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#Stasera tutto è possibile
fujikoi · 4 months
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ci sarebbe interesse per una comunità dedicata alla tv italiana? tv in generale
qualcuno l´ha già creata?
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Oggi mi manchi un po' più di ieri e di te ciò che mi manca di più sono le nostre risate, fare gli scemi insieme era uno dei pilastri su cui si fondava il nostro rapporto (qualunque sia l'etichetta che vogliamo dargli) e ridere mi manca, commentare le puntate dei nostri programmi mi manca, mi manca davvero tanto. Spero che nonostante non potrò mai averne conferma hai saputo che sono ricominciate le puntate di Step, io l'ho scoperto oggi perché è passata la pubblicità su rai 2, già due puntate mi sono persa pensa te ma le sto recuperando. Spero con tutto il cuore che abbiamo riso e rideremo alle stesse scene, anche se in alcuni momenti verrebbe d'istinto prendere il cellulare per poter scriverci di quanto era buffo Izzo con il costume da margherita, quanta è stata comica la scena in cui hanno provato a sollevare Paolantoni senza riuscirci tenendolo di culo, come faceva ridere Miccio con sempre lo stesso suono in rumori di mimo o gli alieni all'unisono u-fotografo e tante altre battute alla caccia bendata dei pouf, i cuori e i giocatori di biliardino in do re mi fa male e ancora quanto somigliava il costume di Friscia nella serenata step a quello che indossava nello slogan cuuurryy che tanto ci faceva ridere o quanto faceva ridere Ballerina come compositore musicale nella stanza inclinata e poi quanto si sentiva la mancanza della Guetta e le scene di colabròòò, ti avrei preso in giro dicendoti senti il maestro Ciro Cino sta suonando le canzoni di Sanremo per la tua gioia durante uno dei nostri giochi preferiti ruba gallina che ha vinto la Maionchi prendendo ben due polli insieme e tante altre scene divertenti che divertenti lo sono lo stesso ma con te lo sarebbero state molto di più. E poi stasera c'è Crozza e l'Eredità sai mi sono chiesta che cosa hai pensato e che faccia hai fatto quando un po' di settimane fa alla ghigliottina c'erano quelle due "nostre" parole insieme F & F io ho sgranato gli occhi, ho riso e ho guardato verso la finestra pensandoti con un mezzo sorriso sul volto, ma un sorriso nostalgico. O quanto sarai stato contento tu insieme alla tua famiglia quando pochi giorni fa finalmente è stata eliminata Silvia da Don't forget the lyrics, penso tua mamma abbia stappato lo spumante l'acqua frizzante. Vedi anche ste battute chi le può capire se non tu. E poi Crozza è veramente più noioso senza di te ma qualche risata ci esce lo stesso, certo che mira il dito non smetterà mai di farmi pensare a varie nostre scene dallo screenshot, all'adesivo a soprattutto quell'incontro sulla prima panchina quando hai fatto no con il dito per quello che avevo appena detto su una scena del tuo racconto. Ah le panchine il nostro posto dei ricordi, sedermi su una panchina mi fa sempre pensare a te, a quel noi che non esiste più.
Quindi non mi resta che augurarti buon Crozzadì e Stepdì ormai passato <3
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enricaleone91 · 2 years
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Nell’intrattenimento di Rai Uno tornano i flop
#ascolti dal 18 al 24 marzo
Analisi ascolti 18 – 24 marzo. Generale calo su tutte le reti. Bene le fiction, male l’intrattenimento Rai.  Al primo posto la partita della nazionale contro l’Inghilterra per le qualificazioni ai prossimi europei. Secondo posto per la prima puntata del serale di Amici (sabato 18). Secondo e terzo posto per le puntate finali de Il commissario Ricciardi 2 che nell’appuntamento del martedì riesce…
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vabbè io la butto là non uccidetemi ma considerando che ci sono all'incirca 20 problemi tecnici/fonici a serata non è che a parte per quelli ovvi tipo il volume della voce sballato che non si sente sotto la musica o simile ecco non è che magari i fonici il loro lavoro lo sanno fare e in realtà il problema sono proprio i cantan- [sparo]
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aurozmp · 8 months
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stasera proverò ad usare tumblr come quando ero ragazzina, come quando nessuno mi conosceva e il sentirmi giudicata era l’ultimo dei miei pensieri. è da un po’ che sento il bisogno di sfogarmi qui sopra ma sono costantemente frenata da una sorta di paura apparentemente senza senso. mi sono ripromessa più e più volte di non cedere alla tentazione e di non commettere azioni che potessero ferire la mia salute, fino all’altra sera. un paio di giorni prima dell’accaduto la vocina nella mia testa, che tanto mi ha tenuta compagnia per molti anni, si è fatta sentire rumorosamente, impavida come non mai. ho cercato di frenarla, di non ascoltarla e fare finta di niente. ci ho provato, ma è bastato essere un minimo su di giri che ho ceduto all’impulso. io continuo a dire che non so perché l’abbia fatto, che non ho ragioni per aver commesso una cosa simile ma la verità è che aspettavo questo momento da tempo. l’ho assaporato, ho tolto tutto ciò che in mia convinzione mi deforma e continuato finché di me non è rimasto solo ossigeno nei polmoni. inutile dire che io ora sto facendo finta di niente, sto vivendo le mie giornate come se nulla fosse successo, come se io stessi comunque bene. ho paura che questa sia la classica “goccia che fa traboccare il vaso” perché è così che funziona. parlarne è difficile, ammettere agli altri, a voce alta, tutto questo è vergognoso, umiliate. mi sento umiliata da me stessa e questo odio smisurato verso le mie azioni mi costringono a pensare che oramai farlo una, due, tre, cento volte non cambi la situazione. sono delusa del mio comportamento, sono delusa perché ora come ora posso dire con certezza che queste sono scelte prese e ben pensate. che una parte di me sapeva che in quella determinata situazione e circostanza sarebbe stato semplice, che sarebbe andato tutto secondo i piani che la mia parte malata idealizzava da tempo. io non voglio rimproverarmi troppo, ho timore nel farlo. vorrei solo capirmi meglio e cercare di consolarmi ma è così difficile. appena incontro un problema lo scanso, ci passo sopra, lo evito. non riesco ad affrontare niente senza la paura di crollare e questa cosa prima o poi mi si ritorcerà contro. mi sento sola in questa situazione, mi sento non capita da chi mi sta intorno, da chi fa finta di niente nonostante sapesse determinate cose. mi sento presa in giro. mi tengo impegnata il più tempo possibile, mi riempio di cose da fare per non concentrarmi su quanto io, anche se in modo più lento e meno continuativo, mi stia rovinando. la sera a letto, quando sono da sola, non riesco a evitare tutto questo e ogni notte sono terrorizzata da ciò che la mattina seguente dovrò affrontare, per ciò che la mia mente ha pensato nel mentre sono circondata da buio e silenzio, e che la parte razionale quando mi alzo dal letto il giorno dopo deve affrontare.
e niente, tutto qui, per ora
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solosepensi · 7 months
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Le 36 domande
1. Potendo scegliere chiunque nel mondo, chi vorresti avere come ospite a cena?
2. Ti piacerebbe essere famoso? In che ambito?
3. Prima di fare una chiamata al telefono, ti capita mai di esercitarti in quello che devi dire? Perché?
4. Quale sarebbe un giorno perfetto per te?
5. Quand’è stata l’ultima volta che hai cantato da sola/o? E davanti a qualcun altra/o?
6. Se potessi vivere fino all’età di 90 anni e conservare la mente o il corpo di un trentenne per gli ultimi 60 anni della tua vita, quale vorresti?
7. Hai un pensiero segreto su come morirai?
8. Elenca tre cose che tu e il tuo/la tua partner sembra abbiate in comune.
9. Per cosa ti senti più grato/a nella vita?
10. Se potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei stato/a cresciuto/a, cosa sarebbe?
11. Prenditi quattro minuti e racconta al/alla partner la storia della tua vita il più dettagliatamente possibile.
12. Se potessi svegliarti domani avendo acquisito una qualsiasi qualità o abilità, quale sarebbe?
13. Se una sfera di cristallo potesse dirti la verità su te stesso/a, sulla tua vita, il tuo futuro o su altro, cosa sceglieresti di sapere?
14. C’è qualcosa che hai sognato di fare da tempo? Perché non l’hai fatto?
15. Qual è il traguardo raggiunto più importante della tua vita?
16. Cosa valuti maggiormente in un’amicizia?
17. Qual è il tuo ricordo più caro?
18. E il peggiore?
19. Sapendo che in un anno morirai, cambieresti qualcosa del modo in cui stai vivendo? Perché?
20. Che cosa significa l’amicizia per te?
21. Che ruolo hanno nella tua vita l’amore e l’affetto?
22. A turno condividete qualcosa che considerate una caratteristica positiva del vostro/della vostra partner, per cinque volte.
23. Quanto è stretto il rapporto con la tua famiglia? Pensi che la tua infanzia sia stata più felice rispetto ad altre?
24. Che rapporto hai con tua madre?
25. Dite tre frasi vere con “noi”. Per esempio: “Siamo entrambi in questa stanza…”
26. Completa questa frase: “Vorrei avere qualcuno con cui condividere…”
27. Se dovessi diventare un amico/a stretto/a con il/la partner, spiega cosa sarebbe importante che lui/lei conoscesse.
28. Di’ al tuo/alla tua partner che cosa ti piace di lui/lei; sii molto onesto/a, dicendo cose che magari non diresti a una persona che hai appena conosciuto
29. Condividi un momento imbarazzante della tua vita
30. Quando è stata l’ultima volta che hai pianto di fronte a qualcuno/a? E da solo/a?
31. Di’ al tuo/alla tua partner qualcosa che già ti piace di lui/lei.
32. Quale argomento – se esiste – è così serio che non ci si può scherzare?
33. Se tu morissi stasera senza possibilità di comunicare con nessuno/a, quale sarebbe la cosa che rimpiangeresti maggiormente di non aver detto a qualcuno/a? Perché non gliel’hai ancora detta?
34. La tua casa, con tutto ciò che possiedi, prende fuoco. Dopo aver salvato le persone che ami e gli animali, hai il tempo per fare un’ultima corsa in sicurezza per salvare un solo oggetto. Quale sarebbe? Perché?
35. Tra tutte le persone della tua famiglia, la morte di chi ti colpirebbe di più? Perché?
36. Condividi un tuo problema personale e chiedi al tuo/alla tua partner un consiglio su come lui o lei lo affronterebbe. Chiedi anche di descriverti come sembra che tu ti senta riguardo al problema di cui hai scelto
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rodicano · 8 months
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La sua mano andava su e giù morbida sul cazzo.
Quando scendeva gli scopriva quasi completamente la cappella, poi risaliva.
Senza stringere troppo. La sua mano piccola ed elegante scorreva sul cazzo turgido.
Lui si lasciava sfuggire un gemito soffocato.
Lei sospirava.
“Per quanto devo andare ancora avanti amore?”
“Finché lo dico io scema e non andare di fretta”
“Scusami amore ma lo sai che non mi piace…”
“Ma smettila troia che a te basta avere a che fare con un cazzo e sei felice…”
“No lo sai che voglio solo…”
“Stai zitta e muovi la mano piano”
Lei era completamente vestita ed elegante, si era sbottonata appena un po’ la camicetta, così da poter al massimo intravedere il reggiseno in pizzo. Era seduta con le gambe accavallate dei pantaloni da cavallerizza beige e i suoi stivali lucidi neri, alti fino ginocchio.
Lui invece era nudo in ginocchio davanti a lei un po’ di lato per offrirle il suo cazzo senza che lei dovesse sporgersi.
Teneva le mani dietro la schiena mentre sporgeva il bacino per avvicinarle il più possibile il cazzo.
“Forse è meglio che mi fermi, lo sento pulsare ci siamo quasi”
“Si fermati un attimo conta fino a cinque e ricomincia”
Lei toglie la mano e lo guarda con un dolce sorriso di scherno e comincia a contare sottovoce lentamente sfiorandolo sulla punta del cazzo prima con il pollice, poi l’indice, poi il medio, poi l’anulare ed in fine il mignolo.
Lui si perde nei suo occhi mescolando amore e desiderio.
Lei gli riprende in mano il cazzo e ricomincia a scivolare su e giù
Il contatto è sempre più morbido, lento, ora sale e scende di pochissimo.
Lui soffre e cerca di spingere il bacino per aumentare il contatto o lo sfregamento.
“Uffa amore sono stanca, posso smettere?”
“Ora ferma la mano e stringi appena”
Lui cerca muovendo il bacino di continuare la sega in qualche modo.
“Che pena…”
“Rimani ferma.”
Bastano pochi secondi ed il cazzo si irrigidisce e spruzza fuori una discreta quantità di sperma che disegna una arcipelago biancastro sugli stivali lucidi.
Lei riesce appena in tempo a togliere la mano lasciandolo eiaculare a vuoto rivolgendogli uno sguardo sprezzante.
“Ecco è venuto amore: che schifo.”
“Passamelo”
Lei porge il cellulare al fidanzato quasi piegato dall’orgasmo rovinato.
“Ringraziami e lecca tutto cornuto”
“Grazie”
“Grazie di cosa coglione”
“Grazie di avermi permesso di venire”
E si china a pulire gli stivali della fidanzata.
Lei si riavvicina il cellulare.
“Sei contento amore, sono stata brava?”
“Abbastanza”
“Allora mi scopi stasera?”
“Si fatti portare dal cornuto da me dopo cena”
“Grazie amore, posso fermarmi da te?”
“No che devo alzarmi presto domani, digli al coglione che ti deve aspettare in macchina”
E chiude la telefonata senza nemmeno salutarla.
Lui intanto aveva finito di pulirle gli stivali.
Lei gli carezza la nuca.
“Sei contento che sei riuscito a venire anche tu tesoro?”
“In qualche modo” biascica lui.
“Accontentati, l’ho fatto solo per far divertire Marco.”
Poi controlla che le abbia pulito per bene gli stivali e si accorge che il fidanzato cercava di sbirciare dentro la sua camicetta. La richiude e gli sorride bonaria.
“Vai a vestirti che sei ridicolo, prepara la cena che poi devi accompagnarmi da lui stasera.”
Lui alzandosi si avvicina e le sfiora le labbra con un bacio.
“Ti amo”
“Lo so che mi ami, ma lui mi scopa invece.”
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catsloverword · 1 year
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Parte 1... Tutto inizia qui...
È un tardo pomeriggio di fine settembre, o forse ottobre, l'autunno è ormai ben visibile nei colori, negli odori e nel clima.
Lei e lui si incontrano, per la prima volta, davanti al piccolo porticciolo.
Lei, seduta sulla panchina di pietra ad ammirare il lago, volta le spalle all'arrivo di lui.
- "Buonasera dottoressa, aspetta qualcuno?“ pronuncia con la sua voce calda, inconfondibile.
La fa sussultare ed il cuore pare impazzito ma riesce ancora a contenere la gioia. Si volta lentamente, lei, quasi a voler fermare quel momento, per fotografarlo così nella memoria, per goderne il più possibile, 'ché nulla è più perfetto di quell'istante.
- "Aspettavo la sua compagnia, buonasera a lei"
- "Posso sedere qui, accanto a lei?" chiede, prendendole la mano e sfiorandola con le sue labbra.
- "Può far di meglio, in verità. Può prendere il mio posto, io mi spingerò avanti." Risponde lei. Lei che, appena lui si è accomodato, si appoggia al suo petto, sulla spalla sinstra. Lui la abbraccia, che l'estate è finita e si sente, e così stretti in silenzio guardano il tramonto...
- "Faccia attenzione, dottoressa, che la licantropia non mi è aliena..." le sussurra, poi, all'orecchio.
- "Lo ricordo bene e stasera, la luna, sarà piena... " risponde lei, senza nascondere, nella voce, una punta di malizia.
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E ora come lo scrivo che ti ho pensato per tutto lo spettacolo di stasera, che ho avuto dei colpi al cuore e troppi flashback di noi, di te.
Che il tizio sul palco con il tuo stesso nome non aveva solo quello uguale a te ma mi sembravi proprio tu, il viso con quella barbetta che ho iniziato ad adorare proprio grazie a te, i capelli ribelli scuri, le stesse movenze, lo stesso modo di ridere e scherzare, nella mia testa quasi la stessa voce e anche lo stesso modo di fare lo scemo in quel tuo modo speciale, ecco era come averti davanti un'altra volta e credimi quando il tuo omonimo stava facendo lo scemo cantando t'appartengo e si è girato verso il mio lato facendo finta di mandare un bacio ho sentito un pugno al cuore di nostalgia e mancanza.
Ma nonostante tutto sono comunque crepata dalle risate anche se ho immaginato fortemente di averti affianco per ridere insieme come prima, ti avrei detto ma l'altro tizio sta imitando la risata di Friscia? Quella risata che ci faceva sbellicare dal ridere a Stasera tutto è possibile e a tal proposito il giochino di Ghost che ha fatto fare ai due poveri sfortunati del pubblico era chiaramente preso da step, quello che uno si mette dietro e sostituisce le mani di quello che sta davanti ma entrambi bendati. Ho riso anche per te perché so che ti saresti rotolato dalle risate come mi scrivevi sempre durante quelle puntate dei nostri programmi preferiti.
Ma so che non saresti mai potuto essere tu quello sul palco, tu che detesti la confusione e vuoi restare sempre in disparte, su un palco a fare tutte quelle cose, sarebbe proprio impossibile.
Ti voglio mandare un bacio sulle ali del vento o sulla scia di una stella, non è un bacio d'amore è un bacio nostalgico bagnato di lacrime e pieno di risate, spero possa raggiungerti e cullare i tuoi sogni stanotte. Ti voglio bene e anche se non ci sentiamo più resti importante per me <3
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tuttotv · 2 years
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Stasera tutto è possibile, ospiti della puntata di lunedì 20 marzo 2023
Lunedì 20 marzo 2023, in prima serata su Rai2, torna il comedy show Stasera tutto è possibile, condotto da Stefano De Martino.  (more…) “”
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enricaleone91 · 2 years
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Antonella Clerici non si ferma più
#ascolti #analisi #auditel 25 febbraio - 3 marzo
Analisi auditel 25 febbraio 3 marzo 2023. Rai Uno vince sia con la fiction (quasi sempre) che, finalmente, anche con l’intrattenimento. Al primo posto Fiori sopra l’inferno, la fiction con protagonista Elena Sofia Ricci, in sole tre puntate, ha conquistato e mantenuto il pubblico incollato a lei. Bene anche Che Dio ci Aiuti 7, tornato alla sua collocazione normale. Tale e quale a Sanremo, orfano…
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unfilodaria · 2 months
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Sicuramente è tedioso, per voi che mi leggete (e avete la forza di farlo) sentirmi parlare sempre della stessa persona (ormai, ad intervalli più o meno regolari, che saranno? 13 anni? Probabilmente si). Ma il pensiero è ricorsivo (stasera non riesco a fare a meno di questa parola). É un rigurgito di pensieri e ricordi: più li voglio allontanare da me e più ritornano, e più aggrediscono gli spazi vuoti della mia mente. Ora sono più forti loro. Arrivano all’improvviso, si allargano e si dilatano, prendono tutto lo spazio possibile, scacciando e relegando in spazi angusti tutto il resto. É la persona di cui ho parlato e scritto di più nella mia vita. A volte me ne meraviglio anch’io. Ma è così. Perché lo faccio? Non lo so, non ho potere di controllo su di lei, anche quando condividevamo lo stesso spazio e respiravamo la stessa aria. C’era lei, solo lei. Ingombrante, invasiva ma totalizzante. L’altra faccia della medaglia. Il mio contraltare, la mia antagonista, il mio pensiero amorevole, il mio chiodo fisso, il mio odio e il mio amore. La persona che ti faceva incazzare più di ogni altra cosa e, nel contempo, quella che ti faceva ridere, che ti metteva all’angolo, che si lasciava osservare a lungo (“guarda avanti, non ti girare”). La persona che non volevi più ascoltare ma quella che in fondo volevi sempre accanto a te. Colei a cui chiedevo consigli, ponevo domande, anche se insisteva nel dirmi che non la stessi ad ascoltare. Insomma lei è solo lei, anche quando desideravo, con tutto il cuore. starle chilometri lontano perché non la reggevi più. Insomma lei.
Ora ne scrivo con la speranza che tale azione risulti catartica. Un buttare fuori tutto quel che mi agita, in una sorta di enorme pulizia di primavera, un gigantesco cambio di stagione, un epocale trasloco da me stesso. Ne scrivo e non so neanche più se mi manca davvero o è solo la disperazione per liberarmi da questo malsano senso di schiavitù del pensiero.
La banale verità è che mi manca più di quanto potessi immaginare. Va così e non ci posso fare nulla se non aspettare.
Adda passà 'a nuttata
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nusta · 4 months
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Stasera mi sono dedicata alla lettura e di nuovo con Sortilegi di Bianca Pitzorno ho cominciato e finito tutto d'un fiato. Anche questo è un libro breve, composto da tre racconti, il primo più lungo ed elaborato, gli altri velocissimi. Tante emozioni, dolcezza, sorpresa, rabbia e frustrazione, più il piacere di leggere un italiano "anomalo", perché viene in parte ricreato lo stile dell'epoca dei fatti, ambientati nel corso del Seicento. Mi è sembrato di tornare sui banchi di scuola a leggere i brani delle antologie di letteratura *_*
A riattizzare negli animi la paura della strega ci fu, sul finire di settembre, il caso di Guido di Cesco Arrighi, il quale era stato, come ognuno avea a mente, uno dei primi, insieme al Lapo e al Vieri suoi compagni, a dire d’aver scorto la sconosciuta in fondo alla valle. Guido in quei giorni avea tolto in moglie la figliola di Agapito Grazzini, una giovane sana e ben formata che si nomava Porzia, ma con suo gran sconcerto né la notte degli sponsali né le notti e i dì seguenti gli riuscì di compiere con essa l’unione coniugale. E ciò, come fu appurato più tardi, non a causa di qualche difetto della sposa o della di lei estrema ritrosia, siccome vergine e d’età assai acerba, ma per la propria impotenza, ché ad ogni nuovo assalto Guido si ritrovava col membro intirizzito e privo d’alcun vigore. La vecchia Lisabetta di Poggio Alto, chiamata a dar consiglio e rimedio come colei ch’era esperta nell’arte di raccogliere i putti alla nascita e d’ogni malanno femminile, dopo aver tentato invano di fortificare lo sposo con brodo di cappone nel quale erano bolliti a lungo de’ chiodi di garofano e noce moscata, disse che se questo ottimo medicamento non avea sortito alcun effetto, la cagione del male era da ricercarsi in qualche malocchio o legatura gettati sullo sposo dalla strega di Vallescura. Guido protestò non esser ciò possibile, giurando per tutti i Santi di non essersi mai accostato alla sconosciuta sì da esserne toccato, di non aver mangiato alcun cibo dalla mano di lei, anzi, di non esser mai stato da lei nemmanco veduto, cosa di cui era certissimo. Ma gli fu risposto che simili streghe e maliarde sanno lanciar sguardi senza parere e che tale è la forza di questi sguardi da compiere guasti d’ogni sorta negli uomini, negli animali e nelle cose.
Alla fine del primo racconto c'è anche una breve bibliografia sulla stregoneria e i processi alle streghe, per chi volesse approfondire. Se fossi un'insegnante lo farei leggere alle mie classi, siccome sono solo zia aspetterò che le mie nipotine abbiano l'età giusta per consigliarlo pure a loro. Mi sa che alla prossima occasione lo regalerò a mia mamma, insieme a "Il sogno della macchina da cucire".
Queste storie di donne del passato sono davvero preziose, sono proprio contenta di aver "riscoperto" questa autrice *_*
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voracita · 4 months
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La vita di nessuno.
Non la dimentico la violenza con cui sono stato bullizzato circa 50 giorni fa, qui su Tumblr. Aggredito pubblicamente per la sola colpa di aver rifiutato con cortese fermezza il suggerimento di rivolgermi a uno "specialista" per esporre le mie sofferenze, in modo che le stesse fossero adeguatamente "medicalizzate" anzichè essere condivise su questo blog.
Non la dimentico anche perchè in questi ultimi due mesi ho dovuto accettare, e ancora non ci sono riuscito del tutto, l'ulteriore, ennesimo peggioramento del mio isolamento sociale. In particolare, ho dovuto rendermi conto, a poco a poco, che l'unica persona che consideravo e considero ancora come vera amica, come persona di cui fidarmi e a cui confidarmi, ha esaurito lo spazio fisico e mentale per la nostra già molto limitata relazione. In altre parole è completamente assorbita dalla sua vita e dai suoi problemi che sono, intanto, a loro volta peggiorati. Al di fuori di questo rapporto, in cui ho investito tantissimo in tutti gli ultimi anni, non mi è rimasto assolutamente niente, nient'altro che il deserto. Per anni e anni, direi quasi decenni, ho sempre avuto, e coltivato in qualche modo, conoscenze antiche e nuove con persone magari fisicamente distanti, e tuttavia vicine e avvicinabili tramite l'email, la chat, in qualche caso il telefono. Purtroppo i cambiamenti della mia vita negli ultimi anni, fra cui in particolare il peggioramento di certi aspetti della mia salute, il burnout causato da un lavoro che sin dall'inizio sapevo essere pessimo, e che non posso cambiare, le problematiche familiari in molti periodi piuttosto gravi, e non ultimo il covid, hanno irrimediabilmente annichilito tutti questi vecchi rapporti, e ciò che ne restava.
Fuori da internet, ciò che mi resta è una città di provincia piccola e priva di opportunità di socializzazione, specie per una persona non più giovane come me. La salute mi limita ulteriormente, e d'altra parte proprio la solitudine in un certo senso genera anche un peggioramento della salute, e il circolo vizioso in questo senso si autoalimenta. L'ambiente di lavoro, che comunque assorbe buona parte del mio tempo esistenziale, è completamente off-limits, nel senso che è ormai impossibile sperare di costruirvi relazioni autentiche di qualsiasi tipo. Gli ultimi tentativi di tipo sentimentale/sessuale sono stati estremamente disastrosi, e quanto al resto, semplicemente dovrei adattarmi a farmi piacere persone abituate a un modo di vivere e di relazionarsi che è estremamente diverso dal mio.
Parlando invece dei rapporti che possono nascere online, senza dilungarmi in considerazioni sociologiche, internet non è più quello di un tempo e, evidentemente, neanche io sono più er ghepardo di una volta (sarà stato il buco dell'azoto, cit.). Da anni, man mano che i social network si sono trasformati sostanzialmente in siti di broadcasting per markettari, i miei contatti si sono come inariditi, prosciugati, e tutti i miei tanti profili social (e le email e chat ad esso collegate) languono in un silenzio postapocalittico, da cui è impossibile risvegliarli. In sostanza, su internet io sono ovunque, sono rintracciabile ovunque, eppure i miei profili sono tante tombe vuote in cui è solo possibile evocare l'ombra della mia presenza, nient'altro: monumenti alla mia memoria - perduta.
C'era tumblr una volta, c'è stato per tanti anni, e ne conservo quest'angolino in cui torno sempre meno spesso, in genere per seguire gli scarni e sempre meno frequenti update di un paio di fanciulle per cui ho un debole, e che evito di disturbare più di tanto con la mia inesistenza, e qualche volta per buttare lì qualche reblog, qualche citazione, o qualche abbozzo di desiderio, di fantasia, di ricordo, di speranza, nient'altro che illusionismi fatti di scrittura e di bianco.
Stasera avrei tanto da dire, perchè avverto di essere davvero arrivato oltre quel punto della vita in cui il meglio è ormai passato e le speranze, già trasformatesi in rimpianti, declinano definitivamente in paure, in qualche caso in terrore puro. Il punto però è che non posso parlare, perchè non c'è la possibilità di incontrare un ascolto autentico, nè qui nè altrove. Al massimo ne verrebbe fuori un'altra opportunità per quel bullismo di cui ho detto all'inizio, e forse anche questo post prolisso e un po' confuso, alla fine, porterà solo a quello, oppure sarà del tutto ignorato.
Mi fermo qui. Da giorni sono a casa da solo in malattia, perchè il mio corpo ha reagito ai tanti stress e sofferenze con un ennesimo, nuovo sintomo.
Da sempre mi ossessiona un verso di Hoelderlin che recita: "E' bene, tenersi ad altri. Nessuno porta la vita da solo".
La vita, come la mia, che non si tiene ad altri, è la vita di nessuno.
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exterminate-ak · 1 year
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di Pierpaolo Mandetta:
Oggi voglio parlare di un tema importante che riguarda migliaia di donne (ma anche uomini) che stanno male, ma che per la nostra società è ancora ritenuto un disagio di poco conto, da sopportare.
Il carico mentale.
Poche ore fa sono rimasto chiuso fuori casa.
Non mi era mai successo. Sono tornato dal podere, ho svuotato una scatola di fagioli in un cuonzo, un filo d’olio e ho pranzato come un operaio russo dell’80. Poi ho lavato i piatti di due giorni, ho messo a posto i sacchi della spazzatura da portare fuori stasera, mi sono rivestito e sono uscito meccanicamente di casa per tornare al podere. E zac. Cazzo! Avevo lasciato le chiavi dentro.
Proprio oggi che Max è a Milano per lavoro, quindi non avevo neanche le sue.
Io, che sono quello precisino, scrupoloso e concentrato. Com’è potuto succedere?
Per fortuna il proprietario di casa aveva una copia delle chiavi, e quindi il lieto fine è arrivato. Però in quel momento, lì davanti alla porta chiusa, sulle scale, ho esitato. Mi tremavano le mani, e sentivo come se la mia testa si potesse frantumare perché troppo piena. Sentivo che avrei potuto piangere e gridare fino a graffiarmi ma gola, una reazione esagerata per un episodio così banale. E allora ho avuto un crollo. Il bisogno che tutto il corpo cadesse a terra come una camicia, ma fatta di cemento. Una camicia estenuante. E ho pensato “adesso preparo una valigia e me ne vado”. Ve lo giuro, è stato il mio primo istinto. E ho capito così di essere al limite. Mentalmente.
Al limite del carico mentale, della malattia del multitasking, del peso delle responsabilità che affligge spesso un componente della coppia, soprattutto la donna. E stanco di quanto il problema sia ancora ritenuto una lamentela di chi non è disposto a sacrificarsi abbastanza, come se i sacrifici fossero una bella cosa. Un capriccio, come spesso succede per i disagi psicologici.
Chi esprime sofferenza viene preso in giro. E uomini e donne parlano ancora delle casalinghe come di gente che in fin dei conti “non fa un cazzo”. Bella vita, beata lei, fortunata a stare in casa.
Ma andiamo con ordine.
Avete presente che nei paesini si narrano quei pettegolezzi della serie “un giorno è uscita pazza e ha lasciato il marito”? Oppure “ha mollato la famiglia ed è scappata con uno. Ha abbandonato i figli!”. O ancora “non si sa perché, non vuole più parlare con nessuno, si è trasferita”.
In queste storie, “lei” è sempre descritta come una donna che fino a un certo punto si è comportata con dedizione, apparente spensieratezza, e regolarità. Una donna regolare, che fa le stesse cose ogni giorno senza proteste, anzi con piacere. E che poi una mattina ha avuto un corto circuito.
La pazza del villaggio. La divorziata. La strana. La stronza ribelle.
Punto. Lei non è una persona, è un dovere che non segue più il suo copione. Nessuno si chiede cosa abbia scatenato simili reazioni, perché non ci sono motivi che scusino l’aver lasciato il proprio ruolo di moglie o madre.
Eppure è possibile che dietro quel gesto di follia ci sia semplicemente un accumulo di stress divenuto insopportabile. E che quella che sembra una fuga sia in realtà una salvezza.
Le donne che “scappano” da una condizione ingestibile sono donne che si mettono in salvo. E uno dall’esterno penserà ma come, e i figli? Se ami tuo marito, non te ne vai. Se vuoi bene ai tuoi figli, non puoi lasciarli. Ma è una stronzata retorica. Quando lo stress, la disperazione, il senso di soffocamento diventano massimi, può subentrare la depressione, o problemi mentali più feroci. Possono succedere le tragedie che vediamo al tg. Dimenticare un figlio in auto, posare distrattamente la candeggina nel frigo. E allora, preferire la propria salute all’infelicità momentanea della famiglia diventa un atto di coraggio, di amore per se stessi.
Vuol dire mettersi in salvo.
Ma da dove viene il carico mentale?
Per la nostra orribile cultura, la donna nasce casalinga. E ricordiamo ai gentili spettatori che le faccende di casa sono un lavoro. Fisico, mentale, che richiede ore. Come un qualsiasi altro mestiere, ma questo non è retribuito.
Con l’avanzare dei diritti e dell’emancipazione, la donna non si è equiparata all’uomo, ma ha solo aggiunto più doveri: oltre a quello della famiglia, anche il lavoro. Mentre l’uomo, in una società maschilista, restava al suo posto.
L’uomo lavora e porta a casa i soldi, e non ha alcuna aspettativa sociale da soddisfare oltre a questo ruolo. Sì, deve inseminare la moglie, ma poi finisce lì, visto che il mondo si aspetta comunque che a crescere i figli sia lei. La donna, invece, deve essere moglie, madre, una brava domestica, e in più coniugare un lavoro pagato per contribuire alle spese.
Eppure è il 2023. Si parla di femminismo, Netflix propone mille titoli sull’abbattimento degli stereotipi, e i giovani d’oggi sembrano così sensibili. Allora perché lo stress mentale colpisce molte donne?
È semplice: perché siamo tutti figli di quel modello familiare, ancora attuale. Di mia madre, di mia nonna, delle nostre madri. Che hanno sofferto, hanno sacrificato tutto il loro tempo, hanno gestito ruoli che dovevano invece essere condivisi, e infine ci hanno trasmesso quell’educazione. Perciò, molti bambini hanno appreso che le donne soddisfano i bisogni, e molte bambine hanno imparato che dovranno occuparsi di svariati compiti senza fiatare. E questo insegnamento ha radicato nei nostri sentimenti, nei sensi di colpa, nelle frustrazioni, nelle aspettative degli adulti che siamo oggi, nella comunicazione politica, nei cartoni animati, nei luoghi comuni. Formando nuove relazioni, nuovi matrimoni, che sono freschi all’apparenza ma antichi nelle dinamiche.
Adesso sarebbe ingiusto parlare direttamente dell’uomo che amo, come fosse un imputato. Quindi alleggerisco il discorso e invento una storia.
Mio marito si chiama Matteo. È l’uomo migliore che potessi aspettarmi in una società così complessa ed egocentrica. Lui è uno degli ultimi romantici, è fedele, è molto sincero. Un compagno di vita.
Però è un uomo. E forse è stato un bambino che ha vissuto i modelli genitoriali in quel modo lì, che uno lavora soltanto e l’altra lavora e pulisce casa.
A questo punto tutti ci facciamo una domanda ovvia: conosciamo bene i nostri fidanzati, i nostri mariti. Sappiamo chi sono, prima di andare a vivere insieme. Come e cosa pensano. Allora come cazzo si fa a partire con una relazione splendida e a finire per interpretare i tristi ruoli di mamma e papà, se ci siamo ripromessi di non farlo?
Io penso che sia colpa dell’educazione, perché ciò che assorbiamo da piccoli emergerà solo quando ci ritroveremo nelle dinamiche di coppia della casa, rievocando quella in cui siamo cresciuti.
Succede per caso. Con piccoli eventi innocui. Per esempio, a me piaceva tanto cucinare per lui. Era uno stereotipo, quello della mogliettina, ma uno dei due doveva pur farlo, e per me era una forma d’amore. Solo che poi cucini oggi, cucini domani, e ti ritrovi incastrato nell’obbligo di farlo. E non farlo ti fa sentire in colpa. E poi c’è lui, che lo fa poco, perciò quando glielo chiedi non si tira indietro, ma per cucinare ti mette la cucina sottosopra. Perché tu hai il tuo metodo rodato, sai che poi dovrai lavare, e allora cerchi di usare meno pentole, di stare attento alle macchie, di abbassare la fiamma per consumare meno, magari sciacqui subito lo scolapasta così l’amido non si incrosta. E allora lui cucina entusiasta, e dopo è un macello, quindi gli suggerisci di stare attento al gas, di non versare l’acqua sul piano cottura, di sciacquare le latte del sugo altrimenti puzzano, e lui si snerva perché si sente rimproverato e odia prendere ordini. Lui ha il suo metodo.
Ed è così che brevetta il suo nuovo modo per fare sempre le cose alla cazzo di cane. Il suo metodo.
Be’, anche io ho il mio. Chi stabilisce quale sia giusto? Eh…
Così, se lasciarlo cucinare vuol dire il doppio del lavoro poi per rimettere a posto, inizi a dire vabe’, lascia stare amore, faccio io.
E quello è l’inizio della fine. Faccio io.
Chi lo diceva? Sì, mia madre. Anche tua madre, tu, che leggi. Faccio io. Lo so che lo diceva. Faccio io vuol dire da qui in avanti non preoccuparti più.
E così, da un gesto d’amore, si passa a un compito. Io divento più zelante nelle faccende domestiche, lui più spensierato. Si accomoda l’idea che preparare la cena sia il mio rituale. Di rado mi chiede se deve pensarci lui, quando mi vede molto stanco. Ma non si abbasserà mai a seguire i miei consigli, perché si sentirebbe umiliato. Perciò macchia il pavimento, il sale finisce sotto il mobile, pentole ovunque, ditate di olio.
Nell’arrabbiarmi mi sento mia madre. In che modo assomiglio a lei? Nello stesso modo in cui lui si comporta da adolescente. Se dopo avermi inchiavicato la cucina, lava anche i piatti, allora è il mio compagno. Ma se fa “a modo suo” e mi lascia quaranta pentole sporche, allora è mio figlio.
Con questa dinamica di compagno/figlio, tutto va a puttane.
Se la casa è sporca e va pulita, lui dice ma sì, che fa, riposati, ci pensi un altro giorno. Non è che dice amore, ci penso io. No. Te la risolve dicendo che quel bisogno non esiste. Quindi si sottrae a un dovere. E allora pulisco casa come sempre, ma con quel tocco di rancore e veleno che mi intossica la giornata.
Ogni tanto lui passa pure l’aspirapolvere, ma senza tralasciare il brevetto “a modo mio”. Che vai a guardare e la zozzima sta lì, bella evidente. E di nuovo non gli posso dire nulla, se no litighiamo e lo stresso e lo esaspero e non sono mai grato.
Quindi cucino. E pulisco casa. E la spesa. Perché se cucini, sai ciò che manca. Altrimenti non lo sai.
Poi c’è il bonus: fare una spesa decente, pensando a un’alimentazione sana, alle verdure, al variare coi pasti. Questo qui è un pensiero che dall’esterno sembra una sciocchezza, invece è carico mentale. Vuol dire programmare ogni cazzo di giorno della settimana in un colpo solo, pensando a cosa cucinare oggi, domani e così via, sapendo di dover variare tra carne, legumi, pasta, verdure. Spazi mentali.
Come la risolve lui? “Amore, che devo prendere?”. E io gli devo scrivere la lista. Questo vuol dire che non alleggerisce la mia mente, ma mi libera solo dell’azione di fare la spesa, lasciandola comunque un mio problema. Grazie al cazzo.
Quando invece fa la spesa senza avvertire, soddisfa più che altro le sue voglie. Se ha voglia di uova al sugo, compra la salsa, e magari venti cioccolate alle nocciole per dopo cena. Stop.
Poi ci sono le bollette. L’affitto. La lettiera dei gatti, il veterinario, le pipette. Le visite mediche per noi, che prenoto io. Lui invece non ha problemi a filare in farmacia. Adora acquistare subito le medicine, perché non deve soffrire di mal di testa neanche per cinque minuti. Poi le posa sul comodino, assieme a tutte le altre. Io ho organizzato due cassetti per i farmaci, ma lo trova scomodo. Preferisce averli tutti spalmati lì dove può vederli, tra la polvere e le monete da venti centesimi, per mesi. Anche se il prossimo Moment lo prenderà l’anno prossimo, quando si accorgerà che è scaduto e allora andrà a prendere altri farmaci, che di nuovo getterà sul comodino assieme a quelli scaduti.
Se glielo faccio notare, si altera come io facevo con mia madre a sedici anni. È il suo modo di tenere in ordine e non devo rompere il cazzo. Per il resto, ci penserà domani.
Una volta litigammo per la spazzatura. In realtà tante volte. Succede quando io esterno stanchezza. Gli dico che non ce faccio più, e allora lui, per senso di colpa, reagisce con rabbia e stabilisce “bene! Da domani penso io alla spazzatura!”. L’eroe che salva il mondo, la grande impresa. Che invece dovrebbe essere una naturale divisione dei compiti.
E ovviamente dopo tre giorni si è già rotto il cazzo di ricordarsi quand’è che si butta la plastica e quando l’organico. Perché questo è un carico mentale, non è molto piacevole. E così ritorno al mio corso, a tenere a mente che di lunedì c’è la plastica.
Piccola nota buffa. A lui piacciono le bevande in vetro. Solo che il vetro, a differenza della plastica, va portato di sotto, nel secchio. Invece il principino si scola le sue fottute gassose e lascia le bottiglie lì, tutte carine e allineate, accanto al forno. I suoi trofei. Non scende a buttarle manco se questo potrebbe determinare la pace in Ucraina. Tra mille anni, gli alieni le troverebbero lì, impolverate, il nostro cazzo di reperto archeologico, tutte le sue bottiglie di gassosa.
C’è un aspetto, tra tutti, che si adopera per consolidare questi ruoli tra noi. I doveri, i rancori e libertà di non preoccuparsi. Ed è il retaggio antico del chi porta i soldi a casa.
Nel nostro caso, lui è quello stipendiato. Qualcuno, alla fine del mese, gli dà del denaro e certifica dunque il suo lavoro. Lo rende reale, tangibile.
Nessuno lo fa con me. Significa che tutti i lavori mentali e fisici dentro e fuori casa non esistono. Ed è così che diventano dovuti. Diventano assodati. Diventa impossibile lamentarsene. Non è qualcosa che puoi togliere, sono le basi. Puoi solo aggiungere. E io faccio anche quello.
Mi occupo del podere. Ma come, e lui non se ne occupa? Ma certo. Ma qui si tratta di carico mentale. Che non si limita al fare, all’agire. Si tratta di pensare, di occupare uno spazio della mente per un’ansia, una data, un problema, un’urgenza, una telefonata, un dettaglio.
Programmo le potature, i trattamenti, tutte le migliorie del pollaio e della tenuta. Nuovi spazi, aiuole, alberi. Nuove idee per l’ospitalità. Ma mi preoccupo pure di quel tubo che perde, la rete rotta da cui possono entrare le volpi, gli afidi sul limone, lì ci vorrebbe una panchina, lì c’è troppo sole, il vento ha spezzato un palo, il decespugliatore, il tagliasiepe, l’irrigazione, l’orto, le semine in serra.
E lui non mi sostiene in niente? No, certo che partecipa. In moltissimi compiti. Ma prima di ognuno c’è la fatidica domanda: “amore, posso fare qualcosa?”. E nella mia testa vorrei solo rispondergli “sì, andare a fanculo”. Perché se i compiti devo organizzarli mentalmente io e poi affidarglieli, allora mi sta solo aiutando, ma non mi alleggerisce. Il mio stress resta lì. Quel che dovrebbe fare è invece assumersi la responsabilità, togliendo a me il peso di alcuni pensieri.
Così un pensiero. Dieci pensieri. Cento pensieri.
E allora fatico a dormire. Prendo il Brintellix. Convivo con l’ansia, che mi convince che c’è sempre un motivo per essere in allerta. Sono intrattabile. Sono gonfio, debole, con ossa doloranti. Sono irascibile. Vorrei quello e poi non mi piace. Sono la pazza di casa.
E quando sono molto, molto stanco, gli chiedo di aiutarmi. Invece lui lavora. Lo dice così, con convinzione, io lavoro!, quasi allibito che io non capisca che lui sta già facendo il massimo. Ha il suo mestiere pagato, che gli occupa l’intero spazio utile di carico mentale.
E allora mi arrabbio. Mi sento solo. Uno straccio logoro. Di aver sbagliato. Di non farcela. Mi sento perso e sopraffatto. E lui si snerva nel vedermi così, si sente inutile, di non riuscire a rendermi felice, di essere maltrattato e ossessionato, e allontanato.
E nelle coppie in cui entrambi sono stipendiati, perché i doveri ricadono comunque su di lei? Be’, perché per la società è ancora umiliante che un uomo svolga compiti “da donna”.
Pensateci. Ci sono centinaia di chef e influencer maschi che preparano piatti sui social. Ma chi commenta? Le donne. Gli uomini cucinano solo per mestiere. A casa, col cazzo che lo fanno.
Non parliamo della vita sessuale. Quante volte fidanzati e mariti si lagnano delle loro donne che non gliela danno più? Sorpresi, poi. Non ci arrivano proprio, che dopo cinquemila cose a cui pensare, ansie e livori, tu a fine giornata non hai tutta ‘sta voglia di fare un pompino all’uomo che ogni giorno ti chiede “che si mangia stasera?”.
No, no. Loro sono come in quei film con Massimo Boldi. Che lui è un cofano spelacchiato coi mutandoni a quadri, ma si aspetta che la modella di turno impazzisca di voglia per lui. Così ti vogliono. Devi fare i servizi, devi lavorare e alla fine devi pure impazzire di carica erotica per loro.
Infine ci sono i viaggi. Lui viaggia per lavoro, sicuramente sarà successo anche a voi. Un’altra merda di situazione che lo convince che, siccome al ritorno è stanco, può pretendere di tornare in un ambiente confortevole. Quindi si aspetta che io sia la Penelope del cazzo, che attende il marito con le mani incrociate al petto, pronta a baciarlo e a stendergli il tappeto. Perché dopotutto lui viaggia e si affatica, io invece resto qui a grattarmi la fessa e a farmi idromassaggi. Non pensa che senza di lui viene meno perfino quel timido aiuto che mi dava.
E concludo. Con pochi ingredienti diluiti nel tempo, una bella coppia moderna torna indietro al secolo scorso. A quando ogni faccenda era un obbligo imposto dall’alto. A quando invece di comunicare si preferiva urlare. A quando si sognava di volare via dalle difficoltà. A quando si chiedeva aiuto troppo tardi. A quando il dolore si manifestava solo con le accuse.
Il carico mentale è uno di quei problemi sociali che esistono anche se li banalizziamo o non affrontiamo. Distrugge le coppie, cancella l’amore, istruisce nuovi figli a replicare comportamenti sbagliati nelle relazioni.
È lì, colpisce molte donne, colpisce ugualmente tanti uomini, a seconda del modello di famiglia che ci ha cresciuti e un po’ condannati al ruolo di chi si accolla il mondo sulle spalle.
Potrei chiuderla con una melassa che restituisca un po’ di buon umore. Con la raccomandazione di dialogare, di esporre con coraggio i propri sentimenti, anche quelli dolorosi. Ma la verità è che potrebbe non bastare. E non è colpa tua, non è colpa sua.
Il patriarcato è dentro tutti noi da tanti secoli. La maggior parte delle persone ci convivono, sapendo che qualcosa di putrido sta rosicchiando le loro vite ma incapaci di riconoscerlo. Altre ne restano schiacciate e annullate. Altre fuggono.
In nessun caso è una sconfitta o una colpa. In nessun caso possiamo immaginare quanta disperazione si nasconda dietro i sorrisi di ogni giorno o a scelte plateali.
Però, quando sentiamo di quella donna che da un giorno all’altro è uscita pazza e ha mollato tutto, potremmo non giudicarla. Forse si è solo salvata la vita.
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allecram-me · 10 months
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Ancora con questa ossessione del correre al prato
Allora mia zia, che è la sorella di mio padre, e che somiglia a me e a mio padre, ma alla versione di adesso più che alle foto sbiadite dei tempi integri, mia zia ferma da un tempo interminabile sulla brandina di un pronto soccorso tragicamente noto, mia zia la pazza e mia zia la sola, lei, reca stasera una ingiustizia nuova, anch’essa tragicamente risuonante di un passato impietoso e prossimo: la scure del cancro, cancro possibile, un cancro che a me sembra sempre più probabile.
Vado a ritroso: sfioro i trent’anni e imparo il gioco sostanziale delle parti, e ciò che prima era una equazione matematica diventa tachicardia. Le etichette esplicative recano una scritta apparentemente superflua, vuota: cancro. Poi, prima, la morte della vita scelta, della mia combinazione perfetta: sono altri ospedali, sono tanti ospedali, sono letti d’ospedale nella stessa camera dove abbiamo fatto l’amore tantissime volte. Mischiare l’amore con l’ospedale andava qui inteso come un fatto inevitabile, ossia che poteva essere evitato nella misura in cui si può evitare di scoprirsi chi si è, comprendersi. Ma detto questo, raccontata questa epopea che sembra l’orizzonte di tutto, si può andare ancora a ritroso, là dove comunque giacciono imperturbate ere geologiche e fossili, carbonio 14 che sembra facile da scordare nel parapiglia del presente, il precipitato dell’emergenza.
Ho certamente guadagnato qualcosa. È sempre e comunque uno scambio - io me lo sono detta sempre, l’ho vissuto sempre. Cercando l’umiltà, rimproverandomi l’umiltà, e tutte le catene, e sempre questo fantasma perennemente sogghignate dello spreco, la regina di cuori della mia vita interiore. Non l’ho mai persa la testa, mi ci sono aggrappata man mano che si gonfiava sempre di più: là è successo, ve lo dico io, lo conferma il carbonio. È stato lì che ho smesso di praticare e mi sono avviata verso questa consapevolezza della fine, ossessione di ogni esito possibile. Non aveva ancora assunto una forma così semplice, ma l’età rende banali più di quanto l’avanzata della tristezza riesca a rendere profondi: tremate, manuali di psicopatologia, qualunquisti pavidi, coscienze paradigmatiche e caricaturali di Zeno da strapazzo. È arrivata l’ipocondria del nuovo mondo, la morte nuova chiamata a significare l’alibi di turno per sottrarsi alla morte, per mezzo dell’accettazione di alcuna vita. Fingete dunque stupore al rintocco della parola che è il nuovo giogo, ma sinceramente tremate: Hello, my name is CANCRO.
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