale🎅! 🎉Non perdetevi i nuovi post e le mie IG stories ogni giorno!!🎉 {Nella foto, mimetizzate tra i pacchetti, ci sono anche due esempi di gallette di mais +cioccolato, snack deliziosi, gentilmente offetti da @fiordiloto1972 🍪🐷} • #totopacco #nataleconvanity2017 #vanityspaceblog #vanityspacebeautyadvent #calendargirls #ecobioblog #vegano #ecobioblogger #naturalproducts #crueltyfree #madeinitalywithlove #beautyblogger #naturalbeauty #lovenature #ecofriendly #organicproduct #organicbeauty #naturalmakeup #skincare #haircare #vegan #veganok #vegetarian #vegetarianok #crueltyfreebeauty #bio #ecobio #biologico #organico #naturale
A post shared by Veronica Pezzola (@vesd94) on Nov 23, 2017 at 5:24am PST
Spero che anche questo articolo vi sia stato utile, di aver inaugurato il mese di dicembre nel migliore dei modi e, soprattutto, che vi rivedrò ancora nelle prossime puntate ❤
Vi ricordo inoltre di correre giornalmente a controllare il mio account Instagram e le stories, perché c’è l’Avvento di Vanity Space 😛 Anzi, proprio il pacchetto di oggi è quello che mi ha incuriosita di più, perché è un pacchetto gigantesco rispetto agli altri. Ovviamente io adesso che sto scrivendo non so di cosa si tratta, visto che sto scrivendo “ieri sera”. LOL In questo momento sono le 00:16 del 5 dicembre. 😛 #behindthescenes
Grazie per esser passati di qua, a presto!
E guardate la foto del pacchetto di oggi, ché sto morendo di curiosità ❤
Creme viso al melograno Cien Nature (Lidl) Cien Nature è una linea di cosmesi reperibile al Lidl che prima veniva posta sugli scaffali solo occasionalmente: a partire da qualche mese invece è diventata una linea fissa, trasformandosi da un miraggio in qualcosa di accessibile a tutti.
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stanza44 · 7 years
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18 Settembre 2017
Ci sono sempre state troppe parole tra noi.
La maggior parte servivano per compensare una vera mancanza di dialogo. In fondo ci siamo sempre ingannati.
Non c’era nulla che avrei voluto di più che vederti, per parlarti.
Lo sai bene, perchè benchè prendessi tempo ogni settimana, mi  facevi credere che ci saremo  visti e poi di volta in volta con un nuovo espediente rimandavi.
Non avevi voglia di affrontarmi, mi hai sempre considerato troppo impegnativa.
In realtà sono più semplice di quanto tu non credessi.
Quando ci siamo conosciuti da te non mi aspettavo altro che sesso.
Ti ricordi che ti ho invitato a casa mia, senza pensarci troppo.
Non c’era altro che io cercassi. Infatti  non capivo la tua insistenza a messaggiare con me, a chiedermi foto, dopo il primo incontro in cui non ti sei concesso mi hai tenuta un mese intero prima che ci rivedessimo. Ed io già mi ero stancata e ti avevo chiesto di non sentrci più. Ricordi quante volte te l’ho chiesto?
Ma tu mi hai sempre pregato di restare, promettendo qualsiasi cosa. Sapevi che erano bugie.
Io sono molto chiusa e in genere molto concreta. Per un insieme di coincidenze tu sei stato un occasione per mettermi alla prova.
Dopo due anni di inferno volevo capire se ero pronta a ridare fiducia a  qualcuno che non fosse già stato strettamente selezionato. Sei capitato tu. Non so bene perchè, Forse perchè la prima sera che ti ho visto hai parlato solo tu, e mi hai parlato del tuo divorzio, di quanto è stato doloroso per te soffrire per amore. Avevo pensato che qualcuno con un passato così importante potesse avere una sensibilità superiore agli altri.
Quando io mi metto qualcosa in testa non c’è modo di farmi cambiare idea. Neanche l’'evidenza dei fatti poteva distogliermi dalla mia convinzione che in te ci fosse qualcosa di speciale.
Eri la persona sbagliata e in fondo lo sapevo. Ma non volevo crederci.
I tuoi modi erano arroganti, privi di empatia. Ero molto stupita, nessuno mi aveva mai trattato in modo così superbo e sprezzante.
Non mi interessava un rapporto di quel tipo e ti ho bloccato.
Sei voluto tornare nella mia vita.
Mi dicevi che la tua era solo diffidenza, perchè non avevi più voglia di circondarti di persone che ti volevano solo per quello che potevi dare e non per quello che eri davvero.
Ti sei fatto spazio pian piano hai preso posto dentro la mia vita e sopratutto dentro la mia casa.
MI hai detto che avevi bisogno di essere te stesso e che con me sentivi di poterlo fare. Ti piaceva come ti facevo sentire, ti piaceva dormire con me.
Mi dicevi che volevi più stabilità e che avevi voglia di costruire qualcosa di più, anche se a piccoli passi.
Ti ho assecondato e per tentare di farti capire che di me potevi fidarti e potevi essere te stesso senza aver paura ti ho mostrato la mia vulnerabilità.
Come garanzia.
E’ stata una vera cazzata. Non eri pronto a capirne l’importanza.
Ieri mi hai scritto che non vuoi perdermi come persona.
Questa è una cosa che non riesco a capire.
In fondo non ti ho mai chiesto altro che gentilezza. Non ti ho mai chiesto di amarmi, non ti ho mai chiesto grandi gesti o grandi cose.
Sei  tu che hai voluto far parte della mia vita.
Da parte mia ero in un momento in cui cercavo amici e trovavo solo amanti.
Avevo bisogno di una persona sincera, qualcuno con cui poter andare oltre le scopate, con cui valesse la pena avere un dialogo. Che potesse trattarmi con la dolcezza che merito. Non ho mai voluto un fidanzato, non mi sentivo pronta per una cosa del genere.
Non chiedevo tanto ma non sei riuscito comunque a darmelo.
Quello che non capisco adesso è perchè continui a volermi nella tua vita.
Devi spiegarmelo, ti prego di farlo.
Sai come ti sei comportato con me. Mi hai annientata, mi hai graffiata e ferita e umiliata senza che mai ci fosse un motivo. Non avevi motivo di odiarmi, quindi perchè mi facevi del male in quel modo? Continuavo a non capirlo e sentivo il bisogno di sottrarmi a quel dolore. Nello stesso tempo ero tanto incredula, tanto da dirmi che non poteva essere quella realtà. Continuavo a dirmi che tu non sei così. Ed invece lo eri ogni volta sempre di più. Mi allontanavi, mi facevi tornare, poi rincaravi la dose.
Non capisco perchè tu lo facessi. Cosa ti spingeva.
Potevi benissimo mandarmi al diavolo, visto che di me non ti importava. Anzi quasi ti davo fastidio perchè più mi ferivi e più mi legavo a te. Fino ad innamorarmi di te o dell’idea che di te mi ero fatta. Sentimento assurdo e non giustificato. Ma come si dice non scegliamo chi amare. Ma scegliamo chi ferire.
Con te non mi farò mai una ragione finchè non capirò come hai potuto giocare con me a tal punto.
Mi hai reso gelosa, mi hai reso pazza di te, mi hai schiacciata, distrutta, quando scleravo per il tuo comportamento mi davi della matta. Tu non avresti sopportato una virgola di ciò che facevi a me. Ed io nonostante tutto continuavo a darti tutto quello che potevo. A coccolarti, a darti tutto ciò che avevo.
Non mi interessa rinfacciarti ciò che è stato. E nemmeno ti odio per come ti sei comportato con me. Era una lezione che mancava nella mia vita.
Non avevo mai vissuto qualcosa del genere. Le persone con me sono sempre state affettuose e il mal d’amore era qualcosa che non avevo mai provato prima.
Quello che vorrei dirti, guardandoti in faccia è solo questo: saremo potuti essere qualsiasi cosa ed invece non siamo nulla.
Ti ho implorato tante e tante volte di essere onesto con me.
Mi hai fatto credere che volessi costruire qualcosa. Se avessi chiarito la tua posizione dall’inizio non sarebbe successo tutto questo, lo sai.  
Ormai è tardi per essere amici. Ho ferite troppo profonde adesso. Vederti mi farebbe impazzire dopo così tanto tempo.
Ieri mi hai detto “domenica andiamo a piscinas”. Ma cos’hai in testa tu.
Mi sconvolge la tua totale mancanza di empatia. Non capisci cosa succede.
Siamo andati troppo oltre e mi spiace perchè so che saremo potuti essere una risorsa l’uno per l’altro. Avremmo fatto del sesso fantastico, ci saremo visti ogni tanto, potevamo esserci per ogni bisogno, saremo stati complici e amici.
Ti avrei incoraggiato in tutto, avresti avuto una persona di cui fidarti ciecamente.
Ora non si può e per questo ti ho chiesto di dimenticarmi e cancellarmi.
Non c’è altro che si possa fare, non ora. Devo andarci cauta con te, non puoi biasimarmi per questo.
Chissà se un giorno ci rincontreremo.
Quando riuscirò a guardarti negli occhi senza che ogni ricordo con te mi riporti l’amaro in bocca. Quando potrò andare di nuovo Piscinas senza pensare a te che stai sdraiato a fianco a me senza degnarmi di uno sguardo, senza pensare a te che mi dici che sono solo la quarantaquattresima della lista, senza sentire la tua risata che mi deride quando mi parli di altre che vorresti e non me.
Avevo bisogno di qualcuno che, conoscendo la mia fobia dell’acqua mi aiutasse a stare a galla e non che mi spingesse la testa sott’acqua.
Ora ho altro a cui devo pensare. Devo lasciare la casa, devo occuparmi della mia famiglia e di me stessa, devo rimettere insieme un po’ di cocci ed andare avanti.
Ho paura che se accettassi di rimanere nella tua vita tu continuerai a trattarmi  con i tuoi modi, se non puoi avere cura di me non puoi avermi.
Perchè sai stella, la mia amicizia è riservata solo a chi può apprezzarla e custodirla.
Ora sono molto delicata e molto vulnerabile. I miei petali sono sgualciti e mi ci vuole poco per crollare. Non ho voglia di ricominciare con il tormento. Non so neppure cosa ti aspetti da me o in che modo ti comporteresti se ci rivedessimo.
Non potrei sopportare neppure una parola sbagliata. Sono arrabbiata con te perchè non hai rispettato il mio silenzio. Dopo 3 giorni eri li a dirmi quanto mi giudicassi patetica. Non va bene. Io non sono a tua disposizione e finché non mi tratterai con rispetto non potrai avere più nulla da me.
Ieri sera non potevo dirti queste cose. Avevo solo fretta di chiudere, non volevo stare a sentire il tuo confessionale. 
Oggi com’è nel mio stile mi sono presa il tempo per scriverti con calma. 
Non so dove sei, non so cosa fai, non so con chi sei.
Queste parole sono solo la pagina di un blog, non hanno spazio ne tempo.
Perciò prendile per ciò che sono. Se vorrai potrai farne tesoro per la tua vita.
Perchè ti garantisco che non troverai mai in nessun’altra così tanta sincerità.
E’ un bene prezioso sai e spero apprezzerai questo mio modo di dirti ancora, nonostante tutto, che tu sei migliore di come ti mostri. 
Questa vita è troppo breve per farci la guerra, non ha senso. Dobbiamo volerci bene.
Ad Maiora
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sportpeople · 7 years
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Premessa: quella che segue non è una cronaca e non è nemmeno un racconto. Se proprio dobbiamo dare un nome a queste quattro righe, esse sono semplicemente la narrazione di quanto ho avuto modo di osservare nei miei giorni di vacanza trascorsi a Spalato, in Croazia. Non aspettatevi quindi Hemingway, sono solo le parole di un modesto viaggiatore con la passione per il calcio.
Spalato è la città del palazzo di Diocleziano, del centro storico medievale, delle case alla veneziana e del mare cristallino di Marjan, ma è anche la città dell’Hajduk e della sua Torcida. È un legame, quello esistente tra gli spalatini e la squadra, che non sfugge nemmeno a chi non è molto avvezzo alle cose di calcio.
Basta, infatti, uscire dall’aeroporto, fare pochi chilometri in direzione della città e già lungo la strada si scorgono dei murales della Torcida, il gruppo organizzato più vecchio d’Europa. Scherzandoci su, le indicazioni stradali paiono quasi superflue: sai che ti stai avvicinando a Spalato dalle dimensioni sempre maggiori dei disegni fatti dagli ultras.
Girando per la città è davvero difficile non notare le scritte, gli stemmi e gli incitamenti in rosso e blu su sfondo bianco che compaiono un po’ ovunque, dai vicoli del centro ai viali alberati dei quartieri bene, arrivando fino alle strade a più corsie che costeggiano i palazzoni della periferia.
Murales sono presenti addirittura sui moli e sulle spiagge cittadine, spiagge dove sovente ci si imbatte in gente con maglie della Torcida.
Durante la nostra permanenza è in programma il ritorno dei play-off di Europa League tra l’Hajduk e l’Everton. Il primo dei due confronti, giocatosi a Goodison Park, è stato segnato da diverse intemperanze dei tifosi ospiti, con sfondamento del cordone di steward all’interno dello stadio che si è guadagnato le prime pagine dei tabloid inglesi e ha regalato la patente di partita ad alto rischio alla gara di ritorno. Si gioca giovedì 24 agosto ma già il giorno precedente assistiamo ad un tentativo di assalto ad un trio di “scouser” in uno dei bar della spiaggia. Tavolini e sedie volano per aria ma conseguenze più serie vengono evitate dal deciso intervento del simpatico gestore del posto. I locali vanno via e i tre inglesi ritornano a bere come se nulla fosse accaduto.
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La mattina del 24, poliziotti in tenuta antisommossa presidiano direttamente la spiaggia: presenza bizzarra in mezzo a turisti in bermuda e bellezze locali in bikini. La maggioranza dei tifosi inglesi, però, è tenuta lontana, nella fan-zone allestita nei pressi della Riva, il lungomare cittadino. Nonostante ciò, qualche ragazzo di Liverpool si avventura lo stesso dalle parti del bagnasciuga e nel centro città, pagandone le conseguenze. Problemi si registreranno anche alla fine della partita, con un buon numero di Everton che decidono di tornare a piedi ai loro alberghi.
La tentazione di assistere a questo match dal vivo è forte ma si arena di fronte ad uno stadio Poljud esaurito in ogni ordine di posto. Mi accontento di vederla alla TV in un locale cittadino, lontano dalla zona turistica. Durante l’ora e mezza del match (sfortunato per l’Hajduk) la città sembra fermarsi: davanti al locale non passa praticamente nessuno.
Sfumata l’occasione di vedere Hajduk-Everton, la sorte mi dà la possibilità di rifarmi subito. Il campionato croato è già iniziato da un pezzo e domenica 27 è in programma Hajduk Spalato – Istra 1961. Nel fanshop più vicino al nostro alloggio prendo i biglietti per il settore Est, corrispondente ad un italico settore Distinti. La scelta è strategica perché così avrò la possibilità di vedere sia la curva di casa che il settore ospiti, ricavato nel tratto finale della tribuna.
Il Poljud dista dal centro cittadino un paio di chilometri e, così come consigliatoci da persone del posto, decidiamo di percorrerli a piedi. La strada che dai vicoli medievali conduce all’impianto (situato invece in una zona caratterizzata da ampi viali e da palazzoni popolari), passa anche vicino allo Stari Plac, il suggestivo vecchio stadio cittadino, posto appena fuori le mura antiche della città, oggi utilizzato dalla squadra di rugby. L’altra squadra di calcio cittadina, il Radnički Split, squadra fondata dai lavoratori dei cantieri navali e famosa per aver fornito volontari antifranchisti e partigiani a Tito, gioca al Park Mladeži e ha un seguito davvero esiguo.
Più ci si avvicina al Poljud più aumentano i gruppetti di tifosi che affrettano il passo nella direzione dell’impianto. Quel che colpisce è la giovane età di molti di coloro che indossano materiale della Torcida. Essendo materiale acquistabile da tutti, anche io approfitto della cosa e mi fermo al loro negozio in una piazza lungo il percorso.
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Giungiamo nello stadio con un po’ di anticipo, cosa che ci consente di osservare meglio la struttura. Voluto dall’allora governo jugoslavo per i Giochi del Mediterraneo de 1979, Il Poljud è di forma ellittica, con un unico anello e con la tribuna Ovest e la tribuna Est più alte rispetto alle due curve. La copertura è riservata solo ai primi due settori e corre sopra l’anello dello stadio, ricordando vagamente quello che fu l’Olimpiastadion di Monaco di Baviera.
La curva Sud di fatto non esiste, essendo quel settore occupato dal tabellone luminoso e da uno spazio riservato ai disabili. La curva Nord, ovviamente, è il cuore del tifo spalatino e a poco più di un’ora dalla partita già sono presenti i principali striscioni, tra cui il famoso “Torcida” su sfondo a righe rosse e blu. Così come accade in alcuni stadi italiani, tipo Catanzaro e Cava de’ Tirreni, gli ultras non si posizionano propriamente al centro della curva ma sono spostati verso i distinti, cioè la locale tribuna Est. Di fatto, me li ritroverò alla mia destra (e questa cosa influirà sulla qualità delle foto).
Una cosa che mi colpisce è la quasi totale assenza di murales o di scritte sui muri esterni dello stadio, nemmeno nelle vicinanze degli ingressi della curva Nord. Un ambiente stranamente “pulito” per gli standard balcanici: ricordo ancora le pareti esterne del Toumba di Salonicco trasformate in un tazebao di inni alle amicizie e alle rivalità. In una città (anzi, in una regione) dove ogni angolo di strada ti ribadisce la propria fedeltà all’Hajduk, ai miei occhi questa cosa sembra quasi un paradosso.
Prima di entrare ci fermiamo allo stand gastronomico allestito nello spiazzo sotto la tribuna Est. Servono ćevapčići con cipolle tritate, ajvar e kajmak nel pane caldo. Associati ad una Karlovačko fredda, formano un connubio perfetto, per il piacere nostro e per quello di altre centinaia di tifosi che si assiepano sulle panche dello stand. Tra essi, altri italiani in vacanza con cui scambiamo due chiacchiere in attesa di entrare.
Le perquisizioni all’ingresso sono attente ma discrete e sono svolte da un’agenzia di security. La tribuna Est si riempie velocemente. Settore per famiglie, non vi è bambino senza un gadget della propria squadra del cuore. La curva Nord rimane semivuota quasi fino al fischio d’inizio, quando dagli ingressi in alto entrano coloro che vanno ad occupare i posti più in basso. Molti di loro indossano una t-shirt dal colore scuro ed il colpo d’occhio è notevole. Nel momento in cui giungono nella loro postazione, vengono anche sistemate sulle transenne le pezze delle sezioni, tra cui quelle di Trogir, di Brac e quella famosa di Zagabria.
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Lo stadio non presenta il colpo d’occhio del giovedì precedente, quello cioè delle grandi occasioni, ma tutto sommato la presenza è discreta, con la Nord piena per quasi due terzi della propria capienza. Il tifo, invece, è su ottimi livelli.
La partita inizia alle 21 e da quel momento in poi i ragazzi della Torcida non smettono più di cantare, rimanendo al loro posto anche oltre il triplice fischio finale. I cori sono accompagnati da un tamburo, con largo utilizzo di battimani. Alcuni di essi sono seguiti anche dal resto dello stadio. Nel secondo tempo sventolano diverse bandiere e danno vita ad un’intensa torciata. Durante l’arco della gara espongono un paio di striscioni alla lettura dei quali il resto dello stadio si alza in piedi ad applaudire.
Gli ospiti dell’Istra sono una decina e prendono posizione nella parte alta del settore. Espongono un paio di pezze (che portano con loro durante l’intervallo) e non fanno cori. Considerando che si tratta di un derby istiano-dalmata, francamente mi aspettavo qualcosa di più. I padroni di casa sembrano quasi ignorarli. Pur non capendo il senso di quel che viene cantato, non mi pare di cogliere quel tono di astio nei cori da stadio che non ha bisogno di alcuna traduzione.
Così come sugli spalti, anche sul campo non c’è storia tra le due compagini. L’Hajduk vince due a zero e nel finale va più volte vicino al terzo gol. Ogni pericolosa azione degli spalatini è accompagnata dal clamore dei tifosi di casa, con disappunto non celato ad ogni occasione sprecata.
Finita la gara, usciamo e ci mettiamo in cammino con altre migliaia di tifosi che scendono verso il centro, un fiume umano che si esaurisce man mano che si arriva al tratto finale, quello che porta ai negozi alla moda e poi al mare. Alla spicciolata tutti vanno verso le proprie case, noi andiamo verso il nostro alloggio consapevoli di aver vissuto un’esperienza molto più interessante di quella che stanno vivendo le frotte di turisti che incontriamo lungo la via del ritorno, assiepati davanti a dei locali sulle cui insegne campeggiano pizze che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico.
Giuseppe Di Monaco.
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Hajduk – Istra 1961, 1. HNL Croazia: perdere l’Europa rifarsi in campionato Premessa: quella che segue non è una cronaca e non è nemmeno un racconto. Se proprio dobbiamo dare un nome a queste quattro righe, esse sono semplicemente la narrazione di quanto ho avuto modo di osservare nei miei giorni di vacanza trascorsi a Spalato, in Croazia.
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jamariyanews · 7 years
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Libia, nella roccaforte degli scafisti dove inizia l’inferno dei migranti
Viaggio sulle spiagge di Sabratha: da qui partono i barconi di disperati per l’Italia. Tra trafficanti di uomini, mediatori e miliziani: «Queste sono acque di nessuno»
AFP
Alcuni migranti provenienti dall’Africa subsahariana tratti in salvo dalla Guardia costiera libica. Secondo un recente rapporto di Oxfam l’80% delle persone passate dalla Libia hanno denunciato di avere subito violenze e tortura
domenico quirico
15/8/2017 sabratha
Le sette. Un pontile. Ora le cose e il cielo hanno colore, non splendore. All’estremità della vasta curva di terre gialle, esili palmizi che per tutta la giornata pareva si disseccassero lentamente cominciano a vivere. Due pescherecci si incrociano lentamente davanti a noi. Alcune grandi navi immobili sembrano incastrate nella dura superfice della baia. Il mare è un’acqua di laguna così densa che dondola appena. La Migrazione, alla fine, è storia di mare. A queste spiagge bisogna arrivare, loro per partire e noi per capire. Mi viene una idea vaga: che questa estate di Libia è un’estate guasta, un’estate che va a male. Nessuno confessa a se stesso che la guerra ai migranti non somiglia a nulla, che nulla vi ha un senso, che nessuno schema vi si adatta, che crediamo di tirare solennemente dei fili i quali non sono più legati alle marionette. Per esempio: sappiamo che le regole del «viaggio» nel Mediterraneo sono cambiate? E che lo hanno imposto loro, i migranti? Non cercano più lo scafista direttamente, lo pagano e partono, affidandosi a dio. Non si fidano più: troppi morti, troppi naufragi, troppi inganni. Ora c’è un mediatore, sempre libico, riunisce i gruppi, marocchini senegalesi eritrei, raccoglie il denaro e lo custodisce. Paga lo scafista solo quando una telefonata del migrante conferma che è arrivato in Italia o è al sicuro su una nave di soccorso. Il viaggio con l’assicurazione. Il business dei trafficanti Per gli scafisti è indispensabile che i migranti arrivino, e presto: è l’unico modo per avere il denaro. E questo, forse, spiega molti misteri: la ricerca delle navi delle organizzazioni non governative e altro. Mahmud è il vecchio capo dei pescatori. «A che ora uscite stanotte? L’acqua è calma, si fila lisci sul mare». «Questo mare immobile non è buono, è un mare da migranti non da pescatori - lo dice con stizza, come se fosse qualcosa di sconveniente - è luna piena, sotto la superfice calma la corrente è forte, non ci sono pesci così. I gommoni, quelli sì, escono stanotte per andare da voi». Mahmud sa mille storie. «Avevo una barca con un libico e tre egiziani, cercavano il pesce spada, bisogna star fuori almeno due-tre giorni. Incontrano una barca di migranti in difficoltà che invocano aiuto. Si fermano, lanciano un appello, arriva una nave delle vostre, armate, grandi, gridano in arabo “State fermi o vi spariamo”. Prendono tutti, i miei pescatori la barca i migranti, e li rimorchiano a Lampedusa: “Siete scafisti - dicono ai miei - stavolta la pagate”. Per farli tornare, loro e la barca, ci sono volute settimane di appelli e trattative, ma il pesce quello, era perduto. Le nostre ormai sono acque di nessuno, tunisini e italiani che vengono a pescare di frodo parandosi dietro alle vostre navi, migranti». Che cosa è vero e che cosa è falso, qui in Libia? Le nostre soluzioni buone per tutto mi sembrano quegli aggeggi dei meccanici che sono insieme pinza, martello e cacciavite. Mi aspettavo a Tripoli chiasso e furore per la presenza delle navi italiane e il «colonialismo» di ritorno. Non ne parla nessuno, se non qualche schermaglia di politicanti. Alla manifestazione contro l’Italia c’erano 40 persone impastoiate alla svelta dai Fratelli musulmani. Tripoli ha 3 milioni di abitanti. I libici, semmai, si preoccupano dell’energia elettrica che non c’è per sei, dieci ore al giorno, e del loro denaro che resta chiuso nelle banche. Al mercato le botteghe degli orefici sono piene di ombra e di meraviglie. Intravedo monili che sembrano usciti dai tesori di Micene, così magnifici da sembrare falsi. Ma nessun avventore. I mercanti seduti sui loro banchi guardano la strada. Volgono non appena mi vedono gli occhi sugli oggetti nelle bacheche, cadono su di essi densi raggi di sole, sottili, pieni di una polvere fulva. Se dopo averli sorpassati mi volto, vedo il loro sguardo che mi segue pesante ansioso: «Se venite qua con una nave che distribuisce energia elettrica diventate i signori della Libia, altro che navi da guerra». L’ombra di Haftar Le notizie che diamo per certe assomigliano a miti che si propagano, di origine incerta? Al Sarraj è il nostro uomo, la carta su cui puntiamo tutto. Ebbene a Tripoli senti parlare solo del «Vecchio»: non osano nei caffè dirne il nome, non è prudente. Questa gente ha vissuto 40 anni sotto Gheddafi. Il Vecchio è il generale Haftar, l’uomo di Tobruk, sperano che arrivi presto perché son stufi delle milizie e del primo ministro e delle sue strategie tortuose: «Ci vuole un uomo forte che metta fine al caos». Le parole non corrispondono alle cose che vedo. «La stabilizzazione della Libia, grazie a noi, migliora» annunciamo. E qui invece è una guerra in cui non si viene a capo di nulla, bisogna ricominciare da principio ogni volta. Il pericolo non sta in alcun punto, non ha forma peso colore. È lì, in questo Paese immenso, sproporzionato, goffo a furia di essere grande, in questo Paese peggio che disabitato, abitato poco e male. È un pericolo dilatato, diffuso, fluttuante che ti sfugge e poi all’improvviso fa ressa in un punto, fulminante. Per esempio. Vado a Zawia e a Sabratha, solo un’ora di viaggio, dove sono le spiagge di imbarco dei migranti. Si viaggia solo di giorno, di notte la strada è dei briganti, dei jihadisti, chissà. Ci sono molti posti di blocco, di giorno, gente armata, in mimetica. Noi li definiamo: esercito polizia sicurezza. E pensiamo a ufficiali, catene di comando, disciplina. E invece sono milizie, gente armata di gruppi diversi, ingaggiata dal governo ma che non risponde a nessuno. Il primo posto di blocco lo superiamo senza esser fermati: i miliziani son tutti intenti a prelevare il pedaggio da un camion. Il secondo è a Zanzur, il ventisettesimo chilometro come dicono qua. Un tempo era un’oasi con le palme fitte come una pineta e pozzi dove l’acqua la tirava su una vacca o un asino con gli otri, un metodo più antico di Noè. Oggi l’oasi è solo polvere e case sciupate, più grigia che verde. Milizie e check point Due ragazzi mi fanno scendere dall’auto quando si accorgono che non sono libico. Stringono in mano il passaporto e il permesso che mi è stato dato dagli uffici di Tripoli, li girano e rigirano: sono analfabeti, per loro sono incomprensibili. Uno dei due è chiaramente in preda a droghe, le parole gli escono di bocca accavallate, senza filo. Mi tirano dentro un container che fa da ufficio e casa. Mi vuotano le tasche, con metodo, ho portato con me pochi euro e soldi libici per prudenza. Sghignazzano, spingono: conosco la scena, bisogna fingersi stupidi, tacere, aspettare pazienti. Ormai non dipende da te, nulla. Con il portafoglio spariscono in un’altra stanza. Ecco: mi preparo. I rapporti con un Paese dove hanno cercato di ucciderti sono complessi, non evolvono. Tornano, mi ridanno il portafoglio e mi spingono fuori: sono rimasti solo i soldi libici che non valgono niente. Ripartiamo. I distributori sono chiusi o assaliti da interminabili file di auto alla ricerca di benzina. Le milizie la imboscano, la comprano al prezzo fissato dalla legge di un dinaro al litro e poi la vendono di contrabbando. Un guadagno enorme. La stabilizzazione della Libia. Cerchiamo a Sabratha, io e il mio amico libico, un conoscente, un tempo era agente della polizia turistica. In un caffè che frequentava ne facciamo il nome, lo descriviamo. Gli sguardi si abbassano: «Lo hanno ucciso gli islamisti, gli hanno tagliato la testa». Storie libiche, sembrano senza peso, la presenza di una persona scomparsa può farsi più densa di una presenza reale. La città sembra intatta e viva. Un anno fa l’Isis faceva sfilare per le strade sfacciatamente i suoi pick-up e le sue nere bandiere. Ora si sono ritirati verso l’interno, sulla montagna, attendono i nostri errori. Nei negozi eleganti espongono chador di lusso e mute per le bagnanti virtuose. Accanto al municipio color caffelatte immondizia ed erba tisica: il sole mette sulla polvere bianca una luce cruda che costringe quasi a chiudere gli occhi. Manovrano contromano senza badare alle auto pick-up con mitragliere a cui si aggrappano urlando giovani barbuti. Il sindaco Hasan al Dauadi è un uomo giovane, a suo agio in un elegante barracano grigio: «I trafficanti di uomini sono gente di qua, una mafia organizzata, potente, ben armata, hanno capannoni e case dove nascondono i migranti. Forse le partenze ora diminuiranno un poco: l’Italia non paga i capi del traffico e le milizie?». Pronti a partire Le rovine sembrano intatte, il mare vi si infrange, col suo azzurro intenso ma senza trasparenza, e la balza a riva di un verde di pavone, opalino, misterioso. Nel teatro, sproporzionato, inverosimile, ricostruito da un archeologo un po’ mistico senza badare al vero, ci sono rifiuti, i rovi guadagnano terreno laddove tubazioni abbandonate lasciano intravedere che un tempo c’erano erba e fiori. Ci si muove in una pozza di sudore, affannosi, come bastonati. Due famigliole libiche si aggirano tra le colonne, i bimbi lanciano grida che si perdono nel silenzio del mare. La cosa che li affascina di più sono le antiche latrine, miracolosamente conservate, sotto il bel portico pentagonale e con i banchi di marmo. Penso che ci furono imperatori romani che salirono a Roma da qui e avevano la pelle scura. Oggi li avremmo forse rimandati indietro come fastidiosi migranti. Ogni spiaggia da qui a Tripoli è un luogo di partenza. Un gruppo di neri sono accoccolati sulla sabbia gli uni di fronte agli altri, in mezzo a loro bottiglie di acqua. Sono assolutamente immobili. Non si guardano. I loro occhi sono rivolti verso punti diversi del mare. Emanano un senso di eternità. Vedo bambini dormire come se fossero morti. Non hanno con loro alcun bagaglio, nella disperazione resta la consolazione di separarsi da tutto, di essere ridotti a se stessi. Mi guardano con la stessa innocenza con cui guardano l’orizzonte. Mi offrono l’acqua: l’ospitalità non è un rito ma un dono. «Il mare è buono, stanotte partite?». E dico la formula rituale «Siamo nelle mani di dio». «Dio esiste». Adesso è scuro ormai. Si indovinano senza vederli gli argini del molo e il mare di ombra dove non scintillano, aderenti agli scafi dei pescherecci, che i riflessi della lampade. Qua e là certe forme allungate macchiano il cielo notturno, reti issate dai pescatori, forse.
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