#amendolea
Explore tagged Tumblr posts
Photo

Aria grecanica
Un urlo lancinante attraversa l’ampia distesa di ghiaia. Nel silenzio e nella pace delle 8 di una domenica mattina, quel grido di dolore mi blocca in gola l’ennesimo pezzo di pane e marmellata che stavo golosamente buttando giù e manda in miseria l’ultima parte di quel momento sacro che è la colazione. “È appena iniziato ottobre, un po’ presto per ammazzare il maiale” mi dice il proprietario dell’agriturismo che mi ha ospitato la notte precedente, vedendomi turbato per quanto stava accadendo nelle vicinanze. Intanto i lamenti del povero animale continuano a risuonare. “Forse lo stanno castrando” si corregge. Butto giù un po’ di succo di bergamotto, mi alzo e cerco con lo sguardo di localizzare nella scarpata di fronte la provenienza esatta di quel guaito. “Forse era meglio se l’ammazzavano” conclude Ugo.
Inizia così la mia seconda giornata sulla fiumara Amendolea. L’appuntamento è alle 8:30 proprio qui all’agriturismo. Approfitto del ritardo degli altri per contemplare la Rocca del Lupo e la distesa di bergamotto che ho proprio sotto il naso. Sono arrivati. Siamo una “murra” (tanti). Briefing iniziale e si parte. “Quello di oggi è detto anche informalmente sentiero dei cancelli” dice Andrea. E capisco subito il perché: non facciamo altro che aprire e richiudere cancelli che servono evidentemente a contenere gli animali. Seguo Aria in testa al gruppo che mi porta proprio sui ciottoli dell’Amendolea. Scodinzola felice. Capisco che quello è il modo giusto con cui affrontare la giornata. La imito.
Si sale per un paio di ore lungo mulattiere. La fame mi porta a scuoiare fichi d’India, qui abbondantissimi. Incontriamo un pastore sulla sua vespa stargata. Gli chiedo una foto. Si concede. Gli dico di fare attenzione perché è sul ciglio del dirupo. Con un sorriso mi fa capire che non è il caso di preoccuparsi. Ci saluta e scompare dietro la curva sterrata. Ci siamo quasi. Ecco la strada asfaltata adesso. A lato una serie di casupole. Frigoriferi coricati e vasche da bagno fungono da abbeveratoi per gli animali. Capiamo che siamo arrivati davvero vedendo alcune bandiere: so’ greche.
Sono le 13 in punto. Aria arriva in città. Una lontana, piccola sagoma nera la mette all’erta. Si immobilizza per alcuni secondi. Parte il flauto de “Il buono, il brutto, il cattivo”. In breve decide di sferrare l’attacco. Il primo gatto se la svigna se la svigna arrampicandosi su un muro. Aria annusa per terra come fosse un segugio, sente altre prede nelle vicinanze. Si intrufola per le viuzze. La perdo di vista. Sento che sta seminando il panico. Dopo pochi secondi un gatto ci taglia la strada alla velocità della luce con Aria al seguito. I gatti più piccoli, i più indifesi, si sono rintanati su un balcone davanti ad un uscio di una casa, proprio nella piazza centrale. Aria abbaia. Ha vinto. Ha espugnato Gallicianò.
È l’ora del panino. Mi piazzo davanti al bar, sotto ad una piccola vecchia insegna del telefono. Roba vintage per davvero. Mi sdraio. Prego affinché il balcone malconcio sopra di me non renda eterno questo mio momentaneo riposo.Il bar così come anche la trattoria del paese sono aperti su richiesta. Chiedi e dopo un po’ arriva qualcuno ad alzare la serranda. Pochi minuti dopo l’apertura ecco anche il ragazzo in vespa di prima. Si gode una Peroni insieme ai viandanti forestieri.
Io mi perdo in cronache di maiali castrati ed inseguimenti canino-felini, ma se fossi una persona seria dovrei raccontare un’altra storia, dopo quelle di Roghudi e di Africo, a dir poco interessante.
Gallicianò è la vera roccaforte della grecità aspromontana. È un posto prezioso perché qui resistono le ultime tracce della cultura e tradizione grecanica. Infatti si parla ancora il greco di Calabria. Forse perché è stato uno degli ultimi posti ad essere raggiunto dall’asfalto. L’isolamento quasi totale ha avuto il risvolto positivo di proteggere nei secoli questa lingua antica risalente alla dominazione greca, non so quanti secoli prima di Cristo. Adesso qui il telefono mi segna tre tacche su quattro e una stradina, anche se malmessa, c’è. Quel poco di progresso ha messo a repentaglio le antiche tradizioni elleniche del posto. Il greco lo parlano principalmente gli anziani e morirà se i suoi 35 abitanti, prevalentemente pastori, non riusciranno a tramandarlo.
Mimmo, un gallicianoto DOC dalla grande cultura, nonché Cicerone del paese che meriterebbe un articolo a sé, ci conduce prima nel museo etnografico, poi alla chiesetta ortodossa. È tardi e dobbiamo iniziare a scendere. Mimmo ci saluta con un rincuorante “kalispéra”.
Passiamo dalla piazza dove un gruppetto di persone gioca a carte. Per fotografarli perdo di vista quasi il gruppo. Appena lasciato il paese una tarantella in lontananza pare volerci salutare. Si torna alla base ma da un percorso diverso dall’andata. Sempre aprendo e chiudendo inferriate, di tutti i tipi. Alcune staccionate fatte con le reti del materasso, risultano essere quasi delle opere di arte povera inconsapevoli che esprimono tutto il senso di precarietà, ma anche la capacità di arrangiarsi di queste persone. Ci imbattiamo in un Pandino 4x4, l’unico mezzo ammesso da queste parti. Dentro ci sta riposando qualcuno. Una carovana di trenta persone gli passa accanto senza svegliarlo.
Riecco l’Amendolea, questa volta da un punto di vista inedito. Da qui la fiumara è davvero suggestiva. È ampia, serpeggia tra le montagne in maniera sinuosa, la sua forma zigzagante mi fa intendere che la sua poca acqua non ha fretta di tornare al mare.
Arriviamo giù. Ci togliamo le scarpe e ci bagniamo i piedi nell’Amendolea per poi asciugarli con l’ultimo sole che queste montagne ci concedono. Io e Aria camminiamo da ore, la stanchezza si fa sentire e il cielo si è improvvisamente coperto. Meglio andare. Perché a breve, come diceva una canzone, “potrei evaporare e diventare nuvola, magari un temporale”.
(presso Fiumara Amendolea)
https://www.instagram.com/p/CGFJ-Y-lsZ9/?igshid=yiyxc66d7981
#calabria#reggiocalabria#amendolea#gallicianò#fiumara#areagrecanica#grecodicalabria#blog#scrivimiquandoarrivi#escursionismo
3 notes
·
View notes
Photo

Rovine del Castello Ruffo Amendolea Condofuri . #GAddicted #glamouraffair #500px #flickr #castelloruffo #amendolea #condofuri #reggiocalabria #calabria #italy #italia #castello #castle #urbex #urbexcalabria #abandoned #urbexitaly 10.8.18 (presso Condofuri) https://www.instagram.com/p/BoHE0aYCmwI/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=bpoqf3vkl7g3
#gaddicted#glamouraffair#500px#flickr#castelloruffo#amendolea#condofuri#reggiocalabria#calabria#italy#italia#castello#castle#urbex#urbexcalabria#abandoned#urbexitaly
1 note
·
View note
Photo

Cardoon. #reggiocalabria #igersreggiocalabria #igerscalabria #igers #volgoreggiocalabria #volgoitalia #igworldclub #igreggiocalabria #nature_shooters #nature #calabria #calabriadaamare #landscapecalabria #yallerscalabria #flowers #nature #amendolea #green #spring #naturelovers #plants #instanature #fiumara #canon_photos #canonphotography #canon #canon700d #bokeh (presso Amendolea)
#flowers#green#igworldclub#canon#bokeh#fiumara#spring#igers#amendolea#instanature#calabriadaamare#naturelovers#igersreggiocalabria#volgoreggiocalabria#nature_shooters#nature#igerscalabria#reggiocalabria#calabria#canonphotography#yallerscalabria#igreggiocalabria#volgoitalia#canon_photos#landscapecalabria#plants#canon700d
1 note
·
View note
Text






Roghudi Vecchio, an abandoned village in the hills of Calabria (Southern Italy) was once home to one of Italy's last Greek-speaking communities.
Perched on the Aspromonte mountains and overlooking the Amendolea river, now almost completely dry, Roghudi was abandoned between 1971 and 1973, due to a flood and landslide emergency that had seriously endangered the safety of the population of the village, which then it had about 1650 souls.
The town was founded in the eleventh century and the roots of its former residents may extend to ancient times.
The region of Calabria is the toe at the tip of Italy's boot. And when the Greeks started colonizing the area in the eighth century BC, Calabria was a toehold. They knew Calabria by a different name: Italoi, a name that in time extended to all of Italy.
Over the centuries, southern Italy may again have received waves of Hellenic immigrants, displaced from the eastern Mediterranean. Newcomers either revived a flagging Greek-speaking minority, or reintroduced a language that had died out locally.
Incredibly, even today there are a few thousand Greek speakers in Calabria...
Photos by @giuseppecrisalli.97, Silvano Schianon, Francesca Ferrante
Find out more on our Instagram profile: @calabria_mediterranea
#roghudi#calabria#italy#italia#italian#ghost town#urbex#south italy#southern italy#italian landscapes#italian landscape#landscapes#landscape#decay#abandoned places#abandoned town#abandoned place#mediterranean#europe#mountain#mountains
194 notes
·
View notes
Text
Ricordi di fine estate
Non c’è niente di più bello per me di questo periodo. Un momento magico in cui l’aria rinfresca e sa di pioggia.
Da piccola dopo Ferragosto per me era finita l’estate ed il mondo tornava ad essere un posto orribile fatto di regole non scritte a cui ci si deve comunque attenere.
Ma con la fine dell’estate si è prossimi all’autunno, alla vendemmia, alla raccolta delle castagne e delle zucche (con cui non si fanno carrozze ma ottime zuppe), si iniziano i preparativi per Halloween ed il countdown per Natale, che diviene il momento culminante di tutto questo periodo.
Amo la fine dell’estate e la pioggia a metà settembre tanto quanto amo la neve a Natale.
In questo periodo mi sento un po’ una ninfa dei boschi che torna alla natura.

L’Aspromonte in particolare è un luogo surreale in grado di lasciarvi intense emozioni che ben si accompagnano con un tè caldo alla cannella.

L’alternarsi di aree rigogliose che ricordano i boschi del nord Europa e di quelli più aridi lo rendono un luogo ricco di specie animali e vegetali.

Aspromonte, Cascate del Maesano o Cascate del Menta


Ma ciò che più colpisce è un’atmosfera quasi onirica, in alcuni momenti la luce fa assumere al tutto un aspetto etereo tanto che è facile immaginare di essere in una foresta incantata, di quelle delle fiabe che ci leggevano da bambini.


Aspromonte, Pietra Cappa

Aspromonte, Monte Tre Pizzi
Stefania.
#viaggi#Aspromonte#parco nazionale aspromonte#montalto#cascate maesano#cascate del menta#diga del menta#fiumare#amendolea#monte tre pizzi#pietracappa#boschi#macchia mediterranea#racconti di fine estate
0 notes
Photo

The Way to Castle The castle is a medieval fortress in the Greek area of the province of Reggio Calabria, ITALY. via http://ift.tt/2gbWY8n ---- Ph. Massimiliano Pedi - Long Exposure - The M. Pedi Photography — at Castello Amendolea condofuri.
16 notes
·
View notes
Text
C’erano una volta un drago, dei pentoloni e un misterioso borgo fantasma: Roghudi e il fascino degli itinerari in Aspromonte

Nel cuore dell’area grecanica un paesino nato su un crinale a lama, in un territorio impervio ma ricco di storia e leggende. Un luogo avvolto nel mistero nei pressi del quale è possibile scorgere due formazioni geologiche che sembrano stare ancora oggi a guardia dell’intera vallata. Conformazioni rocciose come Calderoni per contenere latte o a forma di testa di Drago con tre occhi a guardia della vallata. Potrebbe sembrare l’incipit di un racconto dark-fantasy ed invece si tratta di un luogo reale che si trova nel cuore dell’Aspromonte Greco, in Calabria. Le due formazioni geologiche naturali in questione sono le cosiddette: Caldaie del Latte ("Vastarùcia") e la Rocca del Drago ("Rocca du Dragu"). Pietre cariche di leggenda che conferiscono alla vallata un alone magico e misterioso.

Caldaie del Latte

Rocca del Drago La leggenda Immergendosi tra boschi profumati, profonde gole e limpidi torrenti, si giunge in un paesino smarrito nella notte dei tempi ed ormai da diversi decenni abbandonato: Roghudi Vecchio. Un affascinante borgo fantasma in cui il silenzio regna sovrano e lo scenario è da favola. E come ogni racconto che si rispetti esistono un drago e un cavaliere, anzi un monaco; infatti la leggenda narra che la Rocca fosse la dimora, appunto, di un Drago, custode di un tesoro, che passava il tempo a terrorizzare gli abitanti della zona. Ogni volta che aveva fame se la gente non lo accontentava, dava ordine di portare i bambini al suo cospetto per poi divorarli! Poco più avanti le Caldaie del latte fungevano da serbatoi da dove gli abitanti prelevavano il nutrimento da offrire al mostro affinché smettesse di cibarsi dei fanciulli e di agitarsi causando veri e propri disastri. Difatti, secondo un’altra versione, il drago quando era nervoso scuoteva, con i suoi movimenti, la terra provocando frane e alluvioni; non a caso la zona ne è afflitta da sempre. Fu l’intervento di un frate di un convento vicino a tenerlo buono per un periodo. Ogni giorno egli si recava dal drago e lo distraeva con una conversazione lasciando così tranquilla la gente del luogo. Ma quando il frate morì il drago tornò alle sue vecchie abitudini e gli abitanti piagati dalla violenza e dai continui smottamenti abbandonarono il paese. Si dice che il drago sia ancora lì, nella sua minacciosa Rocca, che guarda bramoso le vicine caldaie senza poterle raggiungere ed è sempre più triste perché non ha nessuno con cui parlare. Roghudi Vecchio Il borgo di Roghudi Vecchio ha origini greche e si trova, a 527 metri di altitudine abbarbicato su uno sperone di roccia proprio al centro della Fiumara Amendolea, nel cuore dell’area grecanica dove ancora qualche anziano parla l’antico idioma: il grecanico, appunto. Quest’ultimo è il dialetto greco-calabro che appartiene alla minoranza linguistica greca d’Italia, ha molti punti in comune col neogreco ed è purtroppo a rischio di estinzione. Nel 1971, al momento dell’abbandono, contava una popolazione di circa 1.700 persone ma essendo stato edificato in una delle zone più piovose e accidentate della Calabria (Roghudi deriva dal greco "rogòdes": pieno di crepacci oda "rhekhodes": aspro), spesso era colpito da eventi alluvionali estremi, fino ad arrivare a quello del 1971, che in due giorni fece precipitare sulla zona l’equivalente della pioggia che normalmente cadeva in un anno. L’evento rese il paese isolato e a malincuore la popolazione dovette abbandonare le proprie case il luogo natìo.

Il paese abbandonato di Roghudi. L’odierna Roghudi si trova in un enclave a circa 40 km di distanza, delocalizzata in un territorio a valle che all’epoca venne concesso dal comune di Melito di Porto Salvo. Non tutti, però, accolsero favorevolmente la decisione del Sindaco. Dopo la devastante alluvione del 1971 la maggioranza degli abitanti acconsentì con sollievo al trasferimento nella nuova Roghudi, ma vi fu anche chi esercitò una resistenza passiva all’ordinanza. Come sempre succede, le persone più anziane, saldate al proprio paese da un forte legame affettivo, non presero neppure in considerazione l’idea di spostarsi sia pure di pochi chilometri. Alcuni erano pastori che non vedevano altro futuro che quello di restare nella loro casa arroccata sulla roccia: rimasero, quindi, nella vecchia Roghudi con tutti i disagi che si possono facilmente immaginare. Ma la natura non ama essere contraddetta: non passarono neppure tre anni prima che, alla fine del 1973, un’altra alluvione ancora più devastante della prima spazzasse via tutto il possibile, convincendo anche gli irriducibili a prendere la via della nuova Roghudi e a lasciarsi alle spalle un paese che da quel momento venne definito fantasma. Dirupi e bambini Una piccola curiosità del luogo: si racconta che ai muri esterni delle abitazioni venissero fissati grossi chiodi a cui erano legate delle corde, all’altro capo delle funi venivano assicurati i bambini per le caviglie. Questa che può sembrare una pratica barbara era invece resa necessaria per evitare che gli stessi cadessero dagli altissimi dirupi presenti in ogni dove, e venne adottata dopo la morte di numerosissimi bambini. Alcuni giurano che recandosi in quei luoghi, soprattutto di notte, si possono sentire ancora i loro lamenti salire dai burroni verso il paese. Quindi non abbiate timore se, passeggiando da soli per le sue stradine, sentirete come delle voci di bimbi gridare di paura e disperazione.

Uno scorcio di Roghudi Vecchio

Uno scorcio di Roghudi Vecchio Ispirazione che diventa musica Questa la sua storia, quella di un paese abbandonato a causa di una natura inclemente e che adesso rivive nelle note e nelle parole di un cantautore che l’ha elevato a simbolo delle proprie radici e delle proprie paure. Infatti l’artista calabrese Dario Brunori, in arte Brunori Sas, un paio di anni fa si è ispirato a questi luoghi per comporre il suo disco “A casa tutti bene”. Vi consigliamo quindi di recarvi a Roghudi Vecchio e percorrere i vicoletti di questo affascinante luogo disabitato ascoltando il vento e queste poesie in musica ispirate ad esso.

Il cantautore calabrese Brunori Sas Read the full article
#areagrecanica#aspromonte#calabria#caldaiedellatte#cittàfantasma#ghosttown#leggende#mistero#roccadeldrago#roghudi
1 note
·
View note
Photo

Roghudi. Parte 1. In notturna Arriviamo proprio durante il cambio turno, in quel breve lasso di tempo in cui il sole ha già fatto il suo dovere e il buio sta per conquistare tutto. Per fortuna siamo riusciti a scorgere il borgo dall’alto con le ultime luci del giorno, sulla serpentina che valica la montagna, una stradina di competenza dei ciuchi e del cimitero. Fisso il relitto di queste case nella penombra perché so che a breve dovrò affidarmi ad altri sensi. Difatti in breve è buio. Accendiamo le torce proprio mentre imbocchiamo la via principale che si addentra fra gli edifici. Non ci sono porte. Sbirciare negli anfratti è lecito perciò. Tetti sventrati per contemplare meglio le stelle, pavimenti fatiscenti per non rimanere coi piedi per terra, ho il presentimento che siano (stati) proprio dei sognatori questi qui. Ecco una sedia al centro di una stanza, un chiaro invito a prendere posto e sognare. Sarà per un’altra volta. Magari domani. Giungiamo in uno spiazzo. Ci mettiamo in cerchio. Il silenzio ed il buio. Scandito solo da una fontanella che non sa trattenersi. Una voce inizia a recitare dei versi in greco calabro. Non sono gli spiriti del villaggio abbandonato. È Noemi, la guida, che ci legge una poesia su Roghudi. Fino al 1971 questo borgo nel cuore dell’area grecanica contava circa 1700 anime. Poi una terribile alluvione rese questo posto inagibile. La popolazione fu costretta ad abbandonare le case e si disperse nelle zone limitrofe. Solo 17 anni dopo, a ben 40 km di distanza, si costruì Roghudi Nuovo. Un posto, a quanto pare, senz’anima, né identità. Roghudi in pratica non esiste più. È ora di proseguire. Ma intanto sta per sorgere la luna. Sbalza fuori dalle montagne in men che non si dica. Ed è quasi piena. Adesso su questi ruderi si posa una luce seducente, l’atmosfera è davvero cinematografica. È ora di proseguire. Ma intanto sta per sorgere la luna. Sbalza fuori dalle montagne in men che non si dica. Ed è quasi piena. Adesso su questi ruderi si posa una luce seducente, l’atmosfera è davvero cinematografica. Attratto da così tanta bellezza un po’ inquietante rimango indietro. È il classico incipit da film horror. Andrea, l’altra guida, mi aspetta e mi indica una targa: è la casa Leone Pangallo, l’ultimo abitante, morto pochi anni fa. Gli entriamo in casa. Vorrei proseguire il post scrivendo che all’improvviso crolla tutto e mentre sono in volo vengo salvato da Pangallo. Invece proseguo dicendo che Andrea mi mostra una chicca, una ricevuta del 27 settembre 1999, di 248.000 lire. Probabilmente per del bestiame. Scendiamo verso la fiumara Amendolea, una distesa di ghiaia secca ai piedi del borgo. Una lunga fila di torce prosegue ordinata in questo luogo disabitato da 50 anni. Penso. Non sono l’unico strambo ad essere qui questa sera. Arrivati sul posto, dopo una frugale cena, Noemi ci invita a “10 minuti in cui non voglio sentire volare una mosca”. Trovo uno spazio perfettamente ergonomico per la mia schiena fra i ciottoli e mi godo i fantasmi e questa luna al 97% della sue potenzialità. Prendo alla lettera il fatto di stare nel letto di un fiume assopendomi. È un sogno. Di una notte di mezza estate. Ma è ora di tornare. (presso Roghudi Vecchio) https://www.instagram.com/p/CDmb7bYKrtu/?igshid=1q7bczib2h2po
1 note
·
View note
Photo

Se le questioni fondamentali sono più o meno universali, il modo di dar loro risposta può essere solo individuale e locale. Hugues de Varine . . . . . #landscape #calabria #calabriadaamare #igerscalabria #ig_calabria #instagood #sudlover #sud #vsco #vscoitaly #vscom #ig_sud #igers #paesage #ontheroad (presso Amendolea) https://www.instagram.com/p/BxChIakJJ7r/?igshid=i0rsol9z7hi7
#landscape#calabria#calabriadaamare#igerscalabria#ig_calabria#instagood#sudlover#sud#vsco#vscoitaly#vscom#ig_sud#igers#paesage#ontheroad
0 notes
Photo

The dry torrents of Calabria. Canon EOS 700D EF-S18-55mm f/3.5-5.6 IS STM 55mm | f/13 | 1/13s | ISO200 This is a typical river you can find in Calabria, in Southern Italy. We don't call them river or torrent, but "fiumara", which is a particular kind of river which is dry during warm seasons and that becomes in flood during rainy season. This one in the picture is the Amendolea, that during ancient Greek colonization (this area was called "Magna Graecia") is supposed to have been the boundary between the powerful "polis" (cities) of Rhegion (Reggio Calabria, now) and Locri Epizefiri (only Locri, now). #reggiocalabria #igersreggiocalabria #igerscalabria #igers #volgoreggiocalabria #volgoitalia #igworldclub #igreggiocalabria #nature_shooters #nature #landscape #landscapecalabria #calabriadaamare #ig_calabria #calabria #ig_creative #yallerscalabria #river #italy #mountains #amendolea #spring #peoplephotography #people #yellow #green #canon_photos #canonphotography #canon #canon700d (presso Amendolea)
#ig_calabria#reggiocalabria#people#canonphotography#volgoreggiocalabria#italy#volgoitalia#green#river#yellow#ig_creative#yallerscalabria#amendolea#landscapecalabria#landscape#canon700d#canon#calabria#calabriadaamare#canon_photos#igers#peoplephotography#nature#mountains#igreggiocalabria#igworldclub#spring#igersreggiocalabria#igerscalabria#nature_shooters
0 notes
Text

The beautiful villages of Calabria’s “Grecanica Area”, in the deep south of Italy
Calabria is known as the crossroads of Mediterranean cultures and throughout its history has been home to several people, especially the Greeks, dating back to antiquity. This Greek history is evidenced by an area called the Area Grecanica or Bovesia where you can still breathe the air of ancient Magna Grecia (Latin for “Great Greece" as named by the Romans for the amount of Greek settlers in the area) .

The Grecanica area includes several municipalities in the province of Reggio Calabria, some of these municipalities have become ‘ghost villages’ as inhabitants have moved to larger cities in search of work. However, there are still some residents out of the 20,000 who inhabit the area which have kept their languange, cusine and culture alive. Here are some beautiful ancient villages to discover throughout Calabria’s “Area Grecanica”.
Bova

Listed among the most beautiful villages in Italy, Bova is considered the cultural capital of the Grecanica area. Among the sights to visit in the village be sure to see the church of San Rocco, located at the entrance of the town and well as ruins of the ancient Norman Castle, which offers some of the best panoramas in the south of Italy. The village also houses two important museums: the Museum of the Greek Language and the Aspromonte Civic Museum of Paleontology and Natural Sciences.

The cuisine is a mix of typical Mediterranean flavours with those of Greek origin. There are several dishes to try, such as maccheroni with goat sauce, ‘tagghiarini’ with chickpeas, goat meat “alla vutana”, cured meats (such as capocollo and soppressata) and musulupa, a cheese carved to resemble an amulet (in the picture above).
Pentedattilo

Perched high on a rocky outcrop, with buildings precariously built under overhanging cliffs, is the beautiful remains of Pentedattilo. The village is a 45 minute drive from Reggio Calabria. It got its name from the Byzantine word Pentedáktilos, which means five fingers, a reference to the five deep valleys surrounding the mountainous village which offers a wonderful view of the sea.

Pentedattilo is actually one of the oldest ghost towns of Italy, the town was severely damaged by an earthquake in 1783, which led to large parts of the population moving to the nearby seaside port town of Melito Porto Salvo. Today a modern-day with the same name of Pentedattilo was built on another hilltop a bit closer to the sea. The residents still attend Catholic services in the restored Chiesa dei Pietro e Paolo (Church of Saints Peter and Paul) standing proudly against the threat of Nature under the cliffs in the old town.

After some restoration in the 1980s, the old village today has a few new residents, although there are many ruins still without roofs, windows or doors. Oddly enough, the village became the site of the International Pentedattilo Film Festival.
Gallicianò

Probably the most Grecanic of the Bovesia villages, Gallicianò appears almost like an “other world” given its inaccessible position that makes it very difficult to reach. In Gallicianò the very few remaining inhabitants proudly speak Greek, handed down orally in the family environment from parents to children and completely incomprehensible to Italian-speaking Calabrians. This sort of isolation has allowed us to keep cultural, cuisine and musical traditions intact.

Roghudi Vecchia
This ancient town is located 48 km away from the coast, near Melito Porto Salvo. Roghudi Vecchia, now depopulated is almost hidden, perched on a cliff surrounded by two rivers (the Amendolea and the Furria) which both flow into the Amendolea river. The town dates back to the 11th century, with evidence that it was mainly populated by Greek settlers. Visit this ghost village to weave through the alleys of the old houses, under the crumbling rock and be reminded of a time long gone. Only a few elders remain on their land, however all of the younger generation have left. Not far from the old Roghudi there is the town of Chorio, a small group of houses which are also mostly abandoned.

#calabria#italy#italia#italian#south italy#southern italy#mediterranean#europe#landscape#italian landscapes#italian landscape#landscapes#mountains#mountain#area grecanica#griko#greek#greek culture#ancient greece#greko#bova#pentedattilo#gallicianò#roghudi#abandoned#villages#aspromonte#nature#history#mediterranean sea
68 notes
·
View notes
Text
Fattoria (Liberi di essere Schiavi)
Fattoria (Liberi di essere Schiavi)
Al Cometa Off di Roma, dopo il successo riscosso nell’anteprima al Premio Dante Cappelletti di dicembre 2019, la Compagnia Sofia Amendolea è in scena – in prima nazionale – fino al 19 gennaio, con lo spettacolo Fattoria (Liberi di essere Schiavi), scritto e diretto da Paolo Alessandri, liberamente ispirato a Animal Farm di Orwell. (more…)
View On WordPress
#Alessandra Barbonetti#Daniele Flamini#Gabriele Namio#Ilaria Arcangeli#Lucrezia Coletti#Paolo Alessandri#Recensione Fattoria#Selena Bellussi#Sophia Angelozzi#Vincenzo Paolicelli
0 notes
Text
Sentiero 128 del P.N.A. da Bova a Gallicianò. La valle della fiumara Amendolea, denominata valle grecanica, è tra le valli aspromontane la più affascinante e ricca di storia. Ancora oggi, nei paesi di Bova, Gallicianò, Roccaforte del Greco viene parlata la lingua grecanica e da qualche anno si è ripreso anche il rito cristiano ortodosso per alcune celebrazioni liturgiche.Questo sentiero era l’antica via che collegava il piccolo paese di Gallicianò alla capitale della vallata grecanica, Bova.
Il territorio percorso dal tracciato
Anse della fiumara Amendolea
L’antico mulino di Focolio
Gallicianò – dove di respira aria buona e tarantella
Sentiero 128 del P.N.A. da Bova a Gallicianò Sentiero 128 del P.N.A. da Bova a Gallicianò. La valle della fiumara Amendolea, denominata valle grecanica, è tra le valli aspromontane la più affascinante e ricca di storia.
0 notes
Text
Era un’estate torrida, asciutta. Andammo alla fiumara dell’Amendolea a vedere antiche rovine. Tra le vecchie e nobili pietre, disincastrate dalla loro posizione da tellurici eventi e bradisismi, i fiori e le piante della gariga: cardaccioni, verbaschi, malva, scabiosa, centranthus rosso, convolvoli e una cotica di erbe, verdi, grigie e marroncine, difficili da catalogare senza un manuale. Sul fondo del vallone, a cercar acqua, oleandri rosa e rossi come un rivo di colore appena spremuto dal tubetto. In alto, sulla rocca, c’era una apiacea insolita, neanche il dr. Porcelli era riuscito nell’identificazione. Sfiorita, le infiorescenze parevano ventagli color biscotto, grandi, da farti venire l’acquolina in bocca. Mi riempii le tasche di semi e li buttai in giardino.
Ma non è lei l’apiacea che è nata. È lo Smyrnium olusatrum, i cui semi ho raccolto un po’ ovunque, ai bordi delle strade. Lo Smyrnium è una pianta molto meno chic di quella della fiumara Amendolea, non è necessario percorrere salite spezzagambe, sul ciglio del dirupo, pregando la madonna, dio e tutti i santi di non cadere di sotto, basta fermare l’auto se si avvista. Freccia a destra e parcheggio. Nessuna acrobazia. Che banalità, Smyrnium.
Il primo vero verde di prima primavera è il suo. Quello e il bianco di una comune spirea basterebbero a saziare i miei occhi, tanto che vorrei tutto si fermasse lì: il verde acido dello Smyrnium e il bianco a coriandoli della spirea. Quando i cani ci passano sotto e ne escono coperti di petali bianchi, come delle spose, io non posso chiedere di più Non oltre, vi prego!
Il verde pubescente delle nuove foglie mi acceca, la massa di boccioli sulle rose attende come una cupola di proiettili pronti all’innesco. Alcune rose vanno così in fretta che da un giorno all’altro il verde scrigno del bocciolo si apre, mostrando una forma quasi cubica, con la base di un rosso che sembra sangue uscito dalla bocca di un gatto ammazzato. Fermatevi, pazze! Non sapete cosa c’è dopo? C’è la banalità del fiore aperto, che dio, può essere il più bello del mondo, ma non è più una promessa, non è più il sogno, non è più il desiderio. È quando tutto finisce, il momento di freddo che prende il corpo e lo irrigidisce. È l’obbligo di pensare: “Che bello, è bellissimo, è superlativo: tanti mesi di attesa ricompensati da quest’unico fiore”. Mentre tu pensi solo che dovrebbe piacerti e non capisci perché, sì ti piace, corpo se ti piace, ma ti piaceva più prima. Molto di più. Preferivi il bocciolo con i petali quasi invisibili, e la base ovoidale, tonda, gonfia, appena toccata di scarlatto. Se tutto rimanesse così: una promessa di un bel domani. Come nel film The prestige, le tre fasi della magia: la promessa, la distrazione, il prestigio.
Il prestigio sono le carnose foglie del sedum già richiuse su sé stesse per evitare la traspirazione, quelle grandi, enormi dell’acanto flosce come bollite, pronte per giganteschi falafel. La lavanda apre le sue spighe grigie, lasciando intravedere un viola lillacino destinato a diventare un marrone cianotico dopo la sfioritura e fino alla potatura. I fiori di lillà sbocciano, rosa, rosini, banalotti. La pianta sta lì e io non la tolgo: è tanto bella, quando è carica grappoli piccoli e verdi, con quelle sue foglioline fini, a forma di cuore, che ti viene voglia di avere quindici anni, staccarle e metterle nel diario di scuola. Poi tutto si guasta con la fioritura, così dozzinale, poi. Il lillà, una varietà comune trovata per santo miracolo al mercato, inizia la fioritura con un rosa edematoso, malato, tendente al grigio. Poi i fiorellini, pur graziosi, si aprono e diventano del colore che dà il nome alla pianta. La spirea ha perso tutte le sue bellezze, i petali bianchi sono diventati di quel tipico color marrone delle cose vegetali morte o sfiorite. Lo Smyrnium è andato: ormai sta formando le capsule dei semi. È già tutto vecchio. Il glicine ha sparato le sue cartucce e ora mette nuovo fogliame, come se potesse riscattarsi di essere sfiorito.
Il prestigio.
I boccioli di lillà
Era un’estate torrida, asciutta. Andammo alla fiumara dell’Amendolea a vedere antiche rovine. Tra le vecchie e nobili pietre, disincastrate dalla loro posizione da tellurici eventi e bradisismi, i fiori e le piante della gariga: cardaccioni, verbaschi, malva, scabiosa, centranthus rosso, convolvoli e una cotica di erbe, verdi, grigie e marroncine, difficili da catalogare senza un manuale.
I boccioli di lillà Era un’estate torrida, asciutta. Andammo alla fiumara dell’Amendolea a vedere antiche rovine. Tra le vecchie e nobili pietre, disincastrate dalla loro posizione da tellurici eventi e bradisismi, i fiori e le piante della gariga: cardaccioni, verbaschi, malva, scabiosa, centranthus rosso, convolvoli e una cotica di erbe, verdi, grigie e marroncine, difficili da catalogare senza un manuale.
0 notes
Text
Era un’estate torrida, asciutta. Andammo alla fiumara dell’Amendolea a vedere antiche rovine. Tra le vecchie e nobili pietre, disincastrate dalla loro posizione da tellurici eventi e bradisismi, i fiori e le piante della gariga: cardaccioni, verbaschi, malva, scabiosa, centranthus rosso, convolvoli e una cotica di erbe, verdi, grigie e marroncine, difficili da catalogare senza un manuale. Sul fondo del vallone, a cercar acqua, oleandri rosa e rossi come un rivo di colore appena spremuto dal tubetto. In alto, sulla rocca, c’era una apiacea insolita, neanche il dr. Porcelli era riuscito nell’identificazione. Sfiorita, le infiorescenze parevano ventagli color biscotto, grandi, da farti venire l’acquolina in bocca. Mi riempii le tasche di semi e li buttai in giardino.
Ma non è lei l’apiacea che è nata. È lo Smyrnium olusatrum, i cui semi ho raccolto un po’ ovunque, ai bordi delle strade. Lo Smyrnium è una pianta molto meno chic di quella della fiumara Amendolea, non è necessario percorrere salite spezzagambe, sul ciglio del dirupo, pregando la madonna, dio e tutti i santi di non cadere di sotto, basta fermare l’auto se si avvista. Freccia a destra e parcheggio. Nessuna acrobazia. Che banalità, Smyrnium.
Il primo vero verde di prima primavera è il suo. Quello e il bianco di una comune spirea basterebbero a saziare i miei occhi, tanto che vorrei tutto si fermasse lì: il verde acido dello Smyrnium e il bianco a coriandoli della spirea. Quando i cani ci passano sotto e ne escono coperti di petali bianchi, come delle spose, io non posso chiedere di più Non oltre, vi prego!
Il verde pubescente delle nuove foglie mi acceca, la massa di boccioli sulle rose attende come una cupola di proiettili pronti all’innesco. Alcune rose vanno così in fretta che da un giorno all’altro il verde scrigno del bocciolo si apre, mostrando una forma quasi cubica, con la base di un rosso che sembra sangue uscito dalla bocca di un gatto ammazzato. Fermatevi, pazze! Non sapete cosa c’è dopo? C’è la banalità del fiore aperto, che dio, può essere il più bello del mondo, ma non è più una promessa, non è più il sogno, non è più il desiderio. È quando tutto finisce, il momento di freddo che prende il corpo e lo irrigidisce. È l’obbligo di pensare: “Che bello, è bellissimo, è superlativo: tanti mesi di attesa ricompensati da quest’unico fiore”. Mentre tu pensi solo che dovrebbe piacerti e non capisci perché, sì ti piace, corpo se ti piace, ma ti piaceva più prima. Molto di più. Preferivi il bocciolo con i petali quasi invisibili, e la base ovoidale, tonda, gonfia, appena toccata di scarlatto. Se tutto rimanesse così: una promessa di un bel domani. Come nel film The prestige, le tre fasi della magia: la promessa, la distrazione, il prestigio.
Il prestigio sono le carnose foglie del sedum già richiuse su sé stesse per evitare la traspirazione, quelle grandi, enormi dell’acanto flosce come bollite, pronte per giganteschi falafel. La lavanda apre le sue spighe grigie, lasciando intravedere un viola lillacino destinato a diventare un marrone cianotico dopo la sfioritura e fino alla potatura. I fiori di lillà sbocciano, rosa, rosini, banalotti. La pianta sta lì e io non la tolgo: è tanto bella, quando è carica grappoli piccoli e verdi, con quelle sue foglioline fini, a forma di cuore, che ti viene voglia di avere quindici anni, staccarle e metterle nel diario di scuola. Poi tutto si guasta con la fioritura, così dozzinale, poi. Il lillà, una varietà comune trovata per santo miracolo al mercato, inizia la fioritura con un rosa edematoso, malato, tendente al grigio. Poi i fiorellini, pur graziosi, si aprono e diventano del colore che dà il nome alla pianta. La spirea ha perso tutte le sue bellezze, i petali bianchi sono diventati di quel tipico color marrone delle cose vegetali morte o sfiorite. Lo Smyrnium è andato: ormai sta formando le capsule dei semi. È già tutto vecchio. Il glicine ha sparato le sue cartucce e ora mette nuovo fogliame, come se potesse riscattarsi di essere sfiorito.
Il prestigio.
I boccioli di lillà Era un’estate torrida, asciutta. Andammo alla fiumara dell’Amendolea a vedere antiche rovine. Tra le vecchie e nobili pietre, disincastrate dalla loro posizione da tellurici eventi e bradisismi, i fiori e le piante della gariga: cardaccioni, verbaschi, malva, scabiosa, centranthus rosso, convolvoli e una cotica di erbe, verdi, grigie e marroncine, difficili da catalogare senza un manuale.
0 notes
Photo

Condofuri, rubavano inerti dalla Fiumara Amendolea: 2 arresti Continua la pressione esercitata dai Carabinieri Forestali del CUTFAA (Comando Unità Tutela Forestale Ambientale ed Agroalimentare) nel contrastare i reati relativi al prelievo illegale dei materiali inerti dal letto delle fiumare e dei torrenti del territorio della provincia di Reggio Calabria.
0 notes