Tumgik
#Santuario Ritrovato
storiearcheostorie · 6 months
Text
ARCHEOLOGIA / Ancora scoperte a San Casciano: dal Bagno Grande una statua di Apollo in marmo e una rara iscrizione latino-etrusca [FOTO] [VIDEO]
#ARCHEOLOGIA / Ancora #scoperte a #SanCasciano: dal #BagnoGrande una statua di #Apollo in marmo e una rara #iscrizione latino-etrusca [#FOTO] [#VIDEO]
La statua di Apollo emerge dallo scavo. Foto di Emanuele Mariotti (copyright_ SABAP-SI – Comune di San Casciano dei Bagni) Nuove straordinarie scoperte al Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, dove nel 2022 è tornato alla luce un eccezionale deposito votivo con oltre venti statue in bronzo e centinaia di offerte. Stavolta dal santuario romano-etrusco sono emersi un donario (altare) in…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Presente. Capitolo 1 – Fine agosto 2021 
“Ma cos’è successo?” 
“Ti ho cuspidizzato” spiegò lui. 
Ispirazione: "Ti Pretendo" - Raf.
(TW: NSFW, smut, OC, MiloxOC, riferimento a MiloxCamus, Coppia HET, riferimento a coppia HOMO, D/s, Dom!Milo, Scarlett Needle/Cuspide Scarlatta con uso creativo)
“Quando ti faccio venire, posso farti quella cosa che mi manda fuori di testa?”  
Milo chiese, dopo averla persa in braccio e mentre si dirigeva verso il letto.  
“In base a cosa sei così sicuro di farmi venire?” chiese Nike.  
Lui la guardò alzando il sopracciglio ed entrambi scoppiarono a ridere. Non c'erano dubbi che l'avrebbe fatta venire; solo guardarlo, in certi momenti, sarebbe bastato a farla venire.  
“Allora posso?” ripeté sottovoce mentre le baciava il collo, abbracciandola da dietro dopo averla messa giù sulle lenzuola.  
“Lo sai vero che devi farti vedere da uno bravo?” scherzò lei. 
“Dai che in fondo ti piace” 
Non le piaceva. Ne andava pazza. E amava odiare di andarne pazza. Come amava odiare quella strana danza che si consumava a letto tra lei e Milo. Tra lei e Camus. I due cavalieri d'oro si amavano dell'amore più puro e cristallino, il Santuario ne era testimone ogni giorno, ma nonostante tutto, regolarmente, facevano visita al suo letto. Uno alla volta, mai insieme, ed in segreto l’uno dall’altro.  
‘Chissà se davvero non sanno di avere me in comune’ si era sempre domandata. Magari preferivano fare finta di non saperlo, per non dover affrontare la realtà dei fatti. Tra di loro era amore, nel senso più alto del termine. Con lei… beh… era diverso. 
“Quella cosa” Milo gliel’aveva fatta la prima volta la notte in cui aveva perso tutto. Tutti quella notte avevano perso tutto. Athena si era sacrificata per attaccare Hades, e chi non era già morto si preparava a varcare le porte dell’inferno. Letteralmente. Ma Milo aveva perso di più. Aveva perso Camus, appena ritrovato, di nuovo. Un dolore infinito e lacerante lo dilaniava, e immediatamente cercò di ritrovare il controllo nell'unico modo che conosceva: sul corpo di Nike.  
La invocò attraverso il Cosmo.  
‘Perché proprio lui? Tra tutti, perché proprio Camus?’ 
‘Milo…’ 
Nike sentì il suo Cosmo crescere di disperazione e passione. E reclamarla ancora più intensamente. 
‘Sento che anche tu mi vuoi. È inutile che dici di no’  
‘Sei sconvolto. Lo capisco…’ 
Nessuno più di lei poteva capirlo. Anche se era sola a saperlo, anche lei aveva perso qualcuno di molto importante, di nuovo, quella notte. 
Era alle sue spalle, la fissava con gli occhi ancora rossi dalle lacrime amare appena versate. Lei si girò e incrociò il suo sguardo. Sempre senza bisogno di parole, Milo continuò la sua invocazione. 
‘Se tu mi guardi non rispondo, davvero, non rispondo delle mie azioni. Io non ti voglio, ti pretendo! Sei l'unica cosa, l'unico diritto che ho!’ 
Come poteva tirarsi indietro? In fondo era la loro ultima notte sulla Terra. 
Di solito si incontravano negli appartamenti di lei, lontano da tutti gli occhi indiscreti che avrebbero sicuramente giudicato la loro relazione. Ma questa volta non gli importava e, durante il sermone di Shion ai cavalieri di bronzo, Milo la prese e la portò con sé all'ottava casa.  
Il sesso tra due condannati a morte è una cosa unica. Sapere che, di lì a poche ore, tutto sarebbe finito li spinse ad attaccarsi a tutto il poco che di vita era rimasto. Non essendoci futuro, contava solo il presente, l’attimo.  
Il cavaliere non aveva mentito, davvero non rispondeva delle sue azioni. Varcarono la soglia della camera da letto che metà dei pezzi dell'armatura d'oro erano già volati in terra. Quelli restanti, insieme alla Kamui, non tardarono a seguirli.  
Da quando aveva accettato il suo destino di indossare il platino, il Cosmo di Nike bruciava così luminoso da emanare un calore continuo, per questo era sempre quasi nuda sotto la corazza. Milo, questo particolare, lo adorava. Soprattutto perché la corazza non nascondeva poi molto, anzi accentuava. Si domandò se fosse stato fatto apposta. L’armatura dedicata alla Vittoria Alata, che può essere indossata solo da una donna, era perfetta per distrarre qualunque persona vagamente sensibile alle forme femminili. Categoria che comprendeva praticamente tutti i nemici di Athena. Pensò che fosse quasi poetico: la Vittoria appare lì davanti a te, alla tua portata, praticamente nelle tue mani, con tutto il suo splendore e la sua bellezza. Appena in tempo per distrarti dall’ottenerla.  
Di solito i loro incontri duravano a lungo, anche ore. Milo amava temporeggiare, soffermarsi sui preliminari, assaporare e concedere il piacere come faceva col suo veleno. Lentamente, poco alla volta, fino al Gran Finale. Questa volta, però, non c'era tempo, entrambi lo sapevano, e quindi lo Scorpione attaccò direttamente con Antares. Liberati entrambi dai pochi indumenti che ancora indossavano, Milo la spinse sul letto, enorme e soffice, e glielo piantò dentro senza cerimonie, soffocandola con un bacio. Lei inarcò la schiena e ansimò. Nessuna sorpresa. Per quanto fosse innamorato di Camus da anni, le donne le conosceva bene. E conosceva questa ancora meglio. Sembrava fatta per godere. Per quanto egoistico lui potesse essere, scegliendo intensità, ritmo, pause, baci, tocchi, per il proprio piacere, lei reagiva al suo stesso modo.  
Mentre la scopava più intensamente di quanto non avesse mai fatto, Milo si rese conto che dolore e disperazione, miste al piacere di entrambi che cresceva con ogni suo colpo, avevano dato vita a un nuovo pensiero. Dai meandri più neri della sua mente annebbiata dai sensi si fece strada un’idea perversa. In normali circostanze se ne sarebbe quantomeno stupito, se non spaventato. Ma ora… 
‘Cos’abbiamo da perdere’ pensò.  
In fondo, glielo aveva chiesto lei, col Cosmo, mentre guariva Kanon dalle ferite che gli aveva appena inflitto, quando lui già voltava loro le spalle per tornare all’ottava casa. 
‘Milo, sbrigati a toccare il fondo. E poi ritorna in te. Ci servi Scorpione. Ad Athena. A questa guerra. E a me. Non posso farcela senza il mio migliore amico’ 
‘Vuoi che tocchi il fondo Nike? Eccolo’ 
E così, quando vide che Nike era a un sospiro dall’orgasmo, fece una cosa che mai avrebbe pensato di fare.  
“Scarlet Needle” le sussurrò mentre la colpiva al petto con la sua prima stella.  
Non aveva idea del perché lo avesse fatto, né di cosa sarebbe accaduto. Il suo veleno, che sempre causava un dolore indescrivibile, tanto intenso da rendere folli, sembrava averle causato l'effetto opposto. Mescolandosi al suo orgasmo, la rese folle, sì, ma di piacere. L’intensità del piacere di lei, con i suoi spasmi e contrazioni, si trasferì a lui che le era ancora dentro. Non c’era modo, né motivo, di trattenersi e Milo si lasciò andare in un orgasmo così intenso da fargli dimenticare che probabilmente sarebbe stato l’ultimo.  
Quando ritornò al presente, Nike era priva di sensi. Valutò seriamente di aggiungere le altre quattordici stelle al suo corpo e risparmiarle l’orrore della guerra sacra. Ma, vedendo la Kamui di lei vicino alla sua armatura d’oro, entrambe ricomposte, ci ripensò. Per quanto quel viso e corpo perfetti, i fianchi sinuosi, la pelle vellutata, il seno invitante sembrassero fatti apposta per il piacere di un uomo, appartenevano a una guerriera di Athena. E, come lui, Nike avrebbe combattuto con tutto ciò che aveva.  
Stava già indossando l’oro quando lei si risvegliò. 
“Ma cos’è successo?” 
Indicando la piccola ferita che già si stava cicatrizzando,  
“Ti ho cuspidizzato” spiegò lui. 
“Vuoi la mia morte?”  
Ripensando con un sorriso malinconico a come Camus, quello stupido francese, si ostinava a chiamare i propri orgasmi, Milo le rispose  
“Soltanto quella piccola” 
Entrambi si avviarono al campo di battaglia, l'ultima pensavano.  
“Milo” disse lei senza nemmeno voltarsi a guardarlo  
“Dovrei riempirti di botte per quello che hai fatto”  
“Ti è piaciuto, no?”  
“Non è questo il punto”  
“Hai ragione, ti chiedo scusa. Se mai ci capiterà di scopare di nuovo, in questa vita o la prossima, ti do la mia parola che chiederò sempre il premesso” 
Poi la raggiunse e le prese il braccio. 
“Nike…” 
Lei si voltò. Lui si inginocchiò. 
“Ho toccato il fondo. Ho bisogno di te per risalire” 
Lei si abbassò al suo livello e lo guardò negli occhi. 
“Mi hanno fatto le ali apposta” e lo abbracciò. 
4 notes · View notes
d-a-r-e-d-a-r-e · 2 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Descrizione fisica
1.94 m x 88 kg  d'asciutto atletismo afro e longilinee altitudini, spalle ampie e lunghe gambe infilate spesso in stivali d'arrampicata | tatuaggi precolombiani sul lato sinistro del collo, costato sinistro, intero avambraccio dx, deltoide dx, sullo stinco sx| al polso sx, un laccio di cuoio con osso ricurvo e Dagaz, Algiz e Inguz incisi; al pollice, anello a forma fauci di un drago. ogni tanto 'profuma' dittamo per i lividi & cicatrici sparsi |immigrato
.Dal 24/02 gioca spesso a riacchiappare un Boccino d'Oro come Potter senior.
Temperamento
Spassionato, disinvolto, elusivo. Uno scansafatiche che blatera di lugimeranza: tanto il Gramo arriva comunque. Allo Specchio vede la propria lapide, probabilmente, tanto gli pesa vivere. La scontrosa austerita' dei suoi lineamenti, la sua statura e il portamento sbilenco proiettano insolente arroganza fino a quando, a esaminargli il torpore di dileggiante ironia nello sguardo affilato o ascoltare i latrati delle sue risate, non si arriva alla conclusione che la sua non sia ansiogena asserzione di potere, ma mera indolenza. Un randagio e' padrone del nulla e pertanto di tutto.
Relazioni sociali
Il fato si è accorto del furto della Felix Felicis e l'ha punito lasciandogli l'oro dolorosamente impresso sulla retina. Esausto, si è ritrovato alla soglia di un Santuario con stivali ancora sporchi di sangue - colpa e desiderio. Ma rimane un randagio che qualcuno presto troverà dissanguato tra le strade di Notturn Alley, dove l'oro luccica ingannevole e profuma di lavanda. Nel frattempo, calcola la sopravvivenza dinanzi all'ennesimo dirupo da cui Accendiarsi e la radiosa armatura di un cavaliere - le probabilità non sono dalla sua in nessun caso. Non quando la gola ancora brucia dei residui d'un veleno che avrebbe dovuto rubargli l'anima. Ladro resta: di finestre spalancate per lui e sangue che gli appartiene solo a meta' e scalpita di ritmi tutti suoi.
Morira', ma non piu' da re - in mezzo ad Aviatori e Golia.
Curiosità
Noto adrenaline junkie
.
Lui una volta ha vomitato
▮ volato contro il DorsoRugoso della Fingal con la Thofteen
▮ scalato la Torre di Astronomia
▮ usato Accendio e Aresto Momentum per acrobazie parkour (ongoing) e non e' morto per ora
Per il Ministero, e' residente nel Devon, maniero Badween
2 notes · View notes
lamilanomagazine · 11 months
Text
Bologna Estate 2023, gli appuntamenti della settimana dal 7 al 13 luglio
Bologna Estate 2023, gli appuntamenti della settimana dal 7 al 13 luglio. Al Comunale Nouveau, il 7, 8, 10, 11 luglio, per la XI edizione del Summer Musical Festival, va in scena Carousel una nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna in collaborazione con Bernstein School of Musical Theater Productions con la direzione artistica Shawna Farrell. La direzione d’orchestra è affidata a Timothy Brock. Venerdì 7 luglio, a Villa Nicolaj a Calcara di Valsamoggia, Movie! una produzione originale “Corti Chiese e Cortili” con i fotogrammi più belli del cinema italiano musicati dal vivo dall’Orchestra dei Castelli. Sempre venerdì 7 luglio, ai 300 scalini, il concerto del Carlo Atti Quartet in collaborazione con Entroterre Festival, mentre in contemporanea al Parco della Montagnola si esibisce per Frida nel parco il Confusional Quartet, storica band bolognese della scena rock avant-garde italiana. Sabato 8 luglio, dal palco di piazza San Francesco,Tutto tranne che il liscio , un testo di Paolo Nori, rielaborato per diventare una lettura messa in musica dal Concerto a fiato l’Usignolo nell’ambito di San Francesco Estate. Domenica 9 luglio, tra gli itinerari proposti da L’Appennino ritrovato, la passeggiata Porretta terme e la sua storia, una visita al centro di Porretta Terme con le sue vie, le piazze, le Terme, la chiesa di Santa Maria Maddalena, il Santuario della Madonna del Ponte e la passeggiata al Monte della Croce. Lunedì 10 luglio, al Parco delle Caserme rosse, La verità, vi prego, sull'amore, le storie raccontate da Stefano Massini e la musica d’autore di Luca Barbarossa in uno spettacolo teatrale che indaga cosa sia l’amore. Dall’11 al 15 luglio, nel Chiostro dell'ex convento di Santa Cristina, ogni sera in scena Tutto esaurito, il primo festival dello stress, un’intervista/confessione pubblica a personaggi popolari come Vito e il vescovo di Bologna cardinale Matteo Maria Zuppi. Martedì 11 luglio, nell’ambito di Poliphónia, rassegna di arte e musica in dialogo alla Raccolta Lercaro, Barend Middelhoff - Matteo Raggi Quintet si esibiranno con un omaggio a Lester Young. Mercoledì 12 luglio, John Butler al BOtanique, mentre nel parco della Zucca, per Attorno al Museo, Ustica: 42+1. Se non ci danno risposte, proviamo a cambiare le domande, serata evento tra satira e memoria condotta da Luca Bottura ed Enrico Bertolino con la partecipazione straordinaria de Lo Stato Sociale e l’inaugurazione di una nuova opera di TVBoy. Per Sotto le stelle del cinema, in piazza Maggiore, Biasanòt. Storie di notti bolognesi, di musicisti, giornalisti e altri sciagurati di una città che non andava mai a letto. Giovedì 13 giugno, nel Cortile d’Onore di Palazzo Il principe Angelo e la pietra nera una favola simbolica con Fagiolino e Sganapino chirurghi in terre lontane. per la rassegna Burattini a Bologna con Wolfango. Sul palco del BOtaniqua ai giardini di Filippo Boy Harsher.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Autobus di linea finisce nel burrone, feriti
(ANSA) – SAVONA, 05 LUG – Un pullman di linea della Tpl è uscito di strada ed è precipitato in un burrone stamani poco dopo le 7 nella zona del Santuario di Savona arrestando la sua corsa nel fiume. Secondo le prime informazioni, l’autista è stato sbalzato fuori dal mezzo ed è stato ritrovato dai vigili del fuoco sotto un pilastro di mattoni. E’ stato trasferito con l’elisoccorso all’ospedale dio…
View On WordPress
0 notes
ma-pi-ma · 3 years
Text
Tumblr media
Più che a una serie di consultazioni sembra di assistere ad un pellegrinaggio verso Medjugorje.
I rappresentanti delle varie forze politiche escono dall'incontro con Mario Draghi con gli occhi sognanti, estasiati e colmi di gratitudine.
Alcuni si gettano a terra a piangere, altri giurano di aver avuto visioni magnifiche, altri ancora ripetono frasi arcane in proto-germanico.
Ai vari politici, Draghi concede l'assoluzione a patto di recitare per dieci volte un Ave Euro, privatizzare tre aziende prima di dormire e recarsi al santuario di Strasburgo in ginocchio.
Secondo i giornali italiani, di solito molto duri nei confronti del potere, il governo Draghi in Italia ha già l'approvazione del 127% dei cittadini, del 90% della flora e del 85% della fauna.
Immagini di Draghi sono già apparse sui muri di diverse banche in Europa. Un bambino ha sfiorato una di esse con un dito ed si è ritrovato con un posto fisso alla Goldman Sachs.
Il Papa ha scritto l'enciclica "Ecce Dracones" e gli esperti delle sacre scritture confermano: "Messia" è l'antico nome di "Mario".
Molte altre meraviglie accadranno nei prossimi giorni, come è stato predetto. La via della purezza e delle riforme è ormai stata imboccata.
Preghiamo.
Matteo Brandi
46 notes · View notes
Photo
Tumblr media
Nuovo post su https://is.gd/cBkgbL
Surbo e la sua “Madonna vestita d’Oro”
Surbo e la sua “Madonna vestita d’Oro”: un patrimonio di fede e tradizioni
Il Martedì dell’Ottava di Pasqua, Surbo festeggia la Madonna di Loreto, sua celeste Patrona
di Vincenza Musardo Talò
  La Puglia, da sempre terra di incontro di luminose civiltà e naturale avanporta dell’Oriente, fin dal sec. XV vanta una consolidata tradizione del culto della Madonna di Loreto e dell’insigne reliquia della Santa Casa. In aggiunta, per il suo essere fin dall’alto medioevo meta di pellegrinaggio verso i numerosi santuari regionali (quello micaelico in primis) e luogo di raduno dei crociati in partenza per la Terra Santa, questa regione ha veicolato in numerosi centri demici del suo esteso territorio il suggestivo narrato della traslazione lauretana e dato testimonianza degli eventi prodigiosi ad essa afferenti. E così, più insistentemente lungo la costa adriatica (divenuta una sorta di baluardo contro i turchi frontalieri, soprattutto a partire dai fatti di Otranto del 1480), dalla Terra di Capitanata all’estremo lembo della Terra d’Otranto, da subito essa ha documentato momenti altissimi di devozione. Numerosi sono i santuari, gli altari di parrocchie o le cappelle urbane e rurali che riferiscono della dedicatio alla Vergine di Loreto, la cui diffusione non appare condizionata da mirate scelte insediative, tanto la rete di simili luoghi di culto mostra una sorta di omogeneità sull’intero territorio regionale, sia pure con una insistenza lungo i litorali dell’Adriatico, da Manfredonia a Santa Maria di Leuca. Il fenomeno cultuale tra i secoli XV e XVII si lega anche a una fioritura dei rituali del pellegrinaggio da parte dei devoti pugliesi.
Di tanto è dato sapere dai Registri dei Doni, conservati presso l’Archivio storico del Santuario lauretano, in cui si attesta un nutrito elenco di doni votivi, offerti dai pellegrini di Puglia o inviati da noti membri delle famiglie feudatarie del tempo, non escluse le commende dei cavalieri di Malta o le Domus dei templari, sommamente devoti alla Madonna di Loreto.
Tralasciando, per ovvi motivi, un più esteso e puntuale tracciato storico delle vicende pugliesi legate a tale indirizzo devozionale, ecco che nel primo Seicento, nei pressi dell’attigua cinta muraria a borea di Lecce, si origina il culto della Vergine di Loreto, praticato da quanti vivevano nel minuscolo casale di Surbo (suburbum), per secoli casale de corpore della città di Lecce.
Un culto che poi si è radicato e alimentato nel tempo; già nel 1724, è attestato che fosse il clero di Surbo e non quello di Lecce a festeggiare, il Martedì dopo Pasqua, presso il vicino santuario di S. Maria di Arurìo, la Gran Madre di Dio venerata non più sotto l’antico titolo di S. Maria di Aurìo ma come S. Maria di Loreto.
  Invece, per quel che attiene il titolo di patrona, pare che la comunità di Surbo abbia preso a invocare il suo patrocinio a partire dal 1838. Non a caso la sua prima solenne celebrazione nel casale di Surbo, si tenne all’indomani della ricomposizione di una contesa, sorta nel 1837 tra il clero della parrocchia di S. Maria del Popolo di Surbo e quello della Chiesa di S. Maria della Porta di Lecce (per inciso, proprio quest’anno ricorre il 180.mo anniversario di quella storica, prima festa della Vergine lauretana a Surbo).
Tuttavia, per trovare l’incipit di tale devozione dei surbini, bisogna rifarsi alla tradizione locale, la quale riferisce di un prodigioso rinvenimento in un fondo vicino alla chiesa di Santa Maria (sec. XI), ubicata nel diruto casale medievale di Aurìo, nato dopo l’arrivo di una comunità di monaci basiliani e spopolatosi intorno al sec. XVI. Il toponimo Aurìo rimanda al termine greco layrion, laura (proprio dei tanti minuscoli cenobi bizantini del Salento greco) e compare per la prima volta in un diploma di epoca normanna, quando nel 1180, Tancredi d’Altavilla ne fa donazione al monastero benedettino dei Santi Niccolò e Cataldo di Lecce.
Stando alla tradizione, ai primi del ‘600, proprio in un fondo limitrofo alla chiesa di S. Maria di Aurìo, un contadino di Surbo rinvenne, in un tronco cavo d’ulivo, una piccola statua in legno scuro, che effigiava una Madonna in apparenza priva delle braccia, col divino Infante. Senza indugio, l’uomo lasciò la campagna e tornò in paese, portando la statua nella chiesa matrice di S. Maria del Popolo, dove accorsero i fedeli, toccati da quell’evento straordinario. Ma con grande sconcerto del popolo, il giorno seguente il prezioso simulacro era scomparso, per poi essere ritrovato nel medesimo luogo, da cui era stato asportato il giorno precedente.
Da subito, le fattezze di quel simulacro richiamarono nei fedeli surbini una certa somiglianza con la Vergine lauretana, giù venerata in tutto il Salento. Ma a Surbo, il culto della Madonna di Loreto nasce – a dire di alcuni studiosi – dalla somiglianza e dalla commistione fonetica tra layrion e Loreto, generando così la successiva assimilazione del culto della Madonna di Aurìo a favore di quello della Madonna lauretana, pur mantenendone la festa nella data antica, il Martedì dopo Pasqua. Tanto, in considerazione del fatto che nel casale basiliano di Aurìo, secondo il Sinassario bizantino, la festa della Madonna cadeva il Martedì dell’Ottava di Pasqua. E parimenti i devoti di Surbo vollero mantenere – e mantengono – in quella data la festa della Madonna di Loreto, che nel tempo si è denominata “Madonna vestita d’Oro”.
Pur tenendo in debito conto queste ipotesi, da parte mia, invece, depongo a favore di un dato più probante, afferente al già consolidato culto lauretano nella cristianissima Lecce del primo ‘600, sotto la cui amministrazione municipale cadeva pure il casale di Surbo. Tra i suoi trenta conventi, erano attivi due monasteri di donne claustrali, che andavano sotto il titolo di Santa Maria di Loreto: quello delle Carmelitane scalze, fondato sul finire del ‘500, e l’altro più tardo delle Cappuccine francescane. In aggiunta, l’influenza devozionale che arrivava da Lecce e l’opera di un qualche zelante predicatore venuto a Surbo, potrebbero aver concorso più verosimilmente a mutare l’antico indirizzo del culto mariano di Aurìo in quello della Vergine di Loreto, di cui vi è traccia materiale anche nei seicenteschi Registri dei Battezzati della Matrice, col dato certo dell’imposizione alle nuove nate del nome Auritana, Auretana, Lauretana e Lauria.
E sempre intorno alla metà del ‘600 o appena dopo è da datarsi una anonima tela, conservata presso la chiesa della Madonna di Loreto in Surbo, il cui tema iconografico tratta del miracolo della traslazione della Santa Casa. Il dipinto, visionato da P. Giuseppe Santarelli – come riferisce O. Scalinci – è da ritenersi posteriore al 1638, anno in cui il re di Francia Luigi XIII donò alla Vergine del Santuario di Loreto una preziosa corona, simile a quella effigiata nella tela di Surbo; mentre in precedenza, la Vergine esibiva una corona a forma di triregno, donata nel 1498 dai devoti di Recanati e che compare sulle teste della Vergine e del Bambino di Loreto fino al 1642.
Ma è dal 1838, che a Surbo partono i primi festeggiamenti della Madonna di Loreto, curati dalla erigenda Confraternita della Beata Maria Vergine Lauretana, che fin dal ‘700 si era embrionalmente costituita con un gruppo di devoti, un Corpo morale. Questa viene giuridicamente istituita nel 1858, con il Regio placet di Ferdinando II, re di Napoli e approvata con la bolla dell’ordinario di Lecce, mons. Nicola Caputo, in data 22 maggio del 1858. Primo priore fu Pietro P. Paladini. In aggiunta, nel 1860, sempre con decreto di Francesco II, viene ordinato al Comune di Surbo di concedere gratuitamente alla Congrega della SS. Vergine di Loreto, un suolo pubblico, destinato all’ampliamento della chiesa-oratorio, che portava il medesimo titolo. Questo periferico edificio di culto, già dedicato a S. Stefano, è attestato fin dal 1610 nei verbali di Santa Visita di mons. Scipione Spina, vescovo di Lecce. Più volte chiusa e poi riaperta al culto, nell’Ottocento perde l’antica intitolatio e prende il titolo mariano. Tanto è certificato nel 1882, quando l’ordinario diocesano, mons. Luigi Zola, visita la chiesa, che si presenta con due altari: quello centrale dedicata alla Madonna di Loreto e l’altro, in cornu Epistulae, dedicato a S. Stefano, primo titolare della chiesa. Al suo interno si custodiva l’antica statua della Madonna bruna e la tela del ‘600, raffigurante il viaggio – da Nazareth a Loreto – della Santa Casa. La Vergine e il Bambino, incoronati, mostrano fattezze celestiali; la Madre appare vestita di un abito rosso con decori dorati e preziosi ricami floreali. Dopo la reale approvazione giuridica del 1858, la locale Confraternita mariana prenderà in custodia detta chiesa, in cui fissa anche il suo oratorio.
In questo luogo sacro abita la statua della bella Madonna vestita d’Oro. E a tal proposito va detto che questa è una riproduzione della statua storica del ‘600, che ebbe in sorte quella di bruciare, quasi un comune destino con quella lauretana, la quale venne pure distrutta nel 1921 da un incendio. Si era negli anni dolorosi della prima guerra mondiale e per l’insistenza di tante famiglie, che avevano i loro cari al fronte, la statua venne tolta dalla teca dell’altare ed esposta alla devozione dei fedeli. La presenza abnorme di candele e lumi votivi fu la causa dell’incendio che distrusse la venerata icona. La riproduzione di un primo manufatto non simigliante a quello distrutto, portò a una seconda statua, bella come l’antica ma di colore chiaro, come oggi è dato osservare. Non una foto rimane a ricordare le fattezze della statua delle origini; pare che una devota avesse messo in salvo sola una manina del Bambinello, che poi custodì sotto campana, ma di cui oggi non vi è traccia.
Venendo all’oggi, caleidoscopica e ricca di rituali segnici è la festa della Madonna vestita d’Oro, che si tiene, ab antiquo il Martedì dell’Ottava di Pasqua, una data simbolica, ricca di riferimenti storici, di fede e di consolidate tradizioni.
I festeggiamenti si aprono il Lunedì dell’Angelo con la spettacolare fòcara serotina, un rito che mi ricorda i falò lauretani della notte del 10 dicembre, accesi a memoria della Venuta della Vergine a Loreto. Nel passato, erano i confratelli che andavano alla questua della legna e accendevano il falò sullo spazio antistante la chiesa, ancora fuori dal centro urbano. Poi, prima dell’alba del Martedì (alle ore tre), i confratelli e alcune pie donne o delle religiose (perché mai avrebbero potuto farlo le mani di uomini), compiono il devoto rito della vestizione della Vergine e del Bambino, che si mostrano integralmente coperti del corredo di monili, mentre la presenza di alcuni carabinieri vigila il prezioso cofanetto degli ori votivi, ogni anno più ricco, perché segno di una consolidata e continua donazione dei devoti.
Dopo il rito quasi privato della vestizione, all’Angelus mattutino, la chiesa della Madonna di Loreto si apre dinanzi a una folla di fedeli in attesa di entrare e rivedere, dopo un anno, la Madonna vestita d’Oro. Con l’arrivo del vescovo, salutata da spari di mortaretti, inni e ovazioni corali e la musica delle bande, ha inizio la processione. Alla folla, alle autorità cittadine e alla Congrega, si uniscono i bambini “vestiti”, le donne devote – scalze e con un cero – che pubblicamente esprimono alla Vergine il loro bisogno di una grazia o di una intercessione; e non mancano segni o gesti di commossa pietà popolare. In questo particolare momento della giornata (bello o brutto che sia il tempo prima e dopo la processione), da sempre, quasi un prodigio, i surbini hanno testimoniato la presenza del sole, che mostra la straordinaria bellezza della Gran Madre di Dio, adorna di una sorta di dalmatica luccicante, fatta di ori, perle e pietre preziose di vario colore. Portata poi nella Chiesa parrocchiale, prima e dopo la celebrazione eucaristica, la Vergine riceve il filiale omaggio del popolo tutto; quindi, la sera del Mercoledì, giorno riservato ai festeggiamenti civili, la statua viene riportata nella sua Chiesa, dove si ripete il rito inverso a quello della vestizione. I confratelli, deposti in luogo sicuro gli ori della loro Madonna, pensano già alla festa dell’anno dopo.
Un ultima riflessione ci viene dal considerare il caso raro, se non unico, della spettacolare dote di gioielli votivi posseduta dalla Madonna lauretana di Surbo. Per noi resta un esempio il Gesù Bambino dell’Aracoeli a Roma (miseramente trafugato) o l’esempio di altre madonne dotate, ma mai in maniera tale da ricoprirle integramente e tanto riccamente di preziosi come la Madonna surbina.
E’ da credere che tali donativi debbano riferirsi a simbolismi profondamente stratificati nell’immaginario collettivo. Oltre che tributi di ringraziamento, questi – e a me sembra essere il caso di Surbo – sono fondamentalmente chiara manifestazione di una forma di preghiera materializzata, quasi il desiderio di ognuno e di tutti di accorciare le distanze col sacro, calandosi in un rapporto ravvicinato, di devozione diretta con la divinità stessa, tanto è forte il senso di intima appartenenza, a cui pure non è estraneo, ma non preminente, il rito dell’ex voto. Dunque, per il popolo di Surbo, simile corredo di preziosi donativi sarebbe il segno di un (conscio o inconscio) desiderio individuale e corale di stretta e materiale vicinanza con la sua Madonna.
Un atteggiamento collettivo che trova la sua legittima e più alta espressione nella continuità del suo prezioso e delicato omaggio alla Patrona, che si rende visibile nella plurisecolare devozione e soprattutto nella festa più attesa e più bella dell’anno. Ed è questo il momento in cui la devota Surbo condivide, rafforza e rivive i miti antichi delle sue radici, della sua storia e della sua granitica identità comunitaria civile e religiosa insieme.
2 notes · View notes
sciatu · 4 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
SAVOCA - FESTA DI SANTA LUCIA
SICILIA  ESOTERIA - L’ABBAZIA DI THELEMA
Il sole era ormai sceso fin dietro le cime dei monti e le ombre stavano calando sulla festa di Santa Lucia a Savoca. Affrettai il passo perché non avevo molto tempo. La Moglie, che seguiva la festa con mia figlia e il suo fidanzato, era andata verso la chiesa collocata sulla salita che portava ai ruderi del castello normanno. Era la stessa chiesa che era apparsa nel film il Padrino insieme all’improbabile Bar Vitiello posto all’incrocio delle strade che dal mare salivano fino a Savoca. Io stavo andando dalla parte opposta, verso il convento dei Cappuccini e arrivatovi bussai alla porta. Una finestrella si aprì dopo quasi un minuto che aspettavo. “Cu jè” fecero due occhi da furetto che occuparono in diagonale la finestrella “Devo vedere Padre Francesco “ “Nu c’è – rispose velocemente la voce – sinni iju” Io presi la lettera che portavo nel borsello e gli mostrai il timbro che il mio amico Don Nino aveva fatto qualche giorno prima con il suo anello da monsignore “Devo parlargli – insistetti – due minuti” aggiunsi per farmi perdonare quella intrusione in un giorno di festa d’agosto. I due occhi guardarono il sigillo e sentii lo scatto metallico di una serratura “Trasissi” dissero velocemente i due occhi diventarono, aperta la porta, la schiena di un piccolo frate che si muoveva velocemente verso l’interno del convento. Passammo quasi di corsa una grande stanza e quindi ci incamminammo in un lungo corridoio alla cui fine salimmo delle ripide scale per arrivare di fronte ad una porta di legno scuro che il piccolo frate apri con una grande chiave. Di nuovo a passo accelerato entrò in un corridoio buio dove la poca luce del tramonto arrivava a stento dalle finestre socchiuse. Improvvisamente il piccolo frate entrò in una piccola stanza dalle pareti scure. Su un lato vi era un crocifisso con una piccola candela che lo illuminava alla base e dalla parte opposta una porta non più grande del frate. Lui si avvicinò e presa una delle tante chiave che gli pendevano dal cordone l’aprì. “Trasissi” ripeté mettendosi di lato con l’evidente intenzione di non entrare Fu allora che mi accorsi che sugli stipiti della porta che stavo per attraversare e sulla porta stessa erano appesi numerosi crocifissi di legno e rosari come ex voto lasciati all’ingresso di un santuario. O forse erano lì per tenere il più lontano possibile il Male. Entrai con qualche esitazione e vidi che vi era una specie di cappelletta con un piccolo altare, un inginocchiatoio e diverse candele collocate sul lato opposto dell’inginocchiatoio. Guardai dietro di me il piccolo frate che invece era rimasto dove era. Lui mi fece un cenno con il capo di proseguire verso una porta che dava sul lato opposto e risolutamente chiuse la porta dietro cui era dando diverse mandate di catenaccio. Mi avvicinai alla porta e l’aprii. Avevo di fronte un lungo corridoio dove le finestre sembravano ricavate dagli spalti di un castello coperte di pesanti lastre di vetro. In fondo al corridoio vidi un frate che passeggiava con in mano un libro. Mi incamminai verso di lui e notai che in mano non aveva un libro o un breviario ma un fumetto di Mister No. Era un frate alto e magro, con il volto scavato e due occhi neri sotto un paio di sopracciglia cespugliose e nere che contrastavano con la barba grigia. Tra lunghe dita da pianista stringeva il fumetto che osservava quasi lo studiasse. Mi avvicinai esitando a causa del fumetto e solo quando gli fui vicino lui si accorse di me. Mi guardò sorpreso ed io chiesi tutto di un fiato “Buonasera padre, sono un amico di monsignore don Nino, cercavo fra Francesco ….” Lui mi guardò girando di lato il volto e socchiudendo gli occhi quasi a cercare di capire chi e cosa fossi veramente. “Sono io” disse sibillinamente, Finalmente avevo di fronte il grande Esorcista dell’Arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela.
Qualche mese prima della mia salita a Savoca, in una RSA dove era ricoverato il nostro amico Beppe, avevo ritrovato anche lui in visita il mio amico Nino, che chiamavamo monsignore fin da quando aveva dato i voti senza immaginare che sarebbe diventato veramente un personaggio importante tra gli alti prelati di Messina. Quando le infermiere vennero a prendere Beppe per un esame, restammo a parlare. Ad un certo punto mi ricordai della richiesta di @malefica67 sulla Sicilia Esoterica e decisi di parlarne con lui. Quando gli accennai all’esoterismo lui mi guardò sconcertato “Ma tu sei il cantore della ricotta nei cannoli, il vate della pasta alla norma cu ti potta nta sti rotoli scassi?” “Mi ricordo di tutti gli scongiuri, dei riti per cacciare il malocchio che si faceva al paese – gli risposi - Sono cose che riguardano in un modo o nell’altro la nostra cultura, anche se abbiamo paura a parlarne perché è il nostro lato nascosto” “ma sono cose folcloristiche da lasciare stare” “la paura del male non può essere solo folclore, qualcosa in cui riassumiamo quello che non conosciamo o capiamo: parlarne può aiutarci a capire. Poi non penso che il diavolo sia li a pensare a noi” “Perché tu sai cosa pensa il diavolo?” “No, ma….” Lui fece un sorriso triste e amareggiato. Beppe tornò dagli esami che doveva fare e parlammo con lui delle solite cose. Finito il tempo delle visite, mi avviai con Nino verso l’uscita. Arrivammo di fronte alla stanza dove stavano le infermiere e mi chiese di fermarci. Si rivolse alle infermiere cercando un pezzo di carta ed una penna. Pensai che si stesse prendendo un appunto per il giorno dopo visto che era sempre preso con la Caritas e la diocesi. Lui piegò il foglio su cui aveva scritto poche righe, gli diede una forma di busta, la sigillò con un pezzo di  cerotto, poi bagnando il suo anello in un batuffolo di cotone imbevuto di mercurio-cromo lo pigiò contro un lato della busta. “Appena puoi – mi disse serio – vai al convento dei Cappuccini di Savoca. Cerca padre Francesco. Ti diranno che non c’è, allora tu mostra questo foglio e ti faranno entrare” Curioso guardai il foglio tra le mie mani non capendo “Perché devo vedere padre Francesco?” “Tu non sai cosa pensa il diavolo, padre Francesco ti può aiutare a capire: lui è l’ esorcista della diocesi: il diavolo, lo ha visto più di una volta.” “Ma io non so…” feci esitante con l’impressione che avevo involontariamente infranto il sigillo del vaso di Pandora. Nino mi guardò sorridendo “Una tua amica ti chiede una cosa e tu ti avventuri in una storia più grande di te! Non sei curioso di sapere perché tutto questo accade? O è questione di congiunzione astrale o è questione del male che tenta e seduce! Non puoi esitare: nel momento in cui tu chiedi del diavolo, lui diventa curioso di te ed incomincia a seguirti! Devi capire ed essere pronto!” Pensai alla sensazione che avevo avuto quando avevo lasciato a Madam Effie al cimitero di Messina, La sensazione che qualcuno mi seguisse anche se per strada mi vedevo solo. Uscimmo dall’ospedale e ci salutammo. Per strada sentii un brivido lungo la schiena. Aveva ragione Nino! Perché mi ero avventurato in queste cose? io ero uno da stupide rime e sciocchi versi: chi mi stava portando su un'altra strada? Decisi di lasciare stare. Lasciai il foglio di carta di Nino nel borsello per un sacco di tempo e quando incontrai di nuovo Nino non affrontai l’argomento, ne lui chiese dettagli. Il fidanzato di mia figlia, un ragazzone alto e biondo, la venne a trovare. Per onore di ospitalità lo portavamo in giro per fargli conoscere ed apprezzare la Sicilia. Fu La Moglie a proporre di salire a Savoca. Non so da dove le era venuta l’idea. Qualcuno dal parrucchiere le aveva parlato della festa di Savoca, quella dove c’era una bambina che rappresentava Santa Lucia, dei soldati romani, un diavolo saltellante che voleva uccidere Santa Lucia e tutto nel mezzo delle rovine normanne e dei luoghi dove si era girato il film Padrino. La Moglie, visto i tanti commenti delle sue amiche dal parrucchiere, aveva deciso che dovevamo andare a vedere la festa ed eravamo saliti nel piccolo paesino. Ad un certo punto della festa mi ero ritrovato solo e, scorgendo il cartello che indicava la direzione del convento, decisi improvvisamente di andare dai Cappuccini, convinto che, non essendo molto distante dal luogo dove la purezza della bambina difendeva l’umanità dal diavolo, non poteva succedere niente di strano.
Quando padre Francesco finì di leggere le poche righe che Nino aveva scritto dissi con una certa esitazione “ Ecco, … don Nino mi ha detto che lei ha visto il diavolo” chiesi esitante a Fra Francesco che aveva messo il foglio scritto da Nino nel mezzo del fumetto a segnare dove era arrivato a leggere. Lui sorrise. Chiuse il fumetto e si sedette su un parapetto dell’ultima finestra del corridoio. “Sicuro molte volte. Come l’avrà visto anche lei!” “In che senso?” “Lei non ha mai visto qualcuno vestito bene, che le diceva che lei è migliore di altri, che se lo ascoltava l’avrebbe fatto diventare una persona importante, che gli altri volevano defraudarlo dei suoi santi diritti e che bastava mettere una croce su una scheda, o inginocchiarsi ad adorarlo, o pagare un pizzo, o fare quello che lui diceva, per riprendere il suo legittimo posto al di sopra di tutti, perché lei è simile a Dio, ha un diritto che gli altri non  hanno, è migliore, viene prima di tutti gli altri, perché gli altri sono dei diversi, degli straccioni che rubano, uccidono, stuprano, mentre lei a tutto questo e a tutti è superiore, è al di fuori delle regole ordinarie. Non ha mai incontrato nessuno che le parlava così? Come il serpente parlò ad Eva, o il diavolo a Gesù nelle tentazioni del deserto” Non so perché ma in testa mi apparvero diversi politici e qualche conoscente a cui bisognava baciare le mani per avere un favore… “Ma… forse….” “La realtà è che noi abbiamo un idea del male che è iconografica, ma non sappiamo riparametrarlo ai tempi odierni e Lui questo lo sa e astutamente ne approfitta.” “Ecco ma, qui … in Sicilia…. mi sembra difficile che possa avere seguito… con tutta la fede, le feste religiose, tutte le chiese che ci sono….” Padre Francesco sorrise scuotendo la testa. “Lei lo sa che quando in Europa i templari furono scomunicati e imprigionati come eretici, i templari siciliani semplicemente scomparvero. Da che c’erano a che non c’erano più. Eppure le loro chiese erano ovunque: sul piano di Agrimusco, nelle grandi città, nei porti. Dove erano finiti?” Mi guardò sorridendo e continuò “Si erano semplicemente trasformati. In Sicilia è semplice trasformarsi, diventare dei camaleonti e mimetizzarsi con la società siciliana, così conformista e tradizionale. Pensi alla massoneria che all’arrivò di Garibaldi lo accolse con grandi onori anche se fino a quel momento non appariva perché nascosta nei salotti dei gattopardi di allora, pensi alla mafia, pensi al potere politico che dalla mafia è usato. Nessuno, sa, nessuno vede e nel momento che nessuno sa e vede, il male diventa padrone. Lei sa bene che in Sicilia vi sono apparenze che servono solo a nascondere il reale e che danno potere al Male” “Si ma ….” stavo per ribattere. Lui mi fece cenno di tacere e guardò la porta da cui ero venuto per qualche secondo come a vedere delle cose che io non scorgevo ma che erano li, dietro la porta. Dopo qualche secondo si girò verso di me come se nulla di quanto aveva scorto fosse importante. “Lei ha mai sentito parlare dell’Abbazia di Thelema, la chiesa satanica di Cefalù?” Sbattei gli occhi sorpreso dalla domanda e feci cenno di no. “Ha mai sentito parlare di Aleister Crowley che si autodefiniva, come scritto nell’ Apocalisse, la Bestia-666?” “Mi ricordo che ho letto questo nome in qualche testo di una canzone di Ozzy Osbourne o di David Bowie, e credo che qualcuno dei Led Zeppelin ne fosse ossessionato mi sembra” Padre Francesco sorrise “Lo vede? Vengono dagli Stati Uniti satanisti e ammiratori di Crowley a vedere o a studiare i resti dell’abbazia, ma qui in Sicilia nessuno ne parla, nessuno la ricorda, vede come è facile in Sicilia che tutto accada senza che nessuno sappia, ed è questo su cui il Male gioca, perché nel pensare solo alle cose nostre, a noi stessi, si tradisce il primo comandamento di Gesù: amatevi l’un altro come io ho amato voi…” “Ma questo Crowley chi era?” Padre Francesco socchiuse gli occhi e alzò le spalle “Un poeta? Un esperto in tarocchi e astrologia? L’adepto di una setta segreta che celebrava riti innominabili? Il fondatore di una nuova religione che gli fu rivelata da un angelo in Egitto – non so perché ma appena il padre nominò l’Egitto mi ricordai di quello che Madama Effie aveva detto sul conte Cagliostro e un brivido mi salì lungo la schiena – sono molte le cose che Mr. Crowley era. Forse fu il primo hippy fondatore di una comune dove ognuno poteva fare quello che voleva e vivere la sua sessualità in modo libero, durante riti di adorazione dell’innominabile che probabilmente finivano in orge dove il sesso era usato e abusato. Ma Mr Crowley era prima di tutto un ateo che credeva nella sua religione magica, nella divinazione, non credo che per lui il Male fosse diverso da Dio” “E nessuno se ne accorgeva di questa abbazia ?” “Alla fine si venne a sapere cosa succedeva dentro le sue mura, forse perché qualche persona locale vi partecipò e ne descrisse gli svolgimenti. Il vescovo protestò con Mussolini e questi fece mandare via gli inquilini, Mr. Crowley, le sue sacerdotesse e gli altri membri della setta o della comune. La stella a cinque punte sul pavimento del loro luogo di culto venne nascosta sotto piastrelle nuove e ricoperti di calce gli affreschi dove uomini e donne nude danzavano accoppiandosi liberamente” pensai qualche secondo “Lei è stato in quella abbazia?” “Si, su invito del vescovo sono andato ad esorcizzare gli affreschi quando sono stati ripuliti e sono riapparsi” “e ha sentito la presenza del demonio” Padre Francesco sorrise “C’è un'altra Abbazia, dedicata al male, quella costruita da un ministro dello scacchiere inglese nel 1700. Lì ho percepito chiaramente il male in tutte le sue forme più terribili, dopo tutto, scavando nelle sue fondamenta furono trovati, nascosti alla rinfusa, scheletri di giovani donne e di bambini, i poveri avanzi di riti ben peggiori di quelli dell’abbazia di Thelema. Ma in quest’ultima, non ho avuto la stessa sensazione. “ Si fermò ad osservare la porta da dove ero venuto restando qualche secondo in silenzio “Qualcuno l’ha seguita….” Si alzò e si dispose verso la porta come a dover fronteggiare qualcuno. Si toccò il crocifisso che gli pendeva al collo. “C’è una porta alle mie spalle – mi disse lentamente – esca di là, troverà una scala a chiocciola che porta giù a pianterreno e poi una porta che fa uscire sulla strada. Se ne vada subito” Avevo già abbastanza paura per non seguire le indicazioni del padre le cui mani tenevano il crocifisso e le cui nocche stavano diventando bianche dalla forza con cui lo stringeva. Lui non mi osservava più ma con gli occhi fissi sulla porta incominciò lentamente a recitare: “Exsurgat Deus et dissipentur inimici ejus: et fugiant qui oderunt eum a facie ejus. Sicut deficit fumus, deficiant: sicut fluit cera a facie ignis, sic pereant peccatores a facie Dei….” Io spinsi la porta a cui mi ero aggrappato, ma questa non si aprì; solo dopo qualche secondo capii che dovevo almeno abbassare la maniglia per aprirla così feci e dalla forza con cui la spinsi, quasi caddi sopra un pianerottolo da dove partiva una stretta scala a chiocciola che incominciai velocemente a discendere dicendomi che non mi sarei più occupato ne di diavoli ne di altre stronzate e che Nino aveva ragione a dire che non erano cazzi miei tutte quelle cose di maghi e demoni. Arrivai al piano sottostante con la testa che mi girava per tutti i giri che avevo fatto sulla scala. In fondo alla scala cercai di capire dove andare ma non sapevo in che direzione muovermi. “Di qua – mi fece una voce nel buio – veni cà” Era il frate con gli occhi da furetto appoggiato ad una porta di cui teneva la maniglia. Andai verso di lui ondeggiando. Lui mi prese per un braccio e senza troppi riguardi mi spinse fuori dalla porta che aveva socchiuso. “Vatinni, curri, curri…” Mi disse con forza e quasi spaventato. Ero finito diversi metri più avanti l’entrata del monastero. Non esitai, mi misi a camminare velocemente verso la confusione che vedevo qualche centinaio di metri più in alto, passato il cinematografico bar Vitielli. Appena entrai nella folla mi girai indietro ma ovviamente non vidi nessuno. Mi inoltrai tra la folla ancora spaventato per capire cosa fare finché non sentii la voce della Moglie “Cà, veni cà … semu cà” Vidi la moglie in mezzo alla folla dall’altra parte della strada e l’attraversai senza badare alla processione dei figuranti che in quel momento arrivava. Mi trovai di fronte il diavolo vestito di rosso con il suo forcone a forma di gancio con cui tirava verso l’inferno le anime. Si avvicinò gridando brandendo il forcone quasi a volermi prendere. Feci un salto e arrivai accanto alla moglie che rideva per la scena “Ce l’ha con te – disse indicando il diavolo che ancora mi minacciava - chissà che cattiveria ha scritto su di lui….” “Io? no! chi dici mai……” feci asciugandomi la fronte. “Forse è meglio lasciare stare - mi dicevo - è meglio tornare a parlare di cannoli e di paste alla crema, queste cose delle sette sataniche e del diavolo non sono cose per  me” Pensai spaventato “Ragiuni hai…” mi disse una voce dietro di me. Mi girai di colpo per vedere chi avesse parlato sentendo i miei pensieri, ma ….  non c’era nessuno.
16 notes · View notes
girodivite · 5 years
Link
Venivano con i barconi, venivano dall’Africa. Erano gaglioffi, oggi li chiameremmo pirati, gente di malaffare, trafficanti. Il “dito puntato” sulla Sicilia, la Tunisia con il suo capo Bon, era una delle vie più facili. Ma anche costeggiando lungo la Calabria e scendendo dall’alto come uccelli predatori era possibile giungere in Sicilia con facilità. Oggi sono afgani, pakistani, ed etiopi ed eritrei, mischiati a siriani, tunisini marocchini, e gente del centro Africa: nigeriani, maliani, ghaniani. Allora si chiamavano focesi, cumesi, calcidesi. Spesso mischiati a fenici, a ciprioti, cretesi e a mille altre etnie del Mediterraneo dell’epoca.
Copertina del libro di Massimo Frasca e Dario Palermo: Civiltà egee alla scoperta dell\’Occidente.
Venivano e trovavano le popolazioni siciliane perplesse se non contrariate da simili presenze. Gente che portava disordine, che rubava, che sovvertiva l’ordine religioso. Quando andava bene, commerciavano in droga: vino, e spezie provenienti dalla profondità dell’Anatolia e dell’Estremo Oriente. Attraverso il vino e il metallo convincevano i capi più restii a tollerare la loro presenza. Quando arrivavano in pochi avevano la furbizia di trattare; quando cominciarono ad arrivare più numerosi si prendevano semplicemente quello che ritenevano gli servisse. A Leontinoi dicono, i calcidensi trattarono; a Siracusa i corinzi fecero strage. D’altronde, quando si viene con le barche e poi non sai dove parcheggiarle, ti capita il parcheggiatore esoso, oppure quello che ti fa lo sgarro: bisogna stare attenti, e quella razza di viaggiatori erano davvero “navigati”, facci tagghiati, scafati. Sfruttavano tutto quello che era possibile sfruttare: il vento e la corrente, le stagioni (si navigava solo per i pochi mesi della buona stagione); poi si tirava la barca a riva e si seminava, ci si disponeva per passare l’inverno. Era gente povera, che veniva in contatto con popolazioni altrettanto povere e ci si derubava per niente. Le eccezioni erano ricordate. Si tramanda che le mura della città di Focea furono costruite grazie alla donazione del re spagnolo di Tartesso (Argantonio). i Focei furono i primi Greci ad intraprendere lunghi viaggi marittimi e a scoprire l’Adriatico, la Tirrenia, l’Iberia e Tartesso a bordo di agili penteconteri. 
La pentecontera era un barcone con 25 vogatori da una parte e 25 dall’altra (50 vogatori, da cui il nome dato a questo tipo di barcone). Per intendersi: la nave Argo mitica era una pentecontera (e gli Argonauti erano appunto 50). La pentecontera era una nave da guerra, non a uso esclusivamente mercantile (le navi mercantili anche allora avevano il fondo tondo, per permettere di trasportare più roba). Quando si viaggia, è meglio essere preparati al peggio.
Si sparsero un po’ tutto il Mediterraneo, come il prezzemolo: ovunque c’era possibilità di attecchire, di creare un emporio, una colonia. Marsiglia (coste mediterranee della Francia odierna) fu fondata dai focei.
Qualche secolo dopo, nella distanza che tutto sfoca, si parlò di “greci” per queste popolazioni che cominciarono ad occupare le coste per poi addentrarsi cautamente all’interno dell’isola. E si ammirarono quali “monumenti” le cose che furono costruite dopo: templi, statue, monete. Man mano che gli archeologi scavavano, o i viaggiatori inglesi, tedeschi, francesi indicavano come reperti d’interesse turistico ed archeologico.
Si imparano un bel po’ di cose dalla lettura del libro di Massimo Frasca a Dario Palermo, “Civiltà egee alla scoperta dell’Occidente : Viaggi, esplorazioni, colonizzazioni” (edito dalla ragusana Edizione di storia e studi sociali). Un libro di archeologia scritto da due valenti archeologici, con taglio divulgativo ma scientifico. Nel primo, mirabile, saggio di Frasca, si parla delle città greche della fascia anatolica: Focea, Smirne, Cuma.
"La serie dei graffiti dell’agorà di Smirne costituisce, rivaleggiando con quella di Pompei, la collezione di graffiti più ricca del mondo antico" [1]
Cuma Eolica era una delle 12 città “Eolide”. Nell’VIII secolo ac, alcuni cumani e alcuni calcidesi arrivarono fino in Campania per fondare un’altra Cuma, che influenzerà Roma e avrà un ruolo culturale e religioso molto più importante di quanto normalmente si pensi. Ed Elea, che ha a che fare con Parmenide, la musica e la matematica, la filosofia e la medicina. Il saggio descrive quel che abbiamo finora rinvenuto, e l’influenza che queste città ebbero nel mondo egeo e mediterraneo “sprovincializzando” le nostre letture finora troppo concentrate sui territori siculi e dando una visione d’insieme e di più vasto respiro. Il Mediterraneo era davvero quella cosa “aperta” che Braudel ci ha indicato di contro la nostra visione “chiusa” e murata, abituata a una “cortina” marina che ancora non è caduta a differenza di quanto è avvenuto con l’arretramento della frontiera nell’Europa dell’Est e che anzi la terrorizzata Europa dei privilegi vacillanti vuole a tutti i costi ristabilire.
Il secondo saggio, quello di Palermo, ci aggiorna sul periodo pre-greco, sull’avventura e l’espansione dei cretesi (la “civiltà minoica”) in Sicilia. Oggi ne cominciamo a sapere molto di più delle poche scarne notizie che ne avevamo tramite i documenti storici greci (tutti posteriori di diversi secoli). Ancora troppo poco, ma quel poco risulta davvero affascinante e ci apre (attraverso le pagine di Palermo) intere pagine di pre-storia che non conoscevamo.
L’archeologia, così come la filologia e l’investigazione criminologica, è un logos indiziario. Attraverso la "prova" o l’evidenza dell’indizio ritrovato quale traccia dell’evento passato, si congettura l’ipotesi su "come si sono svolti i fatti". Purtroppo, in archeologia (e anche in filologia) quasi mai l’assassino confessa il misfatto. Si rinvengono oggetti, gli oggetti si cerca di interpretarli, il resto sono congetture. Se la criminologia recentemente può avvalersi di metodiche di attribuzione e di datazione "scientifiche" (es_ analisi del DNA), non così l’archeologia per cui solo il carbonio 14 e poche altre tecnologie aiutano nella datazione dei materiali organici. Per i materiali inorganici (le pietre) c’è poco e niente. Giusto l’acume di qualche archeologo che utilizza il metodo della scuola dell’arte (Warburg) per trovare similarità stilistiche tra anfore e fregi rinvenuti. Ho sempre trovato affascinante la concomitanza che criminologia e archeologia hanno avuto nei loro sviluppi, dall’Ottocento ad oggi, Sherlock Holmes e le grandi spedizioni archeologiche hanno mosso i loro passi assieme - assieme agli eserciti coloniali europei. Per il resto la ricostruzione è provare a far luce su un buio tenace.
In questo buio ciò che vediamo è spesso quello che fa parte della nostra esperienza, l’esperienza dell’"oggi". Così l’archeologia recente ha maggiormente compreso alcuni aspetti commerciali e tecnologici del passato pre-storico. Abbiamo avuto una consapevolezza maggiore delle epoche di cesura: epoche in cui per un qualche motivo "la storia" cambia (la metafora del fiume che devia o si riduce a un rivolo). Insomma, quella visione catastrofista che è propria della visione novecentesca e occidentale. Sappiamo ad es_ che "qualcosa" è avvenuto attorno al 1177 ac [2] con il "collasso" di tutta una serie di civiltà che nell’era del bronzo erano arrivate a costituire un sistema connesso (si pensi solo che lo stagno, necessario per il bronzo, proveniva dall’Afghanistan; il rame da Cipro ecc_). Qualcosa avverrà poi con l’uccisione di Archimede nel 212 ac nel settore scientifico [3].
Vicino Mussomeli (Caltanissetta) vi è il sito di Polizzello [4] su cui ha indagato Dario Palermo. Qui è il rinvenimento di un elmo cretese [5] che viene datato alla fine del VII secolo e che "costituisce sinora la più cospicua testimonianza della presenza cretese al di fuori della Grecia" [6]. Il saggio di Palermo ci riporta a una pre-storia in cui i pochi rinvenimenti archeologici dialogano con i testi che la tradizione storiografica greca e romana ci hanno lasciato e che testimoniano dei rapporti che esistevano tra Sicilia e Creta. La fondazione di Gela, in epoca post-1177. Ma (probabilmente) prima la fuga in Sicilia del mitico Dedalo, e la morte sempre in Sicilia dell’autocrate Minosse. Nel racconto di Diodoro e di Apollodoro, Minosse fu sepolto in Sicilia, e le truppe cretesi sbandate fondarono poi diverse città tra cui quella di Engyon, che divenne sede di un santuario dedicato al culto delle Madri (Matéres). Noi non sappiamo se Engyon è il sito di Polizzello o di Sant’Angelo Muxaro (per questo sito, in cui è stata rinvenuta una tomba molto grossa si è fatta l’ipotesi che potesse essere il sepolcro di Minosse [7]). E tuttavia la venerazione delle Madri rimanda non solo a una religiosità probabilmente attestata anche nella madrepatria Creta ma soprattutto a una civiltà pre-indoeuropea [8] che rimanda a un’epoca ancora antecedente quella del bronzo. Nella ricostruzione mitologica che i Greci operarono culturalmente successivamente, avvenne l’identificazione delle Madri con le donne che aiutarono Zeus bimbetto appena scampato dall’essere divorato dal padre-patrigno Kronos.
Il libro di Frasca e Palermo è davvero consigliato. I due saggi sono due viaggi, che invogliano il lettore a prendere valigia e notes e mettersi in viaggio per andare a visitare i luoghi descritti. [...]
7 notes · View notes
Text
Tre incredibili esperienze di pre-morte
Sono i casi di cui parla il dottor Theillier, medico che ha studiato i miracoli di Lourdes.
Tumblr media
Il dottor Patrick Theillier conosce bene i fenomeni soprannaturali. Cattolico convinto e impegnato, ha lavorato per dieci anni come medico dell’Ufficio delle Constatazioni Mediche del santuario di Lourdes. Insieme ad altri medici, non necessariamente credenti, si è impegnato a verificare scientificamente il carattere umanamente inspiegabile delle guarigioni ottenute per intercessione di Nostra Signora di Lourdes. Ed è proprio a partire dalle conclusioni elaborate da questo Ufficio che è stato possibile alla Chiesa giungere al riconoscimento di alcuni miracoli. Una guarigione inspiegabile è dichiarata miracolo quando l’autorità ecclesiastica competente vi riconosce un segno della potenza e dell’amore di Dio presente nella vita degli uomini, in grado di fortificare la fede del popolo cristiano. In “Quando la mia anima uscì dal corpo” (edizioni San Paolo) il dottor Theillier studia le esperienze di pre-morte, o avvenute “ai confini della morte” (conosciute con la sigla inglese NDE, Near-Death Experiences). 1) “HO FATTO UN VIAGGETTO IN CIELO” Nel 2010 Todd Burpo, un pastore della chiesa metodista del Nebraska, negli Stati Uniti, scrisse un piccolo libro, Heaven Is for Real, il Paradiso per davvero, nel quale raccontò la NDE di suo figlio Colton: «Ha fatto un viaggetto in Cielo» nel corso di un’operazione di peritonite alla quale è sopravvissuto. La storia è particolare perché Colton aveva solo 4 anni quando il fatto accadde, e ha raccontato la sua esperienza, ai genitori stupiti, in maniera occasionale e frammentaria. Le NDE dei bambini sono le più toccanti perché sono le meno inquinate, le più vere; si potrebbe dire: le più vergini. Pre-Morte più autentica nei bambini Il pediatra dottor Melvin Morse, direttore di un gruppo di ricerca sulle esperienze di pre-morte all’Università di Washington, dice: «Le esperienze di pre-morte dei bambini sono semplici e pure, non inquinate da nessun elemento di carattere culturale o religioso. I bambini non rimuovono queste esperienze come fanno sovente gli adulti, e non hanno difficoltà a integrare le implicazioni spirituali della visione di Dio». “La’ gli angeli hanno cantato per me” Ecco dunque il riassunto del racconto fatto da Colton come è riportato nel libro Heaven Is for Real. Quattro mesi dopo la sua operazione, passando in auto vicino all’ospedale dove era stato operato, a sua mamma che gli domanda se se ne ricorda, Colton risponde con una voce neutra e senza esitazione: «Sì, mamma, me ne ricordo. È là che gli angeli hanno cantato per me!». E con un tono serio aggiunge: «Gesù ha detto loro di cantare perché io avevo molta paura. E dopo andava meglio». Stupito, suo padre gli domanda: «Vuoi dire che c’era anche Gesù?». Il bambino facendo un cenno affermativo col capo, come se confermasse una cosa del tutto normale, dice: «Sì, c’era anche lui». Il padre gli domanda: «Dimmi, dov’era Gesù?». Il bambino risponde: «Ero seduto sulle sue ginocchia!». La descrizione di Dio Come è facile immaginarsi i genitori si domandano se tutto ciò sia vero. Ora, il piccolo Colton rivela che aveva lasciato il suo corpo durante l’operazione, e lo prova descrivendo con precisione ciò che ciascuno dei genitori stava facendo in quel momento in un’altra parte dell’ospedale. Stupisce i suoi genitori descrivendo il Cielo con dei particolari inediti, corrispondenti alla Bibbia. Descrive Dio come veramente grande, veramente grande; e dice che ci ama. Dice che è Gesù che ci riceve in Cielo. Non ha più paura della morte. Lo rivela una volta a suo padre che gli dice che rischia di morire se attraversa la strada correndo: «Che bello! Vuol dire che tornerò in Cielo!». L’incontro con la Vergine Maria In seguito risponderà sempre con la stessa semplicità alle domande che gli pongono. Sì, ha visto degli animali in Cielo. Ha visto la Vergine Maria inginocchiata davanti al trono di Dio, e altre volte vicino a Gesù, che ama sempre come fa una mamma. 2) IL “TUNNEL” DEL NEUROCHIRURGO Il dottor Eben Alexander, neurochirurgo americano, specialista del cervello, non credeva assolutamente ad una vita dopo la morte. Era scettico: per lui, tutti i racconti di NDE erano deliri e stupidaggini. Nel 2008 ebbe una meningite fulminante che gli fece cambiare idea. Dapprima in un articolo del settimanale americano Newsweek, e poi in un libro, racconta la sua esperienza di pre-morte. Un viaggio che l’ha convinto dell’esistenza di una vita dopo la morte. “Ero in una dimensione più vasta dell’universo” Quattro anni fa i medici dell’ospedale generale di Lynchburg, in Virginia, dove lui lavorava, gli hanno diagnosticato una rara forma di meningite batterica, che colpisce generalmente i neonati. Le possibilità di uscirne senza cadere in uno stato vegetativo erano deboli, e divennero nulle già al pronto soccorso. «Ma mentre i neuroni della mia corteccia venivano ridotti all’inattività completa, la mia coscienza, liberata dal cervello, percorse una dimensione più vasta dell’universo, una dimensione che non mi ero mai nemmeno sognato e che sarei stato felice di poter spiegare scientificamente prima di sprofondare nel coma. Ho fatto un viaggio in un ambiente riempito di grandi nuvole rosa e bianche… Molto sopra queste nuvole, nel cielo, volteggiavano in cerchio degli essere cangianti che si lasciavano dietro delle lunghe scie. Degli uccelli? Degli angeli? Nessuno di questi termini descrive bene questi esseri che erano diversi da tutto ciò che avevo potuto vedere sulla terra. Erano più avanzati di noi. Erano degli esseri superiori». Un canto celeste Il dottor Eben Alexander si ricorda di aver anche udito un suono in pieno sviluppo, come un canto celeste, che veniva da sopra, e che gli ha dato una grande gioia, e di essere stato poi accompagnato nella sua avventura da una giovane donna. Dopo questa NDE, il dottor Alexander non ha avuto più dubbi: la coscienza non è né prodotta né limitata dal cervello, come il pensiero scientifico dominante continua a ritenere, e si estende al di là del corpo. Nuova idea di coscienza «Ora, per me è – dice Alexander – cosa certa che l’idea materialistica del corpo e del cervello come produttori, piuttosto che come veicoli, della coscienza umana, è superata. Al suo posto sta già nascendo una nuova visione del corpo e dello spirito. Questa visione, a un tempo scientifica e spirituale, farà posto alla verità, che è il valore che i più grandi scienziati della storia hanno sempre cercato». 3) LA FUCILAZIONE Ecco una lettera di don Jean Derobert. È una testimonianza certificata data in occasione della canonizzazione di padre Pio. «In quel tempo – spiega don Jean – lavoravo al Servizio Sanitario dell’esercito. Padre Pio, che nel 1955 mi aveva accettato come figlio spirituale, nelle svolte importanti della mia vita mi ha sempre fatto pervenire un biglietto in cui mi assicurava la sua preghiera e il suo sostegno. Così accadde prima del mio esame all’Università Gregoriana di Roma, così accadde quando entrai nell’esercito, così accadde anche quando dovetti raggiungere i combattenti in Algeria». Il biglietto di Padre Pio «Una sera, un commando F.L.N. (Front de Libération Nationale Algérienne) attaccò il nostro villaggio. Fui preso anch’io. Messo davanti a una porta insieme ad altri cinque militari, fummo fucilati (…). Quel mattino avevo ricevuto un biglietto da padre Pio con due righe scritte a mano: «La vita è una lotta ma conduce alla luce» (sottolineato due o tre volte)». La salita in cielo Immediatamente don Jean fece l’esperienza dell’uscita dal corpo. «Vidi il mio corpo al mio fianco, sdraiato e sanguinante, in mezzo ai miei compagni uccisi anch’essi. Cominciai una curiosa ascensione verso l’alto dentro una specie di tunnel. Dalla nuvola che mi circondava distinguevo dei visi conosciuti e sconosciuti. All’inizio questi visi erano tetri: si trattava di gente poco raccomandabile, peccatori, poco virtuosi. Man mano che salivo i visi incontrati diventavano più luminosi». L’incontro con i genitori «All’improvviso il mio pensiero si rivolse ai miei genitori. Mi ritrovai vicino a loro a casa mia, ad Annecy, nella loro camera, e vidi che dormivano. Ho cercato di parlare con loro ma senza successo. Ho visto l’appartamento e ho notato che avevano spostato un mobile. Molti giorni dopo, scrivendo a mia mamma, le ho domandato perché avesse spostato quel mobile. Lei mi rispose: “Come fai a saperlo?”. Poi ho pensato al papa, Pio XII, che conoscevo bene perché sono stato studente a Roma, e subito mi sono ritrovato nella sua camera. Si era appena messo a letto. Abbiamo comunicato scambiandoci dei pensieri: era un grande spirituale». “Scintilla di luce” Ad un tratto don Jean si ritrova in un paesaggio meraviglioso, invaso da una luce azzurrina e dolce.. C’erano migliaia di persone, tutte dell’età di circa trent’anni. «Ho incontrato qualcuno che avevo conosciuto in vita (…) Ho lasciato questo “Paradiso” pieno di fiori straordinari e sconosciuti sulla terra, e sono asceso ancora più in alto… Là ho perso la mia natura di uomo e sono diventato una “scintilla di luce”. Ho visto molte altre “scintille di luce” e sapevo che erano san Pietro, san Paolo, o san Giovanni, o un altro apostolo, o il tale santo». La Madonna e Gesù «Poi ho visto santa Maria, bella all’inverosimile nel suo mantello di luce. Mi ha accolto con un indicibile sorriso. Dietro di lei c’era Gesù meravigliosamente bello, e ancora più indietro c’era una zona di luce che sapevo essere il Padre, e nella quale mi sono tuffato». La prima volta che vide padre Pio dopo quest’esperienza, il frate gli disse: “Oh! Quanto mi hai dato da fare tu! Ma quello che hai visto era molto bello!”.
La testimonianza integrale dell'abbé Derobert "Caro Padre, Lei mi ha domandato una relazione scritta a proposito dell'evidente protezione di cui sono stato oggetto nell'agosto 1958 durante la guerra d'Algeria. In quell'epoca, ero al servizio del Corpo Sanitario delle Forze Armate e avevo notato come ad ogni momento importante della mia vita, Padre Pio, che mi aveva accettato nel 1955 come figlio spirituale, mi facesse pervenire una cartolina che assicurava la sua preghiera e il suo sostegno. Uno di questi casi fu prima del mio esame all'università Gregoriana di Roma, così come al tempo della mia partenza per l'esercito, oppure quando dovetti raggiungere i combattenti in Algeria. Una sera, un commando del F.L.N. (Fronte di Liberazione Nazionale Algerino) attaccò il nostro villaggio e fui ben presto fatto prigioniero, messo davanti ad un portone con cinque altri militari e là fummo fucilati. Mi ricordo che non ho pensato né a mio padre, né a mia madre di cui ero, tra l'altro, figlio unico, ma provavo solamente una grande gioia perché «andavo a vedere ciò che esisteva dall'altro lato». Avevo ricevuto, la mattina stessa, una cartolina da Padre Pio con due righe manoscritte: «La vita è una lotta, ma porta alla Luce» (sottolineato due o tre volte). Immediatamente, feci l'esperienza dell'uscita dal corpo, e lo vidi accanto a me riverso e sanguinante in mezzo ai miei compagni, anch'essi uccisi. Ho allora iniziato ad ascendere e ad entrare stranamente in una sorta di tunnel. Dalla densa nube che mi circondava, emergevano dei visi conosciuti e non.All'inizio, questi volti erano tenebrosi; si trattava di persone poco raccomandabili, peccatori con poche virtù. Però, man mano che salivo, ne incontravo altri sempre più luminosi. Ero sorpreso di come potessi camminare... e mi dicevo esser fuori dal tempo, dunque già resuscitato... Mi stupivo di poter osservare tutt'intorno alla mia testa senza voltarmi indietro. Ero sbalordito di non aver sentito nulla per le ferite riportate dalle pallottole dei fucili e compresi che erano entrate nel mio corpo così velocemente da neutralizzare qualsiasi dolore. Subito, il mio pensiero andò ai miei genitori... E in un lampo mi sono ritrovato ad Annecy, a casa mia, e li ho visti dormire nella loro camera. Ho provato a parlare loro, ma senza successo. Ho visitato l'appartamento notando il cambio di posizione di un mobile. Molti giorni dopo, scrivendo a mia madre, le ho domandato perché lo aveva spostato. Nella risposta che mi inviò mi chiese: «Come fai a saperlo tu?» Ho pensato pure a Papa Pio XII, che conoscevo bene (ero stato studente a Roma), e immediatamente sono arrivato nella sua stanza. Si era appena messo a letto. Abbiamo comunicato per mezzo dei pensieri (telepatia; ndt), perché era un grande spiritualista. Ho proseguito la mia ascensione fino a trovarmi circondato da un paesaggio meraviglioso soffuso di una luce azzurrognola molto delicata... Non c'era tuttavia il sole «perché il Signore è la loro Luce...» come dice l'Apocalisse. Ho visto là migliaia di persone, tutte con un'età approssimativa di trent' anni, e ne ho incontrate alcune che conoscevo mentre erano in vita... La tale era morta a 80 anni... e sembrava averne 30... La tal altra era morta a 2... ed entrambe apparivano coetanee... Ho lasciato questo «paradiso» costellato di fiori straordinari e sconosciuti quaggiù. Sono salito ancora più in alto... Là, ho perso la mia natura umana e sono diventato una «goccia di Luce». Ho veduto molte altre Scintille luminose e sapevo che una era San Pietro, un'altra Paolo oppure Giovanni, o un apostolo, o quel tal Santo... Poi ho visto Maria, meravigliosamente bella nel suo mantello di Luce, che mi accoglieva con un sorriso indicibile... Dietro di Lei c'era Gesù, di una bellezza indescrivibile, e alle Sue spalle splendeva una zona di Radianza, che sapevo essere il Padre, e in cui mi sono immerso... Ho sperimentato, così, l'appagamento totale di tutto ciò che potevo desiderare. Ho conosciuto la felicità perfetta... e, bruscamente, mi sono ritrovato sulla Terra, il viso nella polvere, in mezzo ai corpi insanguinati dei miei compagni. Ho preso coscienza che il portone davanti al quale mi trovavo era crivellato dai colpi che avevano attraversato il mio corpo; che il mio abito era perforato e intriso di sangue; che il mio petto e il dorso erano macchiati anch'essi di sangue a metà coagulato, un po' vischioso... ma io ero incolume! Sono andato allora dal Comandante così com'ero. Mi venne incontro gridando al miracolo. Era il comandante Cazelle, oggi deceduto. Quest'esperienza mi ha segnato molto, senza alcun dubbio. Ma quando, affrancato dall'Esercito, mi recai da Padre Pio, egli mi scorse da lontano nel salone San Francesco. Mi fece segno di avvicinarmi e mi diede, come sempre, un piccolo buffetto affettuoso. Poi mi disse queste semplici parole: «Oh! Come mi hai fatto correre! Ma quello che hai visto, era talmente bello!» E chiuse lì la sua osservazione. Si può capire, ora, il motivo per cui io non abbia più paura della morte... poiché so cosa c'è dall'altra parte!" Padre Jean Derobert Questo documento fa parte degli atti del processo per la canonizzazione di Padre Pio. La relazione scritta ci è stata concessa a condizione di non renderla pubblica prima della canonizzazione stessa. Suor Benjamine
youtube
1 note · View note
storiearcheostorie · 7 months
Text
ARCHEOLOGIA / Ai bronzi di San Casciano il Premio per la scoperta archeologica dell'anno
#ARCHEOLOGIA / Ai bronzi di San Casciano il Premio per la scoperta archeologica dell'anno Nel 2022 la notizia del ritrovamento delle statue votive, protette per 2.300 anni dal fango del “Santuario Ritrovato”, ha fatto il giro del mondo.
Il riconoscimento è stato assegnato per la prima volta all’Italia. Nel 2022 la notizia del ritrovamento delle statue votive, protette per 2.300 anni dal fango del “Santuario Ritrovato”, ha fatto il giro del mondo. Va per la prima volta all’Italia l’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, il premio conferito per le migliori scoperte archeologiche dell’anno: ad…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Tesori nascosti nell'UE
1-Il tesoro del Capitano Kidd
William Kidd fu un navigatore scozzese, che si dedicò principalmente alla pirateria. Dopo aver ammassato una discreta fortuna, fu arrestato dalla marina inglese, nel 1699. Venne processato e giustiziato nel 1701, e la maggior parte dei suoi tesori non vennero mai ritrovati. Uno dei nascondigli del Capitano Kidd era la Gardener’s Island a New York, dove venne scoperta parte del suo tesoro, inviata in Inghilterra e utilizzata come prova delle sue scorrerie. Si ritiene tuttavia che il grosso dell’oro che Kidd ottenne attraverso atti di pirateria sia nascosto da qualche parte lungo il fiume Connecticut, negli Stati Uniti. Lo scorso maggio, però, alcuni sub dissero di averlo recuperato a largo delle coste del Madagascar.
2-Il tesoro di Schultz
Schultz, all’anagrafe Arthur Flegenheimer, fu un gangster newyorkese che operò a cavallo tra gli anni Venti e Trenta. Nel corso della sua carriera di criminale, accumulò una somma notevole: si parla di svariati milioni di dollari. Il governo americano tentò diverse volte di processarlo e di rinchiuderlo in galera, ma non ebbe mai successo, un po’ per la furbizia di Schultz un po’ perché all’epoca era concentrato sulla cattura di un malavitoso ben più temibile, il celeberrimo Al Capone. Una volta che quest’ultimo venne arrestato, Schultz, temendo la medesima sorte, si rese conto che doveva nascondere parte della sua fortuna, per nascondere ogni prova. Prese quindi 7 milioni di dollari e li seppellì in un posto segreto a New York. Le sole due persone a conoscenza dell’esatta località furono Schultz e la sua guardia del corpo, ma vennero entrambi uccisi prima di finire in prigione. Quei milioni, dunque, giacciono ancora da qualche parte nella Grande Mela…
3-Il tesoro di Napoleone
Il tesoro di Napoleone, ottanta tonnellate d’oro saccheggiate dall’esercito francese nell’autunno del 1812, sarebbe ancora intatto, sepolto sotto un cumulo di terra a poche centinaia di chilometri da Mosca. Poco tempo fa, lo storico Aleksandr Serjoghin fu convinto di averlo finalmente localizzato, con un metodo che lui stesso ha definito “alla codice da Vinci”. Segretissime, per chiari motivi, le coordinate dell’area di scavo. Il più fidato collaboratore di Serjoghin, Vladimir Poryvajev, precisò solamente che «si trova in un triangolo tra le città di Smolensk, Elnja e Kaluga. A circa trecento chilometri dalla capitale». Ancora oggi non si sa se sia stato ritrovato, ma Serjoghin è convinto di avere una mappa precisa di quel luogo grazie a un matematico russo emigrato in Francia, Roman Aleksandrovic, che ha scovato in un archivio il ritratto di un funzionario napoleonico celebre per aver sempre curato la custodia dei valori. Il quadro presenta due singolarità: il cappello a tricorno insolitamente posato per terra e un cielo stellato dipinto persino con più cura dei dettagli del resto del quadro. Secondo Aleksandrovic, cappello e posizione delle stelle nasconderebbero il segreto.
4-Il tesoro di William Thompson
Il viceré del Perù, nel 1820, volle trasportare il tesoro del Paese lontano dai rischi che la guerra contro il Cile avrebbe potuto comportare. William Thompson venne incaricato di guidare 11 navi piene di oggetti preziosi verso il Messico. Ma quest’uomo non era di certo il più affidabile al mondo: era stato un pirata sanguinario in passato, e tutta quella fortuna era troppo per poter resistere. Non appena lasciò il porto, uccise le guardie peruviane e fece rotta verso l’Oceano Indiano. La nave principale di Thompson, la Mary Dear, venne catturata poco dopo, e tutto l’equipaggio venne impiccato, tranne il capitano ed il suo primo ufficiale. Vennero mantenuti in vita, infatti, proprio per mostrare la posizione del tesoro rubato che, pare, avessero nascosto presso l’Isola del Cocco, a largo della Costa Rica. I due tuttavia sparirono nella giungla dell’isola, e non vennero mai ritrovati. Da allora, più di 300 spedizioni hanno cercato di ritrovare il tesoro, senza alcun successo.
5-Il tesoro della Devil's Tower
Sul confine del Wyoming c’è una montagna che sembra un tronco d’albero. Diverse leggende parlano di questa altura misteriosa, e della regione attorno ad essa. Si chiama “Devil’s Tower”, la torre del diavolo, si trova nella zona conosciuta come Black Hills, e ha alcune vaste ed intricate grotte sotto di essa. Alla fine del XIX secolo, alcuni cercatori d’oro si avventurarono nelle caverne, compresi tre nativi americani che avrebbero trovato un passaggio che portava alle caverne. Durante l’esplorazione del tunnel trovarono alcune ossa, fino ad imbattersi in un lago sotterraneo sulle cui sponde trovarono grandi quantità d’oro. Non potendo trasportare l’oro in superficie, gli indiani bloccarono l’entrata delle caverne, per poter tornare più tardi e recuperare il bottino. Nessuno dei tre indiani tuttavia tornò mai, e nessuno riuscì più a ritrovare la via per le caverne, e quindi per l’oro.
6-Il tesoro del lago Toplitz
Il Lago Toplitz si trova a circa 10 km di distanza da Salisburgo, nel mezzo delle Alpi austriache. Per metà dell’anno è ricoperto di ghiaccio, e la storiografia dice che durante la Seconda Guerra Mondiale un comandante della Luftwaffe avesse costruito un cottage sulle sue sponde. Il posto era un luogo ideale per testare nuove armi, per via della posizione isolata e lontana da occhi indiscreti. Si dice inoltre che i nazisti abbiano nascosto nei paraggi oro e documenti segreti, che pare si trovino tutt’oggi sul fondo del lago, in attesa che qualche fortunato li trovi.
7-Il Buddha d'oro di Manila
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’esercito giapponese, sotto il comando del generale Tomoyuki Yamashita, rubò un tesoro di ignota provenienza del valore di svariati miliardi di dollari, il quale venne nascosto in una serie di caverne sotterranee nelle Filippine. Nel 1961, Rogelio Roxas, collezionista di monete e cacciatore di tesori, incontrò un uomo di nome Fuchugami, che gli spiegò come il tesoro fosse nascosto nella città di Baguio, a circa 250 km da Manila. Un abitante locale, Eusebio Ocubo, era in possesso di una mappa disegnata da un soldato giapponese che aveva aiutato a seppellire il tesoro, e confermò a Roxas che il tesoro si trovava all’interno di alcuni tunnel, e che un pezzo del tesoro era un Buddha in oro e pietre preziose. Roxas iniziò a scavare nell’area, ritrovando una statua di quasi una tonnellata d’oro e diversi contenitori di legno colmi di lingotti. Si stima che il solo Buddha d’oro avesse un valore di 460 milioni di dollari. Attualmente il tesoro è scomparso, sequestrato dal governo filippino di Ferdinand Marcos negli anni Settanta. Si stima che il valore complessivo del tesoro ammonti ad oltre 5,3 miliardi di dollari.
8-Il tesoro di Novara
Veniamo ora alle terre italiane, ben più facilmente raggiungibili per chi volesse tentare l’impresa. Il Castello di Novara fu costruito durante il dominio di Galeazzo Visconti, verso la seconda metà del Trecento. Dal 1472 in poi, fu completamente ristrutturato per utilizzo militare prima e come carcere poi. Esiste una leggenda, con forti contorni storici, che riguarda l’esistenza di un cavallo d’oro disegnato addirittura dallo stesso Leonardo da Vinci. Pare che questo tesoro fosse stato realizzato in onore di Ludovico il Moro, e successivamente nascosto nei sotterranei del maniero, talmente bene che nessuno fu stato mai in grado di ritrovarlo. Si dice che ci sia una profonda galleria che attraverserebbe tutta la città, e che porterebbe a questi sotterranei, ma non se ne conosce l’entrata.
9-Il tesoro di Treia
 La leggenda dice che sul luogo dove oggi sorge il Santuario del Crocifisso, a Treia in provincia di Macerata, esisteva un’antica chiesa molto ricca, perché era diffuso tra i nobili offrire candelabri d’oro e d’argento, gioielli e monete alle autorità ecclesiastiche. Quando la chiesetta traboccò di ori e averi, fino a quasi non contenerli più, ci fu un fortissimo terremoto, che inghiottì questo immenso tesoro, quasi che Dio stesso avesse considerato troppo esuberante la ricchezza di quel luogo sacro. Molti ricercatori tornarono sul posto, forti di quella leggenda, scavando e cercando l’enorme ricchezza che quel terreno celava. Non era inusuale trovare, al mattino, grosse buche scavate da chissà chi, nella notte precedente. Ah, per il momento non è ancora stato ritrovato nulla.
10-L'oro del Terzo Reich
Il più intrigante mistero dell’immediato dopoguerra: dov’è finita l’immensa ricchezza depredata dal Terzo Reich in tutta Europa? Berlino, sabato 3 febbraio 1945: 950 velivoli alleati sganciano oltre 2.200 tonnellate di bombe sulla città. Il bilancio finale parla di 2mila morti e oltre 120mila senzatetto. La città è in fiamme, la maggior parte dei quartieri rasa al suolo da un bombardamento senza precedenti. Walther Funk, il direttore della Reichsbank, prende una fatidica decisione: il cuore del sistema finanziario tedesco deve salvare la riserva aurea che permetterà alla Germania di risorgere nel dopoguerra. Oltre 100 tonnellate d’oro e mille sacchi di banconote vengono velocemente stipati in 13 vagoni ferroviari e trasferiti nella miniera di sale di Kaiseroda, nell’area di Merkers, a circa 320 km dalla capitale. Il nascondiglio pensato da Funk sembra buono: 800 metri di profondità con 50 chilometri di gallerie avrebbero reso la vita difficile a qualunque ladro. E pare che tutto sia ancora lì.
1 note · View note
tiseguiro · 4 years
Text
Tumblr media
di MichaelDavide Semeraro
Fuori
Il Vangelo scelto per accompagnare questa festa un po’ stupisce: invece di essere la decantazione della bellezza e dell’importanza del luogo sacro in cui si cerca Dio nella speranza di incontrarlo, sembra proprio il contrario:
«Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio» (Gv 2,15).
Il Signore Gesù sembra comportarsi come un “buttafuori” e davanti a questo gesto così forte da ricordare lo stile profetico di Geremia, sempre alle prese con la questione del Tempio, «i Giudei presero la parola» (2,18). Il testo che accompagna questa liturgia sembra pensato da Giovanni come un paradigma di tutto il ministero del Signore Gesù che, profeticamente, rivela un modo nuovo di comprensione del rapporto con Dio, che si esprime in particolare nel modo di vivere il segno e i segni del culto. Il Vangelo comincia così: «Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme» (2,13) e si conclude con questa nota che, posta all’inizio del Vangelo, non può che essere fondamentale per la sua comprensione: «Quando fu poi risuscitato dai morti...» (2,22).
Come tutti gli aspetti della vita di fede, così pure il modo di vivere il culto e di costruire e abitare i luoghi della preghiera devono obbedire a una logica pasquale e non a una logica, per così dire, sacerdotale e sacrale. L’apostolo Paolo sembra quasi metterci in guardia: «Ma ciascuno stia attento a come costruisce» (1Cor 3,10) e aggiunge
«nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (3,11).
Rimane aperta la domanda se sia il santuario a rendere santi i fedeli, o i fedeli a rendere santo il tempio. Sempre, entrando in una chiesa per pregarvi personalmente o per partecipare alla liturgia comune, facciamo esperienza di sentirci un poco più vicini al Signore e al mistero della sua presenza in noi e tra di noi. Ogni volta che ci sentiamo un poco più vicini, non possiamo che farci sempre più prossimi, per far sì che la fragile pietra che siamo diventi forte e fondata a motivo della prossimità con il Signore della nostra vita che abita in mezzo al suo popolo. L’unico fondamento è Cristo ed è lui che oltre a dare la solidità della pietra dona pure la vivificante acqua che permette la vita e il dinamismo di vita secondo la parola del profeta:
«vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente» (Ez 47,1).
Così siamo come delle pietre vive che affondano le loro radici nell’acqua, nella ferma speranza di poter germogliare. Per questo dobbiamo tenerci legati a Cristo come le pietre, l’una sull’altra e l’una con l’altra, si poggiano sulla pietra di fondazione, ma siamo anche chiamati a lasciare che il Signore scacci da noi tutto ciò che impedisce alla pietra del nostro cuore di aderire totalmente a Lui: come il muratore pulisce le pietre prima di stendervi la malta e accostarle le une alle altre, nella speranza che diventino una sola cosa.
Il segno che la Chiesa è fondata su Cristo è che sia un luogo di vita, e il sintomo della vita è ciò che si canta nel salmo responsoriale: «Un fiume rallegra la città di Dio». La Chiesa che i santi Padri definiscono come il Paradiso ritrovato è allietata da quel «fiume» che è Cristo e diventa così capace di rallegrare e allietare l’umanità intera, offrendosi come un luogo sereno, quasi un porto sicuro.
https://www.nellaparola.it
0 notes
lamilanomagazine · 1 year
Text
Modena, la mostra “DeVoti Etruschi” e il programma di iniziative con l’archeologo Jacopo Tabolli
Tumblr media
Modena, la mostra “DeVoti Etruschi” e il programma di iniziative con l’archeologo Jacopo Tabolli.   Inizia martedì 28 febbraio con Jacopo Tabolli, l’archeologo che ha ritrovato lo straordinario deposito di statue in bronzo del santuario di San Casciano dei Bagni, il programma di iniziative collegate alla mostra “Devoti Etruschi” in corso al Museo Civico di Modena. L’appuntamento è alle 21, nelle sale al terzo piano di Palazzo dei Musei (largo Porta Sant’Agostino). L’ingresso è gratuito ma è necessario prenotarsi ([email protected]; 059 203 3125). Jacopo Tabolli, trentottenne ricercatore in Etruscologia e Antichità italiche all’Università per stranieri di Siena, è il direttore scientifico dello scavo archeologico che ha permesso il recupero di una straordinaria testimonianza del culto dal santuario di San Casciano dei Bagni, nel senese: un deposito di oltre venti statue in bronzi raffiguranti le divinità venerate nel santuario e gli offerenti che lo frequentarono, ex-voto anatomici e migliaia di monete. Le offerte furono deposte da nobili famiglie etrusche e romane fra il II e il I secolo a.C., in un’epoca di passaggio tra le due popolazioni in quell’area. Ed è proprio in quest’epoca di grandi conflitti fra Roma e le città etrusche che il santuario di San Casciano dei Bagni, così come quello di Veio, protagonista della mostra modenese, svolge una straordinaria funzione di conciliazione culturale, religiosa, linguistica all’insegna dei culti collegati alla “sanatio”. A questo proposito proprio nel confronto tra gli ex-voto anatomici di Veio e quelli di San Casciano, come spiegherà Jacopo Tabolli, si apre una pagina nuova di studio sulla medicina etrusca e poi romana. “DeVoti Etruschi”, allestita nella Sala dell’Archeologia del Museo Civico, espone oltre cento ex-voto in terracotta provenienti dalla città etrusca di Veio raffiguranti devoti, statue, busti e volti di adulti e bambini ma anche parti anatomiche, membra e organi oltre a raffigurazioni di animali. Le iniziative collegate alla mostra proseguono con cadenza mensile fino a dicembre 2023: si alterneranno appuntamenti a ingresso gratuito rivolti a diverse tipologie di pubblico, dagli incontri con esperti ai laboratori per bambini e famiglie. A marzo il programma continua: sabato 11 un laboratorio rivolto ai bambini dal titolo evocativo “Anima e corpo”, per realizzare con l’argilla piccoli oggetti votivi del tutto simili a quelli esposti; domenica 26 lo staff Le Coiffeur di Modena trasforma la sala dell’Archeologia in un salone di bellezza e, a partire dalle raffigurazioni femminili esposte in mostra, interpreta e attualizza le acconciature etrusche per tutte le visitatrici che vorranno acconciarsi all’etrusca. Programma completo su museocivicomodena.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
1 note · View note
pantutwist · 4 years
Text
Il seicentesco Santuario...
“Il seicentesco Santuario della Madonna di Passoscio sorgeva su una piccola radura, lungo il sentiero che tra bei cespugli di ginestre e cistus si inerpicava verso lo spartiacque che delimitava la Valle del Nervia da quella della Roja. Il signor Pittaluga, che era genovese e aveva una casetta presso Pigna, ci raccontò che la chiesa risaliva al XVII sec. ed era molto cara ai pignaschi. La sua fabbricazione, ci spiegò, derivava dal fatto che un lontano giorno un giovane pastore avrebbe trovato quassù un quadretto raffigurante l’Annunciazione. Portatolo a casa, il dipinto il giorno successivo scomparve, per essere poi ritrovato nel luogo dove sorge ora il santuario. A questo punto il pastore lo consegnò al sacerdote (rettore...N.d.T.) della parrocchia di San Michele, ma il quadretto sparì nuovamente per essere ancora una volta rinvenuto nel solito posto. Il sacerdote, anche lui confuso, lo collocò provvisoriamente nella vicina chiesa dedicata a Sant’Antonio. Successivamente, la devozione verso la Madonna e questa tela (Madonna del Monte...N.d.T.) da parte degli abitanti di Pigna indussero la Chiesa ad edificare nel luogo del ritrovamento una cappella, che più tardi fu ampliata nelle attuali forme, con un pregevole altare barocco (esiste almeno un’altra leggenda legata a questa bella chiesa di campagna...N.d.T.). Gloria era incantata dal sito, ma anche un po’ contrariata per aver dimenticato le sue tele e i colori giù in paese. Da un po’ di tempo era distratta, sembrava celasse qualche cosa e a volte sembrava perdesse il contatto con la realtà” (”Viaggio in Italia” 1912 - PantuTwist - Traduzione).
Tumblr media
Madonna di Passoscio - Pigna - Val Nervia (IM). Sullo sfondo il Monte Bignone, con a sinistra il borgo di Bajardo.
0 notes
frapiervi · 4 years
Text
Tumblr media
Bronzetto votivo (VIII sce. a,C.)
Ritrovato ad Olimpia nel santuario Panellenico e si credo che sia dedicato a Zeus.
La forma del cavallo era realizzata con il bronzo che veniva versato in due stampi di cera dando vita ad una figura dalle zampe possenti, collo lungo e vita stretta. L'occhio è stato invece scavato e successivamente lucidato. Il cavallo è perfettamente proporzionato ed equilibrato, proprio come vuole l'acribia greca.
La figura del cavallo era ricorrente in quanto rappresentava l'aristocrazia.
0 notes