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#Romano / Il Principe
temtamtom · 1 year
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⚔️?
⚔️ A nation in a historical uniform
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What's the opposite of a "happy camper"? Here's Romano in a (Light) Voltigeur uniform during the Napoleonic Wars.
Tfw your new boss is one of Napoleon's cronies, and now you're getting dragged around Europe to fight their wars.
I feel like the 1800s were certainly an interesting time for Romano and his personal growth (in my headcanons). There's a lot I'd love to properly explore some day.
This was quite challenging but I had a lot of fun drawing it in the end! Thank you for the ask ❤️
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Chieti
Due Musei Archeologici meravigliosi, posti sull’acropoli di Teate, una città annoverata tra le più del tempo antico, tramite i quali raccontare la storia dell’Abruzzo italico e romano.
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MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI VILLA FRIGERJ
Villa Frigerj é sede del Museo Archeologico Nazionale, è una villa neoclassica costruita dal Barone Ferrante Frigerj che al suo interno conserva alcuni reperti di grandissima importanza storica.
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IL GUERRIERO DI CAPESTRANO
Un giorno il contadino Michele Castagna mentre era intento a preparare lo scassato per la vigna trova questa statua e senza capire di cosa si tratta la definsice lu mammocc, per fortuna non la distrugge come invece hanno fatto altri contadini con statue simili per salvare i propri terreni.
La statua raffigura il principe guerriero Nevio Pompulenio appartenente alla tribù dei Vestini ed è una stele funebre trovata prima delle antiche necropoli. Il principe "rachi" era un presidente del consiglio comunale non essendoci in Abruzzo una vera e propria monarchia.
È una statua che si può osservare a tutto tondo, risalente all'età del bronzo e formata da un unico blocco di calcare bianco eccetto il largo cappello.
Il rachi in questione indossa dei calzari e un vestito cerimoniale da guerriero, la cinta è composta da 5 anelli concentrici in bronzo, sul petto porta una spada corta per facilitare la corsa, infatti i combattimenti erano molto ravvicinati perché i Vestini erano bassi di statura. Ha un falcetto simile a quello dei druidi celtici quindi era anche un sacerdote e indossa un disco (cerimoniale) che gli protegge il cuore, ma il disco non presenta decorazioni. Il volto è coperto da una maschera per rispetto funebre e il cappello è così largo forse per coprirsi dal sole, inoltre in alto si nota una cresta simbolo dell'importanza di quella famiglia.
L'uomo deve mostrare la sua forza pertanto la vita è molto molto stretta infatti nelle necropoli sono stati trovati risalenti a quest'epoca cinturoni in bronzo molto pesanti utilizzati proprio per far risaltare il busto e le spalle, per le stesse ragioni indossa una gorgiera ovvero una collana che risalta il suo collo molto stretto e sui bicipiti dei bracciali con anche pendagli.
Di lato si può notare un'iscrizione in lingua osca grazie alla quale si è riusciti a risalire al nome del principe rappresentato.
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FANCIULLA SEPOLTA INSIEME AL PRINCIPE DI CAPESTRANO
La statua fa intuire una figura piccolina, pertanto si potrebbe ipotizzare essere la figlia del rachi, indossa una veste sopra un'altra veste ed è ritratta in una posa dolce e delicata con la manina che poggia sul viso.
IL CORREDO DEL GUERRIERO DI CAPESTRANO
Tra i vari reperti rinvenuti nel corredo possiamo notare: una collana, le armille indossate sui bicipiti, i calzari, un disco messo a protezione del cuore, un falcetto, due lance in ferro, una spada, un coltello, spiedi per arrostire la carne e un "rasoio" perché i guerrieri dell'antichità (eccetto i vichinghi) non portavano la barba lunga considerandola pericolosa nelle battaglie poiché i nemici la potevano afferrare rendendo difficile combattere.
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STELE IN LINGUA BUSTROFEDICA
Importanti perché hanno consentito di non perdere tracce della lingua italica nonostante le conquiste romaniche che in effetti resero tutti romani, in particolare la lingua bustrofedica chiamata così perché segue l'ordine dell'arare del bue. Grazie a queste stele si è scoperto il vero nome di queste popolazioni: Safin, storpiato dai romani in Sabini, Sabelli e Sanniti.
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LETTI D'OSSO
Più che per dormire servivano a banchettare e conversare ma soprattutto per esporre il defunto durante la cerimonia funebre, sono realizzati in legno ed osso e testimoniamo l'incredibile abilità degli artigiani italici.
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STATUA DI ERCOLE
Ercole è un semidio poiché metà mortale e metà divino, in quanto suo padre è Giove, a cui gli abruzzesi erano molto legati, tant'è che sono stati ritrovati molti bronzetti votivi raffiguranti Ercole.
Il cammino delle 12 fatiche di Ercole è un'allegoria del cammino attraverso le difficoltà della vita che vengono superate il che avvicina il semidio all'uomo.
SANTUARIO DEDICATO A ERCOLE
Ritrovato a Sulmoma inizialmente si pensava erroneamente fosse dedicato al poeta Ovidio.
Grazie ad una frana sono rimasti intatti tanti reperti come un altare sacrificale.
Nel Naos si trovava il simulacro della divinità ovvero un bronzetto raffigurante Ercole a riposo poggiato alla grande clava con la pelle di Leone di Nemea. Molto probabilmente questo bronzetto, ora conservato nella sala del museo, era il bronzetto che si trovava nella bottega del supremo maestro greco Lisippo e utilizzato come modello di ispirazione per la realizzazione di tutti gli altri bronzetti di Ercole a riposo.
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parmenida · 7 months
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Una fama sinistra grava sul palazzo situato al n. 9 di piazza San Domenico, a Napoli, dove c’è chi giura di udire nottetempo gemiti e rumori strani, come lo scalpitio concitato di una carrozza o il clangore di catene e ferri battuti.
Proprio all’interno di queste mura, nel 1590, il compositore Carlo Gesualdo, Principe di Venosa, uccise la moglie Maria d’Avalos insieme all’amante don Fabrizio Carafa, sorpresi in flagrante adulterio.
Sempre qui, nel XVIII secolo, visse e operò un personaggio controverso, fuori dal comune persino per gli standard della Napoli settecentesca, che fu al tempo stesso nobiluomo, alchimista, fisico, letterato, medico, esoterico e massone: Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero.
Nato il 30 gennaio del 1710 a Torremaggiore, nel Foggiano, Raimondo fu allevato dal nonno dopo che il padre Antonio si ritirò in convento, sconvolto dalla perdita prematura dell’adorata consorte.
Istruito dai Gesuiti del Collegio Romano, dove rimase sino al compimento dei 20 anni d’età, il nostro tornò finalmente a Napoli per risiedere nel palazzo di famiglia.
Piacente, dalla favella pronta, curioso e d’intelligenza superiore alla media, don Raimondo godeva di fantasia illimitata, che amava mettere alla prova con le sue bizzarre invenzioni, come quella di un “lume eterno” realizzato con la polvere ossea derivante dalla triturazione di un teschio umano, ricco di fosfato di calcio e fosforo concentrato.
Meno lugubre fu l’invenzione di un tessuto impermeabile pionieristico per quei tempi, di cui fece dono al Re di Napoli Carlo III di Borbone per la realizzazione di alcuni mantelli da caccia. Fu il suo modo di ringraziare il sovrano per averlo onorato con la prestigiosa nomina a Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro.
La famosissima Cappella Sansevero, tuttavia, rimane l’opera che lo ha tramandato ai posteri.
Concepita come luogo di culto, essa costituisce soprattutto un tempio massonico carico di simbologie, perfettamente calzante all’estro e al carisma del Principe di Sansevero che così volle abbellire, ampliandola a suo gusto e somiglianza, un’antica cappella preesistente.
Capisaldi del progetto sono le dieci statue delle “Virtù” addossate ad altrettanti pilastri: nove al femminile, dedicate alle donne di Casa Sansevero, e una sola al maschile, il Disinganno, eretta in onore di don Antonio, padre del Principe.
Ogni statua, carica di significati allegorici, rimanda al mondo della massoneria di cui don Raimondo era Gran Maestro. In particolare la “Pudicizia”, vista come riferimento alla dea egiziana Iside, ci parla dei riti iniziatici di cui la dea stessa era regina.
Il capolavoro più suggestivo dell’intera Cappella, però, è la statua del cd. “Cristo velato”, realizzata da Giuseppe Sammartino. Vi si contempla il Cristo, adagiato su un materasso e ricoperto di un velo perfettamente aderente alla sua fisionomia, tanto che a lungo è circolata la voce secondo la quale il Principe di Sansevero avrebbe insegnato allo scultore la tecnica della calcificazione chimica del tessuto in cristalli di marmo.
Recenti analisi, in realtà, hanno fugato ogni dubbio sul fatto che l’opera sia stata interamente scolpita partendo da un unico blocco marmoreo.
In un ambiente attiguo, destano grande impressione nei visitatori le due “macchine anatomiche” dei corpi, rispettivamente, di un uomo e di una donna completamente scarnificati, nei quali è possibile osservare l’intero sistema circolatorio.
Anche qui, se per la leggenda si tratta dei poveri resti di due servitori del Principe, ammazzati per la bisogna e così ridotti con l’inoculazione di uno speciale liquido capace di trasformare in metallo i vasi sanguigni, la scienza ha concluso che siamo dinnanzi a due scheletri umani sui quali, con mirabile perizia medica, sono stati ricostruiti in metallo tutti i condotti circolatori.
In ogni caso, tanta fu la familiarità di don Raimondo con la morte, considerata come ineluttabile passaggio della vita stessa, che secondo un’altra credenza popolare, sentendosi prossimo alla fine sopraggiunta il 23 marzo del 1771, egli si fece tagliare in pezzi da uno schiavo moro al fine di farsi adeguatamente sistemare dentro la cassa dalla quale, come un dottor Faust napoletano, sarebbe balzato fuori vivo e vegeto a tempo prestabilito.
Sarà anche per questo motivo che non è raro scorgere passanti che, davanti a quello che fu il so palazzo, si fanno ancora il segno della croce, allontanandosi in tutta fretta.
Accompagna questo scritto il “Ritratto di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero”, di Francesco Mura, 1740 circa, Cappella Sansevero, Napoli.
Anche questo è la mia Napoli..
A domani..
Nini
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“Le donne sanno quando entrano in menopausa, gli uomini no,
lo capiscono col tempo.”
·92 anni fa nasceva OMAR SHARIF, (Alessandria, Egitto, 10 aprile 1932 - Il Cairo, Egitto, 10 luglio 2015).
L'attore nato ad Alessandia (ma giramondo per vocazione) incarna quella che nell'immaginario collettivo è la vita di un uomo ricco, bello, famoso, adorato dalle masse e conteso dalle donne più affascinanti del pianeta. Un mito alimentato dall'indolente Sharif, che negli anni '60, all'apice della carriera dichiarava ai giornalisti «Lavoro perché mi piace il lusso e quando finisco i soldi, sono costretto a tornare a recitare».
Seppure per necessità, ha lavorato con i più grandi registi - Fred Zinneman (...e venne il giorno della vendetta), Anthony Mann (La caduta dell'impero romano), William Wyler (Funny Girl), Sidney Lumet (La virtù sdraiata) - ed è stato l'incarnazione della bellezza esotica, della fierezza, del coraggio e del romanticismo nei due film che gli hanno regalato la consacrazione, entrambi di David Lean: Lawrence d'Arabia (un Golden Globe e una nomination all'Oscar) e Il Dottor Zivago (nomination al Golden Globe).
Al cinema era arrivato grazie alla madre, che lo mandò in un college inglese, dove Omar dimagrì («da ragazzo ero veramente grasso») e imparò la lingua, e a Youssef Chahine, che lo fece debuttare nel '53. Divo del cinema egiziano fin da subito, è poi diventato una star internazionale, con una propensione ai ruoli storici (è stato Che Guevara in Che!, Genghis Khan nell'omonimo film, l'arciduca Rodolfo in Mayerling, il principe Feodor in Pietro il Grande), romantici (Il seme del tamarindo, C'era una volta, Funny Girl) e d'avventura (L'ultima valle, Ghiaccio verde, Le meravigliose avventure di Marco Polo, Ashanti).
Nel 2003, Omar Sharif è tornato sulle scene, dopo un periodo di silenzio (aveva interpretato Il tredicesimo guerriero, decidendo di «non recitare più in simili sciocchezze»), con un ruolo importante, quello del negoziante arabo che fa amicizia con un bambino ebreo in Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano. Una scelta forte, con cui lanciare un messaggio di pace tra ebrei e arabi in un momento storico-politico nerissimo, gratificata con un doppio riconoscimento al festival di Venezia: il premio del pubblico e il Leone d'oro alla carriera.
Sharif muore nel luglio del 2015 in un ospedale del Cairo, in Egitto, dove era stato ricoverato per un attacco di cuore. Aveva 83 anni.
ARACELI CINEMAdiCITTA'
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diceriadelluntore · 1 year
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Innamorati
Una festa è un periodo di tempo dedicato a celebrazioni particolari, a riti e a liturgie ben distinti dalla vita e dal lavoro quotidiani. Le feste scandiscono sia il ciclo dell'anno sia la vita individuale, nel cui ambito rappresentano a volte riti di passaggio da uno status a un altro. È anche l’occasione per rendere santo un giorno particolare, cioè secondo l’accezione etimologica (dal latino sanctus, participio passato di sancīre, sancire una patto), dargli una inviolabilità in quanto protetto da una sanzione: gli ambasciatori, i tribuni della plebe, le mura, le porte; quindi, in genere, tutto ciò che, consacrato da una legge morale o religiosa, è per ciò stesso inviolabile, o ciò che, per comune consenso degli uomini, è religiosamente venerato o è considerato degno di venerazione (Santo, Enciclopedia Treccani).
Oggi è un giorno che la chiesa Santifica ad un santo, San Valentino da Terni. Comunemente, è considerato “patrono degli innamorati”. Secondo una leggenda, infatti, battezzò un giovane romano pagano, Sabino, per sposare la sua amata cristiana, Serapia, nei momenti appena precedenti la morte di lei, improvvisamente ammalatasi di tifo. Secondo la leggenda, la benedizione di Valentino, dette un sonno ristoratore e beato alla coppia, che così potette vivere insieme nell’eternità. 
Da un punto di vista più storico, la testimonianza più antica su San Valentino è contenuta nel Martirologio geronimiano scritto nel V secolo, che riporta la memoria del 14 febbraio presso la comunità cristiana di Terni; un secolo dopo la primissima citazione di Valentino del Martirologio, nella Passione di Maris, Marta, Audiface e Abacuc viene raccontata la storia di un prete di Roma che guarisce dalla cecità la figlia del principe Asterio e battezza lei, il padre e tutti i membri della famiglia, trovando la morte il 14 febbraio sulla via Flaminia, durante l’impero di Claudio II, e cioè tra il 268 e il 270. Il martire viene sepolto in quella che diventerà poi la Catacomba di San Valentino, al secondo miglio della Flaminia, sulla quale verranno edificati anche una chiesa e un monastero. La ossa del santo, tuttavia, verranno traslate nel IX secolo nella basilica di Santa Prassede. Il testo più importante riguardo alla vita di san Valentino arriva invece intorno al 725 ed è la Passio Sancti Valentini, che racconta la storia dell’oratore Cratone, il cui figlio soffre di una gravissima malattia alle ossa; un amico gli consiglia di rivolgersi a Valentino, cittadino e vescovo di Terni, che guarisce il ragazzo e converte al cristianesimo Cratone e tutti i suoi allievi, tra i quali figura anche il figlio del prefetto Furio Placido, che fa decapitare il vescovo il 14 febbraio al 68° miglio della via Flaminia. Il corpo viene recuperato da tre discepoli e sepolto in un cimitero fuori le mura di Terni, dove sorgerà poco dopo la basilica a lui intitolata. Dal racconto, tuttavia, è assente sia la data del martirio, sia qualunque riferimento che possa aiutare a collocarla. Per convenzione, si festeggia il giorno di San Valentino, il 14 Febbraio, data in cui si sa che fu martirizzato per decapitazione, anche la festa degli innamorati: tutte e due le cose sono non del tutto certe, ma la seconda lo è di più della prima.
Infatti il binomio San Valentino - Innamorati risale a tempi molto più recenti, cioè al XIV secolo, quando Geoffrey Chaucer, il grande scrittore e drammaturgo inglese, associò il giorno del santo a quello in cui gli uccelli formano le coppie. Ma c’è una distinzione: Chaucer individua il 2 Maggio, giorno di San Valentino patrono di Genova, il primo vescovo dell'arcidiocesi di Genova, carica che mantenne dal 312 alla morte nel 325, ma il culto è relegato solo all’area genovese. Nel 1391 John Clanwowe anticipa la festa degli innamorati al 14 febbraio. La fusione delle date nasce dal fatto che il San Valentino di Terni è molto più importante e venerato di quello di Genova proprio grazie alla sua celebrità.
In verità, tutto nasce da una sovrapposizione di date e di santi: nel 496, papa Gelasio I, 49° Vescovo di Roma, abolì i Lupercalia Romani, dei riti che si tenevano dal 13 al 15 Febbraio, in onore del dio Fauno nella sua accezione di Luperco (in latino Lupercus), protettore del bestiame ovino e caprino dall'attacco dei lupi. Tuttavia non sostituì nessun altra ricorrenza, se non quella storia del martirio di Valentino da Terni, che non aveva nessun legame con gli innamorati.
Ma è altrettanto vero che la fama della prima leggenda si sviluppò moltissimo nel centro e nel Nord Europa, tanto che esistono decine di reliquie del Santo sparse in Italia, Francia, Austria, Germania, Polonia e persino Dublino. Tanto è vero che Ofelia nell’Amleto (1602) dice:
Dimani è il giorno di San Valentino, e fino dal primo lume dell’alba io mi posi alla finestra per divenire la sua fidanzata. Allora egli sorse e indossò i panni e apri la porta della sua stanza e fece entrare la vergine, che tale non si dipartì più dl là.
W. Shakespeare, Amleto, Atto IV, Scena V 
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ivanvolkovroleplay · 1 year
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Pogroms in nome di proteggere la fede cristiana ortodossa a causa del pericolo del re malvagio e iniquo ebreo di Israele:
*Dopo la rimozione delle statue di idolatria come quelle di Lenin e di Stalin che erano entrambi ebrei molto pericolosi, Ivan VII fece anche abolire la festa della liberazione di Auschwitz e fece invece festeggiare il martirio dei Romanov proclamati ancora una volta santi in modo ufficiale il giorno 17 luglio in cui i Romanov erano stati uccisi barbaramente e disumanamente a causa degli ebrei bolscevichi quindi il 27 gennaio è stato bannato,bloccato e censurato in tutta la Russia specificando che è un falso storico per rafforzare il potere ebraico che anche i Protocolli di Zion avevano avvisato del pericolo e specifica anche che non è una festa cristiana ma una festa ebraica bolscevica e quindi la sinagoga di Satana non è più benvenuta in Russia.
Subito dopo, gli ebrei russi piangono e si offendono minacciando di distruggere l'Europa e il cristianesimo  attraverso le armi nucleari e i terroristi e Ivan VII risponde invece che Israele sarà invasa e distrutta con le armi nucleari insieme al loro falso messia e al loro falso profeta, subito dopo la polizia russa inizia a fare arrestare i ricattatori ebrei russi e li manda in Siberia facendoli lavorare in modo forzato, morire di stenti,morire di malattia e li farà abortire e sterilizzare ogni giorno se non ritirano i loro ricatti anticristiani poi ci sono pochi ebrei russi che sono stati risparmiati dai pogroms per motivi che non loro non credono a nessun messia ebreo e sono più neutrali.
Il Sacro Romano Impero e il quarto reich supporta le azioni di Ivan VII in nome di proteggere la fede cristiana quindi fa consegnare gli ebrei italiani,austriaci e tedeschi alle autorità russe per farne ciò che vuole degli ebrei sionisti ricattori: ucciderli,torturarli,farli abortire, sterilizzarli e trasformarli in oggetti attraverso le loro ceneri per motivi che gli ebrei non capiscono nulla che Abu Qasim Muhammad è un distruttore nato e odia l'amore e il genere umano perché è Satana lui stesso, allo stesso tempo Heinrich III spera che in qualche modo i suoi alleati israeliani Jacopo Levi e Amir Menashe capiscono i loro errori e si convertano al cristianesimo in modo libero e con l'anima se proprio non desiderano continuare a vedere Abu Qasim Muhammad uccidere brutalmente i cristiani e I musulmani sunniti, anche il Sacro Romano Impero risparmia pochi ebrei, quei ebrei che rifiutano di riconoscere Abu Qasim Muhammad ed Ephraim Werner come i loro messia ebrei Ben David e Ben Joseph.
Ivan VII cita una frase della Profezia di Ezechiele che riguarda proprio appunto a un principe malvagio di Israele:
"A te, sconsacrato, empio principe d'Israele, di cui è giunto il giorno con il tempo della tua iniquità finale,  così dice il Signore Dio: Deponi il turbante e togliti la corona: tutto sarà cambiato: ciò che è basso sarà elevato e ciò che è alto sarà abbassato.  In rovina, in rovina, in rovina la ridurrò e non si rialzerà più finché non giunga colui al quale appartiene di diritto e al quale io la darò"
Ezechiele 21: 30-32
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marcoleopa · 10 months
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Schifa(ni) pres.reg. Sicilia
CHI È RENATO SCHIFANI, GOVERNATORE DELLA SICILIA
di Ninni Caronia
“Politico di lungo corso, se andiamo a guardare il suo curriculum troviamo un bel po di roba, e non tutta di buona qualita.
Nel 1979 fa parte della Sicula Brokers, e i suoi soci si chiamano Benny D'Agostino e Nino Mandalà, capocosca di Villabate, condannati entrambi successivamente per Associazione Mafiosa.
Nel 1983 è avvocato di Giovanni Bontate, fratello di Stefano, il "principe di Villagrazia", ai vertici di Cosa Nostra, assassinato dai corleonesi nel corso della guerra di mafia degli anni 80.
Nel 2009 Gaspare Spatuzza, il pentito doc che ha consentito di scoprire chi fossero i veri responsabili della strage di via D'Amelio, lo accusa di aver frequentato Filippo Graviano, boss di Brancaccio.
Nel 2011 il pentito Stefano Lo Verso, uno degli autisti di Provenzano, accusa Schifani, Cuffaro e Saverio Romano di essere nelle mani della mafia.
Nel 2015 viene assolto dal reato di Concorso Esterno in associazione mafiosa.
Due anni di investigazioni e poi l'archiviazione: «Sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di avvocato» che però “non assumono un livello probatorio minimo per sostenere un’accusa in giudizio tanto più che, a prescindere dalla consapevolezza dell’indagato dell’effettiva caratura mafiosa dei suoi interlocutori, tali condotte si collocano per lo più in un periodo ormai lontano nel tempo fatti per i quali opererebbe, in ogni caso, la prescrizione”.
I rapporti c’erano ma troppo lontani nel tempo: l'inizio degli Anni Novanta, appena prima della fondazione di Forza Italia.
Il profilo del personaggio è questo, né più né meno.
“Se n'è accorto persino il vecchio Totò Riina.
In uno dei suoi sproloqui nel carcere di Opera intercettati da una microspia, il capo dei capi ha manifestato la sua stima: «Renato Schifani è una mente». E se l'ha detto lui, significherà pur qualcosa o no?” Cfr Attilio Bolzoni, 14/08/2022 dal quotidiano ‘Domani’.
Nel 2015 il pentito Carmelo D'Amico accusa Schifani e l'ex ministro dell'interno Angelino Alfano di essere stati messi in politica dalla mafia.
Dulcis in fundo: nel 2003 Renato Schifani accusa Rita Borsellino e Maria Falcone di avere "offeso la memoria dei loro eroici fratelli".
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curiositasmundi · 1 year
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Capricorno
22 dicembre-19 gennaio
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Carlo V (1500-1558) aveva più di venti titoli, tra cui imperatore del Sacro romano impero, arciduca d’Austria, re di Spagna e principe sovrano dei Paesi Bassi. Fu anche un mecenate delle arti e dell’architettura. Un giorno, mentre il famoso pittore italiano Tiziano stava dipingendo un suo ritratto, fece qualcosa di sorprendente per un sovrano dell’epoca. Quando a Tiziano cadde il pennello, Carlo lo raccolse con umiltà e glielo porse. Nelle prossime settimane prevedo un cambio di ruolo anche per te, diverso ma altrettanto interessante. Potresti ricevere aiuto o una benedizione da qualcuno che consideri fuori dalla tua portata. Il tuo status sociale potrebbe impennarsi o potresti trarre vantaggio da un cambio di gerarchia.  
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fridagentileschi · 1 year
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I pacifisti sono i peggiori nemici della pace. Una riflessione filosofica
Quest’affermazione così estrema, che potrebbe risultare provocatoria, appartiene, invece, a secoli di riflessione filosofica rafforzata dall’esperienza storica.
È un concetto che incrocia grandi pensatori, alcuni si potrebbe dire “insospettabili” nel senso che per indole e vicenda personali erano lontani da ogni apologia della guerra. Quindi lasciando da parte un grande scrittore come Giovanni Papini che scrisse “Amiamo la guerra!” vale la pena fare una sintetica ricognizione.
La parola pace, dal latino pax, pacis ha una radice che deriva dal verbo “pangere” che significa “fissare, pattuire”. Dunque, il grande diritto romano, che tutti i giuristi continuano a ritenere la base della civiltà occidentale, ebbe chiara una nozione: non c’è pace se non nella giustizia.
La pace, in altre parole, non significa solo uno stato di non belligeranza ma significa soprattutto giustizia. Del resto appartiene alla latinità il celebre motto “si vis pace para bellum”, se vuoi la pace prepara la guerra.
La netta distinzione tra pace e pacifismo, non solo semantica, ma soprattutto concettuale, appartiene a secoli di filosofia e di pensiero. I primi furono Omero e Tucidite, Ulisse è l’eroe della libertà e della giustizia, non ama la guerra, sogna la pace, ma imbraccia le armi perché deve difendere il suo onore. Lo storico della filosofia Emilio Bodrero in proposito scrisse un famoso saggio.
Tra le virtù che Macchiavelli chiede al Principe c’è quella di defensor pacis, di fare il difensore della pace ricorrendo alle armi quando è necessario.
La guerra, per il fiorentino che fu il primo politologo, della storia è uno strumento dialettico della politica.
L’estremo realismo di Macchiavelli può far inorridire ma chiarisce bene che alla pace si lavora, spesso, “mostrandosi forti e decisi”.
Thomas Hobbes nella sua opera fondamentale, il Leviatano, chiarisce che pace e sicurezza camminano insieme e che spesso nella storia si può “decidere di fare la guerra per difendere la pace”.
Quello che appare subito chiaro nella storia del pensiero è la lotta tra libertà e pace, perché spesso per difendere il diritto ad essere liberi e sicuri occorre prendere le armi.
Non ha dubbi da che parte stare il sommo poeta, Dante Alighieri.
Gli ignavi, coloro che non hanno voluto prendere posizione, sono nell’inferno “senza infamia e senza lode”. E c’è appunto Ponzio Pilato.
Non solo, nel Paradiso fra i santi ci sono alcuni che hanno combattuto una guerra per una giusta causa.
Del resto Dante è il poeta della cristianità e per secoli la teologia e la Chiesa hanno riconosciuto non il pacifismo come valore assoluto, bensì la pace giusta, per cui spesso è lecito, anche nella morale religiosa, doversi difendere. Il proposito si esprimono San Tommaso d’Aquino e Sant’Agostino.
In anni molto recenti, tre studiosi come Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, distinguono nel Dizionario della politica, alla voce “pace”, fra una “pace negativa e una positiva”, nel senso che spiegano come “fare la pace non significhi solo cessare dalle ostilità e non fare più la guerra, ma anche instaurare uno stato giuridicamente regolato che tende ad avere una certa stabilità”.
Il pacifismo non piace a tutta la generazione d’intellettuali che anima il Risorgimento, a cominciare da Ugo Foscolo e Vittorio Alfieri. Di pacifismo non vuol sentir parlare Giuseppe Mazzini per il quale “il primo dovere è la Patria”. Ma il più chiaro sarà Alessandro Manzoni, per il quale contro le prepotenze di Don Rodrigo e quelle dei dominatori spagnoli è lecito prendere la spada. Il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes difende con le armi la sua dignità. Nietzsche che contempla la “guerra come rimedio”, ricordando il diritto alla difesa quando “la fauce protesa dell’Asia vuole inghiottire la piccola Europa”.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale su tutti i grandi giornali italiani invalse l’uso di un aggettivo di cui oggi si è persa la memoria: “pacifondai”. Era il termine con cui gli interventisti indicavano polemicamente coloro i quali in nome di un’astratta pace non volevano la partecipazione dell’Italia alla Grande guerra.
Il filosofo Benedetto Croce che per latri motivi non auspicava l’intervento, volle precisare di non aver nulla a che vedere con i pacifisti – pacifondai.
E, infatti, allo scoppio della guerra si schierò dalla parte della nazione.
Il pacifismo peloso era stato bersaglio preferito si tutta una generazione d’intellettuali e di avanguardie, a cominciare da D’Annunzio, passando per Papini, Prezzolini, Marinetti, Soffici, Corradini, Missiroli, Boccioni, Serra, Slataper, e tutti gli altri futuristi e vociani.
Molti fecero seguire alle parole i fatti, Prezzolini che si era fatto riformare, grazie a una “raccomandazione” all’età della leva, partì volontario negli arditi. Molti di questi scrittori moriranno sulle trincee del Podgora.
Anche autori insospettabili presero posizione: Riccardo Bacchelli, l’autore del mulino del Po, scrisse che la “pace è civile e corrompe”, mentre talora la “guerra è barbara ma promuove la civiltà”. Oppure Luigi Einaudi che fu aperto interventista alla vigilia della Prima guerra mondiale, nel 1950 poi l’economista liberale scrisse un aperto intervento a favore del mantenimento delle spese militari.
Palazzeschi, invece, è chiarissimo quando scrive:” gridare: evviva questa guerra, vuol dire anzitutto: abbasso la guerra”.
Marx e soprattutto Lenin si scagliano contro la guerra borghese ma in nome della violenza rivoluzionaria proletaria. Che Guevara, invece, la cui immagine vediamo spesso campeggiare nelle manifestazioni pacifiste, fu il teorico della guerra che esporta la rivoluzione!
Tutti gli studiosi di diritto internazionale sono concordi nel ritenere che lo Statuto di San Francisco delle Nazioni Unite del 1945 e altri fondamentali trattati come la Convenzione di Ginevra del 1949 e i Protocolli aggiuntivi del 1977, riconoscano un jus belli ac pacis, un diritto alla guerra per la pace. In altre parole il diritto al mantenimento della sicurezza internazionale attraverso operazioni militari.
FOTO. dipinto di GIORGIO DE CHIRICO- il pensatore, 1973
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aurevoirmonty · 2 years
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"Les eurasistes ont prédit l'effondrement inévitable de l'URSS - en vertu d'une idéologie anti-populaire, mécaniste, d'origine occidentale et sans âme. Et ils croyaient que la dictature du parti du PCUS devait être remplacée par l'ordre eurasien. Dans le même temps, ils ont d'abord mis en garde contre l'engouement pour la démocratie libérale, qui ne pouvait que détruire l'État (ce qui s'est produit dans les années 1990), ont été de fervents partisans de la préservation de l'organisme politique unique à l'intérieur des frontières de l'URSS (c'est ce qu'ils ont appelé "Eurasie" ou "Russie-Eurasie"), et étaient convaincus que que le principal ennemi de la Russie en tant que civilisation (et de l'humanité dans son ensemble) est l'Occident moderne, le libéralisme, le mondialisme et l'hégémonie à plusieurs niveaux du monde romano-germanique (et surtout anglo-saxon)."
Alexandre Douguine
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lamilanomagazine · 7 days
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Roma, arrestate altre 5 persone per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti: sequestrati hashish e cocaina
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Roma, arrestate altre 5 persone per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti: sequestrati hashish e cocaina. Sono 5 le persone arrestate dalla Polizia di Stato in quanto gravemente indiziate del reato di detenzione, ai fini di spaccio, di sostanze stupefacenti. Nei giorni scorsi, i poliziotti della Sezione Volanti, mentre percorrevano via dell'Archeologia, hanno notato un'autovettura in sosta nei pressi di una nota piazza di spaccio della zona. Insospettitisi, gli agenti hanno deciso di seguire il veicolo per poi procedere al controllo in via Amico Aspertini. Il conducente, durante le fasi identificative, ha spontaneamente consegnato agli agenti circa 1 grammo di sostanza stupefacente del tipo cocaina. La successiva perquisizione estesa al mezzo ha permesso di rinvenire circa 277 grammi di hashish, mentre durante la perquisizione domiciliare è stata trovata, all'interno di una busta custodita sopra un mobile, la somma di circa 1.200 euro in contanti suddivisa in banconote di diverso taglio. Pertanto, l'uomo, un 49enne romano, è stato arrestato poiché gravemente indiziato del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Sempre gli uomini della Sezione Volanti hanno arrestato un 23enne tunisino. Nello specifico, durante il quotidiano servizio di controllo del territorio, l'attenzione degli agenti è stata richiamata da un giovane che, alla vista dei poliziotti e alla richiesta degli stessi di fornire un documento di riconoscimento, è scappato verso via di Tor Bella Monaca. Lo hanno rincorso bloccandolo dopo pochi metri e, a seguito di perquisizione personale, lo hanno trovato in possesso di 25 involucri di cocaina per un totale di 11 grammi e oltre 500 euro in contanti. Per tali motivi, gli agenti hanno tratto in arresto il 23enne tunisino perché gravemente indiziato del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Sono stati invece gli investigatori del commissariato Esquilino ad arrestare un 31enne egiziano e un 36enne tunisino colti nella flagranza di cedere droga ad un adolescente.  I poliziotti, durante un mirato servizio volto a contrastare il fenomeno dello spaccio degli stupefacenti, nel transitare in via Gioberti, hanno notato l'egiziano avvicinare un ragazzo di giovanissima età invitandolo a seguirlo in un posto appartato. Nella convinzione che lo straniero avesse agganciato il minorenne per vendergli dello stupefacente, i poliziotti di via Petrarca hanno iniziato un servizio di osservazione e i loro sospetti hanno trovato conferma quando l'adolescente ha consegnato una banconota da 10 euro all'egiziano. Quest'ultimo, ricevuta la somma di denaro, ha fatto cenno al minore di attenderlo dall'altra parte della strada in via Principe Amedeo.  L'egiziano, secondo un modus operandi ben collaudato, ha raggiunto il tunisino e gli ha consegnato la banconota da 10 euro poco prima ricevuta dal ragazzo. I due stranieri hanno successivamente raggiunto il minore consegnandogli un involucro contenente circa 1 grammo di hashish. A questo punto, i due sono stati raggiunti e bloccati dai poliziotti. La successiva perquisizione personale ha permesso di rinvenire nella tasca del pantalone del tunisino la banconota da 10 euro precedentemente consegnata all'egiziano dal ragazzo. Al termine delle attività di rito, i due sono stati tratto in arresto poiché gravemente indiziati del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Mentre, in zona Colombo, gli agenti della Polizia di Stato del locale commissariato, in via Commodilla, durante il consueto servizio volto al contrasto dello spaccio degli stupefacenti, hanno notato una Smart alla cui guida vi era una persona già conosciuta ai loro uffici, assieme ad un'altra persona. Gli agenti hanno così deciso di seguire i due sino a quando, una volta fermatisi, il passeggero è sceso con il proprio cellulare tra le mani seguendo le istruzioni del suo navigatore. In quei frangenti, gli investigatori sono intervenuti controllando i due e, indosso al passeggero, un 25enne romano, sono stati rinvenuti 3 involucri di hashish per un peso complessivo di un etto e mezzo. Terminati gli atti, per il 25 enne è scattato l'arresto per detenzione ai fini di spaccio. L'Autorità Giudiziaria, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha in seguito convalidato gli arresti.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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temtamtom · 1 year
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1925 | Romano | New York City
Enjoying his last few months with America before he returns to his home and the brother he left behind (it’s complicated).
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jacopocioni · 20 days
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Ubaldino Peruzzi de' Medici
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Ubaldino Peruzzi de' Medici nasce a Firenze il 2 aprile 1822, figlio di Vincenzo Peruzzi, gonfaloniere di Firenze e di Enrichetta Torrigiani. Discendente della famiglia Peruzzi che si era imparentata con la famiglia Medici alla fine del XVIII con il matrimonio tra Bindo Simone (il nonno) e Maria Luisa de' Medici ultima erede della famiglia Medici. La casa dei Peruzzi, posizionata in Borgo dei Greci, sorge sul luogo anticamente occupato da un orto di proprietà dei Peruzzi e su alcune case edificate a loro volta sui resti dell'anfiteatro romano di Firenze. Un'altra dimora dei Peruzzi, la preferita da Ubaldino, è la villa dell'Antella sulle colline fiorentine nel Comune di Bagno a Ripoli. Gli studi per Ubaldino cominciarono nel 1828 presso una scuola privata per poi proseguire presso il collegio Cicognini di Prato. Nove anni dopo, nel 1837, il granduca concesse l'ammissione al collegio Tolomei di Siena, luogo dove studiavano i figli della nobiltà toscana. Conseguì la laurea in tre anni diventando dottore in legge nel 1840. Lo zio paterno, Simone Peruzzi, insistette molto e convince il padre di Ubaldino ad affiancarlo a lui presso Parigi dove lo zio era in affari presso il re di Francia. Ubaldino nel periodo parigino frequentò la École des mines dove conseguì un diploma in ingegneria mineraria nel maggio 1843.
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Grazie a questa formazione, al suo rientro a Firenze, diversificò i suoi investimenti in nuovi settori come quello ferroviario, assicurativo e ovviamente minerario. Nel dicembre 1847, alla morte del padre ed entusiasta delle riforme di Pio IX, si lega alla realizzazione dell'ordinamento della guardia civica meritandosi nel 1848 un pubblico ringraziamento dal Municipio Fiorentino. La sua visibilità fu accresciuta anche  dall'essere diventato, nel 1848, capo della commissione incaricata di trattare il rientro dall’Austria dei prigionieri toscani. Eletto nel 1948, nel nuovo Parlamento costituzionale sostituì come gonfaloniere il cugino Bettino Ricasoli. Se pur affetto da Vaiolo contribuì al colpo di Stato del 12 aprile 1849 e a stendere il successivo proclama con cui il Comune di Firenze assumeva i pieni poteri in nome del principe, rientrò poi nel suo ruolo di gonfaloniere.
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Si sposò, il 9 settembre 1849  con Emilia Toscanelli, nata a Pisa, e conosciuta nel salotto di Carlotta Marchesini Torrigiani. Grazie ad Emilia si istaurò a Firenze un grande salotto culturale conosciuto come il «salotto rosso» frequentato da una miriade di personaggi a partire da Edmondo De Amicis per finire con Cesare Alfieri. Mentre la moglie "creava" relazioni interpersonali il marito Ubaldino si dedica alla vita politica albergando tra i moderati; negli anni che seguirono l'Unità d'Italia si affermò nella vita politica nazionale.
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Il 27 aprile 1859 entrò nel Governo provvisorio della Toscana, dopo la definitiva partenza di Leopoldo II, dove fu nominato capo del governo provvisorio toscano. A livello nazionale divenne, nel 1860, deputato e lo rimase per dieci legislature in rappresentanza del primo collegio di Firenze. Fu Ministro dei lavori pubblici con il terzo Governo Cavour mantenendo la carica con il successivo Governo Ricasoli e poi Ministro dell'interno nel Governo Minghetti.
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Nel 1865 entrò nel Consiglio provinciale Toscano, divenne, dal 1865 al 1870, Presidente della Provincia Fiorentina per poi divenire Sindaco di Firenze per 8 anni fino al 1878. Durante la sua attività di Sindaco, nel 1876, contribuì alla fondazione del Collegio degli Architetti e Ingegneri in Firenze di cui fu nominato Presidente Onorario. Furono suoi i grandiosi progetti di espansione edilizia della città di Firenze rappresentati ed eseguiti poi dal piano Poggi. Ritiratosi a vita privata nella villa dell'Antella vi mori il 9 settembre 1891.
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Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
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mishimamiravenecia · 22 days
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PALAZZO PISANI MORETTA, s.XV.
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(Español / English / Italiano)
El edificio se construyó en la segunda mitad del siglo xv, por lo que se lo considera tardo-gótico. En 1629 fue residencia de una rama de la familia patrícia de los Pisani, en concreto de los Pisani Moretta,Francesco Pisani Moretta, último descendiente varón de la familia, cedió en herencia la propiedad a su hija Chiara en 1737.
Siendo Chiara propietaria se realizaron numerosas reformas, entre ellas la substitución de la primitiva escalera exterior por una escalinata interior, realizada por Andrea Tirali, y la decoración de las estancias con frescos pintados por los artistas en boga del momento. En el interior, remodelado con elementos barrocos y neoclásicos, destaca la primera planta principal, organizada en torno a una gran sala de recepción de cerca de 24 metros de longitud decorada con frescos de Jacopo Guarana y que presenta salas laterales, en dos de las cuales hay obras de Giovanni Battista Tiepolo y de Pietro Longhi.A lo largo del tiempo, el palacio ha ido pasando por diferentes manos, todas ellas vinculadas a las familias originarias, las cuales acogieron como invitados a personajes históricos como Josefina de Beauharnais o José II del Sacro Imperio Romano Germánico. Gracias a las restauraciones de los últimos tiempos y a la recuperación de sus colecciones artísticas y mobiliario original, el palacio Pisani ha vuelto a adquirir parte del esplendor del que durante siglos fue objeto.
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The building was constructed in the second half of the 15th century, it is considered to be late Gothic. In 1629 it was the residence of a branch of the Pisani patrician family, specifically of the Pisani Moretta, Francesco Pisani Moretta, the last male descendant of the family, bequeathed the property to his daughter Chiara in 1737.
During Chiara's ownership, numerous alterations were carried out, including the replacement of the original external staircase with an internal staircase by Andrea Tirali, and the decoration of the rooms with frescoes painted by the artists in vogue at the time. The interior has been remodelled with baroque and neoclassical elements, and the first floor is the main floor, organised around a large reception room about 24 metres long, decorated with frescoes by Jacopo Guarana and with side rooms, two of which contain works by Giovanni Battista Tiepolo and Pietro Longhi.Over the years, the palace has passed through different hands, all of them linked to the original families, who welcomed as guests historical figures such as Josephine of Beauharnais or Joseph II of the Holy Roman Empire. Thanks to recent restorations and the recovery of its artistic collections and original furnishings, Palazzo Pisani has regained some of the splendour it enjoyed for centuries.
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L'edificio fu costruito nella seconda metà del XV secolo ed è quindi considerato tardo gotico. Nel 1629 era la residenza di un ramo della famiglia patrizia Pisani, la famiglia Pisani Moretta. Francesco Pisani Moretta, ultimo discendente maschio della famiglia, lasciò la proprietà in eredità alla figlia Chiara nel 1737.
Durante la proprietà di Chiara furono eseguiti numerosi interventi, tra cui la sostituzione della scala esterna originale con una scala interna di Andrea Tirali, e la decorazione delle sale con affreschi realizzati dagli artisti in voga all'epoca. L'interno è stato rimodellato con elementi barocchi e neoclassici, e il primo piano è quello principale, organizzato intorno a un grande salone di rappresentanza lungo circa 24 metri, decorato con affreschi di Jacopo Guarana e con sale laterali, due delle quali contengono opere di Giovanni Battista Tiepolo e Pietro Longhi.Nel corso degli anni, il palazzo è passato attraverso diverse mani, tutte legate alle famiglie originarie, che hanno accolto come ospiti personaggi storici come Giuseppina di Beauharnais o Giuseppe II del Sacro Romano Impero. Grazie ai recenti restauri e al recupero delle collezioni artistiche e degli arredi originali, Palazzo Pisani ha riacquistato parte dello splendore di cui ha goduto per secoli.
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Terme di Caracalla: rivivono i fasti dell'antica Roma
Le terme di Caracalla sono pronte a rivivere i fasti dell'antica Roma. Un nuovo progetto, infatti, riqualificherà completamente uno dei siti archeologici simbolo della città eterna per dare un'esperienza di visita completamente nuova. La prima novità che gli spettatori vedranno sarà l'acqua, elemento essenziale delle terme. Saranno, inoltre, riaperti spazi finora rimasti chiusi. L'inaugurazione avverrà sabato 13 aprile con una serie di eventi culturali. L'acqua, anima delle terme Con il progetto di riqualificazione del sito archeologico, lo spettatore vivrà un'esperienza di visita completamente diversa da quella vissuta finora. Il primo step di questo ambizioso progetto è stato far tornare l'acqua, elemento principe di un complesso termale. L'acqua, che mancava nel sito dal V secolo quando è iniziata la fase di abbandono del complesso, tornerà alla vista dei visitatori con un'enorme vasca dalle forme minimali e contemporanee. Progettata dall'architetto Hannes Peer insieme a Paolo Bornello, la vasca darà vita a uno specchio d'acqua di mille metri quadrati nel quale si rifletteranno le imponenti rovine. Sarà, inoltre, sormontata su un lato da un palcoscenico leggero destinato agli spettacoli; ospiterà delle fontane che proporranno giochi d'acqua e di colori. L'acqua sarà presente anche all'interno delle strutture anticamente dedicate alla cura del corpo mentre altri zampilli e nuvole di vapore si libreranno a ridosso delle mura del complesso per rievocare l'atmosfera di un tempo. Passeggiare e meditare Come illustrato dalla direttrice delle terme, Mirella Serlorenzi, anche l'area verde del sito sarà trasformata. Diventerà un giardino botanico valorizzato con architetture effimere ed essenze odorose. L'impegno della direttrice è far ricomparire anche farfalle e api. Tutto concorrerà a ricreare un luogo in cui passeggiare e meditare com'era un tempo. Le terme di Caracalla, infatti, erano un luogo deputato alla cura del corpo e della mente in linea con la filosofia antico romana "mens sana in corpore sano". Il progetto, che procederà a step, prevede anche la riapertura al pubblico di due aree verdi e dell'antico ingresso sulla via di Caracalla, lo stesso utilizzato dagli antichi romani duemila anni fa, dove sarà collocata una nuova biglietteria. Terme di Caracalla: simbolo dell'antica Roma Le terme di Caracalla rappresentano un degli esempi più grandiosi di terme romane. Furono realizzate tra il 212 e il 216 d.C. sul colle romano dell'Aventino. Furono superate solo dalle terme di Diocleziano costruite nel 306. Dismesse durante la guerra gotica, l'area su cui insistevano le terme fu riutilizzata a fini abitativi e come zona agricola. Divenne un grande vigneto. Nel VI secolo fu utilizzato come cava per il reperimento di materiali di pregio come marmi e metalli. Dal XVI secolo, in occasione di diversi scavi, sono state rinvenute diverse opere molte delle quali sono entrate nella collezione Farnese. Nei tempi moderni, le rovine delle terme di Caracalla, con la loro imponenza, sono state una suggestiva cornice a eventi musicali di vario genere: da concerti di artisti moderni a opere liriche. Non a caso Paolo Conte, nel 2018, ha deciso di ambientarvi la tappa romana del suo tour per festeggiare i 50 anni di Azzurro. Tra quelle stesse rovine hanno riecheggiato le musiche del maestro Ennio Morricone. Dal 1937, inoltre, ogni anno la stagione estiva del Teatro dell'Opera di Roma si ambienta a Caracalla. In copertina foto di Gianni Crestani da Pixabay Read the full article
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zenopagliai · 3 months
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La Storia, tutta da dimenticare.
” Su Radio 24 sto ascoltando in Pod Cast gli interventi del Prof. Alessandro Barbero noto storico e brillante espositore di una Storia che forse sarebbe meglio dimenticare perchè è solo una sequela di crimini contro l’ Umanità. Stiamo celebrando da sempre uomini che furono solo degli squilibrati, degli assassini o di veri pazzi, e ogni statua eretta in loro onore a mio parere non è altro che un atto d’accusa contro costoro. “
La Storia: un incubo senza fine?
Ascoltando le riflessioni del Professor Barbero sulla Storia, un senso di profonda inquietudine mi pervade. Concordo sul fatto che la Storia non sia un racconto edificante, bensì una sequenza di crimini contro l’umanità. Guerre, genocidi, oppressioni, schiavitù: un’ininterrotta litania di orrori che macchia indelebilmente il nostro passato.
Un’inquietante sensazione di déjà-vu:
Celebriamo figure storiche che, a ben vedere, si rivelano carnefici efferati. Le loro statue, anziché celebrare la loro grandezza, dovrebbero essere moniti a perenne memoria delle loro atrocità.
La Storia come monito inascoltato:
Mi assilla un pensiero angoscioso: non impareremo mai nulla dalla Storia. Le atrocità del passato si ripetono, in forme diverse, ma con la stessa efferata brutalità. Pensiamo ai recenti conflitti in Iraq, Afghanistan, il conflitto israelo-palestinese e quello Russo-Ucraino in atto in diverse parti del mondo, alle nuove forme di schiavitù.
Un futuro di orrore:
L’umanità sembra incapace di sottrarsi a questa spirale di violenza e autodistruzione. Forse, come sosteneva Freud, siamo guidati da una pulsione di morte che ci spinge verso l’annientamento.
Un barlume di speranza?
Davanti a questa desolante prospettiva, una flebile speranza si accende: la consapevolezza. Forse, attraverso la conoscenza e la memoria, possiamo imparare dai nostri errori e costruire un futuro migliore.
Uomini nella storia che si sono mostrati i più dei criminali:
Un’impresa ardua:
Compilare una lista esaustiva dei criminali più efferati della storia è un’impresa ardua, in quanto la nozione di “crimine” è soggettiva e muta nel tempo e nello spazio. Inoltre, la valutazione di atti compiuti in epoche remote risulta complessa, necessitando di un’attenta analisi del contesto storico e sociale.
Ciononostante, alcuni nomi emergono per la gravità e l’ampiezza dei loro crimini:
Antichità:
Genghis Khan: Conquistatore mongolo, noto per la sua brutalità e le sue campagne militari che causarono la morte di milioni di persone.
Nerone: Imperatore romano, ricordato per le sue persecuzioni cristiane e per l’incendio di Roma.
Erode il Grande: Re di Giudea, responsabile del massacro degli innocenti.
Medioevo:
Attila l’Unno: Conquistatore unno, il cui flagello terrorizzò l’Europa del V secolo.
Vlad III l’Impalatore: Principe di Valacchia, noto per la sua crudeltà e le sue torture.
Ivan il Terribile: Zar di Russia, il cui regno fu segnato da repressioni e violenze.
Età Moderna:
Adolf Hitler: Leader del partito nazista, responsabile dell’Olocausto e della Seconda Guerra Mondiale.
Joseph Stalin: Dittatore sovietico, artefice di carestie, gulag e repressioni che causarono la morte di milioni di persone.
Mao Zedong: Leader cinese, responsabile del Grande Balzo in Avanti e della Rivoluzione Culturale, che causarono la morte di decine di milioni di persone.
Epoca Contemporanea:
Pol Pot: Leader dei Khmer rossi, responsabile del genocidio cambogiano.
Saddam Hussein: Dittatore iracheno, noto per la sua brutalità e per l’uso di armi chimiche contro il suo stesso popolo.
I signori della guerra africani: responsabili di guerre civili, genocidi e violazioni dei diritti umani.
Conclusione:
La Storia non è un semplice susseguirsi di eventi, ma un monito a non ripetere gli errori del passato. Un monito che, purtroppo, l’umanità sembra ignorare, incamminandosi verso un futuro di orrore e autodistruzione. Non sopporto più i film di guerra o di violenza dove si esaltano uomini che sono stati solo dei grandi CRI-MI-NA-LI. Quando vedo una loro statua che campeggia su una pubblica piazza mi viene voglia di prendere una ruspa e fare -anche se tardivamente e inutilmente- giustizia sommaria fracassandola.
I VERI EROI DA CELABRARE.
Gli eroi da celebrare non sono quelli dello Sport, dello Spettacolo, della Moda o delle Canzonette, sono i grandi inventori, i grandi scienziati e i grandi tecnologi e i grandi esploratori che hanno sollevato l’ Umanità da tante fatiche fisiche e da tante malattie, anche se si deve dire che: piaccia o no, che lo si voglia ammettere o no, non lo hanno fatto solo altruisticamente per amore degli altri, ma primariamente per il proprio venale interesse. Non poteva essere altrimenti, e va bene così !
Un appello accorato: La posta in gioco è la sopravvivenza stessa dell’umanità.
Dobbiamo svegliarci da questo incubo! Dobbiamo educare le nuove generazioni ad ammirare i veri eroi. Dobbiamo educarli alla pace, al rispetto e alla compassione, non all’ esasperata competizione, alla vittoria a tutti i costi per umiliare perfidamente e sadicamente l’avversario. Solo così potremo spezzare la catena di crimini che insanguina la nostra Storia altrimenti insanguinerà anche quella futura.
Invito ai Lettori.  Gentile lettore, commenta questo articolo perchè il parere altrui è sempre molto gradito  per fare meglio  il punto.        Se vuoi saperne di più su queste avventure nel mondo digitale, ti invito a leggere miei articoli sul questo blog: www.pittografica.it
Ricerche eseguite dal dott. Zeno Pagliai su fonti  ritenute affidabili: https://www.pittografica.it/fonte-delle-informazioni/
Non dimenticare di seguirmi sulla mia pagina: FB: www.facebook.com/pittografica Un caro salto, dr Zeno Pagliai.
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