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#casa delle bambole
designmiss · 9 years
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Mensole dall'architettura postmoderna https://www.design-miss.com/mensole-dallarchitettura-postmoderna/ L’architettura postmoderna di Palm Springs reinterpretata attraverso #mensole dal design unico!
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diceriadelluntore · 1 month
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Storia Di Musica #325 - Family, Music In A Doll's House, 1968
L'edificio della copertina del disco di oggi è una casa. Ma di quelle delle bambole. È anche, come per una vera casa, un susseguirsi di ambienti legati, di storie. Il disco di oggi è, unanimemente, uno dei più particolari e preziosi dischi degli anni '60 e, aggiungo io, uno dei miei preferiti in assoluto. Tutto inizia a Leicester, inizio anni '60. Roger Chapman, che già ha qualche esperienza in piccoli gruppi, forma i Farinas, con suoi amici del Leicester Art College: Charlie Whitney, che suona la chitarra, Jim King che suona il sassofono, Harry Overnall e Tim Kirchin, quest'ultimo poi sostituito da Ric Grech. Registrano un primo singolo, per la Fontana, dal titolo You'd Better Stp / I Like It Like That del 1964, che ha un piccolissimo successo. Cambiano nome in Roaring Sixties e pubblicano un nuovo singolo, We Love The Pirates, nel 1966. A questo punto cambiano nome in Family, per l'abitudine di fare tutto insieme, e quando Rob Townsend sostituisce Overnall vanno a Londra. Qui in poco tempo si diffonde la notizia che in città c'è un gruppo che mischia in maniera totalmente innovativa blues, folk, jazz, e ha un cantante che ha una voce incredibile, calda, ruvida e trascinante. Nel 1967 pubblicano la loro prima grande canzone Scene Through The Eye Of A Lens, e firmano un contratto per la Reprise, etichetta fondata nel 1960 da Frank Sinatra, che cercava più libertà d'espressione dalla sua etichetta storica, la Capitol Records. Il disco di oggi, che esce nel 1968, fu il primo di una band Inglese distribuito negli Stati Uniti dall'etichetta (che nel 1968 faceva già parte della Warner Bros.).
Music In A Doll's House passerà alla storia già solo per il titolo: infatti uscirà poche settimana prima del disco dei Beatles che John Lennon voleva chiamare con lo stesso titolo (che riprende il famoso testo teatrale di Henrik Ibsen nel 1879). Lennon fregato dall'accaduto decise poi di pubblicare il loro ultimo lavoro, un disco doppio, con la copertina bianca semplice e dal semplice titolo The Beatles (capolavoro immenso della storia della musica). Quello che rende quest'album tra i più enigmatici e inventivi di quegli anni è che fu, all'atto pratico, l'anello di congiunzione storico-musicale per quello che pochi mesi dopo diventerà il progressive. Prodotto da Dave Mason dei Traffic (Inizialmente l'album avrebbe dovuto essere prodotto da Jimmy Miller, ma quest'ultimo era già impegnato nelle registrazioni di un altro capolavoro, Beggars Banquet dei Rolling Stones), il disco sciorina in 15 brani brevi (uno solo sopra i 4 minuti) una varietà incredibile di creatività, la musica della casa di bambole apre ogni volta stanze differenti: blues revival e canti gregoriani nella stessa canzone (la favolosa Old Songs New Songs), sanno giocare con il fascino dolciastro del r&b (Hey Mr Policeman), sanno suonare il miglior beat sound inglese, come i riferimenti a Kinks e Traffic di due gioielli come Me My Friend e la languida Mellowing Grey, passano con disinvoltura al folk rock (Peace Of Mind) senza disprezzare puntatine verso la psichedelia all'epoca nel fiore della sua potenza, con il sitar orientaleggiante di See Through Windows. E come dimenticare i violini e la voce "da brividi" che aprono The Voyage, prima di trasformarsi in un saltellante rock? O lo sgangherato God Save The Queen che chiude la circense 3 X Time? I brani sono intervallati da piccoli intermezzi strumentali, chiamati giustamente Variation: Variation On A Theme of Hey Mr. Policeman, Variation On A Theme Of The Breeze e Variation On A Theme Of Me My Friend. In Old Songs New Songs suonano non accreditati la band di Tubby Hayes, virtuoso del sassofono, e alcuni arrangiamenti per archi furono effettuati dall'allora 18enne Mike Batt, che diventerà in seguito grande produttore e per anni presidente dell'Industria Fonografica Inglese. La band gira a mille, usando strumenti all'epoca innovativi come il Mellotron suonato proprio da Dave Mason, il sassofono tenore e soprano di Jim King, il violino e il violoncello di Ric Grech (il quale l'anno dopo lascerà la band per suonare il basso nei Blind Faith assieme agli ex-Cream Eric Clapton e Ginger Baker e a Steve Winwood, in pausa dal suo progetto principale, i Traffic). Ma la vera bomba è la voce di Roger "Chappo" Chapman, un ruggito blues indimenticabile, dall'animalesca vocalità, che segnerà un'epoca, e farà moltissimi seguaci (Peter Gabriel dei Genesis, che nascevano proprio in quelle settimane, ne prenderà nota).
La carriera della band proseguirà per qualche anno ancora, fino al 1973, con grandi album (tra tutti Family Entertainment, Anyway e Fearless), con una delle copertine più belle degli anni '70 (il vecchio televisore anni '50, sagomato nell'edizione originale di Bandstand del 1972) e la nomea di band degli eccessi, idea questa che venne "prepotentemente" sottolineata dai racconti che una famosa groupie, Jenny Fabian, che nel suo romanzo Groupie non usò molta fantasia per nascondere i nomi dei nostri nel raccontare le pruriginose avventure dei nostri. L’ultimo concerto della Family avvenne al Politecnico di Leicester, il 13 ottobre del 1973, e si racconta che il party post concerto fu altrettanto memorabile. Degno finale di una delle più suggestive e talentuose formazioni musicali di quegli anni.
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harshugs · 9 months
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stanotte mentre tornavo a casa con delle amiche alcuni ragazzi hanno iniziato a chiamarci “bambole” in modo abbastanza fastidioso
li abbiamo ignorati camminando in avanti
ad una certa hanno iniziato ad urlarci “a lesbighe”
per accontentarli ho preso una di queste amiche e me la sono limonata facendo il dito medio rivolto verso di loro
bello, soddisfacente, poi tutte verso casa
andatevene a fanculo va
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C'erano una volta
i calzini corti, i mezzi tacchi, le mezze stagioni
La mezza stagione, una volta, non era una stagione a metà ma quel tempo di mezzo tra una stagione definita e l'altra, tra il caldo caldo e il freddo freddo, una stagione preparatoria e per questo molto importante. Anche noi umani, avevamo una mezza stagione: un tempo preparatorio che andava dall'essere bambini all'essere adulti. Adesso, viviamo tutti nella mezza stagione, sia come tempo meteorologico che come fase della vita. Ascoltando certe cose, arriva prepotentemente il passato con le sue immagini nitide e chiare. Non era né meglio né peggio, era solo diverso e, a me che l'ho vissuto, piaceva.
Poco tempo fa, mi trovavo in un negozio di abbigliamento per bambini, accanto a me, una signora chiedeva qualcosina da regalare a una bimba di sei mesi. La commessa mostrò tutine, pigiamini che sembravano di zucchero filato. La signora non sembrava molto interessata e disse: - Non lo so, non mi piacciono tanto, mi sembrano troppo infantili.
La commessa andò a prendere altri articoli e alla fine, la signora tutta contenta, comprò una gonna di jeans con gli strassini rossi a forma di cuore.
In effetti, le tutine e i pigiamini erano infantili, ma credo che una bambina a sei mesi sia da considerarsi infantile senza che debba sentirsi in colpa per questo. Ecco, nella mia memoria l'infanzia era un'età definita, non c'erano dubbi. Poi c'erano i bambini e i bambini grandi che non sono quelli che chiamano la mamma dall'ufficio perché hanno bisogno della camicia stirata per la cena di lavoro. I bambini grandi si distinguevano dalle scarpe occhio di bue e i calzini corti, maschi e femmine, senza differenza di lingua e classe sociale. Passato l'inverno si andava a scuola con i calzini corti, bianchi, a righine colorate, di cotone o di filo di scozia e si desideravano le calze di nylon che indossavano le ragazze grandi. Ecco, le ragazze grandi erano le sorelle maggiori, le cugine, quelle che avevano già i mezzi tacchi e le calze velate. Erano quelle che andavano alle feste di compleanno da sole, con le amiche, ma mai con le sorelle più piccole. Le feste di compleanno delle ragazze grandi erano sempre un mistero per le bambine e spesso erano precedute da litigi furiosi a casa. Le ragazze grandi si truccavano di nascosto, fumavano di nascosto e avevano un ragazzo che tenevano sempre nascosto, si chiudevano a chiave in bagno e chiudevano a chiave anche il diario segreto: era un'età misteriosa. Tutto succedeva appena smettevano di indossare i calzini corti.
C'era questa stagione di mezzo, passavamo dai calzettoni di lana ai calzini corti e nell'aria c'era già una promessa d'estate. Le ragazzine finivano di giocare con le bambole o di arrampicarsi sugli alberi e diventavano ragazze grandi, mentre avevano già lo sguardo di giovani donne.
D'estate, i ragazzi più in gamba erano quelli che, giocando a tamburelli, mandavano la pallina accanto alla ragazza più carina e sotto gli ombrelloni c'erano famiglie intere.
Ma l'estate era un'altra stagione...
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m.c.m.
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denny1416 · 1 year
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Ma perché quando si deve organizzare qualcosa devo essere sempre io a sbrigare le cose pratiche, se no nessuno fa niente?
"Sono impegnata, non sto a casa", "eh ho studiato tutto il giorno", come se io fossi qua a pettinare le bambole tutto il tempo.
La verità è che chi fa studi scientifici vede chi studia cose umanistiche come un perditempo, come uno che vive nel mondo delle favole.
Intanto quella pratica so sempre io, com'è sta cosa?
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intotheclash · 6 months
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Finalmente i tuoi pensieri moribondi hanno preso il volo, non attraverserai più, fiero e impavido, il campo di battaglia, sfidando, con un sorriso, le meraviglie del cambiamento. Niente più costosi acquisti alla fiera dell'ovvio: come viandante ubriacato dalla fatica di sopravvivere a chi non morirà mai. Cerca altrove il cavallo di legno capace di traghettarti oltre i cavalli di frisia della memoria. Ignari accorreranno i giullari, con sorrisi dipinti su esistenze di carta, in balia dei quattro venti. Nulla è in gioco, nulla è in discussione, nulla è nulla. La consapevolezza attende appena oltre la soglia della casa delle bambole, dove l'orco di turno organizza il banchetto e trema al primo risuonar di passi.
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sorrisicollaterali · 2 years
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- sto partecipando a un contest in inglese su wattpad, metto qui la versione in italiano per lasciarla da qualche parte -
Con gli occhi dei bambini
Sally tiene il mento poggiato sul dorso della mano e gli occhi lucidi scrutano fuori dalla grande finestra dell’attico, dove piove da almeno un paio d’ore. Con questo tempo l’atmosfera si trasforma ed è facile immaginare avventure appartenenti ad altri mondi. Le piacerebbe essere una fatina e tirar fuori polvere magica dalle gocce di rugiada che si depositano sulle foglie; fuori, è pieno di piante e piccoli fiori con i quali sperimentare intrugli e pozioni. Romeo, dal canto suo, sta disteso sul pavimento a fissare il soffitto. Lui è uno di quelli che non immaginano nulla e soffrono nelle giornate in cui non si può correre fuori per giocare al pallone. Eppure, la mamma è stata piuttosto chiara…non si esce da casa con questo tempaccio. Dentro ci sono sempre le solite cose: un gameboy mezzo rotto, puzzle montati e smontati un miliardo di volte, le bambole di Sally con i capelli tagliati e dipinti. Anche il pc che la mamma usa per lavoro, la cui password non è un segreto, è inutilizzabile senza la corrente che è saltata. Sembra tutto così noioso e già fatto che anche lamentarsi è sopravvalutato. “Ha smesso di piovere?” “No” “E ora?” “Non ancora” Ormai si scambiano solo un’unica frase da un tempo che sembra infinito. “Dove vai?” chiede Romeo, vedendo la sorella maggiore alzarsi improvvisamente. “Non lo so, da qualche parte a cercare qualcosa da fare”, risponde Sally. Il bagno, nel quale sono entrati già due volte, ha le piastrelle azzurre con i bordi di un giallo canarino piuttosto smorto; i sanitari solo color avorio e un mobiletto a specchio racchiude una serie di prodotti profumati. “Devi fare la pipì?” chiede Romeo, senza capacitarsi del perché tra tutte le stanze disponibili stanno esplorando proprio il bagno. “Ma che c’entra” esclama Sally con una risata “voglio andare lassù” “Lassù dove?” “Là” dice, indicando con un dito il lucernario che si trova sul soffitto. “E cosa c’è?” “Non lo so ancora, ma voglio scoprirlo” Per un momento, stare a fissare quella botola a vetri diventa la cosa più interessante degli ultimi tempi. D’altronde, era da tanto che non si fermavano ad osservare con il naso all’insù. Per stare davanti ai telefoni basta stare con lo sguardo abbassato. “Come ci arriviamo?” “Prendiamo la scala” Il loro sguardo brilla di complicità. Per sollevare la scala, con quattro mani ben salde, ci vuole uno sforzo notevole. Sally è la prima a salirci su, sembra piuttosto decisa anche se di solito non gli è permesso fare questo genere di cose. Il tintinnio delle gocce sui vetri è un suono persistente. Il gancio che permette alla lastra di vetro di alzarsi si apre con un sonoro TAC, lasciando spalancati gli occhi di Sally, e più in basso quelli di Romeo, mentre guardano estasiati all’interno. Con calma e attenzione anche Romeo sale tutti i gradini. Un sottotetto, anch’esso a vetri, permette di guardare dall’alto tutta la città.
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Lavoro minorile: i dati nella giornata mondiale
Nonostante gli impegni presi con le Convenzioni internazionali, secondo le ultime stime, nel mondo 160 milioni di bambini - 63 milioni bambine e 97 milioni bambini - sono ancora coinvolti nel lavoro minorile, quasi 1 su 10 di tutti i bambini del mondo, e di questi 79 milioni, quasi la metà, svolgono forme di lavoro pericolose. Lavoro minorile: i record negativi asiatici Il Bangladesh non fa eccezione: secondo il National Child Labour Survey 2022, i bambini fra i 5 e i 17 anni che lavorano sono oltre 1,7 milioni e di questi poco più di 1 milione è impiegato in lavori pericolosi. Quest'anno ricorre il 25° anniversario dell'adozione della Convenzione n. 182, la prima universalmente ratificata, che chiede la proibizione e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile. Non meno importante è la Convenzione del 1973 (n. 138), che stabilisce che l'età minima per l'ammissione al lavoro non debba essere inferiore a quella in cui cessa l'obbligo scolastico. Inoltre, con l’adozione dell’Agenda 2030, la comunità internazionale si è impegnata a porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025 (Obiettivo 8.7). In Bangladesh il Labour Act del 2006 proibisce l'impiego di bambini al di sotto dei quattordici anni e vieta le forme pericolose di lavoro per i minori di 18 anni. Tuttavia, resta ancora molto da fare. La povertà è il principale fattore che costringe i bambini a entrare precocemente nel mercato del lavoro, privandoli della loro infanzia e danneggiando il loro sviluppo fisico e mentale. In forme estreme, il lavoro minorile comporta schiavitù, traffico di esseri umani o servitù per debiti. Le ragazze sono particolarmente a rischio, un problema aggravato dal mancato accesso all'istruzione e da pratiche dannose come il matrimonio precoce o forzato.   L’intervento di ActionAid ActionAid lavora in Bangladesh dal 1982, focalizzandosi sui diritti delle donne e dei bambini. Le Happy Home, letteralmente "case felici", sono spazi sicuri che l’organizzazione ha creato per proteggere bambine e ragazze in situazioni di estrema fragilità, offrendo loro un luogo sicuro dove crescere e garantirsi un futuro. Noor, oggi 12enne, ha potuto riprendere i suoi studi. Dall’età di quattro anni ha vissuto e lavorato come domestica. “Prima di stare qui, nella Happy Home, vivevo con le mie zie materne che mi facevano lavare i loro vestiti. Se non facevo bene il lavoro, mi picchiavano e mi lasciavano senza cibo. Successivamente, mi hanno mandata a lavorare in un’altra casa come domestica e ho smesso di studiare. Un giorno, mentre facevo questi lavori, mi sono scottata con dell'acqua calda e il proprietario della casa mi ha picchiato. Dopo questo incidente, mi hanno licenziata. Non portando soldi, le mie zie mi hanno cacciata di casa. Sono stata un po’ a casa di mia madre, ma lei lavorava e non poteva tenermi e mi ha trovato un lavoro in una fabbrica di bambole durante il giorno, mentre la sera tornavo da lei. Poi un’altra zia mi ha portato nella Happy Home. Qui posso mangiare regolarmente e vado a scuola, in passato nessuno si prendeva cura di me in questo modo. Se non fossi venuta qui, avrei probabilmente dovuto lavorare anche io in una fabbrica per sempre, visto che non avevo completato gli studi”. Le storie di Noor e delle altre bambine accolte negli spazi sicuri gestiti da ActionAid sono tutte caratterizzate da un passato di abbandono e solitudine.“Ci sono così tanti bambini che non hanno l’opportunità di andare a scuola e nemmeno di giocare. Qui nelle Happy Home di ActionAid proviamo a dare uno spazio sicuro a tutte loro. La nostra missione è di non lasciare nessun bambino indietro. È inaccettabile che i bambini lavorino in queste condizioni, come se fossero delle macchine, solo per poter avere un po’ di soldi per comprare del cibo. È nostra responsabilità impegnarci per garantire loro una vita diversa” afferma Sanjida Afrin di ActionAid Bangladesh. La campagna con Progetto Happiness In occasione della Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile, ActionAid e Progetto Happiness lanciano una nuova campagna di sensibilizzazione e di raccolta fondi tramite il sostegno a distanza. Giuseppe Bertuccio D’Angelo, ideatore e mente di Progetto Happiness, collabora dal 2022 con ActionAid realizzando video reportage su temi sociali e diritti umani. Dopo aver documentato la quotidianità dei bambini in Kenya e la vita nelle favelas brasiliane, quest’anno ha documentato la realtà delle bambine e dei bambini lavoratori in Bangladesh incontrando fra gli altri anche Jui e Noor. La campagna è online sui Foto di Suvajit Roy da Pixabay Read the full article
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triciamela · 3 months
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Dovrei studiare. Dovrei davvero studiare oggi. Ma la luce del sole entra dalle finestre e illumina tutta la casa. Non troppo però, il giusto.
Dovrei imparare come si deve le definizioni di monarchia assoluta e repubblica parlamentare, ma oggi sono decisamente prive di fascino per me. Vorrei esprimermi e liberarmi. Sento un certo grado di insoddisfazione come se avessi costantemente un sassolino nella scarpa e non riuscissi a toglierlo. Forse mi sento sola? Ma in compagnia di chi potrei effettivamente sentirmi condivisa?
Non riesco nemmeno a esprimere quello che provo figuriamoci spiegarlo a qualcuno.
Rosico, di base. Ipotizzo cose da fare che però in un certo qual modo, nel qui e ora, sono irrealizzabili. Vorrei camminare nei boschi, come facevo quando ero ragazza, e passare il pomeriggio seduta su un sasso a pensare, disegnare e respirare. Guardare la natura e immaginare molto forte tutto quanto. Però sono qui, in questa casa di periferia a tediarmi su come memorizzare alcune nozioni di diritto.
Vorrei dipingere su una tela per sentirmi capace di leggerezza e di spontaneità sentimentale veicolando i miei pensieri su un foglio bianco. Ironicamente, però, l'unica cosa che non ho e che non so come usare sono le tempere o i colori a olio; quindi rosico.
Vorrei, in sostanza, sentirmi leggera e non pesante. Ironico che lo stia scrivendo in questo modo perché per l'ennesima volta sono pesante. Come si fa a essere leggeri?
Questa giornata sembra proprio mancare di senso, di significato. Io mi sento senza senso o significato. Vivo questa crisi esistenziale piccola come me ma grande nella misura del mio mondo. Il mio male quotidiano è come un terremoto in una casa delle bambole. Per il mondo insistente, per le bambole un casino.
I gatti hanno lo sguardo fisso fuori dalla finestra, sul balcone, dove Nerino il randagio ormai si rifocilla periodicamente da quando ha scoperto come arrivare qui passeggiando sulle impalcature. Loro la vedono come una questione di stato e quindi devono sempre tenerlo d'occhio. Probabilmente nella loro casa delle bambole questo è un terremoto, per me invece un dettaglio di fondo nella mia.
I treni fischiano quando passano vicino a casa mia, fischiano come matti. Fanno parte dello sfondo anche loro come le voci dei vicini, i cani che abbaiano nel palazzo, la lavatrice in funzione e questa casa stessa con la luce del sole forte, ma non troppo. Ed io mi sento spettatrice immobile di tutto questo, lo sento quasi eterno ma tra qualche minuto o forse ora mi sembrerà sia stato un attimo. Il tempo è interessante se lo si analizza in attimi perché può essere eterno ma anche fugace. Somma di tutte le nostre decisioni può cambiare e stravolgersi, tutto in un niente. Batti le palpebre e tutto è successo, in un attimo, ma a te non sembra sia successo niente.
Io in un attimo penso. I miei pensieri sono radici che prendono una piega diversa ogni attimo e crescono fino a fare il giro del mondo. Io in un attimo decido cosa pensare e come. Io in un attimo cambio, seguendo il flusso di questi pensieri. Chissà cosa invece gli attimi rappresentano per gli altri.
Quando ho pensato come descrivere un attimo la mia mente è automaticamente virata a Marika, neo eletta regina dei suddetti. Ma non volevo addentrarmi in quelle che sono le decisioni prese in un attimo, e tutt' ora la reputo la scelta migliore. Ma lei per me ora è tante cose, anche un attimo nei miei pensieri e quindi fa parte anche della mia casa delle bambole.
Dammi un attimo, aspetta un attimo, faccio in un attimo. Una parola di uso così comune che ha una potenza così travolgente, come un terremoto. L'attimo è il mio fato e la mia opera. L'attimo è tutto quello che ci circonda ma noi non ci accorgiamo mai di niente.
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softhingnvrm · 3 months
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prima di trasferirsi nel continente americano, la drummond risiedeva da ventisette anni e pochi mesi a glasgow, giungendo dal versante di cambuslang per la precisione. la sua era una villetta a schiera alta e cupa in park circus. accanto all'abitazione c'era un'area lastricata con una casetta per uccelli e dei piccioni, poi un orticello e un piccolo prato circondato da una bassa siepe, dove si potevano intravedere alcune gabbie e dei conigli che brucavano. superando il corridoio all'ingresso si veniva accolti da alte finestre affacciate sul circus e un fuoco vivace sotto una mensola di caminetto marmorea. due grossi alani giacevano sonnolenti su un tappeto davanti al focolare col mento posato sui fianchi di quello vicino. tre gatti sedevano, il più lontano possibile gli uni dagli altri, sugli schienali delle poltrone più alte. attraverso la doppia porta aperta si poteva notare un'altra stanza che dava sul giardino posteriore. a rendere bizzarra la casa era una moltitudine di oggetti posati su tappeti, tavoli, credenze e sedie: un telescopio su treppiede, una lanterna magica appartenente al bisnonno, globi celesti e terrestri dal diametro d'un metro, un puzzle semicomposto, una fattoria-giocattolo, uno xilofono, un'arpa, uno scheletro umano e una casa delle bambole completamente ammobiliata priva della facciata frontale; apparteneva a bell, chiamata bella dal nonno godwin nel momento della sua resurrezione. v'era anche la presenza di vasi di vetro contenenti membra e organi corporei in salamoia. quegli esemplari facevan probabilmente parte della collezione del nonno ma la loro morbosità marrone era in netto contrasto coi vicini vasi di papaveri e con la grande boccia di cristallo in cui saettavano pesciolini tropicali. bella dunque viveva in mezzo a un gran disordine perché il padre voleva che gioisse nel vedere, sentire e maneggiare quante più cose possibili.
al piano suonava the bonnie banks o' loch lomond con tanta energia e rapidità che la melodia sembrava vivace, quasi selvaggia, e aveva solamente quattro anni all'incirca. vaporosi capelli neri le celavano straordinariamente il corpo fino alla vita, mentre le sue piccole gambe cercavano disperatamente di azionare i pedali con un vigore tale da trasmettere a chiunque l'osservasse il godimento provato in quell'esercizio musicale. quelli eran i ricordi più vividi che possedeva della propria giovinezza. in nessuna di queste memorie v'era esplicitamente il padre, attorniato dal lavoro e dalle infermiere che lo aiutavano coi suoi mille esperimenti.
«sto perfezionando la tecnica di sir godwin» blaterava sempre.
il padre di arabella s'era innamorato di una di quelle infermiere e l'amore per quel cervello vinse sull'assenza di libido che lo perseguitava da tutta una vita. purtroppo il frutto della loro unione carnale venne al mondo togliendo la vita alla sua creatrice. la madre di arabella spirò senza che potesse anche solo stringere tra le braccia la povera creatura che, disperata, cominciò a piangere. quattro anni dopo s'era abituata alla compagnia animale e per lo più gattonava e abbaiava finché non si annoiava di farlo e passava a dedicarsi a un'altra attività. a sei anni cominciò a ricevere le visite d'un docente privato che le insegnò per anni la matematica, l'anatomia, la chimica; solo ciò che interessava al padre. poesia, narrativa, storia, filosofia e la bibbia gli sembravano assurdità, "discorsi insensati e indimostrabili". ogni mattina e ogni sera le misurava la temperatura e le pulsazioni, e analizzava campioni del suo sangue e dell'urina. a sette anni bella faceva tutte quelle cose da sola. a causa di uno squilibrio chimico, il suo organismo aveva bisogno di dosi alternate di iodio e zucchero, di cui doveva controllare gli effetti con estrema precisione. una sera, prima del bacio della buonanotte, arabella chiese al padre da dove veniva. lui le rispose tirando fuori diagrammi, modelli e campioni patologici, nonché impartendole un'altra lezione su come era stata generata. le piacevano, quelle lezioni. le insegnavano ad ammirare la sua organizzazione interna e le consentivano di trascorrere del tempo con l'unico genitore rimastole al mondo. nessuno fu mai crudele con lei e riceveva tutto il calore e l'affetto animale di cui aveva bisogno dai due alani del padre. ne aveva sempre parecchi. sir maxwell attese la prima adolescenza della figlia per insegnarle esattamente come e perché il corpo femminile è diverso da quello maschile, come al solito con diagrammi, modelli e campioni patologici. disse di poterle organizzare un esperimento pratico con un esemplare vivo e in salute, se la curiosità l'avesse spinta in quella direzione. non fu così.
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zanzino-shop · 3 months
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Hinamatsuri-la festa delle bambole in Giappone
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L’Hinamatsuri, nota anche come “Festa delle bambole” o “Festa delle bambine”, è una ricorrenza giapponese che cade il 3 marzo, cioè il terzo giorno del terzo mese. Durante questa festività, le famiglie preparano piattaforme con un tappeto rosso (chiamato “hi-mōsen”) su cui espongono un insieme di bambole ornamentali giapponesi (hina-ningyō). Queste bambole raffigurano l’imperatore, l’imperatrice, gli attendenti e i musicisti della corte imperiale, indossando abiti tradizionali del periodo Heian .
La storia dell’Hinamatsuri risale all’incirca alla metà del VII secolo, durante il periodo Heian. Si basa sulla credenza che le bambole abbiano il potere di contenere gli spiriti malvagi e le malattie corporali. In passato, veniva praticato un antico cerimoniale chiamato hina-nagashi (letteralmente “bambola fluttuante”), in cui alcune bambole di paglia venivano posate lungo il corso di un fiume. Si credeva che queste bambole portassero via con sé gli spiriti maligni e i cattivi auguri.
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Le bambole hina sono regalate alle bambine e tramandate di generazione in generazione dalle donne di famiglia. Durante l’Hinamatsuri, le bambine indossano i kimono tradizionali, ricevono regali dai genitori e parenti, e si recano al tempio più vicino alla propria casa per pregare per la loro crescita felice e sana. Questa festa è anche un modo per allontanare gli spiriti malvagi dalla famiglia .
In sintesi, l’Hinamatsuri è una festa speciale che celebra la bellezza e la salute delle bambine e promuove l’armonia familiare.
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comenasceunadonna · 4 months
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"Non è forse così, Torvaldo? Quand'ero ancora a casa mia, il babbo mi comunicava tutte le sue idee e per conseguenza io pensavo come lui; se avevo per caso altre idee le nascondevo; perchè non gli sarebbe piaciuto ch'io avessi avuto delle opinioni proprie. Lui mi chiamava la sua bambolina e si divertiva con me come io con le mie bambole. Dopo sono venuta in casa tua.... con te...."
Nora viveva da bambola; è stata truccata e vestita su misura dagli uomini che ci giocavano, si faceva plasmare dalla forma delle loro mani, assorbiva e ripeteva ogni loro parola, e ogni suo arto si muoveva al loro comando. La sua visione si limitava a quanto le permettessero di voltare la testa; ma ciò non la impedì dal guardarsi allo specchio.
Quel trucco perfetto, ritoccato ogni singolo giorno dal suo ruolo di sposa e madre, o meglio, di donna, era sbavato. Quella traccia nascondeva un volto, il suo volto, mai visto nudo nonostante ci fosse nata. 
Era convinta che quel trucco fosse la sua vera pelle; che quelli occhi sbiancati fossero davvero grandi e ingenui come quelli di una bambina, che le labbra a forma di cuore non le permettessero di parlare; per cui si credeva una bambola e si atteggiava come tale.
Quella sbavatura le rivelò che non solo quel trucco poteva essere tolto, ma non le apparteneva affatto. Ora si accorgeva che quell'espressione che traspirava una certa timidezza era forzata, che le guance color rosa erano artificiali, che le sue ciglia erano talmente pesanti da stancarle gli occhi. 
Il dischetto di cotone grattava via dalla pelle ogni traccia di approvazione, rendendo sempre più deforme il viso, di cui il nero della matita non ne seguiva più l'andamento ma ci era ancora appicciato; gli occhi bruciano e tutto sembra sfuocato, tentando di tornare a quella scomoda finzione rosa-pelle che soffoca i pori, ma ormai non si può più tornare indietro. La maschera è già sciolta, e lo struccante rivela pian piano quel volto che si è nascosto dietro per tanto tempo.
La pelle è arrossata dalla fatica, mettendo in mostra tutte le mie imperfezioni; ma sono mie. Non ho una pelle di ceramica, ma i segni del tempo stanno già facendo strada lungo le mie guance, mostrando quanto io abbia sorriso lungo l'adolescenza. Sento la freschezza della mia pelle, di sorridere davanti al mio riflesso. Non davanti alla proiezione di ciò che dovrei essere, ma di ciò che sono. Non voglio essere la sposa, madre, figlia di qualcuno. Voglio essere me, e voglio vederne ogni segno sulla mia pelle.
Ho scoperto che tutte noi nasciamo con un volto che non sappiamo di avere. 
Per ritrovarlo, bisogna struccarlo.
di Nicolle Barros Rossi
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venusbook · 4 months
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Vi racconto un episodio capitatomi quando ero più piccola.
Era una mattina dei primi di giugno, 2003, avevo 10 anni esatti. Lo svegliarmi presto era una condanna in un certo senso, anche perchè era da poco terminata la scuola per i periodi estivi e nonostante ciò mia madre mi spingeva dal letto o per andare in chiesa, si perchè era fissata lei e Dio, oppure per qualsiasi cosa avesse in mente di fare durante le mattine, ma nonostante tutto alla fine ero felice perchè iniziavo a giocare dalla mattina. Ricordo che ero da poco arrivata a casa dei miei nonni, Raffaella e Gennaro, parlerò anche degli altri due nonni, non temete, solo che in questo aneddoto qui loro non ci sono. Mentre salivo le scale incontrai la mia amichetta Nadia, che mi disse di andare a casa sua a giocare perchè da poco sarebbe sceso anche Daniele. Non ricordo che gioco facemmo quella mattina, ma giocavamo sempre a calcio, nascondino ecc.. All'ora di pranzo mia madre decise di tornare a casa, e quel giorno chiese alla madre di Nadia se potesse venire a mangiare da me, così venne a pranzo a casa mia. Dopo aver mangiato ci mettemmo a giocare nella mia cameretta, mentre mia madre si faceva un sonnellino. A quell'epoca possedevo delle bambole, per lo più barbie, ma una in particolare era una bambola di un metro e qualcosa e poi c'era quella di porcellana. Quindi decidemmo di giocare a mamma e figlia, classici giochi infantili, lo so. Ricordo che mia madre fu svegliata dalla signora che abitava accanto a noi, così ci rimase a giocare mentre lei andò dalla signora; all'età di dieci anni essere lasciate anche dieci minuti da sole in casa era il massimo! Ricordo di aver messo la bambola seduta, entrambe sedute, e questo nessuno me lo toglie dalla testa. Ci dirigemmo in cucina per un pò di acqua, sia io che Nadia, fui io la prima a tornare in camera, quando tornai la bambola era in piedi, inutile dire che per me fu uno shock notare che l'altra bambola era un pò crepata sulla faccia, nessuno voleva credere a me e Nadia, impossibile dire che fosse stata lei, perchè lei fu la prima ad andare in cucina e io la raggiunsi e fui io la prima ad avviarmi in camera, quindi come avrebbe potuto essere lei? Inutile dire che le due bambole furono praticamente gettate nell'immondizia.
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muatyland · 4 months
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The book of accidents. Il libro delle cose sconosciute | Chuck Wendig
Tempo addietro, Nathan viveva in campagna con il padre violento. Non ha mai raccontato alla sua famiglia quello che successe in quella casa. Tempo addietro, Maddie era una bambina che costruiva bambole nella sua cameretta quando vide qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. E ora sta cercando di ricordare quel trauma dimenticato attraverso la realizzazione di sculture terrificanti. Tempo addietro,…
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notizieoggi2023 · 5 months
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Seguici sul:https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/01/chiara-ferragnilimpero-da-100-milioni.html Chiara Ferragni, l’impero da 100 milioni rischia di crollare. E Selvaggia Lucarelli non molla la presa Chiamarla influencer fa comodo a chi vuole trattarla con snobismo, ma Chiara Ferragni è molto di più. Un’imprenditrice che si è costruita un impero basato sulla sua immagine e sulla sua abilità di vendere prodotti, dagli abiti ai pandori (fatali). Secondo il Corriere della Sera le sue tre aziende (Fenice, Sisterhood e Tbs Crew) valgono circa 100 milioni di euro. Ma ora l’accusa per truffa aggravata arrivata dalla procura di Milano, per la pubblicità ingannevole dei pandori Balocco, rischia di far crollare i ricavi, che nel 2022 erano praticamente raddoppiati – foto | video 1 | video 2 | video 3 Chiara Ferragni fa solo la mamma: la nuova strategia per uscire dall’angolo non le risparmia la perdita di contratti – guarda UN PASSO INDIETRO – Chiara Ferragni è amministratore delegato delle sue imprese e ha totale potere decisionale che solo in alcuni casi condivide con il suo socio al 40% Paolo Barletta, scrive il Corriere. Troppe responsabilità? Forse. E così l’imprenditrice potrebbe decidere di fare un passo indietro, dal punto di vista operativo, e magari assumere uno o più manager d’esperienza per riportare l’azienda sulla corretta via. Per ora si dice “serena”, aspettando che la l’inchiesta faccia il suo corso. Non tanto sereno invece è suo marito Fedez che fa una sfuriata contro i reporter accampati sotto il loro attico a City Life (comprato per 10 milioni di euro). “C’erano meno giornalisti a casa di Messina Denaro”, commenta amaro. I CONTI IN TASCA – Il Corriere della Sera fa anche i conti in tasca a Chiara Ferragni e alle sue società. TBS Crew ha realizzato 14,5 milioni di ricavi (+100% sul 2021) e 5,1 di utile (+200%). Fenice è controllata al 32,5% da Ferragni, con il socio Paolo Barletta al 40% (destinato a ridursi per la cessione ad Avm Gestioni) e altri come Morgese al 27%: ha segnato 15,6 milioni di fatturato con 3,4 di utile. Fenice, valutata sei mesi fa 75 milioni (e dunque il valore di tutto il gruppo si colloca intorno ai 100 milioni), è l’azienda destinata alla crescita maggiore. Ad essa fa capo tutto il business legato alle licenze del marchio, dall’abbigliamento ai gioielli e ai profumi. Fabio Maria Damato, il manager di fiducia di Ferragni, qualche mese fa indicava target di fatturato a 71 milioni per Fenice e 18,9 per TBS. Poi sono arrivati i pandori. E tutte le società cominciano ad accusare i primi scricchiolii. Chiara Ferragni e l’indagine per truffa aggravata: “Sono serena, ho fiducia nella magistratura” – guarda LE MAIL CON BALOCCO – Alcune delle mail finite nel mirino degli inquirenti, tra Balocco e i rappresentanti di Ferragni, sembrano confermare che sia stata proprio l’imprenditrice a insistere nel voler basare la comunicazione dell’iniziativa sul legame tra vendite del pandoro e donazione all’ospedale Regina Margherita. Legame che in realtà non esisteva (l’entità della donazione era stata decisa a prescindere da quanti dolci si sarebbero venduti). Nello scambio di comunicazioni è evidente la preoccupazione di Balocco su questo punto. Un responsabile addirittura scrive: “Le vendite sono per pagare l’esorbitante cachet”. Ma il contratto con Fenice dava a Ferragni potere di veto sui comunicati promozionali. Chiara Ferragni, dopo pandori e uova di Pasqua dubbi anche sulle bambole Trudi – guarda LUCARELLI ALL’ATTACCO – Grande inquisitrice dei Ferragnez, la giornalista Selvaggia Lucarelli torna all’attacco sul Fatto Quotidiano. “Ferragni ha sovrapposto o confuso operazioni benefiche e commerciali così tante volte da rendere difficile il tentativo di spacciare per «errore di comunicazione» quello che invece sembra un sistema collaudato”, scrive. E richiama alla memoria altre iniziative dell’imprenditrice, per esempio quella della bambola Trudi, già nel mirino, ma anche quella in partnership con Oreo. Chiara promette, in piena pandemia, di devolvere il ricavato della vendita degli abiti Oreo alla sanità pubblica, ma per fare quel post viene pagata dal produttore di biscotti. Un’altra volta vende i suoi abiti usati e offre il ricavato all’ospedale Buzzi, ma viene remunerata per aver pubblicizzato Wallapop, la piattaforma dove questi abiti possono essere acquistati. Chiara Ferragni torna sui social: “Mi siete mancati”. E Fabio Fazio: “Troppa cattiveria su di lei” – guarda ADDIO AI BRAND – La gran parte dei ricavi delle aziende si basa sulla licenza del marchio Chiara Ferragni, che finora era una garanzia. Adesso però la credibilità dell’imprenditrice viene messa in dubbio e Coca Cola e Safilo hanno cancellato i loro contratti. Altre compagnie potrebbero seguirle. d.a.
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scontomio · 5 months
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