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#fausto grossi
39zipfel · 2 years
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lamilanomagazine · 1 year
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Pistoia: San Bartolomeo, la festa dei bambini mercoledì e giovedì, il 24 agosto Musei Civici con ingresso gratuito
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Pistoia: San Bartolomeo, la festa dei bambini mercoledì e giovedì, il 24 agosto Musei Civici con ingresso gratuito. Da tanto tempo, anno dopo anno, si rinnova uno tra gli eventi più attesi dell'estate pistoiese, la Festa di San Bartolomeo, protettore dei bambini. Una celebrazione molto sentita e partecipata dalla città, che alterna momenti liturgici a momenti di divertimento dedicati ai più piccoli, con la presenza nell'area di piazza San Bartolomeo del tradizionale mercato dei banchi di giocattoli e dolci con l'immancabile "corona di San Bartolomeo" realizzata con grossi biscotti di pasta frolla chiamati "pippi", alternati a confetti e cioccolatini, che viene messa al collo dei bambini. Una golosità tipicamente pistoiese. I festeggiamenti si apriranno mercoledì 23 agosto alle 17.30 con i primi vespri e la benedizione dell'olio, alle 19 si prosegue con la Santa Messa e la benedizione dei fedeli fino alle ore 23 nella chiesa di San Bartolomeo. Giovedì 24 agosto è prevista la celebrazione di tre Sante Messe sempre nella chiesa dedicata all'apostolo Bartolomeo: la prima alle 8, la seconda alle 10 celebrata dal vescovo di Pistoia Fausto Tardelli e la terza alle 19. Le benedizioni, che si interromperanno solo durante le celebrazioni, andranno avanti fino alle 13 e poi riprenderanno alle 15.30 per terminare alle ore 23. Durante la festa nel giardino della chiesa di San Bartolomeo è prevista l'animazione per bambini e come sempre intorno a piazza San Bartolomeo, sia mercoledì che giovedì, saranno presenti i banchi dei chicci e dei giocattoli. In occasione della Festa di San Bartolomeo, i Musei Civici saranno aperti con ingresso gratuito. Giovedì 24 agosto, il Museo Civico d'arte antica del Palazzo comunale, il Museo dello Spedale del Ceppo e il Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni saranno aperti al pubblico dalle ore 15 alle 19. Per informazioni: sito web musei.comune.pistoia.it, pagina Facebook Musei Civici Pistoia e Instagram museicivicipistoia. Modifiche alla viabilità. Per permettere l'allestimento e lo svolgimento della tradizionale festa, saranno adottati alcuni provvedimenti alla viabilità. Lunedì 21 agosto, dalle 8 alle 18, in piazza San Bartolomeo, via San Bartolomeo, via Porta San Marco, (tratto da piazza San Bartolomeo al nc. 7) e via Filippo Pacini (tratto da Vicolo Villani a via San Bartolomeo) sarà istituito il divieto di sosta con rimozione forzata per tutti i veicoli al fine di consentire le operazioni di segnatura degli spazi occupati dai banchi. Dalle ore 14 di mercoledì 23 agosto fino alle ore 01.30 di venerdì 25 agosto saranno in vigore i seguenti provvedimenti: In piazza San Bartolomeo, via San Bartolomeo, via porta Guidi, Vicolo Ombroso, via Porta al Pantano (tratto da piazza San Bartolomeo a via Trenfuni) e via Porta San Marco (tratto da piazza San Bartolomeo a Vicolo Chiappettini) sarà in vigore il divieto di sosta con rimozione forzata e istituito il divieto di transito per tutti i veicoli per consentire l'allestimento e il regolare svolgimento della manifestazione, compreso montaggio e smontaggio degli stand. Il traffico sarà deviato sul percorso alternativo indicato attraverso via Filippo Pacini, via San Pietro e via dei Baroni. In via Porta al Pantano (tratto da via dei Baroni a via Trenfuni) sarà temporaneamente invertito il senso di circolazione nella sola direzione via dei Baroni - via Trenfuni. In via Filippo Pacini (tratto da Vicolo Villani a Vicolo Gora) sarà istituito il divieto di sosta con rimozione forzata. Sul posto sarà presente la segnaletica di preavviso.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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mariamorisot · 7 years
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Fausto Grossi - Untitled
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Fausto Grossi - Untitled
It’s time It’s time to It’time to rest It’s time to fight It’s time to finish It’s time to r-exist It’s time to shut up It’s time to suspend It’s time to go forward It’s time to communicate It’s time to go to nothing It’s time to go nowhere It’s time to visualize It’s time to share It’s time to go It’s time to It’s time It is Is I
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passione-vera · 2 years
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Gli AveQuasar presentano il loro album d'esordio "AQ"
Gli AveQuasar presentano il loro album d’esordio “AQ”
Ecco il primo album degli Ave Quasàr dal titolo “AQ”. Un disco che nasce in duo, da Luca Grossi e Fausto Franchini, abili miscelatori di generi e che in questo disco racchiudono influenze che vanno dall’elettronica all’alternative degli anni Novanta, un disco che il duo descrive come : “la nostra libertà creativa dopo varie esperienze con formazioni problematiche. Abbiamo cercato di piegare…
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koufax73 · 2 years
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Ave Quasàr, "AQ": recensione e streaming
Esce per Ohimeme (www.ohimeme.com) e in distribuzione Artist First il primo album degli Ave Quasàr dal titolo "AQ"
Esce per Ohimeme (www.ohimeme.com) e in distribuzione Artist First il primo album degli Ave Quasàr dal titolo AQ. Un disco che nasce in duo, da Luca Grossi e Fausto Franchini, miscelatori di generi e che in questo disco racchiudono influenze che vanno dall’elettronica all’alternative degli anni Novanta, un disco che il duo descrive come “la nostra libertà creativa dopo varie esperienze con…
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francescafiorini · 2 years
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"AQ" è l'album di debutto degli Ave Quasàr
“AQ” è l’album di debutto degli Ave Quasàr
Esce venerdì 22 aprile 2022 per Ohimeme www.ohimeme.com (e in distribuzione Artist First) il primo album degli Ave Quasàr dal titolo “AQ”. Un disco che nasce in duo, da Luca Grossi e Fausto Franchini, abili miscelatori di generi e che in questo disco racchiudono influenze che vanno dall’elettronica all’alternative degli anni Novanta, un disco che il duo descrive come “la nostra libertà creativa…
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sciscianonotizie · 3 years
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Franco Micalizzi “Uno scrigno di perle per la delizia del ricordo di mille fantastici amori e le trepide emozioni della vita”
feat. Cristiana Polegri
il nuovo album
dal 25 marzo in digitale
Dal 25 marzo in tutti gli store e sulle piattaforme arriva “Uno scrigno di perle per la delizia del ricordo di mille fantastici amori e le trepide emozioni della vita” (New Team Music / Believe), l’album che Franco Micalizzi ha pensato per la dolce e musicale voce di Cristiana Polegri.
“Ci sono voluti un po’ di mesi per realizzarlo – racconta Franco Micalizzi – perché ogni tanto gli impegni di Cristiana ed i miei ci hanno fermato. Ma sul piano realizzativo è andato tutto liscio, c’è stata una bella intesa di vedute. Nel corso della lavorazione è stato facile scegliere la tracklist, mentre il titolo nasce da una mia suggestione ispirata dalla bellissima atmosfera delle esecuzioni e dal fatto che non farò mai più titoli brevi, dando così spunto al grafico Roberto Mosolo che, anche lui, captando le suggestioni che arrivavano dalle canzoni ha preparato un progetto di copertina che ci è molto piaciuto. Ci tengo a ringraziare prima di tutto lei, Cristiana Polegri,  poi il mio irrinunciabile sound engineer Brando Mennella, gli autori dei testi che sono  la famosa Carla Vistarini, quanti successi, e ancora l’altro fantastico autore Chuck Rolando anche lui, ben noto, per i testi in lingua Inglese e poi ringrazio me stesso per il genere di canzoni scritte in un momento diciamo… blu.” 
Questa la tracklist dell’album: “April Moon”, “I fly”, “Meu bebè amor”, “Another spring day”, “Slow burning love”, “A day in the sun”, “You make it easy”, “Foglie di tè”, “Canto l’incanto”, “Ragazzo di strada”, “Lupin” e “Mon amour bonjour”.
Cristiana Polegri
Cristiana Polegri ha iniziato a studiare il pianoforte all’età di 10 anni per poi appassionarsi allo studio del sassofono alla Scuola Popolare di Musica al Testaccio di Roma. Benché si sia laureata a pieni voti in Economia e Commercio non ha mai abbandonato la passione per la musica e per l’arte in generale che l’ha portata infatti non solo al conseguimento del diploma di sassofono in Conservatorio ma anche a frequentare stages internazionali di jazz di canto e di sassofono con Mike Westbrook, Dave Liebman, Gary Burton, Maurizio Giammarco, Danilo Rea, Giovanni Tommaso ecc. Ha studiato canto e recitazione con Donatella Pandimiglio, Simona Patitucci ed Antonella De Grossi e allo IALS, ha frequentato corsi di danza funky e jazz con Marco Ierva. Ha studiato recitazione, partecipato allo stage “Acting on camera” del regista Alessandro Capone, ed allo Stage di recitazione di Michele Placido. È vocal coach ed insegnante di musica e di sassofono. Nel corso degli anni collabora, suonando e cantando in tour con numerosi artisti tra cui Mario Biondi, Franco Califano,  Massimo Ranieri, Stefano Palatresi, Marco Armani, Little Tony, Marcello Cirillo, Gianluca Terranova, Charlie Cannon, Marcella Bella, Fausto Leali, Barbara Eramo, Carolina Brandes (Omp). E ha inciso cantando per varie produzioni discografiche  di Francesco De Gregori, Loredana Bertè, Riccardo Fogli, Mario Biondi, Anna Tatangelo, Tormento e altri. Ha pubblicato il suo primo album da solista “Bindinjazz” sulla musica di Umberto Bindi rivisitata in chiave jazzistica, per il quale è stata ospitata  all’Auditorium Parco della Musica, al Catanzaro jazz festival, alla Palma Club. Ha tenuto un concerto in diretta Radio Rai tre “La stanza della musica” dalla sala A della Rai di via Asiago 10, alla Casa del Jazz, all’Argo jazz festival di Marina di Pisticci, al Mantova Music Festival in occasione della serata di apertura dedicata a Bindi. In quella occasione sullo stesso palco con Franco Battiato, Antonella Ruggiero, Morgan, Renato Sellani, Bruno Lauzi, Ricky Gianco, Gino Paoli. È stata invitata alla seconda edizione del “Premio Bindi” di Santa Margherita Ligure come ospite e giurata. Ha ricevuto il premio speciale ‘Roses Choice 2006’ presso il Museo internazionale della donna nell’arte di Scontrone (Aquila), ed è stata ospite del Teatro della Tosse di Genova in una serata concerto in omaggio a Umberto Bindi “Il mio concerto”. Nel 2016 ha realizzato il suo primo spettacolo di Teatro Canzone dal titolo “Brava, Suoni come un uomo!” scritto insieme a Stefano Fresi, Toni Fornari, Dado. Regia di Emiliano Luccisano, spettacolo che la vede coinvolta a tutto tondo come attrice, cantante, musicista e ballerina. Ha lanciato il suo doppio album dal titolo “Qualcosa è cambiato”, con Irma Records, dedicato alla musica italiana anni ’80 ed il disco “Two girls from Ipanema”, dedicato alla musica brasiliana, realizzato in duo con Giò Marinuzzi. Oltre ad essere cantautrice, scrivere canzoni anche per altri, è anche insegnante di canto, doppiaggio cantato e teoria musicale. Il 13 luglio 2021 ha pubblicato “Meu Bebè Amor” singolo prodotto da Franco Micalizzi. Il 25 marzo 2022 esce “Uno scrigno di perle per la delizia del ricordo di mille fantastici amori e le trepide emozioni della vita” l’album che Franco Micalizzi ha pensato per lei e la sua voce, pubblicato da New Team Music.
https://www.facebook.com/Cristiana-Polegri-860494690664498
https://instagram.com/cristianapolegri
https://www.facebook.com/FrancoMicalizzi.it
https://www.instagram.com/newteammusicofficial/
source https://www.ilmonito.it/franco-micalizzi-uno-scrigno-di-perle-per-la-delizia-del-ricordo-di-mille-fantastici-amori-e-le-trepide-emozioni-della-vita/
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luha2013 · 3 years
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Ornella Vanoni….
La Vanoni è una delle artiste italiane dalla carriera più longeva: in attività dal 1956, con la pubblicazione di circa 112 lavori (tra album, EP e raccolte) è considerata tra le più grandi interpreti della musica leggera italiana, oltre che una tra le cantanti più vendute con oltre 65 milioni di dischi.
Dotata di uno stile interpretativo molto personale e sofisticato, che le conferisce una timbrica vocale fortemente riconoscibile, Ornella Vanoni vanta un ampio e poliedrico repertorio, che spazia dalle Canzoni della mala degli esordi al pop d'autore, alla bossa nova (storica la realizzazione insieme a Toquinho e Vinícius de Moraes dell'album La voglia la pazzia l'incoscienza l'allegria nel 1976 inserito nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo Rolling Stone Italia alla posizione numero 76) e al jazz.
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Durante la sua carriera sessantennale hanno scritto per lei molti tra i più importanti autori, non solo italiani, e collaborato con artisti del calibro di Gino Paoli, New Trolls, Paolo Conte, Fabrizio De André, Ivano Fossati, Lucio Dalla, Sergio Bardotti, Mogol, Giorgio Calabrese, Franco Califano, Bruno Lauzi, Grazia Di Michele, Renato Zero, Riccardo Cocciante, Bungaro, Pacifico e Carmen Consoli.
Ha partecipato a otto edizioni del Festival di Sanremo, raggiungendo il 2º posto nel 1968 (con Casa bianca) e piazzandosi per ben tre volte al 4º posto, nel 1967 (con La musica è finita), nel 1970 (con Eternità) e nel 1999 (con Alberi): in quest'ultima edizione, Ornella Vanoni è stata la prima artista nella storia del Festival a ricevere il Premio alla carriera. È anche l'unica donna e il primo artista in assoluto ad aver vinto due Premi Tenco (solo Francesco Guccini dopo di lei è stato premiato due volte), e l'unica cantante italiana ad aver ottenuto questo riconoscimento come cantautrice. Ha inoltre vinto una Targa Tenco, che porta complessivamente a tre il numero di riconoscimenti a lei assegnati dal Club Tenco.
Curiosità: Ha vinto due volte il Premio Lunezia ed è stata insignita di importanti riconoscimenti e onorificenze tra cui, nel 1984, del titolo di Commendatore della Repubblica e, nel 1993, di Grande ufficiale Ordine al merito della Repubblica italiana.
«Sono stata una ragazza inventata. Inventata dagli altri. Di mio avrei voluto fare l'estetista, niente di più. Avevo l'acne e avrei voluto curare la pelle, la mia e quella degli altri. Ero andata a studiare Lingue in Inghilterra, in Svizzera, in Francia e quando tornai a Milano non sapevo che cosa fare. Fu un'amica di mia madre a lanciare l'idea: "Hai una bella voce, perché non fai l'attrice?". Mi iscrissi alla scuola di recitazione del Piccolo. Il giorno degli esami d'ammissione ero terrorizzata, tanto da sentirmi male. Con la V di Vanoni venni chiamata per ultima, sapevo che nella commissione c'erano grossi nomi, Strehler, Paolo Grassi, Sarah Ferrati. Quando mi hanno chiamata, avevo il cuore a mille. Recitai un pezzo dell'Elettra, ero follemente emozionata, chiedevo scusa a tutti, mi interrompevo [...] A un certo punto ho sentito una voce femminile: "Attenzione, qui c'è qualcosa". Era della Ferrati. Mi presero. Dopo un anno divenni la compagna di Strehler, era il '55. E fu scandalo. Avevo vent'anni, lui era sposato, non c'era il divorzio e, per di più, viveva da solo, era di sinistra ed era un artista. Mia madre si lamentava, piangeva: "Così ti rovini, ti devi sposare."» ORNELLA VANONI
Insieme ad autori come Fausto Amodei, Fiorenzo Carpi, Dario Fo e Gino Negri, Strehler trae infatti spunto da alcune antiche ballate dialettali narranti vicende di cronaca nera, per procedere alla stesura di nuovi testi incentrati sul tema della malavita, aventi per protagonisti poliziotti, malfattori, carcerati, minatori, e inventando pertanto la definizione di canzoni della mala. Per alimentare la curiosità del pubblico, viene lasciato credere che si tratti di autentici canti popolari ricavati da vecchi manoscritti, e viene dunque allestita per lei la sua prima tournée teatrale, terminata con uno spettacolo a Spoleto, al Festival dei Due Mondi nel '59.
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Le interpretazioni particolarmente enfatiche della Vanoni, caratterizzate da una timbrica vocale e da una gestualità alquanto inconsuete ma sensuali, incuriosiscono parecchio il pubblico, che inizialmente sembra in parte confondere le ambientazioni dei brani proposti con le vere origini della cantante. Nel complesso, le canzoni della mala ottengono un buon successo, malgrado qualche critica di snobismo alto-borghese e l'intervento della censura radiotelevisiva che non apprezza i contenuti di alcuni testi. Per Ornella Vanoni, però, quello della mala inizia ad essere un cliché nel quale non intende essere rinchiusa.
Terminato il rapporto con Strehler (del quale in seguito dichiarerà di non avere apprezzato lo stile di vita, ritenendolo inadeguato ad una ragazza poco più che ventenne), si allontana anche dall'ambiente del Piccolo Teatro, alla ricerca di un nuovo percorso artistico.
Nel 1960, alla Ricordi Ornella incontra Gino Paoli, col quale intraprende un'intensa storia d'amore, nonché una florida collaborazione artistica che le permette di cimentarsi con un repertorio a lei più congeniale. Paoli le scrive infatti una prima canzone d'amore dal titolo Me in tutto il mondo e successivamente le dedica, colpito dalle sue grandi mani, un vero e proprio ritratto musicale: la celeberrima Senza fine.
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Nel 1961 partecipa a Canzonissima con Cercami: questa canzone, inizialmente destinata a Claudio Villa e che Ornella incide in lacrime dedicandola a Paoli, è il suo primo 45 giri di grande successo commerciale, con oltre 100.000 copie vendute. Nello stesso anno, la Ricordi pubblica anche il suo primo album, che riunisce sei canzoni della mala sulla prima facciata, e sei canzoni d'amore sulla seconda. Nel frattempo prosegue la carriera teatrale ne L'idiota di Marcel Achard, impegno per il quale l'Istituto del Dramma Italiano la premia come rivelazione del teatro e che le vale anche il prestigioso Premio San Genesio come miglior attrice dell'anno. Il successo continua con "La fidanzata del bersagliere" di Edoardo Anton, che le frutterà il suo secondo Premio San Genesio come miglior attrice del 1963. Gli spettacoli sono entrambi prodotti dal marito, Lucio Ardenzi: «andavo in scena a soli venti giorni dalla nascita di nostro figlio, Cristiano, e per di più senza compenso. Allora lui era in difficoltà finanziarie e io avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarlo».
Nel frattempo cambia anche etichetta discografica e passa dalla Ricordi alla Ariston pubblicando alcuni 45 giri di successo come Tristezza (1967, primo brano del repertorio brasiliano, che lei ha sempre amato riproporre), la sua versione di Un'ora sola ti vorrei (sempre del '67). Nel 1969 è la volta di Una ragione di più, uno dei brani di maggior successo della cantante, che la vede per la prima volta scrivere un testo, con la collaborazione di Franco Califano, mentre la musica è di Mino Reitano. In questo periodo Ornella incide anche due album intitolati Ai miei amici cantautori e Io sì - Ai miei amici cantautori n.2, interpretando brani di quei cantautori che avevano maggiormente influenzato il suo percorso musicale.
Nel 1970 Ornella partecipa ancora una volta al Festival di Sanremo con il brano Eternità, in coppia con I Camaleonti, scritta da Giancarlo Bigazzi e Claudio Cavallaro, che si classifica alla 4° posizione. Sarà però col singolo successivo, L'appuntamento di Roberto Carlos, Erasmo Carlos e Bruno Lauzi, che la cantante ottiene il suo maggiore successo commerciale, rimanendo in classifica per molti mesi e vendendo 600.000 copie, affermandosi definitivamente nel panorama musicale italiano e riuscendo a conquistare tutto il pubblico. Il brano viene inserito nella colonna sonora del film Tony Arzenta diretto da Duccio Tessari ed è scelto come sigla musicale del programma radiofonico Gran varietà.
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Sempre nel '71, esce un altro dei suoi cavalli di battaglia: Domani è un altro giorno, versione italiana di un brano di Tammy Wynette The Wonders You Perform. Il brano viene presentato a Canzonissima 1971 e viene inserito nella colonna sonora del film La prima notte di quiete di Valerio Zurlini. Per la finale della stessa edizione di Canzonissima, Ornella Vanoni interpreta Il tempo d'impazzire, scritta da Giorgio Calabrese e Andracco. È inoltre conduttrice del programma E tu che fai? Io questa sera vado a casa di Ornella, a cui partecipa come ospite anche Lucio Battisti; qualche settimana dopo registra la prima trasmissione a colori nella storia della televisione italiana, dal titolo Serata d'onore.
Nel 1973 esce il singolo di successo Dettagli: come L'appuntamento, è una cover brasiliana di Roberto Carlos, tradotta ancora una volta dallo stesso Bruno Lauzi. L'omonimo album Dettagli riscuote un enorme successo commerciale (circa mezzo milione di copie vendute). Nell'autunno dello stesso anno, incide un nuovo LP - l'ultimo per la Ariston - dal titolo Ornella Vanoni e altre storie, per lo più composto da cover straniere adattate in italiano: l'album si apre con un'ottima reinterpretazione della celebre Je suis malade di Serge Lama (adattata in italiano da Giorgio Calabrese col titolo Sto male), che la Vanoni presenta alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia.
Nello stesso anno viene scelta come testimonial pubblicitaria per la Martini, azienda per la quale girerà numerosi caroselli fino al 1976, interpretandone anche il celebre jingle.
Nel 1974 Ornella Vanoni lascia la Ariston e fonda - con l'aiuto di Danilo Sabatini (suo compagno dell'epoca) - una propria casa discografica: la Vanilla. Il primo album edito dalla nuova etichetta, distribuita dalla Fonit-Cetra, si intitola A un certo punto e raggiunge nuovamente i vertici della classifica totalizzando ancora una volta circa mezzo milione di copie vendute.
Nello stesso anno viene pubblicato l'album La voglia di sognare, che si piazza alla sesta posizione delle classifiche di vendita e che contiene pezzi scritti da Bruno Lauzi, Riccardo Cocciante e Lucio Dalla. La canzone che diede il titolo all'album, La voglia di sognare è stata scritta da Carla Vistarini e Luigi Lopez, e premiata l'anno successivo anche dalla critica discografica e divenuto sigla del Gran Varietà radiofonico della Rai.
Nello stesso anno torna sul piccolo schermo accanto a Gigi Proietti, nello spettacolo Fatti e fattacci (che vince il prestigioso Festival della Rosa d'oro di Montreaux per l'intrattenimento). Il programma era basato sulle canzoni proposte da Proietti e dalla Vanoni, che interpretavano la parte di due cantastorie che andavano in giro per l'Italia con una compagnia di saltimbanchi fermandosi nella piazza di una città. Successivamente invece è in teatro, protagonista nella commedia dell'amica Iaia Fiastri intitolata Amori miei, un grande successo da cui in seguito verrà tratto l'omonimo film interpretato da Monica Vitti.
Nel 1977 la Vanoni posa nuda e dirige la versione italiana di Playboy chiedendo come compenso, al posto del denaro, una sfera dell'artista Arnaldo Pomodoro con il quale nasce una profonda amicizia.
Gli anni ottanta proseguono all'insegna di un'autoproduzione consapevole e un cambio di casa discografica, la CGD.
Per i lavori discografici che caratterizzeranno il decennio, Ornella non si limita a collaborare alla produzione (di Sergio Bardotti), ma scrive anche da sé alcuni pezzi (tra gli altri, "Ricetta di donna", "Per un'amica" e "Questa notte c'è"). Per la prima volta, interi album vengono concepiti in funzione di materiale proprio: "Bisogna darsi cariche nuove [...] e poi non c'era questo materiale straordinario d'autore che arrivasse sul tavolo", dichiarerà la cantante in un'intervista del 1982. Ma la Vanoni fa di necessità virtù, e il riscontro di pubblico e critica è subito entusiasta. Adotta così una nuova formula di lavoro, appoggiata da Sergio Bardotti e Maurizio Fabrizio, che diventa una costante e un brand per i lavori successivi.
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Nel 1980 viene pubblicato l'album Ricetta di donna che vanta le collaborazioni con Michele Zarrillo (che scrive con Totò Savio la musica della title track), Fabrizio De André (che scrive il testo italiano di un classico di Leonard Cohen Famous blue raincoat, che diventa La famosa volpe azzurra) e Paolo Conte (che firma il brano La donna d'inverno). Ornella scrive il brano che dà il titolo all'album.
Nel 1981 è la volta di un altro importante e sofisticato album, Duemilatrecentouno parole (2301 allude al numero totale di parole scritte da Ornella Vanoni nell'album), di cui Ornella scrive ben sei pezzi, oltre alla famosissima Musica musica anche la tenera e conosciuta Vai, Valentina e si avvale della presenza di Gino Paoli e Pierangelo Bertoli in due canzoni. Il disco raggiunge il sesto posto in classifica vendite. Per questo album il Club Tenco conferisce alla Vanoni ben due importanti riconoscimenti: si aggiudica sia il Premio Tenco come operatore culturale sia quello come miglior cantautore con l'album Duemilatrecentouno parole, risultando la prima cantautrice donna ad aggiudicarsi tale riconoscimento.
Il 1983 è invece la volta del prestigioso album Uomini, che ruota intorno alla tematica del maschio. Ornella, oltre a continuare a scrivere i testi si avvale della collaborazione di Lucio Dalla, Toquinho e Gerry Mulligan agli strumenti e di Giorgio Conte con il risultato di un album di altissima qualità, che, nonostante le polemiche del testo Il marinaio, di Maurizio Piccoli, ritenuto scabroso, ha dei buoni risultati di vendita, raggiungendo l'ottavo posto in classifica. Ad ogni canzone è abbinato un uomo rappresentativo della Storia, un suo frammento epistolare e la relativa fotografia: I grandi cacciatori: Ernest Hemingway; Il marinaio: Gustav Flaubert; La discesa e poi il mare: Eduardo De Filippo; L'amore e la spina: Hermann Hesse; Rabbia libertà fantasia: Pietro Mascagni; Questa notte c'è: Peter Altenberg; La donna cannibale: Dino Buzzati;Lupo: Oscar Wilde; Ho capito che ti amo: Scott Fitzgerald; Uomini: Giuseppe Garibaldi. Anche per questo album la Vanoni riceve la Targa Tenco come migliore interprete diventando l'artista italiana con maggior numero di riconoscimenti.
Nel 1984 è ospite fisso del programma trasmesso da Canale 5, Risatissima, con la conduzione di Milly Carlucci, nel quale in ogni puntata cantava un brano musicale
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Nel 1985 comincia una lunga serie di concerti tenuti nei principali teatri italiani in coppia con Gino Paoli, che segna il riavvicinamento artistico dei due a distanza di anni: da questa tournée di grandissimo successo viene registrato il doppio disco di grande successo, Insieme. Di tale impegno particolarmente apprezzata sarà la canzone Ti lascio una canzone.
Nel frattempo la Vanoni lavora anche allo spettacolo di prosa Commedia d'amore, presentato nei teatri al fianco di Giorgio Albertazzi e portatore di critiche positive.
Nel 1989 torna al Festival di Sanremo con Io come farò, scritta per lei da Gino Paoli, classificandosi alla decima posizione, che anticipa la pubblicazione dell'album Il giro del mio mondo quasi del tutto scritto da Paoli con la collaborazione di Sergio Bardotti, a eccezione del brano Isola, scritto da Teresa De Sio. Con questo disco si conclude la collaborazione con Bardotti, ripresa poi nei primi anni Duemila.
Nel 1992 esce Stella nascente, primo album di Ornella Vanoni con la produzione di Mario Lavezzi, che scrive anche il singolo omonimo insieme a Mogol. In questo disco, la Vanoni ritorna a firmare i testi di ben cinque canzoni, tra cui Perduto. Inoltre comincia anche la collaborazione con Grazia Di Michele, che scrive Non era presto per chiamarti amore. Stella nascente ottiene il disco d'oro per le vendite.
Nel 1995 è la volta di Sheherazade, prodotto ancora da Mario Lavezzi. Ornella Vanoni è autrice di otto dei dodici ritratti femminili del disco, incentrato e dedicato ancora una volta alla donna. Il titolo dell'album, Sheherazade (come anche il brano omonimo), vuole essere un riferimento e una dedica all'ingegno, alla creatività, al potere della seduzione e della bellezza, propri dell'essere donna: emblema di ciò è Sheherazade o Sharāzād, personaggio protagonista de Le mille e una notte, che riuscì a sfuggire alla morte per mano del re persiano Shāhrīyār, trasformando il suo odio in "lacrime d'amore", grazie al suo fascino e alla sua fantasia. In una nota dell'album, la cantante definisce Sheherazade "il più grande archetipo femminile".
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L'album, arrangiato da più musicisti, è tra i più eterogenei circa le atmosfere e le sonorità presenti. Due i principali successi contenuti nel disco: Per l'eternità di Mogol-Lavezzi e Rossetto e cioccolato, scritta dalla stessa Ornella. Anche a questo disco collabora Grazia Di Michele, coautrice assieme alla Vanoni di tre brani, tra cui Sos (che nel 2009 Ornella dichiarerà essere la canzone che più rappresenta se stessa e l'amore). Tra gli altri brani presenti, spiccano Lupa, Il mio trenino, I desideri delle donne e Angeli e no.
Nel 1996 Ornella Vanoni avrebbe dovuto partecipare al Festival di Sanremo con un altro brano da lei firmato (Bello amore), ma poche ore prima della prova d'orchestra al Teatro Ariston, la melodia del brano (di Giuseppe Barbera) viene eseguita in un programma radiofonico della RAI, con un altro testo, da Emilia Pellegrino, la quale, avendo tentato senza successo la carriera di cantante presso il Centro Europeo Tuscolano di Mogol, secondo la stampa, avrebbe sottratto uno spartito con la melodia "incriminata" durante le attività musicali del CET, per poi riutilizzarla, mossa da frustrazione, per una sorta di vendetta personale (possibilmente favorita da qualcuno dell'ambiente).
Nel 2001 incide due album di cover, prodotti da Mario Lavezzi, in cui rivisita alcuni grandi successi italiani degli anni sessanta e settanta in chiave moderna: Un panino una birra e poi... e E poi... la tua bocca da baciare, col quale passa alla Sony Music. I due album le valgono rispettivamente due disco di platino e due disco d'oro per le vendite.
Il 30 novembre 2007 inizia la tournée (che proseguirà fino a maggio 2008) “Una bellissima ragazza”, concerto-spettacolo – le scenografie di Giancarlo Cauteruccio e la direzione musicale di Mario Lavezzi - che la porta nei maggiori teatri d’Italia ed in Spagna dove partecipa al “Festival Ellas Crean” al National Auditorium di Madrid e a “Le voci d’Italia”, rassegna organizzata nello splendido Palau de la musica catalana di Barcellona.
Nell’estate 2008 parte il tour “Ornella Live 2008” in luoghi storici e magici d’Italia con importanti partecipazioni: “Omaggio a Rosa Balistieri” con Carmen Consoli a Catania, “Musica per i borghi” dove duetta con Giorgia a Marsciano, l’ “Omaggio a Fabrizio De André” in seno al “Time in Jazz” di Paolo Fresu a L’Agnata, “Caulonia Festival” con Eugenio Bennato a Caulonia Superiore.
Il 2008 è anche l’anno di importanti riconoscimenti: “Premio Milano donna - le donne che hanno fatto grande Milano”, “Premio Marisa Bellisario Speciale alla Carriera “ dedicato a “Le donne che progettano il futuro: innovazione, creatività, meritocrazia”.
Il 13 novembre 2009 esce il disco Più di te, dedicato ancora una volta al mondo dei cantautori: Ornella Vanoni canta al maschile testi come Alta marea (Antonello Venditti), Quanto tempo e ancora (singolo che ha anticipato l'album, di Biagio Antonacci), Dune mosse (Zucchero Fornaciari), La mia storia tra le dita (Gianluca Grignani), Ogni volta (Vasco Rossi), e duetta con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Mario Lavezzi (Vita), Samuele Bersani (Replay), Pino Daniele (Anima), Ron (Non abbiam bisogno di parole), Gianna Nannini (I maschi). Quest'ultimo album ottiene il triplo disco d’oro per le vendite.
Nel febbraio 2014 Ornella annuncia la sua ultima tournée teatrale intitolata Un filo di trucco, un filo di tacco, titolo che ricorda la frase che la madre della Vanoni le ripeté per anni prima di uscire. Lo spettacolo, portato nei principali e più grandi teatri italiani, presenta davvero l'aspetto di un recital composto non soltanto dall'esecuzione dei più importanti successi della cantante, ma anche momenti di dialogo con il pubblico e monologhi scritti proprio dalla Vanoni.
«Dopo aver annunciato che Un filo di trucco, un filo di trucco sarà la mia ultima tournée tutti mi chiedono se smetterò di cantare. Non ci penso neanche! Fino a quando potrò canterò, non potrei fare altrimenti. Sarà l'ultima tournée nel senso che non ho più le forze di tenere un palco per più di due ore e alternare musica a recitazione.»
Tra il 2015 e il 2016, la cantante è nuovamente in tour con un ennesimo spettacolo totalmente acustico, dal titolo Free soul. «Il concerto si apre con la voce di Vinicius De Moraes che recita una poesia e poi la scaletta spazia dal jazz alla bossanova, dai suoi grandi successi e ad alcune chicche che Ornella regalerà al pubblico, senza tralasciare le radici soul che da sempre accompagnano le sue interpretazioni più intense. L'aspetto più emozionante del concerto rimane il dialogo verbale tra Ornella e il pubblico: a ruota libera, senza un copione scritto, racconta la libertà dell'anima.»
Durante tutto il 2018 e parte del 2019 è nei principali teatri italiani con lo spettacolo La mia storia tour , in cui canta anche l'ultimo successo, Imparare ad amarsi.
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Nel 2019 partecipa alla seconda edizione del programma Ora o mai più, condotto da Amadeus su Rai 1, in qualità di Coach del cantante Paolo Vallesi. Dal settembre 2019 è giudice della prima edizione di Amici Celebrities condotto da Maria De Filippi prima, e poi da Michelle Hunziker, su Canale 5.
Il 1º dicembre 2019 è protagonista del programma "In Arte...Ornella Vanoni" condotto da Pino Strabioli, con il quale ripercorre la sua lunga carriera, alternando all'intervista rari filmati.
Il 10 settembre viene presentato come evento speciale nella selezione ufficiale delle Giornate degli autori nel corso della 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il documentario diretto da Elisa Fuksas, Senza Fine, e prodotto Tenderstories. Nel film ci sono, tra gli altri, Paolo Fresu, Samuele Bersani e Vinicio Capossela. E ci sono tutte le passioni forti e le solitudini, le vette e gli abbandoni dell'iconica cantante italiana. «Non è un film definitivo sulla Vanoni… è un film sul nostro incontro ed è sgangherato come lo siamo noi…. Ornella mi ha insegnato ad essere coraggiosa» afferma la regista.
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fideofest2020 · 4 years
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APOKALÜPTILISED MAASTIKUD APOCALYPTIC LANDSCAPES
VIDEOPROGRAMM: 15.12 - 16.01.2021 Pärnu Linnagalerii (Uus 4)
T - R kl 11.00 - 17.00 / L kl 11.00 - 14.00
Performance videoprogramm linnaruumis:
https://ff2020kino.tumblr.com/
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“Artificial Meditation” 1:23:12 Film by Yei Yeon (Lõuna-Korea)
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Parim välismaine mängufilm, mis on saanud auhinna Istanbuli filmiauhindadel ja Malta filmifestivali ametlikus valikus, Montreali sõltumatu filmifestivali, Londoni Arthouse'i filmifestivali, Barcelona indie-filmitegijate festivali ja Valencia indie-filmifestivali raames. 
Best Foreign Feature film at Istanbul Film Awards, and official selection at Malta Film Festival, Montreal Independent Film Festival, London Arthouse Film Festival, Barcelona Indie Filmmakers Fest and Valencia Indie Film Festival.
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“Viking Final” 23:34 Video by Edoardo Meija (Mexico)
Religioon, maagia, surm ja rituaalid...
Religion, magic, death and rituals...
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“Somatic Distortion” Video program by Fausto Grossi (Italy/Spain) 1:30:18
“Somaatiline moonutus” pani mind mõtlema oma seisundi üle inimesena, mis on palju enamat kui füüsiline aine. See räägib suhetest minu kehaga ja minu kehaga teiste kehadega. Füüsiline, poliitiline ja psühholoogiline keha korraga.
“Somatic Distortion” made me wonder about my condition as a human being, which is much more than the physical matter. It's about the relationship with my body and my body with other bodies. A physical, political and psychological body at same time.
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“Proyecto sin titulo” 4:48 Video by Habitat (Mexico)
Kunst tegevuses - liikumine alternatiivsete reaalsuste kaudu ...
Art in Action - Movement through Alternate Realities...
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“Apocalyptic Landscapes” 4:09 Video by Kristo Kaljuvee
Eksponeerides elusolendit kui ühiskonna ja looduse minivormi, läbi väliste maskide ja kaitsekihtide, otsib ekspositsioon välja nii inimhinge sisemised ihad ja kired, kui ka meie kõigi kollektiivse kehandi varjatud hallid tsoonid.
By exposing the living entity as a mini-form of society and nature, through the outer masks and protective layers, the exposition seeks out the inner desires and passions of the human soul, as well as the hidden gray zones of all our collective bodies.
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L’introduzione della definizione di “radical chic” viene attribuita storicamente allo scrittore Tom Wolfe che fece un resoconto del ricevimento tenuto da Felicia Bernstein, moglie del compositore e direttore d’orchestra Leonard, organizzato per raccogliere fondi a sostegno del gruppo rivoluzionario delle «Pantere nere». La festa si svolse a casa dei Bernstein, in un attico su Park Avenue, a Manhattan. Erano presenti molte personalità che provenivano dal mondo della cultura e dello spettacolo newyorchese e i camerieri in livrea (camerieri bianchi per non offendere gli ospiti afroamericani) servivano tartine al Roquefort.
Dopo una breve introduzione, la prima parte del racconto di Tom Wolfe inizia così: «Mmmmmmmmmmmmmmmm». Sedici lettere, un’onomatopea per esprimere l’aria di appagamento che circolava in quella serata, ma anche che cosa Wolfe intendesse per “radical chic”: una specie di corrente, di moda, un matrimonio pubblico molto ridicolo tra la buona coscienza progressista delle classi più ricche e la politica di strada, un corto circuito in cui alcuni rischiavano davvero, per le loro idee, e altri invece non rischiavano niente e in cui c’era l’illusione di una collaborazione e contaminazione tra diversi mondi e diverse classi sociali. La serata fu molto criticata: un editoriale del New York Times sostenne che aveva offeso e arrecato danno a quei neri e a quei bianchi che «lavorano seriamente per la completa uguaglianza e la giustizia sociale», Felicia Bernstein rispose pubblicamente difendendo la sua festa. Fatto sta che il termine usato da Wolfe per descrivere l’atteggiamento dei Bernstein si diffuse ben presto in tutto il mondo, e in Italia si radicò ancora più che altrove e prese a indicare, in maniera inesatta, una persona o un atteggiamento, diventando anche aggettivo.
Negli ultimi anni, con lo sviluppo di maggiori contraddizioni nella sinistra italiana di fronte a grossi cambiamenti, ma anche legata a tradizioni radicate, l’accusa è tornata a essere usata molto proprio a sinistra
Così oggi “radicalscìc” è diventato un insulto di uso comunissimo e destinato a persone dai redditi più vari e dalle posizioni più articolate. Con la contraddizione che oggi i principali destinatari dell’epiteto sono persone che hanno posizioni niente affatto radicali, anzi sono gli oppositori della sinistra radicale: l’uso più convincente del termine negli anni passati è stato quello destinato a Fausto Bertinotti, un uomo in effetti elegante e di modi garbati, coi pullover di cachemire e posizioni di estrema sinistra; mentre quando lo si dice per esempio a persone come Matteo Renzi, per niente radical e nemmeno straordinariamente chic, il senso è definitivamente stravolto.
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koyotegiallo · 5 years
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L’ OVER 1000 DEL DIAVOLO: LA 6+6 ISOLE
Ho sonno. Mi sto addormentando. Pedalo piano, pianissimo. Gli occhi si chiudono senza che me ne accorga. È più forte di me, non riesco a controllarlo. Questa forza aliena mi urla a gran voce di fermarmi, ma non posso. Non voglio. Mi trovo nel traffico caotico tra Messina e Marina di Patti, non so con precisione dove. Non ce la faccio più. Io e Mino pedaliamo da giorni e i chilometri che ci separano dalla fine di questa avventura sono ancora molti. Lo vedo a tratti davanti a me. Un attimo c’è, l'attimo dopo buio, ci sono solo io che vago nel sonno, nell'oblio. Ogni tanto si volta indietro per vedere se sono ancora lì, vicino a lui, ma son sempre più lontana. Il battito cardiaco rallenta, sento le pulsazioni sempre più tenui. Voglio dormire. Scendere dalla bici e dormire. Chiudere gli occhi e dormire.
Siamo partiti da Quartu Sant'Elena allo scoccare della mezzanotte di mercoledì 24 aprile. Per arrivare a Cagliari ci ho messo un giorno intero: sette ore di treno da Torino a Civitavecchia e poi il traghetto da lì fino al capoluogo sardo. Sono mesi che non si pensa ad altro che a questo evento, più unico che raro: la 6+6 Isole è una randonnée di 1200 chilometri, suddivisa in due percorsi da seicento ciascuno, ripartiti sulle due isole sorelle, Sardegna e Sicilia. Se ne parla da giugno scorso. A settembre si capivano i primi dettagli. Ottobre è arrivato per stravolgerli tutti. Novembre è stato il momento di prenotarsi un posto tra le poche centinaia di persone che avrebbero potuto parteciparvi. Ci ho pensato a lungo, come al solito. Mi sono fatta due conti, ho analizzato approfonditamente le implicazioni di un viaggio di questa portata. Troppo costoso. Troppo impegnativo, non ero sicura di essere pronta ad affrontare un’esperienza simile. Tanto meno ad aprile, quando ancora non si hanno nelle gambe lunghi chilometraggi. Ho raccontato a tutti le ragioni per cui Barbara non avrebbe partecipato alla 6+6. Due giorni dopo versavo i cinquanta euro per la preiscrizione. Beata coerenza! Come al solito, la voglia di inseguire un sogno vince su tutto.
Sono qui, ai nastri di partenza, roadbook alla mano per ricevere il primo timbro, quello che sancirà l’inizio di un'avventura assurda. Il faretto montato sul casco e le luci rosse bene accese. Abiti pesanti per affrontare la notte. Non fa freddo, si sta bene, ma nel giro di poche ore le temperature si abbasseranno. Ci sono randonneurs da tutto il mondo e amici di bicicletta che vedo solo in queste occasioni, molti che ancora non conosco, ma che ben presto conoscerò. L'attesa è stata snervante, avevo voglia di partire, volevo solamente iniziare a pedalare e porre fine a tutte quelle ansie e preoccupazioni che da tempo mi tormentavano. Gli organizzatori si sono dati un gran bel da fare. L'impressione è che ci sia moltissima confusione, specie sul funzionamento dei bag drop, ma pare essere tutto sotto controllo. Sono il numero 188, Enrico Peretti sigla il mio libricino e finalmente posso partire. Sono con i miei compagni della Nervianese, Alberto, Michele, Paolo Mancini, Graziano, Fiorenzo e, ovviamente, Mino. C’è anche Stefano Ferrario, che incontro per la prima volta, una persona piacevole e di compagnia. Sono con loro, ma sono con tutti. C’è la spumeggiante Annalisa con i suoi compagni della Valchiampo, i neo sposini Franco e Rosanna, “i due Mirki", come li chiamo io, che sono stati così gentili da darmi appoggio logistico durante il viaggio fino a Cagliari. C’è Fausto da Biella, il mio traghettatore di Roma, ci sono Fabio e Ugo, randonneurs delle mie terre, c’è Marco Scardovi, il super rasta dai poteri sovrannaturali, c’è il Leone di Fano e la sua voce inconfondibile anche a miglia di distanza, ci sono Francesca e Gaspare, insomma c’è mezza Italia ed una Italia e mezza di avventure vissute insieme a tutti loro e molti altri che, anche se non nomino, ricordo con piacere.
Come temevo si parte per la prima tappa che porta a Bari Sardo tenendo ritmi elevati. Il solito entusiasmo iniziale che poi si paga alla fine. La Sardegna non conosce pianura, cerco di stare al passo per un po’, ma poi decido di staccarmi. Devo trovare la mia dimensione e ancora non so bene come reagirà il mio fisico a 1200 chilometri in bicicletta. Cautela, ci vuole cautela. Mi disinteresso del gruppo e prendo il mio ritmo, lento, ma regolare, senza forzare. È un viaggio impegnativo che raccoglie tutto il mio timoroso rispetto. La consuetudine, ormai, è che Mino si stacchi anche lui e si adegui alle mie esigenze. Sono consapevole che non si tratti di un lavoro piacevole, anzi, immagino sia piuttosto snervante. Non gli sarò mai grata abbastanza per farsi trovare sempre al mio fianco, pronto a sacrificarsi per me. Lui, come molti altri che hanno fatto lo stesso per non lasciarmi mai sola. È molto bello tutto questo, è il bello delle randonnée, è il bello di avere con sé una persona legata tanto ai pedali così come al cuore.
Non si vede nulla. È buio. Mi concentro unicamente sul pedalare, sperando che la notte passi in fretta e che il sole finalmente dia forma e dimensione agli spazi intorno a noi. Appena passati gli ottanta chilometri, già mi viene sonno. Il viaggio è stato lungo, contorto e tutt'altro che rilassante. Mi si riversa tutto addosso e lì capisco che sarà un mostro con cui dovrò aver a che fare continuamente nei tre giorni successivi. La prima tappa scivola via veloce, a Bari Sardo gustiamo la ricotta di miele, mi mangio un uovo sodo e mi bevo un litro di caffè. Non avrei mai pensato di riuscire ad ingurgitare tutta quella roba alle cinque del mattino. Il mio stomaco ha imparato ad adattarsi da quando ho iniziato a fare le randonnée e potrei mangiare qualsiasi cosa a qualsiasi ora del giorno e della notte, senza grossi problemi. Ancora un paio d'ore, più di 125 chilometri percorsi e finalmente si fa giorno. La luce mi risveglia dal torpore, adesso posso pedalare tranquilla, senza paura. Ci inerpichiamo sulla salita lunga quaranta chilometri che porta a Dorgali. Su quest'isola le strade son tutte così: in salita ed infinite, si addentrano tra le montagne, a tratti verdi, a tratti brulle; lì in mezzo ai cespugli ci sono i pascoli. Asini, capre, pecore e mucche ci fiancheggeranno sempre, nel corso di tutto il nostro viaggio.
A Dorgali ci aspetta la prima colazione. O la seconda? In ogni caso si mangia in abbondanza. Recuperiamo moltissimi randonneurs arrivati anche loro da poco. I volti stanchi e gli occhi carichi di sonno sono gli strascichi della notte sui pedali. Duecento chilometri sono andati, non è che l'inizio, e ne dovremo percorrere altri duecento per ritornare sempre lì, a Dorgali, dove finalmente potremo cercare di riposare un po’.
Voglio fermarmi. Devo fermarmi. La testa si è fatta troppo pesante e sebbene chiuda gli occhi per qualche secondo, non basta. Il traffico siciliano fa paura. È chiassoso. È confusionario. I clacson suonano all'impazzata, per qualsiasi cosa. Dev'essere un mezzo di comunicazione di massa. Ti saluto. Ti mando a quel paese. Ti dico di spostarti. Ti comunico che sto arrivando. Vuol dire tutto, vuole dire niente. È soltanto un pretesto per far casino. Mino decide che è il caso di fermarsi. Lui per un gelato, io per un quarto d'ora di sonno. A nulla servono i bibitoni energetici quando la stanchezza prende il sopravvento. Appoggio la testa sul tavolino del bar e mi addormento immediatamente. Mancano 250 chilometri a Palermo, alla fine del nostro viaggio e, ancora una volta, mi ritrovo ad annaspare per il sonno.
Quando siamo ripartiti da Dorgali la mattina prima, sapevamo che arrivare a Nuoro sarebbe stato complicato. Ottanta chilometri di salite sarde. Sull’altimetria è un susseguirsi di passi denominati Genna. Ce n’è una sfilza, uno dietro l'altro. Il sole è caldo e si accanisce su gambe e braccia. Ci addentriamo sempre più nell'entroterra, lasciando l'Orientale Sarda. Ad Orgosoli c’è un murales variopinto in ogni dove, mi fermo a fare qualche foto. Sono opere d'arte e vogliono lanciare messaggi ben precisi. La gente qui è disponibile, cordiale e paziente. I ciclisti vengono rispettati e superati solo in sicurezza, sembra di essere su di un altro pianeta. Raggiungere Nuoro è solo l'ennesimo passo verso qualche altra tappa durissima e infinita. Anziché rasserenarmi per la strada fatta e ormai lasciata alle spalle, mi preoccupo fortemente di quella che verrà. Da lì per ritornare a Dorgali sono ancora 140 chilometri duri, sfiancanti, monotoni. Nella nostra mente si materializza la certezza che non riusciremo a tornarci tanto presto. Dato che scatena tutta una serie di implicazioni negative da tenere in considerazione per giocarsi al meglio le proprie carte: arriveremo col buio, stravolti dai 412 chilometri percorsi in meno di 24 ore e avremo pochissimo tempo per riposare. Inizio nella mia testa a fare dei calcoli in termini di tempo cercando di capire a che ora sia meglio ripartire e, quindi, a conti fatti, quante ore possiamo fermarci. Mino fa lo stesso. È molto meticoloso su queste cose e le sue approssimazioni normalmente sono corrette. Ci guardiamo negli occhi con la stessa rassegnazione, ma cerchiamo di stringerci l'un l'altra con lo scopo di darci forza, convinti di potercela fare, come sempre. Dobbiamo rientrare a Quartu Sant'Elena entro le 16.00. Non possiamo ripartire al più tardi delle quattro del mattino.
A Mino squilla il telefono. Sento la suoneria del suo cellulare come fosse lontana anni luce. Respiro profondamente e cerco di distendere i nervi. Quanto avrò dormito? Dieci, quindici minuti? Non lo so. Ho perso la cognizione del tempo. Tiro su la testa e cerco il mio compagno di viaggio. Sta parlando al telefono, non so con chi. Mi guardo attorno. Un vecchietto seduto due tavolini più in là mi guarda con l'aria incuriosita e un po’ perplessa. Avrà pensato che fossi da ricoverare, lì, con la testa accasciata sul tavolo, devastata dal sonno. Come dargli torto. Mi alzo e faccio cenno a Mino che possiamo ripartire. Non manca moltissimo al controllo di Marina di Patti e io devo riprendermi assolutamente, c’è ancora troppa strada da fare e il tempo è tiranno.
Lo stesso tempo tiranno che ci perseguita quando ci tiriamo fuori dalle brande nelle tende da campus a Dorgali per ripartire e percorrere a ritroso i duecento chilometri che ci separano da Quartu. All'andata ci siamo studiati per bene il percorso per avere un'idea un po’ più chiara di cosa ci avrebbe riservato il ritorno: ventidue chilometri di salita pedalabile e poi una quarantina di discesa con qualche saliscendi giusto per romperci le gambe. Partiamo che è ancora notte e molti sono già andati. Sappiamo entrambi che ci aspetteranno ad occhio e croce altre dodici ore di bici. È buio pesto e io sto ancora dormendo. Spero in una ripresa quando inizierà ad albeggiare, ma niente: il cielo si fa chiaro, ma io scivolo sempre più in uno stato di coma profondo. Ecco la prima, vera, rognosissima crisi di sonno. In discesa, poi, la situazione non può che peggiorare. Gli occhi si chiudono e non posso farci nulla. È pericoloso. Ho paura di finire fuori strada. Canto. Mi schiaffeggio la faccia. Mi verso dell’acqua gelida sugli occhi. Nulla. Ormai Morfeo mi ha rapita e non posso far altro che fermarmi e lasciarmi traghettare in un sonno irrequieto per qualche minuto. Ci fermiamo per un caffè. Appoggio la schiena al muro di pietra che ho alle spalle e riposo un po’. Mi sembra il muro più comodo del mondo. Ho lasciato parte dei miei sogni su quelle due isole, loro mi han saputa cullare e mi han dato la possibilità di riprendermi. Il microsonno sardo mi ha permesso di arrivare a Quartu Sant'Elena entro le 16.00, il microsonno siculo mi ha regalato la possibilità di realizzare un'impresa eccezionale.
Riprendiamo a pedalare e cambiano gli scenari. Finalmente tengo un buon ritmo e riesco a “tirare" per un po’. Abbandoniamo il caos siciliano e ci arrampichiamo sulla splendida salita panoramica di Tindari e il suo bellissimo santuario, che troneggia sopra di noi. Sono resuscitata. Non sono più io. Cos’è stato? Non ne ho idea, ma ora il sonno si è fatto da parte e son carica più che mai. Arriviamo a Marina di Patti, timbro, pranzo e ripartiamo per Santo Stefano di Camastra, l'ultimo controllo prima del gran finale. Finalmente mi sento bene. Finalmente sono di nuovo io, come il giorno prima.
Il primo giorno in Sicilia sapevamo sarebbe stato il più duro. Da Palermo, per arrivare a Linguaglossa, check point intermedio dove poter riposare e dormire, si devono percorrere 250 chilometri, perlopiù in salita. Quando ci siamo imbarcati a Cagliari ero sfinita. Arrivare al porto in bicicletta è stato veramente faticoso. Dopo seicento chilometri dovevamo ancora farne una ventina per imbarcarci sulla nave della Tirrenia. Non conoscendo la strada abbiamo vagato per quasi un'ora, ci siamo persi e poi ritrovati, poi ripersi. Il porto di Cagliari è stato difficile da raggiungere, quasi fosse l'Isola che non c’è. Caricata la bici in stiva, mi disinteresso di tutto e tutti. Vado in cabina con le mie compagne di stanza Carla Tramarin e Camilla Ranieri, mi butto a letto alle 19.30 per poi risvegliarmi solamente alle 06.30 del mattino dopo, giusto in tempo per sbarcare. Ho rinunciato alla cena per dare modo al mio corpo di riprendersi e ricaricarsi. È stata una scelta azzeccata: pedalare nelle Madonie è stato bellissimo, nonostante ci fosse un vento fortissimo, a volte a favore, a volte contro. Mi son trovata a dover pedalare in discesa per sconfiggere la sua incredibile forza, e a dover tener ben saldo il manubrio per contrastare i suoi cambi repentini di direzione. Il vento ci ha centrifugati e sbattuti a destra e sinistra per tutto il giorno, su e giù tra le colline verdissime, i prati e le distese infinite. Non immaginavo che la Sicilia potesse regalare scorci tanto meravigliosi. Un paradiso terrestre, non avremmo voluto scendere mai. I paesi sono agglomerati di case accatastate l'una sull'altra, sembra di osservare giganteschi alveari.
Saliamo a piccoli gruppetti e si unisce a noi un Russo, Oleg. Ci racconta di essere stato molte volte in Italia per partecipare alle nostre randonnée. Randonnée che ha amato ed apprezzato moltissimo. Con la 6+6 completa i quattro brevetti dell'Italia del Gran Tour. È uno tosto questo Oleg, gli faccio i miei complimenti, gli dico che io, invece, sono al mio primo brevetto over mille. Mi guarda stupito, strabuzza gli occhi un po’ incredulo e si congratula con me. Mi dice di aver scelto un brevetto piuttosto impegnativo come esordio. In effetti ha ragione, ma io che ne sapevo? La Sardegna sapevamo sarebbe stata dura, ma non COSÌ dura, e la Sicilia sarebbe stata solamente la continuazione di un brevetto costellato di salite, ma con una buona parte di rassicurante pianura costiera.
Nel primo pomeriggio passiamo il controllo di Castellana Sicula e prendiamo verso Cesaró. Sono in forma, le gambe girano bene e la stanchezza si fa sentire solo nel momento in cui tramonta nuovamente il sole. Arriviamo a Cesaró che è notte fonda, cena a base di arancini: la fine del mondo. Non ho mai mangiato qualcosa di cosí buono. Facciamo il bis ma ce ne pentiremo amaramente: la digestione mista alla fatica e alle sedici ore sui pedali ci faranno preda di un sonno molesto, incantatore e pericoloso. Usciti dal calore del ristorante ripartiamo al gelo della notte. Mancano cinquanta chilometri a Linguaglossa e non ne possiamo più. Ricomincio ad avere sonno e inizio a cantare. Non c’è il tempo per fermarsi e, poi, fa troppo freddo per farlo. Mino canta con me. Cerchiamo di trovare canzoni che conosciamo entrambi. Cantiamo insieme a squarciagola, sotto un cielo di stelle splendido. Il sabato sera escono i pazzi, oggi da Torino e da Milano con furore. Lui almeno qualche nota l'azzecca, io sono stonata come una campana. Cantiamo e cantiamo, ridiamo insieme della nostra disperata condizione e la strada passa più veloce, così come il sonno, che molla un po’ la presa, quel tanto che basta per permetterci di arrivare a Linguaglossa. È l'una di notte, ce l’abbiamo fatta. Distrarsi dalla monotonia dell'asfalto ti salva da qualsiasi crisi.
Nonostante i dormitori di lusso che ci sono stati riservati in questa occasione, riposiamo poco e male; le stanze del convento di Linguaglossa sono gelide e l'andirivieni degli altri ciclisti non ti permette di dormire indisturbato. Decidiamo di ripartire intorno alle 05.30. Sono stufa di pedalare col buio e la partenza all'alba mi rasserena. Scendiamo dieci chilometri e salutiamo l'Etna che ci osserva imperioso nel silenzio del mattino. Il lungo mare di Taormina è stupendo: il sole, una palla infuocata, fluttua sull'acqua irradiandola di giallo e arancione. Uno spettacolo che distende e rilassa.
Verso le dieci del mattino timbriamo a Messina e io comincio ad accusare il colpo più duro di tutti. Vado in bagno a rinfrescarmi la faccia, mi guardo allo specchio e non mi riconosco. Sembra mi abbiano pestata senza pietà, ho gli occhi gonfi e arrossati, la pelle ustionata e le labbra cotte. Non sono un bello spettacolo. Sono il ritratto di 900 chilometri in sella ad una bicicletta.
Arrivati a Cagliari nella mia testa continuava a rimbalzarmi un unico pensiero: non ce la farò mai ad affrontare altri seicento chilometri in Sicilia. Se sono così stanca, così stravolta, mi ritiro. Ero demotivata e preoccupata. Mirka mi prende il viso tra le mani e mi dice di togliermi dalla faccia quell'espressione scura e rabbuiata, mi scuote, mi dice di sorridere, di festeggiare: la Sardegna è conquistata, domani sarà un altro giorno. Ci provo, davvero, a godermi quel momento. Provo a convincermi che comunque vada sarà un successo, ma dentro di me ho veramente paura di non farcela. Forse non sono all'altezza. Forse è meglio lasciar perdere.
Ormai è diventata una questione d'onore. L'orgoglio e l'ego smisurato mi spingono a non cedere. Mino mi spinge a non farlo. È una presenza fondamentale, il mio scudiero, il mio cavaliere pronto a difendermi a spada tratta. È molto stanco anche lui, ma riesce a nasconderlo bene. Vorrei poterlo aiutare, vorrei poter non essere un peso, vorrei riuscire a stargli a ruota sempre, ma ad ogni salitella resto indietro. Ha una pazienza infinita. È una persona buona e si preoccupa, si prende cura di me. La strada lungo mare ci ossigena anima e corpo; la costa nord regala scorci stupendi, la giornata è splendida, il mare blu con le sue sfumature verdissime incanta i nostri sguardi. Pare che la fatica si sia fatta da parte. Raggiungiamo Santo Stefano di Camastra che è ormai ora di cena. Ritroviamo Mirko e Mirka in compagnia di Miguel, un randonneur spagnolo con ben otto Parigi-Brest nel Palma Res. È un piacere chiacchierare con lui, finalmente ho la possibilità di parlare la sua bellissima lingua. Mi ringrazia per questo, mi ringrazia per averlo messo a suo agio ed averlo coinvolto nei nostri discorsi, per non averlo lasciato vagare da solo di notte nell’ultimo tratto di questo incredibile viaggio.
Un cannolo siciliano ed un arancino al pistacchio di Bronte sono il sostentamento ideale per affrontare la nostra ultima tappa, gli ultimi cento chilometri. Mi costringo a pensare che siano pochi, mi sforzo di credere che ormai questo brevetto da 1200 chilometri ce l'ho in pugno, ma c’è sempre una parte del mio cervello che mi ricorda che cento chilometri in bici significano altre quattro o cinque ore in sella. Non arriveremo prima di mezzanotte a Palermo. Sale l'adrenalina in corpo. Ripartiamo tutti insieme io, Mino, Mirco, Mirka e Miguel. Ci copriamo per la notte, per l'ennesima volta. Resto senza luce. Le mie risorse si sono esaurite e sono al buio. Merda. Ho fatto male i calcoli. Credevo che i due faretti fossero sufficienti. Credevo che avremmo pedalato molto meno la notte. Fortunatamente non sono sola e mi nutro della luce degli altri, ma che fatica. Viaggiamo bene per settantacinque chilometri, senza pause, senza fermarci. Siamo gasati, ormai è fatta, manca pochissimo. Mino ci trascina fino a Termini Imerese dove decidiamo di fare una sosta gelato mescolandoci alla tumultuosa vita notturna del centro. L’adrenalina cala di colpo e ci piomba addosso tutta la stanchezza. Anche il freddo ci aggredisce e ci spinge a rimetterci in marcia per gli ultimi trentacinque chilometri. Sarà dura arrivare alla fine, come sarà dura convincersi che quest’avventura assurda è finita. Come possiamo crederlo? Sono passati quattro giorni, ma pare siano trascorsi mesi. Ogni tappa conclusa significava solamente doverne affrontare un'altra ancora più dura. No, non posso credere che sia finita. Non posso credere di avercela fatta. Non ho nemmeno la forza di sorridere, ho la faccia tumefatta da una stanchezza indescrivibile.
Luca Bonechi e Fabio Bardelli sono lì ad aspettarci e a congratularsi con noi. È bello rivederli. Significa che è davvero finita, che non ci sono più salite davanti a noi, possiamo finalmente tornare a respirare e assaporare un sogno realizzato. Abbracci. Foto ricordo. Sorrisi. Ho chiuso la mia prima over mille. Sta sera chiudo gli occhi, ma non dormirò…non dormirò.
È il giorno dopo che raccogli i cocci, rimetti insieme i pezzi. Nella testa ho un vortice di immagini, emozioni, sensazioni che si mescolano alla rinfusa. Devo riprendermi e fare ordine. Devo convincere me stessa che tutto quello che è successo in quest'ultima settimana è successo veramente. Non è un sogno. La 6+6 è conclusa, è conquistata. Questa randonnée unica nel suo genere mi ha lasciato dentro qualcosa che non so spiegare, un po’ come tutte “le prime volte". Sono ancora frastornata e incredula.
I colori, i profumi, i suoni e i rumori. I volti degli amici, le crisi, i dolori, i sorrisi e i malumori. I giorni che passano senza che te ne accorgi, le prime luci dell'alba e le ultime del tramonto. Le notti stellate, la pioggia, il vento, il sole caldo, le nuvole che corrono veloci. Ciclisti da tutta Italia, da tutto il mondo, uomini e donne, d’accenti e dialetti diversi, che rincorrono un sogno su pedali di vento, all'eterna ricerca di un'emozione nuova, una nuova scoperta, qualsiasi cosa che riesca a farli sentire vivi, qualsiasi dettaglio che li arricchisca e gli doni una luce nuova negli occhi, un profondo senso di grandezza e libertà.
Un anno fa salivo sulla mia bici da corsa per la prima volta. Un anno dopo pedalo per 1200 chilometri. Com’è successo che mi innamorassi così di questo strumento di tortura e fatica, ancora non l'ho capito, ma la soddisfazione che ti porti dentro ogni volta che raggiungi un obiettivo, ogni volta che porti te stesso allo stremo e riesci ad andare oltre, è una sensazione per cui non esiste una parola per definirla o un aggettivo per raccontarla. E io non provo nemmeno a cercarla, perché in realtà la trovo sempre. L'unico modo per comprenderla, è viverla. Prendere la bici e iniziare a pedalare, senza fermarsi mai.
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mariamorisot · 7 years
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Fausto Grossi - Rains
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Fausto Grossi - Rains
It rains tropical Not tropical rain I feel The sound of this rain
A poem at this time Now And now they are almost One hour and twenty six minutes At this time An hour and twenty-six minutes ago It was a poem at that moment In which The electrical connection It blows up
We ran out of pizza We look for another connection It blows up Again
This time we lost every connection I do not know when I can make this shipment
We are connected again But at five past eight I think this can no longer be considered poetry
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passione-vera · 2 years
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Ave Quasàr presentano l'album “AQ”
Ave Quasàr presentano l’album “AQ”
E’ uscito venerdì 22 aprile 2022 il primo album degli Ave Quasàr dal titolo “AQ”, per  www.ohimeme.com (e in distribuzione Artist First). Un disco che nasce in duo, da Luca Grossi e Fausto Franchini, abili miscelatori di generi e che in questo disco racchiudono influenze che vanno dall’elettronica all’alternative degli anni Novanta, un disco che il duo descrive come “la nostra libertà creativa…
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koufax73 · 4 years
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Ave Quasàr: "Bene & Pace" è il nuovo video
Ave Quasàr: “Bene & Pace” è il nuovo video
È disponibile ovunque il nuovo video degli Ave Quasàr, Bene & Pace, singolo appena pubblica dal progetto creato da Luca Grossi e Fausto Franchini, un flusso di coscienza psichedelico che parla di un amore disturbato dai media e dalla comunicazione ossessiva in chat. Un delicato ritratto di un periodo complicato per un progetto che affonda le radici nella migliore elettronica tedesca e inglese…
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Elias Fausto, 17 de novembro de 2017.
Excelentíssimo Sr. Prefeito Maurício Barone.
Gostaríamos da sua colaboração, pois desejamos que para o início do ano de 2018, estivesse realizado algumas de nossas solicitações: sala ampla com cadeiras e mesas para realizarmos leituras, tela para projeção de slides, filmes e etc.
Também gostaríamos de estar solicitandi uma sala para biblioteca com livros de edições novas, estantes para organizá-los. Queríamos mesmo era biblioteca completa, queria que os livros fossem de autores famosos.
Gostaríamos de ter um ambiente natural para fazer piquenique e diversas coisas diferenciadas, pois minha escola tem um espaço vasio , o qual poderíamos fazer um campo de futebol, etc.
Poderia ser um área de lazer para as turmas da manhã, os menores, poderiam ter um parquinho, pois pensamos que deveria ter maus esportes para os alunos fazerem, tipo uma brinadeira nova.
Agradecemos primeiramente a professora Dairze Grossi, por ter organizado esse projeto e em segundo a vossa excelência pela atenção.
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jamariyanews · 7 years
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Dalla Libia alla jihad fino all'Italia: c'è un filo rosso che lega i " terroristi "
Gli attentatori che colpiscono in Europa sempre collegati a leader addestrati in Nord Africa. E passati dal nostro Paese
Fausto Biloslavo - Lun, 05/06/2017 - 08:17
  Un filo rosso che porta in Libia lega gli attacchi di Manchester, Berlino, Parigi e Bruxelles al gruppo jihadista di veterani della guerra santa, che hanno vissuto a lungo in Italia.
Per l'ennesima strage di Londra è ancora troppo presto ipotizzare un collegamento, ma l'intelligence si aspettava un nuovo attacco dopo la strage al concerto di Ariana Grande. Ieri il New York Times ha rivelato che Salman Abedi, il kamikaze di Manchester, si era visto in Libia con terroristi dello Stato islamico collegati all'attacco a Parigi del novembre 2015. Uno degli incontri sarebbe avvenuto a Sabrata, ex roccaforte delle bandiere nere, 60 chilometri ad ovest di Tripoli, dove sarebbero ancora presenti cellule del Califfato. A Sabrata bombardata nell'aprile dello scorso anno dai caccia americani avevano messo radici i tunisini Nouruddine Chouchane e Moez Fezzani. Due pezzi grossi jihadisti legati alla khatiba (brigata) Al Battar al Libi fondata da veterani libici dell'Irak e dell'Afghanistan, che in Siria ha attirato i volontari della guerra santa francesi e belgi responsabili delle stragi di Parigi e Bruxelles. Chouchane sarebbe stato ucciso nel raid Usa, anche se le prove non sono certe e si teme che utilizzi la notizia come paravento per continuare a pianificare il terrore. Sicuramente ha vissuto per cinque anni a Novara facendo il manovale. Le ultime tracce italiane risalivano al 2012, ma nel 2015 il ministro dell'Interno ha emesso un decreto di espulsione nei confronti di Chouchane per «motivi di sicurezza nazionale». Il capo jihadista è ricercato come mandante della strage dei turisti al museo del Bardo a Tunisi, che ha causato la morte anche di 4 italiani. Fezzani, nome di battaglia Abu Nassim, ha vissuto per anni in Lombardia prima di partire per la guerra santa. Gli americani lo avevano catturato in Afghanistan rimandandocelo in Italia nel 2009. Tre anni dopo è stato incredibilmente assolto in primo grado dall'accusa di terrorismo ed espulso. In seguito lo abbiamo condannato a sei anni di carcere, ma era già libero in Tunisia da dove è partito per la Siria alla guida proprio della brigata Al Battar, che ha giurato fedeltà al Califfo. Nel novembre dello scorso anno Fezzani è stato catturato in Sudan ed estradato a Tunisi. Secondo una fonte di intelligence europea del New York Times, la brigata Al Battar aveva attirato in Siria gli estremisti di Sharia4 Belgio ed i combattenti francesi. Fra questi c'era Abdelhamid Abaaoud, il capo della cellula che ha colpito a Parigi. Lo stesso Fezzani avrebbe ispirato il video di rivendicazione degli adepti belgi di Sharia4 da Raqqa, «capitale» siriana dello Stato islamico, per l'attacco di Bruxelles. Il leader jihadista che parla italiano dalla Siria si è trasferito in Libia a Sabrata, dove il giovane comandante Chouchane aveva impiantato un campo di addestramento per i terroristi del Bardo e della spiaggia tunisina di Sousse. Il filo rosso da Parigi a Manchester è legato anche dal tipo di ordigni usati, che non sono stati confezionati dai kamikaze. L'artificiere è lo stesso e l'antiterrorismo inglese gli sta dando la caccia, ma l'esperto bombarolo potrebbe trovarsi in qualsiasi paese europeo. Non solo: sul cellulare del tunisino Anis Amri, che lo scorso dicembre ha seminato morte e distruzione nel mercatino natalizio di Berlino, sono stati trovati due numeri libici. Secondo i servizi tedeschi Bnd erano cellulari collegati allo Stato islamico. «Le istruzioni di Amri sono arrivate dalla Libia non dalla Siria» sostiene Peter R. Neumann, direttore del Centro internazionale sulla radicalizzazione del King's college di Londra. E, guarda caso, Amri era in fuga in Italia quando è stato ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia a Sesto San Giovanni.
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