Tumgik
#faccio la tenera
henri9617 · 1 year
Text
66 notes · View notes
belladecasa · 4 months
Text
Ancora la letteratura mi accompagna come quando ero bambina e vivevo in mezzo alle galline ma aprivo i pochi libri che mi capitavano per le mani, comprati a volte per caso nell’edicola del paese, e le galline diventavano elfi streghe draghi fate e poi persone vere sempre più simili a me finché arrivai a quindici anni a leggere Tenera è la notte di Fitzgerald, a leggere che questa è la parte più bella di tutta la letteratura: che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno, tu appartieni. E allora scoprii che nonostante l’apparente difformità emotiva e psichica da chiunque mi circondasse esisteva qualcuno che magari non mi circondava anzi distava chilometri mari e monti da me ma esisteva; sapere che qualcuno esisteva, qualcuno che si sentiva come me e che sapeva spiegare e spiegarmi come mi sentivo, meglio di come io avrei mai potuto, esisteva, significava scoprire che qualsiasi cosa mi sarebbe successa nella vita avrei sempre saputo dove trovare conforto. Allora in questi giorni lugubri in cui sono sola come (quasi) mai prima e non vedo più niente se non l’idea carezzevole di farmi a pezzi le vene e entro e esco dallo studio del mio psichiatra e mi sento dire: il litio agisce anche nel ridurre le ideazioni suicidarie, in questi giorni lugubri stringo il mio romanzo e sguscio fuori dal mio pseudo posto di lavoro e magari leggo solo due tre pagine di Vitaliano Trevisan e ancora una volta ci trovo la mia vita, questo atrofico e ipertrofico momento della mia vita, insignificante, ma fondamentale:
Lei soffre di quella particolare forma di psicosi maniaco-depressiva cosiddetta bipolare, così lo psichiatra. […] Psicosi maniaco-depressiva bipolare. Piú meno alto basso cima abisso altezza profondità velocità lentezza attività inerzia sonno veglia avanti indietro parlo non parlo ti voglio non ti voglio piú scrivo non scrivo leggo non leggo corro resto fermo mi siedo sto in piedi mi stendo sto in piedi, posso fare tutto, non posso fare nulla, potrei avere tutto, non ho nulla, per giorni non ti dico niente, per giorni ti parlo in continuazione, non so proprio dove andare, ogni posto mi sembra peggiore del posto dove mi trovo che mi sembra il peggiore di tutti i posti possibili, ci sono decine centinaia migliaia centinaia di migliaia milioni di posti dove potrei andare e uno alla volta andrò in tutti questi posti da dove mi trovo che è il posto migliore di tutti essendo il posto dove mi trovo, non c'è piú nemmeno una parola che io possa usare e vorrei dire tante di quelle cose ma non ho nemmeno una parola perché tutte le parole sono usate strausate consumate e finite e morte e non posso dire tutto quello che vorrei dire, ogni parola mi sembra cosí nuova e piena e straripante e giusta quando è quella giusta e dunque sbagliata quando è quella sbagliata […] vorrei tanto dormire ma non riesco a dormire, questa è la verità, pensavo. Se riuscissi a tranquillizzarmi sicuramente riuscirei ad addormentarmi, e se riuscissi ad addormentarmi e a farmi un bel sonno, un sonno di qualche ora, un sonno tranquillo che mi rilassasse e dal quale riuscissi poi a svegliarmi riposato, allora forse, al risveglio, potrei riconsiderare tutto con calma e capirci finalmente qualcosa. Non come quei sonni che faccio ultimamente, che non servono a niente e dai quali mi sveglio sempre in preda all'ansia e stanco come se non avessi dormito. No, un sonno cosí non mi servirebbe a nulla, mi ritroverei piú ingarbugliato di prima. Un sonno che mi cullasse, che mi tranquillizzasse, che mi facesse dondolare con dolcezza, che mi parlasse piano, che mi cantasse qualche canzone a voce bassa, un sonno cosí mi ci vorrebbe.
Un sonno così purtroppo non è un sonno ma è una persona. Io come Vitaliano fumo Marlboro pacchetto morbido, porto spesso libri nelle tasche delle giacche, mi disinteresso delle biografie, trovo assurda l’idea di condividere la propria vita con qualcuno, se mi ricovereranno e la farò finita ancora non lo so
21 notes · View notes
chouncazzodicasino · 4 months
Text
Potessi togliere qualcosa a me per darlo a te, lo farei subito.
Mi viene da pensare a questo, mi viene da pensare a come, romanticamente forse (illusa come una merda per dirlo in modo meno romantico), non riesco ad abbandonare il pensiero della persona che sei e sei stata nella mia vita e che adesso è come una tenera bimba, capricciosa come poche dobbiamo ammetterlo Nonna. Però ti faccio sempre sorridere e finché riesco a farti ridere un po' a me va bene, me lo faccio bastare. Basta che mi sorridi e ti tiri i baci in aria che a me si annulla tutto. Quasi. Poi non mi basta sempre, lo sai. Oggi sei meno presente del solito e la cosa mi lacera... Potessi togliere qualcosa a me per darlo a te, lo farei subito. Mi strapperei, la pelle, i capelli, gli occhi e le unghie, i muscoli delle cosce, le spalle e il costato, senza una smorfia di dolore per darli a te. Ora siamo stese sul letto mentre tu fai la pennichella, con la mano sul mio polso e mi "sfruculi" con questo movimento involontario che è diventato costante, ma almeno lo fai a me e non lo fai a te. E piango. Allontano incazzata i ricordi di anni fa perché non è il loro momento, sono ricordi egoisti e vaffanculo stronzi che cazzo volete, non devono venire adesso, non è giusto, adesso cerco di crogiolarmi in questa pennichella, ti guardo e ti accarezzo le sopracciglia come si fa con i bimbi per farli addormentare.
25 notes · View notes
occhietti · 1 year
Text
Tumblr media
Sono una Donna e sogno. E mi emoziono. E sono fragile. E sono forte. E sono tenera. E sono bella. Bella anche quando mi vedo brutta. Bella perchè so vedermi brutta e amarmi comunque.
Sono una Donna e ho entusiasmo per tutto. E non sono mai stanca. E ho voglia di cantare. Anche quando ho le lacrime agli occhi.
Sono una Donna e… piango. Piango e poi rido.
Sono una Donna e amo. Amo uomini che vorrei mi vedessero per quello che semplicemente sono… Una Donna.
Sono una Donna e ho paura. Coraggio e paura. Sono capace di dare sostegno, ma mi piace anche essere coccolata, protetta, difesa. Tutto quello che faccio è solo una cornice.
Ho mille nomi, ma solo uno mi appartiene.
Sono una Donna e… SONO FELICE.
Felice di essere Donna.
- Letizia Cherubino,  La MIA Amante e Giulietta, sono Io
In foto Honey Lee
64 notes · View notes
a-tarassia · 1 year
Text
olocene
Come sempre inizio dicendo che: non è che non faccio cose, è che non mi va di scriverle. Cercherò di mettere in ordine un po’ di robe che mi hanno dato da riflettere nelle ultime settimane perché ho paura che poi me le scordo.
Abbiamo uno zio di circa settant’anni che ha i numeri di due dei miei fratelli, tra gli altri, e ogni mattina da qualche anno invia loro un messaggio di buongiorno, ha iniziato con le immagini, poi è passato alle gif, adesso invia sticker. Io non so dove li prenda questi media e non so nemmeno se usa un broadcast per fare un invio generico a tutta la rubrica o se perde un sacco di tempo la mattina ad inviare i messaggi uno per uno, fatto sta che nessuno dei miei fratelli ha mai risposto, però ogni mattina a turno inviano il buongiorno di zio a tutti noi altri, così per sfizio, un rito che è diventato un rito. Ieri mattina uno di loro ci ha fatto vedere i messaggi delle ultime settimane, una fila infinita di immagini di buongiorno senza risposta e lì mi sono resa conto cosa significa la costanza e di quanto è tenera questa cosa e di cosa poi ha comportato per noi, è una delle sicurezze della giornata a cui prima o poi dovremo rinunciare, magari senza accorgercene, così come ci siamo abituati ad averlo ci abitueremo a fare senza. È comunque un momento nella vita di mio zio che lui ha assunto forse per noia, forse perché alle 5 di mattina, non potendo stare nel letto, si sveglia e vuole dirlo al mondo, non so, so però che i miei fratelli ogni mattina si svegliano e sono sicuri di trovare un messaggio di mio zio, finchè poi non lo troveranno più.
Ho letto un libro per ragazzi, nel senso che sono andata alla Triennale di Milano e nel bookshop c’era questo libro bellissimo con delle illustrazioni fantastiche e allora l’ho comprato e me lo sono letto tutto, è sulla storia della Terra. Dalla formazione dell’universo alla comparsa dell’uomo passando per tutte le ere geologiche. Spoiler: siamo una fottutissima probabilità che è accaduta, una serie di fottutissime probabilità che sono successe e hanno portato a noi. Nessuno ancora spiega come mai abbiamo un essere pensante dentro di noi, ma di certo questo essere pensante è lo stesso che ha portato la famiglia Sackler a immettere sul mercato farmaceutico l’Oxycontin, nonostante fosse eroina pura e quindi illegale e di conseguenza a condurre alla dipendenza e anche alla morte migliaia di americani che non avendo possibilità di curarsi un semplice mal di schiena e facendo lavori usuranti, come i minatori, erano costretti a prendere antidolorifici solo per funzionare. Antidolorifici che nel caso dell’Oxycontin erano eroina e quindi hanno portato a conseguenze devastanti per comunità intere, rovinate dall’avidità dell’essere pensante che si trova nei membri della famiglia Sackler e nei membri dell’FDA che si sono lasciati comprare e che hanno chiuso un occhio davanti all’abominio che si stava commettendo. Oh la probabilità di esistere in questa galassia e universo e di avere occupato un pianeta vivibile non sempre è una notizia bella, a volte sarebbe stato meglio fermarci ai dinosauri, che per la cronaca potrebbero essere stati ammazzati da una semplice e naturale era glaciale che è ciclica o da un enorme meteorite che comunque ha causato l’era glaciale. Le ere glaciali e anche le piccole ere glaciali (una finita meno di 200 anni fa) sono, parrebbe, causate dall’attività del cole che a volte è più vivace e a volte meno, dalla composizone dell’atmosfera e dal movimento della crosta terrestre, anche se essendo praticamente cicliche potrebbe anche essere tutt’altro ecco. Adesso ci troviamo in un’era interglaciale che durerà, probabilmente, ancora milioni di anni. Riferimenti per queste info: - Paesaggi Perduti della Terra, Ed. Ippocampo - Questa è l’America, Ed. Mondadori, di Francesco Costa - Dopesick, Disney +
Settimana scorsa siamo usciti con un gruppo di amici che vediamo a volte regolarmente a volte meno regolarmente. Sono delle persone di cui io conosco anche i genitori, anche se siamo tutti tipo quarantenni e oltre, questo perché i loro genitori sono dei festaioli e ci sono delle volte che si riuniscono e cucinano per tutti e noi come dei figli ancora infanti ci mettiamo seduti e ci lasciamo nutrire. Ci sono dei genitori che sono davvero delle madri e dei padri.
Allora noi con questo gruppo di amici a volte diventiamo gruppo allargato con genitori, amici di genitori, amici di amici, tutti tipo anziani a cui noi invadiamo il circolino che una volta era del PCI e c’è ancora la gigantografia di Berlinguer e la balera in cui d’estate ballano e noi ci mettiamo sulle sedie di plastica bianca a guardarli mentre beviamo amari.
Questo per dire che un paio di questi nostri amici hanno circa 50 anni e hanno fatto il militare negli anni ’90 e una sera abbiamo parlato di questa roba che è il militare e che è lontana dal mio mondo, nel senso, ricordo solo papà che ne parlava, ma mio padre era autista di camion e lo ha fatto ancora prima degli anni di piombo quindi non ha ricordi “interessanti”.
Invece Luca, uno di questi nostri amici, era di servizio a Gorizia o lì vicino e nei Balcani c’era la guerra e in Sicilia c’era appena stata la strage di capaci ed era il periodo dei maxiprocessi e lui tra un’esercitazione di guerra al nord e una guardia armata al sud insomma raccontava come di un’altra epoca e invece sono appena 30 anni e dici dici, ma certe cose fanno solo il giro e non vanno via mai.
13 notes · View notes
susieporta · 1 year
Text
[...]è meglio essere medici delle parole, infermieri e contadini delle parole e certe volte minatori. E poi lombrichi, passo lunghi mesi da lombrico. Da me non esce neanche un verso, silenzio totale, vivo sottoterra, eppure poi scopro che sto arieggiando la terra, la faccio tenera e soffice e un giorno spunta una parola e poi un’altra e… miracolo! vogliono dire qualcosa, dicono a me e poi dicono anche ad altri. La poesia arriva all’insaputa di me, se scrivo io, dalla mia personalità, scrivo delle pochezze, millimetri di male o di bene, ma se mi lascio visitare dalle parole, se le ospito, allora…
Essere in intimità con tante persone è stordente, espone moltissimo, fa sentire anche tanto responsabili, ma poi bisogna ricordare che si tratta di affidarsi alle parole come fanno gli uccelli con il cielo.
Una volta un maestro Zen chiese a un discepolo: “Hai visto il leopardo delle nevi?”
“No.” rispose il discepolo.
“Non è meraviglioso?” disse il maestro.
Ecco, per me la poesia è questa esultanza per la tenerezza non solo del visibile ma anche dell’invisibile. Un limite è un’occasione smisurata d’immaginazione.
Chandra Candiani da 'Tenerezza'. Edizioni Romena.
6 notes · View notes
libero-de-mente · 1 year
Text
APP DATING CHAT
*match* - Apro la chat: - Ciao Rino, come ti va? - Ciao Lourdes, va bene grazie. Particolare il tuo nome... - Sono sudamericana da noi è molto usato questo nome.
*match* - Curioso vado nell'altra chat: - Ciao, ma il tuo nome "Rino" è un diminutivo? - No, mi chiamo proprio così. Ma leggo che ti chiami Fatima... - Si, sono di origine araba io.
*match* - Non so cosa stia accadendo oggi ma arrivano molti contatti, apro questa chat, sempre curiosando: - Ciao Maria, grazie del match. - Ciao Rino, a sentimento ti trovo interessante.
*match* - Oggi è una giornata della madonna me lo sento, apro questa chat: - Ciao. Ma tu guarda Bernadette! - Ciao Rino, perché ti stupisce il mio nome?
*match* - Mi faccio il segno della croce e apro la chat: - Ciao, grazie del match. Vedo che ti chiami Madonna, è un soprannome? - No i miei erano fan della cantante Madonna e mi hanno chiamata così. - Ma non potevano optare per Veronica o Louise? - Perché? Cosa c'è che non va nel nome Madonna?
*match* - Scappo nella nuova chat, anche se una vocina mi sussurra di chiudere l'applicazione: - Ci... Ciao Regina - Ciao Rino, che fai di bello? - Sto cercando di indovinare il tuo cognome... - Ah si? Sentiamo, che cognome avrei secondo te? - Coeli?
*match* - Ho l'ansia alle stelle, anzi in cielo. Apro la chat: - Ciao Cuauhtlatoatzin, ma che nome è? - Ciao, in realtà è un cognome non mio sia chiaro. Lo uso per mantenere una certa privacy. Il mio nome lo dico solo a chi mi fido e comunque si collega storicamente al mio nickname. - Comprendo che tu non mi conosca, però dandomi un match un po' di fiducia ne dovresti avere in me... 🥹 - Che tenera l'emoji, ok mi fido mi chiamo Guadalupe. Se vuoi ti spiego l'origine.
Chiudo l'applicazione. Rifletto, o forse dovrei raccogliermi in preghiera. Sono confuso. Ma cosa cerco nelle App Dating? L'Amore? Ma come si fa a trovare l'amore in un mondo virtuale quando, nella vita reale, ho sempre sbagliato a valutare?Si possono creare amicizie, conoscenze e contatti. Ma non l'amore, questo no. Bisogna guardarsi negli occhi, realmente l'uno davanti all'altra. Con in mezzo una tazza di tè, oppure un bicchiere di vino se si vuole andare oltre e allargare il diaframma degli occhi, facendo dilatare l'iride.
Le App Dating possono solo colmare dei vuoti in maniera provvisoria, ma per incastrare la nostra vita nel puzzle adatto di un'altra vita ci vuole presenza. Mani che s'intrecciano, cuori che battono allo stesso ritmo e labbra che si cercano. Scritto tutto ciò, credo di aver fatto un buon lavoro per farvi credere un mio lato romantico, pur di attirare le grazie di qualcuna. Per grazie intendo tutto, gnagna compresa.
Chiudo qui questo post, per chi ha avuto la pazienza di leggermi, di seguire ogni mia parola e di valutare i miei pensieri contrastanti voglio dire: buon primo d'aprile. A tutti ma in particolare a tutte.
  1° aprile 2023
3 notes · View notes
Text
~ Pensieri stanchi ~
Mi guardo indietro dall'alto, ormai, dei miei anni.
Quelli che ti sembrava impossibile avere mai, ma ci sei. Quelli che poi è stato un attimo.
E come sempre, nel rivedermi giovane, mansueta, piena di capacità, mi pervade una tenera malinconia e bussa alla mia testa sempre la stessa domanda...
Quante vite avrei potuto vivere se alle svolte avessi fatto altre scelte, se avessi avuto più lucidità, più carattere?
Magari sarebbe andato lo stesso tutto così perché il destino esiste veramente o magari sarei altrove e proprio dove il mio cuore dovrebbe essere.
Un dubbio che resterà un magone eterno, il tizzone acceso che aizza le mie inquietudini, la lama sottile che sento incidermi il respiro nei momenti di fragilità.
A quella me che vedo piccola laggiù faccio segno ma non mi vede. Ho sempre avuto il difetto di non guardare in alto, di non alzare la testa al momento giusto.
Di quel che resta, cosa ne faremo?
Un decisissimo niente. Cambiare direzione adesso che senso avrebbe, significherebbe far cambiare direzione ad altre vite, e poi altre ancora. Una carambola che non mi piace.
Beviamoci su un altro caffè.
Tanto cosa importa se questa vita è andata storta.
@conilsolenegliocchi 🐞
Tumblr media
5 notes · View notes
empaticamentesblog · 1 year
Text
Tumblr media
L'omertà produce altro male, lo stesso che l'ha generata, ma in certe situazioni è l'unica strada (seppur sbagliata) che riesci a percorrere.
Soprattutto quando sei in tenera età e non conosci ancora la differenza tra giusto e sbagliato, tra bene e male, anche se il male hai appena iniziato a conoscerlo.
Quando vivi in un contesto tossico dove sai che chiedere aiuto non servirà.
Provi ad andare avanti, con le tue stranezze, provi a vivere la tua vita distante dal luogo in cui sei costretta a vivere, ma quel male sembra una persecuzione.
Un male che continuerà a seguirti ovunque perché è dentro di te che lo porti. Un male che provi a nascondere per una vita, ma che diventa sempre più difficile quando lo stesso autore si insinua sfacciatamente nella vita dei tuoi famigliari più stretti. E tu, lì, ad inventare sempre scuse pur di non esserci e questo perché sai che esploderesti davanti a tanta sfacciataggine... Perché sai che potresti perdere lucidità commettendo qualcosa di impensabile e rovinando il silenzio di quasi una vita...
Il genere umano mi fa sempre più schifo e ciò che mi snerva di più è che di questo genere ne faccio parte...
6 notes · View notes
Text
Angoli
In questi giorni mi viene difficile comprendere a chi, o a cosa, dare retta. Lo so, mi rendo conto perfettamente che è la realtà, quella che conta. Le parole, le azioni, i gesti e i fatti. Quelli descritti sul giornale che vado a comprare alle 7 del mattino quando il mondo inizia a muoversi e, io, con lui. Ma quando mi incammino per tornare a casa mi chiedo cos'è, la realtà. L'evidenza di un qualcosa che riusciamo ad osservare in maniera chiara e limpida, forse. O un qualcosa, basato su fatti, che condividiamo, accettiamo e diamo per assodato insieme agli altri, in maniera silente. Un qualcosa che esiste, indipendentemente dalla nostra presenza, dalla nostra sfera di influenza composta da intelletto, percezione e personalità. Immagino possa essere una buona definizione di realtà, questa. Ma, se la mia realtà fosse diversa? Se la mia realtà fosse frutto di un qualcosa di illogico e non percepibile dagli altri? Potrei definire, la mia realtà, realtà in tutto e per tutto? Me lo chiedo quando torno a casa col giornale sotto braccio e mia moglie mi chiama, amorevole, com'è sempre stata. Sa che ho comprato il giornale e, tenera, mi chiede sempre di leggerle le notizie. Non riesce più a leggere da anni, la sua realtà è cambiata con la sua, brutta malattia. Vorrei farlo, vorrei leggerle delle elezioni del nuovo Papa e della strage a Parigi di qualche giorno fa, ma non lo faccio. Quando mi poggio sulla sedia a dondolo all'angolo della nostra stanza apro il giornale e, facendo finta di cercare notizie degne di essere lette, le dico che non è successo nulla di importante. Le dico che il mondo è esattamente dove dovrebbe essere e, insieme a lui, anche lei è dove dovrebbe essere. A letto, sofferente, col suo eterno amore nei miei confronti e con un senso di colpa che non se n'è mai andato, anche dopo tutti questi anni. La sua realtà, influenzata dalla sua malattia, è realtà tanto quanto quella degli altri. Ma la mia realtà, derivata da una verità personale, non so se sia davvero realtà. Sì, potrei dire di sì, ma la mia è una realtà individuale, unica, a cui posso credere io e io soltanto. Una realtà senza evidenze scientifiche, sorretta da una verità priva della condivisione e dell'accettazione degli altri. Una realtà debole, sostenuta soltanto da me stesso, ma vera tanto quanto la realtà degli altri e, per questo, realtà. Nuda e cruda, nelle sue strane regole non scritte e vissuta, in maniera unica e irripetibile. È iniziato tutto un giorno, di tanto tempo fa. Forse era Ottobre, no, Novembre. Faceva caldo, ma ero comunque avvolto nelle coperte. Avevo bisogno di un abbraccio, o anche solo di un modo banale per asciugare velocemente le mie lacrime. Forse avevo sognato qualcosa, non lo so, ma ricordo fossero le 4 di notte. Il mio corpo decise di svegliarmi nel cuore della notte, e lo fece facendomi tremare come mai ho più tremato in questi 80 anni di vita. Mi alzai per cercare riparo, ma avevo la schiena indolenzita e provai fatica. A stento riuscii a bere un bicchiere d'acqua. Mi rannicchiai in un angolo e, preso dall'angoscia e dal dolore, intuii che fosse colpa di mia moglie: era lontana, non aveva più un ruolo nella mia vita, ma capii che mi odiava. Mi odiava, così tanto da farmi svegliare e tremare nel cuore della notte. E nelle strane regole accennate di quella nuova realtà, di cui avevo annusato soltanto i paradigmi più evidenti, credevo di esser impazzito. Non ero matto, non lo sono tutt'ora, ma è come se avessi vissuto la mia intera vita in una dimensione mia, personale, diversa da quella degli altri. Dimensione che non ho mai capito appieno e, che, mi ha spinto a farmi innumerevoli domande. A mettere in dubbio qualsiasi mia certezza. A pormi interrogativi anche sulle cose che davo per assodato, nella mia vita. L'ho fatto per giorni, settimane, mesi, anni, dopo quell'accadimento perché, da quel momento in poi, ogni verità di ciò che era la mia realtà è stata messa in discussione da una percezione delle cose diversa, atipica, anormale. Tutto quello che pensavo di sapere era stato messo in dubbio da un qualcosa di incredibile ma inspiegabile, sia nella semplicità della sua azione che nella complessità della comprensione delle cose che, senza alcun motivo, capivo. Per intuizione. E non potevo controllare tutto questo, no, perché la mia nuova realtà mi sorprendeva durante i momenti più banali della mia vita. Quando lavavo i piatti e guardavo il cielo, in certi momenti dell'anno il tramonto. Quando ero seduto all'angolo del mio vecchio divano e guardavo fuori, all'orizzonte, ammirando le luci lontane. Guardavo lontano, perché più lo facevo e più riuscivo a capire cosa stesse succedendo ed era buffo, perché ogni mia intuizione mi riportava a mia moglie. Lei era lì fuori e, per quanto lei non volesse e io nemmeno o forse sì, ero accanto a lei. Ero lì, mentre provava a mettermi da parte odiandomi più forte che poteva. Ero lì, quando ha cercato di ignorare completamente quello che era ed ero stato, quello che aveva fatto, quello che aveva causato. Il dolore che mi aveva fatto provare nell'attesa di un qualcosa che non era mai arrivato. E nel fare tutto questo, nello scrollarsi di dosso le proprie colpe, cercando come obiettivo una vita leggera, senza impegni e priva di conseguenze, io ero lì. Ero lì anche quando si è arresa all'evidenza dei fatti. E so, so, che mia moglie non ha più provato odio nei miei confronti perché non ce l'ha più fatta. Non ne aveva più la forza. E io, che non avrei mai dovuto sapere nulla di tutto questo, ho fatto finta di essere ignaro e lei con me, tacendo su tutta la questione. La comprendo, non le do nessuna colpa, anche perché conosco i suoi perché. Li conosco, anche se li ha sempre nascosti dietro al suo dolce sorriso, ed è proprio quel sorriso il perché di tutto. La fine e l'inizio, perché nell'odio si crea l'amore. Quella notte, in quel momento, ha capito che non poteva fare altro che legarsi a me, di nuovo. L'ha capito nel suo momento migliore e peggiore, nel punto più alto della sua vita e in quello più basso perché, nell'ammettere di quella necessità, ha dovuto ammettere anche altro. Ed è per questo che mi ha odiato, quella sera. Ma io non ero sicuro, di nulla. Quella verità si basava su un qualcosa di così aleatorio, irreale, che non sapevo come agire nei confronti di tutto quello che sapevo, ma di cui non ero sicuro. Perché la realtà dei fatti, quella sostenuta dallo spettro del visibile, era venuta meno e, io, non sapevo più a chi, o cosa, credere. Mi sono ritrovato a vivere due realtà, una logica e una irrazionale e, nel decidere a quale realtà affidarmi, non facevo altro che tormentarmi. Disperarmi. Rimanere nell'angolo del mio letto a piangere, per ore, perché la crudeltà di quello che era successo nella realtà condivisa da tutti si scontrava con un qualcosa di sì crudo ma diverso, speranzoso, positivo nella sua negatività ma che vedevo solo io, io soltanto. Poi, ho capito. Avevo bisogno di una prova, di un qualcosa che dimostrasse le mie teorie, un qualcosa che sostenesse la mia realtà. Un Dio che fornisce le prove ai suoi discepoli, per permettere loro di credere in lui. In una verità costruita dentro di me e senza nessuna dimostrazione pratica non potevo fare altro che chiedere una prova tangibile, di ciò che comprendevo. Perché nel continuare a vivere in due realtà non stavo più vivendo. Ma dove, e come, trovare una prova di quello che sapevo? Come dimostrare quell'odio, quell'indifferenza, quell'amore? Sembrava stupido, tra me e me, chiedere a un qualcosa di incomprensibile un qualcosa di tangibile. A chi dovevo chiederlo, poi? Potevo chiedere solo a me stesso, Dio, messia e discepolo della mia stessa religione. Ma come chiedere una prova della veridicità di un qualcosa di incontrollabile, dentro di me? Mi sembrava un cortocircuito logico, dato il mio essere vittima e carnefice della mia stessa realtà. E proprio nel comprendere l'illogicità di una richiesta del genere che pensai di non dare più retta, alle mie intuizioni. Come potevo dimostrare quella realtà agli altri? Come potevo dimostrarlo a me stesso? Per quanto avessi i risultati della mia verità, quelle che venivano meno erano proprio le formule che portavano al risultato, le fondamenta che sorreggevano la mia realtà. Ma Dio vede e provvede e, per quanto avessi abbandonato l'idea di seguire la mia verità, proprio quella stessa realtà mi diede la prova della sua veridicità, della sua concreta esistenza. Era sera. Non sapevo cosa fare, ma sapevo di non voler rimanere immerso in quella realtà così fragile alle fondamenta ma, allo stesso tempo, così solida e difficile da sopportare. Andai a camminare. Non lo facevo da tanto, non riuscivo più ad apprezzare ciò che mi circondava. La mia realtà era così totalizzante che feci fatica, anche solo ad alzare lo sguardo per scorgere i dettagli dei tetti dei palazzi addobbati per le feste. Non riuscivo più a guardare in alto, gli altri punti di vista non mi interessavano più. Decisi quindi di entrare in un pub. D'istinto, come avrei poi imparato a fare. Presi una birra e, appoggiato ad un angolo, decisi di godermi la solitudine di quel posto così pieno di persone, idee, verità e realtà che rimbombavano nell'aria ma che non volevo cogliere, poiché inutili. Quella sera sarò sembrato scontroso, arrabbiato, forse triste e patetico ma, anche con quell'aspetto, una ragazza mi si avvicinò. Aveva un fare amichevole e familiare, forse perché aveva lo stesso sorriso di mia moglie. Le offrii una birra. Lei, gentile, si prese cura di me e, io, di lei. Passammo la serata a parlare delle nostre storie, molto simili ma diverse, e della nostra vita fino a quel momento. Ci confessammo, Dio che ascolta il suo discepolo e viceversa. Ma nel trovare tanti punti in comune, molte similitudini, nel confessare le nostre verità, accadde. Una parola, che lei mi disse in risposta a quello che le raccontai di mia moglie, attirò la mia attenzione. Non ci rivedemmo più ma, per quanto mi colpii quella persona, quella parola fu fondamentale per me, come un discepolo a cui viene rivelata la verità e vede la sua vita stravolta. Fino a quel momento pensai che la mia realtà fosse individuale, unica e inimitabile, nelle sue dinamiche e nella natura delle sue intuizioni ma, per quanto lo sia e io sia convinto di non poter spiegare concretamente tutto quello che vivo ogni giorno, avevo dimenticato dell'aspetto di osservazione della realtà stessa e, di conseguenza, della mia realtà. Perché, per quanto io sia un animale in gabbia, attorno a me il mondo si muove e, per quanto questo possa sembrarmi assurdo, il mondo è in continua osservazione. E per quanto io creda che la mia realtà sia incomprensibile e renitente agli altri allo stesso tempo non è così perché, per quanto io possa crederlo, anche gli altri compongono la mia realtà, la mia verità, influenzandola nelle sue dinamiche. Quella parola mi venne a mente qualche giorno dopo, mentre osservavo l'ennesimo tramonto. Capii che non era una parola pronunciata per caso da una sconosciuta in un pub, no. Era il titolo di un racconto che, mia moglie, mi aveva ispirato. Un racconto che avevo iniziato a scrivere come sfogo per il mio dolore ma, che, non avevo concluso proprio perché quel dolore scomparve, prima di vederlo riapparire di nuovo. Ma anche perché non mi sentivo pronto, all'altezza, di quello scritto. Non era il caso di andare avanti, non era la cosa giusta. Andai nell'archivio dove tenevo i miei scritti e, mentre rileggevo le bozze, gli appunti, di quel racconto, iniziai a piangere. Mi resi conto che il me stesso del passato mi stava dicendo di credere. Di non far caso alla realtà ma credere alle intuizioni. Mi chiedeva di fermarsi, per riuscire a comprendere delle paure, dei timori, delle emozioni, di mia moglie. Mi sembrò profetico e, davanti a quella verità, mi arresi. Di fronte all'evidenza di quello che la mia realtà mi stava dicendo non potevo fare altro che questo. Dovevo arrendermi, non potevo più lottare contro quella realtà perché, per quanto potesse essere tutto frutto della mia immaginazione, non potevo fare altro che credere. Ero troppo stanco e debole, per continuare a lottare contro quella verità, così assurda ma allo stesso tempo così viva e vivida, ai miei occhi. Decisi così di dare tutto per assodato, per vero. Accettai quella verità, unica ed assoluta nella mia realtà ma incompiuta e immaginaria nella realtà degli altri e la abbracciai, per quanto non fosse nelle mie intenzioni e per quanto, questo, avrebbe poi portato a delle complicazioni. Ero seduto all'angolo più lontano di una scogliera, sotto ad un faro ricoperto di maiolica. Guardavo l'orizzonte e il mare, muoversi dolcemente in quella mattinata di fine Dicembre. Nello zaino un libro, consigliato proprio da mia moglie. Guardavo lontano, cercando di far chiarezza nei miei pensieri quando, ad un certo punto, intravedo un ragazzo e una ragazza. Erano all'altro lato della scogliera e si stavano baciando, dolcemente. O, almeno, così sembrava. Lei, infastidita, cercava di sfuggire al suo affetto in tutti i modi. Lui, paziente, la cercava e la attendeva. Con gli occhi, con le mani, con le labbra. Ma lei non voleva, no. Cercava di sfuggire al suo affetto, al suo volerla accanto. Fino a quando, insofferente, cominciò a inveire contro di lui, insultandolo. Si alzò, di scatto, per poi andarsene. L'odio, gratuito e grottesco, che quella ragazza mi trasmise mi sembrò similare all'odio che avevo provato io, in quella notte di Novembre. Allo stesso tempo, però, quella situazione mi fece riflettere. Distratto com'ero dal capire se credere o meno, stretto nelle maglie delle regole di quella nuova realtà, mi ero dimenticato di poter scegliere. Nel vedere lui, titubante, nel seguire quella ragazza o meno ricordai che potevo agire, decidere, e mi sembrò stupido arrivare a una conclusione così banale ma, in quel momento, mi sembrò una rivelazione. Per quanto fossi assoggettato dalle mie stesse intuizioni potevo decidere come sarebbero andate le cose. Nel sapere che lei mi amasse, nel prevedere che, un giorno, avrebbe bussato di nuovo alla mia porta potevo scegliere. Ma, per quanto mi sembrò rivelatorio tutto questo, in qualche modo fu anche la mia condanna. Fino a quel momento rimasi assoggettato alle verità che la mia realtà mi forniva, in maniera passiva, senza dover o poter fare qualcosa a riguardo. Ma quando compresi le potenzialità che ciò che avevo tra le mani andai nel panico. Cosa dovevo fare? Mi sembrò banale, scontato sedermi su una panchina, far dondolare le gambe e attendere che la mia realtà, comprovata soltanto da verità illogiche e irrazionali, si manifestasse. Allo stesso tempo, in quell'attesa senza data di scadenza, non potevo far finta di nulla. Sentivo la necessità di prendere una decisione, di comprendere il da farsi perché nel non farlo, nel vivere nell'incertezza di quel lasso di tempo indefinito, non avrei vissuto serenamente. Ragionai a lungo e arrivai a comprendere che, di fronte a me, avevo due scelte ugualmente dolorose perché non avevano come protagonista lei, ma la mia stessa realtà. Perché nella crudeltà di ciò che era stato nel passato, avevo intuito e compreso la bellezza di quello che sarebbe stato nel futuro, nel mio attuale presente. Io e mia moglie, nella casa che poi abbiamo acquistato. I nostri gatti, ormai morti. La libreria in comune e i miei soprannomi. Le discussioni, gli abbracci e il suo sguardo, innamorato, che mi accoglie ogni volta che torno col giornale. L'angolo dove scrivo le mie cose e dove lei, solitamente, mi attendeva quando aveva bisogno di me. Come poteva, la mia realtà, farmi intuire delle cose così importanti in quel momento, quando tutto era finito e non c'era alcuna possibilità che quelle cose accadessero? Mi sembrava assurdo, dopo quello che era successo. Una follia, un qualcosa di così fuori dalla realtà degli altri che, per quanto ci credessi, mi sembrava l'ultima cosa che potesse accadere nella mia vita, ormai segnata dalla mia stessa realtà. Ma nel mare agitato di quella follia dovevo decidere il da farsi. Di fronte a questa verità la mia scelta si riduceva ad un puro, e semplice, fidarsi. Perché potevo andare contro la mia realtà, accettando sì le mie verità ma rifiutandomi di proseguire e lasciando morire la questione, quando quello che avevo intuito sarebbe accaduto oppure accogliere la verità, raccogliere le informazioni di cui ero a conoscenza, interiorizzarle e andare avanti, con lei accanto a me. Avrei potuto rifiutare tutto questo, in nome di un dolore che mi aveva lacerato e di una difficoltà di ricostruzione che mi sembrava insormontabile, o avrei potuto accettare di fidarmi, in nome di quel qualcosa che la mia verità mi aveva fatto sembrare possibile, al dì fuori della mia logicità e di qualsiasi altra realtà. Per quanto pensai di non poter scegliere in quel momento, per quanto qualsiasi decisione potesse essere giusta e sbagliata allo stesso tempo, non potevo far altro che rimandare quel discorso a quando, la mia realtà, avrebbe agito, sia nel suo rivelarsi che nel farmi comprendere di ciò che non sapevo o non comprendevo appieno. Ma proprio nell'attesa della sua rivelazione la mia realtà agì, indisturbata. Nel non sapere cosa fare mi diede la possibilità di stare accanto a lei, anche nella sua assenza. Costringendomi a farlo, per quanto non volessi e non potessi sopportare la sua presenza ed esistenza. Due care amiche mi invitarono ad una festa. Era in un posto lontano, che non conoscevo. Ero annoiato, quella sera, e non stavo proprio benissimo. Avevo decimi di febbre, il naso che gocciolava. Decisi di andare, l'istinto mi disse di farlo. Mi ritrovai in una stradina con un monte, sopra la mia testa, quasi a proteggermi dalle avversità. Bussai, alla porta di questa sorta di palazzina. Erano lì le mie amiche, e con loro i parenti. Mi sembrò di essere al centro dell'attenzione, per un momento. Era quasi come essere in un sogno. Forse lo era. Nel raccontare di ciò che mi era successo una di loro mi prese da parte e cominciò a parlarmi. Di quanto fossi sprecato nello stare da solo, in quel momento. Di come avrei potuto trovare la felicità, se solo avessi aperto il cuore ad altre persone. Di come, col mio carattere, avrei potuto trovare in poco tempo una persona adatta a me. Cercai di spiegare quanto non fosse il caso, in quel momento, di mettermi alla ricerca di qualcuno. Non funzionò perché anche i parenti, che mi conoscevano, dissero la stessa identica cosa. Decisi di andare a prendere un po' d'aria e, dopo esser ritornato in strada, decisi di camminare. Era buio, il monte non si vedeva più, ma il rumore del mare mi richiamava e non potevo far altro che seguirlo. Mi ritrovai su una banchina. In fondo un molo e, all'angolo, seduta, una ragazza. Era mia moglie. Non poteva essere lì, in alcun modo. Eppure era lei, mi stava aspettando proprio lì. Mi sorrise per, poi, sparire. Mi sentii sereno. Sereno, nei confronti di ciò che era in quel momento e nei confronti di ciò che era stato, fino a quel momento. Sereno, anche se da quel momento in poi cominciai a vederla, dappertutto. La vedevo nei sorrisi delle ragazze che notavo, al pub. Nelle foto di altre persone. Nelle notizie, nei film che guardavo e di quello che leggevo. Nei dettagli che gli altri, mi facevano notare di me e che, lei, aveva notato prima di tutti. E notai che anche io la cercavo, in qualche modo. Perché, nell'andare avanti, la cercavo, anche solo col pensiero. La cercavo nelle cose che leggevo e di cui volevo raccontarle. Nel solo pensare di condividere quello che guardavo, scoprivo, conoscevo, ed immaginare cosa pensasse, delle cose che mi erano entrate nel cuore. E a volte immaginavo il suo sguardo, mentre leggeva uno dei miei racconti. Glieli inviavo via posta, perché volevo li tenesse lei. Perché era lei che mi ispirava. E, nell'andare avanti nella mia vita, avrei voluto raccontarle tutto. Avrei voluto telefonarla dal mio telefono analogico e raccontarle di ciò che avevo fatto e stavo facendo. Volevo renderla fiera di me, far sì che fosse felice di quello che avevo raggiunto, di quello che avevo superato ma, anche se non fosse stato così, volevo solo renderla felice. Non importava come. Mi riabituai a lei, per quanto non fosse nella mia vita. E nel farlo cominciai a fare delle cose, agendo proprio come se fosse accanto a me anche se sapevo, che quell'impegno e quello sforzo mentale, sarebbero potuti essere vani se la mia realtà non si fosse poi avverata. Ma non era più importante, a quel punto. Ero sereno nei confronti della mia realtà e di quello che ero e avevo accettato quello che era stato e, indipendentemente da ciò che sarebbe successo, andava bene così. Nella possibilità di non sentirla o vederla mai più nella vita ero riuscito a superare tutto, a perdonare e ad andare avanti. Accettare, quello che era stato ed essere in pace a riguardo, anche nei confronti di una scelta che non avevo ancora compiuto. Addirittura felice, quando riuscivo a ricordare ciò che era stato, prima di quella orribile notte di Novembre. Poi, mi telefonò.
Ogni tanto mia moglie mi chiedeva di raccontarle una fiaba. Dormiva tutto il giorno e, quando si svegliava, di sera, mi chiedeva di leggerle qualcosa. Dopo averle letto le notizie mi chiudevo nel mio studio e scrivevo, il più possibile. Cercavo di renderla felice, per quanto la sua malattia la stesse aggredendo e divorando, giorno dopo giorno. Per quanto non fosse in grado di capire appieno ciò che le dico cercavo di impegnarmi per scriverle, sempre, belle cose. Le descrivevo luoghi, persone, angoli ed orizzonti. Poco dopo quella telefonata, arrivata poco dopo quegli accadimenti, la mia realtà cominciò a tacere nei suoi confronti. Non aveva più niente da dire, avevo già tutte le informazioni di cui dovevo sapere. Ma, l'altro giorno, mentre scrivevo, è successo qualcosa. La mia realtà si è risvegliata, ricordandomi di una fiaba. Una cosa che le avevo scritto prima che lei mi telefonasse e, che, non avevo mai concluso. Non gliene avevo mai parlato, non le avevo raccontato nulla. Mi sembrava la cosa più logica da fare perché, nel tacere nei confronti di quel che sapevo, avevo incluso la prova più inconfutabile di tutte. Quella fiaba. Cercai nel mio archivio e, dopo averla trovata, mi misi subito al lavoro. Mentre lavoravo, mentre davo una forma al tutto, le leggevo i miei progressi. Lo facevo ogni sera e, nel farlo, la vedevo in sé, come non la vedevo da anni. Dopo aver letto mi sussurrava del suo amore, come non faceva da tanto. E mi veniva da sorridere perché, sapevo, sarebbe finito tutto di lì a poco. Mi ritrovo seduto, nell'angolo più remoto di camera nostra e, nel ripensare a tutto ciò che è stato, non posso fare altro che piangere. Piango, perché nel lottare contro la mia stessa realtà non ho fatto altro che arrendermi e, nel raccontarle quella fiaba, questa storia, non posso fare altro che essere felice. Felice di ciò che siamo stati, felice di aver dato ascolto alla mia realtà e aver amato, al dì fuori di ogni logica e verità che non fosse la mia.
6 notes · View notes
macabr00blog · 10 days
Text
coccodè
La mia Bestia ferita, la povera Bestia
da adorare, nell’equinozio del nostro incontro che
giace supina. La notizia incomprensibile del suo addio
quel settembre lontano,
l’automatismo delle sue braccia che si scontrano, non mi chiede
permesso o addio
e se ne va perché se ne deve andare,
quella Bestia dalla bocca infestata,
è crudele come la sua personale natura. Lascia
la provincia alle febbri infinite, crollano i palazzi
del centro per l’impiego di foreste celesti che scuotono,
le abitazioni dove una volta gli déi si spartivano
i destini dei vivi, ora dato tutto in pasto al grano
e alla pioggia, sia lodata!, alla pioggia degli
autunni che la lasciano passare.
Si alza la barriera del suono che si è trasformata
nel suo peggior nemico, la mia Bestia cerca
per terra un verme per sfamare la sua carne
e il suo sole.
Corredi natali che avanzano qui dove
un tempo sono nato io, in mezzo ai fanghi
dei primi soli di maggio, ed ora solo bambini cuscinetti
e uno strano sapore della gola di mia madre
quando mi ha partorito in una frase scomoda,
era Natale, e mi ha confessato di vergognarsi
del suo bambino da sorsi di latte. Perciò
io chiamo la Bestia quando cala l’ombra
e nel terreno scorre acqua calda
e io sono ancora un bambino che si abbevera
di quell’artificiosità, di quello che sembrava gesso,
gesso, si è rappreso nel mio stomaco.
Il potere sismico di questa terra mi ha portato a disonorare e ho iniziato a pregare troppo
tardi, una redenzione qualsiasi, una mielina spessa
e le nebbie, sacre!, e gli acari di cui ero ghiotto,
fitto fitto nella mia stanza come un
vecchio tomo reso fragile dal tempo, che nelle sue
mani ero cosi sicuro,
che nelle sue mani mi quotavano diecimila all’asta della domenica.
Finge di non conoscermi, quell’ingrata creatura,
dice che é meglio cosi,
che cosi passa una notte tranquilla, con l’ultima
speranza di poter dimenticare quello che ha
fatto. Teme le sue mani
la Bestia, perché conosce la sua razza,
e teme le mie parole, perché conosce
anche la mia. Il mio basso
rango frenetico di quando faccio finta che sia un caso
- è un caso - trovare le vene delle tubature nei suoi abitacoli
cosi simili alle mie. La parte dei suoi denti
superiori belli spessi per la mia carne,
io sono un gallo dal petto rinforzato,
puberale cosi tanto basta per sopportare un morso,
ancora adrenalinico come quando ero ragazzo e lo pregavo di
tenermi dentro la sua bocca ancora un po’.
Una carne cosi tenera, dicevo,
avevo gli occhi rivulsi di un paragrafo che eliminavo,
un padre di famiglia che finisce dritto nella
bocca di un oppioide, mia madre
che mi premiava di dolciumi secchi,
il fetore di una stanza…e il vuoto.
Sento illusivamente il mio sangue che esce
e allarga la pozza della stanza e vorrei che la Bestia
fosse una Bestia mentre il suo corpo esce dal mio,
ma è solo un amore grande,
viola fisso e illuminato davanti a me,
con i suoi occhi scuri da daino
e io che bracco un fucile e che ho le mani
che aveva suo padre quando lo ha lasciato solo alla cascina,
a cibarsi di pigne e miele, e insetti e ricordi,
di quando gli ha sparato un po’ per sbaglio
un po’ per prendere una mira sincera,
quando la Bestia teme il suo sguardo limpido
esce e se ne va.
Sta colloso per un po’ appiccicato al mio petto
e siamo un pollo e un pulcino o
un gallo e un tacchino
e siamo chiusi in una cattività
autoindotta e ci piace addomesticarci in un recinto
di venti radianti e merde chiare e bere
dalle pozze con i becchi ancora umidi.
Ama sentirsi amato quando è sul punto
di disfare lo strazio, in ginocchio, supplicando
che Dio lo lasci in pace per qualche mese o poco più.
E poi tornare alla fede e alle fiamme, una casa o due più in là, e scappare dal recinto e
tornare qui.
Quella Bestia che é la mia ma è anche di qualcun altro,
e di qualcun altro ancora, che non finirà mai di appartenere a
gentaglia altrui come un cane da guardia,
come una gallina da allevamento legata con le zampe
al suolo, espellendo uova e gridi al sale,
ferita dentro come se fosse già grigliata,
un buon brodo del suo sangue e dei suoi sogni.
E io vorrei un tempio oscuro di castagno, una lunga mano per arrivare al suo
sonno, estirpare quello che posso per mietere la
sua stessa natura di obblighi.
Ma è una Bestia qualsiasi come tante altre Bestie qualsiasi, senza dimora,
senza pensieri,
e si alza e se ne va,
conoscendo l’allerta. Conoscendo a fondo
anche me, Bestia forse come lui,
come tanti altri come noi, o forse destinato a divenirne
l’ennesimo fallimentare padrone.
Qualche chicco in più e poi
giuro
lo lascio stare.
0 notes
tuttooniente · 9 months
Text
mi faccio in tre soltanto per te, mi accoltelli e poi mi chiedi quanto bene si sta.
Necessità per me, che adoro farmi male dalla tenera età, ma una cosa la farò per te, lo so, ti regalerò il mio dolore come eredità.
0 notes
Text
🌙Ceara - La Strega dell'Arte✨
“ A Ceara basta accarezzare un foglio per far apparire il disegno più bello e, con un colpo di bacchetta, crea una copertina unendo gli elementi principali della storia. E, con la sua magia, è in grado di far assumere alla storia la forma perfetta, mettendo tutto in ordine. ”
Salve a tutti, mi presento: mi chiamo Ceara (si pronuncia proprio come "Chiara") e sono la Grafica e Illustratrice di The Witches' Spell! ✨ Amo l'arte e amo disegnare, lo faccio fin dalla tenera età e, quello che inizialmente era semplicemente un hobby, è diventato poi il mio lavoro, che ormai faccio da due anni! Sono una strega pagana e il mio animale guida è il Cervo, infatti mi firmerò "🦌🌙"! Sono appassionata di folklore e mitologia (italiana principalmente, ma anche nord europea, asiatica, nativa americana e dell'antico egitto) e trovo ispirazione soprattutto nei temi fantasy e nella natura! ✨
🌑🌑🌑
0 notes
cycktok · 1 year
Text
19 gennaio
Al ritorno non capisco in che binario sia il treno e se sia già arrivato, così chiedo a una tipa lì. Nemmeno lei sa niente e iniziamo a fare conversazione. Era capitato più volte anche a lei sta cosa di non capire il posto. Una volta realizzato, saliamo entrambi su quello giusto. Inizia a parlare in modo che sfiora il logorroico, ma è altresì simpatica in realtà; due anni in più, lei me ne avrebbe dati almeno 3 in più di quelli che ho. Lol, insomma, mettetevi d'accordo tutti quanti voi, per chi dice ne dimostro meno1!1. Era andata a fare un esame dell'uni, in presenza solo per dare gli esami. Si sarebbe dovuta affrontare 2h di treno così la mia presenza le ha dato un po' di compagnia. In una famiglia da 8, nel week end va a lavorare al supermercato per tirarsi su qualche soldo dal momento che deve raccattarne. Discutiamo di quanto le generazioni siano cambiate, e che lei, a differenza delle 14 enni di ora, faceva gli incantesimi coi vermi e la smalta per dare il malocchio. Si è appena presa l'iPhone per la prima volta, con gli sconti che ha il padre di dove lavora. Viene fuori un discorso di come le madri e padri di oggi, oltre a concedere il cellulare in tenera età, permettano alle figlie di prendere la pillola già a 15 anni, convinte che debbano già sfruttarla, e per questo motivo le crescano le bocce in maniera improvvisa. La mia fermata è a meno du 20 minuti da Fe per cui mi faccio dire l'IG e dopo averla salutata dandole un 5 (bo😂😂cringissima sta roba), le dico che le avrei scritto se si fosse annoiata da sola nel caso.
(In realtà sono usciti tanti di quei discorsi che non mi ricordo nemmeno).
{Era un 8.5}
Fine.
0 notes
ilmerlomaschio · 3 years
Text
Tumblr media
Sensations
Just_a_miss/Wattpad
Angel
Seduti in quel treno non riuscivo a crederci che finalmente avrei visitato Venezia con lui. Purtroppo non eravamo coi nostri amici e questo non faceva altro che da un lato, riempirmi di domande e timori, mentre dall'altro ero super eccitata e curiosa. Il piano o programma era semplice: trascorrere la nottata a chiacchierare di libri, musica, insomma, farci trasportare dal dolce silenzio della notte.
La casa era semplicemente perfetta. Al centro vi era un'enorme scala in legno scuro contornata da candide pareti bianche che portava alla mansarda con diverse camere da letto. Scelsi quella con il letto più grande, una tenera mansarda bianca in lego molto romantica, sembrava la classica camera che viene descritta in quei classici libri rosa. Pensai che se avessi dovuto passare una notte speciale avrei desiderato farlo solo in quella stanza.
Trascorriamo il pomeriggio ad ammirare una pittoresca ed affollata Venezia senza mai far sfiorare i nostri corpi che si attraggono come calamite. Il sole cala in fretta, impaziente quasi quanto me di ciò che sarebbe sbocciato quella sera, lasciando posto ad una spettacolare luna piena.
Dopo ore interminabili rientriamo nel nostro appartamento, chiacchieriamo tutti insieme in salone. Ci prepariamo per la notte e con un senso di calma nel cuore che poco mi appartiene, auguro una serena notte a tutti ricevendo da lui, un sorrisino sghembo ed uno sguardo pieno di promesse. Lentamente salgo le scale ed entro in camera pronta a leggere il continuo di quel libro che non ero mai riuscita a trovare, dopo ore interminabili sento il telefono vibrare. Sul mio viso compare un sorriso nel leggere il suo nome sullo schermo del telefono:
#Hai sonno? Io potrei metterci un pò.#
# Tranquillo#
#sicura?#
# si, riesco ancora a resistere#
#spero di resistere anch'io, sennò mi tocca venire da te nel cuore della notte#
Istintivamente leggo quel messaggio come se me lo stesse sussurrando all'orecchio col suo tono di voce caldo, profondo. Butto istintivamente la testa sul cuscino e un senso di calore inizia ad impossessarsi del mio corpo, mi mordo il labbro inferiore, faccio un bel respiro per calmare i battiti lievemente accellerati del mio cuore e rispondo incredula
#addirittura? ahahah#
#E per forza! È l'unico modo per stare da soli#
E non aveva torto, di giorno eravamo sempre pieni d'impegni, troppe persone intorno e poi la notte è perfetta. E' il momento della giornata che preferisco, c'è silenzio, tutti i muri che si alzano durante il giorno, la notte cadono rompendosi in mille pezzi mettendo a nudo la nostra essenza, i nostri timori, i nostri segreti più oscuri permettendoci di parlare senza filtri, inibizioni, senza paura d'essere giudicati.
#si, effettivamente hai ragione..#
Chiacchieriamo ancora per un pò prima di riposare il telefono ed attendere impaziente il suo ingresso nella mia stanza.
Il tempo trascorreva veloce, il cuore mi batteva all'impazzata mentre la mia mente creava mille scenari di noi due prima di fammi cadere nelle dolci braccia di Morfeo sognando degli occhi malinconici color nocciola.
Sento delle mani accarezzarmi il viso con una delicatezza tale da non sembrarmi reale, le sento poi posarsi su una ribelle ciocca di capelli e spostarsi dietro al mio orecchio, delle caldi labbra posarsi all'angolo della mia bocca e con una lentezza frustrante allontanarsi. Involontariamente mi lamento nel non sentire più quel delicato tocco, mi giro lentamente ed apro gli occhi ritrovandomi lui, il mio angelo, col viso a pochi centimentri dal mio ed uno sguardo capace di leggermi dentro e spogliarmi da ogni timore ed insicurezza.
"ben svegliata" mi sussurra calmo "Sei davvero qui!?" lo guardo sorridendo incredula "Non avrei mai potuto non condividere con te questa notte". Gli faccio spazio sotto le coperte bianche, prontamente coglie la mia muta richiesta stendendosi accanto a me e con la testa poggiata su una mano mi osserva divertito.
Siamo vicinissimi, resto stesa mentre continuo a perdermi nei suoi occhi, il suo respiro mi solletica il viso e, per un tempo che sembra apparirmi eterno, allunga una mano sul mio fianco scoperto, sento subito quel familiare senso di calore tornare ad impossessarsi di ogni centimetro del mio corpo, lo guardo passarsi la lingua sulle labbra ed i suoi occhi posarsi sulle mie mentre la sua mano disegna dei cerchi spostandosi più in alto sotto la maglia fine.
"Allora, cosa ti va di fare?" mi chiede in un sussurro
"hm..non saprei, a te cosa va di fare?"
La sua mano si ferma di colpo, si bagna nuovamente le labbra per poi avvicinarsi lentamente al mio viso "avrei qualche idea.." fa una breve pausa per far incrociare i nostri occhi "ma prima.."
Il cuore sembra volermi uscir fuori dal petto, attendevo quel momento da tutta la giornata e solo quando fa scontrare le nostre labbra attirandomi ancora più a se con un braccio, finalmente mi sento, stranamente, a casa, in pace col mondo intero.
Le mie mani si postano una sul suo collo e l'altra a tirare lievemente i suoi capelli in un pugno per attirarlo di più a me, schiudo le labbra concedendogli l'accesso. Il bacio si fa sempre più intenso e passionale mentre la sua mano scende lungo la mia gamba e portarla sul suo fianco. I nostri bacini si scontrano facendomi gemere sulle sue labbra, fa aderire perfettamente il mio corpo al suo facendo crescere in me il desiderio d'essere sua. Ora. Subito.
Si stacca lievemente dalle mie labbra lasciandomi disorientata, col respiro affannato e cosi tanto bisognosa nuovamente di quel contatto.
"Tu non puoi immaginare quanto ti ho desiderata" mi sussurra con voce ancora più bassa e profonda mentre si posiziona sopra di me "Non sai quanto ho desiderato sfiorarti e.." fa scendere lentamente una mano dal mio collo fino all'elastico della mia tuta rossa. Un violento brivido si impossessa del mio corpo nonappena la sua mano scende sotto l'elastico "...farti dannatamente mia"
"Oddio.. il tuo tocco mi fa sentire cos.." non riesco a terminare la frase che un flebile gemito lascia le mie labbra appena la sua mano scende decisa a sfiorare il mio sesso. Il suo sguardo è pieno di lussuria, mi mordo il labbro bisognosa di maggior contatto mentre sussurro il suo nome boccheggiando. "Sei cosi bagnata.." sento un suo dito entrare in me e d'istinto inarco la schiena gemendo col respiro quasi affannato. Lui si fionda sulle mie labbra mordendole e baciandomi con un desiderio mai sentito prima mentre la sua mano si muove sempre più velocemente dentro me.
Senza staccarmi da quel bacio faccio scendere una mano lungo la sua schiena graffiandola lievemente per poi sfiorare la sua possente erezione da sopra il tessuto della tuta grigia. Sento il suo cuore pulsare all'impazzata mentre continuo a gemere sulle sue labbra, il respiro diventa sempre più pesante ed il bacio si fa sempre più intenso. Appena gli abbasso il pantalone liberando il suo membro per poterlo accarezzare meglio, si stacca dalle mie labbra, ci fissiamo negli occhi per un tempo interminabile mentre con molta lentezza lo stuzzico ed accarezzo "cazzo, ti voglio adesso." mi sussurra impaziente, gli sorrido di rimando inarcando nuovamente la schiena appena tocca un punto preciso dentro me "ti.. ti prego.." incapace di parlare, chiudo gli occhi per godermi appieno quella sensazione di pienezza e libero un'altro gemito.
"oh si piccola, ci sei" prima che la mia mano iniziasse a muoversi con più decisione sul suo membro, si inginocchia davanti a me liberandomi dagli indumenti per poi far scendere la sua lingua sul mio clitoride in una dolce e piacevole tortura. I miei gemiti si fanno più forti mentre una mia mano stringe il lezuolo sotto di noi, l'altra corre a stringere i suoi capelli in un pugno. La sua lingua continua a formare dei cerchi mentre le sue dita continuano a muoversi dentro di me fin quando non incastra lo sguardo nel mio e mi sussurra con voce grutturale "vieni per me, vieni ora.. per me ti prego". Chiudo istintivamente gli occhi "No piccola, guardami, incastra quei stupendi occhi verdi nei miei. Vieni per me"
Davanti a quella richiesta il mio corpo viene pervaso da mille brividi, le mie pareti iniziano a stringersi intorno alle sue dita ed un'istante prima di esplodere in quel violento orgasmo allontana le sue mani da me. Apro di scatto gli occhi incredula per vederlo sorridere e con una sensualità disarmante togliersi gli indumenti mostrandomi la sua pelle macchiata d'inchiostro nero. Entra in me con decisione per poi fermarsi per far si che mi abitui alla sua grandezza "sei cosi stretta piccola mia"
Il mio bacino istintivamente si muove lievemente incapace di stare fermo ad aspettare, bisognoso di sentire un piacere mai provato prima "ti prego ho bisogno di sentirti" lo supplico "cazzo sei cosi.." davanti alla mia richiesta inizia a muoversi con decisione facendomi urlare di piacere.
Scende a baciarmi avidamente il collo e a lasciarci qualche morso fino a scendere a stuzzicare i miei capezzoli turgidi, mentre le mie mani gli accarezzano e graffiano la schiena "sei cosi perfetta cucciola, fatti sentire".
Gemo, incapace di dire qualsiasi cosa. Sapeva che mi stava facendo impazzire e questo lo divertiva tantissimo.
Dopo minuti interminabili mi faccio coraggio e capovolgo la situazione mettenomi io sopra di lui e comandare il gioco soprendendolo non poco. Mi lascia fare sorridendo e mordendosi il labbro appena inizio a muovermi lentamente. Il suo sguardo e le sue mani vagano su tutto il mio corpo incendiandolo, bruciandolo. Facendomi sentire come una dea greca e cavoli.. lui lo era, un dio greco, un angelo, con i suoi meravigliosi pettorali, le braccia possenti, un tocco capace di mandarmi in estasi, i capelli spettinati e la pelle perlata di sudore. Lo sento fremere sempre di più a causa dei miei movimenti lenti, fa scendere le mani sui miei fianchi stringendoli e accompagnando i mie movimenti con più decisione. Mi faccio condurre da lui e lo vedo buttare la testa all'indietro e gemere forte, aumento il ritmo inclinandomi lievemente in avanti per stringere una mia minuscola mano intorno al suo collo, quel gesto gli fa aprire di scatto gli occhi, alza la schiena per sedersi, circonda le sue possenti braccia intorno alla mia schiena...
....la mia mano ancora ben salda intorno alla sua gola mentre entrambi godiamo e ci sussurriamo parole dolci. Mi muovo sempre più veloce, con maggiore decisione, la sua presa è sempre più salda intorno al mio corpo, nella stanza riecheggiano solo i nostri respiri pesanti spezzati dal suono dei nostri baci, del nostro cuore che batteva all'impazzata e da qualche gemito strozzato per non svegliare nessuno in casa.
"Dimmi che sei mia o potrei anche impazzire" "sono tua, incondizionatamente tua" dopo questi sussurri ed un ultimo dolce bacio esplodiamo, cerco i suoi occhi per godermi appieno quel momento magico e non tardo a trovarli e ad osservare il suo viso rilassato, gli occhi lucidi e la sua perfetta bocca lievemente aperta mentre geme a pochi centimetri dal mio viso. Rimaniamo li, abbracciati a riprendere fiato e a sorridere per un tempo interminabile prima di rimetterci sotto le coperte, nudi da ogni singola cosa, ad accarezzarci e a goderci il silenzio della notte.
21 notes · View notes
sciatu · 3 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Buono, ... Molto buono...
“Ecco vede – fece l’Uomo-sicuro-di-se mostrando il cellulare – ho chiamato alle 13:00 poi alle 13:15 e infine si è degnato di rispondermi alle 13:30 e mi ha prenotato per stasera alle 20:00! Guardi, guardi l’ora e il numero” E l’Uomo-sicuro-di-se mostrò con orgoglio il cellulare con grande approvazione della comitiva per cui aveva prenotata, costituita da lui, tre uomini molto particolari nel vestire e nell’aspetto, due donne dalle forme generose e due bambine che da grandi sarebbero state delle brave casalinghe altolocate. Il cameriere, che con le sue movenze alla Nino Manfredi ed il volto allungato con occhiali rondi e capelli dritti sparati verso l’alto come il suonatore cieco di Amarcord, osservò il telefono preoccupato dall’idea di aver detto di si a quella comitiva che avrebbe oltremodo riempito la piccola trattoria già al completo che gestiva con la moglie. Guardò con attenzione poi senza dire una parola prese da un tavolo vicino una tovaglietta di carta dove oltre che al menù era riportato il numero di telefono della trattoria. “Guardi pero che il suo numero non è il mio, il numero della trattoria è diverso” L’uomo-sicuro-di-sé guardò i due numeri sul cellulare e sulla tovaglietta e impallidì. Incominciò a muovere le dita sul telefonino fino a che alzò lo sguardo e disse alla comitiva “Soccia ragà ho chiamato la trattoria con lo stesso nome di questa a duecento chilometri da qua” “Soccia se partiamo adesso arriviamo per quando chiude” Disse quello della comitiva con la faccia meno sveglia Vuoi dire che non hai prenotato?” Chiese la donna con la faccia più cattiva “Mamma ho fame!” fece la bambina con la faccia più sveglia “Non ci può far mangiare qualcosa di veloce?” Chiese la donna con la faccia da madre Il cameriere li guardò con il suo sguardo tra lo stralunato ed il geniale “Vado a chiedere alla Franzesca” E scomparve saltellando dentro la trattoria lasciando gli otto sullo stretto marciapiede occupato dai piccoli tavoli del locale. “Meno male che hai prenotato” Mi disse compiaciuta La Moglie seduta accanto a me su uno dei tavolini posti sul marciapiede. Mentre l’uomo-sicuro-di-se telefonava al ristorante posto duecento chilometri più in là per disdire la prenotazione e sfuggire così al linciaggio, per ora morale, del resto della comitiva. Il cameriere uscì saltellando “La Franzesca ha detto che potete restare, ma vi dovete accontentare di quello che c’è….” Il gruppo acconsentì con entusiasmo ed incominciò ad unire i piccoli tavoli. Il cameriere saltellò fino a noi e chiese “allora siete pronti ad ordinare? Posso dirvi..” “veramente sappiamo già cosa chiedere” Feci mostrando il telefonino con la stessa coglionesca superiorità che aveva mostrato prima l’Uomo-sicuro-di-se. “ah va bene – fece con un po' di delusione il testimonial di Amarcord – però volevo dirvi che la Franzesca ha fatto i fusilli freschi e li serviamo con un sugo rosso che poi è un sugo allo scoglio…” Visioni celestiali apparvero improvvisamente come miraggi di cascate nel mezzo del deserto. “ Va bene, allora antipasto al tagliere e i fusilli freschi per me, per mia moglie … cosa vuoi?” “No, pasta no, prendo la bistecca di tonno” La guardai stupito. Noi siciliani abbiamo la presunzione che solo nella nostra isola si sappia cucinare il tonno o il pescespada e che fuori dall’ isola si spacci per tonno o pescespada del miserrimo pesce da taglio qualsiasi. “Va bhe” faccio scettico e rassegnato alle prossime critiche. Mentre aspettiamo appare improvvisa la cuoca che con fare leggero, malgrado le sue forme tonde, appoggia sul tavolo un sacchetto pieno di Piada Ci guarda sorridendo con il suo volto di luna piena “Un po' di Piada calda” ci fa sorridendo con un sussurro che sa di vento della primavera e scompare, lasciando un profumo caldo e una Piada a pezzi soffice e tenera, tiepida come la guancia di una bimba. La Moglie parte spedita e divorando le prime fette commenta “Buona, molto buona!” D’improvviso appare il cameriere portando un tagliere enorme “C’è il salame che facciamo noi, quello di cinghiale, la mortadella, il prosiutto – noi osserviamo stupiti come bambini di fronte ai regali sotto l’albero di Natale – C’è il Museruolo (?) che facciamo noi, i crostini con la cipolla di Tropea, quella dolce e l’aglio..” “Scusi ma l’aglio… non è pesante?” “No stia tranquillo, è una ricetta tradizionale, non le darà fastidio e non le rovinerà l’alito” Ci lascia e mentre scatto le foto, la moglie assaggia il salame di cinghiale. “Buono … molto buono!” e parte all’attacco prendendo ancora salame, poi prosciutto, cipolla e spalmando squacquerone sulla Piada tiepida” Recupero terreno afferrando la mortadella e avvolgendone la Piada e ingoiandola con lasciva voluttà! La sensualità della mortadella è sempre incredibile! Quella poi era perfettamente rosea come le cosce interne di una donna, era morbida come le sue labbra, grassa come il piacere che poteva dare a stringerla e lo squacquerone era la bianca morbida alcova in cui amarla. Mentre io amoreggiavo con la passionale motadellona, La Moglie spazzolava il salame al cinghiale, divorava il prosciutto, decimava il salame di casa e quello strano grasso Museruolo che non sapevamo cosa fosse, ma che trasudava peccaminoso grasso e colava piacere in ogni sua piccola parte. Presto l’ultima rosea fetta di mortadella e di profumato salame casalingo sparirono e restò l’aglio a guardarci nel suo bagno di puro olio e peperoncino “Proviamolo” Dissi fiducioso e ne assaggiare uno spicchio seguito falla moglie “Lo spicchio scrocchio in buca senza rilasciare il suo terribile gusto aglioso. “Buono” Feci contento “Molto buono” Fece la moglie stupita, e via a riempirsi il piatto di quelle perle scrocchiantose e delicate. Intanto l’uomo-sicuro-di-se e il resto della compagnia attendevano fiduciosi seduti come bravi scolaretti ai piccoli tavoli della trattoria. Arrivò il cameriere e depose di fronte alla moglie una delicata fetta di tonno mostrandomi un piatto colmi di gnocchi ricoperti da un traslucido velo fatto con il sangiovese e piccole isole di salsiccia arrossata dal vino disposte a caso tra le onde formate dalle rotondità della pasta di patate: un capolavoro. Ero tentato di prenderlo ma esitando osai dire “Veramente ho ordinato i fusilli” L’omino spalancò gli occhi terrorizzato per lo sbaglio fatto. Scomparve saltando via La moglie osservò la bistecca. La studiò poi con la punta della forchetta ne prese un piccolo pezzo portandolo alla bocca. Mi osservò stupita. L’osservai anch’io stupito e timoroso di una sua reazione negativa. “È buono?” “È buono – fece lei stupita – molto buono” E zac via una fetta di tonno. L’osservo speranzoso che la dividesse con me, invece via, ingoiata e subito una morbida fetta di Piada a cancellare i residui di olio e tonno rimasti nel piatto. Arrivò il piatto di fusilli che era un’apoteosi di profumi di mare. Presi un fusillo e dopo averlo avvolto nella forchetta lo mangiai. Era delicatissimo, come la pasta che mia madre faceva in casa la domenica, che quasi si scioglieva in bocca. Non esitai più! Immersi la forchetta nel groviglio di pasta e ne tirai su una forchettata degna di quella di Alberto Sordi in ‘Un americano a Roma’ “Wuofff” Fece in quel momento Dino, il nostro barboncino che destato dal profumo mi osservava seduto dal mio lato con fare serio e determinato “ Ma come – mi stava dicendo – e a me niente” “Ah fame – disse La Moglie che è l’avvocato di Dino – guarda come ti guarda, non ti fa pena? Dagliene un po'” E prendendo la ciotola portabile di silicone l’aprì e me la porse perché la riempissi. Misi un po' di pasta  e spostai verso di me il piatto come a difenderlo. “Guarda come mangia gli piace“ Fece contenta la moglie “ dagliene ancora” e zac si ruba un'altra forchettata di pasta divina e dolcissima, immersa in quel sugo di cozze e vongole che avrebbe fatto resuscitare anche Fellini. Finii velocemente pulendo il piatto con la Piada e la bocca con un bicchiere di bianco frizzante. Pagammo e ci avviammo mentre sui tavoli della comitiva si adagiava un enorme pastiera colma di fusilli casarecci, di cozze, vongole e scampi. “Mamma è buona …” Fece una bambina che aveva afferrato un lungo fusillo divorandolo. La seconda bambina fece la stessa cosa e aggiunse “Molto buona….” “Wuofff” Aggiunse Dino a confermare l’entusiasmo infantile che la pasta aveva suscitato.
15 notes · View notes