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#era analogica
eroticadelacultura · 2 months
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La desaparición o crisis de la idea del amor. Licuación del Sujeto y la nueva Subjetividad compleja y confusa. Texto e imágenes por AMILCAR MORETTI
VER: www.amoretticulturaeros.com.ar   Imagen compuesta por AMILCAR MORETTI en este mes de abril del 2024. BUENOS AIRES-La Plata. Escribe AMILCAR MORETTI                             “Ellos (los otros políticos” son analógicos”. Algo así aseveró el Presidente de los argentinos elegido hace unos meses por el 57 % de los votos en los últimos comicios nacionales. “Yo soy digital”, dio a entender muy…
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colorfulprincewombat · 5 months
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Noi Boomer
"Molti sono morti, e quelli che sono ancora qui vengono chiamati ""gli anziani. ""
Siamo nati negli anni 40-50-60.
Siamo cresciuti negli anni 50-60-70
Abbiamo studiato negli anni 60-70-80.
Eravamo insieme negli anni 70-80-90.
Ci siamo sposati o no e abbiamo scoperto il mondo negli anni 70-80-90.
Avventure negli anni 80-90.
Ci stiamo ambientando negli anni 2000.
Siamo diventati più saggi negli anni 2010.
E andiamo forte fino al 2020 e oltre.
A quanto pare abbiamo attraversato OTTO decenni diversi...
DUE secoli diversi...
DUE millennial diversi...
Siamo passati dal telefono con l'operatore per chiamate interurbane, cabine a pagamento, videochiamate in tutto il mondo.
Siamo passati dalle slide a YouTube, dai vinili alla musica online, dalle lettere scritte a mano alle mail e Whats App.
Giochi in diretta radio, TV in bianco e nero, TV a colori, poi TV 3D HD.
Siamo andati al videonoleggio e ora guardiamo Netflix.
Abbiamo conosciuto i primi computer, schede perforate, dischi e ora abbiamo gigabyte e megabyte sui nostri smartphone.
Abbiamo indossato pantaloncini per tutta la nostra infanzia, poi pantaloni, pantaloni ep o minigonne, Oxford, Clarks, sciarpe palestinesi, tute e jeans blu.
Abbiamo evitato paralisi infantile, meningite, poliomielite, tubercolosi, influenza suina e ora COVID-19.
Abbiamo fatto pattinaggio a rotelle, pattinaggio a rotelle, triciclo, bicicletta, motorino, benzina o diesel e ora guidiamo ibridi o elettrico.
Abbiamo giocato con i piccoli
cavalli e dama, struzzi e biglie, soglia 1000 e monopoli, ora c'è Candy Crush sui nostri smartphone
E leggiamo... molto
E la religione dei nostri compagni di scuola non era una materia...
Bevevamo acqua di rubinetto e limonata in bottiglie di vetro, e le verdure nel nostro piatto erano sempre fresche, oggi ci arrivano i pasti a domicilio
Sì, ne abbiamo passate tante ma che bella vita che abbiamo avuto!
Potrebbero descriverci come "ex-annuali"; persone nate in questo mondo anni '50, che hanno avuto un'infanzia analogica e un'età adulta digitale.
Dovremmo aggiungere la Rivoluzione Biologica a cui abbiamo assistito. Nel 1960, la biologia era molto descrittiva. Abbiamo assistito all'evento della Biologia Molecolare: scoperte le molecole della Vita: DNA, RNA ecc. Quando vedi tutto quello che ne è uscito: terapia genica, impronte genetiche, e altri i progressi sono considerevoli.
Abbiamo tipo "visto tutto"!
La nostra generazione ha letteralmente vissuto e assistito più di ogni altra in ogni dimensione della vita.
Questa è la nostra generazione che si è letteralmente adattata al "CAMBIAMENTO".
Un grande augurio a tutti i componenti di una generazione davvero speciale, che sarà UNICA.. "
Ph.Woodstock 1969
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arhalternativo · 3 months
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"Molti sono morti, e quelli che sono ancora qui vengono chiamati ""gli anziani. ""
Siamo nati negli anni 40-50-60.
Siamo cresciuti negli anni 50-60-70
Abbiamo studiato negli anni 60-70-80.
Eravamo insieme negli anni 70-80-90.
Ci siamo sposati o no e abbiamo scoperto il mondo negli anni 70-80-90.
Avventure negli anni 80-90.
Ci stiamo ambientando negli anni 2000.
Siamo diventati più saggi negli anni 2010.
E andiamo forte fino al 2020 e oltre.
A quanto pare abbiamo attraversato OTTO decenni diversi...
DUE secoli diversi...
DUE millennial diversi...
Siamo passati dal telefono con l'operatore per chiamate interurbane, cabine a pagamento, videochiamate in tutto il mondo.
Siamo passati dalle slide a YouTube, dai vinili alla musica online, dalle lettere scritte a mano alle mail e Whats App.
Giochi in diretta radio, TV in bianco e nero, TV a colori, poi TV 3D HD.
Siamo andati al videonoleggio e ora guardiamo Netflix.
Abbiamo conosciuto i primi computer, schede perforate, dischi e ora abbiamo gigabyte e megabyte sui nostri smartphone.
Abbiamo indossato pantaloncini per tutta la nostra infanzia, poi pantaloni, pantaloni ep o minigonne, Oxford, Clarks, sciarpe palestinesi, tute e jeans blu.
Abbiamo evitato paralisi infantile, meningite, poliomielite, tubercolosi, influenza suina e ora COVID-19.
Abbiamo fatto pattinaggio a rotelle, pattinaggio a rotelle, triciclo, bicicletta, motorino, benzina o diesel e ora guidiamo ibridi o elettrico.
Abbiamo giocato con i piccoli
cavalli e dama, struzzi e biglie, soglia 1000 e monopoli, ora c'è Candy Crush sui nostri smartphone
E leggiamo... molto
E la religione dei nostri compagni di scuola non era una materia...
Bevevamo acqua di rubinetto e limonata in bottiglie di vetro, e le verdure nel nostro piatto erano sempre fresche, oggi ci arrivano i pasti a domicilio
Sì, ne abbiamo passate tante ma che bella vita che abbiamo avuto!
Potrebbero descriverci come "ex-annuali"; persone nate in questo mondo anni '50, che hanno avuto un'infanzia analogica e un'età adulta digitale.
Dovremmo aggiungere la Rivoluzione Biologica a cui abbiamo assistito. Nel 1960, la biologia era molto descrittiva. Abbiamo assistito all'evento della Biologia Molecolare: scoperte le molecole della Vita: DNA, RNA ecc. Quando vedi tutto quello che ne è uscito: terapia genica, impronte genetiche, e altri i progressi sono considerevoli.
Abbiamo tipo "visto tutto"!
La nostra generazione ha letteralmente vissuto e assistito più di ogni altra in ogni dimensione della vita.
Questa è la nostra generazione che si è letteralmente adattata al "CAMBIAMENTO".
Un grande augurio a tutti i componenti di una generazione davvero speciale, che sarà UNICA.. "
In gran parte ispirato da un autore sconosciuto
Woodstock 1969
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poesiauncazzo · 9 months
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«Noi siamo i morti» disse Winston. «Noi siamo i morti» gli fece docilmente eco Julia. «Voi siete i morti» disse una voce metallica alle loro spalle. Si staccarono l'uno dall'altra con un balzo. Winston si sentì agghiacciare le viscere. Poteva vedere il bianco attorno alle iridi di Julia, il cui volto si era fatto di un giallo latteo, mentre le macchie di belletto, ancora visibili su entrambi gli zigomi, risaltavano violentemente, quasi come se non fossero attaccate alla pelle.
Voi siete i morti noi siamo i morti morti come quasi tutti i miti della mia giovinezza come la compassione come la mia pazienza o la generale decenza come lentamente muoiono i pesci del mare e le economie costiere i ghiacciai i boschi di conifere come branche intere di ingegneria analogica e mestieri, artigiani, tecnica la tecnologia degli avi è l'enigma della progenie come i vivi di oggi saranno fantasmi di domani ma non sono gli orologi a dare la misura del tempo bensì i morti, dicevano i greci o forse era il grande Altan ma non importa pure l'importanza è morta sono morte le informazioni come questa colonna sbilenca di parole che elenca elenchi di morte ch'è già morta anch'essa così come muoiono assassinate la bellezza le mie cellule la commozione e tante altre cose come questo account niente perdura forse, un giorno sarà morta persino la scrittura o forse ci sopravvivrà così che chi verrà dopo possa studiarci dopo che ci saremo tolti dai coglioni e credere che eravamo essere profondi invece dell'oscenità che in vero siamo uno scherzo della natura durato troppo e venuto male noi e la nostra paradossale essenza che ci rende duri anche nella tenerezza ci rende cupi anche nelle acque chiare che più perseguiamo il giusto e più ci fa sbagliare e ci porta sempre al punto in cui o incontriamo la malattia mentale oppure riaffiora in superficie, puntuale la nostra atavica violenza che sia esplicita o sottile che sia di sangue o di pensiero e che ci fa tutti brutti bruti brutali un rigurgito di tenebra noi che siamo i morti anche mentre esistiamo.
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fotopadova · 4 months
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Fotografia italiana di 5 decenni fa, élite negletta: Geri Della Rocca de Candal
di Carlo Maccà
Dedico l’articolo a Gustavo Millozzi, grande amico e maestro da più di mezzo secolo. Lasciandomi come sempre piena libertà, ne ha seguito tutta la gestazione ed è scomparso proprio al momento della conclusione.
Ai tempi antichi, nel millennio passato, la fotografia era analogica. Ogni immagine fotografica era il risultato di un processo che oggi apparirebbe lentissimo. Il sensore era costituito da uno strato di gelatina contenente sali d’argento depositato su una pellicola. La luce liberata dallo scatto dell’otturatore produceva all’interno del materiale sensibile un embrione, che attraverso fasi fisico-chimiche successive (sviluppo e stampa) si concretizzava materialmente in una immagine partorita sulla superficie di un supporto solido, generalmente cartaceo. Solamente allora l’immagine entrava effettivamente nella vita reale, poteva ricevere un nome, vivere in una cornice appesa a una parete o dormire all’interno di un album, essere mostrata a parenti e amici, alla comunità fotografica, e, attraverso i media, alla società e al mondo intero. La speranza di vita dell’oggetto poteva facilmente superare quella dei suoi contemporanei umani, compreso il presente autore. [1]
Alla selezione della immagini che meritavano di essere conosciute e divulgate nell’internazionale fotografica provvedevano soprattutto alcuni Annuari di editori specializzati, per lo più Americani o Britannici. Anno per anno, professionisti e amatori evoluti, giovani o maturi, nuovi o affermati, inviavano agli editori stampe, sciolte o in portfolio, sperando che almeno una di queste selezionata e il proprio nome comparisse nell’indice degli autori accettati seguito dal numero della pagina in cui avrebbero ritrovato l’immagine o dal numero d’ordine di questa. Se di quei numeri ne compariva più di uno, l’autore poteva considerarsi - o vedersi confermato – “Autore” coll’A maiuscola.
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Figura 1. Geri Della Rocca deCandal -Sulla spiaggia. Ferrania XXI/7, luglio 1967, p.3.
Per Fotopadova immagini relative all'articolo
Per questa via, dalla metà degli anni ’60 cominciarono a farsi conoscere e apprezzare nel mondo fotografico internazionale alcuni dei nostri futuri Maestri, che già contribuivano ad animare e a svecchiare la fotografia italiana. Conservo con devozione alcuni di quegli annuari e ogni tanto li ripercorro con piacere (e qualche nostalgis). Per esempio, nel britannico Photography Year Book [2] del 1967 si rivedono Gianni Berengo Gardin con 4 fotografie (2 in doppia pagina), e Mario Giacomelli con 2 (fra cui l’iconico ritratto della madre colla vanga); con 2 immagini anche Cesco Ciapanna (futuro fondatore del mensile Fotografare, innovativo per l’ambiente fotografico italiano), e con una ciascuno Cesare Colombo e Michelangelo Giuliani. Via via negli anni si ritrovano anche altri autori italiani tuttora amati e apprezzati, assieme ad altri che hanno lasciato qualche memoria alla fotografia italiana. 
Fra fotografi italiani che nei pochi Photograpy Year Book dei primi anni ’70 a disposizione già a quel tempo avevano destato la mia attenzione per la qualità delle immagini e per i commenti che le presentano, soltanto uno, che portava un nome facilmente ricordabile : Geri Della Rocca deCandal, non sembra aver trovato ricordi permanenti nella nostra comunità fotografica. Nella pubblicista fotografica italiana di quegli anni parsimoniosamente tramandata fino ai nostri giorni sembra essersene occupata soltanto la rivista Ferrania [3], che nel numero di luglio 1967 presenta un ispirato articolo di Giuseppe Turroni [4] dal titolo La consolazione dell’occhio. L’autore, autorevole critico cinematografico e fotografico, scrittore e pubblicista notissimo in quegli anni, promuove alcuni giovani autori part-time che nella loro opera si distinguano per "chiarezza, onestà, purezza, spontaneità, e/o linearità di espressione". Doti che in uno di loro riconosce accompagnate da una spiccata sensibilità formale, che diremmo “classica”. Ecco come lo introduce.
 “Un giovane di Milano, studente in Fisica, Geri Della Rocca deCandal, ricerca un dilettantismo quasi prezioso, che può sembrare fuori moda e che anche per la scelta del soggetto non indulge alle convenzioni dei tempi. Ma in quanti siamo a stabilire l’esatta portata di un lavoro al di là degli aspetti formali o linguistici che ci suggestionano? Anche Geri Della Rocca de Candal ha spirito libero e introspettivo. Le sue foto ”artistiche” hanno un’impronta ovviamente diversa da quella che distingueva la produzione amatoriale italiana di lontana memoria. Sono centrate nel gusto formale del momento e nello stesso tempo riescono a tradurre un simbolo di realtà, per i nostri occhi abbacinati da tanta, da troppa cronaca che finisce per non dirci più niente, anzi per guastarci il sapore della realtà.” [4] Turroni accompagna questo testo con ben 5 immagini, certificando che il giovane, in Fisica ancora studente, in Fotografia ha già raggiunto un livello magistrale. 
Da qualche anno la Fondazione 3M offre, oltre alla collezione completa digitalizzata della rivista sopra citata, anche i files delle fotografie originali depositate presso il ricco Archivio Ferrania. Due immagini, una presumibilmente degli anni ’60, l’altra del 1974, presenti nel fondo Lanfranco Colombo sono evidenti tracce di una mostra del giovane Geri a Il Diaframma, la prima galleria in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica [5], e fanno pensare a una attività espositiva importante. Soltanto le fonti finora  citate  possono suggerire all'ambiente italiano l’esistenza di un Autore da non trascurare.
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Figura 2. Lower Manhattan Skyline - New York City, 1968. APERTURE, SPRING 1972.
Infatti rimane insoddisfatto chi, come noi, cerca di approfondire quelle notizie per la via più agevole, la Rete, che al giorno d’oggi segnala qualsiasi evento grande o piccolo e ne preserva la memoria, e perciò è indotto a supporre che l’attività fotografica del Nostro si sia conclusa in patria prima dell’avvento di Internet. Che però non si trattasse di cosa trascurabile, e che si espandesse anche all’estero, lo si può dedurre da altre tracce che attraverso Internet si reperiscono in archivi digitali della stampa specializzata straniera: per esempio, negli elenchi nominativi dei fotografi con opere presenti in raccolte fotografiche museali, in mostre antologiche dedicate all’eccellenza dell’arte fotografica mondiale o, infine, negli archivi di riviste fotografiche straniere fra le più autorevoli. Tracce lasciate in tutto il mondo, dalla Norvegia all’Australia e dagli anni ’70 fino a tempi recenti. In qualche caso contengono anche riproduzioni di opere. La figura 2, per esempio, è tratta da un articolo dedicato al nostro Autore dalla rivista Aperture [6] nel 1972.
Dalle opere così identificate si poteva già dedurre che Della Rocca de Candal conducesse nel bianco e nero ricerche sulle forme nello spazio parallele a quelle che Franco Fontana e Luigi Ghirri portavano avanti nel colore. Ma nell’accostarsi ai due coloristi a lui contemporanei, Geri manifestvaa ancor più evidente l’eredità dall’arte italiana dei periodi più classici: dalle scansioni spaziali dei pittori del 400 come Piero Della Francesca e Paolo Uccello, alla profondità della prospettiva aerea di Leonardo, ed infine al perfetto equilibrio in cui sono quasi sospese le architetture più compiute di Andrea Palladio. Spazialità tutta di tradizione italiana, da secoli ammirata (e superficialmente imitata) nei paesi anglosassoni.
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Figura 3. The Brooklin Bridge, NYC. 1968. Amon Carter Museum, Fort Worth, Texas.
Il nostro interesse per Geri Della Rocca de Candal si è meglio focalizzato quando, reperito qualche altro numero di quegli anni del Photography Year Book sopra citato, abbiamo trovato ripetutamente il suo nome, a conferma d’una produzione significativa, che si è imposta all’estero più durevolmente che da noi, e che ci è apparsa meritevole di meglio rivisitata.
 
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Figura 4. Fellers, Swiss Alps. Photography Year Book 1972, Fig. 141.
Nello Year Book del 1972, nel quale si affermano ancora Berengo Gardin con due immagini da un servizio sulle celebrazioni della Pasqua a Siviglia, e Giorgio Lotti con quattro storiche fotografie per la rivista EPOCA [7] sugli effetti dell’inquinamento delle acque e dell’aria in alta Italia, Geri figura autorevolmente in doppia pagina coll’immagine di un villaggio delle Alpi Svizzere (Figura 4). Nel 1974, 3 pagine del Photography Year Book presentano un saggio d’un suo progetto pluriennale (BN e colore) dedicato alla tradizionale sfilata delle signore newyorkesi, con vistosi copricapi e accompagnate dai loro pets, nel giorno di Pasquetta lungo la 5th Avenue appositamente chiusa al traffico (Easter Parade, gia all’attenzione con diverso approccio del franco-ungherese Brassaï nel 1957 [8]).
Tuttavia mancava ancora la possibilità di inquadrare compiutamente la figura di Geri Della Rocca de Candal e la sua attività fotografica. Questa opportunità si è avverata soltanto molto recentemente per una fortunosa coincidenza. Compare inaspettatamente in rete un omonimo, fresco di dottorato in discipline umanistiche presso l’Università di Oxford e collaboratore di un gruppo oxoniano di ricerca sul primo secolo di storia del libro a stampa. Il giovane studioso si rivela essere il figlio del nostro obiettivo, e ci dà la possibilità di contattare il padre. Questi accetta di metter mano per noi al proprio archivio fotografico, da decenni lasciato a dormire, e di rivisitarlo con affettuoso distacco.
L’autore stesso ci fornisce un buon numero di files ottenuti da stampe analogiche eseguite personalmente per mostre e pubblicazioni. Molti sono di immagini per noi nuove, altri sostituiscono vantaggiosamente parte di quelli ricavati dalle fonti a noi già note. Tutti insieme saranno di valido aiuto ad interpretare correttamente secondo la dell’Autore pe le immagini ricavate da atre fonti. 
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Figura 5. Easter Sunday Fashion Parade, NY. Photography Year Book 1974 fig.133 . 
Infine i suoi cenni autobiografici, seppure scarni, ci salveranno da induzioni ed esercizi di fantasia di precedenti commentatori [9] e ... nostri. E così possiamo raccontare che il giovane amatore (n. 1944), dopo un primo periodo di partecipazioni e successi in concorsi e mostre collettive, del quale rimase rara testimonianza l’articolo di Turroni sopra riportato, venne effettivamente "scoperto" da Lanfranco Colombo, che nel 1970 gli consentì la sua prima mostra personale presso la Galleria Il Diaframma [5]. Ben presto Geri interruppe gli studi universitari di Fisica per dedicarsi completamente alla professione di fotografo free-lance per la stampa internazionale. Fotografie realizzate nel corso dei suoi viaggi venivano pubblicate su quotidiani, settimanali riviste e libri negli Stati Uniti e in molti paesi europei (in Italia, per esempio, su Il Mondo). Contemporaneamente condusse un’intensa attività espositiva quasi esclusivamente all’estero, con mostre personali e partecipazioni a collettive in Europa e fino ai quattro angoli del mondo, dagli U.S.A. all’Australia e dal Brasile alla Cina. Considerato uno dei più rappresentativi fra i giovani fotografi Italiani del momento, sue opere vennero acquistate da musei stranieri. Ma all'inizio degli anni '80 Geri dovette occuparsi personalmente delle attività legate agli interessi di famiglia, tanto da abbandonare, prima gradualmente e poi del tutto, la fotografia. Le sue ultime apparizioni dirette non vanno oltre il 1984, ma sue opere continuano a comparire in ulteriori mostre dedicate alla più rappresentativa fotografia Italiana dei decenni in cui egli ha operato.
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Figura 6. Venezia, 1977 (bacino di S. Marco visto da S. Giorgio Maggiore)
Una fotografia dello scaffale in cui sono allineati gli annuari, i cataloghi e altri fascicoli occasionali in cui sono riprodotte le sue opere ci ha permesso di arricchire la documentazione figurativa, completando la serie di Photography Year Book degli anni fra il 1972 e il 1980, in ognuno dei quali compare almeno una sua opera. La loro successione ci ha aiutato a formulare una traccia sulla quale restituire l’evoluzione dell’Autore.
Sua caratteristica costante è la sapienza della composizione, distribuita nello spazio con equilibrio di stampo classico, anche quando la prospettiva geometrica è forzata coll’impiego di un grandangolo spinto (fino al 20 mm), e quando si combina con quella forma particolare di prospettiva aerea ottenuta coll’aiuto di foschie e nebbie (figura 6), che già si notava nelle foto dei primi anni (figure 1 e 2). A mano a mano si accentua la ricerca d’una geometria severa, rafforzata da forti contrasti con bianchi puri e neri intensi o addirittura chiusi. Tuttavia il facile rischio dell’aridità viene evitato dalla presenza della persona umana o da dettagli che la richiamano, spesso con una ironia garbata e benevola (figure 7 e 8).
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Figura 8. His, Hers (per Lui, per Lei). Photography Year Book 1980 fig.58.
Il bordino nero con cui l’autore costantemente racchiude l’immagine stampata (e nelle stampe da esposizione isola l’immagine entro un largo campo bianco) appare dettato, piuttosto che da una pretesa di eleganza, dall’intenzionale affermazione della compiutezza della composizione.
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Figura 8. Silhouettes. PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1977.
Nelle diapositive a colori l’impatto grafico è mediato da una forte saturazione del colore (Figura 9), che possiamo ritenere frutto d’una leggera sottoesposizione del Kodachrome in fase di ripresa.
 
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Figura 9. Storage closets. PHOTOGRAPHIE (CH) Juli 1978.
Varie mostre di successo e i frequenti portfolio ospitati da riviste fotografiche a grande diffusione portano la prova della sua popolarità. “Le sue frequenti permanenze negli Stati Uniti hanno dato alle immagini un’impronta, che per la fotografia europea risulta innovativa” (PHOTOGRAPHIE, Winthertur, Svizzera. Luglio 1978, editoriale). Reciprocamente, per i Nord-americani l’occhio con cui il loro paese è stato fotografato dall'ospite italiano era uno specchio insolito, rivelatore di aspetti da loro mai notati (o mai voluti prendere in considerazione, sebbene meno imbarazzanti di quelli bruscamente esibiti da altri stranieri come Robert Frank, Svizzero, o William Klein, Newyorkese ma culturalmente parigino e autodefinitosi straniero in patria).
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Figure 10 e 11. Dalla serie Bars (Sbarre) PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1978.
NOTE
 [1] Superfluo il confronto colla invadente, fugace, evanescente fotografia della nostra epoca digitale; ovvio e banale ogni commento. Sì, anche cumuli ben distribuiti di elettroni possono essere finalizzati a partorire immagini analogiche; ma ciò nella realtà avviene solo per frazioni fantastilionesimali di quelli partoriti dalle apposite strutture tecniologiche. Nonostante tutte le riviste di moda o di viaggi e gli album di matrimonio.
[2] In Italia fino agli anni ’60 quel poco che esisteva di editoria e pubblicistica fotografica  era orientato quasi esclusivamente alla divulgazione e all’aggiornamento in materie tecniche, e gli orizzonti artistici erano assolutamente provinciali. Chi voleva rimanere informato sulla fotografia nel resto del mondo poteva reperire soltanto in rare librerie più accorte (a Padova, la Libreria Internazionale Draghi) qualche periodico internazionale, come il mensile statunitense Popular Photography e il suo Annuario, o il britannico Photography Year Book. Coll’arrivo di Gustavo Millozzi, qui immigrato da Venezia e La Gondola, i frequentatori del Fotoclub Padova potevano prenotare il mensile svizzero Camera, principale punto di riferimento internazionale per la fotografia.
[3] La rivista Ferrania [ https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_(periodico) ], fondata nel 1947 e cessata nel 1967, era sponsorizzata dalla storica industria italiana omonima, che fu per vari decenni la produttrice di apparecchiature e materiali fotografici e cinematografici dominante sul nostro mercato. Memorabile la sua pellicola P30, matrice del bianco e nero del Neorealismo cinematografico italiano. La storia dell’azienda, conclusa definitivamente e infelicemente in questo millennio, si può trovare riassunta in https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_Technologies . I PDF di tutti i numeri della rivista sono liberamente consultabili in Rete sul sito https://www.fondazione3m.it/page_rivistaferrania.php . 
[4] Giuseppe Turroni, La consolazione dell’occhio,Ferrania XXI/7, luglio 1967 pagina 2.
[5] La Galleria Il Diaframma di Milano, fondata e diretta da Lanfranco Colombo, la prima in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica, presentava molti maestri stranieri e giovani innovatori nostrani, esercitando così un’azione fondamentale per lo svecchiamento della fotografia italiana.
[6] APERTURE magazine è un periodico con cadenza trimestrale nato a New York nel 1952 per opera d’un gruppo di fotografi (Ansel Adams, Minor White, Dorothea Lange e altri) al fine di promuovere la fotografia d’arte. Si è presto affermato come il più importante interprete della cultura fotografica mondiale assieme al più antico Camera. Nelle sue pagine hanno trovato slancio o conferma molti dei più apprezzati fotografi delle successive generazioni, come Diane Arbus, Robert Frank e tanti altri. La rivista è ancora attiva, disponibile anche in formato digitale assieme all’archivio di tutti i numeri dalla nascita; soluzione particolarmente conveniente in Italia dove recentemente sono state “perdute” per le strade postali la metà delle copie cartacee d’un costoso abbonamento biennale.
[7] Il settimanale Epoca della Arnoldo Mondadori Editore, nato nel 1950 sul modello dell’americano LIFE, faceva ampio uso di servizi fotografici, molti dei quali sono rimasti nella storia.
[8] Brassaï, 100 photos pour la liberté de presse. Reporters Sans Frontieres, 2022.
[9] Vatti a fidare delle informazioni reperibili in rete. Esempio:Amazon presenta così Incontri con fotografi illustri, Ferdinando Scianna, 2023: “Scianna ha realizzato migliaia di ritratti: i contadini duri e dignitosi di Bagheria, le donne estasiate durante le processioni siciliane, l’amico e coinquilino (sic) Leonardo Sciascia”. In evidenza la massima, ma non unica, baggianata contenuta in quella frase, nel suo insieme atta a disorientare l’ignaro compratore sul reale contenuto del libro.
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gcorvetti · 7 months
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Ricaduta.
Nel fine settimana e visto che era il suo compleanno mio figlio è venuto a casa, non sta ancora bene e lunedì l'hanno mandato definitivamente a casa per curarsi, gli hanno riscontrato un'infiammazione ai polmoni, ora geniacci dell'esercito estone pensate che mandare un ragazzo di 19 anni con la febbre a 38 e qualcosa nella foresta a fare esercitazione anche notturna sia una bella idea, siete degli idioti. Fatto sta che sono ricaduto in quella influenza anche se in maniera decisamente più lieve, mentre la mia compagna è ko, un lazaretto va. Passerà come tutte le malattie, abbiamo anche preso il covid per dirvi e siamo ancora qua, l'erba cattiva non muore mai. Cambiando discorso, in questi giorni mi sono dilettato a provare degli effetti virtuali, plugin per DAW per chi mastica tecnicismi, e devo dire che non sono male, anche combinati agli effetti della pedaliera ottengo risultati incredibili e a tale proposito mi è venuto in mente di farci qualcosa, come sempre niente di eclatante ma con un occhio al futuro, certo portare dal vivo il pc, l'interfaccia audio e volendo il mixer non è proprio il massimo, però si può sempre fare. Dico questo perché essendo molto old style preferirei dare una visione analogica al pubblico, ma alla fine chi se ne frega è il risultato che conta, nel frattempo se mi viene qualcosa di masticabile ve lo faccio sentire.
Non parlo dei fatti di cronaca e di quello che è la mala informazione eccessiva e i commenti di politici che sarebbe meglio andassero a zappare la terra, mi astengo per carità ho già le mie gatte da pelare, ma come detto in passato è il modus societario che è sbagliato a monte, guardatevi intorno e vedrete solo un uso smodato del corpo femminile, la donna è un oggetto, dalle pubblicità ai film dove spesso viene trattata male e uccisa, ma quella è finzione mentre nel mondo reale le cose non sono diverse perché c'è quell'idea che la donna sia un oggetto da possedere e non una persona. Quella cosa del patriarcato mi sembra una stupidaggine, direi più che altro che la società è machista, maschilista, che è controproducente se ci pensate perché abbiamo bisogno di tutti per fare andare avanti questo carrozzone sgangherato che chiamiamo società occidentale moderna, na merda va. Si avevo detto che non scrivevo nulla, infatti ho ribadito quello che scrivo spesso e non solo in occasioni di omicidio, anche la parola femminicidio è orribile è maschilista femmina è un dispregiativo secondo me, anche se siamo animali non siamo a quel livello, spero. Concludo col dire che in Italia le cose accadono e chi dovrebbe pagare, l'omicida, spesso non sta in galera tutto il tempo che gli è stato assegnato, che in realtà dovrebbe essere a vita vista la gravità dell'atto.
Vi lascio con l'ascolto
youtube
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vefa321 · 2 years
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E poi arriva oggi...come una chiamata d'altri tempi.
Perché la vita non è digitale, è analogica ed illogica, logisticamente sbagliata eppure sempre al posto giusto.
Oggi... che era un ieri in attesa di futuro, un domani che tra la paura dell' ignoto e la speranza si faceva strada nel tempo.
Noi siamo viaggiatori di questo tempo, nel tempo, fuori e dentro ogni misura e limite.
Noi siamo il tempo vestito e nudo, ignaro e ignoto, atteso e inattendibile.
Questo è il tempo, tutto ciò che abbiamo e nulla che potremmo dire di avere posseduto.
Oggi è di passaggio, noi passeggeri.
Buona passeggiata in questo lunedì che ci porta verso domani.
Oggi ci chiama dal futuro, da un vecchio telefono del passato.
Oggi è in linea con il tempo che corre sul filo teso della vita.
J.D
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lucianopagano · 20 days
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«Per una vita che non chiede di accadere» su Incontro al vento di Giuseppe Fioschi
«Incontro al vento» di Giuseppe Fioschi è qualcosa di più di un romanzo. Se chiudete gli occhi e immaginate un romanziere dell’oggi, cioè uno che fa le sue romanze con cose che sono simili a quelle che sono accadute, mescolandole a cose, spesso, inventate, ve lo immaginate mentre ragiona sul da farsi e sul da scriversi giocando con strutture, plot, post-it attaccati alle pareti, carte colorate, applicazioni e ancora, pulsanti e barre intermittenti, fumi e raggi laser. Ecco, questa semmai è la romanticheria del romanzo di intrattenimento contemporaneo, quello confezionato per chi legge e acquista meno di un libro all’anno e che può rivedere la storia leggiucchiata a salti su Netflix, Amazon Prime o Disney Channel. Bellissimo, nulla da aggiungere, qui parliamo d’altro.
«Incontro al vento» è il tipico romanzo che gli scrittori leggono per cessare di essere romanzati da altri e cominciare a scrivere di sé stessi prendendosi sul serio, un po’ come successe con un effetto stranamente evocativo, al John Fante che divenne improvvisamente il romanziere suggerito da Charles Bukowski. Questo perché le storie devono conservare l’urgenza di quella vita che non chiede il permesso per accadere.
«Incontro al vento» comincia con la storia di un bambino che cresce inizialmente in un mondo privo di amore, figlio di un padre omicida, in carcere, costretto a farsi valere fin da subito lottando coi bulletti del paese salentino in cui abita, tra gli anni Settanta e Ottanta, che sono stati una delle epoche peggiori per crescere, anche se chiunque oggi vorrebbe farvi credere il contrario. La vita del protagonista è segnata dall’incontro con l’eroina, ma c’è qualcosa di più. Tra la vita condizionata per venti anni dalle sostanze e il racconto, ci sono il disagio e l’inquietudine costanti, un senso di inadeguatezza e un costante bisogno di amore e vicinanza al prossimo, sempre disatteso. 
«Il mio era un disagio antico, ancestrale». Ci sono momenti in cui questo disagio, questo spaesamento, sembrano quasi essere le cause che fanno reagire il narratore, incapace di mantenere il passo con un tempo che sta accelerando lasciandolo indietro. Questa componente «ancestrale» altri non è che il mondo povero e contadino che si scontra con il «progresso» psichicamente indotto e iperaccelerato dalle sostanze stupefacenti. Qui non ci sono viaggi in India né roadtrip per ritrovare sé stessi. Anni Ottanta uguale eroina uguale criminalità, sembrerebbe essere così, ma qui c’è altro, c’è un elemento arcaico che poi si rivelerà essere, nell’attaccamento alla famiglia, all’amicizia, al sangue, un àncora di salvezza. 
Gli strumenti per descrivere questo disagio non hanno nulla a che spartire con la retorica, ecco perché «Incontro al vento» secondo me è un romanzo che dovrebbe far parte delle letture di chi scrive come un corso di fotografia analogica e sviluppo in camera oscura dovrebbe far parte del bagaglio di chi scatta foto col cellulare per postarle su Instagram, inclusi i presenti. Una sorta di proporzione matematica in cui la realtà della vita corrisponde al sogno edulcorato come questa narrazione sta a un qualunque narrativo artefatto.
Il disagio è quello di un bambino che a poco meno di sei anni viene ricoverato per una malattia polmonare in Germania e quando esce dall’ospedale si è dimenticato pure l’italiano. Un ragazzino che nei pomeriggi assolati salentini cerca di andare avanti, senza amore. Un carico psichico ed emotivo che nelle parole del narratore suona «abnorme», tanto è il dovere sopportare la situazione familiare. L’arrivo dell'adolescenza alimenta un desiderio di fuga, non solo dai luoghi, ma soprattutto da una stigmatizzazione che pesava sulle spalle del ragazzo, cresciuto in uno dei periodi più complicati e meno compresi della nostra storia recente. Giuseppe Fioschi scava nella memoria e presenta un romanzo-documento, un manifesto che dà forma e voce a un’emarginazione che prima ancora di essere l’emarginazione del tossicodipendente, è testimonianza dell’isolamento di chi si trova a essere suo malgrado figlio di un carcerato, condannato senza colpa, istigato a deragliare. 
Il confine con la legalità è fin da subito labile. In un dialogo di «Arancia meccanica», quando Alex fa la predica a Georgie Boy per metterlo in riga e evitare l’ammutinamento dei drughi, c’è una battuta che dice «a cosa ti servono i soldi, se vuoi una cosa la prendi». Così fa il protagonista con i suoi amici quando vuole partire per un viaggio e c’è bisogno di un’auto. «Il mondo è per gli uomini che osano, noi osiamo». Osare in questo caso è rubare una fiat 500 e partire.
Così «Incontro al vento» proseguendo nella lettura, si colloca su più livelli, quello autobiografico, quello sociale, quello storico. «Delinquente abituale e soggetto pericoloso», il giovane uomo fa presto la conoscenza delle carceri sparse nella regione. Lo stato di «confusione esistenziale totale» e la condizione di disagio esistenziale, il vuoto e la solitudine sono opprimenti. L’ormai uomo diviene ladro per avere ciò che non trova e per non pesare sulla famiglia, il bene materiale è cercato per riempire un vuoto esistenziale. Quello che risulta interessante è il taglio della narrazione che non indulge né ad autocommiserazione né a giudizi eticamente trasversali. Il protagonista sa che è possibile trovare una redenzione nella famiglia, l’unica speranza di donare il proprio amore in modo incondizionato si concretizza infatti con la nascita della figlia, che costituisce un raggio di sole in una vita dissennata. 
È importante questo sguardo sulla vita che prende le mosse da un’esperienza esemplare, che può assomigliare a tante altre per i modi, gli episodi, ma che è differente per un fondo di consapevolezza che offre il narrare in prima persona ciò che è stato. C’è tutto, descritto minuziosamente ma con rapidità, quasi che le cose accadessero davanti ai nostri occhi, gli inseguimenti, le fughe, le rapine, la latitanza, il carcere, quello militare durante il servizio di leva, poi quello che sopraggiunge dopo la contestazione di vari reati. Il termine «testimonianza» prevarica quello di semplice racconto autobiografico o di romanzo, perché qui è messa in scena la vita nei suoi aspetti più crudi e sinceri, sarebbe un peccato non cogliere il valore – di testimonianza per l’appunto – proveniente da un tempo è un territorio che sembrano oggi irriconoscibili. Era il Salento tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, e ci si chiede non tanto che fine abbia fatto, ma come e dove siano mutate certe cattive abitudini e quali direzioni abbia preso il crimine, più o meno organizzato. Il narratore, in nessun luogo, è in cerca di facile empatia con il lettore, il suo carattere raramente accetta i comandi dal malcapitato delle forze dell’ordine, è suscettibile di insubordinazione, non sopporta le autorità di turno. Questa è una lettura che divide il pubblico dei lettori in due parti, tra chi è venuto a conoscenza di fatti analoghi a quelli narrati tramite la cronaca giudiziaria e chi ne ha colto frammenti vissuti da conoscenti o per esperienza diretta. C’è un episodio emblematico che racconta di una perquisizione dei carabinieri in casa del protagonista, che si risolve con il rinvenimento di una busta di detersivo in polvere e con un nulla di fatto, mentre l’eroina nascosta in casa non viene trovata. L’eroina è la coprotagonista di cui si deve tenere conto per tutto il corso della narrazione. Così giungiamo alle soglie del nuovo millennio, ai primi mesi dell’anno Duemila, nei quali la condotta negativa del protagonista non conosce battute d’arresto. A un certo punto, quando il protagonista viene inseguito e si rifugia, per non essere ucciso, e viene ritrovato dagli stessi carabinieri, ha per la prima volta un moto di sollievo nell’incontrare i pubblici ufficiali, dopo aver visto la vita scorrergli davanti agli occhi in pochi secondi col terrore di essere trovato da qualche criminale messosi sulle sue tracce. È un momento del racconto in cui intuiamo che quel modo di condurre l’esistenza comincia a provocare riflessioni critiche nel protagonista, che vuole dismettere i panni dell’uomo che non vive senza l’ombra di un domani.
Adesso però credo che valga la pena sospendere il racconto dei particolari e proseguire da soli nella lettura di «Incontro al vento», in cui le due anime del protagonista, quella dannata e quella redenta, si intrecciano indissolubili. C’è infatti qui – è rimarcabile – il racconto di una giustizia che funziona, non troverete leggendo questo romanzo storie di latitanti che sono tali per più di qualche settimana, così come allo stesso modo non troverete il racconto di pene inflitte in modo ingiusto e senza motivazioni, o di tentativi riusciti di fughe rocambolesche dal carcere; semmai ci sono trasferimenti e notifiche di pena che giungono puntuali e ineluttabili. Quando le persone più care iniziano a mancare, la madre, il fratello, successivamente nelle battute finali la sorella, ciò che ci colpisce è lo strenuo attaccamento alla vita, anche quando non dichiarato in modo esplicito, del protagonista, che pure nel suo passato aveva un tentativo (o più?) di suicidio. Ed è come se questa vitalità disperata imprima un ritmo al narrare. La nascita della figlia, unita al desiderio di non fare pesare su di lei il suo passato, portano il protagonista a intraprendere un percorso di affrancamento dalle sostanze stupefacenti e a una condotta non più criminale. Si tratterà di un percorso che andrà di pari passo con l’interesse per la lettura e lo studio e i primi traguardi nell’istruzione, con l’avvicinamento allo strumento della scrittura. La vita del narratore grazie agli incontri con persone appartenenti a un ambiente differente muta, ma nel racconto ciò non è riportato in modo descrittivo, dall’esterno, per soddisfare un’equazione sociale che traduce il mutamento di passo con il mutamento di ambiente, il cambiamento è frutto di una scelta matura. 
È il desiderio di cambiare e vivere in modo consapevole che hanno portato il protagonista ad aprirsi a un mondo differente trovando una propria strada, grazie all’amicizia e alla scrittura, all’amore per la figlia. È così che anche la separazione e altre vicissitudini vengono vissute con uno spirito differente. Tra gli amici c’è il poeta Marcello, con cui nasce un rapporto di frequentazione duraturo, che testimonia sul termine del romanzo che il narratore è definitivamente transitato da una vita centrata sul proprio ego a una vita fatta di condivisione e altruismo, cui si aggiunge anche la costante ricerca di opportunità di lavoro e impegno (siamo arrivati alle soglie della Pandemia). Il lettore si accorge che però nulla è cambiato nel carattere del protagonista, caparbio e pervicace, ciò che è mutato è il desiderio di pensare l’altro, andare avanti, riuscire a non farsi e non fare più male.
Sembra quasi impossibile condensare cinquanta anni di vita in un romanzo, Giuseppe Fioschi ci riesce con diversi elementi messi sapientemente in equilibrio. Il primo è l’interesse suscitato nel lettore fin dalla prima pagina, raccontando con uno stile asciutto, come se in un journal di fatti salienti, senza fronzoli. Il secondo elemento saliente è la mancanza della volontà di insegnare una lezione, ma di restare in ascolto di sé stessi. Il narratore non invia messaggi né quando gli eventi e la condotta del protagonista sono tra i più tragici e criminali, né quando compare un barlume di speranza che la sua condotta le cose attorno a lui possano migliorare. Il personaggio di Fioschi è in cerca di un ritorno a sé e all’affetto perduto, ricercato, forse mai del tutto assaporato. Il terzo elemento è lo stile, diretto, che a volte trova proprio nel distacco della distanza una misura che viene presto colmata dalle considerazioni personali. Il tempo della scrittura offre lucidità di analisi, colma la vita di significato, «Sono vivo, perché leggo, lavoro, scrivo e amo!», sono le parole manifesto di «Incontro al vento», docufiction che scava con la scrittura nelle memorie e ricordi, in un vissuto amaro, con uno stile che non ha momenti di noia, in cui la materia oscura diviene bagliore di luce che può riaccendere la speranza dell’amore, lezione di stile data con misura, in una vita ha dato più di una lezione.
[Luciano Pagano]
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«Incontro al vento», Giuseppe Fioschi, spagine, 2022 prefazione di Silvia Cazzato, nota di lettura di Vito Antonio Conte, nota sull’autore di Mauro Marino
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luigi771 · 26 days
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Gli avevo scritto un e-mail chiedendogli aiuto a trovare un lavoro che si era creata la situazione delle porte chiuse in faccia.
E non mi risponde, ma rintraccia il mio numero di telefono fisso tramite i suoi Mezzi Tecnologia da Miliadaria.
E mi fa chiamare per vendere aspirapolveri a 200 km di distanza.
Poi verso il 2007 che avevo dei buoni in scadenza decido di aprire un conto corrente presso una Banca e inizio a fare Tradind online.
Ebbi forti guadagni con Expriria circa il 300 % anche con Olidata il 300 % con Beghelli il 100% con Ducati il 70 % e poi continuai ad operare fino al 2009 , ma mi sentivo SPIATO di quello che facevo con il Computer collegato con la linea Fissa analogica che la Miliardaria con i suoi “Mezzi Tecnologici aveva localizzato.
Fino ad arrivare al 2009 quando presi tutti i Guadagni , operavo con tutti i guadagni per pochi giorni o ore e poi uscivo dalle operazioni.
Un giorno presi tutto il Guadagno che si era accumulato ( un appartamento rifinito) e lo vado su “Viaggi del Ventaglio”
Dopo poche ore che ero andato a pranzare viene Sospeso dalla Borsa di Milano.
L’indomani il Titolo “Viaggi del Ventaglio “ è fallito e tutti i guadagni dal 2007 al 2009 svaniti anche con il mio Capitale Iniziale e non mi resta neanche 1 euro.
Che coincidenza.
E poi dopo questo che mi sento spiato e mi va tutto male non ho fatto niente.
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enkeynetwork · 2 months
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tumbletumula · 1 year
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Sofferma a disegnare l'oroscopo del futuro ? 1911 ??  Tema: EU futuro Thomo: invece del 2023
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Iliacos intra muros peccatur et extra e anche al di là del Reno non hanno saputo scuotere il giogo del ragionamento logico. Assaltando la Francia nell'agosto 1914, i tedeschi pensarono alla Francia nel 1870; e viceversa la Francia del 1914 era un'altra cosa militarmente, era politicamente. I fatti hanno smentito il ragionamento; dopo sedici mesi e più i tedeschi non hanno ancora ottenuto nulla di definitivo, di solido, quando invece nel 1870 dopo dodici mesi tutto era finito. L'Inghilterra del 1914 non era più l'Inghilterra del '70; Orgogliosa allora del suo splendido isolamento, era ora consapevole della sua necessaria solidarietà. Dal maggio 1915 l'Italia non era più quella del maggio 1914. La violata neutralità del Belgio, i metodi troppo rapidi e violenti avevano sconvolto la nostra psiche nei confronti del mondo germanico. Tutto cambia e cambia molto rapidamente in alcuni
I diplomatici del Quadruplo l'hanno dimenticato, quando i momenti, e l'uomo si sofferma a disegnare l'oroscopo del futuro - quello che sarà, il nuovo da quello che era, dal passato.
hanno reso la loro politica, ahimè, così infelice nei Balcani. L'anno 1911 era riuscito alla Russia a riunire quei po.
polacchi contro la Turchia; era possibile attuare una politica di concordia balcanica. E i suddetti diplomatici credevano, appena tre anni dopo, che l'uso dell'argomentazione analogica fosse legittimo, credevano fa.
difficile rifare ciò che era stato fatto tre o quattro anni prima. Ma con un risultato meravigliosamente negativo. La realtà ha mostrato che in soli quattro anni quei popoli non erano più quelli; non più anti-turco il Bul. Garia, i greci non sono più d'accordo come allora con la Serbia; forse identici a loro soli, i rumeni, desiderosi di raccogliere la ghirlanda
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JEALOUSY PARTY AT DIODRONE FESTIVAL X - DECADE
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2023/01/21 DioDrone Festival X - D E C A D E IGGOR CAVALERA JEALOUSY PARTY PETROLIO GABRIELE GASPAROTTI Teatro Della Limonaia Sesto Fiorentino Firenze - IT
We are happy to announce that Jealousy Party has been invited to participate in DioDrone Festival X - D E C A D E, celebrating ten years of activity of the florentine label DioDrone. We are particularly proud and happy about this because DioDrone is one of the very few collectives that continues to shake up the underground in a city we know well and where living is not easy. Jealousy Party for the occasion will be the original duo of Roberta WJM and Mat Pogo
DIO DRONE FESTIVAL X — D E C A D E —
ø IGGOR CAVALERA ø JEALOUSY PARTY ø PETROLIO ø GABRIELE GASPAROTTI _______________________
Teatro Della Limonaia Via Antonio Gramsci, 426 Sesto Fiorentino, Firenze h. 21:00
Limited seats, pre-sale recommended:
https://www.eventbrite.it/e/biglietti-dio-drone-festival-x-decade-469055436437 _______________________
DioDrone's press release reads as follows Dècade, dal latino scritto dēcadem, dieci.
'..In principio era il niente. Finché il niente prese coscienza di sé e per la prima volta sussurrò. Un debole ronzio, niente di più. Una bassa frequenza, impercettibile ma continua. Permanente ed eterna. Immobile e dinamica al contempo. Un sussurro vivo e profondo, come quello che attribuiresti a un dio.
Poi anche il sussurro si accorse di essere una voce e scelse di parlare, pur non conoscendo alcun vocabolo. La sua voce fu quindi un suono, inconsapevole e azzardato ma forte da scuotere il vuoto che lo circondava, spezzando un silenzio antico e primordiale. E il vuoto andò in frantumi, ed i suoi piccoli pezzi caddero per sempre fino ad essere così tanti da formare una superficie sospesa nell’oscurità. E sotto questo asfalto le vibrazioni del suono generarono un magma scuro e denso che col tempo prese forza, fino a trovare il coraggio di farsi strada ed arrampicarsi tra le crepe del cemento, alzare lo sguardo al tutto circostante e gridare al freddo buio ‘..IO SONO DIO DRONE..’.
Sembra l’altro ieri ma è accaduto 10 anni fa. Dio Drone festeggia il decimo compleanno con una serata d’eccezione che vede sul palco amici stretti e stimatissime entità del panorama internazionale.
DIO DRONE FESTIVAL X — D E C A D E —
ø IGGOR CAVALERA ø JEALOUSY PARTY ø PETROLIO ø GABRIELE GASPAROTTI
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Teatro Della Limonaia Via Antonio Gramsci, 426 Sesto Fiorentino, Firenze h. 21:00
Posti limitati, si consiglia la prevendita: https://www.eventbrite.it/.../biglietti-dio-drone... _______________________
In collaborazione con La Chute, Nude Guitars, Dire Graft, The Joshua Tree Pub & Power Rent.
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øøø Iggor Cavalera Un nome che non ha bisogno di presentazioni. Una personalità leggendaria della storia del mondo sonoro [Sepultura, Petbrick, MIXHELL, Cavalera Conspiracy] che, da sempre attento all'underground internazionale, dominerà il festival con un inedito set solista per la prima volta in Italia tra elettronica sperimentale e drone.
øøø JEALOUSY PARTY Roberta Wjm & Mat Pogo, due storici pionieri nostrani della più estrema forma di astrazione R&B, dalle venature noise, funk e avant rock. Un condensato riassumibile nel loro personalissimo stile ribattezzato Punca. Dalle nebbie berlinesi alla nostra capitale del baccano.
øøø Petrolio Moniker dietro cui si cela l'oscura personalità di Enrico Cerrato, che attraverso il rumore e le proprie gelide timbriche sintetiche riesce a trasmettere la forza dirompente del nerissimo magma metropolitano che ci scorre sotto i piedi, sotto le strade e sotto la pelle.
øøø Gabriele Gasparotti Prodigio toscano e true sperimentatore, Gasparotti riesce ad essere avanguardistico e antico allo stesso tempo. armato di strumentazione analogica iconica e circondato da una teatralità innata che sfocia nella celluloide, accompagnato al violoncello da Benedetta Dazzi ci porterà per mano in un onirico percorso fatto di tarocchi e suggestioni dadaiste.
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artwork: Coito Negato
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schizografia · 2 years
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Civilizzazione o militarizzazione della scienza?
Se la verità è ciò che è verificabile, la verità della scienza contemporanea è, più che l’ampiezza di un progresso, quella delle catastrofi tecniche da essa provocate.
Trascinata per circa mezzo secolo nella corsa agli armamenti dell’era della dissuasione tra Est e Ovest, la scienza si è evoluta unicamente nella prospettiva della ricerca di performance limite, a scapito della scoperta di una verità coerente e utile all’umanità.
Divenuta progressivamente TECNO-SCIENZA, prodotto della confusione fatale tra strumento operativo e ricerca esplorativa, la scienza moderna si è separata dai suoi fondamenti filosofici e si è sviata, senza che nessuno fosse contrariato per questo, a eccezione di alcuni responsabili ecologici o religiosi.
Di fatto, se “l’esperienza del pensiero” è all’origine delle scienze sperimentali, come non notare oggi il declino di questa procedura mentale e analogica, a vantaggio di procedure strumentali e digitali capaci, si dice, di stimolare il sapere?
Realtà operativa dello strumento tecnico, verità risolutiva del pensiero scientifico, due aspetti fondamentalmente distinti della conoscenza che tuttavia si sono appena fusi, senza che nessuno sembrasse allarmarsene.
Meno attaccata alla “verità” come un tempo, che all’“efficacia” immediata, la scienza va ormai alla deriva, verso il proprio declino, la propria decadenza civica… Fenomeno panico dissimulato dal successo dei suoi apparecchi, dei suoi attrezzi, la scienza contemporanea si perde nell’eccesso dei suoi presunti progressi. Un po’ come l’offensiva strategica si esaurisce nell’estensione delle sue conquiste tattiche, la tecnoscienza distrugge via via le sapienti risorse di ogni conoscenza.
Come uno sport olimpico in cui i prodotti eccitanti e altri anabolizzanti rovinano il senso dello sforzo degli atleti con l’abuso della farmacopea, la scienza dell’estremo si allontana dalla sua paziente ricerca della realtà per partecipare a un fenomeno di virtualizzazione generalizzata.
Dopo essere stata trascinata suo malgrado nella corsa alla morte planetaria con l’“equilibrio del terrore”, la scienza “postmoderna” si avventura ormai in un nuovo tipo di competizione altrettanto delirante: una corsa alle performance limite nei campi della robotica o del genio genetico, la quale trascina a sua volta i differenti saperi verso un “estremismo postscientifico” che li esilia definitivamente dalla ragione.
Ambito rigoroso alimentato da avventure intellettuali, la scienza s’impantana oggi in un avventurismo tecnologico che la snatura. “Scienza dell’eccesso”, dell’esagerazione, scienza limite o limite della scienza?
Lo sanno tutti, se ciò che è eccessivo è insignificante, “una scienza senza coscienza non è altro che distruzione dell’anima” e una tecnoscienza che non abbia coscienza della sua prossima fine non è altro che uno sport che non sa di essere tale!
“Sport dell’estremo”, quelli in cui si rischia deliberatamente la morte, col pretesto di realizzare una performance record.
“Scienza dell’estremo”, quella che assume il rischio incalcolabile della sparizione di ogni scienza. Fenomeno tragico di una conoscenza diventata improvvisamente CIBERNETICA, questa tecnoscienza diviene allora, in quanto tecnocultura di massa, l’agente non dell’accelerazione della Storia come era ancora non molto tempo fa, ma della vertigine dell’accelerazione della realtà, e ciò a scapito di ogni verosimiglianza!
Solo alcuni secoli dopo essere stata, con Copernico e Galileo, scienza dell’apparizione di una verità relativa, la ricerca tecnoscientifica diventa ormai una scienza della sparizione di questa verità, grazie all’avvento di un sapere cibernetico più che enciclopedico, il quale nega ogni realtà oggettiva.
Così, dopo aver ampiamente contribuito ad accelerare i diversi mezzi di rappresentazione del mondo, con l’ottica, l’elettroottica, fino alla recente realizzazione dello spazio della realtà virtuale, le scienze contemporanee s’impegnano a contrario nell’eclissi del reale, nell’estetica della sparizione scientifica.
Scienza della verosimiglianza ancora legata alla scoperta di una verità relativa? Oppure scienza dell’inverosimiglianza, impegnata oggi nella ricerca e nello sviluppo di una realtà virtuale aumentata? È questa l’alternativa proposta.
Di fatto, l’unico orizzonte scientifico è l’autenticità, il rigore sperimentale dei ricercatori e si conoscono, ahimè, gli abusi mediatici che circondano certe “scoperte”, il carattere pubblicitario del lancio prematuro dei risultati di questa o quell’esperienza, mentre si tratta solamente di una procedura di condizionamento dell’opinione pubblica da parte di una scienza estremista, la quale è interessata meno alla verità che all’effetto prodotto dall’annuncio di una trovata e non s’interessa più, come accadeva fino a poco tempo fa, a un’autentica scoperta utile al bene comune.
Per illustrare queste parole disincantate, sembra opportuno denunciare la confusione accuratamente mantenuta tra lo scienziato e il campione, l’avventuriero che si spinge con violenza all’estremo dei propri limiti fisici e l’uomo di laboratorio che si avventura invece fino ai limiti etici, colui che prova l’esaltazione di mettere in gioco, più che la propria morte, quella del genere umano!
Paul Virilio
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ideeperscrittori · 3 years
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FACEBOOK E PILLON Facebook per me è uno sfogatoio. Non mi illudo neanche per un secondo di cambiare cambiare le cose lì dentro. In questi anni ho osservato certi fenomeni inquietanti e ho maturato una convinzione: Facebook è concepito per gente come Pillon. Sapete cosa capita di solito? Pillon, come avrete notato, è uno che scrive post a dir poco deliranti. Certe sue frasi sono così disumane, sbagliate, illogiche e aberranti che ti strappano la voglia di commentare per far notare al tristo figuro tutte le sue nefandezze concettuali. E infatti accade proprio questo: una miriade di persone si riversa sulla sua pagina e sente il bisogno di correggergli anche le virgole. È una cosa comprensibile. È un impulso umano. Coloro che intervengono, non di rado, aggiungono pure le arcinote "reaction", come la faccina che ride o la faccina arrabbiata. Il Social Network intanto osserva la situazione. Dovete pensare a Facebook come a vampiro che si nutre di interazioni. Di fronte a un fantastilione di commenti, il vampiro non spreca del tempo in complesse riflessioni sul motivo di siffatti interventi. Il suo primo pensiero è il seguente: "E bravo Pillon! Sei riuscito a tenere la gente incollata al display di uno smartphone. E ora io sono pronto a premiarti, perché sono il sommo sacerdote della visibilità, perché sono l'elergitore di quarti d'ora di celebrità che diventano ore, giorni o addirittura anni". I commenti sono un po' come i soldi: quando sono tanti la vita ti sorride, tutto va bene, e non ti fai troppe domande sulla loro provenienza. Non è forse così, Signor Facebook? Il nostro amico Social Network vede il diluvio di interazioni e con quei suoi occhietti famellici pensa: "Wow, Pillon (a differenza degli sfigati tipo L'Ideota) è davvero uno che sa coinvolgere la gente. Diamo una potente spinta al suo post". E ora parliamo delle faccine che ridono e di quelle arrabbiate. La corretta interpretazione del significato di queste faccine richiede competenze nella comunicazione analogica, un campo in cui si raggiungono livelli di sottigliezza inauditi, e le intelligenze artificiali non sanno ancora come destreggiarsi in questo cimento (o forse non sono interessate a farlo). Cos'è una faccina che ride? Sotto una battuta si tratta senz'altro di una carezzina all'ego del cazzaro di turno (e mi inserisco volentieri in questa schiera). Sotto un post di Pillon spesso è uno sbrigativo commento beffardo. Cos'è una faccina arrabbiata? Sotto un post di denuncia è la condivisione dello stato d'animo furente di chi l'ha scritto. Significa: "Sono d'accordo con te. Provo la tua stessa indignazione". Sotto un post di Pillon spesso è rabbia per ciò che il suddetto ha esternato a spregio del buon senso. A Facebook frega qualcosa di queste distizioni? Ovviamente no. Il primo comandamento è: tutto fa brodo. Facebook è un semplice contatore di faccine. Quando ne vede migliaia concede a Pillon una bella pacca sulla spalla e un carico di punti-visibilità. Le faccine, del resto, sono state create apposta per aumentare le interazioni sotto i post. Possiamo fare altri esempi. Chi è affranto per la morte di qualcuno e scrive un post sul tragico evento non riceve like (che sono fuori luogo, perché sembrano approvazione per la drammatica scomparsa) ma "abbracci". Chi ha fretta e non trova mai le parole per le condoglianze può cavarsela così. Nel caso di Pillon le facccine favoriscono una proliferazione di interazioni sui suoi post. Quando l'unica reaction era il like, gli oppositori di Pillon evitavano con cura di cliccare sull'iconico pollice. Ma ora esistono anche le faccine che ridono e quelle arrabbiate, quindi c'è spazio per tutti. Ora magari volete dirmi che in realtà Facebook non è più un bel posto per quelli come Pillon, perché Trump e certi fascisti ultimamente sono stati banditi dalla piattaforma. Volete dirmi che le interazioni non sono tutto per il nostro caro amico Social Network. Ma non è proprio così. La verità è che per Facebook le interazioni sono importanti, ma solo quando possono essere convertite in denaro.
Come fa i soldi Facebook?
Grazie agli investimenti pubblicitari, condizionati anche dalle pressioni dell'opinione pubblica. Su Youtube è accaduto qualcosa di simile. Taluni hanno detto "non voglio la mia pubblicità in video suprematisti" e Youtube è intervenuto. La sensibilità non c'entra. Youtube censura pure le parolacce, persino quelle a fin di bene, per far dormire sonni tranquilli alla Disney. Tuttavia puoi stare stai tranquillo, onorevole Pillon. Facebook è ancora il posto giusto per te. Sono sicuro che con l'aiuto di un buon social media manager saprai trovare le parole per esprimere concetti vomitevoli ed essere sommerso di commenti e faccine senza imbatterti in censure e ban. Detto ciò, a chi (come me) odia Pillon voglio dare questo consiglio; non intervenite sulla sua pagina e non condividete i suoi post. Io di solito faccio uno screenshot, quando voglio sfogarmi. E lo faccio solo per il benessere del mio fegato, perché lì, su Facebook, non si cambia il mondo. Forse il mondo si cambia ancora alla vecchia maniera, in piazza, dove c'è la polizia che spara i lacrimogeni.
— L'Ideota
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gcorvetti · 1 year
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Mai arrendersi.
Waters ha risposto su Twitter, metto lo screen in fondo, come dice sempre da anni e noi che lo seguiamo da anni sappiamo che questo è un attacco, ma lui continua la sua lotta contro le ingiustizie, io faccio quello che posso nel mio piccolo. Stamane ho ricevuto una risposta ad un post e discussione a seguito che avevo messo qualche giorno fa sul vino, l'Irlanda metterà sulle bottiglie di vino l'etichetta "nuoce gravemente alla salute"; un mio contatto di Milano mi racconta che suo nipote ha fatto il corso di enologo e varie cose su suo nipote che a me onestamente non fregano, ma la tipa è gentile e non mi andava di mandarla a fanculo così, non lo merita, allora le ho spiegato che probabilmente al corso non spiegano il fattore etanolo come un veleno potente e che dovrebbe chiedere a lui non a me, io posso darti le info per quelle che trovo online, anche perché sembra che le persone non sappiano fare ricerche su Google bah; poi le ho postato un video che avevo già messo qualche settimana fa e un link sull'etanolo di wikipiede. Non ci sono notizie eclatanti, almeno non come ieri.
Ho fatto un sogno strano, ma non lo ricordo ho qualche flash. La casa cantoniera all'angolo dell'abitazione dove ho passato 4 anni ad Aci Trezza, nel sogno, era diventata un ristorante; ero con una tipa che poi mi ha fatto incazzare ma non ho capito il perché, volevo prendere l'autobus con la bicicletta, ma mentre cercavo di infilarla dentro l'autista mi ha detto che non c'era più posto ma in spagnolo, poi becco la tipa che voleva prendere lo stesso bus ma le ho detto che non c'era posto, allora lei mi dice parliamo mentre aspettiamo il prossimo, il bus non era cittadino ma penso a lunga percorrenza, mentre cercavamo un posto dove sederci per parlare mi squilla il telefono, qua la parte più inquietante, al telefono c'era mio nonno (deceduto a metà anni 90) che mi diceva che non riusciva a prendere l'aereo e che stava andando a Castellammare di Stabia, ne sono sicuro la voce era la sua, cosa c'entra mio nonno? Mi voleva molto bene e io ne volevo a lui, come tutti i nonni, ma c'è già stato un episodio simile qualche mese dopo che morì, praticamente lo sognai che mi chiedeva un bicchier d'acqua che aveva sete, mi svegliai e in cucina c'erano mia madre e mia cugina e raccontai loro il sogno, in un primo momento mi chiesero se aveva detto qualche numero, e li mi corrugai tutto e dissi tipo "No ma che cazzo c'entra", poi andarono al cimitero e i fiori erano senz'acqua. Adesso non sono il tipo che pensa che mio nonno per quando mi volesse bene mi è sempre stato appiccicato, con tutti i nipoti che aveva, mi farebbe piacere sapere che è qua con me, anzi se potessi parlargli almeno una volta ancora sarebbe fantastico, ma se nel sogno di 25 e passa anni fa mi chiedeva l'acqua e aveva un senso, adesso cosa mi vuole dire?
Difficile decifrare un sogno che per quanto strano ha qualche elemento che si collega con la realtà, ho sempre pensato che i sogni sono metà immaginazione come un gioco che la nostra mente crea per confondere gli elementi della realtà e non farci impaurire ma farci vedere cosa sta accadendo o almeno quello che potrebbe accadere in proiezione al periodo che viviamo, è inutile che lo chiedo a Freud lui mi direbbe :"Non scopi abbastanza", che però cazzo sto giro ha ragione :/
Meglio non pensarci, metto la risposta di Roger e chiudo tutto. P.S. Ieri la prima giornata analogica è andata benissimo.
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Vai Roger sono con te.
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levysoft · 3 years
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Benvenuti! In questo post daremo uno sguardo, carattere per carattere, al codice sorgente del vaccino a mRNA BioNTech/Pfizer contro il SARS-CoV-2.
Ora, questi termini potrebbero sembrare in contrasto - il vaccino è un liquido, che viene iniettato nel braccio. Come si può parlare di codice sorgente?
Questa è una buona domanda, e quindi cominciamo con una piccola parte del codice sorgente del vaccino BioNTech/Pfizer, anche noto come BNT162b2, anche noto come Tozinameran, anche noto come Comirnaty.
Nel cuore del vaccino mRNA BNT162b2 c'è questo codice digitale. E' lungo 4284 caratteri e potrebbe entrare in una trentina di tweet. Proprio all'inizio del processo di produzione, qualcuno ha caricato questo codice in una stampante a DNA (eh, già!), che ha convertito i byte sul disco in vere molecole di DNA.
Da una simile macchina escono piccole quantità di DNA, che dopo molti passaggi chimici e biologici diventano RNA (su cui diremo fra poco) in una fiala del vaccino. Una dose di 30 microgrammi contiene appunto 30 microgrammi di RNA. In aggiunta, c'è un ingegnoso sistema di impacchettamento con lipidi (grassi), che porta il mRNA fin dentro le nostre cellule.
Il RNA è la versione volatile, la "memoria di lavoro" del DNA. Il DNA è un po' il disco a stato solido delle scienze biologiche. Il DNA è molto robusto, internamente ridondante, e molto affidabile. Ma proprio come i computer non eseguono codice direttamente da un disco a stato solido, prima che succeda una qualunque cosa, il codice viene copiato su un altro supporto, più versatile e tuttavia molto più fragile.
Per i computer si tratta della RAM; per le scienze biologiche, è il RNA. La somiglianza è stupefacente. A differenza della memoria a stato solido la RAM si degrada molto in fretta a meno che non sia amorevolmente accudita. E la ragione per la quale il vaccino a mRNA di Pfizer-BioNTech deve essere mantenuto nel più potente dei congelatori è la stessa: il RNA è un fiore delicato.
Ogni carattere del RNA pesa nell'ordine di 0.53x10-21 grammi, il che significa che in una singola dose da 30 microgrammi ci sono 6x10+16 caratteri. Espresso in byte questo viene a significare approssimativamente 25 petabyte, anche se va detto che si tratta in realtà di circa 2000 miliardi di ripetizioni dei medesimi 4284 caratteri. L'effettivo contenuto del vaccino in termini di informazione è appena sopra un kilobyte. Il virus SARS-CoV-2 stesso pesa circa 7.5 kilobyte.
Appena un pochino di background
Il DNA è un codice digitale. A differenza dei computer che usano 0 e 1, la vita usa A, C, G e U (o T), detti "nucleotidi", "nucleosidi", o "basi".
Nei computer immagazziniamo gli 0 e gli 1 come presenza od assenza di una carica, o sotto forma di corrente, come transizione magnetica, o come potenziale elettrico, o ancora come una variazione di riflettività. In breve, gli 0 e gli 1 non sono concetti astratti, bensì vivono come elettroni o come altre manifestazioni fisiche.
In natura, A, C, G e U/T sono molecole, immagazzinate come catene nel DNA (o nel RNA).
Nei computer raggruppiamo 8 bit in un byte, e il byte è la tipica unità di dati che viene elaborata.
La Natura raggruppa tre nucleotidi in un codone, e il codone è la tipica unità che prende parte all'elaborazione. Un codone contiene 6 bit di informazione (2 bit per ogni base del DNA, 3 basi = 6 bit. Questo significa che ogni codone può avere 2^6 = 64 valori diversi).
Fin qui siamo piuttosto digitali. In caso di dubbi, consultate il documento del WHO con i codici digitali che potete leggere da soli.
Un po' di letture aggiuntive sono disponibili qui; questo link ("Cos'è la vita") potrebbe aiutare a farsi una idea del resto di questa pagina. O, se preferite il video, ho due ore per voi.
Quindi, cosa FA questo codice?
L'idea dietro il vaccino è di insegnare al nostro sistema immunitario come combattere con un patogeno, senza però ammalarci veramente. Storicamente questo è stato fatto iniettando un virus indebolito o neutralizzato (attenuato), più un adiuvante che spingesse il nostro sistema immunitario all'azione. Questa era una tecnica decisamente analogica, e implicava miliardi di uova (o di insetti). Richiedeva anche un sacco di fortuna e molto di tempo. A volte, veniva usato anche un virus diverso (non collegato).
Un vaccino a mRNA ottiene lo stesso risultato ("informare il nostro sistema immunitario") ma con una precisione laser. E intendo questo in entrambi i sensi: molto preciso ma anche molto potente.
Ed ecco qui come funziona. L'iniezione contiene materiale genetico volatile, che descrive la famosa proteina "Spike" del SARS-CoV-2. Attraverso ingegnosi metodi chimici il vaccino riesce a introdurre questo materiale genetico all'interno di alcune delle nostre cellule.
Queste perciò iniziano obbedienti a produrre proteine Spike SARS-CoV-2 in quantità grandi abbastanza da fare scattare in azione il nostro sistema immunitario. Trovandosi davanti a queste proteine Spike e (importante) a segni che le cellule sono state invase, il sistema immunitario sviluppa una risposta massiccia contro diversi aspetti delle proteine Spike e contro il loro processo produttivo.
E questo è ciò che ci dà un vaccino efficiente al 95%.
Il codice sorgente!
Iniziamo proprio dall'inizio, un buon posto per cominciare. Il documento del WHO presenta questa istruttiva immagine:
Questa è una sorta di indice. Inizieremo con il "Cap", che è rappresentato con un piccolo cappello.
Proprio come non si può sbattere dei codici operativi in un file di computer e aspettarsi che funzionino, il sistema operativo biologico ha bisogno di intestazioni, linker e altre cose del tutto simili alle convenzioni di chiamata.
Il codice del vaccino inizia con questi due nucleotidi:
GA
Questo può essere paragonato molto bene a qualunque eseguibile DOS o Windows che iniziano per MZ, o gli script Unix, che iniziano con #!. Sia nei processi biologici che nei sistemi operativi, questi due caratteri non sono eseguiti in alcun modo. Ma devono esserci, altrimenti nulla accade.
Il "cappello" del mRNA ha una serie di funzioni. Prima di tutto marca quel codice come di provenienza dal nucleo. Nel nostro caso naturalmente non è così, e il nostro codice viene da una vaccinazione. Ma non è necessario che lo diciamo alla cellula. Il "cappello" rende il nostro codice legittimo, e questo lo protegge dalla distruzione.
I due nucleotidi GA iniziali sono anche chimicamente un po' diversi dal resto del RNA. In questo senso, la sequenza GA contiene un po' di informazione fuori banda.
La "regione non tradotta cinque primo"
Qui serve un po' di gergo. Le molecole del RNA possono essere lette soltanto in un verso, e per confondere le cose, l'estremità dove comincia la lettura è chiamata "5'", o "cinque primo". La lettura termina all'estremità "3'" o "tre primo".
Qui abbiamo la regione non tradotta ("UTR"), cioè la parte che non finisce nella proteina
GAAΨAAACΨAGΨAΨΨCΨΨCΨGGΨCCCCACAGACΨCAGAGAGAACCCGCCACC
E qui incontriamo la prima sorpresa. I normali caratteri del RNA sono A, C, G e U. U è la molecola che nel DNA corrisponde a "T". Ma qui troviamo un Ψ: che succede?
Questo è uno dei punti estremamente ingegnosi di questo vaccino. Il nostro corpo utilizza un potente antivirus (l'originale!). Per questo motivo, le cellule sono estremamente poco amichevoli verso del RNA estraneo, e si impegnano molto per distruggerlo prima che riesca a fare qualsiasi cosa.
Questo è un po' un problema, per il nostro vaccino, che deve infiltrarsi oltrepassando il sistema immunitario. Ma dopo molti anni di esperimenti si è scoperto che se la U nell'RNA viene sostituita con una molecola diversa, il nostro sistema immunitario perde interesse. Completamente.
E così nel vaccino BioNTech/Pfizer, ogni molecola di uracile U è stata sostituita con una molecola di 1-metil-3'-pseudouridina, indicata con Ψ. E la parte ingegnosa è che anche se questa Ψ sostituita calma il nostro sistema immunitario, le parti chiave della cellula la continuano a considerare come una normale U.
Anche in sicurezza informatica conosciamo bene questo trucco: a volte è possibile inviare una versione leggermente alterata di un messaggio, che confonde i firewall e le soluzioni di sicurezza, ma che è lo stesso accettata come valida dai server che vi stanno dietro, e che in questo modo possono venire hackerati.
Oggi raccogliamo i benefici di una ricerca scientifica fondamentale svoltasi negli ultimi anni. Gli scopritori della tecnica Ψ hanno dovuto combattere, per ottenere i fondi per il loro progetto, e poi per farlo accettare. Dovremmo tutti essere loro molto grati, e credo che a tempo debito arriveranno anche i premi Nobel.
Molte persone hanno chiesto, potrebbero dei virus usare la stessa tecnica Ψ per ingannare il nostro sistema immunitario? In breve, la cosa è tremendamente improbabile. La vita non possiede il meccanismo per produrre nucleotidi di 1-metil-3'-pseudouridina. I virus usano i meccanismi della vita per riprodursi, e questo meccanismo semplicemente non è presente. I vaccini a mRNA si degradano molto in fretta, nel corpo umano, e non c'è possibilità che il RNA con Ψ sostituita si possa replicare senza perdere le Ψ. Una buona lettura è anche, "Sul serio, i vaccini a mRNA non influenzeranno il vostro DNA".
Okay, torniamo alla sequenza 5' UTR. Cosa fanno questi 51 caratteri? Come tutto in natura anche questa non ha una sola, ben definita funzione.
Quando le nostre cellule hanno bisogno di tradurre il RNA in proteine, questo viene fatto usando un meccanismo chiamato ribosoma. Il ribosoma è come una stampante 3D per proteine. Legge un filamento di RNA, e basandosi su di esso produce una sequenza di aminoacidi, che poi si ripiegheranno su loro stessi a formare una proteina.
Source: [Wikipedia utente Bensaccount](https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Protein_translation.gif)
Questo è quello che vediamo succedere sopra. Il nastro nero in basso è l'RNA. E il nastro che appare nella zona verde è la proteina che viene fabbricata. Le cose che svolazzano in qua e in là sono gli aminoacidi, con i necessari adattatori per farli incastrare nel RNA.
Il ribosoma ha bisogno di essere fisicamente a contatto con il filamento di RNA per poter funzionare. Una volta che ci si è adattato sopra, può iniziare a formare proteine, basate sull'ulteriore RNA che entra. Da questo, potete immaginare che il ribosoma non è in grado di leggere la zona di RNA su cui si appoggia per prima. Questa è una delle funzioni della regione UTR: è la zona di atterraggio per il ribosoma. La UTR fornisce un "avvio".
Oltre a questo, la UTR fornisce dei metadati: quando dovrebbe iniziare la traduzione? E a che velocità? Per il vaccino, è stata presa la regione UTR più "Prima possibile" che si è trovata, presa dal gene per l'alfa globina. Questo gene è noto per produrre in modo molto robusto una quantità di proteine. Negli anni passati altri scienziati avevano già trovato il modo di ottimizzare ancora di più questa UTR (così dice il documento del WHO), perciò, questa non è esattamente la UTR dell'alfa globina. E' meglio.
Il peptide di segnalazione della glicoproteina S
Come si è detto, lo scopo del vaccino è indurre la cellula a produrre grossi quantitativi di proteina Spike del SARS-CoV-2. Fino a questo punto, abbiamo incontrato solo metadati e "convenzioni di chiamata" nel codice sorgente del vaccino. Ma ora entriamo nel territorio della vera proteina virale.
Abbiamo però un ultimo strato di metadati da esaminare. Quando il ribosoma (come mostrato dalla splendida animazione precedente) ha prodotto una proteina, quella proteina deve poi andare da qualche parte. Questo è codificato con la "sequenza di avvio estesa del peptide di segnalazione della glicoproteina S".
Per visualizzare questa cosa, immaginiamo che all'inizio della proteina ci sia una etichetta di qualche tipo, codificata come parte della proteina medesima. In questo caso specifico, il peptide di segnalazione dice che questa proteina deve uscire dalla cellula attraverso "il reticolo endoplasmatico". Perfino il gergo di Star Trek non arriva a tanto!
Il "peptide di segnalazione" non è molto lungo: però, quando guardiamo il codice troviamo delle differenze fra il RNA del virus e quello del vaccino.
(Notate che per semplificare la comparazione, ho sostituito le Ψ modificate con ordinarie U del RNA):
          3   3   3   3   3   3   3   3   3   3   3   3   3   3   3   3 Virus:   AUG UUU GUU UUU CUU GUU UUA UUG CCA CUA GUC UCU AGU CAG UGU GUU Vaccine: AUG UUC GUG UUC CUG GUG CUG CUG CCU CUG GUG UCC AGC CAG UGU GUG               !   !   !   !   ! ! ! !     !   !   !   !   !            
Che cosa sta succedendo, qui? Non ho diviso il RNA in gruppi di tre lettere per caso. Tre lettere di RNA formano un codone. E ogni codone codifica per uno specifico aminoacido. Il peptide di segnalazione nel vaccino consiste esattamente nei medesimi aminoacidi che sono codificati dal virus.
E allora come è possibile che il RNA sia diverso?
Ci sono 4^3 = 64 codoni differenti, dato che ci sono 4 caratteri nel RNA e ci sono tre di essi in ogni codone. Però, ci sono soltanto 20 aminoacidi diversi possibili. Questo vuole dire che più di un codone codifica per lo stesso aminoacido.
La vita utilizza la seguente tabella quasi universale per trasformare i codoni del RNA in aminoacidi:
The RNA codon table (Wikipedia)
Usando questa tabella vediamo che le modifiche al vaccino (es. UUU –> UUC) sono tutte di tipo sinonimico. Il codice del RNA vaccinale è diverso, ma codifica gli stessi aminoacidi e perciò produce le medesime proteine.
Se osserviamo con attenzione, notiamo che la maggioranza dei cambiamenti avviene in terza posizione nel codone, sopra annotata con un "3". E se guardiamo la tabella universale dei codoni, vediamo che in effetti spesso questa terza posizione è irrilevante ai fini di che aminoacido viene prodotto.
Quindi, i cambiamenti sono sinonimici… ma allora perché sono lì? Guardando attentamente vediamo che tutti i cambiamenti, tranne uno, aumentano il numero di C e G.
Perché uno vorrebbe fare questo? Come si diceva prima, il nostro sistema immunitario vede di pessimo occhio un RNA "esogeno", codice RNA che arriva dal di fuori della cellula. Per sfuggire al controllo, le U nell'RNA sono già state sostituite da Ψ.
Tuttavia, risulta che un RNA con maggiori percentuali di G e C viene anche convertito con maggior efficienza in proteine.
E questo è stato ottenuto nel RNA del vaccino sostituendo altri caratteri con G e C tutte le volte che ciò è stato possibile.
Sono intrigato dall'unica modifica che non ha portato ad una ulteriore C o G, la modifica da CCA a CCU. Se qualcuno ne conosce la ragione, per favore, informatemene! Notate che so che alcuni codoni sono più comuni di altri nel genoma umano, ma ho anche letto che questo non influenza granché la velocità di traduzione.
La proteina Spike vera e propria
Anche i successivi 3777 caratteri del RNA del vaccino sono ottimizzati per aggiungere più C e G possibile. Per motivi di spazio non elencherò qui tutto il codice, e mi concentrerò su un pezzetto particolarmente speciale. Questo è il pezzetto che fa funzionare tutto, la parte che ci aiuterà a tornare a una vita normale:
                 *   *          L   D   K   V   E   A   E   V   Q   I   D   R   L   I   T   G Virus:   CUU GAC AAA GUU GAG GCU GAA GUG CAA AUU GAU AGG UUG AUC ACA GGC Vaccine: CUG GAC CCU CCU GAG GCC GAG GUG CAG AUC GAC AGA CUG AUC ACA GGC          L   D   P   P   E   A   E   V   Q   I   D   R   L   I   T   G           !     !!! !!        !   !       !   !   !   ! !              
Qui vediamo i soliti cambiamenti di sinonimizzazione del RNA. Per esempio il primo codone CUU è stato cambiato in CUG. Questo aggiunge una G, che sappiamo aumentare la velocità di produzione delle proteine. Sia CUU che CUG codificano per l'aminoacido 'L', o Leucina, di conseguenza nella proteina nulla cambia.
Quando esaminiamo la proteina Spike nel vaccino e nel virus, tutti i cambiamenti sono dei sinonimi come questo… tranne due. E questi due li troviamo qui.
Il terzo e quarto codone, sopra, rappresentano modifiche nel codice. Gli aminoacidi K e V sono entrambi sostituiti da 'P', ossia Prolina. Per la 'K', ciò richiede tre cambiamenti, indicati con !!!, e per la 'V' ne ha richiesti due ('!!').
E scopriamo che sono questi due cambiamenti a rendere il vaccino davvero efficace.
Cosa è successo? Se guardiamo una vera particella di SARS-CoV-2 vediamo la proteina Spike sotto forma di una serie di punte (spike, appunto):
SARS virus particles (Wikipedia)
Le punte sono montate sul "corpo" virale (la "proteina nucleocapside"). Ma il fatto è che il nostro vaccino produce solo la proteina, e non la monta proprio su nessun corpo.
E se si lasciasse tale e quale, la proteina Spike libera collasserebbe su se stessa, fino a formare una struttura diversa. Se iniettassimo il vaccino con una sequenza intatta, ciò farebbe sì che il nostro corpo sviluppasse immunità, sì… ma alla proteina collassata.
E il virus SARS-CoV-2 si presenta con la proteina dritta. Il vaccino non funzionerebbe un granché, in quel caso.
E allora cosa si fa? Nel 2017, è stato descritto come la sostituzione con un doppio ponte di Prolina nel punto giusto avrebbe reso le proteine S del SARS-CoV-1 e della MERS rigide come nella loro configurazione "pre-fusione", anche senza essere collegate al vero virus. Questo perché la Prolina è un aminoacido dalla struttura molto rigida. Funge da stecca, e stabilizza la proteina nello stato che dobbiamo far riconoscere al sistema immunitario.
Le persone che hanno scoperto questo dovrebbero andare in giro dandosi il cinque a palla. Dovrebbero emanare quantità insopportabili di compiacimento. E ne avrebbero il diritto.
Aggiornamento. Sono stato contattato dal Laboratorio McLellan, uno dei gruppi dietro alla scoperta della prolina. Mi dicono che il battere il cinque è molto ridotto, a causa della pandemia in corso, ma sono contenti di avere contribuito ai vaccini. E sottolineano anche l'importanza di molti altri gruppi, lavoratori e volontari.
La fine della proteina: prossimi passi
Se andiamo avanti nel codice, troviamo alcune modifiche alla fine della proteina Spike:
         V   L   K   G   V   K   L   H   Y   T   s             Virus:   GUG CUC AAA GGA GUC AAA UUA CAU UAC ACA UAA Vaccine: GUG CUG AAG GGC GUG AAA CUG CAC UAC ACA UGA UGA          V   L   K   G   V   K   L   H   Y   T   s   s                         !   !   !   !     ! !   !          !
alla fine di una proteina troveremo un codone di "Stop", qui marcato con una s minuscola. Questo è un modo educato per dire che la proteina dovrebbe finire qui. Il virus originale usa il codone UAA per lo stop, il vaccino UGA, e ne mette due, forse per buona misura.
La "Regione Non Tradotta Tre Primo"
Proprio come il ribosoma aveva bisogno di uno spazio di inizio all'estremità 5', dove noi abbiamo potuto osservare la "Regione Non Tradotta Cinque Primo", alla fine della proteina possiamo trovare un costrutto simile denominato la 3' UTR.
Potrebbero essere scritte molte parole sulla 3' UTR, ma qui cito cosa dice Wikipedia: "La 3' UTR gioca un ruolo cruciale nell'espressione dei geni, influenzando la localizzazione, la stabilità, l'esportazione e l'efficienza di traduzione del mRNA ..nonostante la nostra attuale comprensione delle 3' UTR, rimangono ancora relativamente misteriose".
Quello che sappiamo, è che alcune 3' UTR sono molto efficaci nel promuovere l'espressione di una proteina. Secondo il documento del WHO, la 3' UTR per il vaccino BioNTech/Pfizer è stata prelevata da "the amino-terminal enhancer of split (AES) mRNA and the mitochondrial encoded 12S ribosomal RNA" per conferire stabilità al RNA ed elevata espressione proteica totale. Al che io dico, "Ben fatto!".
La fine AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA di tutto
La fine del filamento di mRNA è poliadenilata. Questo è un modo fico per dire che termina con un sacco di AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA. Anche l'mRNA ne ha avuto abbastanza del 2020.
Il mRNA può essere riutilizzato varie volte, ma ogni volta che succede perde alcune A che ha alla fine. Quando le A sono finite, il mRNA non è più funzionale e viene scartato. Per questo, la coda "pluri-A" è una protezione contro la degradazione.
Sono stati fatti degli studi per capire quale sia il numero ottimale di A per i vaccini a mRNA. Ho letto nella letteratura aperta che questo massimo è intorno ai 120.
Il vaccino BNT162b2 finisce con:
                                    ****** **** UAGCAAAAAA AAAAAAAAAA AAAAAAAAAA AAAAGCAUAU GACUAAAAAA AAAAAAAAAA AAAAAAAAAA AAAAAAAAAA AAAAAAAAAA AAAAAAAAAA AAAAAAAAAA AAAA
Ossia 30 A, poi un "collegamento a 10 nucleotidi" GCAUAUGACU, seguito da altre 70 A.
Sospetto che quello che vediamo qui sia il risultato di altre ottimizzazioni proprietarie per aumentare ancora di più l'espressione della proteina.
Concludendo
Con questo, conosciamo l'esatto contenuto del mRNA del vaccino BNT162b2, e per la maggior parte possiamo capire perché sono presenti le varie sequenze:
il cappello per assicurarsi che l'RNA sembri mRNA ordinario
una nota, efficace ed ottimizzata regione non tradotta 5'
un peptide di segnalazione ottimizzato per mandare la proteina Spike nel posto giusto   (copiata 100% dal virus originale)
una versione ottimizzata della proteina Spike originale, con due sostituzioni Prolina   per assicurarsi che la proteina si avvolga nella forma giusta
una nota, efficace ed ottimizzata regione non tradotta 3'
una coda poliadenilata leggermente misteriosa con un "collegamento" non spiegato
L'ottimizzazione dei codoni aggiunge molte G e C al mRNA. Inoltre, usare 1-methyl-3’-pseudouridylyl, un aminoacido artificiale, al posto della U aiuta ad evitare il nostro sistema immunitario, così che l' mRNA possa rimanere in giro abbastanza a lungo da potere davvero aiutare ad addestrare il sistema immunitario.
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