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scienza-magia · 3 months
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In attesa dei dati il costo del denaro resta invariato
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Bce, quando ci sarà il taglio dei tassi? Ecco cosa ci insegna il passato. L’inflazione core sembra l’indicatore più rilevante, ma i cicli di riduzione del costo del credito sono accompagnati da moderazione salariale o una recessione in arrivo. Cosa manca, per il primo taglio? La banca centrale europea ha preso tempo in quella riunione di marzo che - secondo gli analisti più ottimisti, forse troppo ottimisti – avrebbe dovuto segnare la prima riduzione del costo ufficiale del credito. La presidente Christine Lagarde ha chiaramente detto che la Bce ha bisogno, per decidere, di nuovi dati che non arriveranno però in tempo per il prossimo appuntamento dell’11 aprile. Gli analisti puntano quindi alla riunione del 6 giugno. L’attesa dei dati I dati sono la chiave. La Bce ha a disposizione più indicatori degli osservatori esterni e, soprattutto, modelli sofisticati ed economisti di elevate competenze in grado di valutarli. Un osservatore esterno deve limitare la sua analisi, ma può essere in ogni modo interessante capire a che livello fossero alcuni indicatori economici e che quale fosse la loro tendenza. Giovedì 7 marzo, nell’immediatezza della decisione di non tagliare i tassi – per esempio – Standard & Poor’s ha pubblicato una propria laconica nota, nella quale Sylvain Broyer, capo economista per l’area Emea ricordava che «da quando la BCE si occupa di definire i tassi d’interesse per l’Eurozona, li ha abbassati 21 volte, e mai quando l’inflazione core era al di sopra del 2,2%. Oggi l’inflazione core è al 3,1% e non scenderà sotto il 2,2% prima dell’estate. A meno che non si verifichi un imprevisto che influisca sulla crescita o sulla stabilità finanziaria, un taglio dei tassi della Bce a giugno è quindi lo scenario più probabile». I cicli dei tagli dei tassi Più che le singole occasioni di tagli dei tassi è forse più interessante valutare i cicli di riduzione del costo del credito. Se si esclude il primo taglio di aprile ’99, presto corretto, ce ne sono stati tre, nella storia della Bce: il primo è iniziato a maggio 2001, quando il tasso di riferimento è stato portato dal 4,75% al 2%, livello raggiunto nel giugno 2003; il secondo a ottobre 2008, quando è calato dal 4,25% all1% di maggio 2009, e il terzo a novembre 2011, quando è sceso dall’1,5% fino a quota zero, nel marzo 2016. Ci si può chiedere, allora, quale fosse la situazione di Eurolandia in occasione di ognuno di questi punti di svolta (di cui il terzo fu, in realtà, la correzione di un rialzo “sbagliato”). Cambiamenti strutturali Una premessa è necessaria. È chiaro che la situazione di Eurolandia si è profondamente, strutturalmente modificata, da allora. Soprattutto dopo il 2008, quando i grafici mostrano un vero e proprio smottamento, mai recuperato davvero. Nel senso che la velocità del trend di crescita è irrimediabilmente diminuita: anche il successivo recupero è stato soltanto parziale. Una circostanza, questa, rilevante anche per l’andamento dell’inflazione. La frenata strutturale della crescita, però, rende qualsiasi punto di riferimento del passato troppo generoso, e non troppo rigido, per la situazione attuale. Situazione che prevede un’inflazione di febbraio al 2,6%, un’inflazione core al 3,3%, prezzi dei servizi in rialzo del 3,9%, un deflatore del pil in crescita del 5,3% annuo e salari negoziati in crescita del 4,5% nel quarto trimestre 2023 e una disoccupazione al 6,4% a gennaio. Il primo ciclo di tagli Il primo ciclo di tagli, da maggio 2001 a giugno 2003, fu reso necessario dalla stagnazione iniziata nel secondo trimestre del 2001. L’inflazione, in quel periodo, non era bassa. Era balzata fino al 2,7% ad aprile – l’ultimo dato conosciuto al momento della decisione di ridurre i tassi - piuttosto rapidamente in seguito all’introduzione dell’euro fisico. Si portò poi al massimo del 3,1% proprio nel mese di maggio, e dopo essere calata al 2% a novembre, risalì nuovamente fino al 2,6% di gennaio 2002. Anche il deflatore del pil, la misura più ampia di inflazione “domestica” (non pesata, però, in base alla frequenza degli acquisti), era in rialzo e raggiunse il +2,8% annuo a fine 2001 per poi calare e risalire dal secondo trimestre 2003 (quando il ciclo si concluse). La Bce ignorò però l’andamento altalenante dell’inflazione e continuò a tagliare il costo ufficiale del credito. I dati “core” furono disponibili solo da gennaio 2002 e oscillarono per qualche mese attorno alla media del 2,5% per poi scendere fino al 2% e rimanerci a lungo. I prezzi dei servizi, disponibili da dicembre 2001, oscillarono invece intorno alla media del 3% durante tutto il ciclo di tagli. I salari negoziati risultavano però in crescita stabile al 2,7% - compatibile con l’inflazione e un moderato aumento strutturale della produttività - per tutto il periodo. Fu questo, probabilmente, il fattore che tranquillizzò la Bce; insieme alla disoccupazione che salì molto lentamente dall’8,5% all’8,7 per cento. Il secondo ciclo di tagli Il secondo ciclo di tagli, da ottobre 2008 a maggio 2009, coincise con la Grande recessione. La Banca centrale europea ci arrivò con un evidente errore: a luglio 2008, in seguito all’aumento del petrolio al record di 146 dollari al barile, decise di alzare i tassi convinta, anche dalle rivendicazioni salariali in Germania, che i rischi sui prezzi fossero diventati maggiori su quelli della crescita. A dominare, a ottobre, furono soprattutto considerazioni di stabilità finanziaria. L’inflazione complessiva era a settembre 2008 – l’ultimo dato disponibile al momento della decisione – al 3,6%, ma scese poi in modo rapido, e soprattutto prevedibile, in conseguenza della riduzione dell’attività economica: a dicembre era all’1,6%, a maggio 2009 a quota zero. Successivamente passò in territorio negativo, fino al -0,6% di luglio. L’inflazione core passò dal 2,6% all’1,5% al termine del ciclo di tagli ma continuò poi a calare fino a portarsi allo 0,7% a febbraio 2010. Non molto lontano l’andamento dei servizi: dal 2,6% al 2,1%, per poi calare fino all’1,2% di aprile 2010. Il deflatore del pil sembrava meno surriscaldato: era al +2,3% a giugno, prima di iniziare un rapido calo. I salari negoziati spiegano l’errore di luglio della Bce: dalla crescita del 2,9% del secondo trimestre 2008 si portarono al +3,4% nel terzo trimestre e al +3,6% nel quarto per poi scivolare al +1,4% del terzo trimestre del 2010. La disoccupazione salì costantemente dal 7,9% di ottobre 2008 (era al 7,3% a marzo), si portò fino al 9,6% di maggio 2009, alla fine del ciclo, e al 10,4% di aprile 2010. Il terzo ciclo Il terzo ciclo, iniziato nel novembre 2011 e terminato a marzo 2016, può anche essere considerato una continuazione del secondo, interrotto da un altro “errore” della Bce che, fuorviata da un rialzo del petrolio, aveva iniziato ad aprile 2011 ad alzare i tassi portandoli dall’1% fino all’1,50% di luglio per poi farli scendere di nuovo all’1% a dicembre 2011. Anche in questo caso pesarono considerazioni di stabilità finanziaria: la crisi fiscale di Eurolandia, che nel 2011 cominciò a mordere davvero, riportando Eurolandia in recessione. Al momento del primo taglio l’inflazione complessiva era al massimo locale del 3% ma successivamente scese fino al 2% di gennaio 2013 e sottozero a dicembre 2014. L’inflazione core era però decisamente più bassa: al massimo locale del 2% al momento del primo taglio, prima di iniziare la flessione. I prezzi dei servizi erano in crescita dell’1,8% e toccarono un massimo al 2% a dicembre 2011, il mese successivo al taglio. Il deflatore del pil era molto “freddo”, intorno al +1,1% all’inizio del ciclo. Sul fronte del mercato del lavoro, i salari negoziati erano in crescita del 2% nel terzo trimestre 2011 e accelerarono fino al 2,2%, un livello non preoccupante, di dicembre 2012, quando l’inflazione era già scesa al 2,2%; poi iniziarono anch’essi una lunga frenata. La disoccupazione, al 10,5%, continuò a salire: a gennaio 2013 era al 12,2 per cento. E oggi? Le conclusioni non sono difficili. L’inflazione complessiva appare meno rilevante di quella core (e persino del deflatore del pil, che però arriva in ritardo), mentre l’enfasi sui servizi che la Bce mostra oggi sembra essere legata al fatto che questi prezzi sono l’anello mancante perché l’indice di fondo si normalizzi. Una tendenza alla riduzione dell’attività economica – la recessione nel 2008 e nel 2011 – che porti con sé un raffreddamento dei prezzi e, nel tempo, dei salari permette di ignorare dati meno propizi, mentre durante una “semplice” stagnazione, come nel 2001, occorre qualcos’altro che prometta di tenere freddi i prezzi; per esempio che salari e mercato del lavoro non mostrino tensioni tra domanda e offerta. Oggi la Bce ha un’inflazione core – sostenuta dalla sola componente servizi – ancora troppo alta, e un mercato del lavoro che mostra salari troppo veloci e una disoccupazione troppo bassa. Qualcosa deve ancora cambiare perché si crei un equilibrio dinamico che favorisca una stagione di tagli. Read the full article
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rdsolenodonte · 8 months
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El IPC de la eurozona ​sube 4,3% en septiembre, un porcentaje menor de lo esperado
En septiembre, el índice de precios al consumo “IPC” desaceleró de 5,2% interanual de julio a 4,3%, por debajo incluso de 4,5% que estimaba el consenso de economistas. Es la lectura más baja desde octubre de 2021, cuando fue de 4,1%, quedando cada vez más lejos el pico de 10,6% del pasado otoño. Es decir, es la primera lectura en un año por debajo de 5%. Lo mismo ha sucedido con la inflación…
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eurekadiario · 10 months
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La España de Sánchez: de tercer país con menor inflación de la eurozona en 2016 al noveno en 2022
Pedro Sánchez queda en ridículo en Europa. En 2016 España era el tercer país de la eurozona con menor Índice Armonizado de Precios al Consumidor (IPCA), según Eurostat. Sin embargo, en 2022 la economía española se situaba en la novena posición del ranking. Por tanto, el Gobierno de coalición no ha sabido hacer frente a la inflación al mismo nivel que otros países europeos con los que comparte la misma moneda.
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España ha pasado de ser un ejemplo para Europa, con cuatro años seguidos bajando ligeramente los precios, a situarse en la mitad de la lista de los países de la eurozona con menor inflación. El descenso ha sido continuado. Además, al estar comparando solamente aquellas naciones que utilizan la misma moneda, los efectos de la política monetaria se anulan quedando como responsable el gobierno del país.
El IPCA para medir la inflación
El IPCA se realiza para poder comparar la inflación de diferentes países y toma como base los datos del año 2015. Según Eurostat, el índice «mide la evolución en el tiempo de los precios de los bienes y servicios de consumo adquiridos por los hogares». Es decir, «es un conjunto de índices de precios al consumidor (IPC) calculados según un enfoque armonizado». Por ello, este dato es la medida oficial de la inflación en la eurozona que se tiene en cuenta a la hora de tomar decisiones relacionadas con la política monetaria.
Los artículos incluidos en el IPCA son alimentos, bebidas, tabaco, ropa, vivienda, electricidad, salud, transporte… Así, esta medida tiene en cuenta los precios de todos los bienes y servicios relevantes en la vida de los ciudadanos.
El descalabro de España frente a Europa
En 2016, cuando aún no gobernaba Sánchez, España fue el tercer país de la eurozona con menor inflación, sólo por detrás de Chipre y Eslovaquia. El IPCA español en aquel entonces era de -0,44%, es decir, los precios fueron inferiores al 2015, año que se toma como referencia y que tiene valor ‘0’. Además, desde 2013 el Gobierno de Rajoy venía acumulando año tras año una ligera inflación negativa, es decir, una deflacción.
En 2019, tras la entrada del Gobierno de coalición, la economía española se situó en el séptimo puesto de la lista con un IPCA del 4,26% con respecto a los niveles de 2015. No obstante, en 2020 España recuperó una posición y se convirtió en la sexta nación de la eurozona con menor inflación con un 3,91%. A partir de entonces el descalabro fue imparable.
En el segundo año de pandemia España disparó su IPCA y llegó al 7,04%, 3,13 puntos más que el anterior, provocando que se descendiera hasta la octava posición del ranking en 2021. Por último, en 2022 la inflación española volvió a tocar techo con un índice armonizado del 15,95%, más del doble en un solo año. Por ello, España pasó a ser el noveno país con menos inflación de la eurozona, pasando de encabezar la lista en 2016 a situarse en la mediocridad con Sánchez.
En definitiva, el Gobierno de coalición no ha sido capaz de aplicar las políticas correctas para frenar la inflación y mantener a España en la línea que seguía con Rajoy. La tendencia en los últimos años ha sido la pérdida de posiciones frente a otros países. En tanto que todos los países de la eurozona comparten moneda, las decisiones del Banco Central Europeo (BCE) sobre política monetaria carecen de efecto ante el descalabro de la economía española en comparación con el resto de la eurozona.
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zoranphoto · 1 year
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Eurozona ušla u recesiju, pogođena visokim cijenama energenata i rastom kamata
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Novi podaci pokazuju da je eurzona ušla u recesiju. BDP u cijelom europodručju smanjio se za 0,1 posto u prvom kvartalu ove godine, što je manje od prethodne procjene prema kojoj je gospodarstvo stagniralo, piše Guardian     Europsko gospodarstvo pogođeno je ekonomskim poremećajem izazvanim ratom u Ukrajini, što je izazvalo rast cijena energije i hrane. To je uslijedilo nakon smanjenja BDP-a od 0,1 posto u četvrtom kvartalu prošle godine, što znači da se eurozona smanjila dva kvartala zaredom – standardna definicija recesije. Povukla ga je Irska, gdje je BDP pao za 4,6 posto u prvom tromjesečju ove godine. Gospodarstvo Litve palo je za 2,1 posto, dok se nizozemsko smanjilo za 0,7 posto. Njemačka, najveće europsko gospodarstvo, pala je za 0,3 posto i također je u recesiji. To je potaknulo niz povećanja kamatnih stopa dok se Europska središnja banka pokušavala boriti s višom inflacijom. Tportal.hr Read the full article
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España liderará la economía de la Eurozona
España liderará la economía de la Eurozona
  España liderará la economía de la Eurozona según reportes del Gobierno El 2023 comenzó con optimismo para la economía de España y es que las predicciones del Gobierno, las más optimistas… Así como las del principal banco de ese país, el Banco de España, señalan que el PIB crecerá por encima de la media de los países europeos y descartan el riesgo de recesión. Con estas conclusiones se prevé que…
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spectatorzg · 1 year
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Hoće li udruge tajnih kupaca vratiti lovu koju su dobile?
Tajni kupac U Nami na Trgu toga je dana bila neopisiva gužva. Vrući ljetni dan, teška ranoposlijepodnevna omara spustila se na Trg bana Jelačića, besposleni Zagrepčani uvukli su se u Namu, savršeno klimatiziranu, osjećajući kako im se znoj slijeva niz leđa, pa se slijeva u gaće. Glumili su da kupuju, ladeći jaja, zainteresirano pregledavali izloženu robu, pa onda duboko uzdahnuli, svjesni da im…
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sauolasa · 2 years
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Eurozona, Ue taglia le previsioni di crescita economica per il 2023
I 19 Paesi che utilizzano l'Euro entreranno in recessione il prossimo inverno, al rialzo la previsione di crescita sul PIL dell'Italia
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ctvmundo · 2 years
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La inflación anual en la eurozona se acelera al máximo histórico del 10,7%
La inflación anual en la eurozona se acelera al máximo histórico del 10,7%
La inflación anual en los 19 países de la zona del euro escaló a un máximo histórico del 10,7% en octubre, del 9,9% registrado en septiembre, según un informe de la Eurostat, la oficina de estadística de la Unión Europea. Los analistas encuestados por el portal DailyFX esperaban un aumento de la inflación hasta el 10,2% en octubre. De esta manera, la tasa de inflación volvió a renovar el máximo…
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realniklauss · 2 years
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#CreditoyCaucion - "Crédito y Caución prevé una caída de la inflación de la eurozona a corto plazo" / "Los tres estados de insolvencia en la nueva ley concursal" - #Inflacion #EuroZona #CortoPlazo #Insolvencia #LeyConcursal #PlanesDeReestructuracion #InsolvenciaInminente
#CreditoyCaucion – “Crédito y Caución prevé una caída de la inflación de la eurozona a corto plazo” / “Los tres estados de insolvencia en la nueva ley concursal” – #Inflacion #EuroZona #CortoPlazo #Insolvencia #LeyConcursal #PlanesDeReestructuracion #InsolvenciaInminente
En la línea que publicábamos en este sitio web (dedicado a la comercialización de seguros como ocupación profesional; y, a más … mucho más) tenemos varias noticias compartidas públicamente por Newsletter de LinkedIn CyC News. Crédito y Caución prevé una caída de la inflación de la eurozona a corto plazo. Crédito y Caución prevé una caída de la inflación de la eurozona a corto plazo. De acuerdo…
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cgvijesti · 2 years
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U Hrvatskoj od sjutra obavezno iskazivanje cijena i u eurima
U Hrvatskoj od sjutra obavezno iskazivanje cijena i u eurima
Foto: Vlada RH Od sjutra, 5. septembra, nepuna četiri mjeseca prije ulaska Hrvatske u eurozonu, nastupa zakonska obaveza dvojnog iskazivanja cijena, kao ključna mjera za zaštitu potrošača u postupku uvođenja eura, a za poslovne subjekte ta obaveza će se protegnuti i na cijelu 2023. godinu. Dvojno iskazivanje cijena znači da će od sjutra poslovni subjekti morati iskazati cijenu i druge novčane…
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major-x-blog · 5 months
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Finalmente un pó di Buon Senso.......
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scienza-magia · 3 months
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Debito pubblico Italiano migliora rispetto quello Europeo
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Debito pubblico, diminuzione record per l’Italia. L’Italia il proprio debito pubblico l’ha visto esplodere negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Poi, però, è diventata un Paese quasi-modello quanto a gestione delle finanze pubbliche, con un surplus primario del bilancio statale pressoché ininterrotto fino alla pandemia. E anche dal 2020 in poi, quando il bilancio primario è andato in rosso, il debito italiano è comunque quello cresciuto di meno in valore escludendo gli interessi. Anche al Parlamento di Strasburgo, davanti alla conferenza dei presidenti di commissione, Mario Draghi ha strigliato l’Europa, dopo averlo già fatto all’Ecofin pochi giorni prima. «Non si può dire sempre di no», ha affermato. E ha riproposto l’idea di un debito comune europeo per sostenere e rilanciare la competitività dell’economia del continente di fronte alla concorrenza globale e alla sfida della transizione energetica. Un’idea che si scontra però con la persistente opposizione della Germania e dei Paesi del Nord Europa. Infatti, i “falchi” e i cosiddetti “frugali” di debito comune non ne vogliono proprio sentir parlare perché temono genericamente il debito pubblico dei Paesi mediterranei ma soprattutto quello italiano, che rappresenta lo spauracchio di tutti nell’immaginario e nella narrativa ormai sedimentata. Il paragone dell'indebitamento tra le economie mondiali Ma Draghi avrebbe un argomento enorme da mettere sul piatto per smontare questa infondata pregiudiziale. Infatti, l’Italia il proprio debito pubblico l’ha visto esplodere negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Poi, però, è diventata un Paese quasi-modello quanto a gestione delle finanze pubbliche, con un surplus primario del bilancio statale pressoché ininterrotto fino alla pandemia. E anche dal 2020 in poi, quando il bilancio primario è andato in rosso, il debito italiano è comunque quello cresciuto di meno in valore escludendo gli interessi, come abbiamo già avuto modo di documentare su queste colonne (Francia, il debito pubblico supera quello italiano di 244 miliardi di euro, 1° febbraio 2024). La verità, completamente sconosciuta a “falchi” e “frugali”, è che l’Italia è l’unica nazione tra i Paesi del G7, e anche rispetto ad un’altra grande economia dell’Eurozona come la Spagna, ad essere riuscita a ridurre il debito pubblico al netto della spesa per interessi negli ultimi 28 anni, secondo nostre elaborazioni sulle serie storiche della Commissione Europea. Si tratta di un dato praticamente sconosciuto, la cui acquisizione, sul piano concettuale e comunicazionale, è di fondamentale importanza sia per l’Italia sia per le stesse riflessioni sul futuro e le strategie dell’Europa. Infatti, la componente di debito pubblico non dipendente dagli interessi è diminuita in Italia di ben 317 miliardi di euro correnti dal 1996 al 2023, prendendo come riferimento il 1995, anno di partenza delle serie storiche della Commissione europea. Un dato che dovrebbe essere portato all’attenzione non solo di Bruxelles ma anche delle agenzie di rating e degli investitori. Nello stesso periodo, il debito al netto degli interessi della Germania, il Paese che dopo di noi ha fatto meglio, sia pure a grande distanza, è cresciuto di 95 miliardi. Mentre le altre maggiori economie avanzate hanno invece visto esplodere i loro debiti pubblici, sempre espressi in euro, anche depurando la componente degli interessi. Infatti, il debito pubblico, esclusi gli interessi della Spagna, è aumentato dal 1996 al 2023 di 570 miliardi, quello britannico di 889 miliardi, quello francese di 1.108 miliardi, quello giapponese di 3.638 miliardi e quello statunitense di 12.027 miliardi. Sono cifre importanti non solo per ribaltare gli ingenerosi giudizi sulle finanze pubbliche dell’Italia ma anche per rivisitare le analisi comparate sulla crescita economica dei diversi Paesi negli ultimi lustri. Cifre che spiegano soprattutto perché l’Italia, perlomeno fino al 2015, abbia avuto nei vent’anni precedenti una crescita economica molto più debole delle altre nazioni. Infatti, dovrebbe essere evidente il fatto che il nostro Paese, non facendo più debito pubblico al netto degli interessi, anzi riducendolo, in tal modo ha drasticamente ridotto l’immissione di risorse pubbliche nel suo sistema economico in termini di investimenti in capitale fisico e umano, oltre che in termini di sostegno ai redditi, mentre gli altri Paesi pompavano denaro a piene mani a spese dei contribuenti a supporto della loro crescita. In conclusione, il debito pubblico italiano non può essere preso come giustificazione da parte dei Paesi del Nord Europa ostili agli Eurobond. Questi ultimi costituiscono l’unica strategia possibile per una Europa che perde sempre più competitività ogni giorno, stretta nella morsa di due giganti come Cina e Stati Uniti. Il paradosso è che Pechino e Washington, invece, usano proprio i loro debiti e i loro aiuti di Stato per metterci fuori combattimento, ben contenti che l’Europa rimanga paralizzata dalla rigida camicia di forza delle regole fiscali e ambientali che si è imposta. Per cui è finalmente ora che Bruxelles si renda conto che queste due tipologie di regole non possono essere perseguite contemporaneamente senza che almeno una delle due venga parzialmente modificata. Se la Commissione vuole davvero ridurre le emissioni di CO2 senza destabilizzare l’economia e la coesione sociale europea, il debito comune è l’unica strada percorribile e gli va data via libera senza indugio e falsi pretesti. Perchè il debito pubblico è un problema per l'Italia? Read the full article
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rdsolenodonte · 8 months
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La actividad de empresas de zona euro se contrae por cuarto mes en septiembre
La actividad empresarial de la zona euro se mantuvo en territorio de contracción en septiembre, por cuarto mes consecutivo, según datos preliminares de una encuesta de gestores de compras realizada por S&P Global. “El Flash del Índice PMI Compuesto de la Actividad Total de la Zona Euro de HCOB ajustado estacionalmente, que se basa en aproximadamente el 85% del total habitual de respuestas a la…
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eurekadiario · 1 year
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Las palomas sacan los 'trapos sucios' del BCE con el gran error de 2011
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La última reunión del Consejo de Gobierno del Banco Central Europeo (BCE), celebrada a mediados de marzo, se zanjó con una subida de tipos de 50 puntos básicos, la cual dejó el precio del dinero en el 3%. El movimiento no estaba descartado, pero sí sorprendió a unos mercados que esperaban algo de moderación por parte del BCE en medio de las quiebras de Silicon Valley Bank (SVB) y las turbulencias financieras en Europa con Credit Suisse. Sin embargo, la mayor parte de los miembros del BCE optó por una subida de los tipos de interés medio punto, mientras una minoría habría preferido un movimiento de 25 puntos básicos o incluso una pausa en el endurecimiento monetario. 
Esta palomas (defienden una política monetaria más laxa) sacaron los trapos sucios del pasado para advertir a los halcones (aquellos que prefieren unos tipos más altos) de las posibles consecuencias de una subida de tipos rápida en medio de la inestabilidad financiera: "Un aumento de 50 puntos básicos ejerce un efecto restrictivo mucho más fuerte si la economía ya está sufriendo las consecuencias del estrés financiero. Se recordaron episodios pasados en los que el Consejo de Gobierno había subido los tipos de interés y poco después tuvo que revertir la subida", reflejan las actas de la reunión del mes pasado, conocidas este jueves. Hacen referencia a lo sucedido en 2011, en lo que fue uno de los grandes errores de la corta historia del BCE. "Se consideró que el enfoque dependiente de los datos del Consejo de Gobierno, en la situación actual, sugeriría posponer la subida de tipos de interés y esperar hasta que la incertidumbre haya disminuido", confiesan asimismo las actas, de las que también se desprende que las alzas de tipos aún no han terminado en la eurozona.
Fuente: https://www.eleconomista.es/
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zoranphoto · 1 year
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Plenković: Euro uveden bez problema, jedini incident 'nepravdena' poskupljenja
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RAZGOVOR ZA EURONEWS   Prijelaz Hrvatske na euro s tehničke je strane prošao veoma dobro i bez problema, a jedini incident bilo je podizanje cijena dijela gospodarskih subjekata, rekao je premijer Andrej Plenković u utorak u razgovoru za Euronews     Premijer je s europskim medijem razgovarao u Davosu u Švicarskoj gdje je sudjelovao na Svjetskom ekonomskom forumu. Govorio je o "povijesnom trenutku“ pridruživanja Hrvatske eurozoni i šengenskom prostoru, kao jedine zemlje dosad koja je to učinila isti dan. Prelazak Hrvatske na euro je u tehničkom pogledu svega što je bilo pod državom prošao jako dobro i nije bilo problema, rekao je premijer. „Bankomati su funkcionirali. Bilo je dosta euro kovanica i novčanica“, kazao je Plenković i dodao da je cijeli sustav plaćanja funkcionirao savršeno te da su bez poteškoća prošla i prva dva tjedna kad se moglo plaćati i kunama i eurima. „Jedini incident je da je dio gospodarskih subjekata podigao cijene u kontekstu zaokruživanja cijena, što nije bilo pravedno“, nastavio je premijer, kazavši kako ih vlada sada „pokušava uvjeriti da vrate cijene“ na razine kraja prosinca 2022. Upitan o zabrinutosti građana zbog rasta cijena nakon ulaska u eurozonu, Plenković je rekao da se kraj šest godina dugog puta Hrvatske prema članstvu poklopio s promijenjenim globalnim kontekstom i posljedicama ruske agresije na Ukrajinu, što je utjecalo na cijene u Hrvatskoj i na inflaciju. Hrvatska je u prošloj godini, prema Državnom zavodu za statistiku, imala inflaciju od 10,8 posto, što je samo 1 posto iznad prosjeka eurozone, no niže nego u drugim državama središnje i istočne Europe koje ne koriste euro, rekao je. „Stoga vjerujemo da će se ova mala situacija smiriti i da će se stvari vratiti u normalu“, naglasio je premijer, pa govorio o 3,6 milijardi eura vrijednom paketu financijske pomoći države gospodarstvu iz 2022. godine.     Pošto je država učinila sve što je mogla, „pravedno je da se svi akteri u našem sistemu, uključujući i neke od gospodarskih subjekata – naglašavam neki, ne svi – trebaju ponašati adekvatno“, rekao je predsjednik vlade. Govoreći o odgovoru Europe na rusku agresiju, Plenković je rekao da ima osjećaj da Europska unija dosad nije nikad pokazala takvo jedinstvo i odlučnost, uz „jasnu i artikuliranu osudu Rusije“ i golemu solidarnost s Ukrajinom. Taj sukob će, kao i svi drugi, završiti za „diplomatskim stolom“, smatra Plenković, naglasivši da Europa mora nastaviti podržavati Ukrajinu. Ponovio je kako Hrvatska može ponuditi svoje iskustvo Mirne reintegracije Podunavlja, istaknuvši pritom „posebno za ruske medije“ riječ „mirna“. „To je bila fantastična operacija prije 25 godina i mislim da se taj model može primijeniti i na regije Donjecka i Luhanska“. Premijer je govorio i o zapadnom Balkanu, odbacivši zabrinutost da bi tenzije na tom području mogle dovesti do destabilizacije. „Nikad nije bilo više angažmana Europske unije na najvišoj razini na zapadnom Balkanu nego 2022.“, rekao je premijer. „No moramo ostati oprezni, angažirani, a svi čelnici trebaju preuzeti odgovornost. Jer što su države stabilnije i bolje funkcioniraju, brži će biti njihov put prema Europskoj uniji“, istaknuo je. Tportal.hr Read the full article
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calledeitaca · 1 year
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La otra cara de la moneda
Los países miembros de la Eurozona pueden acuñar hasta dos monedas conmemorativas o de celebración al año, siendo las de 2 euros las destinadas a esta causa, cuyas tiradas, limitadas, son de curso legal. Finlandia le dedicó una a Tove Jansson en 2014, Francia a Simone Veil en 2018, Italia a Maria Montessori en 2020 o la Ciudad del Vaticano a Madre Teresa de Calcuta en 2022. Este año Grecia dedicará una a Maria Callas por el centenario de su nacimiento e Italia a Raffaella Carrá coincidiendo con el segundo aniversario de su muerte. España bien podría dedicar una a, por ejemplo, Lola Flores, ya que comparte con la soprano de ascendencia griega la celebración del que sería su centésimo cumpleaños. Pero no. Nuestros referentes femeninos se reservan a una serie de coleccionista que emite la Fábrica Nacional de Moneda y Timbre con motivo del 8M.
Artículo de Elena González (@lacalandria) para eldiario.es / canariasahora. #Womenhistorymonth #numismática #monedasconmemorativas #monedasdecoleccionista #americanwomenquarters #referentesfemeninos
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