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#classici moderni
garadinervi · 2 years
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Thomas Mann, (1947), Doctor Faustus. La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn narrata da un amico, Translation by Ervino Pocar, «Oscar classici moderni», Oscar Mondadori, Milano, 2003
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faceglitchsworld · 7 months
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Siamo entrati nel momento Musical Disney
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cybeout · 2 years
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I recenti aggiornamenti software di Apple ora supportano i controller classici moderni di Nintendo
I recenti aggiornamenti software di Apple ora supportano i controller classici moderni di Nintendo
Apple ha aggiunto silenziosamente una nuova funzionalità ai suoi recenti aggiornamenti software che sono stati rilasciati lunedì per macOS Ventura, iPadOS 16.1, iOS 16.1 e tvOS 16.1. Questi aggiornamenti consentono la compatibilità con i controller di gioco Bluetooth venduti da Nintendo per il Nintendo Switch servizio in linea. Attualmente, le moderne versioni wireless dei controller NES, SNES,…
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satan-ryoasuka · 1 year
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Living Room Library Living room library - mid-sized contemporary enclosed multicolored floor living room library idea
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sykesassist · 1 year
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Contemporary Living Room Ideas for a mid-sized, contemporary, enclosed, multicolored floor living room renovation
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🔥 NOVITÀ IN LIBRERIA ☀️
Fons Perennis
IL SOLSTIZIO
Archetipi ancestrali e riti perenni
Fin dagli albori della civiltà, i solstizi costituiscono i momenti in cui l’incedere della luce avanza o indietreggia: essi rappresentano i simboli viventi di una lotta interiore ed esteriore per tutti coloro che sentono in sé il richiamo dei princìpi cosmici che sottendono all’esistenza materiale.
Questo libro – scritto dalla Comunità di Fons Perennis – si presenta come uno studio al contempo storico e meditativo, fornendo una prospettiva di questi retaggi antichissimi, dalle loro origini ai giorni nostri, pur senza pretesa di essere conclusivo. Dall’antica Roma ai miti nordici, dall’India vedica al Giappone shintoista, la parabola del sole calante e crescente, come del fuoco che ne è simbolo e custode, è esaminata alla luce del cammino interiore che accompagna il movimento astronomico e il succedersi delle stagioni, secondo una visione del mondo ciclica e sferica.
Il tema centrale di questo volume è che l’esperienza del solstizio è anzitutto concreta e va vissuta fino in fondo, con la giusta preparazione e la giusta attitudine verso il sacro, con l’intento di conoscere sempre più noi stessi, il mondo che ci circonda e le leggi che lo regolano. Il lettore troverà nelle pagine che compongono il libro tante indicazioni pratiche e rimandi sia ai testi classici della nostra tradizione, che ai moderni interpreti di essa.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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gregor-samsung · 1 year
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“ Si tolse tutto. Prima d’indossare biancheria pulita volle considerarsi. Era diventata più bianca, il seno lento, pendulo. Scoraggiata, sedette sull’orlo del letto: le grandi mammelle si poggiarono su una piega dell’addome. Nelle gambe risecchite la carne pallida dei polpacci dondolò, come staccata dall’osso. Vergognoso lasciarsi andare così. Ma perché avrebbe dovuto riguardarsi? Nutrirsi con raziocinio, rifiorire? Per chi? Uomini, amori, figli non ce ne sarebbero stati mai più. Né vanità, né illusioni. Forse ancora scrivere, leggere, studiare: di queste cose aveva provato nostalgia, e se n’era punita. Per esse ricominciare? A che pro? Fra un certo numero d’anni sarebbe giunta la morte. Forse suo fratello José, o Jéronimo, avrebbero continuato la stirpe dei Fonseca. Ma a lei cosa importava? Tutta la vicenda sua, e l’universo, finiti con lei. Cosa poteva rimanerne? I versi? Se proprio non “facevano schifo”, come disse Primicerio, erano nulla in paragone a quelli di Metastasio, Rolli, Parini. Di costoro, forse, qualcosa resterà. Fra cent’anni, duecento: nel 1983, meu Deus! Ma di me? Nada de nada. Il resto di niente. Ebbe voglia dolorosa di ripigliare libri, carta, penne. Forse per vergogna: si può star così a guardarsi vivere? A vegetare, senza coraggio, senza zelo? Senza devozione neppure per te stessa? Probabilmente anche in questo caso ha ragione il signor di Voltaire, quando sostiene che comunque dobbiamo coltivare il giardino. Un giorno, grazie al nostro lavoro, spunteranno fiori, frutti, i bambini mangeranno. Se nessuno s’occupa del giardino il mondo finisce. E con ciò? Mah. Forse, semplicemente, era la sfida della primavera. Si cambiò, indossò il solito vestito nero. Si spogliò di scatto, cercò l’abito di lanetta color pesca. Aprì il cassetto dei soldi, fece i conti: sì per il busto nuovo, anche altre piccole cose necessarie. Mise al collo un nastrino di velluto giallo, cercò uno scialletto, se ne uscì. “
Enzo Striano, Il resto di niente, Mondadori (collana Oscar Classici Moderni n° 199), 2011¹¹; pp. 153-154.
[1ª Edizione originale: Loffredo edizioni, Napoli, 1986]
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katnisshawkeye · 4 months
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Monna Lisa influencer
Visit Italy lo ha rifatto nuovamente.
Ha creato una nuova campagna di promozione del territorio italiano a livello turistico utilizzando la ragazza di un'opera d'arte di un artista italiano come sua personal influencer.
Per il 2023 la testimonial è stata Venere de La Nascita di Venere di Sandro Botticelli (@venereitalia23): la protagonista del quadro è stata presa è inserita nel contesto italiano, abbigliata in vestiti moderni, per la creazione di contenuti social.
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Per il 2024, invece, la testimonial scelta è monna* Lisa de La Gioconda di Leonardo da Vinci (@monnalisareal). Qui la comunicazione è stata effettuato creando una modella fittizia mediante l'intelligenza artificiale, che sta prendendo sempre più piede in tutti gli ambiti senza essere stata veramente normata.
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Il lancio della nuova campagna di promozione del territorio italiano dal punto di vista turistico di Visit Italy è avvenuto a New York, tramite il billboard a noleggio di Times Square, con lo slogan:
I'm coming back to Italy. — Monna Lisa
Ma se monna Lisa, che risiede al Louvre (Parigi, Francia), sta tornando in Italia, perché la sua campagna inizia da New York? Come ci si è ritrovata nella Grande Mela?
Tra i commenti del video del lancio, vi è quello di un utente che domanda:
Quindi, probabilmente, la prima fermata sarà quella della tua città natale, Firenze?**
Cosa che avrebbe molto senso, in una narrazione corretta. Ma lo storytelling non è il punto forte di questa campagna e, infatti, troviamo subito monna Lisa in una trattoria a Roma, davanti a un piatto di pasta alla carbonara accompagnato da un calice di vino bianco.
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Monna Lisa "esplora" un po' Roma, poi "vola" a Napoli e a Milano, e solo come quarta tappa si ritrova a Firenze.
Al di là dell'utilizzo dell'IA — conveniente solo per abbattere i costi d'ingaggio di una modella e/o attrice disposta interpretare monna Lisa in questa campagna e di trasferte della ragazza scelta e di anche solo una piccola troupe — e dell'assenza di un vero e proprio storytelling per raccontare l'Italia a chi vi pianifica il proprio soggiorno, i post proposti alla community di Instagram, ancora una volta, non raccontano nulla dell'Italia, preferendo invece optare per avvicinare il pubblico con i classici cliché a cui già i turisti sono abituati.
* Monna · /mòn·na/ · sostantivo femminile — Abbreviazione di madonna ‘signora’, titolo che nel basso Medioevo si usava premettere al nome; più tardi, e ancora oggi, può conferire un sapore scherzoso di fiaba.
** Tradotto dall'inglese, So probably the first stop should be by your hometown Florence?
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unapinetaamare718 · 1 year
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Pasticceria e dolcezze
Nel Medioevo si ha la distinzione tra cuochi e pasticcieri e, con la scoperta della canna da zucchero, nasce la vera pasticceria. Nel XVI secolo, in seguito al matrimonio di Caterina de’ Medici con Enrico II, arrivano in Francia dall’Italia i primi gelati e la pasta choux inventata dal pasticciere mediceo Penterelli. Nel XVII secolo Anna d'Asburgo introduce in Francia il cioccolato dalla Spagna mentre il pasticciere francese François Vatel inventa la crema Chantilly, o meglio la rende così famosa al punto che molti pensano che ne sia stato lui l’inventore. Ma è nel XIX secolo che la pasticceria francese raggiunge l’apice quando Marie-Antoine Carême, considerato da alcuni storici il primo grande pasticciere dei tempi moderni, pubblica "Le pâtissier royal parisien", il manuale per eccellenza della pâtisserie française. La maggior parte dei dolci francesi che conosciamo risale proprio al XIX secolo.
Oggi molti grandi classici della pasticceria vengono rivisitati in chiave moderna da dei chefs pâtissiers capaci di ricercare creatività e innovazione nelle loro produzioni. Gaston Lenôtre, Philippe Conticini, Jean-Paul Hévin, Christophe Michalak, Pierre Hermé, sono solo alcuni dei più grandi innovatori nell'arte dolciaria francese degli ultimi decenni.
La pasticceria francese è un vero e proprio mondo di dolcezza e golosità: scopriamo insieme i suoi dolci più famosi!
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Maniglie Porte Esterne e Interne: Un Dettaglio di Stile e Funzionalità
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Le maniglie delle porte, spesso trascurate ma fondamentali, giocano un ruolo cruciale nell’estetica e nella funzionalità di un ambiente. Esse non solo aggiungono uno stile distintivo ma contribuiscono anche alla comodità e all’usabilità degli spazi. In questo articolo, esploreremo le diverse opzioni disponibili sul mercato, concentrandoci sulle maniglie delle porte esterne e interne, con particolare attenzione alle rinomate Maniglie Olivari.
Maniglie Porte Esterne: Un Benvenuto con Stile
Le maniglie delle porte esterne sono la prima impressione che un visitatore ha della tua casa. Esse non solo devono resistere alle intemperie e all’usura quotidiana, ma devono anche aggiungere un tocco di eleganza al design complessivo dell’edificio. Le Maniglie Olivari per porte esterne sono una scelta eccellente per coloro che cercano la combinazione perfetta tra robustezza e raffinatezza.
I materiali utilizzati per le maniglie esterne sono di vitale importanza. Acciaio inossidabile, ottone e leghe resistenti alla corrosione sono spesso preferiti per garantire una lunga durata e una manutenzione ridotta.Le Maniglie Olivari per porte esterne offrono una vasta gamma di stili, dai design classici a quelli moderni, permettendo di personalizzare l’aspetto della tua casa secondo il tuo gusto personale.
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Maniglie Porte Esterne e Interne: Un Dettaglio di Stile e FunzionalitàOltre alle maniglie, i serramenti Finestral sono un elemento chiave quando si tratta di porte e finestre. La scelta dei serramenti giusti è cruciale per garantire la sicurezza e l’efficienza energetica della tua casa. Scegliere serramenti di qualità come quelli offerti da Finestralpuò migliorare non solo l’aspetto estetico, ma anche la sicurezza e l’isolamento termico del tuo ambiente.
Maniglie Porte Interne Olivari: Dove la Bellezza Incontra la Funzionalità
Le maniglie delle porte interne svolgono un ruolo importante nell’ambiente domestico, influenzando il flusso e l’armonia degli spazi interni. Le Maniglie Olivari per porte interne sono celebri per la loro qualità artigianale e il design accattivante. Realizzate con cura e attenzione ai dettagli, queste maniglie aggiungono un tocco di classe e raffinatezza ad ogni stanza.
Un aspetto particolarmente interessante delle Maniglie Olivari per porte interne è la loro versatilità. Con una vasta gamma di finiture e stili tra cui scegliere, è possibile abbinare le maniglie all’arredamento esistente o utilizzarle come elemento distintivo che cattura lo sguardo. Dalle finiture cromate alle tonalità più calde dell’ottone, le opzioni sono praticamente illimitate.
Il Prezzo delle Maniglie Olivari: Un Investimento nell’Eleganza e nella Qualità
La qualità ha un prezzo, si suol dire, e lo stesso si applica alle Maniglie Olivari. Tuttavia, è importante considerare questi acquisti come investimenti a lungo termine. Le maniglie Olivari non sono solo oggetti di design ma testimoniano anche la maestria artigianale italiana. La durata e la resistenza di queste maniglie ne giustificano ampiamente il prezzo.
Al confronto con altre opzioni sul mercato, le Maniglie Olivari offrono un rapporto qualità-prezzo eccezionale. La precisione della lavorazione, la scelta dei materiali e il design senza tempo contribuiscono a giustificare il costo leggermente superiore. Considerale non solo come maniglie, ma come un elemento di design che valorizzerà il tuo spazio abitativo.
Maniglie Olivari per Finestre: Coerenza nell’Eleganza
Per ottenere una coerenza stilistica in tutta la casa, è importante considerare anche le maniglie per le finestre. Le Maniglie Olivari per finestre sono progettate per coordinarsi armoniosamente con le maniglie delle porte, creando un’estetica coesa in tutta la casa. Questo tocco di uniformità contribuisce a dare un senso di continuità e stile.
Le maniglie per finestre devono essere altrettanto resistenti e funzionali quanto quelle per le porte. Le Maniglie Olivari per finestre sono realizzate con gli stessi standard elevati delle loro controparti per porte, garantendo una lunga durata e prestazioni affidabili nel tempo.
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Oltre alle maniglie e ai serramenti, un altro elemento fondamentale per il tuo ambiente è la scelta del pavimento. Con opzioni come Iperceramica, è possibile abbinare stile e funzionalità. Materiali di qualità garantiscono resistenza all’usura quotidiana, facilità di pulizia e un aspetto accattivante che si integra perfettamente con il design generale della casa.
Conclusioni
Le maniglie delle porte e delle finestre, insieme ai serramenti Finestral e materiali come Iperceramica, sono elementi fondamentali per definire lo stile e la funzionalità di un ambiente. Le Maniglie Olivari, con la loro reputazione di eccellenza e bellezza senza tempo, rappresentano una scelta ideale per chi cerca il meglio per la propria casa. Sebbene il prezzo possa essere leggermente superiore rispetto ad alcune opzioni, l’investimento in Maniglie Olivari si ripaga con la durata nel tempo e l’eleganza senza tempo che aggiungono a ogni spazio in cui sono installate. Considera le maniglie non solo come elementi pratici, ma come dettagli che trasformano la tua casa in un’opera d’arte.
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pollicinor · 10 months
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Grandi classici e qualche piccola scoperta
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ballettesavary · 1 year
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mario legge molto.
il suo studio è un tempio. si lava le mani prima di aprire un libro. classici, moderni, italiani, stranieri, testi antichi e rari.
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mario scrive. scrive tanto.
lettere, note spese, appunti.
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gcorvetti · 11 months
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I tempi cambiano.
Abbiamo accompagnato mio figlio al distretto militare, le ultime raccomandazioni, abbracci e un pò di apprensione che è normale per quest'avventura che spero vada bene. Ricordo il mio di servizio di leva a 33 anni di distanza, la partenza col treno notturno per Taranto, i primi giorni di disagio totale, quelle amicizie forzate per non sentirsi soli e il telefono con le schede unico modo per comunicare con i miei, all'epoca avevo anche una ragazza che però quando la chiamavo sembrava disinteressata, infatti poi tornato dopo 2 mesi la lasciai, adesso con i telefoni moderni si può stare più a contatto e magari ricevere qualche foto, sempre se il ragazzo ha questa voglia, non è tipo da selfie o da social, almeno questo, di sicuro un pò di cambio d'aria gli farà bene, mi ha detto stamane, facendomi vedere un libriccino che gli hanno dato, che lo mandano in una base a sud precisamente a Võru che si trova ad uno schioppo dal confine russo. E' un periodo di tensioni, ma sono convinto che andrà bene.
Oggi lei mi ha spiegato, foto alla mano, che la devo aiutare a fare sta corona per Turandot, dire che è complicata è poco, dovrei riprodurre delle parti e stamparle in 3D poi ci pensano quelli del teatro a colorarle, ma onestamente le foto di riferimento non sono granché e sarà un bel dito in Q, so che ci riuscirò ma la prima impressione è quella di mandarla a fanQ, anche perché stamattina mi ha svegliato alle 6 malamente tra il rumore che ha fatto cercando non so cosa in camera e la luce del suo tavolo nella stanza accanto puntata in faccia, direi che non è stato bello. Va bè le farò ste cose.
Parlando invece di quello che ho letto su quelli che definiscono giornali è sconvolgente, ma non per le notizie in se, ma per come le impiattano così bene da aizzare la paura, il terrorista islamico di turno, la foto delle ragazze in lacrime allo stadio, e mi torna in mente sempre il ministro della paura di Albanese. Come mai il terrorista, o presunto, invece di agire così sparando a qualche passante svedese, almeno da quello che c'è scritto, non si è fatto esplodere fuori dallo stadio in mezzo a centinaia di persone? Non ci sono più i terroristi di una volta. Parentesi, due ore fa la notizia con tanto di video era che avrebbe sparato con una pistola, adesso riapro Ansa per conferma e invece c'è scritto che ha sparato con un kalashnikov, a me nel video di stamane sembrava una pistola e poi il fucile russo ha un suono particolare, chiusa parentesi. Fra un paio di ore scriveranno che aveva un arsenale in casa, comunque sembra che l'abbiano preso, il tizio aveva chiesto asilo e gli era stato rifiutato 3 anni fa, però perché adesso? Forse per quello che succede in medio oriente? Nel video di rivendicazione non si capisce visto che è in arabo.
Passando ad altro ma sempre in tema, la pagina non ufficiale di Berlinguer è stata oscurata da Facebook per un post con tanto di foto con Arafat e con su scritto che a lui, Enrico, stava a cuore la situazione Palestinese, ma a quanto pare il social di Mark non ammette più niente che non siano gattini e minchiate, probabilmente anche X (ex twitter) e altri social, sempre per il fattore che vi dicevo che essendo compagnie americane devono fare quello che dice il governo, quindi propaganda ovunque. Seminare paura è un classico dei classici così si può tranquillamente agire usando ogni mezzo pur di controllare le persone, lo fanno per la nostra sicurezza, strano che prima che loro iniziassero ogni guerra non c'era tutto sto problema, come ha detto Crozza in un video che ho visto l'altro giorno, è possibile che si debba dare ragione ad Andreotti? che in un suo intervento ai tempi della guerra in Libano disse "Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista", anche i partigiani erano identificati come tali dai nazi-fascisti, ma giustamente oramai c'è questo nuovo mondo che è iniziato con 11 settembre dove gli arabi sono terroristi, altro classico stereotipo di questi tempi moderni decisamente falsati.
Vado avanti anche perché tra modellazione e altre cose da fare sto già perdendo tempo, ho anche da suonare, vi lascio con un video che mi è piaciuto molto visto ieri realizzato da questa tizia Jessie Marino per il centenario della nascita di John Cage, ci fu una grande manifestazione a livello globale con vari artisti che eseguivano le sue composizioni e altre inedite dedicate a lui e al suo stile di musica totale nel 2012.
youtube
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frabooks · 2 years
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Il Maestro e Margherita - Differenze tra alcune traduzioni
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Ho letto Il Maestro e Margherita nella prima delle edizioni qui sotto elencate. Essendo un grande classico è stato tradotto innumerevoli volte, ma è da tanto che desidero fare una piccola analisi sulle traduzioni, perché, mi sembra, cambia molto il senso del romanzo.
Non solo non sono un traduttore ma non so nulla di russo, quindi la mia analisi è pura opinione. Opinione, però, fatta da un’amante e da uno studioso del libro; vedremo, infatti, ad esempio, che in una traduzione c’è un vero e proprio errore logico.
Insomma, preferisco la prima edizione per le scelte fatte e per il ritmo che dà al romanzo. Le altre non sono orribili, ovviamente, e conviene sempre leggere Il Maestro e Margherita.
Ho scelto di confrontare le traduzioni con le uniche edizioni in mio possesso, che sono le seguenti:
1 Feltrinelli
Prima edizione nell’Universale Economica” - I CLASSICI gennaio 2011
Traduzione di Margherita Crepax
2 Mondadori
Prima edizione Oscar classici moderni marzo 1991
Traduzione Maria Serena Prina
3 Bur
Prima edizione Classici BUR deluxe 2018
Traduzione Milly de Monticelli
Quest’ultima versione ha deciso, inspiegabilmente, di chiamare Behemot Ippopotamo. Tecnicamente è la traduzione corretta ma non ha senso tradurre i nomi propri.
Iniziamo.
Di seguito alcuni pezzi significativi e il commento alle tre traduzioni.
Primo pezzo
1 Feltrinelli
Prima edizione nell’Universale Economica” - I CLASSICI gennaio 2011
Traduzione di Margherita Crepax
“Ricordo distintamente com’è risuonata la sua voce, bassa ma con dei picchi, e anche se può sembrare da stupidi, mi è parso che la voce rimbalzasse sul muro giallo e sporco e riecheggiasse nel vicolo. Sono passato in fretta dalla sua parte e nel raggiungerla le ho risposto:
“No”
Mi ha guardato meravigliata e io, all’improvviso e in modo del tutto inatteso, ho capito che per tutta la vita avevo amato proprio quella donna! 
2 Mondadori
Prima edizione Oscar classici moderni marzo 1991
Traduzione Maria Serena Prina
“Ricordo distintamente come risuonò la sua voce, piuttosto bassa, ma con brusche variazioni, e per quanto possa sembrare stupido, ebbi l’impressione che nel vicolo si fosse creata un’eco, e che la voce rimbalzasse contro la parete gialla e sporca. Passai rapidamente dalla sua parte e, avvicinandola, risposi: 
‘No’
Mi guardò sorpresa, e io all’improvviso e del tutto inaspettatamente compresi che per tutta la vita avevo amato proprio questa donna!
Analisi:
“ebbi l’impressione che nel vicolo si fosse creata un’eco” periodo inutilmente lungo che rallenta il ritmo. 
“e del tutto inaspettatamente compresi “ un altro problema. Del tutto inaspettatamente non si può sentire. Mi viene da dire anche che l’amore non si “comprende”. Avviene.
“Questa”. Quella, non questa.
3 Bur
Prima edizione Classici BUR deluxe 2018
Traduzione Milly de Monticelli
Ricordo chiaramente il tono della sua voce, abbastanza profonda ma a scatti, e per quanto sia stupido, mi sembrava che l’eco urtasse nella viuzza e riecheggiasse dalla sporca parete ingiallita. Passai rapidamente dalla sua parte e avvicinandomi a lei risposi:
‘No’
Mi guardò stupita, e d’un tratto compresi - e fu una cosa del tutto inaspettata - che per tutta la vita avevo amato proprio lei.
Analisi:
“ma a scatti” Cosa vuol dire? In che senso? Come parla Margherita?
“per quanto sia stupido” variante che funziona.
“l’eco urtasse nella viuzza e riecheggiasse dalla sporca parete ingiallita.” Dove urta l’eco nella viuzza? La frase non ha senso. Rieccheggiasse “Dalla”? Non funziona.
“Mi guardò stupita, e d’un tratto compresi” Suona meglio.  
“ - e fu una cosa del tutto inaspettata -” questo inciso però spezza il flusso della frase del tutto. 
Secondo pezzo
1 Feltrinelli
Prima edizione nell’Universale Economica” - I CLASSICI gennaio 2011
Traduzione di Margherita Crepax
“E poi?” domandò a sua volta l’ospite “Quello che è successo dovrebbe indovinarlo da solo,” si asciugò una lacrima improvvisa con la manica del braccio destro e proseguì: “L’amore è balzato davanti a noi dal nulla, come un assassino in un vicolo, e ci ha colpiti entrambi, nello stesso istante. Così colpisce la saetta, così colpisce il coltello a serramanico. Ma lei, in seguito, sosteneva che non era successo così, e che noi ci amavamo già da tanto, tanto tempo prima, senza conoscerci, senza esserci mai visti; e che lei viveva con un altro uomo… E anchio là, con quella, come si chiamava…"
2 Mondadori
Prima edizione Oscar classici moderni marzo 1991
Traduzione Maria Serena Prina
“Vado avanti?” chiese di rimando l’ospite. “Ma quel che accadde in seguito se lo può immaginare da solo.” All’improvviso s’asciugò una lacrima inattesa con la manica destra, e continuò: “L’amore balzò dinanzi a noi come da sotto terra un assassino balza in un vicolo, e ci lasciò entrambi esterrefatti. Come lascia esterrefatti un fulmine, come lascia esterrefatti un coltello a serramanico! Lei d’altronde in seguito affermava che non era stato così, che noi naturalmente ci amavamo da tempo, senza conoscerci, senza esserci mai visti, e che lei aveva vissuto con un altro uomo… e io laggiù, allora… con quella, come si…
Analisi:
““Vado avanti?” chiese di rimando l’ospite. “Ma quel che accadde in seguito se lo può immaginare da solo.” All’improvviso s’asciugò una lacrima inattesa con la manica destra, e continuò” Questa parte iniziale tutto sommato funziona.
“L’amore balzò dinanzi a noi come da sotto terra un assassino balza in un vicolo” Il verbo “balzare” è debole, molle, per di più viene ripetuto due volte. 
“ ci lasciò entrambi esterrefatti.” Esterrefatti non rende affatto l’idea di subitaneità e di violenza di quel colpo di fulmine.
“Come lascia esterrefatti un fulmine, come lascia esterrefatti un coltello a serramanico!” Buon dio, in che modo un coltello a serramanico lascia esterrefatti? Nella versione che piace a me c’era il verbo “colpire” che ha senso sia riguardo il fulmine/saetta sia per un coltello a serramanico. “Esterrefatti” è proprio una scelta sbagliata.
“che noi naturalmente ci amavamo da tempo” Naturalmente stona tantissimo. Non c’era niente di naturale, soprattutto se inteso anche come “normale”. 
“e che lei aveva vissuto con un altro uomo” gravissimo errore. Margherita viveva con quell’uomo al momento dell’incontro ma anche, e qui sta la gravità inaudita, anche dopo; tanto che il momento della separazione avviene proprio a causa della convivenza di quell’uomo. Come può un traduttore ignorare questo passaggio?
3 Bur
Prima edizione Classici BUR deluxe 2018
Traduzione Milly de Monticelli
“Avanti?” domandò l’ospite “quello che avvenne poi potrebbe indovinarlo da solo.” D’un tratto si asciugò inaspettatamente una lacrima con la manica e proseguì: “l’amore ci aveva sorpreso inatteso e violento come un assassino che sbuchi fuori d’improvviso, e ci aveva pugnalato entrambi. Così colpisce il fulmine, così colpisce la lama finnica. Del resto, lei sosteneva in seguito che non avvenne così, che noi ci amavamo sicuramente da sempre, senza saperlo, senza esserci mai visti; lei viveva con un altro uomo… E io, allora… con quella, come si chiama…"
Analisi:
“D’un tratto si asciugò inaspettatamente una lacrima con la manica e proseguì” D’un tratto sta già inaspettatamente. I momenti sono diversi: il Maestro che all’improvviso si asciuga una lacrima e la lacrima che improvvisamente sgorga. Qua, invece, si è aggettivato lo stesso pezzo della frase, scelta incomprensibile.
“l’amore ci aveva sorpreso inatteso” sorpreso forse è sbagliato, visto che nella frase fa riferimento a loro. L’amore ci aveva sorpresi inatteso. 
“inatteso e violento” almeno c’è la violenza, bene.
“come un assassino che sbuchi fuori d’improvviso, e ci aveva pugnalato entrambi.” anche qui, il senso della frase è molto buono, direi.
“Così colpisce il fulmine, così colpisce la lama finnica.” Fulmine o saetta va bene allo stesso modo. LAMA FINNICA no: è un orribile protagonismo del traduttore, tanto da distrarti nella lettura. 
“che noi ci amavamo sicuramente da sempre” Sicuramente no, non c’è nulla di assodato e certo in quell’amore. 
“senza saperlo, “ potrebbe starci però stona. Non si erano mai visti, è normale non sapere. Non è lì il punto: il punto è che non si conoscevano e che non si erano mai visti.
Terzo pezzo
1 Feltrinelli Prima edizione nell’Universale Economica” - I CLASSICI gennaio 2011 Traduzione di Margherita Crepax
E così lei diceva che quel giorno era uscita con i fiori gialli tra le braccia perché io finalmente la trovassi e che, se non fosse accaduto, si sarebbe avvelenata, perché la sua vita era vuota.
2 Mondadori Prima edizione Oscar classici moderni marzo 1991 Traduzione Maria Serena Prina
Così lei aveva raccontato che quel giorno era uscita con in mano i fiori gialli perché io finalmente la trovassi, e che se la cosa non fosse avvenuta, lei sarebbe avvelenata, perché la sua vita era vuota.
“e che se la cosa non fosse avvenuta,” inutile appesantimento della frase. Veramente senza senso l’uso della parola “cosa”.
3 Bur Prima edizione Classici BUR deluxe 2018 Traduzione Milly de Monticelli
Così mi disse che quel giorno era uscita con i fiori gialli perché finalmente la trovassi e che se non fosse successo si sarebbe avvelenata perché la sua vita era vuota.
Frase quasi perfetta, se non fosse per due dettagli: i fiori gialli che dovrebbero essere tra le braccia (ma questa è una mia preferenza personale) e l’assenza totale di virgole.
Quarto pezzo
1 Feltrinelli Prima edizione nell’Universale Economica” - I CLASSICI gennaio 2011 Traduzione di Margherita Crepax
“Su che cosa, su che cosa? Su chi? Disse Woland e smise di ridere. “Adesso? È sbalorditivo! E non poteva trovare un altro tema? Me lo dia da vedere.” Woland tese la mano con il palmo rivolto verso l’alto. “Purtroppo non posso," rispose il Maestro, “perché l’ho bruciato nella stufa.” “Mi scusi, ma non le credo,” rispose Woland, “non può essere, i manoscritti non bruciano”.
2 Mondadori Prima edizione Oscar classici moderni marzo 1991 Traduzione Maria Serena Prina
“Su cosa, su cosa? Su chi?” disse Woland smettendo di ridere. “E questo adesso? È una cosa sorprendente! <Non avrebbe potuto trovare un altro tema?> Mi faccia dare un’occhiata.” Woland tese il braccio con il palmo rivolto verso l’altro. “Purtroppo non posso farlo,” rispose il Maestro “perché l’ho bruciato nella stufa.” “Scusi, ma non le credo,” rispose Woland “non è una cosa possibile, i manoscritti non si bruciano.”
Non capisco davvero l’uso delle parentesi angolari. ““i manoscritti non si bruciano.”” Orribile trasposizione. Non “si” usano nel senso che non è uso farlo, non si fa per buon senso? È una forma molto debole rispetto all’alternativa.
3 Bur Prima edizione Classici BUR deluxe 2018 Traduzione Milly de Monticelli
“Su che cosa, su che cosa? Su chi?” chiese di nuovo Woland, quando ebbe finito di ridere. “Di questi tempi? È strabiliante! Non avrebbe potuto trovare un altro argomento? Me lo faccia vedere” disse, tendendo la mano con la palma all’insù. “Purtroppo non posso” rispose il Maestro “perché l’ho bruciato nella stufa.” “Scusi, non ci credo” replicò Woland. “Non è possibile: i manoscritti non bruciano”.
“Di questi tempi? È strabiliante” ottima trasposizione. “Di questi tempi” è migliore dell’ “adesso” della prima traduzione. “ tendendo la mano con la palma all’insù.” Qua il traduttore torna a urlare. Palma e non palmo, perché? ““Non è possibile: i manoscritti non bruciano”.” I due punti non sempre mi convincono in situazioni simili ma ammetto che ha senso, funzionano.
*il post verrà sicuramente aggiornato in futuro.
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aitan · 2 years
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In un certo senso, possiamo dire con Leopardi che, mentre può esistere una poesia inutilmente piacevole, non potremmo mai definire poesia un testo utile ma non dilettevole.
“La poesia può essere utile indirettamente […] ma l’utile non è il suo fine naturale, senza il quale essa non possa stare, come non può senza il dilettevole, imperocché il dilettare è l’ufficio naturale della poesia“.
(Leopardi, “Zibaldone”, pensiero del 1817)
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Ne parlo qua:
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rideretremando · 2 years
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"UN CUORE CHE NON DORME. SU DUE POESIE D’AMORE DEL NOVECENTO ITALIANO (2018)
Chi volesse allestire un’antologia di belle poesie d’amore del nostro Novecento, magari per disporre di un bacino di citazioni a uso anche privato, non avrebbe la strada facile. Non, almeno, se pretendesse di trovarsi tra le mani un canzoniere che celebra l’eros nella sua pienezza – l’eros al tempo stesso eccezionale e quotidiano, inconfondibile e universale. Chi dispiega apertamente il suo canto amoroso, se si escludono l’ossessivo riduzionismo efebico di Sandro Penna e la meteoropatia emotiva della penniana Patrizia Cavalli? Ci sono, è vero, lirici suggestivamente terrestri e sensuali, perfino in senso linguistico, come Gatto, Betocchi e certo Caproni, non a caso cresciuti anche loro, accanto a Penna, sul rovescio del tessuto ermetico: ma finiscono quasi sempre per diventare o troppo domestici o troppo sfuggenti, ripiegando su una freschezza insieme patetica e pudica e partendo per la tangente del manierismo. Ci sono, ancora, poeti erotico-famigliari alla Sanguineti o alla Giudici, che non esitano a palpare i corpi e a immergerli nella vita di tutti i giorni: ma lo fanno esibendo preventivamente il falsetto, il passaporto di una vezzosa diplomazia crepuscolare; così come il primo Pagliarani e Massimo Ferretti schiacciano altri corpi sotto la loro musica avida e guascona. Quanto a Sereni, i suoi rossori di innamorato vengono subito puniti da una reticenza brusca che li lascia a galleggiare nel vuoto. La nostra lirica novecentesca, osservava Garboli mezzo secolo fa, è “altamente ‘omosessuale’ ”, nel senso di una estrema introversione del tema amoroso: in genere “s’ispira a presupposti assoluti, di a tu per tu con Dio, sdegnando le sparpagliate occasioni del ‘sentimento’, i suoi trasalimenti, i suoi brividi, le sue piccole e struggenti ferite. La poesia moderna è tutta ‘intellettuale’ (…) Respinge le situazioni da fumetto, il ‘lui e lei’. Il poeta contemporaneo” non si può immaginare “innamorato degli aspetti femminili della vita quali la gioia, la giovinezza, lo splendore della pelle, una bella mattinata piena di sole, le ore della felicità che è sempre rubata, sempre momentanea, sempre sul punto di essere uccisa”.
Del resto questa lirica non è che l’ultimo, stravolto capitolo di una storia poetica occidentale che può leggersi in chiave rougemontiana. È la storia che mantiene al centro l’“amore dell’amore”, Narciso e Tristano: quella tenuta a battesimo dai versi provenzali, stilnovisti e petrarcheschi in cui si sublima l’oggetto del desiderio fino a farlo sparire, secondo una metafisica che torna vestita di panni moderni nell’opera di un Montale. L’amore innalzato all’empireo, si sa, si specchia poi in basso nelle sue caricature popolari, nelle deformazioni carnevalesche che non fanno che sancirne la supremazia; così come le demoniache donne romantiche e baudelairiane, dietro il loro teschio di streghe, di bestie e di carogne, lasciano intravedere il volto etereo dell’angelo caduto.
Ciò che questo Occidente rimuove all’origine è la nudità dei classici: il loro tranquillo intreccio di cerimoniosità rituale e affetto scanzonato, l’umiltà con cui si volgono al desiderio e all’osceno (a ciò che c’è nell’eros di irrevocabile e tremendo, ossia di sacro) proprio mentre ne abbozzano con tratti lievi gli episodi più prosaici. I moderni hanno eletto questa nudità a mito irraggiungibile; e se a volte hanno creduto di vederla riapparire a lampi in qualche loro contemporaneo sfuggito alla morsa della Storia – e magari, per via omosessuale, sfuggito pure al “lui e lei” - l’hanno celebrata come fosse un miracolo. Perché la norma, al contrario, è appunto l’atteggiamento di chi ruota sempre intorno alle aporie dell’amore genialmente descritto da De Rougemont - di chi ne assalta, scalfisce o spernacchia l’idolo per poi tributargli un inevitabile omaggio, o addirittura per rendere ancora più impalpabile e onnipresente il suo fantasma. Questo fantasma, è vero, a un certo punto s’incarna anche al di fuori del mero rovesciamento burlesco: ma l’incarnazione viene allora appaltata al romanzo ‘medio’, o a quel cinema a cui subito, con pochi ritocchi, un tale romanzo si propone come sceneggiatura. Lì, nello specchio narrativo di una società ormai laicizzata, l’afflato idealizzante e romantico rivela il suo spirito volgarmente calcolatore, scende a patti con la routine trascinandosi tra letti precari, scene mélo e struggimenti dozzinali. La poesia invece, già arroccata in sé stessa per sfuggire alla lingua della tribù, ha sommato a questo arrocco formale la vaghezza difensiva con cui l’uomo moderno allude a una realtà che nonostante tutto continua a porglisi pavesianamente davanti come il banco di prova della vita: il “grande amore”, che per definizione “non si trova”. Così l’antico “né con te né senza di te” diventa una ipnosi da eterni adolescenti, un inseguimento della propria ombra, una leggenda che nutre sottotraccia ogni parola ipotecandola senza dichiararsi, e che carica ogni oggetto dell’aura amorosa dopo averla resa irriconoscibile.
Si dànno, ovviamente, le eccezioni. Una è vistosa proprio perché melodrammatica: nei “Nuovi versi alla Lina”, il verdiano e heiniano Saba del 1912 dialoga con la moglie che l’ha tradito, e nella sua temeraria impudicizia ci fa udire tutti del suo cuor gli affanni. Soffre, si lamenta, interroga, accusa, perdona, torna sui fatti senza capacitarsi dell’accaduto e del suo effetto emotivo. Siamo di fronte a un raro caso di poesia imperniata sulla passione coniugale - poesia insieme traumatica e casalinga, canzonettistica e dolorosa. Con sovrana semplicità, il poeta vi dichiara il suo stupore per ciò che può fare l’ossessione, la ferita narcissica inferta dalla gelosia: il mondo caldo e vivido delle sue passeggiate si svuota, e lo sguardo è obbligato a concentrarsi su un punto solo, una femmina qualunque, una cosa così comune e piccola che “una casa nello spazio, / un piroscafo è tanto più di lei”.
Ma se dovessi compilare quell’antologia, io la aprirei in un altro modo. La aprirei con due testi nei quali le domande su Amore e Morte che alonano la più tipica poesia d’Occidente dal Medioevo al Novecento riecheggiano nel nido buio della coppia; e lì, in una situazione d’intimità reale, non vagheggiata ma vissuta, vengono affrontate e approfondite, conservate e superate, o piuttosto scontate, tra tenerezze tremanti e pene solitarie. Parlo di due testi dove l’amore è assolutamente vero e al tempo stesso ‘impossibile’: “Vecchio e giovane” di Umberto Saba e “Canzonette mortali” di Giovanni Raboni. In entrambi i casi un uomo anziano, con gli occhi sbarrati nell’ombra, veglia su un corpo giovane disteso accanto a sé nel letto, e cerca di accettare l'incommensurabilità dei rispettivi destini biologici.
Ecco la poesia di Saba: “Un vecchio amava un ragazzo. Egli, bimbo / - gatto in vista selvatico - temeva / castighi a occulti pensieri. Ora due / cose nel cuore lasciano un'impronta / dolce: la donna che regola il passo / leggero al tuo la prima volta, e il bimbo / che, al fine tu lo salvi, fiducioso / mette la sua manina nella tua. // Giovinetto tiranno, occhi di cielo, / aperti sopra un abisso, pregava / lunga all'amico suo la ninna nanna. / La ninna nanna era una storia, quale / una rara commossa esperienza / filtrava alla sua ingorda adolescenza: / altro bene, altro male. ‘Adesso basta – / diceva a un tratto; - spegniamo, dormiamo.’ / E si voltava contro il muro. ‘T'amo – / dopo un silenzio aggiungeva - tu buono / sempre con me, col tuo bambino.’ E subito / sprofondava in un sonno inquieto. Il vecchio, / con gli occhi aperti, non dormiva più. // Oblioso, insensibile, parvenza / d'angelo ancora. Nella tua impazienza, / cuore, non accusarlo. Pensa: È solo; / ha un compito difficile; ha la vita / non dietro, ma dinanzi a sé. Tu affretta, / se puoi, tua morte. O non pensarci più”.
Ed ecco la poesia di Raboni: “Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro / e solo del futuro, di nient’altro / ho qualche volta nostalgia / ricordo adesso con spavento / quando alle mie carezze smetterai di bagnarti, / quando dal mio piacere / sarai divisa e forse per bellezza / d’essere tanto amata o per dolcezza / d’avermi amato / farai finta lo stesso di godere. // Le volte che è con furia / che nel tuo ventre cerco la mia gioia / è perché, amore, so che più di tanto / non avrà tempo il tempo / di scorrere equamente per noi due / e che solo in un sogno o dalla corsa / del tempo buttandomi giù prima / posso fare che un giorno tu non voglia / da un altro amore credere l’amore. // Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno / dopo l’altro ti lascio, anima mia. / Per gelosia di vecchio, per paura / di perderti – o perché / avrò smesso di vivere, soltanto. / Però sto fermo, intanto, / come sta fermo un ramo / su cui sta fermo un passero, m’incanto… // Non questa volta, non ancora. / Quando ci scivoliamo dalle braccia / è solo per cercare un altro abbraccio, / quello del sonno, della calma – e c’è / come fosse per sempre / da pensare al riposo della spalla, / da aver riguardo per i tuoi capelli. // Meglio che tu non sappia / con che preghiere m’addormento, quali / parole borbottando / nel quarto muto della gola / per non farmi squartare un’altra volta / dall’avido sonno indovino. // Il cuore che non dorme / dice al cuore che dorme: Abbi paura. / Ma io non sono il mio cuore, non ascolto / né do la sorte, so bene che mancarti, / non perderti, era l’ultima sventura. // Ti muovi nel sonno. Non girarti, / non vedermi vicino e senza luce! / Occhio per occhio, parola per parola, / sto ripassando la parte della vita. // Penso se avrò il coraggio / di tacere, sorridere, guardarti / che mi guardi morire. // Solo questo domando: esserti sempre, / per quanto tu mi sei cara, leggero. // Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce // 1982-1983”.
Il ragazzo ritratto da Saba torna nel secondo dopoguerra in diverse sue pagine - telemachie in forma di epigramma, scorciatoie, poesie carezzevoli e terribili – e viene di solito identificato con il figlio del libraio antiquario milanese presso cui il poeta abitò tra il ’45 e il ’48, quel Federico Almansi che pochi anni più tardi sarebbe sprofondato nella schizofrenia. “Vecchio e giovane” fu inserita nel fascicolo di liriche intitolato “Epigrafe” (1947-1948) e destinato a una pubblicazione postuma. È composta da tre strofe di otto, tredici e sei versi, in sostanza endecasillabi camuffati dalle saldature e dalle pause di un racconto che ora si avvolge a spirale e ora si rapprende in laconiche ellissi. Fin dall’incipit, l’ambiguità del contesto è come ignorata (e sottolineata) da un’affermazione perentoria: “Un vecchio amava un ragazzo”. Il poeta finge parodicamente la fiaba, recita una saggezza lineare e una limpidezza che invece nelle prime strofe è negata dai connettivi del discorso, dal ritratto del “giovinetto” e dal dialogo con il suo amico. I “castighi a occulti pensieri” e gli occhi “aperti sopra un abisso”, alternati alla esibita calma gnomica del narratore che tiene ai due capi il filo dell’esistenza, fanno davvero pensare a un turbamento psichico, a un esorcismo condotto sul bordo della follia. “Celeste” qui non è l’azzurra pupilla sabiana che tutto può contemplare e ospitare, ma un cielo che schiaccia e un vuoto che inghiotte. Il vecchio filtra una storia, l’adolescente ingordo l’assume come un farmaco e poi vuole addormentarsi in fretta. Così da un lato del letto inizia il “sonno inquieto”, dall’altro un’insonnia senza speranza. Dopo avere evocato le due prospettive che più frequentemente si fronteggiano nella sua opera, il punto di vista filiale e il punto di vista materno, il poeta prova a lenire il dolore di quella mancata empatia immedesimandosi nel compagno: se non sa restituire l’affetto è perché lotta con la propria angoscia di creatura incompiuta, ancora senza centro, e dunque fatalmente sorda ai bisogni di coloro che la accudiscono. Inutile accusarlo: è fisiologico che i ritmi non possano accordarsi. Non resta che smettere di pensarci, o ‘passare oltre’.
In questa poesia le sigle di stile alto lasciate cadere qua e là non dipendono più dal tono impettito, dalle sonorità goffe o rotonde di banda paesana che caratterizzano molte composizioni giovanili - anzi somigliano quasi a una sprezzatura, al gioco agrodolce di chi si concede il lirismo appunto perché i suoi rischi e le sue promesse non fanno più presa. I panneggi levigati e sontuosi, appena suggeriti a qualche svolta, non contraddicono la natura diafana e fantasmatica del testo. Ogni fanfara, bozzettistica o classicista, resta ormai alle spalle. Il risultato è una maestà calma e dolente, una trasparenza in cui non si dà scarto tra detto e cantato o tra sussurro e musica, fusi in un fraseggio di tenerezza straziata ma asciutta e lucidamente arida (la stessa tenerezza alla quale, giungendovi dall’opposta sponda di una depressione sia vitale sia stilistica, Sbarbaro era approdato intorno al ’30 nei “Versi a Dina”).
Anche il Raboni maturo si muove con un passo felpato di questo genere. È un passo che acquista nelle fasi di transizione della sua parabola poetica: prima, appunto, negli anni Ottanta delle “Canzonette”, luogo di sutura tra lo stile manzonian-brechtiano della penitente giovinezza lombarda e il manierismo delle forme chiuse; poi, alla fine, in “Barlumi di storia”, dove dalle forme chiuse ritorna a uscire ‘verso la prosa’ (ma affiora già nel metricista “Quare tristis”, non appena taglia a metà il sonetto come in “Svegliami, ti prego, succede ancora…”). Anche nelle sue strofe “mortali” la diversa biologia dei corpi stesi nell’alcova è il punto di partenza scelto per evocare i topoi di amore e morte, presenza e assenza, realtà e irrealtà; anche qui il rapporto è vissuto come un’iniziazione sempre esposta al fallimento, destinata a essere giocoforza interrotta; e anche qui l’ansia si attenua solo attraverso una resa simile a un cupio dissolvi. Se Luigi Baldacci giudicava “Vecchio e giovane” la poesia più “marmorea e straziata” del Novecento, a proposito di “Canzonette mortali”, dopo avere opportunamente citato i classici e in particolare Catullo, Paolo Maccari ha ripreso un’espressione utilizzata altrove da Raboni, e pure vicina all’ossimoro, parlando di un testo “obiettivamente straziante”.
“Canzonette” è costruita a imbuto, per strofe di lunghezza decrescente - da dieci versi a uno - secondo una formula mutuata a quanto pare dalla sinfonia 45 di Haydn nota come “Sinfonia degli addii”. La prima strofa s’impernia su un motivo tipicamente raboniano: in quelle “spoglie del futuro” il tempo assume l’aspetto di una pellicola già proiettata, da riavvolgere e far scorrere avanti e indietro con agio funerario (si veda, in “Barlumi di storia”, il riepilogo di “Si farà una gran fatica, qualcuno…”). Tutto è già compiuto e ci sta davanti in una spossata, paradossale eternità barocca. I versi descrivono un moto lento di onde che si allungano e si contraggono, qua limpide e là torbide o schiumose. Le abbreviazioni coincidono spesso con smorzature gravi come pesi sul cuore, in cui la voce sembra strozzata o soffocata. A poco a poco il discorso si assesta intorno alla misura di un endecasillabo che fa da chiusa provvisoria, icastica, per poi riaprirsi subito su un’incertezza allarmata; e dopo trasalimenti, nenie, attese a respiro trattenuto e constatazioni lapidarie, la serie non si chiude con un sigillo ma con una sospensione, un ‘piano’ da stretta che si allenta. ‘Vista’ così alla moviola, la consunzione può ancora confondersi con la stasi, con un indefinito protrarsi di quell’equilibrio squilibrato: nessuno sa quanto durerà il misto di angoscia e incanto.
La lentezza cerimoniale, l’iniziazione religiosa all’eros e alla morte del Raboni d’inizio anni Ottanta si gioca qui tra l’‘amen’ di chi sente di poter accettare qualunque cosa perché ha incontrato il proprio destino (“mancarti, / non perderti, era l’ultima sventura”) e l’allarme che ispira ineluttabilmente il possesso, la consapevolezza della futura perdita (“Il cuore che non dorme / dice al cuore che dorme: Abbi paura”). Se in altre liriche coeve il poeta sgrana le immagini di un teatrino pornografico con leggerezza tenera e devota, qui scioglie il “godere” nel tema della consegna a una sorte di dissoluzione fisica; ma l’accettazione di questa sorte è poi incrinata da commoventi, atroci soprassalti vitalistici - dalla fame di futuro di chi, ormai sulla soglia dell’aldilà, tenta di riafferrare un impossibile accordo della giovinezza e può farlo solo “ripassando la parte” tra una pausa e l’altra, perché il suo stato normale di uomo quasi vecchio è un torpore che se assecondato lo porterebbe lontanissimo dal ritmo a cui batte il cuore della compagna.
“Fare l’amore e morire sono una cosa sola”, diceva Truffaut del cinema “decisamente più sessuale che sensuale” di Alfred Hitchcock, così proustianamente amato da Raboni: e lo si potrebbe ripetere davanti a entrambe le poesie. Ma in chiusura vorrei ricordare un altro regista, che ha girato un film dove la quotidianità condivisa dell’amore appare altrettanto fatale e precaria. È il Chaplin di “Luci della ribalta”. Alla sua uscita, nel 1952, se ne occupò tempestivamente proprio Garboli, che al tema era con tutta evidenza sensibilissimo se trent’anni dopo decise di scrivere anche delle “Canzonette”, opera di un autore per il resto molto distante da lui. In un pezzo pubblicato di recente nella “Gioia della partita”, il ventenne studioso di Dante si concede un’incursione nel campo del grande schermo dialogando con il commento che al film ha dedicato Carlo Muscetta, rappresentante di quel marxismo postbellico verso cui Garboli mantiene sempre un affetto aprioristico pur mentre batte per suo conto tutt’altre strade. Nel descrivere la storia di Calvero e Terry, il giovane critico parla dello “stato di provvisorietà in cui viene a trovarsi un amore per altro verso tanto permanente, tanto terribilmente serio e affondato nelle radici della vita che tollera di paragonarsi solo all’aria stessa in cui unicamente è dato di vivere”. “Come torni in dramma, in amore, in strazio sopportato tanta voglia di vita, che non ha sfogo e non può averlo, una volta ricalati i personaggi dalla favola in realtà e nella storia che loro è data, mediocre fuori, grande e ricca e varia dentro, diversa e uguale a tutte, come tante: questo è ‘Limelight’”, afferma nella pagina centrale del suo pezzo. “Ed è questo, precisamente, il solo modo in cui l’umano incontro di due vite diverse, Calvero e Terry, può divenire, farsi storia e una sola storia; pur non avendo, di una storia d’amore, che l’ansia d’essere tale e il saper d’esserlo e il non esserlo invece, di fatto: così che continuamente si mescola alla favola la realtà e si affaccia nella felicità la disperazione, indissolubile l’una dall’altra; perché ciò che è accaduto in mezzo a quelle due vite scova il modo d’essere una medesima cosa fra loro proprio e appunto perché comune a due vite, a due storie diverse. La vitalità, l’istinto divengono l’amore che salda persona a persona ma l’amore onde si vincolano le vite di Calvero e di Terry suscita davvero un patema indicibile, proprio una sorta di chiuso finimondo se per forza di cose tanto più brucia ogni limite quanto più gli fanno tormentosa prigione i naturalistici limiti della giovinezza e della vecchiaia, i quali infine sbiadiscono e si dissolvono come tali ma riaffiorano nuovamente come i confini stessi del tempo, della realtà in cui ciascuno dei due personaggi si cala, della storicità insomma propria di Calvero, di Terry”.
Verso la fine di questo formidabile saggio, stilisticamente ancora ingorgato, troppo abbondante e tortuoso, ma già molto garboliano nell’andatura avvolgente e nel sapore, il critico si sofferma sul punto di vista della ballerina – cioè del ‘corpo giovane’ che Saba e Raboni guardano dall’esterno – in un passo che vale la pena riportare quasi per intero: “Tanto grande è la dimensione del suo amore che sembra davvero possa tutto, anche restituire la virilità a un vecchio e il talento a chi l’ha esaurito (…): ed è un’illusione, poiché più grande diviene l’amore in Terry più acuto si fa in Calvero e in Terry lo strazio che la vita non lo conceda. Così s’alternano la felicità e la disperazione in una voglia d’amare che trova ostacolo in sé, in ciò stesso onde è nata; e chi rifletta al gusto romantico delle passioni sempre un po’ esagitate può comprendere perché in ‘Limelight’ l’amore si raffiguri in modo da non sembrare neppure più tale, un’altra cosa, tanto è vicino all’elemento inqualificabile che spinge una pietra a stare in un modo, a fiorire la rosa in un altro. Come si muova in grazia, in angoscia, in modi consueti alle storie d’amore, solitudini e improvvise felicità, come s’ammanti il desiderio l’uno dell’altra dell’esser clown Calvero, dell’esser ballerina Terry (ché ognuno simbolizza ingenuamente per suo conto), è la levità della favola, in cui la storia pare che sia sempre lì lì per sfumare; e in fondo a quella visiva trasparenza s’asciuga invece uno spasimo atroce; si dispera e invecchia e intristisce la vita di Calvero e si abbarbica l’amore di lui e di Terry tenace, con la protervia della dolcezza e per il fascino che proviene dalla vita di chi si ama, di chi si è; e si dibatte in voglia impotente, scoppia in patetiche ostinazioni, spoglio del superfluo, in un miscuglio nuovo di sofferenza e di gioia e di solitudine e di dedizione assoluta e dentro cui si vive senza aver fede in altro, perché questo solo c’è e resta, l’amore e la vita che fanno una cosa sola: quel fluido impenetrabile che sembra abbia consistenza mentre passa negli occhi di Calvero e di Terry il giorno che si ritrovano, per caso, a un caffè. Tutto si ferma intorno, si fanno grandi i loro visi accostandosi e in quell’intimità si atteggia una consapevolezza estrema, come si concentrasse in quel momento l’arco in cui la vita si compie tutta; essendo interna alla sua bellezza la sua irrimediabilità (…) C’è in ‘Limelight’ una sorta di naturalismo estremo e quell’umanesimo integrale di cui parla Muscetta e sopra tutto un ateismo quasi sfacciato e una disperazione lucida, che annulla e dà, ricrea, e tutto questo espresso in realtà dura, in pura favola, senza esterni soccorsi di consolazione. Si pensa al viso staccato e solitario di Calvero prima e dopo l’ultima pantomima; vi traspare la commozione come la luce in una pietra limpida, fredda; dice che la vita è immensa, varia, magnifica, perché limitata, terribile, breve, chiusa e angustiata da limiti netti, senza nient’altro all’infuori di sé”.
“Una voglia d’amare che trova ostacolo in sé, in ciò stesso onde è nata”: eppure non una voglia romanticamente esagitata e teatralmente esagerata, ma naturale come ciò che “spinge una pietra a stare in un modo, a fiorire la rosa in un altro”; non un ostacolo rougemontianamente ‘fittizio’, ma invalicabile, oggettivo. E ancora: in uno stile prosciugato, trasparente, il resoconto di una felicità, di una fiaba che ha come rovescio la reale assenza di consolazione, la “disperazione lucida” che dà e toglie con un gesto solo la consistenza a quell’amore. Così, anche in Saba e in Raboni, concretezza e impossibilità sono come due lati di un unico foglio, due espansioni della stessa radice: la contraddizione senza vie d’uscita di un rapporto che nasce alla tangenza di due linee vitali destinate a divaricarsi davanti alla morte. Esiste nel Novecento italiano un’altra grande poesia d’amore, che allo squilibrio di una relazione vissuta, non ‘romantica’, dà la forma più biologicamente estrema, pur sospendendola nel limbo della parodia stilnovista: è l’“Ultima preghiera” di Giorgio Caproni – ma non sono ‘preghiere’ anche “Vecchio e giovane” e le “Canzonette”? – dove i punti di vista tipici della lirica sabiana acquistano un significato letterale: la fidanzata coincide con la madre rimasta giovane accanto a un figlio vecchio.
Squilibrio dei destini, si è detto; ma nella nostra ipotetica antologia dovrebbe trovare un posto d’onore anche la più bella lirica dedicata a un genere differente di squilibrio, quello delle forze. Il potere ‘politico’, la dialettica del servo e del padrone, l’oggettivazione sadica dell’altro penetrano infatti fin dentro le stanze più private: e Noventa, nei versi “A un’ebrea” scritti mentre si annunciava all’orizzonte la Shoah, esprime tutto lo strazio di chi sa di non poter redimere la propria sopraffazione, né attingere una giusta parità, ma solo distogliere vergognosamente lo sguardo: “Gh'è nei to grandi - Oci de ebrea / Come una luse - Che me consuma; / No' ti-ssì bèla - Ma nei to oci / Mi me vergogno - De aver vardà. // Par ogni vizio - Mio ti-me doni / Tuta la grazia - Del to bon cuor, / A le me vogie - Tì ti-rispondi, / Come le vogie - Mie fusse amor. // Sistu 'na serva - No' altro o pur / Xé de una santa - 'Sta devozion? / Mi me credevo - Un òmo libero / E sento nascer - In mi el paron”…
Amare senza scoprirsi né padroni né servi: forse a volte sembra possibile solo là dove incombono ‘gli addii’, là dove tutto è vissuto al colmo di una intimità traboccante, trepida, sconvolta, e al tempo stesso tutto è guardato come già morto. L’amore nella sua pienezza non si dà, pare, senza lo sfondo di due solitudini, senza la minaccia, senza rivelarsi “sempre sul punto di essere ucciso”. La differenza è tra una poesia che rimuove questa realtà nei suoi castelli simbolico-allegorici, e una poesia che con la naturalezza perentoria degli ‘artisti da vecchi’ affronta la consumazione dell’amore sotto un cielo d’ansia."
Matteo Marchesini
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