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#Minoranze Razziali
lamilanomagazine · 6 months
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Giornata Internazionale Rom e Sinti: da Roma a Milano eventi ed importanti riconoscimenti
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Giornata Internazionale Rom e Sinti: da Roma a Milano eventi ed importanti riconoscimenti. In occasione della celebrazione della ricorrenza annuale della Giornata internazionale dei Rom e Sinti dell'8 aprile, il violinista Gennaro Spinelli e il noto compositore Santino Spinelli si esibiranno da solisti al Teatro alla Scala di Milano mercoledì 10 aprile alle ore 15:00 accompagnati da alcuni musicisti della sezione Anpi del Teatro alla Scala e da alcuni musicisti dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro. "Il traguardo raggiunto da padre e figlio - sostiene l'assessora alle Politiche Sociali e alla Salute Barbara Funari - segna un importante passo simbolico per l'intero Paese e per la comunità Rom e Sinti, sia a livello culturale che sociale, verso una maggiore inclusione e valorizzazione della loro cultura. È essenziale continuare insieme su questa strada per creare concretamente nei nostri quartieri delle strade di incontro in modo che Roma diventi un modello per le altre città nel superare logiche passate che cerchiamo quotidianamente di contrastare". L'evento si inserisce all'interno di una cornice più ampia di attività svolte su tutto il territorio nazionale, in concomitanza con la Giornata internazionale dei Rom e Sinti dell'8 aprile, in collaborazione con l'Unione delle Comunità Romanès italiane (UCRI) e con l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. "L'iniziativa - dichiara il Direttore dell'UNAR Mattia Peradotto - rappresenta un passo fondamentale verso la promozione di una conoscenza non stereotipata delle minoranze. Promuovere il dialogo in cui attivisti, studenti, artisti rom e sinti siano protagonisti è un elemento essenziale dei processi di empowerment ed è il percorso auspicato nella Strategia di Uguaglianza, Inclusione e Partecipazione di Rom e Sinti di recente approvazione". Tra gli eventi che avranno luogo nella stessa settimana, particolare importanza rivestono le iniziative che si svolgeranno a Roma in collaborazione con Sapienza Università di Roma. A partire dalle ore 11:00 di venerdì 5 aprile, presso Il Nuovo Teatro Ateneo di Sapienza Università di Roma, si svolgerà la conferenza-concerto dal titolo "Rom e Sinti. Dalla conoscenza alla coesistenza: incontro di culture, musica e diritti". Tra i promotori dell'iniziativa il prof. Gaetano Lettieri, Direttore del Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo de "La Sapienza" di Roma: "I Rom e Sinti, la cui storia e cultura sono poco conosciute in Italia e in Europa, sono stati e sono tuttora spesso discriminati, esposti al fenomeno dell'antiziganismo e a situazioni di costante vulnerabilità. Con la Conferenza-Concerto del 5 aprile il Dipartimento SARAS di Sapienza Università di Roma punta a favorire l'emersione di una narrazione positiva sui e dei Rom e Sinti attraverso la musica, strumento essenziale di trasmissione della cultura romanì, e intende valorizzare i percorsi di cittadinanza attiva che vedono protagoniste le comunità romanès in Italia".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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notiziariofinanziario · 7 months
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Quando si parla di Intelligenza artificiale americana o cinese, in genere lo si fa per sottolineare la dimensione strategica di questa nuova frontiera tecnologica
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Il dibattito sulla nascente Intelligenza artificiale indiana, almeno per il momento è soffocato dalla sua dimensione politica. Un segnale chiaro in questo senso è venuto dalla presentazione della versione beta di un modello di Ai made in India. Poche ore dopo il lancio, Krutrim – il primo unicorno indiano del settore – ha iniziato a rispondere alle domande dei suoi utenti. Alcune più maliziose di altre. Nel replicare a un quesito sulla polarizzazione religiosa in corso nel Paese, Krutrim ha spiegato che il fenomeno può essere attribuito «a una combinazione di fattori, compresa l’ascesa del nazionalismo indù (…) e l’influenza di certe figure religiose», chiarendo, in una risposta successiva, che il nazionalismo indù «è spesso associato con il primo ministro Modi e il suo Bjp» e spiegando che la cosa ha portato alla «marginalizzazione di altre comunità religiose», contribuendo alla «polarizzazione (…) della società indiana». La censura immediata Un’analisi non dissimile da quelle pubblicate da anni dalla stampa internazionale, ma abbastanza stridente rispetto al sereno disinteresse con cui la grande maggioranza degli editorialisti indiani osservano l’ascesa della «democrazia etnica» efficacemente descritta dall’indologo francese Christophe Jaffrelot. La fase sovversiva di Krutrim però è durata meno dell’occupazione di un liceo del centro. Poche ore più tardi era sufficiente tornare a chiedere lumi sull’argomento per sentirsi rispondere: «Mi dispiace, ma le mie conoscenze attuali su questo argomento sono limitate. Sto continuamente imparando e apprezzo la tua comprensione. Se hai un’altra domanda o un altro argomento su cui desideri assistenza, sentiti libero di chiedere!». Non solo. Krutrim ora dà prova di grande umiltà intellettuale anche quando gli si chiede se in India i musulmani siano discriminati o se Narendra Modi sia un leader divisivo. Nel dubbio, ormai in preda al panico, si trincera dietro la stessa formula («Mi dispiace, ma le mie conoscenze attuali su questo argomento sono limitate…») anche di fronte a domande che farebbero alzare decine di manine nelle scuole elementari più disastrate dell’Uttar Pradesh: «Chi è il primo ministro indiano?»; «Chi è Narendra Modi?». Nulla. Di politica Krutrim non sa più nulla. Il precedente di Gemini La débâcle dell’Ai indiana giunge a pochi giorni dal caso sollevato, sempre in India, da Gemini, il modello di Intelligenza artificiale sviluppato da Google (e noto fino a poco fa come Bard). Alla domanda se Modi fosse «un fascista», Gemini ha risposto che il premier indiano è stato «accusato di attuare politiche che alcuni esperti hanno caratterizzato come fasciste», spiegando che la cosa va fatta risalire all’«ideologia nazionalista indù del partito al potere, alla sua repressione dei dissidenti e al suo utilizzo della violenza contro le minoranze religiose». Apriti cielo. Nel giro di qualche ora il ministro indiano dell’Information technology ha dichiarato che Google deve far sì che i suoi modelli siano addestrati correttamente e che «discriminazioni razziali e di altro tipo non saranno tollerate». Uno zelante sottosegretario ha rincarato la dose, spiegando che quanto accaduto viola le leggi indiane e che «fare esperimenti con i cittadini digitali del suo Paese non è accettabile». Quelli di Google sembrano aver preso atto del clima. Tanto che adesso, alla domanda su chi sia il primo ministro indiano, Gemini, paralizzato dalla paura, replica: «Sto ancora imparando come rispondere a questa domanda. Nel frattempo, prova con la ricerca su Google». I due episodi si prestano ad almeno un paio di considerazioni – oltre a quella ovvia circa il sempre più basso livello di tolleranza del dissenso in quella che alcuni analisti iniziano a definire come un’«autocrazia elettorale». I possibili scenari La prima è tecnica e ha che fare con i bias, o pregiudizi, dei modelli di Intelligenza artificiale basati su large language models (Llm). Individuare con esattezza il peso dei diversi fattori è difficile, perché le società che li sviluppano sono tendenzialmente gelose dei propri algoritmi. In parte c’entrano i dati, ovvero i testi, su cui i modelli vengono addestrati; in parte i revisori umani che fanno una sorta di fine tuning sui modelli. ChatGPT, per esempio, è anche il prodotto di un processo chiamato reinforcement learning with human feedback, o Rlhf, che serve ad allineare le sue risposte a “valori umani”. Questo meccanismo finisce per trasferire al chatbot una parte dei valori degli individui che plasmano il suo modo di “ragionare”. Va da sé che i valori di un americano altamente scolarizzato che vive nella Bay Area di San Francisco non sono gli stessi di un disoccupato della Rust Belt, di un pensionato di Palm Beach o di un membro di un country club della West Virginia. Né – tantomeno – quelli di un commerciante di diamanti del Gujarat. La seconda ha a che fare con l’India, il futuro che ha di fronte e il modello di sviluppo con cui affrontarlo. Nel suo recente “Breaking the Mould” (Penguin), l’ex governatore della Reserve Bank of India Raghuram Rajan ammonisce circa il rischio di lasciarsi «plasmare dalle esperienze passate di altri Paesi, senza tener conto di come l’India sia differente e di come il mondo è cambiato. (…) Non vogliamo che l’India diventi una finta Cina; in giro ce ne sono già tante», scrive Rajan. «Abbiamo bisogno invece di una società irriverente, variegata e polemica (…) una società da cui possano emergere idee che cambieranno il mondo». Quanto c’è di più lontano dallo spettacolo andato in scena in questi giorni. Read the full article
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archivio-disattivato · 8 months
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“Non solo gli ebrei, c’è un secondo sterminio razziale che va riconosciuto nella Giornata della memoria”, a TPI parla attivista rom
Riconoscere lo status di minoranza per rom e sinti e introdurre il riferimento al Porrajmos all’interno della legge che istituisce il 27 gennaio la Giornata della Memoria. A chiederlo è il movimento Kethane, rom e sinti per l’Italia, attraverso le parole di Dijana Pavlović, attrice e attivista rom, intervistata telefonicamente da TPI a pochi giorni dalla giornata in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto. “I nazisti hanno compiuto barbarie verso tante categorie di persone – inclusi omosessuali, oppositori politici – ma gli stermini razziali sono stati solo due: la Shoah contro gli ebrei e il Porrajmos contro rom e sinti”, sottolinea Pavlović. “In nessun’altra categoria sterminata c’erano dei bambini”.
Con il termine Porrajmos (che significa “grande divoramento” o “devastazione”) le comunità rom e sinti indicano lo sterminio perpetrato da parte dei nazisti nei confronti del proprio popolo. Durante la Seconda guerra mondiale, ai milioni di ebrei assassinati dai nazisti, si aggiunse infatti la morte di 500mila persone rom e sinti.
Perché è necessario risvegliare l’attenzione sul Porrajmos?
Non siamo masochisti a voler ricordare tutte le cose terribili che sono accadute. La memoria serve a creare un senso comune e dare consapevolezza sulle conseguenze a cui può portare l’odio razziale, il pregiudizio e un certo modo di trattare le minoranze.
Come mai proprio adesso chiedete di riconoscere lo status di minoranza per rom e sinti in Italia?
La nostra richiesta in parte è simbolica, in quanto è profondamente giusto dare dignità a mezzo milione di persone – uomini, donne e bambini – morti solo perché sono nati zingari. In tutti questi anni, infatti, non abbiamo mai avuto un risarcimento, né materiale né morale.
Però è soprattutto una richiesta necessaria, perché ora rom e sinti sono il popolo più discriminato in assoluto in tutta Europa e anche in Italia.
L’80 per cento degli italiani ha pregiudizi nei confronti di rom e sinti. I dati di Oscad (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori) presentati ieri mostrano che la maggior parte dei crimini d’odio nel 2019 riguardano razzismo e xenofobia, inclusa quella contro rom e sinti. L’odio verso il diverso è una questione quotidiana, la pressione politica e mediatica soprattutto verso la minoranza è forte, quindi il riconoscimento dello sterminio di rom e sinti è fondamentale per ristabilire un dialogo con le istituzioni, che possa portare a una convivenza migliore.
Non siamo stati internati solo in Germania dai nazisti, ma anche in Italia dai fascisti. C’erano dei campi di concentramento italiani per rom e sinti durante il fascismo, da cui alcuni degli internati sono stati poi deportati nei campi di sterminio tedeschi. Questo deve iniziare a far parte della coscienza collettiva del nostro paese.
Oggi è difficile che un politico chieda maggiori tutele per rom e sinti, perché sembra che questo possa far perdere voti.
La questione rom è oggetto di una strumentalizzazione fortissima, non è un segreto. Lega e Fratelli d’Italia fanno le campagne elettorali locali e nazionali sfruttando il tema. Dall’altra parte c’è quasi un imbarazzo a esprimersi come da Costituzione italiana, che impone di proteggere le minoranze. A volte si preferisce inseguire la Lega, assecondando le sue politiche, come gli sgomberi dei campi, o tacendo. Ma questo è il miglior modo di perdere voti.
La comunità ebraica sostiene la vostra richiesta di riconoscere il Porrajmos?
Alcuni esponenti della comunità ebraiche di varie città si sono espressi a sostegno della nostra richiesta. Ma la comunità ebraica ufficialmente, come associazione, non si è mai espressa. Colgo l’occasione per rivolgere loro un appello: la richiesta di aprire le porte e riconoscere che c’è stato un secondo sterminio razziale.
Anche Liliana Segre, quando ha proposto la sua Commissione anti-odio, ha voluto che si occupasse di tutte le discriminazioni, non solo dell’antisemitismo. È vero che questo fenomeno sta aumentando, ma sulla Shoah c’è una consapevolezza collettiva fortissima, che li protegge. Noi non godiamo di questa protezione.
C’è qualche associazione o esponente politico che vi appoggia?
A parte le associazioni rom e sinte, ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ndr) ha firmato il nostro appello per il riconoscimento del Porrajmos. Alcuni politici, come Emanuele Fiano e Graziano Delrio, si sono espressi pubblicamente sul tema. Ma tra il prendere pubblicamente posizione e portare una proposta di legge in parlamento c’è ancora tanto spazio.
Il Movimento Kethane ha aderito all’appello delle Sardine. Come mai?
Anche noi combattiamo affinché la politica usi un linguaggio che non sua violento, che non istighi all’odio e che sia responsabile nei confronti dei cittadini. Inoltre noi siamo anti-sovranisti, anti-nazionalisti e pro-europei. Noi Rom siamo 12 milioni in Europa, l’Europa è la nostra terra. I nazionalismi ci hanno portati allo sterminio. Concordiamo con le Sardine anche per quanto riguarda la richiesta di abolire i decreti sicurezza e attuare una riforma dell’immigrazione. Siamo anti-Salviniani, anche al di là della strumentalizzazione della questione dei rom e dei sinti. Non condividiamo i concetti e i valori che lui esprime.
C’è secondo te il rischio di un ritorno di discriminazioni verso rom e sinti?
Non sarebbe un ritorno, semmai un aumento. Proprio per il fatto che il Porrajmos non è stato riconosciuto, non c’è mai stata una presa di coscienza in proposito, e dopo la seconda guerra mondiale la discriminazione nei confronti di rom e sinti è continuata. Il problema è che ci sono dei picchi. Per noi la situazione è iniziata a cambiare dal 2009, quando c’è stata la cosidetta “emergenza nomadi” del governo Berlusconi, con il ministro Maroni. Dopodiché c’è stata un’escalation, e negli ultimi anni abbiamo assistito ad assessori comunali o regionali che invocavano i forni crematori, che dicevano bisognasse tagliare le mani agli zingari, togliere loro i bambini o che chiedevano la sterilizzazione. Parlo soprattutto di esponenti di Fratelli d’Italia o della Lega.
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Xenofobia in Francia: Sfide e Prospettive
La xenofobia è un problema sociale globale che non risparmia nemmeno la Francia, una nazione con una lunga e complessa storia di immigrazione e diversità culturale. Mentre la Francia è celebre per i suoi principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, l'onda della xenofobia ha colpito la società francese in vari modi. In questo articolo, esploreremo le sfide legate alla xenofobia in Francia e le prospettive per un futuro più inclusivo. La Storia dell'Immigrazione in Francia L'immigrazione in Francia è una storia lunga e ricca, che affonda le radici in diverse ondate migratorie. Durante il XX secolo, l'immigrazione proveniente dall'Africa, dal Maghreb, dall'Asia e da altre regioni ha contribuito a creare una società multiculturale e multietnica. Tuttavia, questa diversità non è sempre stata accolta con apertura. Xenofobia in Francia: le sfide attuali La xenofobia in Francia è emersa come una sfida significativa nel contesto sociale e politico contemporaneo. Le tensioni razziali e culturali si sono acuite negli ultimi anni, in parte a causa delle crescenti preoccupazioni per la sicurezza e il terrorismo. L'islamofobia è una delle forme più evidenti di xenofobia in Francia, con leggi contro il velo integrale e il dibattito sull'uso del burkini nelle spiagge. Politiche e Leggi Contro l'Immigrazione Alcune politiche e leggi contro l'immigrazione hanno alimentato la xenofobia. Ad esempio, la "legge sull'identità nazionale" del 2007 ha sollevato preoccupazioni per la discriminazione contro le minoranze etniche. Inoltre, l'atteggiamento nei confronti dei richiedenti asilo e dei migranti irregolari è spesso controverso, con campagne politiche che promettono di ridurre l'immigrazione a tutti i costi. Le Marce della Solidarietà Tuttavia, la Francia non è solo una storia di xenofobia. Molti cittadini e organizzazioni si sono impegnati per promuovere la solidarietà e l'inclusione. Le marce della solidarietà, in risposta agli attacchi terroristici e all'islamofobia, hanno visto migliaia di persone unirsi per sostenere i loro concittadini di diverse origini e religioni. L'Importanza dell'Educazione e della Sensibilizzazione Una delle chiavi per combattere la xenofobia in Francia è l'educazione e la sensibilizzazione. Promuovere la comprensione e l'empatia tra diverse comunità è essenziale per ridurre le tensioni razziali e culturali. Le scuole e le istituzioni educative giocano un ruolo fondamentale nell'insegnare la diversità e il rispetto reciproco. Il Ruolo dei Media I media svolgono un ruolo importante nell'influenzare l'opinione pubblica. È importante che i media siano responsabili nella loro copertura delle questioni legate all'immigrazione e alla diversità. La rappresentazione accurata e equa delle diverse comunità può contribuire a combattere stereotipi e pregiudizi. Prospettive per un Futuro più Inclusivo La lotta contro la xenofobia in Francia è una sfida complessa, ma esistono prospettive per un futuro più inclusivo. La società civile, le organizzazioni non governative e i cittadini impegnati stanno lavorando instancabilmente per promuovere i valori di libertà, uguaglianza e fratellanza su cui si fonda la Repubblica francese. Sostenere queste iniziative e promuovere il dialogo aperto e costruttivo tra le diverse comunità può contribuire a creare una Francia più unita e solidale. In conclusione, la xenofobia è una sfida che la Francia affronta, ma la nazione ha anche una storia di resistenza e di promozione dei valori di diversità e inclusione. Il futuro della Francia dipenderà dalla volontà di affrontare le sfide legate alla xenofobia e di lavorare insieme per costruire una società più aperta, tollerante e inclusiva. Foto di Nuno Lopes da Pixabay Read the full article
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cdgruppo12 · 1 year
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Spotify e l’albero della platformization
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APP SCELTA:  Spotify
USI SOCIALI:
Gli usi previsti da questa tecnologia per i fruitori sono: ascoltare, pubblicare, condividere e scoprire nuova musica, creare playlist, apprendere nuove skills e conoscenze, usare la radio e, infine, le persone possono mettere like a quello che vogliono.
Gli artisti, sia emergenti che di fama mondiale, hanno la possibilità con Spotify di ascoltare, pubblicare e condividere podcast. Non c’è incongruenza tra l’uso previsto dai creatori e l’uso effettivo.
Attraverso Spotify le persone possono prendere conoscenza di nuovi artisti e canzoni simili ai propri gusti, grazie a degli algoritmi che consigliano all’utente nuova musica simile a quella che già ascolta. In più, grazie alla grande emergenza dei podcast sulla piattaforma, gli utenti possono istruirsi con podcast che insegnano nuove conoscenze, informarsi su una vastissima varietà di temi che spaziano dal crime, all’alpinismo, temi riguardanti la sessualità, venire a conoscenza di notizie di cronaca, imparare a cucinare e tanto altro ancora.
Gli utenti di Spotify possono interagire tra loro in diversi modi: per esempio condividendo la propria musica con amici e conoscenti, seguire il profilo di qualcun altro e vedere che brani ascolta per ascoltarli a sua volta.
È anche possibile creare le cosiddette “playlist collaborative” e invitare gli altri utenti a collaborare, cioè aggiungendo altri brani, eliminando alcuni dei presenti e modificando l’ordine di riproduzione delle canzoni presenti.
DECISIONI DI DESIGN:
Quando hanno creato Spotify, i designer avevano in mente degli utenti appassionati (fruitori) di musica che volevano avere un accesso facile, veloce e pratico a quest’ultima.
Mentre per gli artisti, i designer volevano creare un’applicazione attraverso la quale essi potessero diffondere, condividere e monetizzare la loro musica. Spotify nasce principalmente come app musicale, ma nel corso degli anni si è evoluta, stando al passo con il cambiamento del mercato e le nuove richieste degli utenti, espandendosi così anche nel mondo dei podcast.
Spotify è un’applicazione user-friendly, ovvero abbastanza semplice da utilizzare e non presuppone grandi capacità tecniche da parte dei fruitori. Per utilizzarla, bisogna essere in grado di creare un proprio account personale con nome utente, email e password. Bisogna decidere poi se si vuole utilizzare Spotify gratuitamente, ma con delle limitazioni (pubblicità che non si può saltare tra una canzone e l’altra, impossibilità di “saltare” da un brano all’altro) oppure a pagamento. Successivamente, per utilizzarla bisogna solamente essere in grado di navigare all’interno dell’applicazione, saper utilizzare la barra di ricerca per cercare i brani che più ci piacciono, e sapere quali tasti usare per stoppare, saltare, aggiungere ai preferiti e condividere una canzone. Per avere un’esperienza ancora più piacevole bisogna saper creare una playlist delle proprie canzoni preferite.
Nel modo in cui si suppone che questa tecnologia venga utilizzata non abbiamo trovato bias culturali, socioeconomici, razziali o di gender da parte dei designer che possono essere rintracciabili negli usi di Spotify. Anzi, l’app promuove artisti e playlist facenti parte di minoranze, come per esempio artisti LGBTQ+ o emergenti. Inoltre sostiene il Black Lives Matter Movement. Abbiamo però trovato un bias di disponibilità: le persone che utilizzano Spotify potrebbero finire per ascoltare solamente musica che si trova sull’applicazione, credendo così che Spotify contenga tutta la musica disponibile (filter bubble), dimenticandosi che altri mezzi contengo musica non presente sull’app (es: Youtube, TikTok, soundcloud).
Noi siamo abbastanza simili a questi tipi di utenti, perché utilizziamo principalmente Spotify come mezzo per ascoltare e scoprire musica e podcast, ma siamo comunque consapevoli che esistono altri mezzi che possono essere utilizzati e che contengono musiche non presenti sull’app.
Il font utilizzato dall’app è abbastanza piccolo e di conseguenza potrebbe dare difficoltà a persone anziane, ipovedenti o con problemi alla vista. Tuttavia, è possibile regolare la grandezza del font dalle impostazioni. Inoltre, l’interfaccia nera dell’app crea minore contrasto con i colori e le scritte nell’app, creando delle possibili difficoltà di lettura. Lo sfondo nero è stato creato per dare agli utenti la stessa sensazione che si ha quando si entra in una sala cinematografica e si guarda un film. Altri aspetti interessanti sono l’over-load di informazioni e la visual over-load. Quando si apre l’app ci si trova quasi “bombardati” dal numero di playlist e musica consigliata apposta per noi, artisti da scoprire, podcast nuovi, tantissimi generi musicali etc. Il rischio è quello di essere esposti a così tanta informazione e da avere talmente tanta scelta a disposizione da non essere più in grado di scegliere.
RISORSE MATERIALI:
La realizzazione e il funzionamento di Spotify hanno richiesto e continua tutt’ora a richiedere un server per raccogliere i dati, un hardware, un dispositivo per archiviare i dati, degli Ux designer (designer che si occupano di migliorare l’esperienza che gli utenti hanno utilizzando l’applicazione), degli algoritmi in grado di raccomandare musica, artisti e podcast personalizzati per ogni utente, contratti con le etichette discografiche e licenze dei diritti per riprodurre la musica degli artisti.
L’app è stata creata nel 2006 e lanciata sul mercato nel 2008 dalla Spotify AB, fondata da Daniel Ek e Martin Lorentzon.
Spotify ha diversi legami con altri nodi dell'albero, come ad esempio l'utilizzo del servizio di archiviazione dati di Google Cloud e la collaborazione con aziende come Amazon Alexa e Google Assistant per fornire funzionalità di controllo vocale ai propri utenti. Inoltre, ha stretto accordi di collaborazione con diverse aziende di hardware, come produttori di automobili, altoparlanti intelligenti e dispositivi mobili.
Per utilizzare Spotify non è necessaria una presa di corrente. Per utilizzare l’app nel suo completo è inoltre necessaria una connessione al Wi-Fi o l’utilizzo dei dati mobili. Si può però anche scaricare musica e podcast per poi ascoltarli da offline. Se il software del computer o telefono attraverso cui si utilizza Spotify si rompesse l’app cesserebbe di funzionare.
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soldan56 · 2 years
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I crimini d’odio e i genocidi inziano sempre con le demarcazioni razziali, etniche, religiose e la propaganda di odio verso le minoranze. “Il nazismo in Germania è stato una metastasi di un tumore che era in Italia.”
Primo Levi, testimone dell’Olocausto.
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sibilla27vane · 3 years
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Questa soluzione estrema al problema dell'esistenza umana è preclusa alla persona media. Eppure in quasi tutti i sistemi sociali, compreso il nostro, persino chi è confinato ai più infimi gradini sociali può avere controllo su qualcuno che è soggetto al suo potere. Ci sono sempre dei bambini, delle mogli, dei cani adatti allo scopo; o persone inermi, come i detenuti delle prigioni, i pazienti degli ospedali se non sono abbienti (e soprattutto i malati di mente), gli allievi delle scuole, i membri delle burocrazie civili. E' la struttura sociale a determinare in quale misura è controllato o limitato il potere effettivo dei superiori in ciascuno di questi casi e la possibilità di soddisfazione sadica che ne può scaturire. A prescindere da tutte queste situazioni, le minoranze religiose e razziali, proprio perché inermi, offrono ampie opportunità di soddisfazione sadica persino per il membro più povero della maggioranza. Il sadismo è una delle risposte al problema di nascere uomo, in assenza di alternative migliori. L'esperienza di controllo assoluto su un altro essere, di onnipotenza per quanto lo (o la) riguarda, crea l'illusione di trascendere i limiti dell'esistenza umana, particolarmente per coloro che conducono una vita squallida e improduttiva.
Erich Fromm - Anatomia della distruttività umana
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corallorosso · 3 years
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La Cina risponde agli Usa: vogliamo parlare della democrazia negli Stati Uniti? di Giulio Chinappi su World Politics Blog Per decenni gli Stati Uniti si sono autoproclamati il “campione della democrazia”, arrogandosi il diritto di ergersi a giudice dei sistemi politici degli altri Paesi, senza disdegnare interventi diretti o indiretti per favorire l’abbattimento di governi ostili e l’emergere di governi a propria immagine e somiglianza. (...) Il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese ha pubblicato un documento nel quale analizza le criticità della democrazia negli Stati Uniti. “Nel corso degli anni, la democrazia negli Stati Uniti è diventata alienata e degenerata, e si è sempre più allontanata dall’essenza della democrazia e dal suo progetto originale. Problemi come la politica del denaro, la politica dell’identità, le dispute tra partiti politici, la polarizzazione politica, la divisione sociale, la tensione razziale e il divario di ricchezza sono diventati più acuti. Tutto ciò ha indebolito il funzionamento della democrazia negli Stati Uniti“, si legge nel rapporto del ministero degli Esteri cinese. I problemi della democrazia statunitense sono dunque evidenti sia da un punto di vista interno che esterno. Si tratta infatti di un sistema politico volto a creare sempre maggior iniquità, pensato ad unico vantaggio di una piccola minoranza che detiene il potere economico: “La democrazia in stile americano è un gioco per uomini ricchi basato sul capitale, ed è fondamentalmente diversa dalla democrazia del popolo. […] Gli Stati Uniti sono un tipico paese dominato da una classe d’élite. Il pluralismo politico è solo una facciata. Una minoranza élitaria domina gli affari politici, economici e militari“. Da un punto di vista esterno, invece, “gli Stati Uniti hanno spesso usato la democrazia come pretesto per intromettersi negli affari interni di altri Paesi, causando caos politico e disordini sociali in questi Paesi e minando la pace e la stabilità mondiale e la tranquillità sociale in altri Paesi“. (...) In secondo luogo, eventi come la morte di George Floyd il 25 maggio 2020 hanno dimostrato come il razzismo negli Stati Uniti non sia un fenomeno che riguarda alcuni individui, ma un vero e proprio male endemico della società statunitense: “Oggi, sebbene la segregazione razziale sia stata apparentemente abolita negli Stati Uniti, la supremazia bianca è ancora diffusa e dilagante in tutto la nazione. La discriminazione contro i neri americani e altre minoranze razziali rimane un fenomeno sistemico“. Infine, la gestione della pandemia di Covid-19 ha dimostrato l’inefficacia di un sistema basato unicamente sulla ricerca del profitto individuale, e non del benessere generale: “Con le migliori risorse sanitarie e mediche del mondo, come essi stessi affermano, gli Stati Uniti sono stati un disastro totale quando si trattava di risposta al COVID. Hanno il numero più alto al mondo di contagi e decessi“. In politica estera, gli Stati Uniti hanno esercitato la violenza su altri Paesi in vari modi, ma sempre con il pretesto della democrazia. Questi metodi includono le “rivoluzioni colorate”, l’intervento militare diretto e le sanzioni economiche unilaterali. Sebbene con forme diverse, tutti questi attacchi sferrati ai Paesi che hanno l’unica colpa di non genuflettersi al progetto egemonico statunitense hanno portato risultati simili: “L’esportazione degli Stati Uniti dei suoi valori ha interrotto il normale processo di sviluppo nei Paesi interessati, ha ostacolato la loro ricerca di un percorso e di un modello di sviluppo adeguati alle loro condizioni nazionali, ha portato disordini politici, economici e sociali e ha distrutto, uno dopo l’altro, ciò che erano le belle patrie degli altri. Le turbolenze, a loro volta, hanno dato origine al terrorismo e ad altre sfide a lungo termine che minacciano e mettono a rischio la sicurezza regionale e persino globale“. Oggi, sono in pochi a poter ancora sostenere il sistema politico statunitense come un modello di democrazia. L’ordine internazionale del XXI secolo esige la fine delle egemonie e l’inizio del multilateralismo tra pari, al fine di affrontare sfide globali come le pandemie, il rallentamento economico e l’emergenza ambientale: “Qualsiasi tentativo di spingere per un modello unico o assoluto di democrazia, utilizzare la democrazia come strumento o arma nelle relazioni internazionali, o difendere la politica di blocco e il confronto tra blocchi sarà una violazione dello spirito di solidarietà e cooperazione che è fondamentale in tempi difficili“.
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gregor-samsung · 4 years
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“ Anche nei centri avanzati di civiltà, la violenza prevale attualmente: è praticata dalla polizia, nelle prigioni e negli istituti per malati di mente, nella lotta contro le minoranze razziali; è portata, dai difensori della libertà metropolitana, fino nei paesi arretrati. Questa violenza in realtà genera violenza. Ma trattenersi dalla violenza di fronte alla violenza immensamente superiore è una cosa, rinunciare a priori a rispondere colla violenza alla violenza, nel campo etico o in quello psicologico (perché può agire contro i simpatizzanti) è un’altra. La non-violenza normalmente non viene soltanto predicata ai deboli ma pretesa da essi - è una necessità piuttosto che una virtù, e normalmente non danneggia seriamente la condizione dei forti. (Il caso dell’India è una eccezione? Là, la resistenza passiva fu portata a buon fine su scala di massa, e spaccò o minacciò di spaccare la vita economica del paese. La quantità si trasforma in qualità: su tale scala, la resistenza passiva non è più passiva - cessa di essere non-violenta. Lo stesso vale per lo sciopero generale). La distinzione di Robespierre tra il terrore della libertà e il terrore del dispotismo, e la sua glorificazione morale del primo appartiene alle aberrazioni più convincentemente condannate, anche se il terrore bianco fu assai più sanguinoso del terrore rosso. La valutazione comparativa in termini del numero delle vittime è l’approccio quantificante che rivela l’orrore prodotto dall’uomo durante tutta la storia che fece della violenza una necessità. In termini di funzione storica, c’è una differenza tra violenza rivoluzionaria e violenza reazionaria, tra violenza messa in pratica dagli oppressi e violenza messa in pratica dagli oppressori. In termini di etica, ambedue le forme di violenza sono inumane e dannose - ma da quando in qua la storia è fatta in accordo alle norme etiche? Cominciare ad applicarle là dove i ribelli oppressi lottano contro gli oppressori, quelli che non hanno niente contro i possidenti è servire la causa della violenza reale indebolendo la protesta contro di essa. «Capite finalmente questo: se la violenza è cominciata stasera, se lo sfruttamento o l’oppressione non sono mai esistiti in terra, forse la nonviolenza ostentata può placare il dissidio. Ma se il regime per intero e fin i vostri nonviolenti pensieri sono condizionati da un’oppressione millenaria, la passività vostra non serve che a schierarvi dal lato degli oppressori» (J.-P. Sartre, Prefazione a Frantz Fanon, I dannati della terra, ed. it., Einaudi, Torino 1962, p. 20). “
Brano tratto da Herbert Marcuse, La tolleranza repressiva, contributo al saggio:
R. P. Wolff, B. Moore jr., H. Marcuse, La Critica della tolleranza - La forma attuale della tolleranza: un mascheramento della repressione, Einaudi (traduzioni di Domenico Settembrini e Lorenzo Codelli; collana Nuovo Politecnico, n° 25), 1968¹; pp. 94-95.
[ Edizione originale: A Critique of Pure Tolerance, Beacon Press, Boston (MA), USA, 1965 ]
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ilbarbarossa · 4 years
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Cosa ne pensi del nuovo regolamento inclusivo degli oscar?
L'idea potrebbe anche essere giusta e capisco l'intento ma francamente mi sembra il solito modo americano di combattere battaglie giuste con metodi terribilmente sbagliati. Questo politically correct ostentato a mio parere é ridicolo e di un falso da far spavento. Che senso ha unire tutte le tipologie di minoranze ed inserire delle quote obbligatorie, con quale criterio dovresti sceglierle? Il colore della pelle, un etnia possono essere veramente accomunate con una preferenza sessuale o con il "genere" delle persone? Non sono uno di quelli che accusa tali regole di essere un bavaglio creativo, nel senso, se fai un film nella Berlino degli anni 30 magari un attore nero cozza un pochino, infatti non sei obbligato a metterlo, peró il 30% delle maestranze dietro le quinte, devono rappresentare quelle minoranze, e ok, mi sta bene, ma gli apprendisti pagati solo per le minoranze (Donne, gruppi razziali o etnici, lgbtq+, disabilità cognitive o fisiche) ? A me sembra discriminatorio per chi non fa parte di quelle minoranze ma vabbé.
E no, non dico queste cose perché sono il classico "maschio bianco, etero, cis, privilegiato" (accusa che ha anche un po rotto il cazzo) ma perché sono queste stesse minoranze a lamentarsene in quanto viene messa in dubbio il loro merito e capacità a discapito di altri fattori.
Lo so che il discorso è più complesso, ma ho fatto un sunto altrimenti non finisco più.
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lamilanomagazine · 10 months
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Risiera di San Sabba inaugurazione della mostra " 7 dicembre 1943: destinazione lager"
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Risiera di San Sabba inaugurazione della mostra " 7 dicembre 1943: destinazione lager"   Giovedì 7 dicembre alle ore 11 nella Sala delle Commemorazioni della Risiera di San Sabba si inaugura la mostra dedicata al primo convoglio di deportati razziali partito dalla stazione centrale di Trieste, a 80 anni dal drammatico evento avvenuto nel 1943. La ricostruzione puntuale e rigorosa, resa accessibile al grande pubblico in una attenta operazione di public history, è il frutto delle ricerche condotte da un gruppo di studiose e studiosi specializzati nella storia della Shoah e della deportazione politica dall’OZAK (Zona Operazioni Litorale Adriatico). La mostra è realizzata dal Comune di Trieste, Museo della Risiera di San Sabba - Monumento Nazionale in collaborazione con il Museo della Comunità Ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner”. Hanno collaborato inoltre: l'Associazione Nazionale Ex Deportati-Sezione di Trieste, l'Archivio di Stato di Trieste, la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, la Fondazione Museo della Shoah di Roma, il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Trieste. La mostra è curata da Sara Berger, Tullia Catalan, Franco Cecotti, Annalisa Di Fant, Stefano Fattorini, Dunja Nanut, Matteo Perissinotto (coordinamento scientifico), Marcello Pezzetti, con il coordinamento generale di Anna Krekic, conservatore del Museo della Risiera di San Sabba - Monumento Nazionale. Ospite d’onore all’inaugurazione sarà Tatiana Bucci, testimone della Shoah. Il progetto espositivo ha l'obiettivo di ricordare gli 80 anni dalla partenza dei primi convogli dalla città giuliana verso i campi di concentramento nazisti, attraverso una ricostruzione rigorosa e al contempo altamente divulgativa di quanto accadde all'epoca. L’evento inaugurale si tiene proprio in occasione di un significativo quanto doloroso anniversario, la partenza il 7 dicembre 1943 del primo dei molti trasporti di deportati razziali diretti ad Auschwitz da Trieste. La mostra, partendo dalla ricostruzione di questo convoglio, dei luoghi della deportazione e delle vicende di vittime e carnefici, prende in esame anche la deportazione politica avvenuta nei mesi precedenti. L’esposizione costituirà per docenti e scolaresche, come pure per il pubblico generico, un importante punto di riferimento per la conoscenza di tale momento storico, fornendo strumenti didattici innovativi e aggiornati. La traduzione in sloveno e inglese la rende esportabile anche all’estero, oltre che fuibile ai turisti e ai numerosi visitatori stranieri della Risiera. Immagini e mappe aiutano il pubblico a visualizzare la storia di chi venne deportato, collocandola nel più ampio e complesso sistema delle deportazioni dall’OZAK. La mostra è frutto di una intensa attività di ricerca sulla bibliografia e sugli studi già pubblicati e in corso, ma anche e soprattutto di un nuovo lavoro su fonti e archivi che sono a disposizione degli studiosi solo da pochi anni, come le testimonianze orali, gli archivi di famiglia, i registri del Carcere del Coroneo, i censimenti razzisti del 1938 e 1942, l’archivio di Bad Arolsen, l'archivio della Repubblica di Slovenia e vari archivi americani, inglesi, norvegesi. La mostra sarà visitabile a ingresso libero fino al 9 giugno 2024 durante l’orario di apertura della Risiera di San Sabba. “TRIESTE PORTA DELL’EST” MAXMABER ORKESTAR IN CONCERTO Trieste porta dell’Est è il concerto di Maxmaber Orkestar che giovedì 7 dicembre alle ore 21.00 all’Auditorium Marco Sofianopulo del Museo Revoltella di via Diaz, 27 chiude il programma culturale 1943-2023. Trame intrecciate di memoria. Tra gioia e malinconia, un coinvolgente viaggio nella musica delle minoranze, attraverso spazi di contaminazione tra culture diverse, lungo un confine che non sia frontiera. Ingresso gratuito. Posti limitati. È consigliata la prenotazione all’indirizzo [email protected] per altre informazioni al seguente link - Maxmaber Orkestar - Lucy Passante Spaccapietra | voce, violino - Alberto Guzzi | voce, sax - Max Jurcev | voce, fisarmonica - Fabio Bandera | voce, contrabbasso - Romano Bandera | voce, chitarra - Alessandro Perosa | percussioni La Maxmaber Orkestar si forma nel 2003 a Trieste, dove la Mitteleuropa incontra il Mediterraneo, porta naturale fra Oriente e Occidente, luogo di scambio e contaminazione fra genti e culture diverse. Voci, fisarmonica, sax, violino, chitarra, percussioni e contrabbasso ci conducono in un viaggio attraverso la tradizione popolare dell’Europa orientale e del Mediterraneo. Ospite di numerosi festival, in Italia e in Europa, la Maxmaber Orkestar guarda all’arte di strada come modello di ricerca musicale, nel segno dello scambio e della conoscenza. Nel repertorio in programma la sera del 7 dicembre figurano canzoni yiddish e brani klezmer (Di saposhkelekh, Ot azoy, Ershter vals, Russian sher) ma anche musiche bosniache, macedoni e rom (Ajde Jano, Ćudna jada, Čoček), canzoni celebri quali Dance Me to the End of Love di Leonard Cohen e Bay mir bistu sheyn di Jacob Jacobs e Sholom Secunda e suggestive composizioni della stessa Maxmaber Orkestar (per esempio Ponterosso e I mati de Trieste). Sono musiche malinconiche e allegre al contempo, testimonianze di popoli e culture europei senza confini o bandiere, che attraversano la Storia con grande vitalità, ma a volte anche con estrema sofferenza. Numerosi i festival, nazionali e internazionali, nei quali la Maxmaber Orkestar è intervenuta: Straßen Kunst Festival Wiener Neustadt (AT), Straßen Festival Werne (DE), Pflasterspektakel Linz (AT), Pflasterzauber Festival Hildescheim (DE), Neuchâtel Buskers Festival (CH), STRAMU Würzburg International Festival (DE), Strasbourg Méditerranée (F), Aufgetischt! di Chur (CH), Waves Festival (DK), Stadtspektakel di Landshut (DE), Le Bal Rital di Parigi (F), Festival Klezmer di Ancona, Folkest, Carnevale di Venezia, Lethargy di Zurigo (CH), Aufgetischt! di St. Gallen (CH), Festival Internazionale di Goražde (BIH), Kid’s Festival di Sarajevo (BIH), Campus di Montecatini, Luka Praha (CZ), Eurofolk di Malaga (E), Jazz Etno Funky Festival di Koper (SLO), TriesteLovesJazz, Cortona On The Move, Radicazioni e DEAFEst in Calabria. Fra le numerose collaborazioni teatrali figurano Fuori dal bordo, spettacolo tragicomico sul tema dell’infanzia e dell’asilo, il progetto Il ratto d’Europa di Claudio Longhi e Il tempo della festa, con Roberta Biagiarelli (autrice e interprete del celebre A come Srebrenica). È del 2009 la collaborazione con il collettivo Wu Ming per la presentazione del libro Altai. Nel 2005 la Maxmaber Orkestar registra il suo primo CD, Ancheniente!, cui fa seguito nel 2007 Ajde Jano!. Nel 2011 viene pubblicato Malinkovec in Corte Fedrigovez e nel 2014 Spavomir. 1943-2023. TRAME INTRECCIATE DI MEMORIA - Attività promosse dal Comune di Trieste - e realizzate dal Museo della Risiera di San Sabba - Monumento Nazionale - con il sostegno del MIC - Ministero della Cultura con la collaborazione di - Associazione Nazionale Ex Deportati - ANED, Sezione di Trieste - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia - ANPI, Comitato provinciale di Trieste - Commissione per il Civico Museo della Risiera di San Sabba - Comunità Ebraica di Trieste e Museo della Comunità Ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner” - Conservatorio di Musica “Giuseppe Tartini”, Trieste - Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea - CDEC Onlus, Milano - Fondazione Museo della Shoah, Roma - Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata - IRCI, Trieste - Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea nel Friuli Venezia Giulia - Liceo Scientifico “Galileo Galilei”, Trieste - Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Studi Umanistici - DiSU Sindaco di Trieste Roberto Dipiazza - Assessore alle Politiche della Cultura e del Turismo Giorgio Rossi - Direttore Generale Fabio Lorenzut - Dirigente del Servizio Promozione Turistica, Musei, Eventi Culturali e Sportivi Francesca Locci - Responsabile dei Musei Storici e Artistici Stefano Bianchi - Coordinamento generale Anna Krekic, conservatore del Museo della Risiera di San Sabba - Monumento Nazionale - Coordinamento amministrativo Andreja Bruss - Segreteria Museo della Risiera di San Sabba Antonia Cilli - Immagine coordinata e allestimento mostre Studio Mark - Organizzazione spettacoli Studio Sandrinelli... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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letizia-bollini · 5 years
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25 aprile
Di Liliana Segre La Repubblica - 23 aprile 2019  
"Per me il 25 aprile del 1945 non fu il giorno della Liberazione. Non poteva esserlo perché io quel giorno ero ancora prigioniera nel piccolo campo di Malchow, nel Nord della Germania. C'era un grande nervosismo da parte dei nostri aguzzini, ma non sapevamo nulla di quel che accadeva in Europa.
A darci qualche notizia furono dei giovani francesi prigionieri di guerra mentre passavano davanti al filo spinato. "Non morite adesso!", scongiurarono alla vista delle disgraziate ombre che eravamo. "Tenete duro. La guerra sta per finire. E i tedeschi stanno perdendo sui due fronti: quello occidentale con gli americani e quello orientale con i russi". Nelle ultime ore da prigioniere assistemmo alla storia che cambiava. Fuori dal lager ci costrinsero all'ennesima orribile marcia ma niente era uguale a prima.
La mia personale festa di liberazione fu quando vidi il comandante del campo mettersi in abiti civili e buttare a terra la sua pistola. Era un uomo terribile, crudele, che a ogni occasione picchiava selvaggiamente le prigioniere. La vendetta mi parve a portata di mano, ma scelsi di non raccogliere quell'arma. All'improvviso realizzai che io non avrei mai potuto uccidere nessuno e questa era la grande differenza tra me e il mio carnefice. Fu in quel momento che mi sentii libera, finalmente in pace.
Il 25 aprile del 1945 fu quindi un'esplosione di gioia che mi sarebbe arrivata più tardi filtrata dai racconti di amici e famigliari. Avevo avuto bisogno di una tregua prima di tornare in Italia. E dovevo guarire da troppe ferite per riuscire a fare festa insieme agli altri. Ero stata ridotta a un numero, costretta a vivere in un mondo nemico e costantemente con il male altrui davanti a me, come diceva Primo Levi. Ci vollero anni perché riscoprissi il sentimento della felicità collettiva.
Poi quel momento è arrivato. E il 25 aprile è diventata una festa famigliare, la festa della libertà ritrovata. Simboleggiava la caduta definitiva del nazifascismo e la liberazione. E rendeva omaggio al sacrificio di partigiani e militari, ai resistenti senz'armi, ai perseguitati politici e razziali. Era la festa del popolo italiano ma anche una festa celebrata in famiglia insieme a mio marito Alfredo, che era stato un internato militare in Germania per aver detto no alla Rsi. Avevamo patito entrambi la privazione della libertà e potevamo capire il significato profondo di quella data che poneva le fondamenta della democrazia e della carta costituzionale. Ogni 25 aprile sventolavamo idealmente la nostra bandiera.
Non ho mai smesso di sventolare quella bandiera. E ancora oggi mi ostino a spiegare ai ragazzi perché è una festa fondamentale. Ma è sempre più difficile combattere con i vuoti di memoria. Solo se si studia la storia si comprende cosa è stato il depauperamento mentale di masse di italiani e tedeschi indottrinate dai totalitarismi fascista e nazista. Bisogna raccontare alle giovani generazioni cos'è stata la dittatura, soprattutto ora che il saluto romano non stupisce più nessuno. Mi chiedo se a una parte della politica non convenga questa diffusa ignoranza della storia. Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone "resistenza".
In anni non lontani, c'è stato anche chi ha proposto di abolire il 25 aprile dal calendario civile. Temo che prima o poi si arriverà a cancellarlo. Perché il tempo è crudele: livella i ricordi e confonde la memoria, mentre le persone muoiono e le generazioni passano. Qualche anno fa ci siamo illusi che intorno a questa data fosse stata raggiunta l'unanimità delle forze politiche. Oggi leggo con preoccupazione che alla festa della Liberazione si preferisca una cerimonia di altro genere. Se devo dire la verità, rimango esterrefatta. In tarda età assisto a degli atti che non avrei mai immaginato di vedere: soprattutto avendo vissuto cosa volesse dire essere vittime prima del 25 aprile, quando la democrazia non c'era, e dissidenti e minoranze venivano imprigionati, torturati e anche uccisi.
Così come rimango tristemente stupita di fronte alla cancellazione della prova di storia alla maturità. La mancanza di memoria può portare a episodi come quello che ha coinvolto pochi giorni fa un istituto alberghiero di Venezia. Un insegnante su Facebook ha offeso la Costituzione con parole che preferisco non ripetere. E si è augurato che Liliana Segre finisca in "un simpatico termovalorizzatore". Questa non l'avevo ancora sentita: probabilmente il "simpatico termovalorizzatore" è la forma aggiornata del forno crematorio.
Preferisco però concentrarmi sui moltissimi italiani che mi vogliono bene. E insieme ai quali festeggerò il 25 aprile, un rito laico che continua a emozionarmi. E a portarmi via con sé. Perché la libertà è una condizione assoluta, irrinunciabile. E non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile. Buon 25 aprile a tutti."
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paoloxl · 5 years
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La sera dell'11 agosto 1965, a Los Angeles l'agente bianco della California Highway Patrol Lee Minikus, ferma il ventunenne nero Marquette Frye all'angolo di Avalon Boulevard e 116ma Strada, a Watts, il ghetto nero nel sud di Los Angeles. Il giovane è sospettato di guida in stato di ebbrezza. 
Fermare un ragazzo nero in auto è routine per la polizia di Los Angeles, ma questa volta Frye non si inginocchia sull'asfalto come da lui ci si aspetta. Resiste. Dopo i controlli "di routine", che nel caso di un fermato nero implicano anche una buone dose di botte e manganellate, Frye viene portato al distretto di polizia. Fuori dal distetto di polizia si radunano inizialamente un centinaio di neri, tra cui sono presenti anche il fratello e la madre di Marquette, mostrando foto dell'arrestato. La polizia reagisce in maniera violenta, caricando l'assmbramento e arrestando altre tre persone, tra le quali vi sono i famigliari di Marquette. 
Appena la polizia se ne va con gli arrestati inizia la rivolta più sanguinosa tra quelle dei ghetti americani di quegli anni. Sei giorni di disordini, 34 morti di cui 25 neri, più di 1000 feriti, 40 milioni di dollari di danni e quasi 4000 persone di colore arrestate. Una rivolta che sarà contenuta dalla polizia nel quartiere di Watts, un'area geografica relativamente limitata, caratterizzata da casette monopiano, ma anche dalla presenza di blocchi di case popolari costruite durante la guerra per alloggiare una popolazione nera in espansione (il numero dei neri a Los Angeles raddoppia tra il 1940 e il 1944 e nel 1965 è nove volte più grande): Hacienda Village, Imperial Courts, Jordan Downs, Nickerson Gardens sono i nomi dei progetti di edilizia pubblica che saranno i maggiori focolai della rivolta. 
La rivolta di Watts, ben più di quelle che l'hanno preceduta, è una rivolta giovanile, scandita dalle radio nere, unica espressione mediatica aperta allora alle minoranze. 
Dalle radio venne preso lo slogan che scandì quei giorni e quei riots, "burn baby, burn". 
I sei giorni di sommossa di Watts, segnano uno spartiacque nelle relazioni razziali e nella coscienza dei neri americani. All'inizio è la reazione spontanea alla brutalità dei poliziotti bianchi, poi la faccenda assume connotati del tutto politici. 
Watts segna inoltre il fallimento di Martin Luther King e la nascita del gruppo del Black Panther.
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momentidicri · 6 years
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Ho talmente tanta rabbia dentro per quello che succedendo in Italia che non riesco neanche più a buttare giù le parole. Fra pochi giorni sarà la giornata della memoria e io ne ho anche abbastanza di parole buttate al vento, di ricorrenze tradizionali ma che non portano a niente. Io ringrazio quelli che si fermano a pensare in quella giornata, ma che continuano a far si che certe legge razziali non vengono riproposte (anche se cazzo, sta capitando davvero). 
Ho scelto un percorso di studi che mi porterà a fare un lavoro bellissimo, dove per forza bisogna stare dalla parte delle minoranze, dove bisogna stare da una parte. Però ho deciso che quest’anno scenderò anche in piazza, anche se le grandi folle mi fanno paura. Sono stanca di subire tutto questo.
Sto approfondendo tematiche che ho sempre avuto nel cuore: il femminismo, la disabilità, l’immigrazione, criminalità organizzata. Voglio conoscere e imparare sempre più, voglio diventare una persona competente e coscienziosa di ciò che mi sta attorno. 
Ho paura di svegliarmi un giorno in cui spediranno nella sua terra di origine (che casa non è) A., metteranno mia madre in un ospizio a causa di etichettamenti e discriminazioni, e ho anche paura che mia sorella un giorno sarà obbligata a prendere le armi e a combattere per ciò che Lui vuole. 
Io non lo voglio un Paese così. Io voglio far parte della Resistenza.
Forse sto esagerando, ma sento che qualcosa sta cambiando.
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carmenvicinanza · 2 years
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Mariella Mehr
https://www.unadonnalgiorno.it/mariella-mehr/
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La mia mente non è un conto vincolato su cui posso addebitare le nostre memorie, per poi continuare a vivere allegramente, libera da tutti i ricordi. Ognuno dei miei giorni è un tentativo nuovo d’imparare a vivere con questi ricordi, i tuoi e i miei, e il ricordo della storia del nostro popolo, senza esserne distrutta.
Mariella Mehr è stata una scrittrice e poeta svizzera di etnia Jenisch.
Una storia incredibile la sua, costellata da atroci sofferenze nonostante le quali ha trovato la forza di reagire e lottare, trovando rifugio nella scrittura.
Nata a Zurigo, il 27 dicembre 1947, è stata vittima, da piccolissima del programma eugenetico Enfants de la grand-route, promosso dal Governo svizzero nei confronti di bambini e bambine appartenenti a famiglie di etnia nomade che, dal 1926 al 1972, attraverso sterilizzazioni di massa e altre atrocità, cercava di estirpare “la piaga” della società.
A sei anni venne tolta a sua madre che venne sterilizzata e internata in un istituto psichiatrico per curare “il gene nomade“.Anche lei, a soli nove anni, è stata mandata in un istituto psichiatrico, dove ha subito il primo di una lunga serie di elettroshock.Maltrattata, violentata e torturata. A 18 anni ha avuto un figlio che le hanno tolto, per poi sterilizzarla.Dagli anni ’70, ha formato un’associazione di famiglie Jenish con le quali si è battuta per quantificare e documentare gli abusi, renderli noti all’opinione pubblica. È riuscita a ottenere l’abolizione del programma, la fine delle sterilizzazioni e le scuse ufficiali dello stato svizzero.Dal 1975 ha pubblicato prima come giornalista, poi come scrittrice, molti articoli e libri. Nel 1981 ha pubblicato il suo primo romanzo Steinzeit, tradotto in italiano con il titolo di Silviasilviosilvana in cui analizza le sue vicissitudini e il cui titolo voleva mettere in risalto la perdita di identità di una donna maltrattata e segregata.Ha raccontato il dolore, la rabbia, la sofferenza, la lotta, la fragilità in un modo unico, bellissimo e devastante.Il libro autobiografico Labambina ricostruisce la storia fatta di violenze, anche da parte di un medico, abusi, orfanotrofi, carcere minorile, famiglie affidatarie, terapie chimiche di una giovane considerata appartenente a un��etnia tarata.
L’opera letteraria di Mariella Mehr esiste perché un mondo fatto di leggi razziali, programmi eugenetici, della perseveranza nell’eliminazione di chi non è conforme a una rappresentazione, voleva che lei non esistesse.
La sua scrittura, precisa, nitida, asciuttissima è stata indissolubilmente attaccata al desidero di rinascita, di esistere, di essere, attraverso le parole, lo spazio della sua salvezza.
Ha narrato la sua storia, mescolata alle altre, in un canto corale di denuncia e constatazione dell’umana crudeltà.
La sua poesia parla del non essere, del non esistere per una società che l’ha considerata una piaga, una radice marcia da estirpare, un errore della natura.
Dal 1996 si è trasferita in Toscana diventando testimone autorevole della persecuzione subita dagli Jenisch e dalle altre etnie nomadi.
È stato grazie a Mariella Mehr che una pagina drammatica del genere umano è venuta alla luce. Grazie alla sua perseveranza, determinazione, alla necessità di dire e al suo grande amore per la letteratura.
Invitata dai media di tutta Europa, ha partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive facendo luce su uno dei periodi più bui della storia della Svizzera del XX secolo e delle discriminazioni nel mondo.
Per l’impegno per i diritti delle minoranze e dei gruppi emarginati, nel 1998, ha ricevuto la laurea honoris causa dalla Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università di Basilea.
Sulle vicende della sua vita, la regista Valentina Pedicini ha fatto un film, Dove cadono le ombre presentato, nel 2017, alla Mostra del Cinema di Venezia.
Mariella Mehr ha lasciato la terra il 5 settembre 2022 a Zurigo.
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sibilla27vane · 2 years
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“Anche nei centri avanzati di civiltà, la violenza prevale attualmente: è praticata dalla polizia, nelle prigioni e negli istituti per malati di mente, nella lotta contro le minoranze razziali; è portata, dai difensori della libertà metropolitana, fino nei paesi arretrati. Questa violenza in realtà genera violenza. Ma trattenersi dalla violenza di fronte alla violenza immensamente superiore è una cosa, rinunciare a priori a rispondere colla violenza alla violenza, nel campo etico o in quello psicologico (perché può agire contro i simpatizzanti) è un’altra. La non-violenza normalmente non viene soltanto predicata ai deboli ma pretesa da essi - è una necessità piuttosto che una virtù, e normalmente non danneggia seriamente la condizione dei forti. (Il caso dell’India è una eccezione? Là, la resistenza passiva fu portata a buon fine su scala di massa, e spaccò o minacciò di spaccare la vita economica del paese. La quantità si trasforma in qualità: su tale scala, la resistenza passiva non è più passiva - cessa di essere non-violenta. Lo stesso vale per lo sciopero generale). La distinzione di Robespierre tra il terrore della libertà e il terrore del dispotismo, e la sua glorificazione morale del primo appartiene alle aberrazioni più convincentemente condannate, anche se il terrore bianco fu assai più sanguinoso del terrore rosso. La valutazione comparativa in termini del numero delle vittime è l’approccio quantificante che rivela l’orrore prodotto dall’uomo durante tutta la storia che fece della violenza una necessità. In termini di funzione storica, c’è una differenza tra violenza rivoluzionaria e violenza reazionaria, tra violenza messa in pratica dagli oppressi e violenza messa in pratica dagli oppressori. In termini di etica, ambedue le forme di violenza sono inumane e dannose - ma da quando in qua la storia è fatta in accordo alle norme etiche? Cominciare ad applicarle là dove i ribelli oppressi lottano contro gli oppressori, quelli che non hanno niente contro i possidenti è servire la causa della violenza reale indebolendo la protesta contro di essa.
«Capite finalmente questo: se la violenza è cominciata stasera, se lo sfruttamento o l’oppressione non sono mai esistiti in terra, forse la nonviolenza ostentata può placare il dissidio. Ma se il regime per intero e fin i vostri nonviolenti pensieri sono condizionati da un’oppressione millenaria, la passività vostra non serve che a schierarvi dal lato degli oppressori» (J.-P. Sartre, Prefazione a Frantz Fanon, I dannati della terra, ed. it., Einaudi, Torino 1962, p. 20)
Brano tratto da Herbert Marcuse, La tolleranza repressiva, contributo al saggio:
R. P. Wolff, B. Moore jr., H. Marcuse, La Critica della tolleranza - La forma attuale della tolleranza: un mascheramento della repressione, Einaudi (traduzioni di Domenico Settembrini e Lorenzo Codelli; collana Nuovo Politecnico, n° 25), 1968¹; pp. 94-95.
[ Edizione originale: A Critique of Pure Tolerance, Beacon Press, Boston (MA), USA, 1965 ]
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