Tumgik
#almeno è solo una volta a settimana
ilciambellano · 1 month
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Nel nostro immaginario collettivo il “vero stupro” avviene nello spazio pubblico (un parcheggio, una stradina solitaria), la notte, e la donna, che indossa un abito scollato o la minigonna, è minacciata con un coltello o un’arma da fuoco da un mostruoso sconosciuto psicopatico. In realtà, questo scenario corrisponde solo a un’esigua minoranza dei casi. È dunque indispensabile decostruire questi pregiudizi sullo stupro, obiettivo che ci siamo prefissati con Noémie Renard, bioingegnera e militante femminista, che ha studiato, compilato, raccolto migliaia di statistiche e di studi sulle violenze sessuali, per farne un’opera notevole, “En finir avec la culture du viol.” Ecco le conclusioni di Renard.
– Gli stupratori non utilizzano quasi mai armi e non hanno bisogno di usare violenza fisica.12 Nel 70% dei casi le vittime non si divincolano perché sono paralizzate (dalla paura, perché non riescono a credere a quello che stanno subendo).
– Gli stupratori non sono dei “frustrati”. Non violentano per mancanza di rapporti sessuali consenzienti. Tutti gli studi sugli aggressori sessuali mostrano che hanno più partner sessuali rispetto alla media: una ricerca del 1990 rivela che l’89% degli uomini in carcere per stupro, prima della condanna, aveva rapporti regolari almeno una o due volte a settimana, di cui si diceva soddisfatto.
– Gli stupratori non violentano in preda a “pulsioni” incontrollabili: se così fosse, lo farebbero in mezzo alla strada, in pieno giorno, davanti a tutti.
– Gli stupratori non sono psicopatici. In Europa solo il 7% degli stupratori condannati ha un disturbo mentale. Al contrario, hanno un comportamento estremamente razionale: le loro azioni sono ponderate, premeditate, calcolate, per cercare di esporsi a meno rischi possibili.
– Lo stupratore è spesso “l’uomo qualunque” di ogni età ed estrazione. Il collettivo Féministe contre le viol che da anni ha una linea d’ascolto delle vittime, riporta che queste donne sono state violentate da agricoltori, medici, operai.
– Lo stupro è un reato molto più diffuso di quanto si pensi: in media tra il 25% e il 43% degli uomini dice di aver compiuto almeno una volta nella vita un’aggressione sessuale, o una penetrazione forzata.
– Gli stupratori non sono degli sconosciuti: l’80% delle vittime racconta di essere stato stuprato da uomini che conosceva: mariti, amici, vicini, professori, persone di famiglia.
Victoire Tuaillon - Fuori le palle. Privilegi e trappole della mascolinità.
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angelap3 · 17 days
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👵 Scritto da una 90enne!! ❤️ 🤙
41 lezioni che la vita mi ha insegnato 💖
Dovremmo leggerle almeno una volta a settimana! Assicurati di leggere fino alla fine! Scritto da Regina Brett, 90 anni, del Plain Dealer di Cleveland, Ohio.
Per celebrare l'invecchiamento, una volta ho scritto le 41 lezioni che la vita mi ha insegnato. È la colonna più richiesta che abbia mai scritto. Il mio contachilometri è arrivato a 90 ad agosto, quindi ecco di nuovo la colonna:
1. La vita non è giusta, ma è comunque bella.
2. Quando sei in dubbio, fai semplicemente il prossimo piccolo passo.
3. La vita è troppo breve – goditela.
4. Il tuo lavoro non si prenderà cura di te quando sarai malato. I tuoi amici e la tua famiglia lo faranno.
5. Paga le tue carte di credito ogni mese.
6. Non devi vincere ogni discussione. Rimani fedele a te stesso.
7. Piangi con qualcuno. È più curativo che piangere da soli.
8. Risparmia per la pensione a partire dal tuo primo stipendio.
9. Quando si tratta di cioccolato, resistere è inutile.
10. Fai pace con il tuo passato, così non rovinerà il presente.
11. È OK lasciare che i tuoi figli ti vedano piangere.
12. Non confrontare la tua vita con quella degli altri. Non hai idea di quale sia il loro viaggio.
13. Se una relazione deve essere segreta, non dovresti esserci dentro.
14. Fai un respiro profondo. Calma la mente.
15. Liberati di tutto ciò che non è utile. Il disordine ti appesantisce in molti modi.
16. Ciò che non ti uccide davvero ti rende più forte.
17. Non è mai troppo tardi per essere felici. Ma dipende tutto da te e da nessun altro.
18. Quando si tratta di inseguire ciò che ami nella vita, non accettare un no come risposta.
19. Accendi le candele, usa le lenzuola belle, indossa la lingerie elegante. Non riservarlo per un'occasione speciale. Oggi è speciale.
20. Preparati in modo eccessivo, poi lascia scorrere le cose.
21. Sii eccentrico adesso. Non aspettare la vecchiaia per indossare il viola. 💖
22. L'organo se*suale più importante è il cervello.
23. Nessuno è responsabile della tua felicità tranne te.
24. Inquadra ogni cosiddetto disastro con queste parole: "Tra cinque anni, avrà importanza?"
25. Scegli sempre la vita.
26. Perdona, ma non dimenticare.
27. Quello che gli altri pensano di te non sono affari tuoi.
28. Il tempo guarisce quasi tutto. Dai tempo al tempo.
29. Per quanto buona o cattiva sia una situazione, cambierà.
30. Non prenderti troppo sul serio. Nessun altro lo fa.
31. Credi nei miracoli.
32. Non fare il revisore della vita. Presentati e sfruttala al massimo ora.
33. Invecchiare è meglio dell'alternativa: morire giovani.
34. I tuoi figli hanno solo un'infanzia.
35. Tutto ciò che conta davvero alla fine è che tu abbia amato.
36. Esci ogni giorno. I miracoli ti aspettano ovunque. (Adoro questa)
37. Se tutti buttassimo i nostri problemi in una pila e vedessimo quelli degli altri, riprenderemmo i nostri.
38. L'invidia è una perdita di tempo. Accetta ciò che hai già, non ciò di cui hai bisogno.
39. Il meglio deve ancora venire...
40. Non importa come ti senti, alzati, vestiti e presentati.
41. La vita non è legata con un fiocco, ma è comunque un dono.
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vaerjs · 5 days
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Vivo costantemente in una dimensione di aspettative altissime e fatico a tirarmene fuori.
Quando ero la figlia maggiore dovevo dare il buon esempio, assumermi compiti e responsabilità genitoriali che non mi sarebbero dovute competere, fare da mamma, sorella e figlia contemporaneamente. Con la preoccupazione che un mio sbaglio potesse fare crollare il castello in mille pezzi.
Ho lavorato, mi sono pagata l'università, almeno quel poco che mi è servito ad entrarci. E per farlo ho sopportato un capo viscido e molesto, con la mano lunga e e le nausee ogni mattina prima di uscire di casa, sapendo che non avrei avuto altra scelta: era l'unica azienda che aveva risposto a tutti i miei curriculum - ed erano amici della parrucchiera della mamma, non avrei mai potuto farle fare una brutta figura.
Poi sono arrivate le borse di studio. Ho lasciato il lavoro perché per ottenerla e mantenerla è fondamentale dimostrare di poter superare un certo numero di esami all'anno e con valutazioni alte per non perdere posizioni nelle graduatorie. Un solo sbaglio, un esame andato male, una giornata nera a laboratorio mi avrebbero lasciata in mezzo a una strada, senza soldi e senza posto letto, anche a metà anno.
Ho fatto l'Erasmus e sono riuscita a trovare un contatto in una scuola nella città che volevo io, per la prima volta. Così sono diventata il punto di riferimento e l'esempio a cui la mia tutor coordinatrice ha indirizzato chiunque volesse sperimentare la stessa esperienza. Ancora una volta la mia possibilità d'errore è stata messa sotto i riflettori, pronta ad essere amplificata a dismisura.
Ora lavoro a scuola e ho la fortuna di essere rimasta nello stesso istituto e nello stesso interclasse dell'anno precedente. La collega che ho affiancato lo scorso anno ha pregato in tutti i modi per ri-avermi con lei: a causa dei suoi improvvisi problemi in famiglia mi sono trovata da sola ad accompagnare una quinta pronta e preparata alla secondaria.
Quest'anno la situazione non è molto diversa. È finito il ciclo, siamo in classe prima - probabilmente la più impegnativa di tutte - con una docente in meno. Ho un posto sul sostegno, quello che speravo, ma mi trovo a occuparmi di tutto. Ho spiegato alla ragazzina a cui hanno assegnato la supplenza sulla classe per qualche settimana tutto quello che doveva fare e in che modo, non la posso lasciare da sola perché è la sua primissima supplenza e non si sa muovere a scuola. Ho preparato le attività della classe e raccolto, schedato e archiviato tutti i materiali perché la collega in cattedra ha ancora una situazione instabile in famiglia e non può dedicare tutto il tempo che vorrebbe alla scuola. Mi hanno assegnato un bambino complesso di cui voglio occuparmi nel miglior modo possibile nonostante la sua rete di professionisti non sia allineata nelle modalità di intervento e mi sia da subito sembrato di trovarmi tra due fuochi, con la mamma in balia di consigli contraddittori. Mi hanno affidato anche la commissione continuità "per il gran lavoro fatto l'anno scorso nelle quinte" che sarebbe bello replicare questo e i prossimi anni.
Ho chiamato i miei fratelli perché non li sentivo da un po', sono stata troppo stanca e mi sono sentita in dovere di giustificarmi per la mia vita raffazzonata. Sono molto stanca, e credo di sentirmi così a terra anche perché ancora non ho il privilegio di poter sbagliare senza che il mondo crolli.
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thebutterfly0 · 9 months
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Che dire? Sono giornate un pochino strane, dove mi sono decisa ad iniziare ad amarmi un pochino di più. Lo so che ne ho già parlato qualche settimana fa ma purtroppo faccio fatica a cambiare idea su me stessa. Mi vedo sempre la solita ragazzona stupida di un tempo. Devo a me stessa il fatto di amarmi di più o almeno di provarci, di metterci più impegno rispetto alle scorse volte. Oggi sono andata dall'estetista, ho ripreso ad andarci tutti i mesi da poco. Tantissimi anni fa ci andavo spesso poi avevo smesso di andarci quando mi sono trasferita qua e per ben 10 anni non ci sono più andata perché l'ho sempre ritenuta una cosa inutile. Ho capito, sempre con la mia calma, che devo farlo per me. Devo amare questo corpo eccessivo. Sono sempre stata troppo e mi hanno sempre fatta sentire tale. Quando alla fine non è che sono chissà cosa. Sono solo cicciottella. Soprattutto devo smetterla di nascondermi sotto strati informi di vestiti. Ci riprovo per l'ennesima volta. Che sia la volta buona. Sono stanca di lottare contro me stessa. Lotto contro i mulini a vento.
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ross-nekochan · 1 month
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Ieri è stato il mio primo giorno in smartworking in questa azienda. Fortunatamente tutto è andato bene e siamo riusciti a connetterci alla intranet aziendale come previsto. Meno piacevole è stato il controllo assillante dei superiori: dal 2 Agosto per adeguarci al resto del mondo, hanno cambiato il sistema telefonico - non più il normale telefono, ma un software che guida chi telefona a chiamare il dipartimento giusto e fa girare le chiamate inbound automaticamente. Peccato che non funziona per niente come una telefonata normale e tu non hai nemmeno il diritto di accettare la telefonata; ad un certo punto senti "tu-tu" e sei direttamente al telefono con qualcuno dall'altra parte. A parte questo, ieri poiché tutto l'ufficio era in smart e poiché si vede che qualche chiamata è andata persa per qualche motivo (riescono a controllare pure questo), ci hanno buttato tutti in un gruppo su Teams e ogni volta che qualcuno si metteva "off" per troppo tempo, veniva taggato e ripreso chiedendosi di rimettersi in "disponibile". Alla fine si è capito che si cambiava lo stato dal semplice "off" a tipo "in pausa pranzo" o "in pausa" non venivi taggato e che il problema maggiore era mettersi su "off" (che non è off ma non so come tradurlo - è tipo "in preparazione").
A proposito di questo, non avete idea di quante lamentele ci sono stata e ci sono (ancora) su sto nuovo sistema di gestione delle telefonate. Tutti hanno l'idea dei giapponesi che non si lamentano mai, sono sempre composti ecc... o cazz. Questi si lamentano h24 su delle stronzate colossali, tipo ieri la mia tutor fa:"Quindi a pranzo devi mettere 'in pausa pranzo', quando vai al bagno 'in pausa'... che palle ogni volta dover mettere uno stato diverso".... aoh?!?!? Ma veramente fai?!? Vabbè che ancora non l'ho inquadrata lei come tipo e non so se e quanto sia 'falsa'... so solo che nun fa nu cazz ed è quella che lavora di meno di tutti. Ieri fa pure:"Grazie a Rossella e a Mochizuki le mail non aperte si sono ridotte tantissimo"... e grazie o cazz e tu che cazz e combinat? Boh, però a quanto pare fa pure gli straordinari quindi non so e non capisco (non ancora, almeno).
Alla fine il tifone di grado 7 di ieri non è stata poi chissà che cosa pericolosamente sensazionale: solo pioggia, pioggia, pioggia tutto il giorno e vento abbastanza forte. Come sempre in questo paese: tanto rumore per nulla. Ma capisco che è meglio prevenire che curare.
Alla fine tra le feste e il tifone questa settimana mi sono svegliata alle 6:40 solo giovedì ed è stata praticamente una settimana intera di dormite bellissime e rigeneranti. Come farò dal prossimo lunedì a vivere di nuovo con i soliti ritmi, non lo so. A cui aggiungiamo pure il caldo assassino che sta facendo (temperature percepite fino a 44°C e umidità sempre su 70/80%) - in pratica ci si scioglie, letteralmente.
Ultimamente sono veramente in dubbio se trasferirmi oppure no. Più che altro perché, dopo che il periodo di prova sarà finito, potendo utilizzare lo smarworking ogni tanto e l'orario flessibile non so se il tutto potrà diventare più vivibile. Ci penserò ancora, anche perché sta cosa delle spese iniziali esorbitanti prima di entrare in una casa nuova non mi vanno troppo giù (cioè in Europa sta cosa non mi pare si faccia manco per il cazzo... non parliamo delle spese per arredarla perché già solo per letto frigorifero lavatrice fornelli e microonde chissà quanto se ne va).
Detto ciò ho ricominciato a leggere un po'. Ridendo e scherzando, sono passati mesi su mesi dall'ultima volta e questa cosa mi mette una depressione assurda, oltre alla rabbia, perché fino a che sono arrivata qui un anno fa avevo preso la bella abitudine di leggere qualche pagina prima di dormire e invece adesso non faccio che perdere ore del mio tempo su quella piattaforma del demonio che è IG. Già il lavoro che occupa tutte le mie giornate mi fa sentire 'spenta' intellettualmente, se perdo quel poco di tempo che mi rimane col telefono in mano, la cosa non può che peggiorare. Ma il fatto è che per me la lettura è un momento molto intimo e non riesco per esempio a leggere nel treno come fanno alcuni giapponesi, mi da proprio fastidio essere circondata dalle persone mentre leggo, preferisco ascoltare musica o non fare niente. Invece loro non riescono proprio a stare sui mezzi senza fare niente per cui il 90% di loro si schiaffa letteralmente il telefono in faccia e guardano di tutto: la TV, gli anime, i drama oppure giocano ai giochi di ruolo, ai pokèmon... se li osservi sembrano tutti una massa di lotobotizzati. Non sanno vivere senza telefono e mi domando quanto sia il loro "screen time", io quando arrivo fino a 5h mi bestemmio e quando quelle poche volte nel weekend sono arrivata a 8h mi è venuto il mal di testa.
Tutto sto preambolo perché volevo dire che sto leggendo Byung-Chul Han e che le sue citazioni di Foucault e Heidegger mi sta facendo troppo venire in mente i tempi dell'università quando i loro concetti erano all'ordine del giorno... che bello che era dover usare il cervello tutti i giorni e studiare cose nuove.
Ci dicono dall'infanzia che quando saremo grandi e avremo un lavoro, saremo liberi di fare quello che vogliamo. Col cazzo, è l'esatto contrario: sarai forzato a chiuderti in uno spazio a spendere il tuo tempo facendo cavolate come fossi schiavo del nulla, anzi schiavo dei soldi che ti vengono addebitati e che ti fanno credere di essere libero.
Anche se mi sembrava insopportabile, avrei dovuto sfruttare di più il mio periodo di disoccupazione... ci si lamenta che si esce di casa sempre più tardi ma fossi io incoraggerei a non lasciare casa finché non muore chi ti mantiene, altroché. Prima o poi morirà chiunque e rimarrai solo, quindi dovrai lavorare per forza quindi perché non sfruttare chi ti ha messo al mondo fino alla fine? E se non gli sta bene mandateli a fanculo. Nessuno ha chiesto a nessuno di mettere al mondo altra gente e se pensavano di farlo perché così 'durante la vecchiaia non rimaniamo da soli' la prossima volta si fanno due conti in tasca prima di pensare a sfornare badanti a gratis. Certe volte più che ai sugardaddy penso che fare la badante a qualche coppia di vecchietti (non troppo burberi) possa essere una valida alternativa a sta vita d'ufficio di merda... e non sto scherzando.
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kyda · 3 months
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stamattina sono sul bus per un paio d'ore e per non pensare alla sete che per ovvi motivi non posso soddisfare e al sonno che mi impedisce di concentrarmi sul mio ebook scriverò dell'esame di ieri. durerà un po'.
ieri sono partita da casa malissimo, ho addirittura ripassato sull'autobus e per sdrammatizzare scherzavo con la collega, che diceva che stava ripassando pure, perché è una cosa che non facciamo mai, ripassare prima dell'esame. appena ho raggiunto l'ufficio dei russisti sono andata nel panico perché non mi ricordavo niente, cosa fosse la boemia in particolare, e ho deciso che avrei accettato non fino al 29 ma anche meno, fino al 27. non lo so perché, comunque, dal primo giorno il mio cervello aveva deciso che assolutamente non avrebbe trattenuto nulla sulla boemia, incredibile. ho iniziato le domande compulsive con le colleghe e il ripasso senza speranza fuori dall'aula, avevo la nausea e mi odiavo perché mi stavo presentando all'esame di una materia bellissima, con un prof che mi piace tantissimo e con cui faccio un percorso da molti anni e avevo studiato solo una settimana. ho ascoltato come un podcast l'audio della mia collega che mi ripeteva il capitolo sulla slavistica e la filologia slava e mi sono buttata subito dopo di lei, volontariamente seconda perché se avessi aspettato oltre penso che mi sarei sentita male o avrei fatto qualche sciocchezza, tipo andarmene. una volta dentro l'esame è iniziato con l'analisi dello slavo ecclesiastico e poi il prof mi ha chiesto come volevo continuare. ha fatto tanto, nella valutazione finale, penso, il fatto che questo argomento che avevo scelto era opzionale fra quelli dettati dal prof ma mi piaceva troppo e quindi se in una settimana ho studiato tipo cento ore cosa mai poteva essere un capitolo in più? ho scelto di parlare della donna e di quella che era, probabilmente, l'organizzazione matriarcale della società dei primi popoli slavi (vorrei approfondire di nuovo anche qui perché è veramente interessante ma risparmio al povero lettore che segue i miei aggiornamenti almeno questo) e poi il prof ha iniziato a farmi una serie di domande, una dopo l'altra, molto velocemente e quasi senza farmi finire il discorso che ogni volta iniziavo, ma sono riuscita a rispondere a tutto. non mi ha fatto domande difficili, credo. mi ha detto che ero un po' imprecisa su alcune cose (devo aver confuso un qualche verbo con un aoristo, non so) ma comunque, a quanto pare, mi sono meritata la lode.
la cosa che sto notando di questi esami della magistrale, diversamente dalla triennale, è che quasi tutti, finora, sono iniziati con un argomento a piacere, così diventa più personale, e la cosa mi piace molto. l'unica che non ci ha chiesto di scegliere un argomento è stata, mi sembra, la prof di letteratura inglese, ma il suo corso era sull'autobiografia e la scrittura delle donne e tutto era il mio argomento a scelta, quindi va bene. invece per esempio per l'esame di letteratura russa eravamo così liberi che quasi la cosa mi ha messo più ansia e confusione del solito. quando l'altro giorno all'esame di linguistica inglese ho iniziato parlando di language and gender e di quel paragrafetto in particolare che iniziava con do women talk more than men? era sì sempre un esame, ma mi sono sentita molto molto a mio agio a discutere di una cosa che avevo studiato perché mi aveva appassionata più del resto anche se ero davanti a un'insegnante che sapevo mi avrebbe valutata. in generale però sono stata così in ansia durante questa sessione e ho studiato così tanto in così poco tempo per recuperare i giorni in cui avevo fatto molto poco che pensavo che l'avrei chiusa male e che avrei portato a casa solo risultati deludenti. ho chiuso invece con tre materie date e due lodi a distanza di una settimana e anche se per tutto il tempo di scrittura di questo post il pensiero della sete non mi ha abbandonata un secondo (me lo merito comunque, ho mangiato pizza e patatine ieri a cena e stamattina a colazione) sono molto molto felice e soddisfatta di quello che sono riuscita a fare. sono felice perché mi sono sempre sentita mediocre nello studio e ci stavo sempre male quando studiavo per mesi una materia e comunque non ottenevo mai il massimo e non riuscivo a capire perché. solo ora sto capendo che forse avevo bisogno di appassionarmi giusto un pizzico di più e fare mio davvero ciò che studiavo. e lo so che il voto finale può dipendere da tante cose, ma la mia prima lode, prima di queste, l'avevo presa solo quando ho fatto la prova finale di letteratura russa su delitto e castigo, un altro argomento che avevo scelto io.
qualche giorno fa giuravo qui sopra che dopo questa sessione mi sarei impegnata a imparare a gestire meglio il tempo, o qualcosa del genere. ogni singolo giorno prima di un esame mi ritrovo sempre a dire e pensare che mi sarebbe bastato un singolo misero giorno in più per arrivare tranquilla, serena e sicura di me il giorno dell'appello. orazio non mi sopporta più perché è un pattern che si ripete e io ho dei seri problemi con la gestione del tempo e le deadline e lui (ammetto pubblicamente) ha ragione ma poi in un modo o nell'altro funziona sempre e riesco a farcela. il costo, certo, è il decadimento della mia salute psicofisica, quindi ribadisco nonostante i buoni risultati: mi impegnerò perché devo essere più gentile e rispettosa verso me stessa
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i-am-a-polpetta · 1 year
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sono le 15.43 e mi ritrovo qui a scrivere questo pensiero che mi scandaglia in testa da quando, settimana scorsa, ho visto la mia psicologa. ho guardato le foto su Instagram di sedicente amica stamattina. sì e sposata, in via ufficiale, stamane alle 10. ho visto quella foto dopo aver passato la sera precedente a rivedere su facebook vecchi Ricordi insieme: gite, viaggi, uscite, quella volta al mare, quella sera su skype in videochiamata. la mia Ragazza mi ha chiesto come mi facesse sentire vedere quelle foto sapendo che domani non sarei andata né alla cerimonia né al ricevimento del matrimonio. sinceramente: mi dispiace. ma non tanto perché ho deciso di non andare dando contro alla mia psicologa, ma perché se penso a quella che era lei un tempo, mi manca terribilmente quella persona. poi penso che è da almeno 5 anni che scrivo qui sopra ed è da almeno 5 anni che la chiamo sedicente amica. sono anni che lei non si comporta da amica, anni che mette da parte tutto ogni volta che incontra una persona della quale si invaghisce. sono anni che lei viene da me solo ed esclusivamente quando ha bisogno, quando ha problemi, quando non si sente bene e sono anni che io le ho sempre aperto la porta di casa anche ad orari improponibili come le 2 o le 3 del mattino. ecco, alla luce di questo, dove cazzo è stata lei quando ho avuto bisogno? quando mio fratello ha fatto l'incidente, quando avevo mal di testa un giorno si e i successivi 100 pure, quando mi hanno diagnosticato la schizofrenia, quando hanno trovato un tumore a mia madre, quando sono stata lasciata. lei dove cazzo era? semplice non c'era. e io sono stanca di dover sempre fare la "superiore" quella che la giustifica con "ah ma va be' dai è fatta così" sono stanca. una sua amica mi ha scritto dicendomi di venire almeno a salutare perché sa che ci tengo. vuoi la verità? a me sto matrimonio ha rotto il cazzo da mo, tanto si sposeranno anche senza la mia presenza perché non è così fondamentale. vado contro la mia psicologa, contro un'amicizia che dura da anni sulla carta, ma che poi nel concreto si è arenata anni fa quando lei ha deciso che la figa fosse piu importante dei suoi amici.
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yomersapiens · 11 months
Note
Ciao yomo, ti volevo chiedere che programmi usi per scrivere e in generale quali pratiche hai per mettere giù quello che vuoi scrivere, a me piacerebbe molto potermi dedicare ma mi sento bloccato, aiutami per favore :(
Vediamo se posso esserti utile, cioè, almeno lo spero. Posso solo parlare della mia esperienza, di uno che è diventato scrittore perché non hai mai smesso di scrivere. Il mio unico talento è la perseveranza. Ma se mi leggi quassù da un po' di tempo probabilmente lo sai già e dato che mi chiami yomo credo sia così.
Una cosa è scrivere d'impulso, un'altra è farlo diventare un mestiere. Io ho semplicemente voluto far accadere questa esperienza e sono stato privilegiato dalla nazione in cui vivo che mi ha permesso di farlo. Ok muoio di fame, la disoccupazione che prendo a malapena copre la casa, qualche risparmio mi sta aiutando con la spesa ma tutto questo discorso serve per dire: ci vuole tempo.
Mi avevano appena licenziato, non proprio licenziato, ok, mi avevano spinto a licenziarmi ed era stato un lavoro piuttosto stressante in una start-up il cui unico obbiettivo era il successo di un prodotto quantomeno discutibile. Questa orribile esperienza mi ha formato in una direzione: svegliarmi e diventare operativo. Loro lo pretendevano come devozione verso il brand. Che schifo quanto mi sento sporco a ripensarci. Ma questa routine di svegliarsi, accendere il computer, mettersi subito a lavorare, non alzarsi dalla sedia fino a che qualcosa di buono nasceva, l'ho trasferita nel libro.
Mi alzavo seguendo i ritmi dell'ufficio e uscivo di casa ma, invece di recarmi in un edificio con luci a neon e colleghi frustrati, andavo in un bar. L'atteggiamento era il medesimo, copiavo lo stile di vita di qualche settimana prima e lo convertivo in una nuova missione.
Ci vuole regolarità e solo tuoi puoi essere in grado di dartela. Ci sono giornate dove nemmeno un'idea decente uscirà dalla tua testa e altre giornate dove scriverai dieci pagine e ti sentirai un treno. Si tratta di bilanciare i momenti pieni con quelli vuoti e non mollare mai. Non lo dico come un manager del cavolo che vuole spingerti a essere stacanovista, deve essere anche la storia a parlarti, devi capire pure tu se scrivere fa per te. Non c'è nulla di sbagliato nel mollare e di prenderla in maniera più leggera e discontinua. Ci vorrà solo più tempo.
Trova la tua voce e falla diventare la voce della storia. Lascia che siano i personaggi a trovare te e falli vivere nella tua testa a tempo pieno. Una volta che entri nel loop e sei circondato dal luogo che stai creando e i personaggi si stanno delineando, non uscirne. Sarà come vivere due esistenze. Una reale, che si deve ricordare di mangiare di bere e di lavarsi, e una mentale che vive nella tua immaginazione e può andare dove vuole.
Spesso, la maggior parte del lavoro, consiste nel guardare nel vuoto e immaginare cosa succederà. Lo scrivere è la parte finale e può capitare anche dopo settimane che stai pensando a una scena. Scrivere è una goccia di condensa che scivola giù dal vetro. Tu sei il vapore. Il calore. L'umidità. Tieni sempre alta la temperatura e credici, anche quando non ti sembra sufficiente. Rileggi, cancella, butta via, non affezionarti a niente perché più sentimenti leghi a una parte della storia più sarà difficile disfarsene e fidati, dovrai buttare via un sacco di idee.
Sii crudele, sii reale, specialmente con i personaggi che inventi. Sii assurdo, sii sbagliato, io immagino situazioni estreme e passo il tempo a cercare di risolverle insieme ai personaggi e mi sento nella merda fino al collo come loro. Una merda che io ho creato. A me gli eroi non piacciono, mi piacciono i sofferenti, quelli che nonostante tutto il dolore vanno avanti. Gli invincibili mi annoiano. La perfezione mi annoia. Crea un vaso che ti piace poi spaccalo e riattacca i cocci usando una colla dorata.
Apriti. Scrivere vuol dire passare un sacco di tempo da soli. Io non capisco come lo si possa fare per più di tre/quattro ore al giorno. Io vado in apnea da realtà. Per questo scrivo nei bar, così sento di essere ancora sul pianeta terra altrimenti sprofondo nei pensieri. Apriti e condividi quello che stai scrivendo con qualcuno di cui ti fidi. Io sono stato davvero fortunato. Su tumblr ho conosciuto persone che mi hanno aiutato a credere in me stesso e che hanno letto la storia che stavo scrivendo. Senza Alessio e S.A.C. non sarei riuscito a sentire dove stavo andando. Devo tantissimo a loro.
Non ti preoccupare di eventuali errori o altro. Tu scrivi. Butta fuori tutto e poi prenditene cura in un secondo momento. Io ho usato Pages il programma di scrittura del Mac, ma Word va benissimo. Tanto alla fine devi mandare un file word. Quindi è indifferente su cosa scrivi, trova un programma che converte i file in word ecco. Prendi appunti ovunque. Ho note vocali nel telefono dove mi raccontavo colpi di scena. Ho appunti nelle agende scritti a penna rossa per ricordarmi di usarli. Ho post-it attaccati in giro per il bagno. Ogni tanto al telefono dico "ah poi voglio scrivere questo me lo puoi ricordare" e spero poi l'altra persona si ricordi perché la mia memoria ogni tanto perde colpi.
Tante cose non sarai tu a farle. Ci sono gli editor che si nutrono dei tuoi errori e non vedono l'ora di trovare un'incongruenza o un congiuntivo sbagliato per fartelo notare. Sono piccole gioie nella vita delle persone, queste sono le loro. Ricordo quando mi è arrivato il file corretto per la prima volta: 963 errori da controllare. Ora tu pensa, era già la quarta stesura, il testo era già cambiato un sacco di volte e ancora, nonostante tutto, c'erano mille errori. Tieni duro, prendi una pausa, prenditi una settimana in montagna o dormi per tre giorni di fila e poi affronta il tutto. Non metterti mai fretta. Anche se ci sono scadenze, tipo pagare l'affitto.
Scrivere è un'ossessione, una bellissima e dolorosa ossessione. In pochi ti crederanno se decidi di intraprenderla come carriera. "Tanto non fai niente, cioè, stai lì davanti al computer e basta, vai tu a occuparti di questa cosa". Io in questo sono scarso, vado sotto subito se qualcuno mi critica e mi dice che non sto lavorando, perché scrivere mi rende felice e viviamo in una società dove se facciamo quello che ci rende felici dobbiamo sentirci sporchi. Tu cerca di essere migliore di me e ostenta sicurezza.
Poi arriva l'autocritica. Cerca di essere onesto con te stesso. Perché stai scrivendo? Per chi? Cosa vuoi dire con la tua storia? Non devi buttare giù una pagina al giorno, non tutti siamo industrie produttive alla Stephen King. Anche una frase, se scritta bene, può risolvere un'intera settimana di lavoro.
Attento a non scrivere per compiacerti. È una cosa che noti quando leggi, se l'autore scrive per creare piacere nelle proprie zone intime. Mi vengono in mente un sacco di nomi di autori che senti che si stanno leccando da soli, parola dopo parola. Ecco, cerca di non leccarti troppo da solo. Pensa che devi procurare piacere anche a qualcun altro. Non so se ti è mai capitato di fare l'amore, più o meno è così. Un po' a te e un po' all'altro. Bilancia. Poi trattieniti, non dare tutto, fallo a piccoli passi, fai venire fame, desiderio di andare avanti e non mollare la storia, capitolo dopo capitolo, mini-orgasmo dopo mini-orgasmo.
Scrivi tutti i giorni. Visita la storia che stai scrivendo ogni volta che puoi. Lascia sempre un orecchio rivolto verso i dialoghi che avvengono quando non sei lì. Come un genitore che lascia accesa la babycam mentre il figlio dorme e finge di non prestare attenzione quando in realtà non vede l'ora che la sua piccola creatura faccia un minimo movimento per fiondarsi e prendersi cura di essa.
Confrontati. Sappi difendere le tue idee fino alla fine. Sostieni le tue decisioni, anche quelle che ti sembrano più inutili. La casa editrice avrà sempre da ridire, non temere. Tu trova il modo di mediare ma rimani coerente con te stesso e con la storia.
Divertiti. Incazzati. Non dormirci la notte. Ah questa un'altra cosa, trova il tuo ritmo. Sei diurno o notturno? Questo lo puoi sapere solo tu. Io scrivo bene solo al mattino molto presto e per le 11/12 sono già esausto. Ma ci sono anche i vampiri che si attivano alle due di notte eh. Chi sono io per giudicare quelle strane creature.
Boh penso di aver scritto abbastanza e ora rileggendomi anche io mi sono leccato parecchio da solo mentre scrivevo. Spero di essere stato in grado di comunicarti un po' il fervore che si impossessa di me quando scrivo. Non è così sempre. Dei giorni sto attaccato a Zelda e neanche la masturbazione mi tira su. Ma quando butta bene mi spremo fino al midollo.
Sii gentile con te stesso. Le buone idee arrivano solo se ti tratti bene. Viziati. Crea un terreno fertile e qualcosa fiorirà e se ci vogliono anni non preoccuparti, tu continua a innaffiare.
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isteric4 · 9 months
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almeno una volta al giorno penso alle mie passate frequentazioni e al fatto che abbiano fatto di tutto pur di impressionarmi. per farvi qualche esempio, manuèl in meno di un paio di mesi mi aveva regalato un diamante e una volta ricordo mi avesse portato in uno di quei ristoranti in cui i camerieri ti chiedono il nome “per rendere l’ esperienza più personale”. mi portava spesso al mare e non mi faceva mai alzare un dito. poi c’è stato luigi. una sera aveva ricreato la mia scena preferita del mio film preferito. mi aveva portato sul porto, aveva preso due pizze, un binocolo e ce ne stiamo stati lì, in silenzio, ad osservare le luci della città. mi comprava sempre il mio lambrusco preferito e cucinava per me. lorenzo non mi conosceva da nemmeno una settimana e si è fatto chilometri e chilometri solo per vedermi. ma nulla di tutto questo mi ha mai fatto scattare qualcosa. certo, ero lusingata. a volte intenerita. eppure sentivo che mancava qualcosa. a dire il vero mancava tutto. con pietro invece è venuto da sè. senza sforzi. passeggiavamo in tondo per ore e ore, parlando del nulla e ridendo per tutto. ci sedevamo su una panchina a fumare, oppure ci sdraiavamo sul prato e ci fissavamo in silenzio. avevo sempre una sensazione di svenimento quasi, una sorta di formicolio al petto che mi faceva sudare le mani e mi arrossiva le guance. una felicità contagiosa, che mi contorceva un po’ le budella e mi stringeva il cuore fino a farmi credere di non respirare. abbiamo aspettato sei uscite prima di poterci sfiorare. temevo che se mi avesse baciato sarebbe tutto finito. avevo paura che si tirasse indietro. non lo fece. continuava ad avvicinarsi ed io a nascondermi. entrambi ridevamo forte. “dove scappi?” mi diceva. e poi mi baciò, e facemmo l’amore sul prato bagnato. ero sporca di terra e si congelava, ma non potevo essere più felice.
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raccontiniper18 · 8 months
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Prima esperienza lesbo
Visto il poco successo dell'esperienza omosessuale,abbiamo deciso di non scrivere il continuo che consisteva in un piccolo amplesso ma di scrivere della prima esperienza lesbo di lei.
Se siete lettori ''veterani'' del blog sapete che mi sono approcciato al mondo lesbo prima ancora di scoprire cosa fosse un orgasmo, si perchè mia sorella mi ha placato le mie prime voglie.
Eravamo rimasti al patto di doverci calmare almeno una volta a settimana le nostre voglie assieme, e raccontarci magari di esperienze vissute.
Ci raccontammo tutto, davvero tutto nei minimi dettagli e per raccontare tutto dovrei scrivere un libro, ma racconto la scena che mi fece impazzire più di tutto e ancora oggi a ricordarla mi fa bagnare come un adolescente, un lago.
Era periodo di influenza ed entrambe restammo a casa ammalate per 3 giorni, i primi 2 li trascorremmo a letto mezze morte, guardando delle serie sul pc per ammazzare il tempo ma eravamo talmente ammattite che non pensavamo al sesso, cosa che al terzo giorno lei mi sveglio, mi chiese come stessi e gli dissi che stavo meglio, allora mi sorrise e mi disse di seguirla.
Andò in camera dei miei (ovviamente vuota dato che loro erano a lavoro e noi due eravamo a casetta sole sole) apri un cassetto e tolse due o tre vestiti ed estrasse un piccolo cimelio, una scatoletta di latta grandicella si girò e rise ma io da povera innocente e credo ancora un po' influenzata non capii. Lo apri' stile affari tuoi, scavicchi ma non apra e dopo 1 minuto interminabile lo apri' del tutto e SORPRESAAAAAAAA quattro bei dildi di varie dimensioni, tre plug uno piccolissimo uno medio e uno cicciosissimo, e una cinghia che lei chiamò strapon e disse che papà molto probabilmente lo prendeva dietro da mamma.
Io esterrefatta e un po' stralunata rimasi male ''Ma come? papà è gay?''
Lei '' Nooooooooh, gli uomini alla prostata e piace tanto anche a loro prenderlo nel culetto''.
Io affermai ''Ma cosa, che schifo nel culetto, sai che dolore?''
Lei a sua volta ''Macchè,poi vediamo qualche pornino e vedi che piace ad entrambi''.
Lascio la scatoletta di latta sul letto dei miei e ci dirigemmo in camera nostra, e al pc cercò 2 porno ovviamente uno anal femminile e uno strapon.
La mia patata era bella eccitata e bagnata, più per la situazione che per la voglia di culo o di essere inchiappettata dato che il mio sederino era fatto solo per ''cacciare'' e non per ''entrare'' cose.
Glielo dissi ''Sorellina il mio culetto non è cosi' grosso e largo come quello della donnina e del uomo''
Lei rispose con un freddo ''Poi si allarga''
Io sempre più confusa le sorrisi, ma in cuor mio sapevo che il mio culo,non era cosi' e non mi stimolava minimamente nulla.
Ovviamente come detto ero ed eravamo verginelle entrambe e quindi ci divertivamo quasi ogni giorno con i nostri clito, sia reciprocamente che in solitaria. Le voglie c'erano e anche un sacco, sognavamo piselli che ci si infilavano dappertutto ma mai nel sederino, almeno io. Lei a quanto disse, lo desiderava anche dietro. CHE PORCA MIA SORELLA, CHE VACCA pensai.
Ma lo dissi ad alta voce e lei invece di arrabbiarsi, sorrise e annui , e disse certo come tutti,maschi femmine tutti hanno il culo e tutti ne traggono piacere, e anche tu vedrai, vieni in bagno zoccoletta.
(Non ci eravamo mai chiamate cosi' saranno i residui di influenza ma eravamo diventate un po' scurrili nel linguaggio e non lo eravamo mai state, ma in quella situazione a me piaceva e anche a lei).
Mi diressi in bagno mi spogliai ed entrai in doccia, lei mi segui' andò prima a fare pipi' e poi mi segui' entrò in doccia, non era la prima volta che ci lavavamo assieme quindi era ''normale'' solo che questa volta lei dopo essersi insaponata per bene le mani mi insaponò prima le tette e senza farmi fiatare scesce giù, torturò per 2 minuti buoni il mio clito. E quando stavo per venire mi sorprese e scivolò nel mio ano con un dito e subito me lo ficco dentro. O per la paura o per la sorpresa venni', e mi abbracciai a lei per la poca forza nelle gambe.
Dopo essermi ripresa, alzai lo sguardo e mi ''rialzai'' con il viso. Lei mi sorrise e disse ''Hai capito la porcellina, non entra niente nel mio culetto e invece sono entrate 2 dita.''
''Scemaaaaaaa, non entra niente ed era un dito'' le urlai a 2 cm dal viso.
Lei si morse il labbro e disse ''Guarda che sono due ce le ho ancora dentro di te, vedi?'' E fece su e giù nel mio sfintere ''Diooo non era ancora uscita e io al suo su e giù godevo'' Cazzo che mi piaceva altro che, altro che utilizzare quel buco per lo scopo principale. Serve, e dico SERVE anche a godere.
Senza pensare le dissi '' In genere quando godo mi da fastidio toccarmi nuovamente il clito,ma adesso sto impazzendo dal piacere vuoi che ti entri anche io nel tuo culetto? voglio sentire cosa si prova ad inculare''
Usciamo dalla doccia, mettiti lo strapon e inculami come se avessi il cazzo, ma non devi pensare che io sia io, ma che sia papà mettiamo una foto al pc e mi inculi ok?
Come potevo dire di no?????????
Al pc però non c'era un porno ma...
Continua.
Se vi è piaciuto fatecelo sapere in chat, ovviamente questo racconto non è come gli altri è più esplicito è molto più ''volgare'' non so se può piacere o meno. Aggiornateci vi aspettiamo in chat per discutere e magari raccontateci anche voi la vostra prima esperienza omo o lesbo.
Buona giornata e grazie per la lettura se siete arrivati qui'
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angelap3 · 5 days
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In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, una forza, una maestosità… i re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?”. L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo.
Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”.
Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito?”. Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.
Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi.
La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.
Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”.
Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.
Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”.
Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo mai di più…”.
Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti.
Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.
Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa… se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo dio lo sa, solo la totalità lo può sapere”.
Non giudicare, altrimenti non sarai mai unito alla totalità.
Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo su dei particolari.
Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere.
Di fatto, il viaggio non finisce mai.
Un sentiero finisce, e ne inizia un altro.
Una porta si chiude, e un’altra se ne apre…
Tratto da un racconto di Osho
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unfilodaria · 1 year
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dato che @anonpeggioredelmondo ha detto che potevamo sentirci liberi di autotaggarci, io lo faccio, tze
1. Are you named after anyone?
Il mio nome è la classica "pezza a colori" come si suol dire dalle mie parti. Nessuno in particolare a cui riferirsi ma in famiglia tra zii, bisnonni e cugini ce ne sono almeno tre o quattro. Il Maria poi ha dato un tocco esotico, che mi ha creato non pochi problemi ma mi ha salvato da un inverecondo Annino, perchè nato il giorno di Sant'Anna
2. Quando è stata l'ultima volta che hai pianto?
Non mi vergogno a dire che di tanto in tanto piango. E' liberatorio. Ed il fine 2022, inizi 2023 mi ha dato tanti spunti seri per farlo
3. Hai figli?
Una. Il mio "tesssoroooo"
4. Fai largo uso del sarcasmo?
Sarcasmo, ironia conditi da espressioni dialettali a me care ma che non tutti afferrano
5. Quali sport pratichi o hai praticato?
A livello agonistico? divano estremo. Nella mia mente, sarei un ottimo runner e da ragazzino avrei voluto eccellere nel baseball (mai giocato) e nella palla a mano (praticata ai giochi della gioventù delle medie)
6. Qual è la prima cosa che noti in una persona?
Gli occhi e mani e soprattutto espressioni. Poi se è donna, anche il resto ma solo dopo, giuro. Gli occhi e le mani dicono tutto
7. Qual è il colore dei tuoi occhi?
Castano scuro
8. Scary movies o happy endings?
Tragedia greca ehehe... No, Commedy romantiche... in fondo, ma molto in fondo, sono zuccheroso a rischio diabete
9. Qualche talento particolare?
Avere il dono di non essere capito... sicuramente ho difficoltà a trasmettere cosa voglio dire o penso realmente. Grosso limite e grandi fraintendimenti e incazzature
10. Dove sei nato?
Avellino
11. Quali sono i tuoi hobby?
Cinema, musica, letteratura e (ultimamente) concerti jazz. Prima cucinavo (ed anche bene, dicevano, ma non avendo per chi esibirmi ho smesso)
12. Hai animali domestici?
me stesso? Ho un geco che mi fa compagnia fissa da 3 anni sul mio balcone. Appare puntualmente a giugno per sparire a fine settembre. Una rondine che ha deciso di nidificare da 4 anni sul mio box auto, un merlo cacacazzo e scacazzone che viene a mettermi sottosopra i gerani e poi ogni tanto appaiono in casa dei "simpaticissimi e affettuosissimi e schifosissimi" animaletti con le antenne, che, nonostante la guerra batteriologica messa in atto da me da anni, se ne infischiano e ogni tanto mi fanno venire lo "spannico" (la paura)
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13. Quanto sei alto?
176 cm... anche se il dietologo mi ha detto che mi sono accorciato di 2 cm
14. Materia preferita a scuola?
Disegno tecnico, italiano e geografia astronomica
15. Dream job?
Vincere un terno secco, sulla ruota di Napoli, una settimana si ed una no (cit.)
taggo: @finestradifronte,, @vivenda, @guelfoalexander, @2delia e @laperlla
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benzedrina · 1 month
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Prima di andare a dormire accendo il proiettore, vedo due puntate random di futurama, poi perdo 1 ora sui reel di tiktok o Instagram. Vado a dormire molto tardi, ma è estate, ci sta. Settimana prossima torno al lavoro in presenza.
Ho comprato delle cuffie wireless ottime per il pc, le uso anche quando vado a lavarmi i denti prima di mettermi a letto, o Daniela Pes o La rappresentante di lista. La loro voce mette un punto alla giornata.
C'ho un po' di sconfidenza con tutto in sto periodo, sento che sto facendo la muta, ma non ho capito se mi sta bene o è una cosa che non vorrei fare. Un po' di disillusione e un po' di brutale realismo, l'ago oscilla da entrambe le parti e non mi sento in una zona grigia, piuttosto sto vivendo il bianco e il nero in pieno. Altra cosa che sento è che a livello umano mi sto giocando tutto, ma proprio tutto, male. I rapporti, le amicizie, i flirt, tutto. Tipo che ho conosciuto una persona recentemente, abbiamo parlato tutto il pomeriggio, ci siamo visti qualcosa in tv (c'erano anche altre persone) a casa, è uscita, mi ha aggiunto su IG, abbiamo parlato per qualche giorno e poi lei ha mollato. Un po' di tempo fa avrei provato a rincorrerla, sulle 3-4 volte almeno. Stavolta solo 1 volta, l'ho invitata a cena, lei era occupata, amen. Ho mollato anch'io. Non so se sia rottura di coglioni generale, se sia una mia consapevolezza di chi sono come persona, se sia un mio scontro contro tutto questo apparire sempre che rifugio, o molto più semplicemente al momento non faccio trasparire nulla di interessante.
Ieri, stanco, post calcetto, volevo rivedermi giusto le 3 scene che mi piacciono di più de La chimera. Ho finito per guardarlo tutto. Ha la capacità di raccontarmi storie profonde con una semplicità disarmante.
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ross-nekochan · 1 year
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Spossatezza e senso di vuoto, ormai appuntamento costante.
Diamo per l'ennesima volta la colpa al preciclo, che perdura da ormai più di una settimana senza nessun cenno delle ovaie di far finire questa messinscena.
Diciamo vabbè ma non va bene per niente, perché è da tempo che non ci sto capendo più niente. Eppure qualche anno fa, tipo a Venezia, era diventato un orologio svizzero talmente preciso che stentavo a crederci. E infatti non è durato. Ma tanto è inutile pensarci perché pure a ragionare sui possibili motivi non si arriva mica a sapere la verità. E quindi amen.
Siamo ad Ottobre, quarto mese in cui mi sono trasferita. Come corre il tempo anche se allo stesso tempo sembra già passato mezzo secolo.
Quattro mesi di tante settimane vuote. Vivere senza stimoli e obiettivi è sfiancante. Ora che mi ero preparata una sorta di tabella mentale per prendermi almeno le certificazioni linguistiche, ecco che oggi ho di nuovo ricevuto una proposta di lavoro e domani avrò il colloquio. Siamo a quota quattro o cinque. Come ogni volta sono lì che non so se sperare che mi prendano oppure no: la vita in casa è comoda, sebbene piatta e senza stimoli... ma avere un lavoro, a parte qualcosa da fare, cosa mi darebbe? Una volta divenuto loop quotidiano, non sarebbe niente altro che la stessa asettica vita con aggiunto lo stress del lavoro e del viaggio della speranza di ogni mattina che aggiungono ore lavorative non retribuite e rubate alla salute mentale.
In ambo le situazioni comunque non sono contenta. Ma quando mai lo sono, proprio io che so vedere solo il marcio delle situazioni in cui mi trovo.
Ah quanto era bella l'università: sempre piena di stimoli e di obiettivi (ovvero gli esami). Sì, ho sofferto e ho pianto, ma in fondo che vita è se non si soffre mai?
Chissà che fine faremo.
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nonamewhiteee · 1 year
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grazie a @lasagnefrittee che mi tagga sempre in questi giochini carini, che non facevo da tanto🌻
1. are you named after anyone? come da tradizione era il nome di mio nonno (che però non ho avuto il tempo di conoscere).
2. quando è stata l'ultima volta che hai pianto? uhm, qualche settimana fa, da solo al buio soffocando le lagrime nel cuscino.
3. hai figli? no lol.
4. fai largo uso del sarcasmo? yep, soprattutto autoironia e black humor.
5. quali sport pratichi o hai praticato? adesso nulla, ho praticato nuoto per una decina di anni, palestra per un annetto (e ho capito come non fosse il mio mondo) e jujitsu per un anno.
6. qual è la prima cosa che noti in una persona? se ci sto parlando la gentilezza, è una cosa che mi attrae particolarmente. fisicamente non saprei, come in una costruzione lego quanto siano armoniose le "componenti" all'interno del viso e le particolarità (che non sono dei difetti!!!).
7. qual è il colore dei tuoi occhi? marrone scuro.
8. scary movies o happy endings? lol, adoro i film horror e quelli che ti lasciano un senso di vuoto per giorni dopo averli visti.
9. qualche talento particolare? sono bravissimo nel buttarmi giù, un talento innato nel apprezzare le particolarità degli altri e detestare le mie, però sono ironico almeno. (ah conosco probabilmente tutte le bandiere degli stati nel mondo).
10. dove sei nato? in una città inutile nell'alto salento.
11. quali sono i tuoi hobby? mi piace leggere, ascoltare musica, vedere film, fumare, cercare cose improponibili su wikipedia, pensare.
12. hai animali domestici? no:( vorrei tanto riavere un gattino o un porcellino d'india.
13. quanto sei alto? a malapena arrivo al metro e settanta.
14. materia preferita a scuola? nessuna in particolare, adoravo sia materie scientifiche che umanistiche e artistiche e questo mi ha portato a non capire che minchia fare nella mia vita.
15. dream job? è una domanda che mi devasta da quando sono piccolo, ad oggi direi qualcosa che mi permetta di conoscere altre culture, viaggiare o avere un coffe shop 🌻.
taggo a mia volta @unpesetto @mermaidemilystuff @kyda @acrilici @acribiacollerica @pgfone @quelchenonhomaidetto @tulipanico @nuvoolarzi @minimealikesnoodles @vanigliaecannella e vabb vi taggherei tutti🌻🌻
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filorunsultra · 7 months
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Dakota Jones, l’aria inquinata, la panchina di Chamonix
Dunque c’è questa foto, ripubblicata su Instagram mesi fa, che ho salvato nella certezza che un giorno sarebbe tornata utile. Si vedono tre persone su una panchina, a Chamonix Mont-Blanc, lungo la pista ciclabile. Si chiamano Scott Jurek, Goeff Roes e Dakota Jones, e tutti e tre si sono appena ritirati dall’Ultra-Trail du Mont Blanc 2011. Sono seduti su quella panchina ad aspettare di vedere Kilian Jornet vincere il suo terzo UTMB. Sono giovani—uno di loro lo è ancora oggi, mentre gli altri due appartengono già all’Olimpo dell’ultrarunning. Ripostando la foto, qualche giorno dopo aver fatto podio a CCC, nel 2023, Jones aveva scritto: “In my recent post I mentioned sitting on a bench in Chamonix after dropping out of UTMB 2011. Scott Jurek sent me the photo! This is from that day! I can’t remember who these two other people are. They probably aren’t important to the history of trail running… I look such an idiot on this picture”.
Tra quella panchina e noi ci passano tredici anni, ere geologiche e generazioni di corridori, ma c’è chi è riuscito ad attraversarle indenne, arrivando dall’altra parte meglio di come era partito. Non molti, a dire il vero, e dei tre in quella foto uno soltanto. Nel frattempo, Jurek è diventato una divinità, Roes è stato semidimenticato (forse perché vive ad Anchorage, Alaska, ai confini del mondo conosciuto), ma solo Jones ha continuato a correre ad altissimi livelli, e forse più alti di allora—questo e altri sono i vantaggi di iniziare a correre ultramaratone a 18 anni. Ne riportiamo brevemente la carriera, testimoniata nelle agiografie e consultabile su UltraSignup: Jones corse la sua prima 50 chilometri nel 2008 a Moab, la cittadina dello Utah in cui è nato. Il maggio successivo corse la sua prima 50 miglia, mentre nel 2010 la prima 100 miglia, Bear 100, chiudendo in settima posizione in 22 ore e 15 minuti e vincendo la Bear 50 miglia dieci giorni dopo. Il giorno della foto sulla panchina a Chamonix Jones non ha ancora 21 anni e ha da poco corso la sua prima Hardrock 100 (secondo in 27h10’). Da lì in poi ha corso ogni gara che qualunque corridore coscienzioso sognerebbe di correre, e, oggi, dà l’impressione di essere in questo sport da sempre, pur avendo a malapena 34 anni e avendo appena raggiunto la fase migliore della sua carriera. Si spiega anche solo così, almeno per chi è sensibile a questo genere di cose, perché sia avvolto da un certo fascino. Tocca contare e ricontare aiutandosi con le dita per convincersi che siano passati solo tredici anni, tanto sono cambiati questo sport e il suo sapore.
Flash-forward. È un pomeriggio di febbraio, da qualche giorno #inquinamentopianurapadana ha preso il posto di #palestina nei trend di X e di Instagram. Da una settimana vengono pubblicate ovunque cartine geografiche molto colorate, anche se tutte un po’ diverse tra loro. Dati indecifrabili ai più, ma con un significato chiaro a tutti. Per gli empiristi e i dubbiosi, da qualche giorno dalla collina est di Trento si distingue un denso strato di foschia che copre il fondo valle anche nelle giornate limpide. C’è dunque un’altra foto, destinata a restare negli annali del Trento Running Club: c’è Martina Valmassoi in piedi su una panchina panoramica della Marzola, al tramonto, con un cielo giallo e azzurro e le classiche nuvole estive di fine inverno, e sotto, sulla valle, quella lingua di polveri sottili che copre migliaia di persone. Noi otto—io, Pass, Micky, Martino, Tommy, Mario (il di lui cane), Martina e Dakota—siamo dall’altro lato della fotocamera, a 900 metri e in maniche corte (Mario no, è un cane). Dakota sta imparando l’italiano e ha ben chiara una frase: “giovedì, merda”. È nota l’affezione dell’italiano per la perifrasi, ma quella è fin troppo chiara, così approfittiamo dell’ultimo giorno di bel tempo per portarli sulla Marzola, al di sopra della malaticcia foschia che adombra la valle.
Avevo visto Dakota Jones per la prima volta in mezzo al deserto, mentre mi superava a un metro e mezzo da terra al terzo giro di Javelina Jundred. La seconda, a Chamonix, a qualche metro dall’ormai proverbiale panchina, aspettando il suo passaggio all’ultimo chilometro di CCC; in compagnia, io, di uno scatenato Francesco Puppi e di un commosso Dylan Bowman, per amore del gesto atletico il primo e per patriottismo il secondo. Anche Martina—già notissima ai più assidui frequentatori di questa rivista, ma mica solo a loro—l’avevo incontrata soltanto di sfuggita. Escluse queste fugaci apparizioni, il primo surreale incontro con entrambi doveva evidentemente avvenire qui, in un parcheggio della Marzola, sopra a Trento, in un anodino pomeriggio di febbraio. La scusa, una serata a cui li abbiamo invitati circa un mese prima con un prosaico messaggio su Whatsapp, per venire a raccontare le loro storie ai corridori di Trento, davanti a una birra, schiacciati in una saletta troppo piccola e con due telecamere in faccia e un registratore sulle ginocchia. Perché le epifanie vanno registrate e tramandate, e riascoltate in loop, anche in forma di aforisma, come un reel, che una volta che finisce ricomincia daccapo. È ancora questa, nonostante tutto, una delle ultime cose che ci illude di vivere ancora uno sport di nicchia, rievocato da quella foto sulla panchina: invitare un atleta a raccontare delle cose a caso a gente a caso in una birreria a caso, e a correre un giorno a caso in un boschetto a caso. E senza sponsor, o senza nominare, nemmeno per sbaglio, le scuderie degli atleti. Questo è il motivo per cui quell’amalgama di individui che chiamiamo comunità (inciso: comunità fisica, non mediatica), individui ancora troppo poco adulti per abbandonare il pronome plurale (chi ce lo dirà, tra vent’anni, che quel noi era solo un’illusione?), continuerà a essere grata e devota.
“Ma la cosa che conta di più è lo sforzo, il viaggio che facciamo allenandoci ogni giorno, la routine, e soprattutto condividere questo viaggio con persone che capiscono, persone come voi. Questo è il modo per abbracciare questa comunità. Non stiamo facendo uno sport individuale, anche se tecnicamente quando corriamo siamo da soli, ma facciamo gare per stare con altre persone e perché così possiamo condividere i nostri obiettivi e la nostra passione con altre persone. Ed è una cosa che non capisco del tutto, è una specie di domanda senza risposta: perché significa così tanto per me? Ma essere in grado di viaggiare per migliaia di chilometri e incontrare un gruppo di persone come voi, che probabilmente sentono la stessa cosa che sento io per questo sport, è qualcosa di potente.”
Una banda di matti. Questo, almeno, deve aver pensato chi passava fuori dal locale e vedeva attraverso le vetrate quella piccola folla ascoltare queste parole. Tutti matti, idealisti e sognatori, che poi in fondo sono la stessa cosa.
C’è questa scena bella e violenta, che in pochi minuti spazza via ogni sogno adolescenziale con un colpo di spugna, qualunque sogno, mio e vostro; è il momento in cui diventiamo adulti, in cui scopriamo che tutto quello in cui credevamo non era che un gioco. È l’ultima scena di Quadrophenia, di Franc Roddamm (1979), che, come tanti film che parlano di queste cose, è diventato il manifesto di un movimento pure facendolo a pezzi. C’è quindi questo Jimmy, sulle scogliere di Dover, che dopo aver trovato nella controcultura mod—ma metteteci quello che volete—il senso della sua vita di adolescente disadattato, e dopo aver fatto a pezzi lavoro e famiglia in nome di quello stile di vita, vede i suoi pilastri crollargli addosso a uno a uno, scoprendo che per tutti gli altri—i suoi amici, i mod—era solo un gioco: un modo di vestire, un modo di comportarsi: niente di esistenziale. Così Jimmy torna a Brighton, il luogo in cui per la prima volta aveva sentito di appartenere a qualcosa, e in cui aveva creduto, nel modo più alto, di essere nato per quello. Qui scopre che il suo idolo ribelle, Ace Face, fa il facchino in un hotel, e deluso ruba la sua Lambretta e la getta dalle scogliere. La fine del noi.
Tutti abbiamo la nostra Brighton, e prima o poi Brighton muore. Però c’è qualcosa che di volta in volta si rinnova, qualcosa di cui continuiamo a portare l’illusione, un noi, che sono poi persone con nomi e cognomi, non certo entità astratte, con cui condividiamo il processo, o se non altro dei momenti, momenti che magari non hanno nessun significato, parole al vento che tra vent’anni nemmeno ricorderemo, ma che sono comunque momenti reali. E siamo disposti a fare a pezzi le nostre vite in nome di questo, e a sacrificare il nostro tempo, il nostro denaro, i nostri dolori, e in una certa misura anche alcuni pezzi della nostra felicità. Chiunque corra le 100 miglia è disposto a farlo, almeno in parte, è una forma di privazione. Una gabbia di matti. Sono modi per sopravvivere, tutti insieme, e per dare un senso a qualcosa che non ce l’ha. Maschere, forse, e allora datecene un’altra, un’altra maschera ancora.
Per capire a che livello la mia condizione sia patologica, questa notte ho sognato di andare in questo posto (foto): è il Twede's Cafè di North Bend, Washington, il diner RR di Twin Peaks. Nel sogno non avevano la crostata di mirtilli, bastardi. Poi perdevo treni e aerei e accadevano le classiche cose dei sogni, in cui di solito vivo la perenne condizione dell’out of time man.
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