#Fumo Con Lei
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#anon… purtroppo non credo di essere d’accordo#capisco che noi vogliamo trovare oer forza il motivo per cui louis si comporti così in quello che noi conosciamo#cioè i duplici lutti ravvicinati etc#ma non sappiamo#io penso che ci siano molti fattori che lui non sappia gestire#per esempio i continui confronti con gli altri nella band sappiamo chi in particolare#credo che viva molto male il fatto di non essere completamente libero#e di non avere supporto in un mondo che è praticamente fatto di squali#io penso che deve un attimino ridimensionare questi aspetti#e capire che non c’è proprio nessuna cosa piacevole nell’incoraggiare il consumo di droghe e alcol e fumo in questo modo#in un pubblico costituito prevalentamente da teenagers#perché andava bene fino a quando non era così forte#mo è arrivato a essere esagerato e al limite del sopportabile#esagerato nel senso che di esasperante#tipo che ti fa pensare ‘vabbe ho capito fumo alcol e rock&roll ma mo dimmi pure altro’#dicevo solo che non sono d’accordo per il ruolo da salvatrice che hai affidato a jay#ma io ho le mie opinioni su di lei e rimarranno mie perché sono veeeery controversial#tipo che è stata lei a incoraggiare lottie a seguire i 1D quindi sul fatto che le cose sarebbero diverse… ho dei dubbi diciamo cosi#a ogni modo capisco e in parte condivido la tua frustrazione!#torna pure a sfogarti quando vuoi <3
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Professate tutti l'amore eterno, lo scrivete nei messaggi, io sventolante nelle storie e post sui social.
Ma nessuno resiste alla realtà , vi innamorate solo dell'idea , non della persona che avete accanto . Vi piace il brivido non la pazienza e l'attesa. Appena l'entusiasmo cala scappare, cercando qualcun altro che vi faccia sentire vivi e così in loop.
L'amore non vive di parole, ma di scelte e la verità è che non siete disposti a scegliere di restare anche quando tutto sta andando in fumo.
Volete l'eterno amore ma vi spaventa l'idea del per sempre.
Amore è anche litigio, discussione scontro , ma dipende come lo si affronta . Vi dirò di più amore è anche allontanarsi per un periodo , amore è ammettere che insieme si è presa la decisione sbagliata di allontanarsi, ma così facendo segrete le vostre strade i vostri sogni e vi potrete obiettivi. Questo vi da la forza di ritrovarvi ed amarvi come davvero si deve . Non arrendetevi mai di fronte alle difficoltà, prendete tempo parlate, comunicate ed ascoltatevi... E vedrete che un giorno o l'altro il per sempre non spaventerà più.
Io son felice perché tutto questo l'ho capito e vissuto. Ed ora credo proprio che sia io che lei saremo pronti ad un per sempre, forse non oggi e nemmeno domani , ma con il tempo la costanza è l'amore che ci contraddistingue sicuramente ci arriveremo.
#frasi#amore#citazioni#amore triste#citazione amore#fottetevi#pensieri#ho bisogno di te#compagnia#ultimopeterpan
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E poi un picco di suono mentre pensava alla grandiosa città di Alessandria e al disarmo nucleare e alla sinfonia delle maree terrestri e alla sua mascella quadrata e alla precisione vivace delle sue parole, tanto che ogni cosa era epifania e scoperta, e al modo in cui la guardava come se lei fosse la sua continua epifania e a come le batteva il cuore e la corrente calda che le percorreva il corpo quando pensava a cosa lui avrebbe voluto farle e alla migrazione dei bisonti nelle pianure dello Utah e al viso impassibile di una geisha e alla consapevolezza di avere trovato quella cosa nel mondo che pensava non avrebbe mai avuto la fortuna di trovare, di due menti e due corpi che si erano scagliati l’uno tra le braccia dell’altro con una forza così sconvolgente che la vita di lei ha avuto uno sbandamento e tutti i suoi piani sono andati in fumo e lei è stata inghiottita da un fuoco di desiderio e pensieri sul sesso e sul destino, la completezza dell’amore, la meraviglia del loro pianeta, le mani di lui, la sua gola, la sua schiena nuda.
— Samantha Harvey, Orbital
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DOPO 8 ANNI DI SERVIZIO, FU INCATENATO CON UNA CATENA DI 20 CENTIMETRI E BUTTARONO VIA LA CHIAVE...
Otto anni al servizio.
Otto anni a pattugliare le città.
Otto anni al fianco del suo compagno d’armi, Jhon, il soldato.
Acero non capiva di bandiere, né di cause, né di discorsi.
Conosceva solo una cosa: il suo compagno.
E per lui, quell’umano dalla voce ferma e dal cuore grande era tutto.
Jhon gli parlava come se fosse un altro soldato del plotone:
— “Forza, Sergente Acero, oggi abbiamo una missione!”
E Acero andava. Sempre andava.
Fino a quel giorno…
Le ultime parole di Jhon furono:
— “Fermo, Acero!”
Poi, un’esplosione.
Urla.
Fumo bianco.
Quel giorno, Jhon se ne andò.
Con l’ultimo respiro, salvò Acero dandogli un ordine che gli impedì di avvicinarsi al pericolo.
Era un campo minato.
Acero era un esperto nel rilevare esplosivi, ma quella volta era troppo rischioso.
Jhon non volle mandarlo in avanscoperta. Decise di andare lui.
Era una trappola.
Jhon salvò Acero… e tutto il suo plotone.
I cani militari, di solito, vengono adottati dal loro compagno umano.
Ma Jhon non c’era più.
Nessuno chiese di lui.
Acero finì nel sistema.
La burocrazia militare lo affidò a qualcuno a cui interessava solo l’assegno mensile previsto per chi adotta un cane ritirato.
Lo legarono in fondo a un cortile, con una catena corta, sotto il sole.
Senza parole. Senza carezze.
Lì trascorse i giorni.
Senza abbaiare. Senza lamentarsi.
Come se fosse un’altra missione.
Perché Acero, anche senza divisa, era ancora un soldato.
I suoi occhi fissavano il vuoto.
Il suo corpo immobile, in attesa di un ordine che non sarebbe mai arrivato.
Sognava il rumore degli stivali sulle scale.
La voce di Jhon che gli diceva:
— “Bravo ragazzo.”
Rimase fedele. Sempre fedele.
Gli anni passarono.
Jhon non lasciò solo Acero. Lasciò anche la sua famiglia.
Sua figlia, Mely, non era più una bambina.
Un giorno, in soffitta, trovò una vecchia scatola di fotografie.
C’era un’immagine di suo padre, in uniforme, sorridente, che abbracciava un pastore tedesco.
Entrambi coperti di polvere, di sole, di vita.
Chiese notizie di quel cane.
Cercò negli archivi.
Parlò con ex commilitoni di suo padre.
Finché trovò la verità: Acero era stato dato in adozione.
Mely si mise in macchina e raggiunse quella casa.
Bussò alla porta.
Il proprietario neanche si scompose alla sua domanda.
Lei trovò Acero lì, legato. Sporco. Magro.
Ma non appena Acero la annusò, la guardò…
Sollevò la testa.
La guardò come se la riconoscesse.
Come se rivedesse gli occhi del suo vecchio compagno.
E per la prima volta dopo anni… scodinzolò.
Oggi Acero vive con Mely.
Ha una coperta calda, cibo buono, e una foto di Jhon accanto al suo letto.
Non è più in servizio, ma ha una nuova missione:
Onorare il ricordo del suo amico.
Acero non aveva bisogno di una medaglia.
Aveva solo bisogno di una casa.
E l’ha trovata.
Perché i veri eroi non chiedono nulla…
Danno tutto.
Fino alla fine.
Fedeli. Sempre.
❤️❤️❤️
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Fu mia sorella a dire ad Emanuele che quel giorno facevo il compleanno. “Ecco, fu il mio commento, tua madre non si fa mai i fatti suoi, e così ora che compio oggi 60 anni non è più un segreto!”
Lei gli aveva detto di assicurarsi che lo festeggiassi….e di portarmi fuori.
E, sessant’anni o meno, non chiedevo di meglio.
Quando mi vide Emanuele non cercò nemmeno di nascondere quanto colpo avessi fatto su di lui. Trucco, scollatura, la gonna corta, sapevo di essere sexy.
Erano passati alcuni giorni da quella sera in cui avevamo fumato insieme. Non riuscivo a non pensare a zia Margherita e alle sue gambe e alle sue labbra sulle mie e alla sua lingua che accarezzava la mia bocca….mi chiedevo cosa fosse stato sogno provocato dal fumo e e cosa realtà …ma la realtà era che mi segano freneticamente ogni notte ormai.
Mia madre mi telefonò per dirmi che era il compleanno di zia e che per ricambiare la sua gentilezza doveva portarla fuori a festeggiare, visto che era sempre da sola.
Quando glielo dissi, zia mi parve contenta.
Ma non ero preparato quando la vidi, pronta per uscire. Era fantastica. I capelli, il rossetto, le tette strizzate, e poi praticamente in minigonna e le gambe in calze scure velatissime. Ai piedi tacchi altissimi che la facevano alta quanto me….
Ero molto orgogliosa di uscire per festeggiare il compleanno con mio nipote. Ed ero anche molto compiaciuta di come mi aveva fissato quando mi aveva vista pronta per uscire.
Entrai nel ristorante, mettendogli il braccio sotto il suo. Sguardi di uomini e donne che mi seguivano, ammirati gli uni, invidiose le altre. Ma quello che mi interessava era mio nipote, seduto lì accanto a me al tavolino così stretto che era impossibile che le ginocchia non si sfiorassero. E quando lui cercò di ritrarsi, fui io stessa a mettergli una mano sulla coscia e riportarla a contatto della mia.
Al ritorno, nel taxi, continuai a tenere le gambe a contatto con le sue. Le mani si sfiorarono, poi le dita si intrecciarono. Gli carezzai dolcemente la nuca ringraziandolo per la serata. “Una serata così bella erano anni che non la vivevo, tesoro!”
Fui agitato tutto il tempo. Zia era ancora più allegra del solito. Si mise a braccetto con me quando entrammo nel locale, e durante la cena diverse volte sentii le sue ginocchia contro le mie. Anche in taxi, tornando a casa, stava seduta vicinissima a me e a un certo punto non so come ci tenevamo per mano e lei mi accarezzava dietro la testa….Arrivati a casa, la principale mia preoccupazione era diventata nascondere l’erezione che era aumentata tutta la sera…..
Entrati a casa, gli dissi che l’unica cosa che mi mancava era ballare un po’ con lui. Lo mandai a mettere della musica mentre versavo per entrambi ancora del vino.
Cominciammo a ballare avvinghiati. Con i tacchi alti, potevo guardarlo dritto negli occhi. Gli misi le mani sul culo e senza più remore lo attirai a me. “zia…” mormorò.
Con una mano gli afferrai e strinsi la patta. Era durissimo, come sapevo che lo avrei trovato. “zia…” esclamò di nuovo, stavolta allarmato. Ma la mia lingua era già nella sua bocca..e non poté dire altro.
Ballando non sapevo che fare, ma lei mi strinse fortissimo. Poi sentii la sua mano che mi stringeva il cazzo attraverso i pantaloni. Mai avevo provato una cosa del genere…provai a dire qualcosa, ma sentii la sua lingua che entrava con forza nella mia bocca….e da lì fu la nebbia nel cervello…..
Tenendolo per mano lo portai nella mia camera. Lo spogliai, nudo. Spinto sul letto, accarezzai il suo corpo e poi cominciai a baciargli e leccargli il pene. Emanuele si lasciava fare. Usavo la punta della lingua per stuzzicargli il glande, mentre con le unghie accarezzavo il pene. Gli accarezzai i testicoli e poi spinsi la carezza più giù, tra le sue natiche, finché non venne come una fontana.
Mi ritrovai nudo sul suo letto con lei che mi guardava. Si impossessò del mio cazzo e se lo mise in bocca. Succhiava, leccava, mordicchiava e io non avevo mai provato niente di simile. Sentivo la sua mano che stringeva le palle, poi …..e dita, su…alla base del cazzo, poi ….dentro….uno due dita….urlai…..
Ansimante, mi lasciai guardare mentre mi spogliavo. Non avevo alcuna vergogna a mostrargli il mio corpo da sessantenne, ora che vedevo il suo pene tornare rapidamente eretto. “Vuoi che tenga le calze?” gli chiesi mentre mi sdraiavo accanto a lui.
Fece sì con il capo e cominciò a baciarmi il seno. Mi rovesciai sulla schiena ed Emanuele venne sopra di me. Volevo sentire il suo cazzo dentro di me. Ma prima c’era un’altra cosa che non provavo da tempo….
“Vieni tra le mie cosce, amore, e leccamela….” gli dissi, sollevando le gambe sulle sue spalle e attirando il suo viso in mezzo alle gambe “fammi urlare di piacere…” gli dissi. Sapevo che il mio splendido nipote, a differenza degli altri amanti di una notte, non mi avrebbe deluso.
(3/fine)
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La sottomissione ti entra sottopelle e ti possiede

"Il mistero incanta, la paura affascina e l'obbedienza provoca i desideri più folli…" (Luana S.)
(Fonte: brunos-costa)
"La sottomissione è il dono del silenzio in una tempesta di pensieri. Nel momento in cui una donna si arrende, il rumore nella sua mente svanisce, le decisioni scivolano via e tutto ciò che rimane sono le sensazioni. Nessuna domanda. Nessun controllo. Solo sentimento crudo e non filtrato." (Loovedove.com - BDSM quotes)
"Quando una donna si sottomette, non si limita a dare il suo corpo, ma dà la sua fiducia, la sua vulnerabilità, la sua stessa essenza. Un uomo degno della sua resa, deve onorare questo più di ogni altra cosa. Un vero Dominante protegge, ama e considera sacra la sua sottomessa. Se non lo fa, non è un uomo: è solo un tiranno indegno del suo dono." (Loovedove.com - BDSM quotes)
“La moderazione è sottile, la mia pazienza ancora di più. Ogni centimetro di me desidera ardentemente prenderla proprio qui, contro il metallo lucido di questa macchina, per mostrargliela, marchiarla, ricordarle che è mia. Se voglio viziarla, lo farò. Se voglio prenderla, lo farò. E lei saprà esattamente a chi appartiene.” (Loovedove.com - BDSM quotes)

"Ho bisogno di te", ringhia, con la voce roca per la fame rabbiosa. "Allora prendimi", sussurro senza fiato. "Usami. Rovinami. Possiedimi." La sua presa si stringe. "No. Ti scoperò: duramente e senza pietà. E quando avrò finito, non ci sarà più un solo dubbio nella tua mente: tu sei mia." (Loovedove.com - BDSM quotes)
"Il sesso non è la risposta. Il sesso è la domanda. 'Sì' è la risposta." (Swami X)
Hai paura di dirmi di no, perché sai che, comunque vada, avrai da me la punizione più dolorosa possibile. Mi piace da morire, vedere la tua espressione di puro terrore e al tempo stesso di impaziente attesa per ciò che sai dovrai subire fra un po'. Hai labbra contratte e sei pallida. Però lo vuoi da morire, ti eccita. Ti fa sentire viva, trasgressiva, puttana. Lo desideri intimamente. Hai timore di soffrire, ma allo stesso tempo non vedi l'ora. Inizio e ti faccio veramente tanto male. Cinghiate e pizzichi. Mollette sui capezzoli e schiaffi ovunque. Capelli tirati all'indietro fortissimo. Devi provare dolore. Lo sai bene. Non devi parlare.

Puoi solo stringere i denti. Ti lego strettissima, in posizioni scomode e atte solo a far entrare nel tuo corpo il mio cazzo ovunque io desideri. Questo soltanto, provoca in me l'orgasmo più violento: sento che piangi, provi reale dolore e mi implori di smettere. A volte soffri così tanto che mi urli: "bastaaaa… ti scongiuro…" ma proprio quello è il momento in cui godo di più e allora, picchiandoti ancora più forte, mi svuoto dentro il tuo corpo.

Orgasmo inarrivabile altrimenti, per me. Ti dico ciò che penso di te: "sei solo una latrina, buona soltanto a raccogliere il mio seme. Niente di più. Non vali nulla: nessuno scoperebbe mai una brutta e vecchia troia come te. Onestamente, mi disgusti." Sentendo queste parole, accompagnate da fortissime cinghiate sulle natiche mentre ti inculo, tu hai l'orgasmo più violento e intenso. Urli di piacere e mi dici: "si è così! Io sono nata soprattutto per farti sborrare. Usami sempre, ti scongiuro!" E poi ti si scioglie la lingua. Provi per me un amore malato e decisamente perverso, non sano.

"Non andare con altre donne. Ti scongiuro… Sono gelosa… voglio solo soddisfare il tuo cazzo. Come vorrai tu." Mi sfilo, tu ti asciughi il viso. Il trucco è scolato. Sei sfatta, stravolta ma sei bellissima, così. Ti adoro, con la mia sborra ovunque addosso e le calze sfilate. Lacrime che ti colano sulle guance… A questo punto, sempre e magari per un solo secondo, ho il dubbio che tu non voglia più giocare così. Ma il fumo dell'incertezza si dissipa quando vedo che, pur piangente ti inginocchi su un cuscino a terra e a occhi chiusi apri la bocca lingua in fuori: prepari il letto per accogliere il mio cazzo, per pulirlo e ingoiare il seme residuo. Vuoi essere umiliata fino in fondo. Fra un po' tornerai la composta educatrice di marmocchi e casalinga fedele al suo innocuo e buonissimo coniuge. La tranquilla, insospettabile donna di mezz'età e innocui pettegolezzi tra amiche, ammantata di una noiosa normalità.

Te lo ricordo, perché questo risveglia in te in un secondo la porca assoluta e immorale che, quando esercita il mestiere di puttana esperta, mi fa semplicemente impazzire. Allora mi sorridi, con una perversione raramente vista in una donna. Ti impegni a morte e mi succhi ancora più forte. Ami succhiare il cazzo. Adori mettere le corna a tuo marito. Sei davvero una troia infedele. Mi fai davvero indurire nuovamente il cazzo e perciò con tre colpii ti vengo in gola. Mentre ti prendo a schiaffi il viso, ti strizzo i capezzoli fortissimo e ti ordino di continuare a succhiare il cazzo senza farmi sentire i denti. Devi continuare a soffrire in silenzio. Eiaculo chiamandoti puttana e troia schifosa. Esco. Tu ti pulisci la bocca col braccio e ti passi la lingua sulle labbra. Sei soddisfatta. Sembri nata per succhiare cazzi.

Mi fissi, sorridi guardandomi con occhi forse carichi di intimo odio ed evidente voglia residua. Allora ti giri, apri le natiche, gomiti in basso sul letto. Vedo il tuo buco del culo pulsare ritmicamente: rosso, sfibrato, gonfio e dilatato. Mezzo aperto da poco fa. Lo contrai e lo rilasci. È vivo. Lo fai apposta per stimolarmi eroticamente. Troia: sei davvero una grande troia. Lo apri per me. Vorresti che continuassi a incularti. Mi preghi di prenderti almeno ancora a cinghiate le chiappe. Confessi che hai davvero bisogno di tante strisce dolorose, forti e rosse sul culo. Vuoi espiare in qualche modo, per le grandissime corna che metti a tuo marito. In quanto è ormai da quando mi conosci, più di un anno, che prendi la comunione la domenica senza aver confessato i tuoi veri peccati al prete della parrocchia. Gli dici solo le cose più normali, per una mamma di famiglia. E lui ti assolve, dandoti da recitare un po' di preghiere. Proprio quando lui ti dà l'assoluzione è il momento clou, quello in cui tu pensi che non vedi l'ora di succhiarmi il cazzo.

E vai a prenderti la comunione col velo sul capo. Troia peccaminosa e sacrilega. Appena usciti dalla chiesa, prima di tornare a casa con le pastarelle che insieme comprerete di lì a poco, con tuo marito che intanto bada ai figli piccoli che vanno in giro sul sagrato, mi mandi il solito messaggio: "ho preso la comunione nel peccato, grazie a te. Perciò desidero essere punita e devo succhiarti il cazzo a lungo. Ho bisogno urgente di sentire la tua sborra che mi cala in gola e che mi scola tra le natiche quando mi penetri in culo. Voglio percepirti venire felice in me. E ti vorrei anche nella passera, se ti farà piacere. Senza preservativo, libero di usare la mia fica di madre e moglie felice e serena. Quando ci vediamo? E per favore non andare con nessun'altra donna, che ti cavo gli occhi! Mio unico Padrone, ti desidero…"

RDA
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La verità è che vivo nel tormento invisibile della mia stessa vergogna. In un fragile momento di vulnerabilità, ho abbassato le difese e ho permesso ad un'estranea di attraversare il confine della mia esistenza, come un'ombra sottile che scivola sotto il fondo di una porta.
Avevo un disperato bisogno di essere visto, di essere capito, e ho abbracciato quella presenza come se fosse l’unico faro, un lumicino di speranza nell'oscurità di una tempesta interiore.
Le onde del mio tormento si infrangevano con furia, ma lei brillava come un'ancora, un miraggio di stabilità. Questa persona mi ha regalato un'illusione di pace e sicurezza, facendomi credere di essere finalmente al riparo dalle mie paure.
È stato come un caldo abbraccio, come il primo sorso di una tazza di tè bollente durante una giornata grigia e uggiosa, un conforto inaspettato che riscaldava l’anima.
E così, lentamente, è diventata una dipendenza. Come un veleno subdolo e dolce che ha messo radici dentro di me, facendomi credere che senza di lei nulla avesse più senso. Mi sono lasciato cullare da quella fantasia di libertà, come se tutto fosse finalmente a portata di mano, come se per la prima volta mi sentissi capito, apprezzato, accolto.
E ho desiderato rimanere lì, in quell'illusione.
Non volevo spezzare l’incanto, non volevo guardare in faccia la realtà. Eppure, dietro la dolcezza, c'era sempre il sibilo della paura: paura di affezionarmi troppo, di perdere tutto in un battito di ciglia.
Mi sono trovato intrappolato tra il desiderio di avvicinarmi e il terrore di essere abbandonato, come un topo in trappola, aggrappato a un legame che sapevo fragile.
E poi, senza preavviso, quella persona si è dissolta come fumo, lasciandomi da solo a fare i conti con la mia ingenuità e con le macerie dei miei errori. Ma in tutto questo, se c'è una lezione amara che ho imparato, è che non posso portare da solo il peso di ogni colpa.
Non posso continuare a punirmi per aver aperto il cuore, per aver creduto, anche solo per un attimo, che potesse essere vero. Se ho ceduto, è perché qualcuno ha saputo danzare sulle mie fragilità, ha sfiorato i miei sentimenti e, anche se inconsapevolmente, ha scelto di fare leva sulle mie paure, lasciandomi indifeso.
E ora, mi prometto di non dimenticare. Di riconoscere chi, con una maschera di gentilezza, si muove nell'ombra agendo con una sottile sagacia, cercando di toccare le vulnerabilità altrui per soddisfare i propri bisogni nascosti.
E mi auguro, con dolcezza, di non dover più incrociare la strada di chi trasforma la fiducia in un'arma.
Questa, forse, sarà la mia salvezza.
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Amy Winehouse andò via il 23 luglio 2011.
Aveva solo 27 anni.
E' morta guardando se stessa.
Amy Winehouse passò l'ultima notte della sua vita davanti al computer, come ipnotizzata dai video musicali delle sue canzoni su YouTube. E intanto beveva vodka. Dicono che era svenuta tre volte per eccesso di vodka nella sua ultima settimana di vita. E la sera della morte era così ubriaca da avere inviato un tweet delirante. Ciononostante, non voleva autodistruggersi. Non voleva morire. Il suo medico personale, Cristina Romete, ha raccontato di averla incontrata la sera prima della fatale overdose alcolica: "Amy mi disse specificatamente che non voleva uccidersi, non voleva morire". Era stata avvertita dei rischi che correva con l'alcol. Purtroppo non è stata capace di fermarsi da sola. E non c'era nessuno con lei quella sera in grado di aiutarla.
Nessuno prima.
Nessuno.
Fumo troppo,
mi faccio troppi viaggi
e ho l’abitudine
di correre scalza
dietro ai sogni.
A volte amo troppo,
a volte troppo poco
e non riesco
a chiedere scusa.
Credo in cose troppo grandi,
ma ci credo troppo,
con tutta me stessa.
Non amo le mezze misure,
le mezze persone
ed esagero troppo.
Forse non vivo
come si dovrebbe,
ma vivo fino al limite.
Forse non riuscirete
mai a capirmi
e ci sono abituata.
Ma sapete
non ho mai amato le regole.. Figuratevi le eccezioni
https://m.youtube.com/watch?v=TJAfLE39ZZ8
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Capitolo 1
Traduzione italiana di jadarnr basata sui volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨

“Hostess, scusi? Potrei avere del latte nel mio te? E anche diciamo dodici… no tredici cucchiaini di zucchero?” Chiese.
Jessica si voltò a guardare il giovane uomo dall’altra parte del bancone. Indossava occhiali spessi ed una semplice e scolorita veste da prete. Quel povero viaggiatore sembrava parecchio fuori luogo.
Anche se gli ultimi tempi erano stati duri, la sala panoramica era elegante ed affollata. Uomini e donne ben vestiti chiacchieravano e ridacchiavano, una musica allegra suonava, bicchieri tintinnavano, e l’aria era pervasa dal fumo dei sigari. La sala era piena di persone ricche ed importanti.
Era una notte perfetta per volare.
“Mmm? Hostess? Signorina?” Chiese nuovamente l’uomo.
“Uh? Ah s-sì!” Rispose lei.
Jessica fece scorrere una mano lungo i suoi capelli castani lunghi fino alle spalle, sforzandosi di svegliarsi dal suo sogno ad occhi aperti. Si allacciò il suo grembiule. Il suo sorriso la rese più giovane ed il suo viso pieno di lentiggini si illuminò.
“Uh, aveva chiesto dello scotch?”
“No un te con il latte. E tredici cucchiaini di zucchero”
L’hostess sbattè gli occhi: “Beh, se vuole dei dolci abbiamo anche torte e pasticcini, signore”
“Sono sicuro che sono fantastici ma…” Il prete guardò il suo portafoglio. Le sue spalle si afflosciarono “Ho solo cinque dinari… quindi prenderò soltanto un te per favore”
Persino i bambini dei ricchi che correvano nella sala avevano più soldi di lui. Lo stesso stipendio del mese scorso di Jessica ammontava a duemila dinari. Come aveva fatto quel povero prete a salire sulla Tristan - la nave piú lussuosa a volare tra Londinium e Roma?
“Mi lamento sempre con la sede centrale” scherzò il prete “E la caffetteria qui fa pagare cento dinari per la cena. Che furto! Sono cosí povero, un solo pasto svuoterebbe tutto il mio conto in banca”
“Non mi dica che non ha mangiato?” Chiese la ragazza.
Lui scrollò le spalle: “Non da circa venti ore. Ho tentato di non stancarmi troppo rimanendo a dormire nella mia camera, ma stava comunque iniziando a girarmi un po’ la testa. Ho pensato che se avessi alzato un po’ la glicemia, avrei potuto tenere duro fino a Roma” rispose in tutta onestà.
“I preti vivono una vita molto dura”
Il prete prese le parole comprensive di Jessica come un complimento. Annuí come se stesse pregando Dio. “Come vede si tratta una questione di vita o di morte… Dunque, potrei avere il mio te zuccherato ora?”
Lei annuí. “Certo, ecco qui”
“Mh… questo te è così buono. È autentico, vero? Non quello nelle bustine che ti lascia—“
SBAM!
Prima che il liquido denso potesse raggiungere le sue labbra per un secondo sorso, un bambino che correva per la sala con un palloncino in mano andò a sbattere contro una gamba del prete, che finì con lo sbattere la testa sul bancone, rovesciando ovunque l’intero contenuto della tazza— sui suoi lunghi capelli, sulla sua veste, sui suoi occhiali, ovunque. Nel frattempo il bimbo inciampò, cadde per terra e si mise a piangere.
“Va tutto bene piccolo? Ti sei fatto male?” Chiese Jessica.
Ignorando completamente il prete dai capelli d’argento, che gocciolavano di te, corse dal bambino. Per fortuna il ragazzino era più impaurito che ferito.
Jessica afferrò la corda del palloncino che aveva consegnato ad ogni bambino che era salito a bordo e aiutó il bimbo a rimettersi in piedi.
“G-grazie signorina” balbettò il ragazzino.
“Di niente. Ma devi tornare dai tuoi genitori. É quasi ora di andare a letto.”
“S-sì. Mi scusi Padre” disse il bambino imbarazzato.
Il prete, che stava cercando di sistemarsi i capelli bagnati, sorrise in modo rassicurante al bambino che lo stava guardando preoccupato “Ah ah ah! Non è successo nulla. Era solo una tazza di te. Nessun problema. Non devi preoccuparti. Davvero.”
“Hai visto che prete gentile? Ora però devi andare a letto. Mi raccomando torna dritto nella tua stanza”.
Il ragazzino annuì e corse via. Jessica si assicurò che lasciasse il salone sano e salvo prima di tornare a rivolgersi al prete.
Lui stava guardando il te rovesciato. Stava lì a fissarlo, la sua espressione piena di rimpianto.
“Padre, vorrebbe un sandwich? Non c’è bisogno di pagare… offre la casa”
Lui si illuminò. “Offre la casa? Davvero? Oh Signore, grazie signorina. Lei è un angelo forse? Ora che ci penso, mi è sembrato di vedere un suo ritratto in una chiesa”
Lei alzò gli occhi al cielo “Sono solo una hostess”
Con un crepitìo, una voce meccanica parló da un altoparlante posto sul bancone.
“Parla il ponte di comando—Jessica, potresti portarci le nostre cene?”
“Sì Capitano Connelly… Uhm, Padre, può attendere un minuto? Torno subito” disse.
“Aspetterò quanto vuole, Signorina…?”
“Lang. Sono Jessica Lang”
“Lang?” Ripetè. Per un momento il prete sembrò cercare di ricordare qualcosa. “Ha forse una qualche parentela con la designer di questa nave, morta lo scorso anno, la Dottoressa Catherine Lang?”
“Sì, era mia madre”
Il prete alzò le sopracciglia “Quindi è lei al comando di questa nave?”
“No! Sono solo una hostess. Ho studiato un po’ per diventare pilota, ma non ho ancora la certificazione, e poi sono una donna…”
“Non c’è nessuna legge che le impedisca di volare, Jessica. Io stesso conosco una donna che pilota una nave volante… Oh, mi scuso. Non mi sono presentato. Il mio nome è Abel”
Il prete sollevó i suoi occhiali rotondi e si presentó inchinandosi “Abel Nightroad— prete errante al vostro servizio”
#trinity blood novels#trinity blood#abel nightroad#sunao yoshida#jessica lang#flight night#rage against the moons#thores shibamoto#traduzione italiana
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ce n’ho abbastanza per comprarmi una bottiglia di vodka un chilo di arance un amburg il pane tondo una birra un pacchetto di marlboro. E poi mangio l’amburg col pane tondo tostato e bevo la birra e fumo la marlboro e poi spremo due arance con la vodka. E poi esco e incontro la più grande figa della mia vita con gli occhi verdi e le ciglia nere e la bocca rossa e le mani nervose e decidiamo cazzo di non fare nessun film di non scrivere nessuna stronzata di non recitare nessuna cagata e di non andare in campagna e di non occuparci della casa né della merda né dei capelli né dei comunisti. Io butto nel fiume il trench di mio fratello io compro i biglietti per la partita roma-river plate io raccolgo gli occhi nella spazzatura io accompagno mio figlio nel paradiso totale senza nessun pericolo né gas né elettricità né politica né bicchieri né coltelli né stanze di pavimento. E lei scompare come le ore e appare come le ore e me ne frego della pensione e me ne frego di morire me ne frego dei fascisti e dovunque mi sdraio sogno e ho sempre voglia di baciarla e gli alberi respirano e le nuvole di merda si spaccano e da dentro partono razzi luminosi e dovunque sono vivo e non ho nessuna paura né dei rinoceronti né dei serpenti né degli appuntamenti e butto via l’elmetto e esco dalla trincea delle spalle di piombo e mando affanculo tutti gli stronzi cagacazzi della terra e grido come un’arancia stellare e viaggio nella luce dell’ananas e cago cicche d’oro sulla faccia dei nazi-igienisti maledetti puliscicessi. Buttare via il tempo della vita a lucidare i bidè e conservare i bicchieri e sorridersi a culo sbarrato e invecchiare come i più stronzi prima di noi. Maledetti cagoni falsi e vigliacconi. lei apparirà. Bruciando i tampax dell’anima sanguinante. apparirà con gli occhi verdi e ciglia nere e bocca rossa anima luminosa come arcobaleno puro radice che spiega con tutta la chiarezza perché questa merda è merda e finirò di vivere la vita con la paura di vivere la vita.
Victor Cavallo - Ce n'ho abbastanza
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Drago, volpe, corvo - cap. I
For @danmei-december, Set Gold, day 2, Lan Xichen (I'm late so what)
If this keeps going beyond the first chapters I'll probably translate it to English.
Titolo: Drago, volpe, corvo - cap. I: caduta
Rating: pg 13ish
Personaggi: Meng Yao, Lan Xichen, Wen assortiti
Genere: AU, fantasy, avventura, animali mitologici. In sostanza mi serviva una scusa per scrivere la mia versione di dragon!chen e fox!yao
Wordcount: 2718
Lan Xichen, un drago celeste in fuga dal Clan Wen, allo stremo delle forze cerca rifugio nella foresta. Meng Yao, che assiste alla sua fuga, decide di aiutarlo.
"Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe."
Con un ringraziamento a @yukidelleran per il confronto e il betaggio!
Capitolo I - caduta
Uno strato di nubi basse offuscava la luce del sole, ancora alto sopra l’orizzonte del grigio cielo invernale. Il vento aveva l’odore asciutto e pungente che precede una nevicata.
Meng Yao si arrampicò su una roccia che sporgeva dal limitare del bosco. Da lì, lo sguardo spaziava sulla valle sottostante e sui tetti già mezzi ricoperti di bianco della cittadina di Yunping. Il cielo a est si era fatto livido e una cortina grigia oscurava l’orizzonte. Presto, avrebbe iniziato a nevicare anche lì.
Chiedendosi se sarebbe riuscito a rientrare a casa prima di venire sorpreso dalla neve, Meng Yao fece per ridiscendere verso il folto degli alberi, quando il vento gli portò un distinto odore di bruciato. Si voltò di scatto - forse veniva dal centro abitato, pensò, ma non vide nulla al di fuori dell’ordinario sopra i tetti di Yunping. Allora, il suo sguardo ansioso spaziò sulla distesa di alberi attorno a lui, senza però notare nulla che potesse allarmarlo ulteriormente, fino a che non lo scorse: un guizzo di fumo, uno sbuffo bianco contro il grigio delle nubi.
Meng Yao aguzzò la vista, ma l’aveva perso. No, eccolo, era ricomparso, era… non era fumo. Si contorceva fuori e dentro le nuvole, e andava facendosi sempre più vicino e più grande. Era inseguito da quelle che sembravano fiamme, fiamme nel cielo…
Meng Yao sentì il pelo rizzarglisi sulla schiena.
Fiamme con le ali - fenici dalle piume scarlatte, avvolte da lingue di fuoco, che guizzavano intorno alla sagoma sinuosa di un drago dei cieli. Il suo corpo era dello stesso colore delle nuvole, ricoperto di scaglie opache che non riflettevano la luce del sole. Pur nella disperazione della sua fuga, il drago fendeva il cielo con eleganza tale che pareva dare forma al vento.
Le fenici lo circondavano e lo ghermivano con becchi e artigli. Di nuovo, l’odore acre di carne bruciata e sangue raggiunse il naso di Meng Yao.
Nonostante la velocità del volo del drago, questo non riusciva mai a distanziare a sufficienza i suoi inseguitori. Cercava di allontanarli con gli artigli, ma tra le zampe anteriori sembrava stringere qualcosa, ed era chiaro che la sua priorità era quella di seminarli. Le fenici - sei, ne contò Meng Yao - però, non demordevano.
Stavano perdendo altitudine e, per un istante, Meng Yao li vide piombare su Yunping, ma il drago si risollevò all’ultimo, riguadagnando quel poco di altezza che gli consentì di non rovinare tra le case, per puntare poi diritto verso il bosco.
Una delle fenici, troppo intraprendente, gli calò sulla fronte e cercò di beccargli gli occhi, ma il drago si liberò di lei con uno schiocco di fauci. Dal cielo iniziarono a piovere cenere e piume scarlatte, che si disfacevano in sbuffi di fumo.
Il drago e i suoi inseguitori sfrecciarono sopra la testa di Meng Yao, facendo stormire i rami degli alberi alle sue spalle e arruffandogli la coda. Qualche istante dopo, si udì lo schianto, la confusione di rami spezzati e lo stridere delle fenici.
La volpe si voltò. Un attimo dopo, sparì nel sottobosco.
❄️❄️❄️
Per un po’, le fenici rimasero a osservare la devastazione provocata dall’impatto, volando in cerchio come uno stormo di avvoltoi. Il drago si era schiantato sulla foresta, lasciando dietro di sé una scia di tronchi divelti, che si assottigliava fino a sparire nel fitto degli alberi. Della bestia, però, non c’era alcuna traccia.
Si appollaiarono sui rami ancora interi di un alto pino, scrutando le ombre al di sotto delle chiome. Ora che non erano avvolte dalle fiamme, il loro piumaggio era di un color mogano scuro, screziato di riflessi dorati. Erano una vista lugubre, con i colli sottili arcuati e le lunghe code che si allungavano tra le sagome dei rami spezzati, scuri contro il cielo sempre più plumbeo.
“Tu, tu e tu,” stridette il capo, indicando col becco i tre sotto di lui. “Setacciate il sottobosco. Quando lo trovate, lanciate un segnale in aria.”
Le tre fenici prescelte calarono a terra. A toccare il suolo, però, non furono i tre uccelli dal piumaggio scarlatto, ma tre uomini dalle lunghe vesti color rosso porpora, con un motivo di soli dorati lungo gli orli. I loro lunghi capelli corvini erano trattenuti sulla nuca da fermagli alti e dorati, appuntiti come lingue di fiamma. Ai loro fianchi pendevano i foderi di spade lunghe, anch’essi decorati d’oro.
Con fare deciso, iniziarono a perlustrare la confusione di corteccia e fronde, muovendosi con attenzione per non rimanere impigliati nei moncherini dei rami che sporgevano ovunque.
“Ancora niente?” La voce risuonò arrogante nel bosco muto, ancora frastornato dallo schianto. L’uomo più massiccio dei tre si guardò attorno con disprezzo. Sarebbe stato praticamente impossibile trovare tracce del drago in quel disastro.
“Qua!” Gli altri due compagni richiamarono la sua attenzione e lui si mosse per raggiungerli, prendendo a male parole le ramaglie del sottobosco che intralciavano i suoi passi e suscitando la reazione irritata degli altri.
“Wen SuZhang, chiudi quel becco! Ci sentirà arrivare.”
Wen SuZhang non badò al richiamo, osservando con una smorfia di derisione il ritrovamento. Era una scaglia perlacea, grande come una mano, insozzata di fango e sangue.
“E se anche fosse? Non andrà tanto lontano, conciato com’è.”
I tre si rimisero a frugare, finché non si imbatterono in un lembo di terra ancora imbiancata di neve intonsa. In bella vista, in mezzo all’erba secca, c’erano delle inconfondibili orme di stivali, imperlate di sangue ancora rosso.
Con un ghigno soddisfatto, Wen SuZhang e gli altri le seguirono a passo svelto, utilizzando la spada per sfalciare le fronde e i rampicanti secchi che gli impedivano l’avanzata.
Dopo poco tempo, raggiunsero un piccolo torrente. I bordi erano ghiacciati ma, al centro, la corrente fuggiva veloce su un fondo di ciottoli scuri. Le orme finivano sulla sponda. Bastò una ricognizione veloce per capire che non riprendevano nelle immediate vicinanze, sulla riva opposta.
“Maledetti i Lan e la loro ossessione con le acque gelide,” ringhiò Wen SuZhang, rifiutandosi di entrare in acqua e bagnarsi i piedi.
Gli altri due, che avevano perlustrato quel tratto di torrente al suo posto, scrollarono le spalle.
“Dovrà uscirne, prima o poi,” commentò uno dei due. “Noi seguiremo la corrente, tu esplora a monte. Il primo che lo trova lanci un segnale.”
Wen SuZhang grugnì un assenso e si voltò dall’altra parte. Se avesse trovato il drago, avrebbe potuto benissimo affrontarlo da solo. Sicuramente anche il fuggitivo avrebbe dovuto mantenere la sua forma umana per continuare a nascondersi nel folto del bosco e, ferito com’era, non aveva dubbi che avrebbe avuto la meglio su di lui.
Riprese le sembianze di fenice, Wen SuZhang spiccò il volo. Sopra il corso del torrente gli alberi si aprivano, lasciando spazio sufficiente alle sue ali. In quella forma, sarebbe stato più efficiente nella perlustrazione e, soprattutto, avrebbe evitato di insudiciarsi ulteriormente le vesti nel sozzume del sottobosco. Fosse stato per lui, avrebbe appiccato fuoco a tutto per dare bella ripulita a quel posto e per stanare il drago, come già avevano fatto una volta.
Volava basso, completamente concentrato a scrutare gli argini del torrente sotto di lui per localizzare le orme del drago - doveva pur uscire da quel rigagnolo presto o tardi! - perciò si avvide solo all’ultimo momento dell’improvviso guizzo nel sottobosco al suo fianco.
Intuì appena, con la coda dell’occhio, la sagoma fulva che gli balzò addosso, mandandolo a schiantarsi contro la sponda ghiacciata del torrente. Sentì una fitta lancinante al collo e il sapore improvviso del sangue che gli riempiva la gola. Istintivamente, avvampò di fiamme, ma non ebbe nemmeno la soddisfazione di sentire un lamento di dolore da parte del nemico, prima che tutto diventasse definitivamente nero.
❄️❄️❄️
Meng Yao soffocò un guaito, ritraendosi dalla fenice avvolta dalle fiamme. Affondò il muso nell’acqua gelida del torrente e si forbì il naso, mentre osservava il fuoco finire l’opera che lui aveva iniziato. Non sapeva se era più sgradevole l’odore del suo stesso pelo appena strinato che gli riempiva le narici o il sapore del sangue del maledetto Wen che aveva ancora sulla lingua.
In ogni caso, era uno di meno, considerò mentre osservava le fiamme spegnersi, tramutandosi lentamente in una pila di ceneri fumanti.
Si davano tante arie, questi Wen, e agivano sempre come se tutto fosse loro, ma anche la loro arroganza, alla fin fine, si riduceva a un mucchietto di polvere.
Le ceneri erano ancora calde quando Meng Yao ci affondò le zampe. Incurante del fastidio, si dedicò a scavare di buona lena, spargendo tutto quello che restava della fenice nel torrente alle sue spalle, lasciando che venisse trascinato via dalla corrente.
Risorgi dal fango, se ci riesci, pensò Meng Yao, calpestando gli ultimi resti nella fanghiglia che si era creata sulla riva, dove il fuoco aveva sciolto il ghiaccio.
Finito il lavoro, la volpe drizzò orecchie e naso, sempre sull’attenti, ma il bosco era tranquillo. Quando aveva lasciato la scia di impronte nella neve, aveva scommesso sul fatto che si sarebbero divisi al torrente. Quanto avrebbero perseverato gli altri due nella loro ricerca a valle, prima di ritornare indietro?
Avrebbero senz’altro notato i segni di colluttazione sulla sponda del torrente, ma, con un po’ di lavoro, Meng Yao poteva trasformare quei segni nelle tracce dell’inseguito che usciva dal torrente. Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe.
❄️❄️❄️
Lan Xichen riaprì gli occhi. Sapeva di aver perso conoscenza per qualche tempo, ma non capiva per quanto a lungo.
La luce si era offuscata, complice il tramonto ormai prossimo e la neve che aveva iniziato a scendere. Sotto di lui, il terreno era duro e gelato. Lentamente, cominciò a muovere le membra intirizzite per alzarsi in piedi, puntellandosi contro la parete rocciosa che gli aveva dato rifugio fino a quel momento.
Come si mosse, venne attraversato da fitte di dolore. Le sue vesti candide erano stracciate in più punti, annerite da bruciature, lerciume e sangue, ma era ancora vivo e, soprattutto, ancora libero.
Non si era allontanato poi tanto dal luogo in cui aveva terminato la sua caduta, era strano che gli Wen non l’avessero ancora trovato. Forse, con il calare della notte, avrebbe avuto una possibilità di allontanarsi e far perdere le sue tracce…
Un fruscio dietro di lui, e Lan Xichen si voltò di scatto in quella direzione, la fedele spada Shuoyue in mano, tutti i muscoli tesi.
Quando si rese conto di chi aveva causato il rumore, però, la sua espressione si ammorbidì. Gli occhi scuri di una volpe lo sbirciavano dal sottobosco, le orecchie ritte sopra il muso fulvo.
“Vai via, piccolo amico,” disse, con voce rauca ma gentile. “Non è posto per te.”
La volpe sembrò capire, perché abbassò le orecchie ai lati della testa e scomparve.
L’istante dopo, dall’altra parte, provenne un improvviso tramestio di foglie, e due voci maschili spezzarono il silenzio della nevicata.
“Maledizione a questa neve, finirà col coprire tutte le tracce. Quei due faranno meglio a trovarli in fretta, sia il drago che Wen SuZhang.”
“Quel SuZhang fa sempre di testa sua.”
“Meglio che mi porti la testa del Lan, o sarà la sua a cadere.”
Lan Xichen si appiattì contro la parete. A giudicare dai rumori, i due Wen stavano venendo proprio verso di lui, forse attirati dal riparo offerto dalla roccia.
Lan Xichen fu loro addosso prima che potessero rendersi conto della sua presenza.
La lama di Shuoyue balenò e si conficcò nel petto del primo Wen, che cadde riverso con un rantolo soffocato. Prima che Lan Xichen potesse ritrarla per affrontare il secondo, però, questo lo attaccò con furia.
Per un soffio, Shuoyue sviò l’affondo del nemico, ma Lan Xichen subì il contraccolpo, barcollando all’indietro. Solo l’impatto con la parete di roccia alle sue spalle gli impedì di cadere ma, ora, non aveva più spazio di manovra. Fece appena in tempo a rendersene conto che si ritrovò la punta della lama del guerriero Wen a un soffio dalla gola.
“Dimmi dove hai nascosto quello che hai rubato, e ti concederò una morte rapida,” gli ringhiò quello in faccia.
Lan Xichen deglutì, fissando di rimando il nemico da sotto le ciocche di capelli che gli si erano incollati al volto. Poteva prendersi la sua vita, ma non quello che aveva portato in salvo da Gusu.
“Non posso rubare ciò che già appartiene al mio clan.”
“Quello che ancora non avete capito,” sibilò l’altro, premendo la lama contro la gola di Lan Xichen, che avvertì distintamente il metallo graffiargli la pelle, “è che se gli Wen decidono che qualcosa è di loro proprietà, questa lo diventa.”
“Dovrai impegnarti a cercarla, allora,” rispose Xichen, gelido come la nevicata.
Il viso del guerriero Wen si contrasse in una smorfia di rabbia. L'istante dopo, i suoi occhi si dilatarono improvvisamente.
Lan Xichen sentì il rumore soffice di una lama che affondava nella carne e l’odore del sangue che sgorgava, accompagnato da un rantolo e da un’improvvisa sensazione di bagnato sulle vesti. Solo quando il guerriero Wen si afflosciò di fronte a lui, si rese conto che non era stata la sua gola ad essere tagliata.
Al posto del suo nemico comparve un ragazzo snello, di bassa statura, avvolto in una veste color sabbia. Il nuovo venuto osservò il guerriero rantolare qualche istante ancora e poi rimanere immobile ai suoi piedi. Allora sollevò gli occhi su Lan Xichen e si produsse in un profondo inchino, le mani che ancora stringevano il pugnale sanguinante unite di fronte a sé.
“Vi chiedo umilmente perdono per avervi sporcato le vesti con il sangue del vostro nemico.”
Lan Xichen sbatté le palpebre, colto alla sprovvista. Istintivamente, allungò una mano per sfiorare il gomito del giovane e bloccarlo.
“Come potrei fartene una colpa?” Lan Xichen lanciò un’occhiata ai suoi vestiti, ora quasi completamente scarlatti. “Se non fosse stato per te, sarei ricoperto nel mio, di sangue.”
Rialzando lo sguardo, incontrò quello del suo salvatore. Aveva due grandi occhi neri, che lo scrutavano intenti. Si rese conto di aver già visto quello sguardo, ma mentre cercava di capire dove, venne colto da un giramento di testa.
Fu l’altro, ora, ad afferrarlo per i gomiti per non fargli perdere l’equilibrio e guidarlo mentre appoggiava la schiena alla parete.
“E’ tutto a posto, devo solo recuperare le forze,” ma la sua voce risuonò debole alle sue stesse orecchie.
Il ragazzo si voltò a guardare il bosco attorno a loro, e Lan Xichen ebbe l’impressione che fiutasse il vento.
“Con tutto il rispetto, penso che dovremmo andare via da qui al più presto,” disse, tornando a rivolgersi al drago con il capo chino ma con una certa urgenza della voce. “Se vorrete seguirmi, conosco un posto sicuro; non è lontano.”
Lan Xichen annuì, rendendosi conto di stare usando Shuoyue per puntellarsi e rimanere in equilibrio. Un’improvvisa debolezza gli aveva pervaso tutto il corpo e gli rendeva difficile anche soltanto tenere gli occhi aperti.
“Dovremmo prima liberarci di questi due corpi. Sarebbe saggio bruciarli, ma il fumo e il fuoco attirerebbero l’attenzione degli Wen rimasti. Li nasconderò, se avrete la pazienza di attendermi. La neve coprirà le nostre impronte,” stava dicendo il suo salvatore, e Lan Xichen lo sentiva affaccendarsi là attorno, impegnato a rovistare nei cespugli, forse per trovare un nascondiglio consono.
Quando l’altro giovane gli passò davanti per andare a prendere uno dei due corpi, Xichen si allungò per sfiorargli una manica e richiamare la sua attenzione.
“Ascoltami, c’è… c’è una cosa…” ma le parole gli vennero meno tra le labbra. Ebbe appena la consapevolezza di un braccio che gli circondava la vita, prima di ripiombare nell’incoscienza.
❄️❄️❄️
Lan Xichen si risvegliò qualche tempo dopo, avvolto dal buio e dal tepore.
Nonostante non riuscisse a vedere nulla, ebbe la netta impressione di trovarsi in un posto molto angusto. La sensazione, però, non era spiacevole, anzi, gli dava un senso di sicurezza.
Su di sé sentiva il peso confortante delle coperte e avvertiva distintamente qualcosa di caldo premuto contro il suo fianco. Allungò una mano, con cautela - tutti i suoi sensi erano offuscati dal dolore e dalla stanchezza - fino a che le sue dita non sfiorarono una folta pelliccia. Ne seguirono il contorno tracciando un cerchio, indovinando il contorno aguzzo di un paio di orecchie abbassate.La volpe del bosco, pensò Lan Xichen nel dormiveglia. Rasserenato da quella conclusione, si riaddormentò, cullato dal buio e dal tepore.
#danmeidecember24#fanfiction#mdzs#xiyao#meng yao#jinguangyao#fox!yao#dragon!chen#to be translated perhaps
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Oggi ho mangiato: ravioli, patatine, del pan focaccia, salsicce cotte sulla piastra di uno spiazzo in pietra in cima ad una vertiginosa salita che ho raggiunto a piedi.
Prima di cuocere la carne si è dovuto andare alla ricerca di legnetti tra gli aceri e i pini, si è pulita la griglia cospargendola di aceto che è subito bruciato facendo frizzzzz e fumo.
Ho bevuto del vino, una spremuta d'arancia, poca acqua. Il basso apporto di liquidi era la premessa perché la mia vescica tenesse duro per le otto ore in cui io e lei siamo state via. Non avevo intenzione di fare pipì tra i boschi.
Ho accarezzato un cane; mi sono coperta spiegando per bene la sciarpa; cuore e fiato hanno fatto un po' di fatica. Quando L mi ha chiesto di confermare pubblicamente che aveva il culo gelato a forza di stare seduto sui muretti che abbiamo preso a mo' di panca, ho detto sdegnata che non gli avrei infilato le mani nei pantaloni. Mi sono rimangiata tutto una volta soli noi due in auto.
Ho riso, ho indossato delle scarpe da trekking, ho letto un saggio con la luce del sole che mi baciava la faccia. Nel saggio si riportava il breve scritto di un autore latino: il testamento di un porcellino.
Il maiale, prima di finire grigliato e insaccato, chiede gli venga eletta una lapide (porcella hic dormit), dà indicazione sulle erbe che vorrebbe si aggiungessero per la sua marinatura e lascia in eredità i suoi femori ai salsicciai, i suoi lombi alle donne, ai bambini la vescica, alle ragazze la coda. Le salsicce del pranzo le ho infilate in un paio di panini.
Sono davvero sempre più grassa, un giorno scoppierò come il cocomero più grande del mondo delle cantilene per bambini.
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" Qualcuno uscí da una tavola calda e cercò di porgergli una bottiglia d’acqua. Era una donna che indossava una mascherina antipolvere e un cappellino con la visiera, e ritrasse la bottiglia e svitò il tappo e quindi gliela tese di nuovo. Lui posò la valigetta per prenderla, a malapena conscio che non stava usando il braccio sinistro, che aveva dovuto posare la valigetta prima di poter prendere la bottiglia. Tre furgoni della polizia svoltarono e si precipitarono verso downtown, a sirene spiegate. Chiuse gli occhi e bevve, e sentí l’acqua scorrergli nel corpo trascinando giú con sé polvere e fuliggine. La donna lo stava fissando. Gli disse qualcosa che lui non sentí, quindi le restituí la bottiglia e raccolse la valigetta. Il lungo sorso d’acqua gli lasciò un retrogusto di sangue. Riprese a camminare. Un carrello del supermercato giaceva immobile e vuoto. Dietro c’era una donna, girata verso di lui, con del nastro della polizia avvolto intorno alla testa e al viso, di quel nastro giallo con la scritta caution che delimita la scena di un delitto. I suoi occhi erano piccole increspature bianche nella mascherina sgargiante, e lei stringeva la maniglia del carrello e se ne stava lí, a guardare dentro il fumo.
Fece in tempo a udire il suono del secondo crollo. Attraversò Canal Street e cominciò a vedere le cose, per qualche motivo, in modo diverso. Non parevano pregnanti come al solito, le strade lastricate, i fabbricati in ghisa. C’era una qualche mancanza cruciale nelle cose intorno a lui. Erano incompiute, per cosí dire. Erano inosservate, per cosí dire. Forse era quello l’aspetto che avevano le cose quando non c’era nessuno che le vedesse. Udí il suono del secondo crollo, o lo avvertí nel tremore dell'aria, la torre nord che cadeva, uno sconcerto sommesso di voci in lontananza. La torre nord che crollava era lui. Il cielo era piú leggero, lí, e riusciva a respirare piú facilmente. C’erano altri dietro di lui, migliaia, che andavano riempiendo la media distanza, una massa prossima a formarsi, gente che fuoriusciva dal fumo. Proseguí finché non dovette fermarsi. Lo investí rapida, la consapevolezza di non poter andare oltre. Provò a dirsi che era vivo, ma era un’idea troppo oscura per riuscire a prendere corpo. Non c’erano taxi e il traffico in genere scarseggiava e allora apparve un vecchio furgoncino, una ditta elettrica di Long Island City, e gli si accostò e il conducente si sporse verso il finestrino dal lato del passeggero a esaminare ciò che stava vedendo, un uomo incrostato di cenere, di materia polverizzata, e gli chiese dove voleva andare. Fu solo una volta salito a bordo e chiusa la portiera che capí dov’era diretto fin dall'inizio. "
Don Delillo, L'uomo che cade, traduzione di Matteo Colombo, Einaudi, 2008. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Falling Man, Charles Scribner's Sonspublisher, New York City, 2007]
#Don Delillo#L'uomo che cade#11 Settembre 2001#Stati Uniti d'America#USA#New York City#NYC#Torri Gemelle#terrorismo#letteratura americana contemporanea#XXI secolo#storia contemporanea#imperialismo americano#romanzo#narrativa#letture#leggere#libri#World Trade Center#fondamentalismo islamico#Progetto per un nuovo secolo americano#Project for the New American Century#PNAC#Dick Cheney#Donald Rumsfeld#neocons#Paul Wolfowitz#Donald Kagan#Leo Strauss#neoconservatorismo
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Fu qualche giorno dopo, sistemando la sua camera. C’era un odore….inconfondibile. Non sono così vecchia da non capire o riconoscerla, la marijuana!
“E così fumi?” gli dissi più tardi, prendendolo di sorpresa. Provò a negare, ma gli dissi ridendo che era inutile. Mi pregò di non dire nulla, e gli risposi sorridendogli che avrei tenuto il segreto….solo a condizione che avesse fatto fare un tiro pure a me!
Quella sera ci sistemammo di nuovo sul divano, e ci passammo più volte lo spinello. Eravamo tutti e due rilassati, allegri, e una piacevole sensazione di calore mi percorreva il corpo.
“Aspetta qui, torno subito!”, gli dissi, “ma non te lo fumare tutto da solo!”
Quando zia scoprì che fumavo, mi sentii morire. Già mi sentivo sempre più strano, a vivere con lei. Ora, aveva scoperto il mio segreto. La cosa che mi disse subito dopo però se possibile mi scosse ancora di più. Non potevo crederci che zia mi avesse chiesto di farle fare un tiro! Ma se era lei a chiederlo….
Mi cambiai e tornai da lui. Il vestito era aderente e mi piaceva come mi modellava il corpo. Mi appoggiai mollemente sul divano sollevando le gambe. Gli dissi di farmi fare un tiro. Mi guardava. “Ti piacciono queste di calze, tesoro?” Non mi preoccupavo che il vestito già corto in quella posizione risalisse, rivelandogli anche il bordo delle calze.
Era deliziosamente affascinato, il mio nipotino, e mi fece i complimenti anche per le scarpe con il tacco che indossavo.
Fu a quel punto che, come la sera prima, improvvisamente mi chinai su di lui. Schiacciai le mie labbra sulle sue. Gli presi le guance fra due dita, costringendolo a schiudere le sue. Poi soffiai il fumo nella sua bocca, mentre con la punta della lingua gli leccavo il labbro superiore.
“Sai, ai miei tempi si faceva così….” Gli sussurrai.
Mentre ci scambiavamo lo spinello, zia aveva un’aria rilassata, quasi sognante. Accidenti non avrei pensato che una signora di quella età potesse fumare….e che se lo godesse così tanto…Ero emozionato, e turbato, anche io da quella situazione, eppure mi sentivo bene anche io…e non volevo che finisse. Per questo rimasi dispiaciuto quando zia si alzò e andò nell’altra parte della casa. Avevo forse fatto qualcosa di sbagliato?
Quando tornò, mi lasciò a bocca aperta. Aveva messo su un vestito nero aderente, e incredibilmente corto! Si sdraiò sul divano e mi chiese di nuovo di fare un tiro….Aveva delle calze velatissime, e il vestito lasciava vedere il bordo delle calze. Quelle gambe mi stavano facendo impazzire. Il mio lui si imbizzarrì dentro i pantaloni. Non sapevo che dirle. Balbettai, come la sera prima, che quelle calze erano bellissime e che le stavano bene anche le scarpe con il tacco. Mi sentivo un idiota, ma il peggio doveva venire: all’improvviso, mi afferrò il viso fra le mani, schiacciò le sue labbra sulle mie e mi soffiò dentro il fumo….forse sognai, ma mi parve che con la lingua mi leccasse addirittura le labbra….
Mi alzai e lo lasciai solo, chiedendomi se un ragazzo di quella età, così pieno di energie, si sarebbe masturbato quella notte…..
Rimasi lì come un cretino, mentre la guardavo andare a dormire. Non capivo cosa fosse successo. Come ubriaco andai a letto anche io. La testa mi girava per lo spinello…..ma quella notte mi masturbai nel letto tre volte…..e pensavo a zia Margherita!
(2/continua)
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Dorme, il mio angelo

Sembra una creatura fragile, delicata. Durante il giorno affronta la vita, il lavoro, le amicizie e tutto ciò che le capita con gentilezza, pazienza. Non farebbe del male a una mosca. Ma non fatevi ingannare. Questo è solo il quadretto apparentemente idilliaco di quando riposa, sazia d'amore mentre io me la guardo, rapito e istupidito dall'amore.

Non fatevi fuorviare dalla sua apparenza innocua, dai tratti delicati del suo volto e dalla sua magrezza: sotto il cofano invece lei ha un motore truccato, comandato da una sua mente sensualmente dittatoriale. Me n'ero innamorato per la delicatezza dei suoi modi. M'ha stregato con ciò che sa fare col suo corpo. Infine mi ha legato a sé col sapore della sua pelle, con l'expertise della sua lingua, con i suoi odori personali meravigliosi.

Mi comanda. E io in compenso me la lecco tutta con estremo gusto. Ovunque: non tralascio nulla. Nuda è bellissima: è veramente un capolavoro della natura. È una creatura nata per farsi adorare. Nell'intimità non mi fa sconti: pretende obbedienza assoluta. Non ho margini di manovra, con lei. Né li desidero più. Eseguo alla lettera i suoi ordini e godo nell'esserle sottomesso, amo essere un valido aiuto perché lei possa godere.

Durante il giorno, lavoro, discuto, guadagno denaro, organizzo il lavoro di centinaia di uomini e donne. In pratica sono una persona risoluta, equilibrata e generosa, che quando occorre sa farsi rispettare. Ma, come sottofondo alle mie azioni, c'è sempre il costante pensiero di lei, la voglia di sentirne sulla mia lingua il sudore intimo, dopo la sua giornata d'impegno. E a seguire, sempre lei: nel mio palato e in gola, quando ingoio i suoi umori. Dio, se è una “croce e delizia”, questa donna per me!

La sera ceniamo, rigoverniamo chiacchierando allegramente, diamo una ripulita in giro e organizziamo la colazione e i vestiti per l'indomani. D'un tratto, lei si fa estremamente seria. È sparita ogni traccia di dolcezza dal suo comportamento. Io non vedo l'ora che ciò accada. Mi ordina di “saggiarla”, di prepararla e io eseguo, fingendo di volerla domare. La frugo nell'intimità, la faccio eccitare.

Ma d'un tratto la sua recita nella parte dell'agnello finisce, s'è stufata ed esce fuori la leonessa ruggente. Mi dà ordine di portarla in camera. Capisco che ora ha voglia, poi mi comanda di leccarla e farla godere. So che devo essere scrupoloso, se voglio guadagnarmi l'accesso del mio uccello dentro di lei. Che comunque non è mai scontato.

Il gusto delle sue intimità mi è entrato nell'anima. Mi possiede, è una vera droga. L'unica, per me che non fumo e non m'ubriaco. Quando per qualche ragione mi si nega, perché è incazzata per fatti suoi o mi vuole punire, io letteralmente non ragiono più. Voglio lei, desidero solo lei. Il profumo della sua pelle, la morbida consistenza e la dolcezza dei suoi seni mi urgono in ogni momento.

Mi occorre, per vivere, il sapore dei suoi umori e del suo sudore mentre è impegnata a godere sotto i colpi della mia lingua che le si intrufola nell'ano o nella fica a lungo. Ne ho bisogno. Come l'aria. Più dell'aria che respiro. Ecco: la sento che rientra. Voglio che mi dia degli ordini. Desidero essere dominato da lei. Non esiste altra donna che lei. È la mia musa, la mia Dea, l'unica padrona. La vedo direttamente aggressiva, oggi. Nessuna transizione graduale da donna dolce a fiera ribelle, stasera tra noi.

-Ciao, nullità: stasera cambio di programma. Non ho fame. Vai subito in camera e spogliati. -Subito, mia signora. Posso chiederti perché? Avevo preparato una cenetta succulenta, per ritemprarti prima dell'amore… -Certo che puoi chiedere: perché ho avuto una cazzo di giornataccia e quindi ho solo una gran voglia di farmela leccare per bene. A lungo e con tanta passione. Sai, stronzetto incapace, ho comperato un giocattolino per iniziare a farti definitivamente mio schiavo, a sentirti soffrire e godere prendendolo nel culo. Quindi non voglio perdere altro tempo! Sono curiosa e poi mi devo sfogare. Voglio vederti completamente sottomesso lacrimare di dolore sotto i miei colpi. E dei tuoi esperimenti fallimentari in cucina non mi frega un cazzo. Chiaro? -Oh, si: vado subito cara, angelo mio! Tu mi sei padrona adorata e devi essere obbedita in tutto! Non vedo l'ora di leccarti a lungo e poi di soffrire per darti tutto il piacere che vuoi. Usami come e quanto vorrai.

RDA
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*Lascia scivolare il Mikado nero del suo kimono intrecciato a merletti vittoriani sul tatami annerito. Viene sostituito da un abito morbido in seta che accompagna ogni sua movenza. Ogni suo gesto è come un'antica danza, carica di memoria e veleno. Le dita, ornate di giada e ossidiana, sfiorano il tessuto che si lascia modellare come un incantesimo tra le sue dita. Rivive il ricordo di questa particolare mezzanotte di luna piena.*

«Yoru wa uso o tsukana. La notte non mente.»
*Seduta nel cuore del Kurayami no Hana, tra veli di fumo e luci spezzate dalla luna, Thea Kaori attese la sfilata che la mezzanotte di luna piena concedeva tra i rovi. Era nell'attesa di un degno pretendente, ma nessuno si mostrò all'altezza fino a quel momento. I suoi occhi, più profondi del mare d'inverno, fissano il nulla con la consapevolezza di chi ha visto troppe primavere senza potervi mai appartenere, finchè non apparve un uomo vestito della notte, col volto semicoperto e le mani fasciate. Lasciò il suo destriero ai limiti del roveto e intraprese la sua passeggiata dannata. Mentre lui la raggiunge alle spalle, lei non parla e non accoglie. È l’eco del tempo e del dolore. Ma quando un'anima si avvicina troppo, lei la sente. Mentre si volta verso di lui, solleva il capo con una grazia che non è più di questo mondo. Lui incantato si inchina implorando che la grazia gli sia concessa da un volto così bello.*
//Non oso pronunciare parole perchè non ci sono espressioni in grado di rendervi giustizia.

*Dopo un lungo silenzio.*
//Non porgete il frutto delle vostre labbra come offerta, a meno che voi non siate pronto a rinascere nel buio e pronto a essere solo un semplice testimone degli effetti che seguiranno a questo vostro audace gesto.
*Le perle nere del suo obi brillavano come occhi di demone; i capelli, lunghi come una promessa infranta, sfiorano la pelle diafana come neve al tramonto. Ogni battito del suo cuore è un tamburo che annuncia un rituale.*
//La rosa giudicherà il vostro spirito, non le vostre parole.
*Se la rosa nella sua mano non appare appassita, forse, solo forse, egli è riuscito solo a sfiorare il cuore della geisha maledetta. Ma non è abbastanza. La rosa appassisce e rifiorisce scartando un così talentuoso bugiardo.*
//La luce lascia i vostri occhi, la memoria vi abbandona, i legami di questo mondo non vi appartengono più. Eravate così vicino... Ma avete tradito la stessa natura umana poiché la rosa vede oltre ciò che è visibile.

*Gli fu concesso di tornare al suo destriero senza conoscere la successiva meta
Un altro viandante senza storie da raccontare.*
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