Tumgik
#Riassunto ironico
deeonisia · 3 years
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Io: sono una donna adulta indipendente e forte e niente può fermarmi
Sempre io: non dorme una notte intera nemmeno a causa di un film horror, ma a causa di un riassunto ironico e ridicolizzante di un film horror
🙃.
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derearchiviatoria · 3 years
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Teatrino scientifico 1978 Aldo Rossi (1931–1997) Gianni Braghieri (1945–) Roberto Freno (1953–) Questo ultimo progetto mi è particolarmente caro, esso è un progetto di affezione. Ho sempre pensato che il termine teatrino fosse più complesso del termine teatro; questo non si riferisce solo alla misura ma al carattere di privato, di singolare, di ripetitivo di quanto nel teatro è finzione. Alcuni hanno pensato che il termine teatrino fosse una parola ironica o infantile. Teatrino invece di teatro non è tanto ironico o infantile, anche se ironia e infanzia sono strettamente legate al teatro, quanto un carattere singolare e quasi segreto che accentua il teatrale. La definizione di scientifico deriva da molteplici motivi: è certo un misto tra il Teatro anatomico di Padova e il Teatro scientifico di Mantova e tra l’uso scientifico della memoria dei teatrini a cui Goethe ha affidato gli anni della giovinezza. Erano anche strutture semplici, provvisorie; il tempo di un amore di mezza estate, di una stagione febbrile e incerta, il teatro provvisorio, distrutto dall’autunno, che Cechov ha sapientemente progettato tra un gabbiano morto e un colpo di pistola. Era proprio un teatrino dove la vicenda si svolgeva all’interno della vita ma dove la vicenda teatrale, estiva, da tempo di vacanze, segnava la vita. Il progetto è definito nell’ora e nel luogo: verso le quattro all’interno di un’imponente capitale. Questa imponenza è offerta da semplici capanne, che però sono appunto innumerevoli. Anche sul fronte del Teatrino vi è un orologio; dove l’ora non batte il tempo. È ferma sulle cinque; le cinque possono essere verso le quattro o anche le mitologiche cinque di Ignacio Sánchez Mejias. Anche per le cinque di Siviglia nel tempo della Feria l’ora dell’arena non batte il tempo. È certo che il tempo del teatro non coincide con il tempo misurato dagli orologi; anche i sentimenti non hanno tempo e si ripetono sul palcoscenico ogni sera con impressionante puntualità. Ma l’azione non sarà mai estranea al clima del teatro o teatrino: e tutto questo è riassunto in poche tavole di legno, un palco, luci improvvise e impreviste, gente. Il prestigio del teatro. Aldo Rossi
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parolerandagie · 4 years
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ti-voglio-bene-perché
...”ti voglio bene? Perchè:” oppure “ti voglio bene: perché?” non è un semplice (e scèmo quanto basta) giochino di scambio di punteggiature, così da sembrare intelligentino (ed ironico quanto basta) ed impressionare eventualmente fanciulle interessanti (e carine quanto basta), ma è un riassunto, una sintesi di un dilemma molto più importante (ed altrettanto inutile quanto basta) su quello che è l'approccio alla vita che abbiamo. Ovvero, per assolutizzare, potremmo essere fra coloro che pensano che la realtà produca ed esplichi l'esperienza (ti voglio bene? Perchè: ed a seguire un elenco di sintomi oggettivi che, se congrui con l'affetto, potrebbero far rispondere sì, alla domanda, o se non congrui, per opposto ragionamento, no) od invece potremmo collocarci fra quelli che pensano che sia l'esperienza a produrre la realtà (ti voglio bene: perché? Cioè l'esperienza mi dice che sicuramente ti voglio bene, adesso analizziamo le ragioni e produciamo/deduciamo il contesto in cui questo avviene)...e non crediate che sia una cosa che nulla spiega di noi o delle cose che ci capitano, perché invece decidere (o capire) cosa, per noi, è oggettivo (la realtà o l'esperienza?) e cosa, di rimando, soggettivo, è una scelta di campo forte, più forte del volere bene (e male quanto basta) a qualcuno...
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noth94 · 4 years
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Quando i Maya non fanno bene i calcoli
Quando i Maya non fanno bene i calcoli
Nota Bene: Per chi ancora, non avesse compreso il mio modo di argomentare, spiego in questa nota che il post è ironico, e nel quale non intendo ledere nessuno, è solo un post per fare un riassunto tragicomico di quanto stia accadendo in questo periodo (che 2012 scansati proprio), quindi Sì, dico proprio a te buonista dei miei gironi che stai in agguato pronto a rompere i maroni conle solite frasi…
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beavakarian · 6 years
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More than a Trickster - Atto XI
Autore: maximeshepard (BeatrixVakarian)
Genere: Mature
Pairing: Loki/Thor
Sommario: questo è il mio personale Ragnarok. Si parte e si finirà alla stessa maniera, alcune scene saranno uguali, altre modificate, altre inedite. Parto subito col precisare che qui troverete un Loki che non ha nulla a che fare con il “rogue/mage” in cui è stato trasformato in Ragnarok, e un Thor che si rifà a ciò che abbiamo visto fino a TDW.
Loki e Thor sono stati da sempre su due vie diverse, ma quando il Ragnarok incomberà inesorabile su Asgard, le cose cambieranno. Molte cose cambieranno.
@lasimo74allmyworld @piccolaromana @miharu87 @mylittlesunshineblog @meblokison
Capitoli precedenti: Atto I - Atto II - Atto III - Atto IV - Atto V - Atto VI - Atto VII - Atto VIII - Atto IX - Atto X
Ed ecco il capitolo 11 dopo la lunga pausa natalizia. ^^ E buon anno a tutte! <3
- Atto XI -
“Non ho mai visto un individuo… del genere”.
“E’ un Jotun. Anche se le dimensioni non sono certamente quelle di un Gigante di Ghiaccio, posso assicurarti che sia uno di loro. Non ne trovi molti in giro”.
Nei suoi flebili picchi di coscienza, Loki riusciva ad udire stralci di conversazione tra – apparentemente – due donne che si affaccendavano attorno a lui. La sua vista era terribilmente offuscata in quei momenti, non riusciva a capire dove fosse e come tentasse di afferrare qualche dettaglio sull’ambiente o sugli interlocutori, tutto diventava irrimediabilmente buio, gettandolo nuovamente nella perdita dei sensi.
Aveva però riconosciuto una delle due voci come appartenente alla donna che l’aveva messo fuori gioco quella notte.
“In che condizioni è la ferita alla spalla?” fece eco la donna. Impossibile per lui riconoscere se quella conversazione era susseguita alla precedente, o se fossero passati minuti oppure ore. Aprì gli occhi quel tanto che poté, scambiò uno sguardo con un piccolo essere umanoide dagli occhi molto grandi. Si disse sicuro di avere le allucinazioni.
“Sta migliorando a vista d’occhio. A breve dovrebbe rimarginarsi anche questa porzione, guarda”.
Loki emise un gemito debole e strozzato.
“Sta riprendendo conoscenza?”
Riosservò l’umanoide: aveva dei caratteri femminili, lo sguardo nero e profondo, liquido quasi. Qualcosa sulla fronte, di affusolato.
“Di tanto in tanto, ma non dura… Il sedativo su di lui ha avuto un effetto maggiore rispetto all’altro”.
“Almeno su di loro funziona…”
Nel suo campo visivo entrò anche la donna di quella notte: si soffermò sui segni bianchi tatuati sul suo viso, per poi scendere sul suo collo, via via verso il basso. Ancora cercava di capire dove diavolo avesse tirato fuori tutta quella forza per pugnalarlo al petto.
“Meglio così… Cerca di curarlo come ti ho detto, prima che si svegli. Se lo fa, sedalo di nuovo. Abbiamo già i nostri problemi con l’altro” aggiunse quella, allungando una mano in direzione della ferita.
Lo sguardo di Loki cadde sullo strano tatuaggio nella parte interna del suo braccio: aveva già visto quel disegno, era molto particolare… Ma faticava a trovarne una collocazione nella sua memoria.
Dolore. Questa volta più forte. Probabilmente si era mosso e si ritrovò con la donna a tenerlo fermo per le spalle e l’altra atta ad armeggiare con la ferita. Faceva dannatamente male… Dannazione.
“Rimettilo a nanna…”
“Ricevuto, Hildi”.
Dannazione.
 Thor, invece, era sveglio. Sveglio e molto incazzato. Si era ritrovato in una gabbia circolare composta da una sostanza che ricordava il vetro, molto simile a quella che lo Shield aveva costruito per contenere eventualmente Hulk e nella quale Loki lo aveva rinchiuso ai tempi della faccenda di New York. Loro non potevano saperlo, ma avevano azzeccato appieno la sistemazione… Senza i suoi poteri, in quella gabbia, non sarebbe riuscito ad evadere.
“Dov’è mio fratello!” aveva ruggito, di fronte alla donna stravaccata innanzi a lui sulla nuda pietra, bottiglia in mano. Lo degnava di qualche sguardo ogni tanto, divertita da tutto quel trambusto.
Il motivo per il quale Thor si trovava in quella gabbia era semplice: lei gli aveva concesso un minimo di fiducia, ma lui l’aveva buttata al vento. Come da prassi. Gli aveva somministrato regole, ma a Thor quelle regole stavano strette e le spiegazioni per quel trattamento troppo scarne ed insoddisfacenti.
E non c’era tempo. Thor non aveva tempo. Così, aveva deciso di prendere la situazione di petto, il problema fu che la situazione aveva poi preso di petto direttamente lui. Il suo orgoglio era stato ferito, di nuovo, come diverse volte negli ultimi giorni: ma trovarsi a terra dopo che quella donna misteriosa aveva incassato prima, schivato poi, la maggior parte dei suoi colpi, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
E, soprattutto, Loki non era più con lui. Fino a poco prima Loki si stava riprendendo piano piano dalla ferita di Hela, senza i suoi poteri e questo pensiero era diventato martellante, ossessionante. Thor era un nervo scoperto, una corda di violino tesa all’inverosimile, privo di lucidità e in balia della sua stessa rabbia. Se Loki l’avesse visto in quello stato, di sicuro l’avrebbe disprezzato – questo era ciò che diceva a sé stesso, ma non riusciva a trovare una sola ragione per calmarsi.
Aveva ripreso a battere furiosamente i pugni contro alla parete trasparente, fino a farsi sanguinare le nocche.
“Il momento in cui riuscirò ad uscire da qui, te lo giuro sul mio onore” e la sua voce pareva un rombo di tuono “Non vorrai trovarti qui!”.
Picchiò forte i palmi delle mani contro al vetro, il fiato corto che andò ad appannarlo, sordo al dolore. La donna sogghignò, sorseggiando nuovamente la bottiglia stretta nel suo palmo.
“Parole forti, da un prigioniero che sto ragionando se liberare o meno…” fu il suo commento ironico, mentre appoggiava la bottiglia a terra e incrociava le gambe. Appoggiò poi i gomiti alle ginocchia e il mento sul dorso delle sue mani.
“Tuo fratello sta bene, ce ne stiamo occupando. Ora parlami di nuovo di Hela” proseguì poi, mentre Thor la osservava con uno sguardo esasperato.
“Perché ti interessa tanto questa storia?”
“Sono io qui che faccio le domande” rispose lei, ma Thor non si diede per vinto. Ribatté il pugno contro alla parete con estrema decisione.
“No, non sono affari vostri! E non pretendo che lo siano. Io te lo giuro su cosa vuoi, lasciami recuperare mio fratello e Banner e ce ne andremo di qui”.
La donna sollevò gli occhi neri sul viso sfregiato del Dio del Tuono. Il ghigno sprezzante continuava ad essere dipinto sul suo viso, cosa che a Thor faceva ribollire il sangue.
“Ciò che tu chiami Banner... Hai idea di che taglia abbia sulla testa? Non mi piace ripetermi, Figlio di Odino, che non ha nulla per provarlo. Che chiama fratello un essere con cui chiaramente non ne condivide il sangue. E che ha sconfinato in un sistema nel quale la sua legge e le sue parole valgono quanto la carta straccia…” incalzò lei, soffermandosi a sottolineare al meglio ogni concetto.
Thor abbassò il capo, sospirando lungamente. Era inutile tentare di ragionare con quell’individuo e, chiaramente, per uscire da lì dentro avrebbe dovuto fare leva su tutte le sue forze – sempre che fosse possibile.
“Ah, per tua informazione” aggiunse lei, alzandosi in piedi “Quella gabbia è di fattura nanica, con tutti i suoi pregi e le sue sorprese. Buon divertimento” disse, raccattando la bottiglia e salutandolo con la mano, mentre Thor imprecava silenziosamente dentro di sé alla rivelazione.
“Aspetta… Ti-“
Deglutì il suo stesso orgoglio. La donna si fermò, continuandogli a dare le spalle, ma il suo orecchio era attento.
“Ti prego. Se non vuoi farmi uscire di qui, va bene. Ma non fategli del male”.
Udì una bassa risata, prima che lei si girasse per un’ultima volta.
“Per quanto desideri che quel mostro sparisca, non sono così stupida da scatenare un Gigante di Ghiaccio qui dentro. Anche se le condizioni in cui versa sono pietose e, credimi, mi fa una certa tenerezza” fu la sua secca risposta, risposta che lasciò Thor senza parole.
Quella donna sapeva che Loki era un Gigante di Ghiaccio e aveva sputato quelle parole con un odio così familiare che il respiro gli si fermò in gola. E l’aveva combattuto, gli aveva tenuto testa e lo aveva battuto a mani nude.
L’occhio di Thor si sgranò nell’oscurità di quella prigione sotterranea. Un pensiero cominciò a farsi strada nella sua mente.
 Quando Loki si svegliò si ritrovò solo dentro quella stanza, che pareva in tutto e per tutto un’infermeria, collocata in una struttura sotterranea – niente finestre, solo condotti dell’aria, una porta spessa sulla parete opposta alla sua. Cercò di tirarsi su a sedere, ma si accorse di essere letteralmente incatenato alla branda. Iniziò quindi a guardarsi attorno con circospezione arrivando ad adocchiare la telecamera di sorveglianza proprio all’angolo in alto a sinistra rispetto al suo letto.
Alzò gli occhi al cielo, imprecando tra i denti.
Sarebbe stato un lavoraccio in termini di tempo scendere a patti con questa gente che si era presa il disturbo di curarlo, ma di metterlo in una sorta di detenzione? Perché se lo ricordava bene, nei suoi momenti di veglia: si erano appellati a lui come un prigioniero. Era stato catturato, sedato. Chissà per quanto tempo, poi, era rimasto là sotto.
Chissà dov’era Thor.
Prese un lungo respiro. Nonostante fosse legato come un salame da catene di un materiale che andava oltre alla resistenza comune – aveva provato a divincolarsi, ma invano – si sentiva bene. Le sue forze erano tornate alla normalità e la spalla si faceva sentire solamente con un leggero fastidio e qualche fitta saltuaria.
Alzò il mento e il collo, per provare con più decisione a sfilare almeno un braccio, quando i suoi occhi caddero sul profilo della sua mano.
Rosa. Era rosa.
Esalò tutta l’aria che aveva nei polmoni, lasciandosi ricadere sulla branda. Cominciò a ridere sommessamente, finché alcune lacrime gli rigarono le guance e andarono a bagnargli le orecchie.
Aveva riassunto la sua forma Asgardiana: questo significava che il suo seidr si era normalizzato di nuovo. E significava che la sua magia era tornata.
Questo cambiava molte cose.
Riosservò la telecamera, esibendo un ghigno di sfida. Di sicuro sarebbero giunti prima o poi a fargli visita, quindi tanto valeva provare a fare quello che voleva fare: se non poteva muoversi di lì, avrebbe mandato un suo clone a fare un bel tour di quella struttura.
Avrebbe potuto liberarsi con tempo e pazienza, ma aveva deciso di usare i suoi metodi. Calcolò approssimativamente il punto ciecò della telecamera, per poi generare una sua proiezione astrale – che svanì immediatamente attraverso le pareti.
Riappoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi: ora doveva concentrarsi per non farsi scoprire.
 “Loki?!”
“Shhh! Dannazione, vuoi farti sentire dalle guardie?”
Ci aveva messo un bel po’ di tempo a trovare suo fratello, girovagando in lungo e in largo per quella struttura sotterranea, scoprendo che era detenuto diversi piani al di sotto dell’infermeria.
Era poi riuscito ad eludere le guardie, attraversando le pareti: fortunatamente per loro, Thor non era sorvegliato da alcuna telecamera.
“Ti hanno fatto del male? Come stai?”
Il loro sguardo si incrociò e Loki rimase onestamente colpito dall’apprensione che leggeva sul volto del fratello. Apprensione che, altrettanto onestamente, faticava a capire.
“In realtà mi hanno curato. Il mio seidr si è normalizzato, non vedi?” rispose con un sorriso sghembo “Non sono ancora al massimo della forma, ma ci sto lavorando. Tu, piuttosto, ti stai godendo una vacanza lì dentro?”
Sì, Loki stava meglio, molto meglio – ragionò Thor, ricevendo il ben conosciuto sarcasmo dritto in volto, sospirando sommessamente. Strisciò verso il basso le mani lungo il vetro, riacquistando una posizione eretta.
Parte della parete trasparente era incrinata, ma il danno si fermava a quella crepa che serpeggiava per qualche centimetro qua e là.
“Quella donna ha la mano pesante. Presto, fammi uscire di qui. Ci deve essere qualche meccanismo da azionare su quella consolle laggiù”.
Loki sospirò a sua volta, allargando le braccia. Molte volte suo fratello era davvero ingenuo.
“Thor, sono qui in proiezione astrale” asserì, muovendosi verso di lui e oltrepassando il vetro fino ad oltrepassare anche suo fratello. Si guardò attorno, mentre Thor rabbrividiva alla sensazione e si voltava verso di lui.
“Ancora nulla?”
“No…”
“Forza bruta?”
“A palate. Ma c’è un problema” replicò Thor, indicando diversi fori sul soffitto di quella gabbia circolare “Ogni qualvolta danneggio la struttura, da lì esce del gas. E non è piacevole”.
Loki strinse le labbra, giocherellando con le mani e trapassando nuovamente suo fratello da parte a parte ed esaminando le crepe sul vetro. Thor rabbrividì nuovamente.
“Ti spiacerebbe smetterla?”
Ma a quelle parole, i due cominciarono ad avvertire dei passi in avvicinamento. I due si scambiarono un rapido sguardo.
“Da quanto siamo qui sotto?” chiese Loki, uscendo rapidamente dalla gabbia. Thor lo seguì d’istinto fino a riappoggiare le mani sul vetro.
“Non ne sono sicuro, ma credo tre giorni. Perché?”
“Dammene altrettanti. Proverò a tirarti fuori di qui, ma devo farlo a modo mio e mi serve tempo”.
I passi diventarono udibili chiaramente e le guardie scambiarono un saluto al di là della spessa porta della cella.
“Loki-“
“Thor, fidati di me. Se mai riuscissi a liberarti, io sono tre piani sopra di te. Ma, ti prego, non mandare tutto all’aria”.
Thor aggrottò le sopracciglia, serrando le labbra. Avrebbe voluto arguire, avrebbe voluto parlare di tante cose, ma non vi era tempo per farlo.
“Ci serve Banner, Loki”.
Loki soffocò una risata. Di tutte le idee malsane, quella era veramente la più assurda e ritrovarsi faccia a faccia con un Hulk braccato e incazzato più del normale era l’ultimo dei suoi desideri. Però…
Il sistema di apertura della porta si azionò.
“Fratello-“
“Tornerò. Fidati di me” sussurrò Loki, sottolineando il tutto con un ampio gesto della mano e detto ciò sparì oltre il muro. Thor appoggiò la fronte al vetro, imprecando rumorosamente nel seguire con lo sguardo la donna che, nuovamente, si era fatta largo nella stanza e si era seduta di fronte a lui, bottiglia in mano.
“Buongiorno, Figlio di Odino…”
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love-me-or-lose-me · 6 years
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VITA MIA
Il nostro era un amore platonico,
Riassunto in un insulto ironico,
Era sempre bello essere un cretino,
Per te ero tutto e ora non sono niente,
Mi ricordo che facevo così quand'ero bambino,
Con i giochi nuovi ero felice,
Con quelli vecchi ero strafottente,
Dovrei ascoltare quello che la gente mi dice,
Ma se la ascoltassi non mi resterebbe più nulla,
L'unica cosa che funziona e ancora frulla,
No, non è il frullatore mamma,
È il mio cervello dopo una canna,
Che non smette di pensare e di maledire,
Quel giorno in cui ho scelto di venire,
Un treno che mi ha cambiato l'esistenza,
Che mi portava a stare in astinenza,
All'epoca fumare non mi serviva,
La mia droga era una persona viva,
Una persona che vale tanto per me,
Una di quelle che ora non c'è,
Ma sai cosa ti dico?
Io vado avanti fino all'infinito!
Di te non ho più bisogno,
La mia strada è solo per chi mi sta intorno,
Anche se un mese fa mi sei apparsa in sogno,
E no, non pensare ad un porno,
Ti stavo dicendo addio per l'ultima volta,
Prima di chiudere per sempre quella porta,
Con te non ci parlo più,
Ma cazzo se una persona mi ha segnato quella sei tu,
Dimenticarmi di te pensavo fosse la soluzione,
Che in me ha provocato una reazione,
Mi ha dato una botta di vita,
Ho sentito la forza pure tra le dita,
Una carica si è impossessata di me,
Accede ogni luce di questa via,
Infondo vedo qualcosa ma non sei te,
Ma sono io che riprendo in mano la vita mia.
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femminacomelaguerra · 3 years
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Riassunto del pomeriggio:
Stavo guardando un programma su Hitler..
Padre esclama "ah.. peccato che sia morto, ci servirebbe proprio uno così in questo periodo.. con tutti sti immigrati e froci che girano"
(e no, non era ironico)
Ora si che voglio morire.. qualcuno abbia pietà di me e mi spari, vi prego
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emme-malcolm · 6 years
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Washington, Redazione
12/09/2018
Vincent: I recentissimi eventi hanno ristretto i tempi per una riunione d'urgenza dopo una giornata passata a montare servizi per i notiziari giornalieri. Si fa quindi straordinario quasi ininterrotto da ieri sera e per ben concludere le 24 ore di fuoco è il momento di fare il punto unendo le menti. La Sala riunioni degli studios è un salone di medie dimensioni, con un tavolo rettangolare dal ripiano trasparente, attorniato da poltroncine con le rotelle. Davanti ad ogni postazione c'è un tablet di solito, ma la situazione di "emergenza" delle ultime ore ha impedito di mantenere l'ordine nella trafficatissima stanzetta dove si sono alternati dirigenti, autori, giornalisti e qualunque gruppo di addetti. Sulla parete di fronte all'ingresso c'è uno schermo piatto di grandi dimensioni che manda in onda costantemente il notiziario sul canale dedicato al Washington Post. C'è una lavagna con fogli grandi, penne, scaffali, schedari ed anche un grosso boccione d'acqua in un angelo. I colori sono predominanti sono bianco, grigio e un tenue azzurro, dovrebbero rilassare la mente, dovrebbero! Seduto ad uno dei posti sul lato destro del tavolo c'è lui, alle prese con il suo tablet personale intento ad organizzare quanto ha da dire ed illustrare per ciò che concerne il suo ambito, quello radiofonico, ai colleghi. E' vestito esattamente come ieri sera, non essendo mai andato a casa, quindi pantaloni cargo grigio scuro, scarpe da ginnastica, una maglietta blu a mezze maniche con tre bottoncini sbottonati, griffatissimo. Quantomeno la scia di profumo è andata esaurendosi nel corso della giornata. Ha ancora un'espressione reattiva, gli occhi sono accessi, presenti e si alzano a guardare se ci sono tutti.
Emmeline: Strano ma vero stavolta la giovane Bowen è l’ultima a fare il suo ingresso nella grande sala al centro del piano rialzato, lo fa a passo svelto portandosi dietro l’odore neutro di pulito ed un abbigliamento vagamente più comodo dato che a quanto pare oggi si è fiondata in giro a far chissà quali ricerche “sul campo” data l’assenza di internet e tutto il resto. Alla star rosse, un paio di jeans blu scuro, una maglietta comoda bianca con scollo a v piuttosto morigerato ed una giacca classica a due bottoni in felpa rosso rubino. Capelli come sempre raccolti dietro la nuca col fermaglio a libellula, porta in braccio il portatile, la moleskine fucsia e la stilografica, qualche foglio che spunta fuori e che va a poggiare sul grande tavolo senza troppi preamboli: il fotogramma che mostra l’interferenza che ha notato la sera prima, l’immagine dello stesso drago proiettato sul Campidoglio. No, forse non è l’ultima, forse dietro di lei incombe la figura di Barnes e la sua aria glaciale, seria e concentrata, un tipo di soggezione che sembra toccare un pò tutti ma non lei «E buonasera anche a lei» un saluto breve, come sempre composto e misurato, con naturale pacatezza mentre scivola lungo il perimetro del tavolo alla ricerca di una porzione che non la costringa a dare le spalle alla porta o qualsiasi cosa che possa aprirsi, una ricerca maniacale «Sta bene?» affabile cortesia
Malcolm: Ha passato gran parte del giorno fuori dalla redazione; lui a casa ci è andato ieri sera ma questo non significa che abbia chiuso occhio. Due giorni non-stop anche per l’austero giornalista il quale ha chiesto di persona, di concerto o meno coi colleghi, una riunione per congiungere le forze. I segni di stanchezza piuttosto profonda si confondono con quelli dell’età che segna il volto cupo e severo, dallo sguardo glaciale; quell’aura fredda che emana quando entra con un passo davvero molto silenzioso, quanto dall’andatura decisa e marziale, nella sala riunioni., pochi istanti dopo Emmeline Una figura impeccabile caratterizzata da una cura che ha del maniacale, nonostante le circostanze: indossa un completo grigio scuro, panciotto compreso, una camicia bianca immacolata ed una cravatta amaranto che si tuffa quasi subito nel panciotto. All’anulare sinistro campeggia una semplicissima fede nuziale d’oro, i capelli sono precisamente pettinati all’indietro con una passata di gel; nella mano destra l’uomo, incurante dei tablet eventualmente a disposizione, porta la sua moleskine scura insieme ad una semplice penna a sfera e pochi fogli stampati. <Buonasera> è il saluto cortese ed educato, ma denotato da una fredda e distanziante formalità. Il tono tende ad essere cupo esattamente come il viso lievemente crucciato, granitico, in un’espressione un po’ indecifrabile ma che sa di concentrazione. Occhieggia verso Vincent, col solito cipiglio severo che scruta la situazione dentro quella sala, con la medesima attenzione con cui ascolta eventuali parole; si avvicina al tavolo e resta in piedi finché Emmeline non si sarà accomodata. Solo a quel punto prenderà posto anche lui, composto all’inverosimile. Viene subito al punto, conciso e pragmatico: «Dunque, se siete d'accordo, facciamo un punto della situazione aggiornata.» non è un caso che lo chiamino "Il Professore".
Vincent: Segue con gli occhi Emmeline che entra e alza un sopracciglio, si guarda pure a torno «a lei... cioè dici a me Grace?» i formalismi non gli appartengono proprio, infatti la sua risposta è un occhiolino «certo che sto bene! Ho visto il tuo servizio, mi è piaciuto.. a parte la censura allo scaricatore di porto!» il tono è volutamente ironico, ma comunque appare concentrato, tanto che continua ad alternare lo sguardo da lei al tablet finchè non si palesa anche Malcom. Lo conosce di fama ovviamente, l'avrà visto spesso in ufficio anche se questa è la prima volta che si trova a lavorarci insieme «Salve.» più formale con lui, gli pare anziano evidentemente. Lui è Malcom sono esattamente agli antipodi, a maggior ragione lo guarda con un certo interesse e resta in attesa proprio che lui apra il discorso, come difatto avviene. Si sente un pò interrogato alla lavagna, fa forza con gli addominali e si sposta più avanti con la sedia, verso il tavolo, per mettersi composto e tentare di darsi un tono professionale, per quanto le sue potenzialità permettano. «Certo. Dunque...» uno sguardo rapido al tablet «Nel notiziario radiofonico è andato in onda come sempre il riassunto del breaking news. Io ho il video integrale registrato ieri sera, è stato sistemato e l'audio è più nitido e le immagini meno mosse, l'intenzione è di pubblicarlo sul nostro canale youtube.» parla con presenza, si vede che sta tentando di non scordare niente di quello che ha da dire «per il notiziario di domani invece vorrei mandare in onda qualcosa di più approfondito, se siete d'accordo vorrei registrare le vostre testimonianze e credo sarebbe il massimo riuscire ad avere una dichiarazione da qualcuno vittima dell'ipnosi. Riusciamo a rintracciare almeno uno di loro? Sperando che voglia rilasciare un'intervista ovviamente..»
Emmeline: Dal canto suo, nonostante la cortesia morbida nel tono di voce, non riesce a far trasparire dal viso pulito qualcosa di più che una seria concentrazione per un lavoro dal quale si lascia assorbire quasi completamente, infilata nelle seducenti maglie dei meccanismi del giornalismo e delle deduzioni logiche; non sorride, anzi a tratti sembra alquanto tesa con le labbra che si stringono tra loro verso il centro della bocca non appena prova a prendere un respiro più profondo del normale, aria che le si incastra da qualche parte nei polmoni facendola desistere. Posa sul tavolo le sue cose sistemandole con cura, la moleskine perfettamente al centro del portatile sul quale viene poggiata, la stilografica allineata al lato destro del dispositivo «Esattamente » annuisce con un cenno della testa rossa alla domanda iniziale di Vincent senza dir nulla sul nome ormai acquisito, all’occhiolino abbassa elegantemente lo sguardo sulla stampa del fotogramma che ha messo a disposizione di tutti. Non siede in modo convenzionale sulla poltroncina ma prferisce appollaiarsi in modo composto sul bordo del tavolo di modo da esser rivolta verso entrambi quasi sapesse che Malcolm era lì dietro e dove sceglierà di sedere. Annuisce anche alla volta del giornalista più anziano ed osserva il radiofonico ascoltando quello che ha da dire «Ho contattato telefonicamente alcune delle vittime chiedendo se e cosa ricordassero prima della probabile ipnosi e le risposte sono state varie ed assolutamente inutili al fine di una ricerca più approfondita, sono tutti confusi ed impauriti, sui cellulari stavano guardando cose di vario genere ma ad un’analisi più attenta mi sono resa conto che i contenuti visualizzati sono ai primi posti quanto a popolarità il ché mi fa pensare che la viralità abbia giocato un ruolo importante nell’ipnosi di massa… » una breve pausa e li adocchia entrambi «.. perché mi sembra siamo d’accordo che si sia trattato di un evento di questo genere. Come sia possibile non lo so » tira un sospiro e di morde il labbro inferiore prima di proseguire, metodica «Il fotogramma rappresenta il drago a tre teste, è un’interferenza di una frazione di secondo proposta nelle immagini in tv, credo sia un aspetto da approfondire pensando ad una scelta non casuale, un simbolismo ben preciso. Credo sia il caso di raccogliere i punti noti da cui possiamo partire per decidere come muoverci, cosa ne pensate?»
Malcolm: Il giornalista alterna lo sguardo fra i due colleghi, gettando uno sguardo anche al modo in cui Emmeline sistema i suoi oggetti e che… be’ corrisponde alla stessa cura con cui lui, un attimo prima, mentre Vincent ha iniziato a parlare, ha sistemato i fogli, la moleskine e la penna. Perfettamente allineati fra loro e rispetto ai bordi del tavolo. È una cosa che fa quasi senza pensarci, o meglio magari distoglie lo sguardo da Vincent ma l’attenzione è comunque rivolta a carpire le sue parole. Qualche volta infatti Malcolm assente pure. A Vincent si alterna subito Emma, sulla quale gli sguardi di Malcolm sono professionali, appena più confidenziali e “comprensivi” rispetto all’uomo che invece è pressoché uno sconosciuto. Solo dopo aver ascoltato la rossa e per giunta segnato rapidamente qualcosa nella moleskine colma di appunti, il giornalista prende parola, accodandosi a quanto detto: <Io sono andato dalle famiglie che siamo riusciti ad individuare ieri: le persone coinvolte dall’ipnosi, come immaginerete, hanno i profili più vari. Le famiglie non hanno notato nulla di insolito nei comportamenti recenti dei loro cari e, a quanto pare, quando le vittime sono uscite erano apparentemente coscienti.> una situazione di normalità che comunque è stato bene accertare. Continua a parlare, ponderando bene le parole, con un tono calmo e quasi piacevolmente freddo, razionale, analitico; le mani hanno le dita congiunte le une alle altre: <Realizzare un colpo del genere ha richiesto sicuramente degli studi approfonditi e – ne sono certo - degli esperimenti. Quindi probabilmente dei fondi cospicui. Iniziamo a cercare la letteratura scientifica sull’argomento del controllo mentale: facciamo un elenco degli studiosi che anche vari anni fa hanno scritto articoli, libri e quant’altro vi possa venire in mente. Li ordiniamo per pertinenza, poi cercheremo informazioni su di loro. Sarà una ricerca consistente, ma in tre si possono ridurre i tempi. Seconda cosa: non lasciamoci influenzare da idee che sono delle mere supposizioni: che sia un gruppo terroristico, che siano anarchici, è tutto da vedere. Intendo dire che è probabile, certo, ma generalmente dietro eventi simili ci sono organizzazioni affatto nuove. Domani sentirò dei miei contatti per avere possibilmente qualche parere più tecnico.> questo è quanto ragiona e dispone pure, da parte sua, quindi non certo in sostituzione a ciò che è stato già detto. <Cerchiamo non di arrivare primi ma di dare un’informazione di qualità: siamo giornalisti e non cacciatori di scoop.> un ulteriore consiglio, in coda.
Vincent: Alza interessato un sopracciglio alle prime parole di Emmeline «non sarà interessante ai fini di un'indagine, ma è interessante in termini di informazione.» fa audience praticamente e non sembra farsi problemi a mostrarsi interessato a questa parte del lavoro «mi lasci i loro contatti?» sembra dare per scontato un si, perchè già si tira leggermente su per recuperare dalla tasca il cellulare, ne approfitta della posizione anche per dare un rapido sguardo all'immagine che lei mostra «hai provato a cercare l'immagine in rete? c'è qualche riscontro?» quindi si mette in ascolto di Malcom, lo sguardo è attento su di lui, il tono che usa l'altro ne cattura la concentrazione. Annuisce in merito alle ricerche da fare «tra le priorità io aggiungerei anche cercare di capire il loro obiettivo. Perchè di fatto, ragionandoci, mettere su un sistema simile, che coinvolge tante persone, per far ripetere loro solo una frase, mi pare uno sforzo estremamente dispendioso quanto inutile, anche se lo si pensa come un avvertimento, una dimostrazione di forza. Se sono in grado di controllare la mente, avrebbero potuto scatenare un putiferio, istigare alla violenza, all'occupazione, ma non l'hanno fatto. Da quand'è che i terroristi o gli anarchici si accontentano di azioni non violente?» retorico. Lui al confronto degli altri due non è così ordinato, si è riaccomodato e ha buttato il telefono sul tavolo senza cura «perfettamente d'accordo sull'informazione di qualità, ma intanto che procediamo con le indagini occorre mandare in onda e in stampa qualcosa che mantenga alta l'attenzione del pubblico, è anche questo il nostro lavoro. Quindi possiamo lavorare su approfondimenti, di qualità, ma immediati mentre cerchiamo di approfondire la questione.» suggerisce «ad esempio ascoltare il parere di qualche luminare in tema di ipnosi, per capire come funziona, fino a che punto si può avere il controllo della mente di qualcuno.»
Emmeline: Torna a guardare il risultato della sua sistemazione mentre prende a far dondolare il piede lasciato penzoloni mentre l’altro è puntato a terra. Non sembra aver intenzione di perder tempo e nonostante sollevi più volte lo sguardo chiaro su Malcolm mentre lo ascolta, è perfettamente capace di riassestare gli oggetti con la stessa precisione per poter aprire nuovamente il portatile cominciando a ticchettare in maniera forsennata mentre una mano guizza a prendere la stilografica stappandola e ficcandosi l’estremità di dietro tra le labbra «Certo, e un aspetto fondamentale in termini d’informazione mi sembra il fenomeno della viralità, hanno indubbiamente ritorto il vizio della massa contro la massa stessa in un’affermazione tanto d forza quanto di colpa… la viralità di alcuni contenuti è quindi davvero pericolosa? Ciò cui siamo abituati può costituire un’arma contro noi stessi?» uno spunto di riflessione che le sembra valido ed è chiaro che, nonostante non lo dica apertamente, gli stia lasciando piena libertà di far sua la riflessione e se vorrà di approfondirla, elemento gusto per una trasmissione radiofonica tutto sommato. Schiocca la lingua contro i denti alla fine del discorso di Malcolm e rivolge un pallido sorriso di comprensione e supporto verso Vincent «I giornalisti investigativi sono brutte bestie lo so… ok, sto cercando e per adesso né la frase né il simbolo sembrano rimandare a qualcosa ma forse se congiuntamente ai pareri e le consulenze di esperti nel campo della manipolazione mentale mi -dedicassi alla ricerca simbolica… uhm, forse ho trovato qualcosa sul drago ma vi manderò una mail a riguardo quando sarò sicura» ancora qualche istante per riflettere e tirare le somme dei discorsi «perfettamente d’accordo sulla necessità di fare informazione, presentare la verità e fare attenzione a sparare termini come “terrorismo” e quant’altro, meglio che li abbiano in bocca gli altri. Non dimentichiamo di tastare il polso delle autorità e della politica… intervistare qualcuno di loro non sarebbe male ad esempio, al di là delle dichiarazioni a reti unificate, senza dimenticare che purtroppo a quanto pare è stata una cosa a livello internazionale» quando finisce di parlare sbuffa un grumo d’aria «E’ una mole di lavoro enorme, dovremmo dividerci chiaramente gli aspetti da seguire o rischieremo di perderci» li osserva entrambi alla ricerca di conferme o dissensi, gli occhi appena sgranati al di là della stanchezza e dell’irrequietezza che continua a far parte di lei. Infine annuisce «Le mando i contatti via mail» verso Vincent e ticchetta veloce sui tastini del portatile continuando a gestire due o tre schermate contemporaneamente, o almeno ci prova dato che di tanto in tanto riprende a zappare sulla tastiera perdendo un po’ di quel contegno
Malcolm: Riguardo all’immagine del drago a tre teste, Malcolm commenta in modo piuttosto concreto, mentre Emmeline si prodiga a cercare su Internet: <Il drago a tre teste non è un elemento così comune, piuttosto peculiare. Sarebbe difficile mettersi ad azzardare qualche possibile riferimento, ma potrebbero essercene vari: dal Drago delle Montagne russo all’Idra di Lerna della mitologia greca, che di teste ne ha nove, ma mi è tornata in mente per via delle parole ripetute dagli ipnotizzati.> spiega col solito tono estremamente pacato quanto austero e quella vena professorale che emerge in maniera molto naturale ed istintiva; non lo fa apposta insomma. <Un mantra che denota la volontà di resistere a qualcosa: l’Idra faceva ricrescere due teste quando una veniva mozzata ed Ercole, per sconfiggerla, dovette cauterizzare la parte monca.> ahinoi, Barnes è un vorace lettore e uomo di poliedrica cultura. Ascolta con estrema attenzione e interesse le parole di Vincent, per quanto concerne le motivazioni dei terroristi, così come la risposta di Emmeline; le pondera per qualche istante, occhieggiando qua e là, prima di parlare: <C’è da chiedersi perché abbiano scelto proprio l’undici settembre, per altro. Non è una data come tutte le altre, neanche fuori dagli Stati Uniti. E questo forse potrebbe darci una dimensione del fatto che sì, è un’operazione dispendiosa ed esagerata magari, teatrale, relativamente innocua. Ma non sottovalutiamo l’aspetto della paura. È stato solo un assaggio, sono sicuri ed arroganti, e probabilmente in questo modo predispongono ancora di più la mente delle persone al controllo, alla suggestione. Un po’ come quando viene imposto di non pensare a qualcosa e poi la mente va sempre involontariamente lì.> si potrebbe dire che il tono di voce, invariabilmente marmoreo come il volto, pieghi verso una sorta di lieve malinconia sull’ultima spiegazione. Infine annuisce alle parole di Emmeline sul dividersi i compiti.
Vincent: L'imbeccata di Emmeline è interessante, ci mette un attimo ad appuntare l'idea sul tablet «se ne potrebbe tirare fuori un dibattito interessante.» ne pare convinto, ha stretto la fronte e fissa il tablet con la mente chiaramente altrove, a figurarsi il modo migliore per sviluppare lo spunto, salvo tornare con gli occhi su di lei quando continua, abbozza un sorriso «lungi da me voler mettere bocca sul vostro lavoro! d'altra parte il mio è un altro, per certi versi in simbiosi col vostro, per altri molto distante. Voi cercate la verità, io devo... venderla.. » virgolettando con le dita la parola «al pubblico. E venderla nel modo migliore possibile, dandole quanto più risalto possibile. Ovviamente avete la mia piena disponibilità nelle ricerche, per quel che posso, datemi un ambito e mi muoverò in quello, intanto però io devo comunque predisporre una scaletta per il programma, mi rendo conto che il mio approccio è molto più spiccio e materiale ma ho diverso tempo da passare davanti ad un microfono per la redazione, qualcosa la devo pur dire e deve essere qualcosa capace di mantenere il pubblico sintonizzato.» alza le spalle, insomma veniamoci incontro, questo pare voler dire «bene anche per l'intervista ai politici, me lo annoto.» prende nota pure di questo, insieme all'intervista ai medici «grazie.» aggiunge verso Emmeline anche se guarda il tablet ora, quando lei risponde in merito ai contatti da inviargli. Rialza gli occhi su Malcom, sulla faccenda del drago «se può aiutare potremmo analizzare la figura del drago anche soltanto a livello grafico, perchè ne esistono due tipologie nella simbologia e nella tradizione, quella più europea del drago medievale, quello che assomiglia in parte ad un T-Rex per capirci, e quello orientale. Ci sono differenze nette nelle tipologie di rappresentazione, possiamo partire da questo per capire se rifarci ad una simbologia orientale od occidentale.» suggerisce prima di concentrarsi sul resto, la questione si fa intrigante «interessante come punto di vista... » commenta pensieroso « c'è anche da dire che la scelta della data, chiaramente non casuale, potrebbe essere stata dettata anche dalla possibilità di avere maggiore visibilità, si sa che è giornata di commemorazioni ed eventi che radunano gente, se non ci fosse stata quella folla radunata il tutto avrebbe avuto un impatto mediatico ben minore. E c'è anche da considerare che è vero che così hanno instillato il timore, ma anche l'allerta delle forze dell'ordine, il loro sistema è praticamente.. bruciato! quante possibilità hanno di riuscire di nuovo a rifare una cosa simile ora? »
Emmeline: Sta ancora rovistando e sta sicuramente per dipanare la matassa di un altro concetto che stava iniziando con « Il drago nella mitologia class… » ma si ferma col fiato mozzo nemmeno le avessero dato un pugno allo stomaco accennando perfino a piegarsi in due staccando la mano destra dalla tastiera per poggiarla sul petto finendo per raccogliere uno dei due giri di catenina d’oro. Si volta ad osservare intorno lo sguardo sembra andare perfino in alto verso il controsoffitto agli split dell’aria condizionata; questione di qualche istante e la mano destra scende sulla coscia molle come gelatina. Per qualche momento sembra assente, persa per i lidi di qualche considerazione o forse del tutto rapita da quell’irrequietezza che la tormenta nel profondo emergendo in brevi guizzi insistenti « Paura, colpa e dubbio  biascica rimanendo indietro nei discorsi, termini affatto casuali con gli occhi che infine piombano pesantemente sul viso di Malcolm in un secondo respiro mozzo «Aprire gli occhi» la mano destra se ne va veloce a prendere il cellulare per comporre qualcosa e poi fermarsi scuotendo la testa «A noi la penna a lei la voce Mr. Turner » quasi abbacinata pure lei sistemandosi in piedi e richiudendo a metà il portatile «Scusate mi è venuta in mente una cosa… vado… a controllare» il pollice della mano libera tenta più o meno di indicare la porta al di là del tavolo mentre l’altra stringe il cellulare. Con il solo sguardo domanda scusa a Vincent cui riesce a rivolgere perfino un mezzo sorriso accomodante mentre a Malcolm lascia un sospiro ed un’occhiata difficile da interpretare, inspiegabilmente malinconica per un solo istante prima che faccia il giro di quella metà di tavolo e si ficchi fuori in corridoio poggiando il cellulare all’orecchio. 
Malcolm: Malcolm nelle “pause” guarda prevalentemente verso Vincent. È possibile che i due siano anche l’uno di fronte all’altro; lo osserva, lo fissa perfino, quasi che lo studiasse. Lo fa quando per esempio Vincent propone tutto il discorso sulla sua parte di lavoro. Ed è quasi inquietante come stia fermo, quasi che guardasse le parole scivolare dalle labbra dell’uomo e nel contempo fosse lì a fargli, che so, un provino. Poi, mentre lo speaker prende nota e interagisce direttamente con Emma, Malcolm smuove le dita e un istante dopo gli raddrizza e gli allinea in maniera discreta (?) il cellulare che quello aveva poco prima buttato lì con noncuranza. Quanto alle ultime considerazioni di Vincent, accenna ad un sopracciglio appena sollevato: <Molte direi. Hanno dato una dimostrazione con qualcosa di mai visto prima al mondo. Direi che sono di molto superiori alle forze dell’ordine.> commenta quasi con severità. <Oppure… godono di adeguata protezione e non hanno troppo da temere.> cosa voglia dire con questo resta all’interpretazione degli ascoltatori. In ogni caso, avrebbe avuto anche poco tempo per parlarne, perché la reazione di Emma cattura completamente la sua attenzione. Occhi chiari incollati sulla rossa che troverà appunto lo sguardo del giornalista che balugina di preoccupazione. Il viso si contrae, seguendo in silenzio ogni dettaglio. Non la trattiene ma quando Emma esce via dalla porta, Malcolm si alza a sua volta rivolgendosi a Vincent: <Bene, Mr. Turner. Ci aggiorniamo quanto prima.> capace di essere estremamente formale, mentre raccoglie le proprie cose come se non avesse la minima fretta. <Vado a completare l’articolo con qualcosa che è emerso in questa riunione. Le auguro un buon proseguimento.> come un presentatore del tg. Allora va fuori, seguendo Emma che non avrà affatto vita facile a tacere di fronte a Barnes i suoi pensieri. [end]
Vincent: Con la coda dell'occhio nota Malcolm che gli sistema il cellulare, gli fa strano ovviamente e fa una faccia dubbia, ma a testa bassa, non visto. Quando torna ai due è prevalentemente su di lui che sofferma lo sguardo. Ancora una volta il suo modo di parlare e ragionare lo affascina, allo stesso tempo lo stimola alla reazione «oppure sono al pari delle forze dell'ordine e solo noi pensiamo di dover cercare una contrapposizione che potrebbe non esserci!» ma lo dice con un certo sorriso provocatorio «teorie complottiste a parte, direi che abbiamo tanti spunti di riflessione, e su cui lavorare.» e nel suo caso su cui parlare alla radio. Le parole sconnesse di Emmeline lo fanno girare, oramai lei dovrebbe sapere che è uno che non manda a dire «ti senti male Grace?» non è una presa in giro quel nome, quello vero proprio non gli entra in testa e il tono è anche sinceramente accorato. Anche se non lo sembra tanto, è un giornalista pure lui, ma non ci vuole un intuito da giornalista per notare che fuggita una, fugge pure l'altro e li segue con lo sguardo alzandosi «sicuramente, arrivederci...» replica a Malcolm, allungandosi sul tavolo per spiare verso la porta e vedere qualche dettaglio in più della loro fuga, incuriosito sicuramente. Quindi sarà ora di recuperare armi e bagagli e tornare a lavorare, così da poter andar in onda domani.
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traceofaftersound · 7 years
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Cose con cui prepararsi a un anno col pedigree
Sembrava non finire più dicembre quest’anno. Sarà che nonostante mi fossi comprato un calendario dell’avvento all’IKEA (che potrebbe anche pagarmi per dirlo), in realtà non c’era nessun countdown da fare, non tornando in Italia per le vacanze natalizie. Natale è passato abbastanza in sordina a Tokyo. Ammetto le mie colpe: non mi sono sbattuto minimamente per ricreare il clima delle feste, calendario dell’avvento a parte non ho recuperato neppure un tristissimo alberello mignon al tutto un euro. D’altra parte, go big or go home, e in un certo senso a casa ci ero già.
Non è stato il primo Natale che ho passato in Giappone (nel 2014 ero a Kyoto), ma è stato il primo a Tokyo. E così pure per il mio compleanno, che cade il 23 dicembre, lo stesso giorno in cui fatalità è nato l’attuale Imperatore del Giappone. Per quanto si tratti soltanto di una coincidenza, ho sempre trovato divertente questa sorta di legame immaginario che per certi versi potrebbe legittimare il mio amore per il Giappone e in più di un’occasione quando mi è stato chiesto di scrivere un tema su di me in giapponese per allungare il brodo ho scritto per scherzo che un giorno mi sarebbe piaciuto fare una festa di compleanno assieme al mio birthday twin. Nel 2017, approfittando del fatto che per la prima volta mi trovavo a Tokyo nella fatidica data, ho deciso che era finalmente arrivato il momento di vivere il mio sogno metaumoristico e, non potendo organizzare festeggiamenti comuni, recarmi quantomeno al Palazzo Imperiale per fargli gli auguri. Anche perché metti che funziona come col Dalai Lama e cioè che il successore dev’essere nato lo stesso giorno, io intanto lascio giù il curriculum, scusa eh lol
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...a proposito di lama... Scherzi a parte, il 23 dicembre è effettivamente una delle uniche due date in cui il Palazzo Imperiale è aperto al pubblico (l’altra è il 2 gennaio, quando vengono fatti gli auguri di buon anno).
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Nel giorno del suo compleanno, l’Imperatore tiene un discorso di ringraziamento e insieme agli altri membri della famiglia imperiale compare diverse volte dal suo balcone superblindato tra le 9 e le 12:30 per salutare la folla accalcata in questo spiazzo che fa un po’ Mulan e un po’ piazza Kim-Il Sung in Corea del Nord.
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La lunghissima fila che si dipana fuori dal palazzo viene fornita all’occorrenza di bandierine del Giappone da sventolare e deve passare i non proprio severissimi controlli prima di poter accedere alla residenza imperiale. In verità devo dire che la coda si è smaltita anche in fretta, o meglio non mi è parso di aspettare un’infinità si tempo per entrare, per quanto non fossi assolutamente arrivato tra i primi.
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「天皇誕生日一般参賀:みんな待つ(松)」
Una volta varcata la soglia del Palazzo, in un clima di trepidante attesa, tra stupore e tremori, Akihito si mostra da dietro uno schermo di vetro affiancato dai suoi cari e tiene un commoventissimo discorso che riassunto suona più o meno così: “Grazie di essere venuti nel giorno del mio compleanno. Anche quest’anno sono successe un sacco di cose. Speriamo che l’anno prossimo sia prospero e felice”. Ora, vabbè che è l’Imperatore, che c’ha 84 anni e che tiene questo discorso ogni anno da 28 anni, però minchia Akihito c’hai avuto un anno di tempo, potevi anche sbatterti un attimino di più eh. Per fortuna a rendere decisamente indimenticabile la cerimonia c’era proprio dietro di me un gruppetto di inquietanti nazionalisti che ha fatto partire assordanti cori da stadio cantando a squarciagola l’inno giapponese e urlando “天皇陛下万歳” (tennō heika banzai, “lunga vita all’Imperatore”), una di quelle espressioni che studi e che conosci ma che non ti aspetteresti mai di sentire pronunciare dal vivo, e invece ti traforano i timpani proprio il giorno del tuo compleanno.
Per consolarmi del fatto che l’Imperatore non mi avesse nemmeno citato nel suo discorso, quella sera per ripicca ho deciso di fare una cosa che lui non può fare in modo da sentirmi superiore: sono andato a mangiare il pesce palla (河豚, fugu). Come ci insegnano i Simpson, se non preparato a dovere il pesce palla è estremamente velenoso perché contiene nel fegato, nelle gonadi, negli occhi e nella pelle quantità letali di tetrodotossina, una sostanza cento volte più tossica del cianuro che provoca la paralisi del diaframma con conseguente morte per insufficienza respiratoria. Non a caso il mio adorato Tsutsui Yasutaka, uno degli scrittori giapponesi più ironici che mi sia mai capitato di leggere e anche uno dei pochi, nel suo “Gendaigo Ura Jiten” (現代語裏辞典, “Dizionario del lessico occulto contemporaneo”, un vero e proprio vocabolario in cui riporta più di 12000 parole della lingua giapponese dandone una definizione spiritosa e a volte estremamente irriverente), alla voce “paralisi” scrive: “Allora, era buono il fegato del pesce palla?”. Il motivo per cui l’Imperatore non può mangiare questo pesce è dunque presto spiegato: non sarebbe bello né per il Paese né per il cuoco che per una distrazione nella preparazione delle carni ci restasse secco. 
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A tale proposito, si racconta che nel 1947 venne offerto del pesce palla all’Imperatore Hirohito, recatosi nella prefettura di Yamaguchi nel suo pellegrinaggio attraverso il Paese che era appena uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale. Il governatore di Yamaguchi, infatti, aveva domandato ad Akiyama Tokuzō, il cuoco imperiale, quale fosse la pietanza preferita di Hirohito, ma lo chef si era rifiutato di rispondere perché temeva che se la notizia fosse trapelata si sarebbero visti preparare lo stesso piatto ovunque si fossero fermati lungo il tragitto. Il governatore, a quel punto, optò per una delle specialità più prelibate della zona, il pesce palla appunto, e Akiyama Tokuzō, per quanto riluttante, sarebbe stato anche disposto a fare da assaggiatore per scongiurare ogni pericolo di avvelenamento, ma il ciambellano Irie Sukemasa si oppose fermamente non solo perché temeva per l’incolumità dell’Imperatore, ma anche per evitare che venisse sdoganato un consumo poco avveduto delle carni del pesce palla da parte del popolo con conseguenti casi di intossicazione. Ma le controversie che questo piccolo pesciolino ha fatto sorgere nel Paese del Sol Levante hanno una storia molto più antica: nel XVI secolo, durante il periodo degli Stati combattenti, Toyotomi Hideyoshi, uno dei tre grandi unificatori del Giappone, ne vietò il consumo perché diversi soldati del battaglione che aveva lasciato di stanza nella prefettura di Saga in Kyushu mentre combatteva nella penisola coreana morirono proprio per avvelenamento da pesce palla; proibito ai soldati ma non alla plebe nel periodo Edo (1603-1868), poi a tutto il Paese in periodo Meiji (1868-1912), nel 1888 venne servito al Primo Ministro Itō Hirobumi per mancanza di altre pietanze nonostante fosse contro la legge proprio a Yamaguchi, ed egli lo apprezzò a tal punto da esentare dal divieto quell’unica prefettura; bisognerà però aspettare il secondo dopoguerra perché il consumo di pesce palla torni ad essere legale in tutto il Paese.
Insomma, tutto questo pippone per un pesce che poi NON SA NEANCHE DI NIENTE, o meglio, sa dai condimenti con cui viene servito, e cioè un’erba simile all’erba cipollina, salsa di soia e una salsina allo yuzu, un agrume giapponese. Altrimenti, giuro, pare di masticare gomma.
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Pelle, carni e lattume del pesce palla, giusto per non lasciare nulla di intentato, vuoi mai che ti sfugga una parte potenzialmente letale. Il lattume è forse l’unica parte vagamente saporita, anche se purtroppo il film “Okuribito” mi ha crudelmente svelato di cosa si tratta 🐡
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Visto che comunque dal giorno del mio compleanno fino al 5 di gennaio mi ero preso ferie, mi sarebbe sembrato un delitto passarle tappato in casa, anche perché sentivo che era arrivato il momento di prendere una pausa da Tokyo e andare da qualche parte dove non ero ancora mai stato. Scegliere una meta non è stato semplicissimo perché molti dei posti che ancora non ho visto del Giappone probabilmente rendono meglio se visitati con la bella stagione, e fare del turismo in inverno per me che odio il freddo in generale non è proprio il massimo. Ma visto che ancora non controllo il tempo come Pudge, l’unica cosa che mi sono sentito di fare è stato dare un senso al freddo e fare un giretto nel Tōhoku, la zona più a nord dello Honshū, facendo base a Sendai, la città principale e unica metropoli della regione, famosa per la zunda (ずんだ), che pensavo fosse una roba che si fa in palestra e invece è una pasta dolce di fagioli di soia, e il gyūtan (牛タン, ‘lingua di bue’).
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「仙台のずんだ青空の下で」
Ora, prima che io prosegua oltre, fatemi aprire una parentesi che mi sta molto a cuore - sono ancora un po’ fomentato perché ne ho recentemente parlato sia con delle connazionali che nella loro esperienza avevano notato esattamente la stessa cosa sia con giapponesi che non riuscivano affatto a cogliere il senso della mia obiezione. Io ho un enorme problema con il modo di fare turismo dei giapponesi, che principalmente consiste nell’andare in giro a mangiare. Lo so, è abbastanza ironico che un italiano muova questa critica visto che una delle cose per le quali siamo famosi nel mondo è proprio la cucina, però c’è qualcosa di profondamente sbagliato dal mio punto di vista nel fatto che le guide turistiche giapponesi di QUALSIASI POSTO contengano due pagine striminzite di luoghi di interesse e altre trecentoquaranta di cibi locali, café, ristorantini, specialità culinarie e quant’altro. O ancora, che se parlo con un giapponese di un posto dove voglio andare la prima cosa che mi dirà è cosa si mangia di tipico lì, e su quello tutti ferratissimi, mentre se timidamente gli faccio notare che in realtà ci vado per vedere [aggiungi luogo di interesse a caso] la metà delle volte non avrà neppure idea di cosa sia. Per carità, se c’è un piatto tipico particolarmente celebre in una città che visito chiaramente mi fa piacere assaggiarlo, ma questa cosa non può diventare la priorità numero 1 del viaggio e offuscare completamente tutto il resto. Ora, vero è che a Sendai e dall’idea che mi sono fatto pure nel resto del Tōhoku dal punto di vista culturale rispetto ad altre aree del Giappone non c’è troppissimo di interessante, per cui almeno puoi dare un senso al viaggio trasformandolo in un tour gastronomico, ma questo problema non riguarda mica solo le guide turistiche di Sendai e del Tōhoku, per cui faccio fatica a giustificarla. Comunque vabbè, sarò io che col mio punto di vista eurocentrico do giudizi colonialisti credendo di essere meglio, non so.
Ah, già che siamo in tema di giudizi colonialisti: menzione d’onore all’appartamento in stile tradizionale trovato con AirBnB a Sendai, che era anche l’unico che era rimasto e quindi non è che ci fossero tante alternative, però ragazzi le stanze in legno e carta col tatami mi vanno pure bene, ma il bagno enorme con la doccetta che esce dal muro perché tu ti possa insaponare e sciacquare a secchiate prima di immergerti nella vasca ha senso se però C’È UNA VASCA, ma se non c’è diventa semplicemente una stanza gigantesca dove prendere freddo, soprattutto se la pressione dell’acqua è praticamente un valore negativo che la fa risalire al contrario nei tubi invece che farla uscire. Boh, grazie commodoro Perry per aver portato la civilizzazione quella volta aprendo la strada agli unit bath.
Finito questo sfogo razzista, passiamo invece alle meraviglie che il Tōhoku teneva strette nella morsa del freddo, a partire dallo Yamadera, nome con cui è comunemente noto il Risshakuji (立石寺, “Tempio delle Pietre Erette”).
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Questo tempio buddhista di scuola Tendai, fondato da Jigaku Daishi/Ennin nell’860, si trova a un’oretta di treno da Sendai, nella vicina prefettura di Yamagata, ed è incastonato tra le rocce di un pendio boscoso che Matsuo Bashō visitò alla fine del 1600 componendovi un famoso haiku contenuto nella raccolta “Oku no Hosomichi” (奥の細道, “L’angusto sentiero del Nord”).
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「閑さや 岩にしみ入 蝉の声」【芭蕉松尾】 “La quiete filtra tra i sassi, il frinire delle cicale” (Matsuo Bashō) Okay, definitely wrong season.
I gradini che conducono sino al punto più alto del complesso sono 1015 e con la neve e il ghiaccio sono semplicemente impraticabili. Se non fosse stato per il solido corrimano che fortunatamente non mi ha mai abbandonato (mi perdonerà Hannah Arendt, ma avrei voluto vedere lei con le Vans al mio posto), credo che avrei fatto una bruttissima fine visto che anche aggrappandomici sono riuscito a scivolare lo stesso un’infinità di volte. Una delle prime tappe a cui si giunge è il Konponchūdō, la sala principale e più antica dove si dice arda ancora la fiamma che venne trasportata dall’Enryakuji di Kyōto (dove Jigaku Daishi/Ennin era entrato alla giovane età di 14 anni), di cui lo Yamadera sarebbe una sorta di filiale. Ah, ecco perché mi è toccato visitare anche questo tempio sotto la neve e in terribili condizioni di disagio, si vede che c’è un fil rouge che non può essere spezzato.
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Diversi scivolosi scalini dopo, si passa di fianco alla Midahora, un’altura rocciosa con diverse rientranze modellate dagli agenti atmosferici che dovrebbe portare fortuna a chi è in grado di vedervi il volto di Buddha, e si attraversa la Niōmon, una delle porte più nuove del complesso, per raggiungere la zona più elevata del tempio.
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Oltrepassata la porta, il paesaggio che si gode dalla cima del tempio è davvero spettacolare, e particolarmente suggestivo proprio perché ammantato di neve, cosa che mi fa rivalutare il fatto di esserci venuto in inverno.
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「只居れば 居るとて雪の 降にけり」【小林一茶】 “C'ero soltanto. C'ero. Intorno cadeva la neve” (Kobayashi Issa)
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「消えにけり 今ぞまことの 雪仏」【山崎宗鑑】 “Si è sciolto: è ora davvero tale questo Buddha di neve” (Yamazaki Sōkan)
Altra tappa che non si poteva saltare essendo a mezz’oretta da Sendai è Matsushima, la cui baia disseminata di isole ricoperte di pini è uno dei tre più suggestivi paesaggi del Giappone (日本三景, ‘Nihon Sankei’) annoverati da Hayashi Razan nel XVII secolo insieme al torii galleggiante di Miyajima e l’istmo di Amanohashidate.
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Mi mancava solo Matsushima per poter affermare di averli visti tutti, per cui figurarsi se mi lasciavo scappare l’occasione di completare il Pokédex.
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Le tre vedute del Giappone, di Utagawa Hiroshige, e le tre peggiori foto mai fatte loro, di Alberto Zanonato.
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Devo riconoscere che probabilmente la vista della baia non rende tantissimo in inverno, specie sotto un cielo cinereo, ma al di là di questo credo che nella mia personale classifica Matsushima occupi solo il terzo posto tra le vedute, mentre metterei il torii galleggiante in seconda posizione e darei la medaglia d’oro ad Amanohashidate che è decisamente il paesaggio più spettacolare dei tre. Delle numerose isolette di Matsushima, quella di Fukuurashima è l’unica raggiungibile a piedi tramite un ponte, detto Fukuurabashi, ed è l’ideale per fare una passeggiata circondati da una sorprendente varietà di piante e alberi alla ricerca del punto migliore per ammirare il panorama circostante. Che io chiaramente non ho trovato. (E a proposito di panorama, anche se ovviamente si tratta di autosuggestione, girando per Fukuurashima mi sono sentito un po’ come se fossi sull’isola di Okinoshima citata da Edogawa Rampo nel suo racconto “La strana storia dell’Isola Panorama”).
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Non distante dalla baia, è possibile visitare lo Zuiganji, un tempio fondato nell’828 sempre da Jigaku Daishi/Ennin, inizialmente appartenente al buddhismo Tendai (sin da allora, venivano svolte pratiche ascetiche nelle cavità rocciose che ancora fanno parte del complesso), ma convertito poi in periodo Kamakura (1185-1333) a sede del buddhismo zen. In seguito a un periodo di declino, durante il quale non fu più il tempio di un tempo (lol), venne fatto restaurare tra il 1604 e il 1609 da Date Masamune, signore di Sendai, che voleva usarlo come seconda roccaforte in caso il castello di Sendai fosse stato espugnato (tanto che presenta i tipici pavimenti scricchiolanti detti “a usignolo” che ha anche il Nijōjō a Kyōto). Diversi edifici tra cui la sala principale e il refettorio (庫裡, kuri) sono tesori nazionali e i bei dipinti di scuola Kanō che ospitano sono proprietà culturali importanti.
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Camminando lungo il viale di cedri secolari all’entrata del tempio, parte dei quali furono piantati dall’Imperatore Meiji nel 1876, si noterà un cartello che ricorda il punto dove è arrivato lo tsunami dell’11 marzo 2011, colpendo lo spettatore come uno schiaffo dato all’improvviso.
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“I came into the world after Buddha. I leave the world before Miroku. Between the Buddha of the beginning and the Buddha of the end. I am not born, I do not die.” (Ungo Kiyō, monaco zen presso lo Zuiganji)    
Tornando a Sendai, devo dire che freddo a parte la città non mi è affatto dispiaciuta, nonostante la Lonely Planet non se la calcoli nemmeno. La chiamano la città degli alberi (杜の都, ‘mori no miyako’) perché pare che sin da prima delle restaurazione Meiji (1868) fosse una delle città più verdi del Giappone, al punto che i residenti erano incoraggiati a piantare alberi e piante nei loro giardini. Non è casuale che la principale circoscrizione si chiami Aoba (青葉, “giovani foglie”) ed è tuttora è possibile ammirare una sessantina di alberi di zelkova lungo le vie Aoba-dōri e Jōzenji-dōri, dove tra l’altro sono presenti tre statue di scultori italiani (Emilio Greco, Venanzo Crocetti e Giacomo Manzù).
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“Ricordi d’Estate” di Emilio Greco e “Odisseo” di Giacomo Manzù
Se da un lato visitare Sendai in inverno è un po’ un peccato perché non si coglie di preciso il senso del suo soprannome visto che gli alberi sono quasi tutti spogli, dall’altro proprio nel mese di dicembre vengono decorati con luminarie lungo tutta Jōzenji-dōri creando quello che viene chiamato lo Hikari no Pageant (光のページェント, “Corteo delle Luci”).
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Catch a falling star, you'll go far in the pageant of the bizarre, and tonight I give you my heart ☆彡
Nella stessa zona si trova la Mediateca di Sendai, opera dell’architetto Toyo Ito, una struttura di vetro quadrata su sette piani che vengono attraversati da 13 pilastri metallici che si torcono e deformano dal piano terra verso l’alto a ricordare delle alghe.
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Sendai ha due linee metropolitane, la Tōzai e la Nanboku, che come suggerisce il nome in giapponese portano la prima da est a ovest e la seconda da sud a nord. Ce le abbiamo anche a Tokyo con lo stesso nome per lo stesso motivo, ma la cosa che mi ha fatto sorridere è che anche a Sendai hanno gli stessi identici colori di Tokyo, la prima celeste e la seconda verde-acqua. Ora, se da un lato apprezzo la coerenza, mi volete dire che con tutti i colori dell’iride non potevate sceglierne due di un po’ più distintivi per Sendai? Senza parlare poi dell’infelice coincidenza che fa sì che l’abbreviazione di Sendai Subway, riportata nel logo, sia disgraziatamente SS.
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Tokyo complex anyone? Sono anche i miei colori preferiti, eh, però viva la fantasia! lol
La storia della città è indissolubilmente legata alla figura del daimyō Date Masamune, il “drago da un occhio solo” (独眼竜 ‘dokuganryū’ come veniva soprannominato a causa dell’occhio mancante), che nel 1600 vi fece edificare il proprio castello, l’Aoba-jō, di cui oggi non è rimasto praticamente nulla. Una statua equestre nello spiazzo dove una volta sorgeva la sua roccaforte ne ricorda le gesta, e suggerisce che sia morto per le ferite riportate in battaglia dato che una zampa del cavallo è sollevata, ma poiché dalla sua biografia non mi risulta credo suggerisca semplicemente che lo scultore non si rifà alla simbologia delle statue equestri lol
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Si deve tra l’altro proprio a Date Masamune la scelta dei caratteri cinesi che compongono il nome di Sendai (仙台, “la piattaforma dell’eremita” o, in senso più lato, un territorio molto elevato), tratti da un componimento in cinese di epoca Tang intitolato “Tóng tí xiānyóu guān” (同題仙遊観, tradotto in inglese come “Inscribed in the Temple of the Wandering Genie”) in cui il poeta Han Hong loda il palazzo dell’Imperatore Wen della dinastia Han paragonandolo ai picchi dove abiterebbero eremiti dai poteri soprannaturali con i seguenti versi: 仙臺初見五城楼 I face, high over this enchanted lodge, the Court of the Five Cities of Heaven, 風物凄凄宿雨収 And I see a countryside blue and still, after the long rain. 山色遙連秦樹晩 The distant peaks and trees of Qin merge into twilight, 砧聲近報漢宮秋 And washing-stones at the Han Palace make their autumnal echoes. 疎松影落空壇淨 Thin pine-shadows brush the outdoor pulpit, 細草春香小洞幽 And grasses blow their fragrance into my little cave. 何用別尋方外去 Who needs to be craving a world beyond this one? 人間亦自有丹丘 Here, among men, are the Purple Hills. I primi due caratteri, semplificati poi in 仙台, dovevano essere di buon auspicio affinché la città prosperasse a lungo al pari di una montagna abitata da eremiti immortali, e andarono a sostituire quelli precedenti, 千代 (che comunque significa “mille generazioni”, sputaci sopra lol) che a loro volta erano un riferimento a un tempio che si trovava nella zona ed ospitava mille statue di Buddha (千体, ‘sentai’). Questi mille Buddha non esistono più ma in compenso dalla piattaforma dove sorgeva il castello di Date Masamune si può scorgere all’orizzonte la colossale statua del Sendai Kannon, alta cento metri e che vi sfido a individuare nella terribile foto qui sotto.
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Ma quello là in fondo cosa sarebbe? Un angelo? SHINJI PREPARATI A PILOTARE L’EVA!
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E a proposito di cose inquietanti che si ergono giganti dove non dovrebbero, beccatevi la bambola kokeshi del Nishi Park:
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Le kokeshi sono bambole in legno dipinto originarie della regione del Tōhoku, dove iniziarono ad essere prodotte alla fine del periodo Edo (1603-1868) come souvenir per i turisti che soggiornavano alle terme. Tra le loro caratteristiche vi è la mancanza di braccia e gambe e l’estrema stilizzazione dei tratti del viso e delle decorazioni del kimono, anche se poi ogni regione del Tōhoku ha un proprio modo peculiare di realizzarle. E niente, forse sono rimasto traumatizzato dalla bambola di Paprika, ma le trovo abbastanza perturbanti.
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Sempre nelle vicinanze delle fondamenta del castello, si trova anche il Gokoku-jinja (護国神社), un santuario dedicato ai soldati caduti che rappresenta una sorta di ramo distaccato dello Yasukuni-jinja a Tokyo, di cui ricopre la stessa funzione. Essendo il primo gennaio c’era una lunghissima fila di gente accorsa per la prima visita al santuario dell’anno (初詣, hatsumōde) che sinceramente mi ha pure fatto passare la voglia di entrarci, ma fa più bello dire che mi sono rifiutato di visitarlo come forma di protesta antimilitarista.
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Ho anche provato ma il Nekomata da solo non sarebbe bastato a coprire la folla per evitare che si vedesse solo quella nella foto, e allora ho semplicemente lasciato perdere lol
La salma di Date Masamune, morto nel 1636 all’età di 70 anni, è custodita nello splendido Zuihōden, un tempio riccamente decorato nello stile Momoyama che venne costruito per fungere da mausoleo e che divenne Tesoro Nazionale nel 1931. Tragicamente distrutto da un raid aereo nel 1945, quella che vediamo oggi è una ricostruzione del 1974.
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Poco distanti dallo Zuihōden, sempre immersi nel verde, si trovano anche i mausolei dei successori di Masamune, Date Tadamune, sepolto nel Kansenden, e Date Tsunamune, le cui spoglie si trovano nello Zennōden. Proprio all’entrata del parco in cui si trova il complesso, è possibile visitare anche lo Zuihōji, tempio zen di scuola Rinzai voluto da Date Tadamune.
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Già che tutti facevano hatsumōde, pareva brutto non incolonnarsi con altre centinaia di giapponesi davanti all’Ōsaki Hachimangū, santuario voluto da Date Masamune, dove estraendo l’omikuji (御神籤, oracolo scritto su carta che riporta il grado di fortuna in vari campi, dall’amore al denaro agli affari, robe che Brezsny levati) ho beccato il daikichi 大吉, che è il grado di fortuna più alto, ma mi è stata messa la pulce nell’orecchio circa il fatto che il primo giorno dell’anno probabilmente ne mettono molti più del solito onde evitare che la gente si faccia condizionare e pensi di essere destinata a un’intera annata demmerda... Non so, non ho prove che sia o che non sia così, però c’avrebbe pure senso, a meno che non li vogliano trovare tutti nella foresta dei suicidi così poi Paul Logan può fare i big views.
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Finisce qui il mio giro del Tōhoku. Devo essere sincero: mi ha fatto molto piacere esplorare una parte del Giappone che mi mancava ancora completamente e Sendai è una piccola Tokyo in miniatura che probabilmente vorrei revedere con temperature più favorevoli al turismo (senza contare che adesso che l’ho visitata posso cantare “Chennai, Sendai, I’ve been all over the world now” insieme a Maia Hirasawa con più convinzione lol), ma detto questo l’idea che mi ero fatto circa la regione più settentrionale dello Honshū (e cioè che se ti interessano i paesaggi naturali ci può anche stare, ma se sei alla ricerca di luoghi di interesse culturalmente rilevanti hai veramente poco da vedere) temo non fosse troppo lontana dalla realtà. Mentre aspettavo la corriera che mi avrebbe riportato a Tokyo e guardavo le destinazioni degli altri pullman mi sono messo a cercare su Internet cosa ci fosse in quelle città, e la cosa più interessante che ho trovato è stata un ponte. Per cui insomma, spero mi ricapiti di tornare nel Tōhoku perché ci sono delle zone che mi piacerebbe visitare, ma diciamo che non è la zona del Giappone che prediligo. Ma vabbè, il primo posto in classifica rimarrà sempre di Kyōto e lo sappiamo tutti, chevvelodicoaffare lol
Postilla: mi sono reso conto che una figura mitologica mi ha seguito durante tutto questo viaggio. Me lo sono ritrovato a Matsushima in diverse copie a decorare le pareti di un santuario, poi incartato nel foglietto dell’omikuji all’Ōsaki Hachimangū, che eccezionalmente aveva allegato anche un piccolo portafortuna, e infine sottoforma di portachiavi scolpito nel legno di sofora giapponese da un artigiano che mi ha convinto a comprarne uno. Si tratta di Daruma-san, figura che rappresenta in maniera stilizzata Bodhidharma, patriarca dello zen, a cui è usanza dipingere un occhio quando ci si prefigge un obiettivo aspettando di portarlo a compimento per poter dipingere anche l’altro, e che per la sua particolare forma ritorna in piedi anche se si tenta di spingerla verso il basso. Questa caratteristica è vista come un sinonimo di costanza ed è ben riassunta da un proverbio, nanakorobi yaoki (七転び八起き, “cadi sette volte e rialzati otto”). Dato che ci siamo lasciati alle spalle il 2017 e abbiamo appena iniziato il 2018, quindi abbiamo fatto cadere il 7 sostituendolo con l’8, mi è parso che nella sua totale casualità Daruma-san avesse fatto la sua comparsa proprio nel momento giusto e che fosse il modello perfetto a cui ispirarsi nel nuovo anno. Vi, anzi, ci auguro questo per il 2018: di trovare sempre la forza di rialzarci anche quando cadiamo mentre rincorriamo i nostri obiettivi. Banale, lo so, ma non per questo facile a farsi. E niente, buon anno del Cane, speriamo non un anno da cani 🐕
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tempi-dispari · 7 years
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Amore Experience - Indie Edition: 10 settembre a Roma una maratona di musica, arte e spettacolo
Domenica 10 settembre Amore Experience presenta “Amore Experience – Indie Edition”, due palchi che vedranno l’esibizione di band indie del panorama nazionale nel suggestivo scenario di Villa Ada a Roma.
Il programma musicale inizia alle ore 15 con esibizioni su entrambi i palchi, per la direzione artistica di Sei tutto l’Indie di cui ho bisogno.
Dalle 15 a mezzanotte, sul palco “Indie” saranno protagonisti alcune realtà emergenti tra le più interessanti della scena italiana: Andrea Nabel, Liede, Regata, Le Larve, The Wanderer, Ephimera, Portobello, Jonny Blitz, Losburla nel pomeriggio, mentre la sera si esibiranno i torinesi Eugenio in Via di Gioia con il loro ironico e travolgente folk cantautorale, e  in esclusiva Gomma, con i loro primi successi e le nuove canzoni dell’album “Tosca” e il gruppo Pop X della “Bomba Dischi”. La serata proseguirà con le proposte musicali “live” di alcune crew romane, tra cui FYR e Sweat Drops.
Inoltre sin dal pomeriggio sarà possibile partecipare all’evento fruendo delle diverse iniziative, non solo musica, ma anche panels per street-artists, vintage market, area kids, spazi dedicati alle etichette indipendenti, un’esposizione di illustrazioni creati per la manifestazione da giovani artisti: Andy Ventura, Alfio Martire, Cassandra, Dianthus, Antonio Pronostico, Tutti i Miei Disegni Inutili, Livia Massaccesi, Non è Francesca, Lasfigacosmica, Miocardio, Tu Sei Porpora. InsideArt allestirà la mostra “TalentPrize X Edition”, in cui saranno presentati al pubblico i finalisti della decima edizione del concorso di arti visive, e la mostra “Lights on/Lights off”, una performance collettiva in cui 3 artisti (Matteo Nasini, Jacopo Rinaldi e Lino Strangis) si alternano presentando diversi lavori che mettono in relazione arte e suono, tra cui “Sparkling Matter” e “Toute la mèmoire du monde”
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Sponsor: INFINITI
Main Partner: Inside Art, Live Cinema Festival, LPM Live Performers Meeting, Red Bull, Tastreet
Media Partner: Cheap Sound, ExitWell, FacceCaso, Lahar Magazine, Noise Symphony Music,  Nonsense Mag, Radio Kaos Italy, Staradio, Talassa
Amore Experience
Amore Experience – Indie Edition è una delle tre giornate di musica, arte e spettacolo che caratterizzano l’Amore Experience.
Amore Experience è parte integrante di “Artist in Rome Experience”, manifestazione dell’ Estate Romana 2017 con il patrocinio di Roma Capitale: un riassunto dei contenuti artistici e musicali, a Roma, a settembre, all’inizio della stagione; Amore Experience sviluppa un legame tra la città e le più interessanti produzioni artistiche innovative e contemporanee, italiane ed internazionali.
Amore Experience si sviluppa in spazi non convenzionali, dedicandosi alla commistione fra musica, arte e cultura contemporanea, sempre legandosi all’”esperienza” come significativo momento di aggregazione tra il pubblico e gli artisti coinvolti. Proponendo iniziative durante il giorno e serali in diverse location, un “festival boutique” con al centro la musica e tutto quel movimento culturale che le ruota attorno, dalle visual-art alle performance, dalle installazioni espositive ed artistiche all’intrattenimento con realtà virtuale e tecnologie innovative.
L’edizione 2017, facente parte della programmazione della quarantesima edizione dell’ Estate Romana, si sviluppa su 3 giorni (8, 9, 10 settembre) e 2 location (Villa Ada e Monk Club).
3 giorni di eventi, 54 ore di musica, oltre 80 partner italiani ed esteri, 6 guest djs internazionali, 12 live band Indie, 10 artisti hip-hop, 4 live-set, 25 talent fra djs e live band tra Roma e Italia, 8 visual artist, 5 crew romane, 3 mostre inedite, 20 espositori indipendenti, oltre 30 artisti delle arti visive coinvolti nella manifestazione: questi alcuni dei numeri sui contenuti della prima edizione di Amore Experience.
 “Musica da ballare e musica da ascoltare, arte da guardare e arte da vivere”: queste sono le linee programmatiche di Amore Experience; grande attenzione agli artisti e ai talenti emergenti, italiani ed internazionali, e all’esclusività delle loro performance durante la manifestazione.
Venerdì 8 settembre la “Preview” di Amore Experience si svolgerà presso il Monk Club in via Giuseppe Mirri, suggestivo spazio musicale nel panorama romano e fulcro di forme d’arte e cultura durante tutta la sua programmazione annuale. Si comincerà alle 18 con l’aperitivo a cura della crew di Radio Kaos Italia e, nella sala esposizioni, con la mostra fotografica “TopCover Story” a cura di InsideArt, che vedrà protagoniste le migliori copertine della rivista negli anni.
Nella sala interna saranno prima ospitate performance A/V degli artisti di LCF 2017, nella parte serale si esibiranno band emergenti di musica Indie, tra cui i “Il Branco”, ad aprire il concerto live della band internazionale “Clap Your Hands Say Yeah”. La serata proseguirà con una selezione di dj-set con ospiti alcuni nomi storici dell’elettronica romana.
Sabato 9 settembre Amore Experience presenta “DJ @ Villa Ada”, una selezione di dj internazionali di gran spessore musicale, cui andranno ad affiancarsi alcuni talenti italiani, seguendo il preciso criterio di un’accurata ricerca musicale.  Tra questi: Speedy J, Luke Slater, Dasha Rush.
Sei tutto l’indie di cui ho bisogno
Fondata nel 2013 da Giuseppe Piccoli e Gian Marco Perrotta, Sei tutto l’indie di cui ho bisogno è la community punto di riferimento per la musica indipendente e alternativa italiana. Al momento conta su oltre 46.000 fan su Facebook, più di 7.000 follower su Instagram e numerose collaborazioni con artisti, festival, live club, brand commerciali, etichette discografiche, radio, illustratori e network musicali. Perché l’indie non è un genere, ma un approccio!
Amore Festival
Negli ultimi 3 anni Amore Festival si è espanso su più giorni e diverse location, creando una vera e propria vacanza in musica con viaggi organizzati da tutta Italia e dall’estero; è notevolmente cresciuto lo spazio dedicato ai dj emergenti italiani, alternando il grande evento a serate di pura ricerca musicale nei Club.
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  Info & tickets: http://bit.ly/2v0GW90 Gruppo ufficiale: http://bit.ly/2vRD3rg
    Amore Experience su Facebook:
https://www.facebook.com/amoreexperience/
Sei tutto l’indie di cui ho bisogno su Facebook: 
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Villa Ada incontra il mondo su Facebook: 
https://www.facebook.com/VillaAda.Fest/
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ontologismi · 7 years
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"PICCOLA STORIA IGNOBILE"
“PICCOLA STORIA IGNOBILE”
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Fonte: prof. Andrea Zhok, pagina Facebook (1)   (Riassunto e conclusioni) Dunque, facendo il punto. 1) Lunedì tre maggio, discutendo con alcuni amici, sono venuto a conoscenza del fatto che esiste un movimento che rivendica il diritto dei matrimoni con animali. Mi è venuto in mente di scrivere un post, di carattere ironico e satirico, che mettesse alla berlina una serie di modalità argomentative…
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miti-e-eremiti · 8 years
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Riassunto poco serio: 1948. Pablo Neruda, all’apice del successo, scrive e recita poesie, si diverte a perculare i colleghi senatori nei cessi del parlamento e organizza orge e baccanali a casa sua. Il governo conservatore cileno, resosi conto che la vita da comunisti è una gran figata, decide di arrestarli tutti: li prendono quindi a bastonate, poi li caricano sui camion e infine, senza processo, li spediscono in mezzo al deserto in un lager diretto da Pinochet, che è giovane e deve fare pratica. Ma a Neruda spetterà un destino peggiore e ben più crudele: essere tampinato per tutto il film da Gael Garcia Bernal agghindato con un buffo cappello, due buffi baffetti e un buffo cognome, Pechou…Pelchu…Pikachu?!…vabbè dai, facciamo Oscar, così quelli che a Hollywood devono capire, capiscono. Neruda è un fine e celebratissimo intellettuale, amato dal popolo e amante delle donne, del cibo e del buon vino; Oscar ha un padre che non lo ha mai riconosciuto e una madre che faceva la prostituta e siccome la genetica non è un’opinione, da grande non poteva fare altro che lo sbirro: un grigio e triste funzionario statale che esegue gli ordini dei potenti in modo pedissequo, senza idee proprie, senza farsi domande e per il resto vedi Gentiloni. E’ sua (di Oscar, non di Gentiloni) la voce narrante, ma le idee e i concetti espressi sono quelli di un utente medio della pagina Facebook di Salvini. Ora, siccome il divario fra i due personaggi è chiaramente incolmabile e i film che parlano solo di poesia fanno scendere le palle alle ginocchia, il regista Larraìn decide di trasformare il tutto in corso d’opera ne La Pantera Rosa, con Neruda che si traveste da mignotta, oppure da ricco straniero oppure si finge un dipinto e l’ispettore Oscar che lo cerca e non lo trova mai. Tutti sanno che faccia abbia Neruda e vedono i piedi spuntare da sotto le tende, ma Oscar no, resta sempre con le pive nel sacco, attonito e sbalordito dal fatto che lui è Garcia Bernal, ma è Neruda, grasso, vecchio e pelato, quello sempre pieno di figa. La disperazione attanaglia il poliziotto, tanto che si scorda pure di essere in Sudamerica, e quando arresta i complici del poeta, li interroga e basta invece di torturarli con una picaña. Ormai è alla frutta, e pure Larraìn che, abbandonata la carta del film di impegno civile, finite le romanticherie para-letterarie, esaurite le gag stile ispettore Clouseau, decide che o la va con Tarantino o la spacca: neve, cavalli, fucili, sangue, morte. Neruda fugge grazie ad un possidente del sud-ovest che non vuole pagare le tasse – la versione australe dell’industrialotto del Triveneto – e getta così le basi di un patto del Nazareno ante-litteram; Oscar intanto è ormai diventato insopportabile fin oltre il limite della galassia tanto che due destrazzi come lui lo prendono a badilate e finalmente muore. Ma anche così non smette di parlare e raccontare e commentare, e sono gli spettatori a questo punto a invocare la morte: per loro stessi, chiedono castigo! Larraìn però non è soddisfatto, sente che manca ancora qualcosa da copiare e…… Zombie! Oscar riapre gli occhi e riprende a narrare, anche se il film è finito e ci sono già i titoli di coda. L’altro Oscar, la statuina, pare invece che abbia cominciato a lacrimare sangue.
Commento serio: C’è chi ha definito la poesia la più completa e nobile delle arti: è l’unica ad affrontare con le armi del significato – le parole, il linguaggio – il significato delle emozioni e della vita stessa. Arte omnicomprensiva e in un certo senso onnipotente, per sua stessa natura libera e indefinibile. Neruda è un film intelligente e affascinante perchè sceglie di parlare proprio di Poesia, evitando le trappole del lirismo fine a se stesso. Larrain opera due procedimenti opposti che si ri-equilibrano. Da un lato seleziona un pezzo della vita del poeta per raccontare la Vita, l’Amore (o la sua mancanza) e l’Impegno Civile: lo fa, in modo arguto, ribaltando il punto di vista più scontato e facendo narrare la storia al “nemico” Oscar Peluchonneau, interpretato Gael Garcia Bernal, che nella sua efficace e misuratissima disperazione ci permette di distanziarci da stucchevolezze e melensaggini assortite. Da un altro lato Larrain dilata il racconto in traiettorie che travalicano con Libertà i generi cinematografici: il risultato è una satira del potere – un Sorrentino più ironico e meno freddo? – che diventa un poliziesco “esistenziale” e una storia di amori persi e mancati e confluisce infine in un western onirico e quasi soprannaturale. E’ un film molto parlato questo Neruda, in cui i dialoghi si “appoggiano” (particolarmente nella prima parte del film) su continui cambi di inquadratura, quasi a sancire la supremazia della parole e del legame come unica via da uscita da una messa in scena che mostra la solitudine, le paure, la mediocrità, la meschinità, la fragilità delle cose della vita. Nella dialettica duale così rappresentata – inseguitore/inseguito, Protagonista/Antagonista, Sinistra/Destra, artista/uomo d’azione – si incunea lentamente una sottile anima borgesiana che accompagna il film: tutto si regge infatti sul tema degli inganni, della doppiezza, della viltà opposta al coraggio, del confondersi fra ciò che è reale e ciò che è immaginario o inventato. E nella progressiva e parallela disintegrazione (fisica) e definizione (psicologica) del poliziotto Oscar Peluchennou che emerge Neruda, nella sua umanità imperfetta e quindi nella sua grandezza sia di cantore dell’amore, sia di guida morale. Omaggio sofferto ad un paese intero, il cinema di Larraìn – amato all’estero, quanto criticato in patria- anche in questo caso si apprezza perchè non mostra paura nel guardare e affrontare a viso aperto certi dolorosissimi fantasmi del passato.
Neruda (2016) Riassunto poco serio: 1948. Pablo Neruda, all'apice del successo, scrive e recita poesie, si diverte a perculare i colleghi senatori nei cessi del parlamento e organizza orge e baccanali a casa sua.
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paoloxl · 8 years
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Il sindaco Virginio Merola, commentando la decisione di dare l’avviso di sfratto all’Xm24, ha detto che sull’area dell’ex Mercato di via Fioravanti “c’è un progetto di interesse pubblico da attuare”. Il presidente del quartiere Navile, Daniele Ara, però, cade dalle nuvole: “Non so del progetto. So che il sindaco sta valutando delle cose, ma evidentemente non si tratta di un servizio di quartiere”. Intanto un nuovo comunicato è apparso sul sito dello spazio sociale: “In questi giorni l’aria di Bologna è sporca, molto sporca; irrespirabile, letteralmente. Sforati, come in nessuna città, i limiti delle pm10 sarebbe meglio non uscire di casa. Invece, contro ogni naturale ‘buon senso’ meteo, qualcuno viene accompagnato a forza fuori casa. In troppe parti del mondo, non simbolici presagi oscurano ‘democrazie’, ‘unioni’ e raffinate ‘tecniche di governo’ liberali; ma chiari segni di risorgente fascismo democratico, esito dell’ingovernabilità delle crisi del capitale. Frutto di legittime scelte elettorali e spesso di un troppo ironico disimpegno social. E se qualcuno può dire ‘finita’ la famigerata globalizzazionbolognine la piccola, grassa cittadina di Bologna non è così difforme, dal resto dei governi, nell’applicazione di dinamiche dislocanti; frutto di ben note e sempre egemoniche sorti del profitto; perfino in progetti culturali. ‘Nuovi’ governi nazionali non rivendicano altro che la retorica (molto fattuale: omicida, diciamolo pure) della repressione, con respingimenti, deportazioni, caccie all’uomo, nuovi Cie e campi di detenzione ovunque; parimenti, i reiterati fallimenti bolognesi nell’imposizione delle ‘tangenziali’ del progresso nell’urbe sostenibile non sembrano sufficiente prova di reale rinnovamento. Se il nuovo ministro degli Interni del posticcio governo Gentiloni promette a livello nazionale una svolta lagerista nella gestione della crisi (proponendo i lavori forzati in cambio del riconoscimento dello status di rifugiato), qui, a Bologna, nella città di architetture fallite e ricca di memorie di una sinistra mai esistita, l’accozzaglia del PD ripropone vecchi ma rinforzati schemi cofferatiani. Cappellone, divisa, stelletta, pistolone, codicione e manganello…”. Continua il testo: “Però, porcamiseria, non ne va bene una. Anche perseguendo quella splendida progettualità amministrativa; e una certa corroborante legalità… Non si riesce a far smettere di piovere dentro la Stazione del tav che subito (…in dieci anni…) ci si ritrova un quartiere stuprato dal cemento, incompiuto: una Bolognina distopica. Un sindaco non può vincere le elezioni che quasi si vede obbligato a superare in veemenza – coi suoi capogruppo, coi presidenti di quartiere – i peggiori reazionari di zona, veri nostalgici del duce; sbiaditi, sullo sfondo, comitati di ‘cittadini’ apolitici – se non proprio ex-comunisti – capaci appena di articolare il trisillabo ‘de-gra-do’. Non si è in grado di formare il cuore dell’assistenza sociale, di un SerT, della socialità diffusa o anche solo di un parco giochi: che neppure si capisce dove in futuro la città troverà 19 milioni di euro a biennio per quella sorta di Guggenheim spaziale chiamato ‘Sede del Comune’ (in piazza Liber Paradisus). Non si apre neppure un inutile sottopasso terminato. Saltano gli alloggi di edilizia convenzionata. Non si riesce a far pagare i palazzinari per i loro fallimenti; anzi, non si vuole. Però esistono sfolgoranti ‘strategie istituzionali’. Ad esempio, riproporre il successo del modello Expo: in Fico veritas. Investire ancora, di più, altrove; cementificare, asfaltare ancora per inquinare certo un po’ di più, ma anche più in largo. Calare le carte migliori… che, forse, possono giustificare lo sgombero di una storia (più che di un luogo) come l’Xm24: terminando una reale esperienza sociale di autogestione. E tralasciando la gentrificata sorte urbanistica di storiche officine abbandonate, di baffuti imprenditori cui regalare milioni di euro; con disinvoltura promettere rinnovata repressione nelle piazze degli studenti, nelle biblioteche controllate da tornelli e guardoni; dribblando procedimenti giudiziari stracarichi di tondini, cemento, asfalto, petrolio tanto quanto di politici sempre assolti”. Conclude Xm24: “Per uno sgombero annunciato, uno eseguito. In un solo giorno via lettera al ‘noi’ collettivo dell’Xm24 si indice lo sfratto dall’ex mercato ortoflorofrutticolo; ed oggi (1° febbraio 2017) una coppia di sessantenni senza lavoro viene costretta alla strada in Via Corticella. Con questa brutta aria! E con quali forze, già da tempo dispiegate. Un blocco della circolazione vergognoso, ridicolo, come da qualche tempo a questa parte, un po’ ovunque. Oscenità possibilmente rivendicate dai soliti poteri morti: Merola, Coccia, Giovannini, possidenti, gerenze Pd, perbenisti, fascisti, leghisti, onesti lavoratori sugli autobus e passanti di mezzo. In nome di vera fuffa legalitaria. Perfino negli Usa cittadini pensanti si risvegliano e si muovono: spontaneamente frappongono ‘blocchi contro i blocchi’ aeroportuali, rapidamente voluti da quel birbo-riccone del presidente Trump. La gente, non i mestatori, si ribella. E voi bolognesi? Che fate? Siete col vostro Merola, solidale con le opposizioni ai diktat del presidente americano? Non siete ribelli, come e con il vostro sindaco? Volerete negli USA a difendere la libertà di muoversi, di tutti? Vi opporrete alle prossime retate di migranti, da parte del vostro Stato? Resisterete? E anche: difenderete uno spazio pubblico liberato, antifascista, antirazzista, antisessista nella vostra zona? Non è forse che, semplicemente, chi pensa deve agire?”. Sempre l’Xm24, inoltre, ha deciso di condividere pubblicamente la relazione consegnata all’amministrazione comunale, che rappresenta “un piccolo riassunto di quello che abbiamo fatto e continueremo a fare”: il pdf.
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