Tumgik
#filo aureo
vtribbean · 8 months
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Doppio/Diavolo AU stuff + a DiaBruno outfit idea
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speckyposting · 6 days
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[ OOC ] : These are old questions I never got around to answering on main when I first posted Specchio's sheet, so let's take a look!
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Hemispheres is a rather versatile stand, so it can be a little confusing! Most of its abilities center around reflection, and I try not to overdo it in terms of how much it can do. My main idea behind Hemispheres is that it would be a sort of jack-of-all-trades, and more of a "support" stand since a majority of Team Bucciarati is more on the offensive side in regards to their abilities. (To me, Moody Blues and Gold Experience are the more "supportive" there... but even then, GE could still pack a punch - especially with the retconned ability vs. Bucciarati!)
To help with a quick overview, let's narrow down Hemispheres abilities to these four: Reflexive, Disorientation (CQC), Reflective (Ranged), Absorption (Healing). Full explanation of each under the cut! Always happy to answer more questions, and that ask box is open! :]
Reflexive
Hemispheres was an untamed stand when it first manifested to Specchio. While not as dangerous as Purple Haze, it still made growing up a stand user who was unaware of their own abilities very difficult. Consider Hemispheres' reflexive ability to be like an unconscious aura surrounding Specchio - a radius that only effects non-stand users and drives them away subconsciously. It's basically the "bad vibes" circle. Hemispheres did this as a way of protecting Specchio since he was a bit of a loner and anxious around strangers, but this ended up adding on to the issue because it made it very difficult to socialize. While stand users can perceive this aura, they usually have the fortitude to pass by it completely. I suppose if a non-stand user was very bold, they could bypass it as well... but, well, Specchio was never so lucky to have that happen. As Specchio honed his talents under Bucciarati's training, he was able to deactivate this ability - like a switch... though, this may have also come with him learning to be more comfortable around people. The only times it ever really shows through is if he's especially fearful, but it no longer holds the same power it once did.
I suppose you can consider this ability defunct.
Disorientation (CQC)
Hemispheres is especially weak in close-quarters, even though that's the limit of it's physical range. It isn't a punch stand, nor is it extremely durable, being perhaps only a little more well-off than Specchio is (given it isn't, well, fleshy). However, there is one ability that Hemispheres can only activate via contact: disorientation. With a quick swipe of it's palm, Hemispheres will touch an adversary and activate this ability, which will only last within a certain range of Specchio. The adversary will have the hemispheres of their brain swap, switching lefts and rights, ups and downs... in layman's terms, consider this similar to a game mechanic that swaps your control scheme.
One who is especially in-tune to their surroundings and body may be able to overcome the effects of this disorienting swap, but it can be especially bad for those who have to worry about verticality as well, such as vs. Secco when he dives beneath the ground.
Reflective (Ranged)
This could be considered Hemispheres' main ability. While not offensive, it relies on trickery to aid Specchio or his allies in a fight. 1-2 reflective panes can be summoned within a formidable range of Specchio (basically, so long as he can see it at the time of creation). These panes have no border, and sort of blend in with its surroundings to be indiscernible as its own shape until you're right up against it. They take around 2-3 hits to break, but will crack with just one. The shape of it can also be altered, but this requires significant focus from Specchio to keep maintained, lest the illusion warp and become more easy to discover (such as in his vs. Formaggio fight with Narancia, when he turned the mirror somewhat concave in order to create a mirror-magnetizing effect to fool Formaggio).
Specchio usually uses these in order to make a getaway by concealing himself, or to buy time by making a barrier between him and the enemy. It's also worth noting that these mirrors are one-way, meaning that Specchio or an ally could see through them from the other side.
Absorption (Healing)
Now, this is an ability I actually never got to use in Filo Aureo (Specchio's AU)! I never really used it because I wondered if it would be too much, but I think it might have it's place in the right scenario, so I still keep it around. It's hinted at in Specchio's backstory with how he survived his house fire, with his burn wounds being halved and reflected across his body - which while this lead to more scar tissue, prevented him from losing his left arm entirely. In short, Specchio can reflect wounds across the median of his body, OR reflect wounds from someone else's body to his own. I believe this fits in with his self-sacrificial mentality... and could also probably lead to some angsty situations of trying to convince him not to take a wound for you.
This ability could be considered more theoretical in a sense, since he never really utilized it in his "canon".
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vividiste · 3 months
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Oggi è il primo febbraio. In Spagna chiude la caccia e per migliaia di levrieri la vita finisce, miseramente così come era inziata. Le atrocità a cui sono sottoposti per la loro breve vita e infine per la loro morte, sono inaccettabili e tuttavia la cultura spagnola ancora le sostiene. È la tradizione.
In loro onore riportiamo un magnifico e toccante testo di Rafael Narbona, perché sappiate, perché rifiutate, perché combattiate.
Los Galgos Ahorcados - I levrieri impiccati
La Spagna è il paese dei levrieri impiccati.
La Spagna è il paese che non apprezza la tenerezza inconcepibile
di un animale che si intreccia con l'aria, disegnando acrobazie impossibili.
La Spagna è il paese degli alberi con i rami assassini,
dove una corda infame spezza una vita leggera come schiuma.
La Spagna è una terra sterile che seppellisce la poesia nel suo grembo morto.
I levrieri sono poeti in agguato nel vento, levigano gli spigoli in silenzio,
scivolando via come un filo d'acqua dal fondo di un fosso.
I levrieri sono poeti che si stagliano alla luna, componendo sagome senza eguali.
I levrieri accavallano le parole, ci saltano sopra, evitano gli accenti, così arroganti e inflessibili.
L'accento è un signore ridicolo che si infila nelle parole come una spina.
I levrieri turbano la sua routine, gettandola al vento, giocandoci finché si stufano.
Così riceve lezioni di umiltà e accetta la sua dolorosa insignificanza.
Le impronte dei levrieri non lasciano traccia. Sono veloci, alati, quasi eterei.
Non influenzati dalla gravità nè dalla durezza della pietra.
I levrieri accelerano la rotazione della terra, quando la follia si impadronisce di loro.
Lo sguardo riesce a malapena a seguire il loro galoppo vertiginoso,
ma grazie alle loro corse percepiamo la musica celeste.
I levrieri prendono in giro l'ortografia tendendo o piegando le orecchie.
Le orecchie di un levriero possono trasformarsi in una X, Y o LL.
Sforzandosi un poco sono in grado di delineare la Ñ o il numero Phi,
il numero aureo in cui è nascosto Dio,
giocando con una serie infinita che lascia con un palmo di naso gli insegnanti.
Gli insegnanti della scuola non capiscono Dio, nè i levrieri.
Dio è un bambino che utilizza i puntini di sospensione per attraversare i fiumi.
Li genera uno ad uno e salta in avanti. Quelli che avanzano, se li tiene in tasca.
I levrieri non sono mai separati da Dio,
perché sanno bene che hanno bisogno di non perdersi sulla strada,
dove si nasconde l'uomo con il forcone in mano.
Ci è stato detto che Dio è un vecchio con la barba bianca e la pelle rugosa,
ma Dio è un bambino malato
che calma il suo dolore accarezzando la testa ossuta di un levriero.
I levrieri vigilano sul mondo, mentre Dio riposa.
Ogni volta che viene commessa una malvagità, lanciano un grido e Dio si sveglia,
ma Dio non può fare nulla,
perché nessuno presta attenzione ad un bambino
che in punta di piedi non raggiunge lo spioncino della porta.
Gli uomini che impiccano i galgos hanno perso la loro anima molto tempo fa.
In realtà, la loro anima è fuggita inorridita quando ha scoperto le loro mani insanguinate.
Gli uomini che impiccano i levrieri nascondono gli occhi dietro gli occhiali scuri,
perché gli occhi li tradiscono.
Basta guardarli per capire che dietro non c'è nulla.
Gli uomini che impiccano i levrieri sono gli stessi che fucilarono García Lorca.
Non gli è importato sradicare dal nostro suolo un poeta
che dormiva tra camelie bianche e piangeva lacrime d'acqua.
Non gli è importato seppellirlo in una tomba senza nome,
con gli occhi aperti e uno sguardo di orrore sul viso.
Gli uomini che impiccano i levrieri parlano a malapena. Non amano le parole.
A loro non piace giustificare le proprie azioni ed esprimere le proprie emozioni.
Lasciano una scia di dolore e paura.
Ridono dei poeti che passano notti insonni
cercando di trovare un verso alla fine di un sonetto.
Ridono degli sciocchi che vogliono un futuro senza bombe o rovine nere.
Ridono delle promesse fatte ai bambini,
delle rassicurazioni sull'eternità che placa la morte e ci impedisce di cadere nell'oblio.
Ogni volta che muore un levriero, un bambino rimane orfano.
I levrieri prestano la luce dei propri occhi ai bambini malati.
Li accompagnano nelle notti di febbre piene di incubi.
Li svegliano dolcemente, parlandogli all'orecchio del giorno che arriva,
con la sua freschezza e la luce rosata dell'alba.
Gli parlano della primavera e dello sbocciare dei fiori.
Parlano delle mattinate torride d'estate, quando il mare è calmo
e il sole sembra una pietra gialla che non smetterà mai di brillare.
Gli dicono che l'inverno si è nascosto dietro un cespuglio e si è addormentato.
I bambini malati sono i bambini che il giovane Rabì scelse
per mostrare al mondo la bellezza nella sua forma più pura.
Il giovane Rabì si presentò di fronte al potere delle tenebre
con un ragazzo paralizzato ed un levriero affamato,
senza ignorare che la compassione è uno strano fiore.
Un fiore che cresce solo su pendii ripidi e in profonde solitudini,
dove le preghiere fremono di paura al pensiero di risuonare in una cantina vuota.
Certe mattine mi alzo presto ed i cani sono già sulla spianata che chiamano piazza,
con la sua triste chiesa dalla facciata imbiancata a calce, e un albero dal tronco nodoso.
Raggruppati per lunghe catene, tutti sono giovani e non sanno cosa li aspetta.
Non sanno che quel giorno diversi di loro resteranno sul campo,
sopraffatti dalla crudeltà umana.
Potrei avvertirli,
ma gli uomini che preparano la loro morte vanno in giro con fucili da caccia e lunghe corde,
ed i loro occhi sembrano braci ardenti di un odio antico.
Gli occhi dei galgos svolazzano come colorate farfalle.
Blu, marrone, viola, forse un debole bagliore d'oro.
Alcuni sono seduti, altri sdraiati, assopiti. Alcuni sono in piedi, altri scomposti.
Alcuni sono così sottili che sembrano quasi levitare.
Alcuni sembrano d'argilla, altri d'argento, altri sono bianchi come l'alba.
Come l'alba che avanza nella piazza e li fa sembrare in movimento.
Si sentono le catene, le grida, le risa.
Via tutti insieme, aggiogati a un destino ingiusto.
Mi sento come Don Chisciotte alla vista dei galeotti,
condannati a spingere un enorme corazzata con un remo:
"Perché fare schiavi coloro che Dio e la natura hanno creato liberi?"
Mi sono seduto su una panchina di pietra e li ho guardati andarsene.
Un levriero bianco, dall'andatura rassegnata, si voltò e mi guardò con umanità,
con gli occhi stanchi e vagamente speranzosi.
Sapevamo entrambi che le nostre vite sono una scintilla,
un momento di chiarezza in un buio infinito,
ma ci siamo sforzati di pensare che ci saremmo rincontrati sotto un altro cielo,
vagando per una sconfinata pianura,
distanti da quel mattino omicida che si sarebbe preso le vite dei più goffi
e di quelli rimasti indietro.
Ci rincontreremo in una mattina di pienezza e splendore, senza tristezza o negligenza,
una mattinata perfetta, libera da paure e lavoro.
Guarderemo indietro, come due vecchi amici che hanno scoperto la gioia di essere altrove.
I suoi occhi nei miei occhi, i suoi sogni nei miei sogni e i nostri battiti all'unisono nel vento.
RAFAEL NARBONA😪
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Quanta inutile cattiveria 😡
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Medievalismo e Preraffaelliti La Dama seducente e pericolosa dei Preraffaelliti. Tra i soggetti pittorici prediletti dalla Confraternita dei Preraffaelliti - sorta di associazione di artisti e pittori romantici inglesi, attiva tra la metà del XIX secolo e gli anni Venti del Novecento, che dichiarava di ispirarsi agli ideali, ai metodi ed alla "pittura prima di Raffaello" - vi è la Dama "perigliosa", la donna seducente, pericolosamente attraente, ostacolo al cammino iniziatico e circolare di purificazione-perfezione dell'eroe, o nobile e severa, o ancora morente per un amore sofferto, struggente, non corrisposto o vittime di un tragico destino. Le donne dei Preraffaelliti capovolgono in un certo senso l'idea di amor cortese e l'immagine classica e standardizzata della donna angelica o beata: ben al di là dall'essere semplici comprimarie dei cavalieri- uomini, relegate al ruolo di nobildonne da conquistare con gesta e virtù cavalleresche, le dame preraffaellite sono le protagoniste assolute della scena, consapevoli della propria bellezza e potenzialità, seducenti e affascinanti, in grado di dominare e condizionare le scelte anche dei più valorosi eroi maschili o, in ogni caso, eroiche, di una bellezza surreale, protagoniste tragiche nella loro simbolica ed emblematica morte. Il Medioevo del Ciclo Bretone, arturiano, romanzato da Tennyson e messo in scena da Shakespeare diventa il filo conduttore di tali opere ed è lo sfondo per queste bellissime e pericolose dame, in linea con lo spirito e il gusto romantico del tempo volto a fare dell'età di mezzo il momento aureo dell'eroismo, della pura fede cristiana, del fantastico e dell'irrazionale. Un revival che aveva i tratti di un ritorno attivo e partecipato all'antico, non solo un tiepido ed emotivo vagheggiamento, ma un alternativa valida da attuare per rivoluzionare il mondo moderno, sia sotto l'aspetto sociale, economico e industriale sia, naturalmente, sotto l'aspetto pittorico, artistico, architettonico, riprendendo e rielaborando modelli, simboli, forme di vita dell'età medievale. #medievalismi #annalidellaterradimezzo #medievalism #preraffaelliti #gothicrevival #medievalismo #romanticismo #tennyson (presso London, United Kingdom) https://www.instagram.com/p/CQLYoSslHHungY-vbc75MkUkU5xeeFKPhF6_tk0/?utm_medium=tumblr
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piermarino-scoccia · 3 years
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Il muscolo maiuscolo
 C a r d i o m a s t u r b a z i o n i   in   a g r o d o l c e
  Il concetto di realtà parallela Un continuo ritorno per me Specialmente in questi ultimi tempi In ogni scatto Non cerco tanto il corpo l’oggetto Quanto la scia di energia che esso lascia L’intenzione Il divenire Da agnostico bipolare Cerco Dio in ogni click Trovando solo l’effetto del suo passaggio Un turbinio di foglie La danza della realtà   Reflexplore
     Sette capitoli indossa l’uomo nel giorno del suo esimo genetliaco
la luna gocciola giù dalla finestra del cesso
Cessa di battere il suo cuore
di lui medesimo
 Il bicchiere mezzo vuoto
è già vuoto da tempo
è già vuoto del tempo
tanto che
si sono formate delle melliflue
scagliformi
onomatopeiche profusioni frangiflutti
dette anche fiori di muffa
 Nessuno guarda le sue azioni invisibili
Invivibili simboli di genuflessa prece
un falò copre la visuale
nessuno starebbe a guardare ugualmente lo stesso
poiché a nessuno frega niente
di quello che lui sta facendo
lui sé stesso medesimo
chiaro
 La stanza ha un colore furbetto
Perspicace
Marpione
Ma anche ottuso volendo
Violento
di quelli che s’arrampicano su pei muri
su su fino al piancito
dove Dario
l’illuminatore a tempo
dondola da più parti
da più tempo
da solo
da nord a sud
da est a west
non riusce a fare su e giù
ma si sta addestrando
perché in ogni caso
tale meccanismo
è importante
non si sa perché
funzioni nel migliore dei mondi
 Naturalmente il soffitto è bianco
Bianco con sfumature di patatine fritte
ben dorate
fulve quasi
profumate
con fragranza di reazione
vomitevoli a stomaco pieno
 qualche chiazza color ruggine di Checiap Santamerica
l’unica marca commerciabile
introvabile
invendibile
si allarga da decenni
agli angoli ormai scomparsi della casa
due sciuscabap molto pelosi
reggono una pila di libri
gialletti
di colore
recanti benessere
a una delle ultime
piccole comunità di bacteri procarioti
nonché
semplicemente
schifosi muffi repelli
 Una sedia impagliata vicino al camino
sintonizzato su Fahrenheit 451
che trasmette musica da cammino
e countryjazz
testimonia un certo attaccamento alle vecchie antiche saghe
di necessità virtù
Un’altra sedia imburrata
più latte e marmellata varia
avaria
vicino a un tavolino
impagliato anch’ello
ma più impacciato
più goffo
più timido
unto e bisunto di sudori effimeri
e lanzichenecchi in putrefazione
 Lo chiamano Otto
poiché cammina rasente i muri quatto quatto
Otto non ha ricordi
non ha storie di cui vantarsi
non ha progetti
Non ha visioni mistiche
né televisioni
né visualizzazioni propedeutiche
né proposte
neanche supposte
supposizioni
e presunzioni
manco l’ombra
ombrelli però ne ha
più o meno
da pioggia
possibilmente
 Passato presente futuro
mescolati in una caraffa di vetro spento
smunto
ogni qualche ne brinda un centellino
schiacciando acni gravidi ad un orologio impazzito
e pisolini di primo pelo all’ombra di un gigalbero fiorito di funghi
facendo stramazzare batter d'occhi purulenti dentro la caraffa di cristallo esangue
L’organo prensile di un Dio ignoto e ignorato impasta assiduamente le frattaglie del cerebro
Quelle di lui medesimo ovviamente
in cerca di chissà
cosa dove quando perché
come
A volte lambisce il filo buono
A volte cagiona più condanni di quanti già ne sono
Troppe genti all'interno dell’involucro rivestito di zazzere
troppa ressa
troppo viavai
S’è bevuto il cervello e ora bighella per gli ambienti barcollando
Ondeggiando
Ormeggiando a volte
Oscillando
Ciondolando
senza propositi
Ne cosa dare
Ne cosa essere
Ma neanche cosa non essere
Dormire sognare morire et cetera
Batuffoli di primavera soverchiano la sua visione
il vento effervescente dell’autunno lo infervora nell’anima
indossa l’inverno sul muscolo cardiaco
L’estate è distante
In un baleno di stasi apparente riprende a scrivere
Scrive di oblunghe lunazioni lattee
di torreggianti protuberanti papaveri sonnolenti
sotto i quali prospera una spezia battezzata Gattacicova
di origini russie per parte di mamme
che
assunta per via anale non genera alcun risultato
per via orale lo stesso
a parte una tenue circonvoluzione ambientale al basso ventre
e prolissità conclamata al ventre di sopra
con collegamenti sporadici alla mansarda
circondata di neurotrasmissioni a camme
e pallottole di sogni a salve
ciao
dice con l’apertura orale
e In un bagliore di lucidità s’accorge di avere sbagliato strada
L’angusta via era sgualcita
Offuscata avariata
Spenta sparita
persa chissà
Cerca
Cerca nelle nebbie di sciampagna di mezzanotte
in vetuste strade perdute
in altre strade già buttate via
nei recinti invalicabili del pensare
nei caselli autostradali di fine inverno
nei guardaroba della coscienza
dove marciscono scheletri di parole osteoporotiche
usate
riusate
usate male
mai usate
La trova infine
Forse
in un cestino immonditico di Via Pappareale
appollaiata sopra un’ampolla d’olive amare d’enucleate ascolane
d'accordo con una confezione sfinita ma quasi integra di Pampers gustolungo
con sintonizzatore cerebrale
che subito toglie di mezzo il bugiardino
per deficienza d’istruzioni
 Ora i suoi piedi sono paghi
le papille estasiate
la sua mente sale
Saporita saliva scende
lungo le lunghe vie del respiro
conducendo per mano una minuta cicca
americana d’origine
che per un ciglio non lo strozza
Dietro lo spigolo lo attende un tartagliante a piedi nudi
con rivoltella in palmo lo intimorisce di vita o borsa
Lui si sgomenta sbigottendo
come un corbezzolo annaffiatato in una sera di luglio
Caccia un urlo che neanche Tarzan in groenlandese
la gomma spruzza sul volto livido del tartaglione
unitamente alla saliva che ora scende
comodamente
sul muso dello stesso
questo
con una sequenza di bizzarri agiti isterici a buon mercato
mirando l’indice latra
Ma ma ma ma ma
Al che lo tronca l’altro
dovresti dire ta ta ta ta
ma tu non hai un mitra
quindi devi dire
pa pa pa pa
E comunque mio caro
la filosofia di un criminale non si misura dalla potenza di vampa
bensì
dall’alveare che ha sotto lo squarciapatate
Il secondo lo scruta tentennante
poi non lo scruta più
esplode un colpo a casaccio che trafigge lo sfigato in piena evoluzione mascellare
poi dice
Pa virgola pa virgola pa punto
Si gira senza prendergli nulla
fuorché un pendaglio portasfiga che l’individuo tiene agganciato all’orecchia sinistrorsa
e un paio d’occhiali a pescemorto effigiati a mano sul baratro del naso
 Il mattino è agli estremi dei vigori tra il bene e il male
In lontananza un vermiglio prato conquista il tono dell’ambra bagnata
poi della giada
e infine della giogaia lì dietro a nordest
nuance imprecisata
stoppia e beton o giudilì
 La folla affolla le strade già di mattina presto
Signore adipose e cappellute chiacchierano bitorzoluti discorsi
conquistando un bar vicino al Café De La Cruà
ai piedi calzature di cocco affumicato con gore d’oro sommario
per la pipì
Addosso sdraiati manti d’amianto
privi di calore
e fardelli di cazzidaltri sui pendii delle groppe
La nottata avanzata avevano dormito nulla
per questo farfugliano furenti paranoiche filippiche all’incrocio dei pali
 Più tardi è notte
ma con riserva
La conserva si difende bene
i nerbi sono saldati al pene con fibre di stagno
alluminio e corame potenziato al limone
catturato fresco nel Mar dei Ragassi
con peluria di pube alla lenza
Stringati e scuoiati vivi
le parole masticate con bonton
il quale verrà poi sputacchiato da più parti e disidratato al sole di mezzanotte
Il giorno dopo
verso le dieci di quel mondo afoso
la grafia è grave
vuota
famelica
infiacchita
perplessa
rivestita d’ustioni
dentro il pantalone principale del principale
qualcheduno attende pingue lo sbarco dei milleccinque
mentre alza le gonne per manifestare la gioventù bruciata
Sentire sente
guardare guarda
il vino però viene male coerentemente lo stesso poiché nel tino
di primo mattino
sono precipitati per quiproquo un punto e una virgola
che imbrattano il dolce miele d’ambiguità assordanti
precoci inflorazioni
sgradevoli straripamenti di gusto
instillano uno stanco imbarazzante pudore
a guardar bene
inoltre
un effluvio stagnante libra all’inverso del capoverso
svenendo i controllori linfopapillari
 A volte penso non abbia senso cercarne uno
Dichiara il modulatore di frequenza
che poi svanisce nell’etere assediato da cento microfoni con ali di c’era
Quando da terra non si vede altro che un puntino fugace
sprangano i ponti radianti
il dicastero della sfiga benvolente dichiara aperta la cerimonia di guerra
Intervengono numerosi
essenzialmente tutti
alcuni svengono
altri aiutano a svenire
certuni vengono ma non volevano venire
La stanza è piena di gruppi sparsi
qui e là
suppergiù
Zingari rapaci
scuoiano con gli incisivi anteriori
vecchi e rincitrulliti luoghi comuni del cazzo
intercalando con parole nuove
vecchie liquefazioni emotive
del cazzo
cechi ubriachi tracannano a tastoni slovacchi ustionanti liquami
e come fradici barboni beoni
zuzzurellano verso l’ultime pagine d’uno strano dicasi dizionario di lingua mamma
eschimesi abbronzati voltano canti saltalenanti a quattrocchi
con organi prensili tostati e fessure per la posta celere
dallo sfintere del corridoio annuale arrivano di filato
indiani damerica e indiani dindia
indiani di Napoli e di Caserta
Un gruppo di marijuani incalliti passeggia strade perverse in cima ad assopiti pensieri
Matrone incastrate, vivide, purulente, squallide matrone invernali
Appollaiano pensieri involontariamente anali percuotendo a vanvera
Illuminanti pentole minestroidee al farro di ceci anarchici
e prensilmente magichi
Asdrubale coi suoi maiali è appollaiato sopra un trespolo aureo
una cartapecora di banano nell’altra mano
è da un po’ che riposa su quel soffice divano che ancora in molti si ostinano a chiamare vita
Annibale coi suoi cinghiali di montagna
quelli con più gusto
discendono a perdifiato giù per la calata
scapicollandosi a ogni piè sospinto per non sembrar pupazzi del presepe
Quando all’incirca appaiono alla metà
scambiano per praticità i cinghiali con voluminosi africanti animali dagli uditi a ventola
e raffreddore pererre
detti topofanti.
Un topofante cinque cinghiali di montagna
quelli con più gusto
Recandomi di sprazzo al lato dello spiazzo
vedo Matusalemme che si conta le emme e riattacca le penne
dopo uno scontro frontale col sultano del bidè
che intima stupidi boicotti agli ultradizionali traditori della plebe dal pube pepato
mangiando alici peperonate al dentice con scroscio di limone dorato
Quando in fine ci sono tutti
tutti chiacchierano del più a scapito del meno
allorquando giungono alla frutta il caffè è servito immanente
conpocozuccheromiraccomando
Rimestando ben bene
due chicchere al giorno
dopo i sogni di mezzanotte
prima dei pasti ai propri posti
stesi a due a due sul lettino di Froid
Tanto per cambiare
 Non tutto finisce quì
una gatta arancione valica la strada
ma di questo pronunceremo in qualche altro incubo
ora dobbiamo pensare a scappare sul serio
fuggire di brutto tutto il giorno
non dobbiamo fare altro che dileguarci
Annibale finge di sfringuellare le passere scrutando gli stormi
ma con sua enorme sorpresa divenne presto un cercaprugne tediato
eccedente di incremento fecale con milza diroccata
dente perdente e fegato a credito
Quando sì risolleva
non rimembro quando cadde
ma sono sicuro lo giuro
che in qualche modo si rialza
ha vigorose dolenze in tutto il versante destro della letizia di esistere
Un parafulmine è precipitato addosso a un tuono e non si sente niente bene
ma lui è un principe nella sua stola di piduino ed è il primo delle classi
micacassi
Il secondo è Coppo Gimondo detto Merchkxs
a causa dei suoi lunghi sguardi a sfaldamento ancestrale
epperò i compagni più stretti lo denominano affettuosamente Sfegamonti Cipriano
generato di lunga era
con vista all'incirca e un capello sul labbro anteriore
che la madre gli acconcia continuamente
prima di salpare per la consueta lezione di polluzione notturna
Il terzo non c’è mai pertanto non lo racconterò
So soltanto che porta due ingombranti orecchini al posto dei testicoli
sono i telai sostiene lui
è sopravvissuto solo ciò
Vaccascrofa
a forza di fioretti al bambin Paradiso
Zè per gli amici
Il lividore sul suo volto è ormai sgonfio
la sera del giudizio universitario c’è anche Apollonio battezzato dai più Versaccio
il gran mastro della loggia di Fiordimonte
Fa tre capriole con le mani e una senza piedi
di modo che la gente intorno non capisce più il dritto e il capovolto
Dalla mente di Versaccio colano verdi sapori dalle sembianze rapaci
sta notte piange a colori
quando si sveglia di soppiatto
Le forme s’appiattiscono poco dopo il crepuscolo
espressioni limitate poco convinte
sclerotizzate senza senso
In fondo che senso ha scavare nelle fosse del soffice bigio
tappare buchi con forsechissàperò
Onde naturalmente provare che l’esistenza di Dio esiste
Naturology etology scentology di varia natura ci provano
nei secoli dei secoli amenchenonsidica
un videogioco di fanfaluche buone per perdenti di tempo
principio immateriale denti e affini
Gravidi foruncoli esplodono all’ora di pranzo quando nessuno se l’aspetta
Quando
A me non capita mai
quando
Allupoallupo
Risolvere è facile
Forse
basta poco
basta spegnere il tivì e continuare a mangiare
Le scarpe sono piene di merda in quest’ora di merda
fino ai piedi
Il dotato di sacralità sputacchia parole a gettone dall’altare sopra la porta
l’altare che occlude l’accesso
non ha templi da perdere santinumi
I circoncisi sprangano la fabbrica di altari-atari a metaprezzo
n’aprono una di speranze affumicate in società col signore dell’anello
Bianco da ogni parte
Non c’è più spazio
terminato lo spazio
E a merenda mangeremo cavoli amari
Gli speziali bandiscono un banchetto per il capretto
milioni di cannoni riscaldano le pietose pietanze
qualcuno grida giù nelle stanze della primavera
Bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Poi tutto si liquefà
tutto è scarlatto
poi merda
poi cinereo
poi forse
Stilano la lista dei vaffanculo dopo il rancio delle seiettrenta
mentre il resto della folla parla in silenzio
folate di vento trascinano via il silenzio della folla che parla in silenzio
Qualcheduno ascolta addirittura
Magdala deterge coi regina il volto del crocifero prima del rimpatrio dei mestrui di fine millennio
il pane azzimo in un angolo
zitto zitto
quatto quatto
sempre otto
La Sachertorta atterra di soppiatto
scaraventando il pane con prestanza dalla parte opposta della calca stanza
Con un diniego perverso acquerellato sul volto
abbozza una dimezzata locuzione
State bene al caldo quando sapete di poter invocare il consueto qualunque Iddio
perché ci siete incappati in mezzo
L’alterco si fa bislacco
soverchiando l’ammasso un wafer napoletano ingigantito sul falsopiano
scaraventa il suo muco nell’intelligenza in alto
verso il firmamento
e rivolto al dotato apostrofa
Scarabocchia la tua verità sulla carta nettaculo
io lo farò con la mia
Dal versante della montagna dove qualcuno sta discorrendo
discende ansimante uno stronzo di mosca a cavallo di una cacca di vacca
che a mani giunte supplica
Per favore
vi scongiuro
NON PROSPERATEMI SULLE SFERE TESTICOLARI
Letteraminuscola afferra il balzo alla palla che si ferma a mezz’aria
abbandonando quell’altra dimezzata a vituperanti spazio-testosteroni
per la divulgazione psicodinamica a fermentazione naturale
Naturale un cazzo
Sente la sua voce gridare
La sua voce di lui medesimo ovviamente
Ovviamente un cazzo
Replica
senza accorgersi di star parlando da sé
Stesso luogo stessa ora centoventitre anni dopo
è seduto sopra un peto che da anni lo sorregge e sostiene nei lavoretti domestici
Fa di tutto
eccetto l’aspirapolvere
si rende conto tuttavia ogni giorno
che sedere incessantemente sopra un peto sia una posizione alquanto soffice
ma decisamente poco pratica
poiché i peti non hanno un piano stabile
sarebbe come adagiarsi sopra una bolla di sapone
ma un po’ più resistente
La sua voce è identica a quella di altri
il suo organo del gusto sfiora l’ansia della caparbietà
mentre sfiorisce il suo organo riproduttivo
esili lampi
fulgori postumi schiariscono il bianco dei suoi oculi
 I fari anteriori non sono mai secchi
qualcuno li conduce di nascosto al travaso del sole
da questo lindo mondo a quell’altra metà di là
L’ipotenusa regge bene
sebbene
le configurazioni siderali di quella notte sembrano ricondurre agli albori del borsellino esaurito
quando i cateti smettono la fantasia e girano
girano
girano
girano
basta
Le parvenze mestruali sono sem’inumate da transiti di cilicio granulare
ortogonale al ciliegio di Diego Walles
l’estremo cesellatore della crosta terrestre rimasto
vivente a tutt’oggi sul pianeta Ekatonchiri
o viceversa
 Ekatonchiri
l’entità dalle cento energie
ricordi?
Non mi rammendo
Sostiene il paltò del sarto
masticando giugulari vuotate di plasma all’amatriciana
dette altresì bucatini
 In ufficio non s’accorgono di nulla
su al milionesimo livello del grattacielo perenne
o per G non so
Chissà se fingono di non vedere
La cupola ora è spenta e nessuno si sogna di dormire
Chissà per quanto tempo ancora la corte si appellerà al novantunesimo emendamento
Chissà se ancora il fumo uscirà dalle sue maiuscole
Il prepuzio gestisce l’incombenza in forma effimera e non ci sono più cipolle
Etimologicamente la visione onirica è perfetta
Sintesi di stralunati pensieri
principiano finalmente a venir fuori da quel bizzarro forno a microonde
il suo scatolo cranico
timida mente
svogliata mente
assopita mente
fagocitando ancestrali spazioperdite
Casual mente perversa
Seduto sulla tazza della colazione
i suoi pensieri guerreggiano con la puzza di merda che sovrasta la stanza
quasi tangibile
La sera prima ha ingerito cibo
Punto
Gli arcani del delirio coerente aleggiano impolverando
Offuscando
Opacizzando
coagulando linfa vitale
mancando dalla nascita tenta di fermarsi
poi cambiando idea guizza di lato come un vettore maldestro raschiando i pianciti
vuole assassinare la morte cantando messa alle sei di mattino per Via del Vino
parallela a Via del Tino ma con più virgole
All'esterno le giovenche ammaestrate puzzano di miglio lontano un chilometro e seicento
La notte seguente il sole cola a picco dentro nelle tazze della mariuana
la pozione maliarda
in fondo in fondo scende piano
per fecondare i pensieri ne bastan due calici
calici belli
belli colmi
colmi e roventi
da svenire o venire a piacere
Peccato però purtroppo che l’ora del mattino è tarda la sera di notte sul far dell’alba
Prima dell’apertura delle soglie del solstizio di zia Naftalina
che non ha più cicli da qualche millennio
Da tempi non riesce più a cuocere quegli amabili ambigui sughetti
al sapore di pomodori notturni e ricotte maliarde
peperoncini mistici all’ombra dei salici
mistificati masticati sputati mescolati alla salsa rossa
sugo alieno
intingolo marziale
Che aspetto
che solletico allo stomaco
che rilassante putiferio delle membra
affamate di potenza mediterranea
un piatto di pastasciutta coi suoi sughi
Per quanto
se sia seduzione per uno stomaco vuoto
o a volte di una mente carica di vuoti cicli e ricicli che circondano la giornata di un individuo
non saprei dire
ma il piatto è lì pieno di pappa invitante
rosso assordante
profumo di vero
Non sa come riempire il tempo rimasto tra le penne e i rigatoni
Ci pensa su un bel po' poi opta
Spaghetti
Alla chitarra
Armonia per le papille in un amore immenso di Rosso Piceno d’annato
Volendo potrebbe aggiungere una candela
magari rossa
forse anche profumata
per sottolineare la sua passione e soddisfare la sua buona volontà
ma riesaminando l’apparecchio
considera che c’è effettivamente tutto
la misamplas è perfetta così com’è
la candela potrebbe essere un po’ troppo
così la vede
Aspetta da un’ora che giunga l’ora dell’incontro
Al termine del tavolo
addosso a una grattugia
un bel gran pezzo di arrapante Parmigiano
iddio lo accolga nell’eden
attende di fioccare prima o poi
addosso a rigagnoli di fumiganti vermicelli
Il vino
c’è anche lui
un po’ più in là
un po’ a metà
mezzo pieno per l’ottimismo
rosso senza virgole e puntini
impetuoso al gusto
morbido al muscolo cardiaco
inebriante al pensiero
antico remoto arcaico polveroso
appena migrato dalla vecchia dispensa muffosa
tutto procede per un verso qualunque
ma nessuno ancora bussa all’uscio
ha disposto anche dei fiori
Nello spigolo destro della tovaglia a fiori
la candela no
è troppo
davvero
La pignatta si lamenta che quando uno scrive deve tacere altrimenti la digestione accade apatica
Il Maieutico si scrolla di dosso la pipì
suo fratello il boia del villaggio glie la fa sempre sotto il naso
ma lui è buono lui
sostiene tutti lui
è continuamente là con lo schioppo mirato
accorto ad ogni moto
mosso da pura inventiva
immagini accidentali
Suo fratello attende fuori
Tormentati del fatto che altri possano parlare ingiustamente del loro operato
serrano i rubinetti della mente
non ricordo quando li dischiusero
ma li chiudono
sicuro
lo assicuro
Arcani scivolano dalla mensa sacra in basso
verso la cripta del santo
Il maieutico del dopopranzo diviene Cicero
e asseconda un ammasso di labirinti stipandoli nella valigia cranica
la più adulta che ha portato
raggiungendo peraltro uno splendido intrigante senso di libertà intrinseca
Senza pudore percarità
libertà che a benguardare non ha il più grande degli scopi del mondo
solo futilità di vita e avversione da forze avulse al suo intento
La poesia è in ogni caso autobiografica?
Gli domanda il coltivatore di datteri
che nella bella stagione trasporta il frumento a falcidiare negli elevati pasci di montagna
Quello che è avvenuto dopo
nel corso del collasso degli elementi
a casa di Vanni
il taumaturgo piscione
dove si fronteggiano per una festicciola esclusiva:
la Teresina
la zia Naftalina
il Maieutico e suo fratello il Boia del paese
che attende fuori in compagnia del dotato di sacralità
Titti la cacona
Lettera Minuscola
il paltò del sarto
che ancora sgranocchia giugulari amatriciane
Coppo Gimondo detto Mrckhss
la Sachertorta accompagnata dal Wafer napoletano
che l’abbraccia folle
A un certo punto la virgola incespica sulla Teresina
che non si sveste mai due volte con lo stesso uomo
stramazzando sulla moquette rossa della stanza dei pensieri strani
e da lì tutto precipita
il maieutico raccoglie mozziconi disattivati dal sacco di plastica cupa che ha in mano
non è dato sapere perché lo ha in mano
poi comincia a disseminarle sulla stessa moquette rosso fiamma di cui sopra
quella della stanza dei pensieri strani
Questo da tanto fastidio alla sposa del Taumaturgo Piscione che
preso uno zucchero a velo per la coda dall’ambiente sterile del cesso
lo scaglia addosso agli sposi primaticci
che però non sono giunti ancora
ma farebbero sensaltro in tempo a riceverlo in faccia
poiché non c’è vento
Nel quintunque del batter d'occhio Titti
la cacona
esala strani concetti che evocano tutta la flatulenza dell’essere
poi
senza scomporsi
la fa lì
sul consueto tappeto rosso nella stanza dei pensieri strani
già zeppo di mozziconi estinti lanciati dal maieutico
intanto che suo fratello temporeggia fuori
Rintanati nel posticipio passato dei sensi
Letteraminuscola con in groppa il paltò del sarto piscia nell’occhio destro a Coppo Gimondo
detto Merckhss
per una sveltina urinoterapica di gruppo
dicasi Orgiasta-bombasta
Punto
La notte è precipitata giù dal letto da quindici secondi virgolasette
Sachertorta ha deciso di psicoatomizzare per via orale la Teresina
che più tardi respingerà in calciodangolo
Non c’è più niente da fare
la serata si colloca male
la mattinata sarebbe in modo peggiore
Nell’angolo catodico Zia Naftalina cessa di sognare Eta-Beta
i miti si stanno squagliando a bagno-Maria intanto che Jesubaby
denominato all’epoca Cicciotom
dissolve le preghiere in un cucchiaino d’argento
Punto
all'esterno in giardino
il Bestiale raccatta ogni natale per l’imminente venturo minimale
a tergo assume strane pose di libidine universale
innanzi sviluppa languidi e facinorosi cazzotti a dissuadere ogni tentazione evolutiva
lui resta comunque tenacemente lì
appeso all’ultimo centesimo
economizzando apnee e divincolandosi dagli ultimi nodi in gola
 Rincasando a casa trettrenta del mattino
stanza della camera a dondolo
mentre il coma s’aggira per la casa
perpetuando strani malesseri al lezzo d’orgasmi retrivi
Oscar la lavattrice
comincia a strimpellare con sguaiata svenevolezza arie degli anni tali
questa cosa rimanda in belva la consorte del taumaturgo piscione
Il giorno dopo
La sfuriata
 Masturbazioni cerebro-spinali scortate dalle proprie particelle cromosomiche
o da chi in quel momento ne avrebbe fatto le veci
bussano cazzutamente al portone dell’edificio scolastico
la targa spicca aurea
I.C.A…Istituto di Corruzione Antropologica
il custode dischiude rasentando la tragedia
getta secchielli d’umorismo a buon mercato
dalla finestra del piano sovrastante a quello centrale
quello con le virgolette per capirci
è gennaio trascorso da quindici minuti puntuali
perintenderci
dietro le quinte sembra tutta un’altra storia
L’esimio s’avverte che il regista del sovrano ha dimenticato di dimenticarsi il copione a casa
sono obbligati a girare il film
Prima scena
interno notte
mezzobusto trequarti di uno sfintere encefalico in putrefazione
Seconda ed ultima scena
esterno notte americana
primo piano
il culo va in paradiso
la merda no
 Dopo il film
per cent’anni a venire non avrebbe cucinato più
si ciba come capita
random
nella fattispecie
di vermi Malthusiani
criceti di Betlemme
asinelli del Peloponneso
rivestimenti in madreperla
appetitose esplorazioni sgonfiate
qualificate anche come sgonfiotti
fluttuofobie delle focacce
combinazioni meschine di mediocrità ben ponderata
per dessert
ali di fegato di foca obesa con testicoli devitaminizzati
Piccoli capricci importati da lontani passi
chi viene al mondo sperando
chi ha il rodaggio pronto
 Il fondotinta lo sveglia di colpo dal suo sonno impossibile
Perdio
Sbraita rauco
e si girò dall’altra puttana
quella soprassale gorgogliando
Porcavacca
La libertà è un dolce un po’ melenso che quando lo mangi svanisce sotto i denti
bello da studiare punto
Lui non comprende l’ultima frase e s’addorme daccapo
Lei frustrata si chiede quali ingredienti sono essenziali ma non n’è sicura
A volte ora finge spesso
manco coi grandi sentimenti può mascherare la sua maschera
Spesso cerca dei falò
altrettanto sovente recupera solo cerini disattivati
adoperati da altri per infiammare i loro falò
sigarette
sogni
 Introspector volteggia col suo vascello sui piani elevati
li avvista
accovacciati sulla stessa ampiezza di flusso
la stessa banda di frequenza
Così sembra osservando attraverso i cristalli nebulosi del primo mattino
In un’altra stanza
al piano di sopra
in una vasca da bagno
biancheggiantemente immane fluttua il volto di una bambola
La nave sussulta
per un vuoto di reminiscenza si trova all'imprevisto nelle veglie viscerali di un genetliaco matto
Qualcuno ha versato tutto in un grande calice e s’appresta a bere
Ruggini
pietà
viltà
sinonimi
contrari
astenuti
epidermidi
dischiusi boccioli di mente
ha bevuto
comunica da solo
è sbronzo
il sole si sta pettinando
Il giorno dopo di buon’ora sarebbero sopravvissuti tutti i defunti
Insetticidi spray per insignificanti significati
 Andante mosso spiritoso con brio e sorrisetto finale
 Un piatto di partiture tracima in testa al primo della lista
che tirando di naso si getta dal primo ponte dove Caronte
l’evoluzionista
sta sostituendo uno pneumatico trafugato forato al mercato
Non c’è adipe per gatti
Strepita il Caro Caronte dal naso paonazzo smorzandosi una paglia in un globo oculare
Non passerete dall’altra parte solo per feeling
Replica il primo della lista dei favoriti
Vedrò il muso della morte cazzo
dovessi metterci tutta la vita
 Mentre continua a marciare piano colla melma fino ai ginocchi
S’accorge che i suoi organi tattili sono diventati pasta di carbonio cristallizzato
il suo seme ha vaghi riferimenti erotici
di volata travolge quanto gli si para d’avanti
sul teschio ha un copricapo da marinaio ottomano
Genuflessa gli corre dietro per tutta la patria d’Ade
una sola cosa vuole da lui
lo scrigno d’anime posticce che trasporta nascosto sotto il mantello
trafugata per scarse monete al mercato di Fiordifragola molte epoche prima
Fluiscono gli anni i mesi i minuti i secondi la frutta il dolce il caffè
dona il suo scrigno di anime posticce al primo che capita
e s’imbarca sopra un vascello di papaveri rossi dove incontra un Dio privato
Hatù di nome
Vuole eclissarsi dall’impetuosità della madre
lei è in tutte le cose
non può farne a meno
non ne può più
gli ruba i segreti trasformandoli in minareti
si affanna a masturbargli la mente quando può farlo tranquillamente da solo
Vuole eliminarla
Sopprimere la madre non è di grande efficacia è sconveniente e cagiona sentimenti di mancanza
Gli dice il Dio nella sua opulenza
Devi rimuovere l’astrazione che hai della madre
Perché il concetto che hai della madre è obsoleto ombelicale e luttuoso
M’Hatù che cazzo ne sai
Reagisce lui nel pieno senso della sua dignità
Non ama essere inculcato per non dover sentirsi dire dalla madre che lo è
è tardi a quell’ora tarda
è fresco di giornata l’uomo appena scolpito
Né più piaceri schiaffeggiano le sue membra
né più gementi e piangenti battono al suo uscio orifizi-anali-peli-compresi
a domandar cagione di una smarrita ragione espettorar sentenze dall’alto di altari a quattro zampe
Parte per un molteplice orgasmo a quattro testine
niente lo frena più
fuorché il visuccio pallido che spunta al bagliore della luna dalla finestra mezza aperta
dalla finestra mezza schiusa
Lui scruta
lei sfuma la luce per non farsi identificare
Buca l’ultima gomma rimasta
Dopo qualche mese
nove o giudilì
sprizzerà un giuoco d’h2o
Furor natale bestiolitico
rosso fuoco il manto
oro di maggio l’encefalo
Distinguibile dalla invetriata che attornia il suo angusto teschio
Ecco io sono
Mormora
Ecco sono nato
Esulta
Non bastano più tempi profani
Il puledro scalcia di già
 Comandante vuotate il torace
Prima dell’alba qualcuno volteggerà sulle proprie utopie
Dice il luogotenente Beccaceli
Il comandante Anton Mauro Fitti Paldi ha le lame affilate
ma non vede il lunghicoltelli dagli occhi blu arrampicarsi sulla la collina alle sue spalle
Il cucù limitrofo alla boccia della linfa al limone marca già primavera e un quarto
è tardi
Troppo tardi
Le facciate del lunario volano via capo dopo capo dopo capo
A capo
Quattro colline più in là
il popolo perverso s’accapiglia sparando nel mucchio
per un miserevole brandello di soffritto atomico
Il rapporto del Generale Quartarulli detto Sanbecco decanta
Prima che la legge non ammetta ignoranza
bisogna abbattere gl’ignoranti che fanno la legge
  Nella piazza a pecoroni sciamano le folle
con le eliche sulle palle d’amianto color pelle di daino
 conservare in luogo asciutto e ventilato scadenza a breve termine
 La maschera gli sta a pennello ma non entra nel fardello
 L’unica trasgressione possibile oggi è quella che ieri era considerata normalità
 ha dei braccialetti ai piedi e alle mani
 Che l’autunno delle stagioni corrisponda a quello della vita?
 I braccialetti ai piedi sono color pioggiadorata
anche l’odore è quello
forse sono i piedi ad essere quelli ma per quanto quelli potrebbero essere loro
loro non lo verranno mai a saperlo
 Perché profumino d’incenso questo ancora non lo s’è capito
s’è capito invece perché non si sono recati alla celebrazione di Calatafimi il vetusto
che quel dio d’inverno compisce ventunsecoli venticinquecentesimi restomancia
Acquavite a catinelle piove per questo non sono andati
Batteranno il marciapiede per alcuni giorni
 Quando il culo è basso gli uccelli volano raso
 Sguardi indiscreti scrutano da dietro i massi di plastica
occhi importuni di vecchi piceni semi assorbiti dal manto stradale
 I gradini del palco ancora imbratti di sangue
tre secoli e mezzo dopo nessuno è più andato a quel paese
Un parco dei passatempi
sipario sul teatro del terrore
La ruota panoramica ruota apatica
unico cliente non pagante il vento che zompa da un posto all’altro
facendo oscillare le stridenti rugginose altalene
carta straccia nei viottoli del parco della luna
Un quotidiano letto tempo fa
la foto risalta tra le colonne
senza capelli senza cappello
il naso d’aquila
un neo sulla punta centrale del pensare
Ricardo Fiordileone se ne va rosicchiando un osso del secolo precedente
i peli del corpo incespicati nel tempo
pure quelli del pube
finanche il pube
 Barbablù frattanto
seduto sul il suo stesso pensiero
mangia una sigaretta
quelle pesanti
col retrocorpo innestato da fuliggine cinerea
Globi di cristallo cacati dall’azzurro conforme alle norme
Dietro la porta
un grigio azzurrato si tiene i fianchi stretti dalla risata
Dietro i seggi delle maiuscole nessuno finge più
 La roccia è rovente
miserabili formiche danno il sangue per un miserabile avanzo di pane
l’Aria greve entra fin dentro nelle più profonde viscere degli esseri senza tessere
Quando capiamo d’aver smarrito Erode
abbiamo già percorso cento metri umani dall’immenso salone del grande scheletro di roccia
Le cinque bobine scomparse si trovano
secondo le tavole
nella cabina del signor Mastrovadapiano della Vecchia
discendente d’antenato
nato prima che lui lo sapesse
postnato in assenza del timbro postale
dopo
e un assegno posdato in arrivo da Uoscinton da parte di un ecclesiale apostoloide apostolato
dalla missione terracquea di San Penino il Glande
Il sibilo s’è fatto violento non possiamo tornare indietro
Dalla grande crepa ci accorgiamo che il sole fuori è alto
dai muri cola una sostanza viscida color cocacola
è cocacola
fugge al tatto
nelle palme non rimane che pulviscolo
quasi niente
poche lacrime di fosco pulviscolo
il sapore però è eccellente
urlano
viva la passera
prima che li arrestino al posto d’assedio di nome Ubaldo
un posto elevato e massiccio di nome Ubaldo
ma questo l’ho già palesato
Procedendo ad altro mi accorgo che in quel dunque nevica
a tempo smarrito ma nevica
quando arriva d’oltralpe Antombucchi Palese
Passeo per i compagni poiché ha gli occhi a Fiordipanna
un paese lì limitrofo
Molte volte fa fatica a sollevare le patate
il quadrupede infecondo gli da una mano con la coda
ogni tanto
quando gli tira il deretano
il mulo parla una lingua bislacca
a scuola è stato un somaro
fabbrica ciarle senza senso
quando pronuncia gli discendono i cucchiaini sulle i
Passeo si conduce a quattr’occhi
con un bimbo gatton gattoni che strimpella il piano a quattro mani
con un pianista dalla lingua biforcuta
l’equazione è facile
agguanta un equino
fa la sottrazione
ciò che resta lo mangierà il giorno dopo a colazione
che tanto poi alle sette e un quattro sarebbe arrivato Balaustro
il lucidatore di lumache da corsa
ha conquistato cinque trofei d’orate
sei chiocce tedesche in do diesis perché fanno kokkoddoi
una galla austropiteca incazzata che avrebbe potuto fare kokkoddio
ma si trattiene per rispetto dei pulcini che sono pii
molto pii
pii pii
Il totale fa diesis
Dopo tutti questi premi conseguiti si ostina ad allenare ancora le sue lumache
ma alle corse ormai arriva sempre tardi
finisce tardi e di solito non pulisce il vate
i versi imputridiscono sotto il carico del suo ponderoso e affardellato culo del cazzo
Punto
e a capo
 Atroci perversioni aspettano all’estremità d’ipotenuse
incapaci di mantenere equilibri con la qu di qualsivoglia incombenza
Il dubbio si scaglia come saetta
Due esemplari dello stesso tomo?
Un libro per tutti i destrieri assetati di cultura?
Coltura forse
menzione o minzione per ovomaltinici frutti squamosi e bituminosi d’oltremanica
e se non si capisse l’antifona?
non è che l’abbia capita molto neanche io
di manicomici sconquassati bimbi che in età adulta mangeranno ancora col cucchiaio dell’incoerenza
 Riusciremmmo poi a riguardar le belle con tante elle giornate assolate di ottobre o giudilì
e potremmo anche tener loro compagnia
mentre cacche lesse dal sole leggono la messa della novena incatenata
abbreviata all’esigenza per insufficienza di ore
di fronte al santuario della Vergine Allucinogena
Per le vie sfilano vecchie crisalidi
Cariatidi incotennate
incatenate d’avorio mani e piedi
le accompagnano a discreta distanza
un Bianco Socadò con le sue organze ascensionali a velare papule purulente
succulente leccornie iniziatiche
un tecnotubo a scanning laterale
messaggero di massmediologici messaggi
peripatetiche persuasioni e avanguardie mistiche
un giallo rossiccio e un giallo giallastro
uno stupro affumicato con gagliardi perpendicoli al seguito
due verruche Zoppas
venti efelidi indie
quattro rex gloria mundi
una mondina col cappello in bocca
in compagnia di una suora che sorride sempre intitolata Suor riso
altre mondine con in bocca altre cose indefinibili indefinite ma belle turgide
cento mondane colla veste da puttane
una puttana colle scarpe a transizione extrauterina
venti levatrici
venti posatrici
un ventilatore alato al lato del corteo a sventolar le gonne matrilinee
5 trentilatori appesi al ciglio della musica per raffreddare i gelati allo scoglio
Che i tritardi si sono trasportati da soli dalle lontane montagne del Gozzo Vico
Poi ci sono
un goliardo che spilluzzica liquerizie liquefatte appollaiato sulla riva di un biliardo prosciugato
quattro mosche di velluto frigido a tergo
che avendo sentito l’esalazione del liquepardo
spingono ansanti di vanagloria e malcelato orgoglio
gorgoglianti di fragranza stantia e vecchi elisir spaccabudella
Completano il corto corteo
un soprano e la sua sottana a braccetto per le vie del suburbio
un miliardario
due biliardari
tre triliardari
quattro del quadrifonico rimasti senza pittore per gli artigli
Ormeggiate al suolo con una nappa di ghirlande ci sono
sette cosce di formica affumicate
una persiana a gambe aperte
la cacca di mosca a cavallo della cacca di vacca
recante al guinzaglio un foxterrone del nord
all’uscita della strada vicino al fiordo centrale del paese attendeno
un filisteo
un samaritano colla sua pochette imbottita di melensa bontà del Cazzo
un monte sopra Pechino chiamato così per la sua strana forma vaginale
insieme a un barracuda a tariffi lacerati
e me
giochiamo a unduettre stella mentre Aldo Buchi ostenta la favella
 Tincastro mincastri dinchiostro timpiastri titingidinero però non è vero
Dice il signor egregio dottor sindaco di Guastamelata alla fine della sfilata
Il signor egregio dottor sindaco è un granduomo
proprio così
di grossa levatura morale
Proprio così
di grande gesso acqua fredda e sanguimbocca
proprio così cazzo
in parole miserrime un baccala
o qualdirsivoglia stoccafisso
duetti di lonza uno di mortadella e una fettina di parmigiano bentesomiraccomando
 F  l  a s  h  b  a  c  k
 Sono le ore tredici del tredicesimo millennio dopo Maicbonjour
Dice il venditore viandante
Serve niente signora tettona?
solo un chilo di burro per questa sera
dice la signora tettona
sa io e il mio sposo celebriamo proprio oggi l’estremo tango a Parigi
Fa freddo quell’estate
in tintoria i cappotti non sono pronti e non sappiamo di che spogliarci
Grazie per l’appetito
dice il commesso viaggiatore
tale Petito Alonso,
per gli amici stronso
per la moglie ruffiano di prima fila
La verità è inversamente proporzionale alla ricchezza
Risponde la signora tettona
Che cazzo c’entra
Stucca l’Alonso sbattendo il chilo sul banco di servizio
 C  o m  e  b a  c  k
 L’intima capacita di respirazione a volte toglie la brama di sanare i patonzi
facendo sì che ometti di modesta entità essenziale cadaverino al suolo
ammarando cordialmente sul campari delle seiettrenta
Il sindaco è un uomo vendicattivo
propriocosì
Ma è un uomo anche molto cattolico
questo fa sì che appaia al popolo come un hombre vendicattolico del tipo Occhioperocchiosessantaquacchio
 Porta canestri per via degli incesti
parallela a via dell’Arca puttana quella della ricerca perduta
altrove ingoiata persa sparita
Lo chiamano Sottovoce
colla testa bassa a sfiorar le sue pantofole da pedemontano
pedestre sultano che alle tre di mattina mangia il divano per Via dell’insonnia
parallela a Via della Madonna Parallela
Improbabilmente saluterà il nuovo anno con un piatto di rigatoni
nella sua casa all’estremo piano della sfera celeste
al piano di sotto invece
una donna svergina un pollo appena comprato pensando in cordis sia una polla
Al piano laterale al mio
quello con le persiane a forma di cuoricini sudafricani
un’attempata signora di tredici anni sta allestendo un pasto formale a mo’ di pitale
e lo dà in pasto al commensale di turno
sperando in quorsuo che l’agriturismo di turno non sia chiuso per turno
 Ben inteso
io non ho verità da dare ai torchiati dalla vita
ma qualcosa posso ben fare
per esempio
cucinare favelle alle tre di mattina per mettere in scena la cena del delitto perfetto
oppure
dire a Babbonatale che si è cresciuti e desiderare castighi maturi
sparare la befana dalla canna del camino usando lo stesso carbone che ci ha portato in dono
e non ultimo
stropicciare i fantasmi nelle notti destate all’improvviso
che ti fanno trasudare sotto le lenzuola senza sapere il perché
Chi c’era in fondo al campo lo so solo io
so solo altro che non dormii quella notte fino alle sei di mattina
In seguito per distrarmi giocai a malasorte per trent’anni col buco del diavolo
che non lavava mai
che puzza perdio
 Il giorno della crocefissione cerco invano un’insalata al dente
condita d’aceto
per imbalsamare i circuiti indifesi della memoria
Quanto zucchero ci vorrà per fare una banana?
Nessuno può impedire
nessuno può sapere
anche perché nessuno è presente in quel dunque
quindi nessuno fa
ma cavalcando il flutto del verosimile aiuto mi ritrovo nel vestibolo del mio encefalo
quando lo strizza mi chiama dicendo
Caro signore lei è sano come un pesce malato d’ulcera pluriglicemica
con puerilità semi defogliante incompleta di semafori acustici
e feritoie per gli spari al nemico
Alche mi schernisco poiché il viso gli brilla ancora di tenerezza immacolata
e aspettando Ernesto Psichevara mi scavo la fossa
quella nella quale collocherò in seguito dodici uova di airone deflorato
 L  E     U  O  V A     S  I     S C  H  I U  D  O N  O
 Un’incursione di panico con imboscata mi prende alla gola
imperlato e imbibito di sudore artico rimango immobile di paralisi fissità
Certe mie utopie
quasi tutte
cadono in disuso
il terrore scala di gradi la mia febbre massiccia in tesi non dubiti
Non so più scrivere il mio nome
nemmeno al contrario
neppure il cognome
Non vivo
non scolo bottiglie
non ascolto l’arte dei suoni
non confeziono più barbe simulate
non ingozzo siringhe
non stornello più la cantica d’Ernesto
non manovro più pistille sparnanzate
non faccio feci
Stipsi pianificate a tavolino usurpano di dolci e ariose fragranze le mie stanze del mezzodì
Nomi svariati solcano un ponte nel lontano marasma denominato Mammata
schivano pietre e bufali fuori dalle rotaie
ardendo adagio
qualcuno chiama
altri non risponde
l’epilogo è garantito
il principio non si sa
 Ernesto soggiorna in una bolla di spuma da peli
i suoi pensieri sono eccellenti smaglianti geniali
ma purtroppo per lui non pensa mai
all’interno della sua bolla ha tutto
tutto ciò di cui si può aver bisogno
anche qualcosa di cui non si dovrebbe aver bisogno
anche qualcosa in cui scaricare il bisogno
insomma ha di tutto tutto
una brocca d’acqua vuota
una spiga di grano tenero vuota
una pelliccia di baccalà
un cesto di vittime illese dalla sua crudele comicità
vuota ormai anch’essa
ultimo
uno scrivano fiorentino senza peli sulla lingua
Nella bocca di Ernesto vige sempre il coprifuoco
un sapore stagnante
amaro
da secoli ha invaso anche la sede del giudizio universale
che ancora deve spuntare e fa un boia male
un sapore amaro come di shampoo e balsamo al duepercento e ha paura degli aghi
Nella sua casa nulla è spigoloso
niente di tagliente
niente di piccante
tutto ha forme tonde
tutto è liscio tranne la sua faccia da cacciatore di caciotte
per questo non dorme mai in casa
s’appollaia sul suo ottovolante privato arrapato a destra del piano montano
col pertugio anale cinguettante al di fuori di certezze primordiali
è come se flirtasse col destino
tutto quello che gli capita è fuori rigo con falsa riga di sudorazione
cancella tutti i ritratti di sfacelo che ha immagazzinati nel file biologico
divulgando insani fastidi prorompe in insoliti ritmi tribali
tirando fuori la lingua per cercare di bere all’amara fonte della realità
Il militare sta facendo di tutto per liberarsi della bella
senza soddisfazione suona il flauto tutta la notte
cercando invano delittuosi pertugi stellari
per lui in questo momento di vitale memento
 La voce del gracchiofono suona sommaria a quest’ora tarda
Il crepuscolo ha inebriato di rosso i cadaverici palazzi in miflex della periferia
dove non sono ancora arrivati i proiettori mentali di notificazione
Non servirebbero in ogni caso
poiché da quelle parti ancora non esistono gl’installati
i riceventi
gli integrati
In quei vicoli
in quei cunicoli di bianchi giganti mattoni
vivono disarmati i fuggiaschi
la feccia
lì vive chi per il grande sistema non è degno della libertà civile
la prigione della città
la mensa delle epoche
dove si nutre la storia e caca la memoria
ridicoli senzatetto apprendono i postumi dell’infinito nel bagno del padrone pieno di lavandini
sfiorando pollici di basso volume
Austeri degustatori portatili di parvenze miserrime
polifosfati ingigantiti dal gusto apostrofino di stilettate performazioni ipnotiche
Anche qui la primavera assume aspetti da conquistatrice
Barbara strumentazione microsomoidale dettata da ulteriori sgravi psichici
stretti in parallasse con circoncentrici tipi maschi a sfondo parasessuale pluriconcentrato
su masmediologici ammassi di plutomarmellata cosmica
con sintesi bilaterale obliqua e yonizzazione parafrasante
Per degustare tale rarità di misfatti si dovrebbe tornare all’età della sfinge paralitica
tra le virgolette piantare dei semi di puntevvirgola
poi stirare il tutto a centocinquanta gradi superiori alla scala Richter
Ma
Purtroppo
lo sfintere cosmico è costellato di Asdrubali saltalenanti con mitigazione infinitiva a visualità totale
spero tanto che un giorno mi farai infine il caffè come piace a me
 Come dico io
come dicevo una volta tanto tempo orsono
tale spinta di generosità ambigua a fissazione pluriennale è
a volte
non sempre
quasi spesso
spesso sempre orsù
ovvia avvolte delle volte infondo infondo
sintomo di fissità planimetrale con sconvolgimento misurato
ma sempre al dente
 Certo che aspettare Godò alle cinque di mattina
con l’aria che puzza di spettri e una sistemazione della faccenda cosiddetta alla bellemmeglio
Se non altro per quei pochi caratteri di lucidità
che a volte rimangono a chi fa surf sott’acqua a quell’ora di mattina presto
Mi dispiace baby
non c’è tempo per la favola di mezzanotte
 E pensare che a volte mi chiedo anche
Quando torniamo al punto di partenza che ho perso da tempo il cammino?
Nessuno mi risponde mai
Forse perché cromosomi scansafatiche somatizzano tinte nuance degradè
balbuziando in me come melliflui saltapasti della domenica nella riviera delle palle
Lui pensa che niente al mondo lo farebbe smettere di pensare
che nient’altra qualunque quintessenza
quantunque quel quale quantitativo quorum di braghe vergini gli farebbe cambiare idea
E così prende la palla al balzo
comincia a menar fendenti alla vita che si dirama in mille congiunture improbabili
Impossibili ma accettabili
Accettabili ma con riserva
Che il caso voglia non sfruttare a corto sospiro vacanze proibite appese alle palle di fine millennio?
La pialla non scava una fossa si sa
ma il cibo fonte di strane strategie mondiali è strategicamente stato mangiato tutto
tutto da poche bocche abituate a cibarsi col culo
Col senno di poi
Cade la fiducia come neve
è finita
È la morte lenta della vita
 Il miracolo invece avviene
quella sera stessa al declino della luna alle falde del monte Profumo
Lui scende giù rotolando
mentre rotola rolla una sigaretta al rosmarino
Nessuno ha voglia di fare il tè
Quindi bussano alla porta tre imperatori che rifilano gratis effluvi
Cantici
Salmi
Inni
Laudi
Stornelli solenni
Putrefazioni a buon mercato moralmente alterato
liquami
marciumi
fradiciumi
malcostumi ed altri marchi e mutazioni allegoriche
tutto gratis
Nessuno vuole comprare qualcosa e li mandano a cacare
Ma poi i dubbi rimangono ugualmente lo stesso
come fare?
Dove guardare?
Chi espletare ai propri orifizi?
 Siffatto quadrilatero è fuor di misura stretto
mi va ponderoso l’elmetto
Esclama Ernesto Psichevara al simposio del sultano Doutdes
con lieve cardiopalmo
Nessuno ha bubbole da menzionare
nessuno le racconta
Ernesto apre intero il cervello
scopre nell'interno tutto il potere
ne lascia un po’ per sé
divide il resto tra i comandanti di plotone
La via è tremenda
nessuno si nasconde ormai più
Il vino seda i pensieri
l’aceto insaporisce gli arcani
nel Perù nel frattempo si viaggia a testa in giù
ma qualcuno comprende
il trucco è tutto nell’orgoglio
Ernesto discende allora ai piani inferi per una colazione di lavoro col bel Zebù
lo riceve con tutti gli ossequi nella grande aula dei caminetti smorzi refrigeri
che si colloca tra il girone degli oberati e quello degli immutabili
poi traslocherà
Sprofondati su abbondanti capezzali capezzoli di peti con merletti marroni
serviti da anime posticce griffate
U.S.A. & Jet
Il bel Zebù è cariatteriorizato dai suoi cariatterioristici mustacchi rettilinei
i suoi altrettanto occhi rizzati da moicano astruso
orecchie sempre e comunque scaltre
e manco a farlo deliberatamente
capelli invasati da una forma languida di uniformità apostolica
sintattica e melodrammatica
Ernesto non sa più che fare
insieme hanno debellato il maldimondo
Utilizzando pasticche di condensato lunare
ma i lunatici
inappagati
cigolano agli angoli nel corso dei tornei intercontinentali di calcestruzzo
un gioco giocato in velocità due piani più sopra nel girone dei koglioni kolla kappa
Per quanto tempo ancora ci dovremo contentare soltanto delle medaglie al dolore?
Per quanto tempo dovremo continuare a vincere all’ombra delle grandi locuste cicerchiate?
L’ansietà coglie Ernesto tra capo e collo
senza meraviglia si cala le braghe e si mette a stuprare l’orologio da polso che Belzy ha in mano
senza provare peraltro alcun tipo di contraccambio ambientale
dicasi Triciclaggio
Perfetto
Grida dall’alto dell’alveare l’ape regina madre scopennandosi il re-padre di due bei pargoli coronati
poi mostra una foto e dichiara
Queste sono le mie perversioni
stipare nello stipetto vicino agli altarini bleu
Dalla vetrata del cranio s’intravede la sua voglia di vita
greve e melanconica
colare giù dagli occhi pitturata d’avorio
Ad un tratto nell’aula dei caminetti la temperatura aumenta
questo non impedisce di certo a Psichevara di bruciare le tappe
ha in testa sempre lo stesso motivo fisico-musico-lisergico d’acquisto in Messico di sottogamba
S’alza di scatto
allaccia la patta e urla allontanandosi dal Bel Zebù
Arriverò per te fino all’orlo del tempo
Scavalcherò l’orizzonte degli eventi
Pescherò reflussi gastrici convenienti
Grazie
Urla ridendo l’altro
facendolo sparire in effluvi d’incenso allo zolfo di raganelle che usa solo nelle grandi occasioni
 è tutto così veloce atroce
la piana della foce riflette oro zecchino
I lupi seguono il primordiale odore
Un neutro a quattro zampe beve acqua sorgente a zampilli dall’antica fonte delle illusioni
Le pietre levigate dal tempo non rispondono più a tutte le domande
genuflettono atroci vandali allo scemare del vecchio mondo
il primordio odore da uno squarcio a carne viva
regalo delle pingui genti che scottano carne umana prima delle battaglie
per procurare carne umana da mangiare prima delle battaglie per procurarla
huuff!
 Ernesto si ferma di colpo
la luce del mondo illumina la notte
al confine fra cielo e terra negli ultimi bagliori del giorno si scorge il profilo del naso di Caronte
leggendario traghettatore di capre e cavoli di cui questi ultimi solo a merenda
impresso da immensa mano sul massiccio che sovrasta la piana
Lui è forte
ha l’arma
Nel Pleistocenatomangio è il più forte lui
ha l’arma
ancora
Mille Jene su di lui s’avventano frignando all’unisono
ma lui è il più forte
L’arma è un visore a raggi obliqui
L’arma stordisce gli utenti colpendoli nei punti encefalici del corpo
L’antico miraggio della pianura fisso là nei secoli
come pietra scavata nella roccia
le immagini della grande battaglia
Dopo
roso il naso di genti imperturbabili
improbabili marasquen genuflessi
prostrati-odiati all’ombra dell’onda torcono viscere bevendone la linfa
Chi paga la cena?
 Suoni infami stordiscono il cerebro
non è più lì
non sa dov’è
non sa perché
Ernesto s’alza dalle nebbie
attraversa sbadato psicosomatismi infetti d’innominabili oblii
mentre pusillanimi malfamati usurpano e devastano strade prelibate
apparecchiate per l’ultimo banchetto d’inverno
Qualcuno deplora i rotti piatti sporchi
Piatti in meno da lavare
Gridò Miranda dal girone degli indaffarati
 Fiumi di parole
Invocazioni
Imprecazioni
Maledizioni
Invettive
tutto è adulterato senza limiti di prefisso
Sconvolgenti pronomi migrano a nord verso borghi tristi
fatiscenti teatri di agghiaccianti sodomie con veterani porci della parafrasi
 Alcuni inzuppano nel piatto dove sta mangiando il corto renudo
rivestendolo a satollamento per il futuro giorno dell’amara realtà
 Perversi migratori riappaiono dal sud e investono in fondi di caffè
per ripiombare subito dopo in un sonno profondo già durato millenni
e millenni sarebbe durato ancora senza rubare tempo ai preti delle corti
 Ernesto sbaglia tutti i quesiti stradali
ma si prenderà la rivincita il giorno del suo ennesimo compleanno
Ernesto sbaglia tutti i quesiti primordiali e da oggi non si fermerà più
 Prodotti chimici
è scritto sul pacchetto
Fuma ingordamente
Magnifico
Splendido
Intrigante
indossa un abito di melliflua seta
sfrega tre volte la lampada
ne esce fuori uno sciocco elemento di scarsa entità
intenzionalmente perverso
La storia poteva anche concludersi qualche paragrafo prima
ma lui non folle di eventi eclissati continuerà per anni a tracciare il suo nonsenso
Finisce di riscaldare il piatto di cipolle alla fragola donatogli il giorno prima da un pensiero maldestro
sì nutre dei suoi effluvi
Antichi e fiacchi maestri allettati dai primigeni puzzi marciano alle porte del suo benessere
alcuni corazzati di sacrificale deismo
altri nudi
fino allo spasmo
Il freddo ghiaccia la brama di ammazzare
 Suoni tribali inondano la vuota stanza
nessuno sogna più
forse è un bene o forse un male doveroso
c’è negazione nell’aria
troppa
superflua
oltre la misura
 Una catasta di pagine è sospesa all’albero della pastasciutta
I peli del naso arcuano tutti verso levante
dove il sole ha appeso ad asciugare le nuvole
Le tre anime aspettano da anni questo tempo
Novant’anni durante i quali annose solitudini hanno calpestato tutto ciò che c’era da calpestare
inclusa la terra
Durante i quali l’olezzo della carne bruciata ha lordato la parte intima dei pensieri
anche dello stomaco
Durante i quali è considerato lusso mondare i cenci della servitù glebea
 Il tempo s’è vestito di muffa
condom usati
arachidi e Tele d’aracna
 Le femmine delle tre anime sovrappongono le gambe sincronicamente
posizionandole come donne di Picasso
Vogliamo più tempo per rammendare la noia
Dice una con voce stentorea
Non vedono arrivare l’uragano dalla faccia plumbea alle loro schiene
Faccia piano
Dice la seconda donna della seconda anima
sempre stentorea ma con un punto e virgola in più
mentre in cucina miseri miserrimi scoreggiano del dopopranzo affumicato
fumando sigarette deodoranti
L’uragano turbina loro intorno
non li colpisce
va per la sua strada e non lo incontreranno più
Ernesto ne approfitta
s’issa di scatto
ottenebrato dall’ira evoca
il turpe
uno strampalato idioma postnaturale
All’inferno delle nuvole dove tutto appare postumo
qualcuno ha deposto fiori screziati
gialli con risposte di flanella e foglioline verdi
bagnate da punti interrogatori
maculati
con circonvenzione d’Incas
Ernesto accusa alieni brividi
ricolloca con premura le sue calzature da pagliaccio ricotta
si mette in funzione di riconversione
Il villaggio dov’è fuggito è lo stesso borgo dove vive la vecchia della vetta
intitolata anche Mammarinale
tutti gli edifici di codesto paese hanno colori perdenti
nel senso che durante la pioggia s’intenerisce loro il muscolo cardiaco
dissolvendo ogni lacrima colore
sul davanti hanno un giardino pendulo
con la stradina bianca di breccie bianche
di lato virgulti alberi dai frutti agroamari
e vicine misteriose appese avanti ad ogni porta
rossa
ordito lungo la siepe d’astrusa bontà
fluisce un silenzio appagante ornato frequente di pietà ricorrente
Lontano
bufali impazziti serpeggiano itineranti verso le loro anguste e refrigeranti tane
All’interno del paese
impercettibili spazzine invetrate
tinteggiano di lucro immensi soffitti biancheggianti
dove saltimbanchi prelibati schivano di lato malaffari ricorsi sociali
sorseggiando un caffè scoperchiando la ciarla di infami reminiscenze accidentali
 Caronte sta stuprando un fico d’India in questo giorno impermeabile
quando si rende conto di avere terminato gli obbrobri
va di corsa trafelando nell’orto
niente
Fa le scale due rampe alla volta per sgusciare in soffitta dalla porta del mascarpone
Niente
Torna nell’infero piano
in cucina cucina una pentola
guarda nella dispensa
la credenza è finita
la marmellata è scoppiata schizzando ammorbiditi frutti sulle membrane ottiche
Non sa più quali seppie pigliare
Nello sgabuzzo l’aguzzino perde il filo e signoramorte completa la lista
soia brillante
finita
mistico edulcorante
finito
virgole spazientite
finite anch’esse
fialette di nostalgia
due pacchi da cento ognuna
sono rimaste
forse
nascosta in un angolo un po’ di dolce brillantina a tavoletta
ma va di fretta
per di più gli va pure stretta
 la notte non dorme nulla
il pisello sotto il matarazzo è troppo duro
quel diodinverno ha bagnato il suo cuscino con lacrime cromatiche a bioritmi caleidoscopici
La fanfara suona all’ora di pranzo
l’amico vuole che seguisselo
Nessuno ha più dubbi
è molto scontroso mistificatore
all’occorrenza abbastanza appuzzolentente
 La cena della sera prima è stata un vero supplizio
fagioli nell’anticamera del cerebro
caffè in cantina dove i miti suonano il blast
poi continua con un sigaro in soffitta appollaiato sulla slitta di sego al rabarbaro
 nel giorno di festa
Mentre la fanfara suona
lui getta margheritine di primavalle sui passanti
i passanti ridono
oh! Come ridono
 Il supplizio si estende al mattino
quando per colazione
fatta come sempre sul suo letto misfatto
esige tè
caffè
latte suino
tutto macchiato
come il suo encefalo bacato
e rigorosamente
un succo di carote serafine
 Confesso di non sapere più quello che brama
ma di sicuro
un pensiero leggero gli vola intorno alle orecchi
ogni ora
ogni minuto
ogni secondo
ogni giorno in più che passa appollaiato sulle mie spalle comprimendomi le sfere
Un pensiero che non costa assolutamente nulla
un pensiero adrenalinico
attecchito alle sue membra come una radica loquace
lui lo chiama morte
 Fuori
il sole cade a brandelli sulle cose salvate
rimaste immobili dopo l’uragano
Le piante guardano
Parlano
tutto parla
tutto da il meglio di se
tutto accade
il fiume lo sta portando via
cerca di aggrapparsi a qualcosa
tutto si spezza tra le sue mani luride
Lascia che il vento gli pettini i capelli
taglia i capelli
gira le spalle al muro che gli da le spalle
vuole cedergli qualcosa
il muro
forse ce la fa
Perpetua
l’unica parola rimastagli vicina
anche lei sta fuggendo
Pessoa brucia sui fornelli
Niente in questo tedio giorno rimane
niente ha intenzione di restare in piedi
Tutto s’affloscia con due effe sulla sommità dei pensieri dubbi
Tutto seduce cancellando perspicaci bla mentali del cazzo
Allora senza rimpianti decide
Recide
scaglia alle ortiche le tonache del vento
non fanno altro che fargli rimpiangere quello ch’è stato
lo stato delle cose
Trafuga le ossa un dì di novembre
dall’ossario primario nella cappella della novena al Bambin Devastato
il picchiatello per intenderci
Strafatto di dottrine imposte se ne va il giorno stesso
Inseguendo la follia smarrita
Non ci sono più legami
spenge il cervello alle settunquarto smettendo così di direfarebaciare
Orbitano nell’aria pensieri effimeri
Qualcuno si rovescia dal quintunesimo piano di una grave malattia frettolosa
La graticola sfrigola all’estremità di una pozza d’acqua colorata diblù
mentre i monaci sono in ritiro spiritoso
Nessuno gli toglie dalla testa che prima o poi ce farà
è un pensiero fisso
Un pensiero fesso volendo
Qualunque persona mi dia del visionario
sarà appeso per le palle al cielo più alto di tutti i cieli
urla
 Ma Celestino non indossa nobili visioni stanotte
sennonché
con univerbazione e raddoppiamento sintattico
una gli pare degna di nota
l’orologio abbracciato al muro segnala un’ora qualsiasi
un’ora banale
la solita ora
una lacuna madornale per questi tempi di subbuglio ancestrale
 I minuti sono tanti
Svogliati e pedanti
li dispone delicatamente in una pentola verderame
vi versa dell’acqua diluita al punto giusto
con bromuro asettico ad effetto ritardante
Dopo un po’
Ne estrae una melassa
dolce
melensa
docile
inconsistente
e anche balbuziente in certi momenti della sua giornata
la spalma su tutte le pareti della stanza
otto in tutto
per adeguatezza ascetica del prototesto
la stanza si trasforma in un ciclone che spazza via tutti i suoi perché
tirandosi dietro anche i poiché
gli affinché i giacché i cosicché e i talché
i datochè sono indecisi
rimangonoo soltanto i percui
ma si sentono spaesati e oltraggiati dal frastuono stuprante dell’uragano
ormai gocciolante dall’albero delle titubanze
che da frutti obsoleti e intrinsecamente malversi
 Intanto
dall’altra parte dei colori
qualcuno batte a macchina astruse parole d’esplorazione
rimasugli di vita
argomenti mancati
stralci di petulanti angoscianti clisteri claustrofobici
 Con le forbici taglia tutte le “O”
buchi neri che risucchiavano i concetti
Qualcosa succede
lui non da niente per scontato
nei suoi occhi brilla una luce impetuosa
mirtilli neri calpestano le sue pantofole da mezzanotte
voragini color pelle verrucano le sue tre chiappe color amaranto
si sta accingendo a ingurgitare il suo esimo caffè bianco alla bambagia
quando un dubbio l’assale
 E se fossi pazzo?
 Nudo e antico
traslato al mar della tranquillità
quasi sonnolenza che divora ambiguità
fino alla fine della settima lunazione
Amorfo sistema di intravisione uterina differenziata sul tema natale
Ogni volta che apre le orecchie un verso famelico lo attanaglia
curvando in forse la sua ferrea volontà
Bighellonando sul piancito della mera crudeltà
affievolisce ognora la potenza del suo spazio vitale
Perdendo la ragione da il meglio di sé
Aggiunge acqua al fuoco prolifico e non trova più il verso
lo ha perso
nel mare dell’abnorme
guadagnando peraltro uno splendido nome
età
 La mia mente muta
Comincia a dire
Non cercatemi
non trovatemi
Per obliare principia a sorseggiare cappuccini salmastri nel monastero di Madre Tardiva
In altri ambienti
in altri frangenti
sarebbe indubbiamente riuscito a far smarrire le sue tracce
stavolta no
stavolta non sarebbe scappato
stavolta avrebbe sfidato la grande parabola
 Centodiecimila orsi ballerini cadono dalle nuvole
e perdono l’oriente
perdono
 Così
intorpidito nei pensieri più folli      
rinvigorito nella verde aura della saggezza a tempo
principia a cercare paziente negli spazi dietro l’angolo
il sipario si apre su nefaste visioni
su ancestri coglioni che valicano la notte in volo radente
l’aria riempie lo stato di cose mancanti
Prorompe nella stanza dei balocchi ma Alice non c’è più
ha perso l’ultimo treno per la colazione del mattino
si butta giù
Lo sconforto la guarda di soppiatto
il verde ha invaso i suoi bulbi
vicino all’amarezza è sopravvissuto solo un albume d’ovulo rinsecchito
Guardandosi indietro scorge l’autostrada per il futuro
non vuole più saperne di fighettare pei borghi con abiti sopraffini
certezze per i quali non trova più
Porta con sé una coperta di caldo profumo colorante l’accento mutante
Per niente al mondo avrebbe lasciato stare quel vecchio
che alla fine cesserà di pulsare comunque
Non pazienta più padelle unte in frigo
Anticorpi cruenti smaltiscono il pensiero
flirtano tra loro all’interno dello sfintere cerebrale
sposando l’antica causa del vello materno
procreando miseri petulanti spazio-frutti
guidati a distanza da ciò che si pone a lontananza del diverbio tra i sensi
silenti marciscono di vergogna
amara vergogna
 Se di più non si può lasciatemi fare
se di più non si può lasciatemi giocare
il gioco che per niente al mondo lascerei giocare ad altri
E lui
misero perdente
s’accinge a decollare
scomparendo nel buio colorato d’amaranto
spingendo verdi cammelli dalle gobbe flaccide e i capezzoli schifati
Ora o mai più
Pensa
Scrittura bollente cola dalle sue mani bianche d’avorio quasi lattice
Ricchezze celtiche
dardi salaci
sguardi pudichi
questo rimane nella sua larga borsa di mamma orsa
Adesso sono stanco
vorrei dormire sotto un albero di larghe vedute
in riva a un lago
in un giorno di maggio
Tracotante s’infuria
come belva rudemente pone
Qui giace
in onor di giusta causa
colui che non stanco di inversi fati
strappò il cuore al più alto degli altari
E nulla più
 Ora lui non ascolta
è immerso in pensieri sfilacciati
scollegati
nuvole in addensamento
Gli occhi fissi per sbaglio sopra i miei
riesco a vederli i suoi pensieri
come una proiezione olografica
una vestaglia da notte bucata
bianca con su spasmi filettanti
che cammina senza un corpo dentro
niente all’interno
fluttua
s’incendia
prende fuoco il sogno
diventa una pentola a pressione che fischia come un somaro
Fuori dai binari il treno
va a cozzare fragorosamente contro il nulla
che s’infrange come una vetrata
dove ci si sarebbe potuti specchiare le meningi incartapecorite
 Il sogno si trasforma di nuovo
chiudendo i rubinetti s’accorge di non avere più germoglianti spazio-frutti anodali
con inqualificabili viceversa intercambiabili
Tutto è buio ora
nessuno si vede più niente
però si sente con l’anima
il naso
le orecchie
che la grammatica sta stropicciandosi i tarzanelli
cercando uno sbocco fino alle emorroidi del mattino
quando il sole
a volte
fa capolino dalle perturbazioni melmose del suo encefalocranio
Di quì a poco ci sarà un acquazzone zozzone
Non sente più
il sogno si sta annebbiando
quindi più niente più
Si sveglia dal torpore
inaudito percorre a stivali
nudo
l’intera stanza
scartando gli angoli spigolosi
cercando minestre per vari arrotondamenti bicasuali
sulla percentuale onnivora dei carnivori cannibali e cannabinoidi
ortofrutticoli del mercato delle sei
Nega tutto
tranne il fatto di non essere nato
ma questo gl’inquirenti lo hanno già capito da anni
Il fragore di una mano sola esplode all’improvviso
prendendo a schiaffo il suo avvocato prediletto
che tiene come tappetino per gli ospiti da pranzo
quando arrivano le nuvole colorate di personaggi inquietanti
Per nulla al mondo gli faranno cazzare la randa
per una partenza limitrofa nei paraggi del pressappochismo di lì a poco
Nervi saldi ci vogliono
questo si
altrimenti i santi tutti ne approfitterebbero neisecolideisecoliamen
 Il grande condottiero apre la finestra che da sull’aia
c’è un esercito ad aspettarlo
quasi un milione e più e passa che scandisce cantilenando il suo nome
pressappoco così duepunti
Er-ne-sti-no
Er-ne-sti-no
E così via di seguito cantandolo
lui li riconosce tutti
giurotutti
di tutti ricorda il nome proprio di persona personale
e comincia a salutarli
u-n-o-p-e-r-u-n-o
Uga
Riccordo
Isiduro
Dedimo
Ulderetto
Vergina
Sgualtero
Gimma
Marpino
Piermaretto
Alby
Annibala
Bernadetto
Sigilfundo
Adinolfio
Rodomualdo
e tutti e tutti e tutti
Terminerà di salutarli due mesi dopo la battaglia decisiva per la conquista del Regno Munito
alla quale il suo esercito
naturalmente ovviamente
non prenderà parte perdendo percosiddire capra cavolo e fieno
ma tutto è perso fuorché l’odore
puzzano infatti tutti come lanzichenecchi imbanditi per il pranzo di maiale
 Vestiti a festa
per tutte le volte che hanno spalmato nutelle vergini sulla cresta terrestre a sud di Smirnefangulo
un ridente paesello ai confini con la Prostata
la regione appartenente al suo acerrimo nemico
rivale
avversario
nonché cannibale per suo gusto e abbellimento patriarcale dall’interno della porta di natale
dato che hanno perso pure le chiavi
Il cerchio si stringe presso le sei del mattino
si sveglia sul far tardi della sera presto
una ottima colazione con castagne seminude e via volando col vento
leggero come un macigno nel cesso
anticipando le mosse del suo futuro prossimo ventuno
 Si è spenta la sigaretta mannaggetta
Dice la ninfetta in bicicletta ritta sul manubrio davanti e coi fanali sgonfi
Questa notte i righelli sentenzieranno morte
Trangugiando d’un sorso il suo esimo wischi si accende un sigaro femmina
evacuando strane propulsioni cerebrali
 Finalmente il sole è al termine
è un lietofine stavolta
nessuno gli toglie dal pensiero che davvero sarebbe ora di tagliare la corda
appeso alla quale
Mandingo
sta esalando gli ultimi tratti
Mandingo
il loro cane nero
non è proprio quello che si dice un ottimo scrittore
ma non mi sembra proprio il caso d’impiccarlo
 Si sveglia
L’Ernesto
assaltando sopra percuote l’aria dinanzi a lui
medesimamente la porta con uno sdilinguo ansante batte
sbuca fuori immedesimando in un mazzo di fiori l’artefice dei suoi malanni alfabetici
che ovunque lo hanno perseguitato per una vita
forse due
 Huerto Jurtu Gonzales chiede il permesso d’entrare
l’altro nega perversamente dall’interno della sua comoda camicia di forse
che sempre abita nei giorni plumbei di luna vuota
ricordando le famose giornate magre della salita al potere di Pompeo Artefici
grandioso condottiero di pulman a metaprezzo mortadella inclusa
Lui
Huerto
entra di forza sfondando i ricordi
e non uscirà maipiù
Intrappolato da crudele fedeltà
intimorito da stralci di flussi rupestri
Jurtu
l’ergomante
sa subito cosa fare
si toglie i pantaloni
comincia a pulire terra
accanto a lui vicino
stanco e afflosciato
giace
pelle umana
riflessa dallo specchio di una vita quasi inutile
quasi stupida
quasi mediocre filastrocca dei tempi piccoli
pelle di una maschera usata
che avendo sporcato il piancito di grigia materia bigia
s’avvede
non piano
di avere sbagliato miscela logistica
 I raffreddori passeranno presto quest’inverno
il sole pare perfetto
La piramide al suo vertice si sta lentamente sciogliendo
Sgualcendo
l’orlo di nubifragi ancestrali ricorda che il peggio è quasi passato
ipotetiche vie d’affollamento cerebrale attendono
Dall’altra parte della coscienza intanto
nei mercati dei pesci piccoli
la folla si sta riempiendo di persone
misfattte e piene di loro stesse medesime
in parte
Qualcuno colpisce per sbaglio il bicchiere mezzovuoto
che per sbaglio cola strisciando nel bicchiere mezzopieno
provocando una reazione a catena all’interno della concezione di sé medesimo
ancora
un giardino di belle bevute
In fondo in fondo
quale mezzobusto si accorgerebb che lui è sì e no un alquanto capace rapace
pieno di mezzi se
ma
però
forse
chissà
Chi si accorgerebbe che non ha scarpe ai piedi
ma mezzitondi sfigati
scivolosi
smacchi
Qualcuno sta procedendo alla sua ventura
si sa
Altri miagolano di trapassi saltimbanchi con energrumi di sangue perdifiato
Ma
quale di loro è la vista più breve per arrivare al sole dei cechi?
 Per guadagnarsi la fiducia del fior fiore dei prevosti ci vuole Benaltro ci vuole
manco a dirlo
Benaltro arriva
a cavallo di un caval Donato
dondolante su sentieri erbosi
esplosi di praterie sconfinatamene combacianti con paradisi artificiosi di dubbio gusto
in onor di passata carriera e coll’orror della pace
micacazzi
 A quest’ora il calendario segna già le due e un quarto
in ritardo di due lunghissimi miserabili minuti sul treno delle nove
che trasporta bipedi molto sessuali
belanti sul perché del vagone ristorante
con nitrile alle poltrone e sacche per vomitanti assuefatti dal tempo
La sbarra si abbassa giusta giusta
sbarrando la stradina di campagna prima dell’arrivo della sua pornovettura da sorpasso virtuale
 Nella parte anteriore ha seni con capezzoli antinebbia e aureole allo iodio
Il tubo di scarico con precoci sfiati d’animo è solo fumo in più sulla strada
La sfiga all’interno del cervello pneumatico spompina rombando ogni volta che accende il motore
Di scoppio non se ne parla neanche
Ma la macchina va
gerundia antropofaga
con un occhio di riguardo per miliardi di percussioni monocromatiche
La sigaretta sì spenge
ancora
Magnitudini genuflesse di sigarette perpendicolari sono flesse sull’enorme specchio concavo
milioni di spasmi intestini intervallano sbraiti furibondi
mettendo sottosopra l’intero abitato della mente
per poi robotizzare tachicardie gonorroidali
anodialisi spaurite negli ospedali della grande pera
termodinopropulsioni
maniacali mimetizzazioni
mettono a soqquadro intere generazioni di pistilli
spavaldamente appollaiati sulla femmina di turno
Arcimboldo non da ascolto alle prestazioni armoniche
coinvolge anonimi omonimi di passaggio in paesaggi sprovveduti e sprovvisti di niente
 Flatulenza dell’essere
Il cammino è lento
la velocità appaga i suddetti spiriti
rimarchevoli
spergiuranti spergiuri
alcolisti benestanti conosciuti
L’oppio risolve le sue faccende pomeridiane
Alla terza ora del pomeriggio ha gli occhi lucidi per la commozione
ha visto nevicare al contrario
Subito si posiziona appostando il suo posteriore all’ombra dei suoi ridicoli dubbi
appestando l’aria con effluvi di satira psicoduodenale
inversamente proporzionale alla fugacità del tempo perso
Non s’è mai preoccupato di pensare certi pensieri
un tipo scaltro
senza grilli per la testa
che svolge la sua vita nei mausolei dell’ignoranza
I topi per signore
a spasso per la civiltà
prendono gatti da pelare
mentre patate bollenti stanno assiepate sui trumò dell’indifferenza
all’ombra del loro stesso sudore
 Rumori dal nulla
Crateri
infami solstizi
primavere inutili
cassette terminate
rewind
stringere l’avvenimento
I soliti ignoti fanno i militi davanti ai palazzi del potere
celebrando messe in suffragio
Silenzi addobbati di mistico candore dietro i quali si nasconde il vuoto
 La postilla cadente del prelato pelato lo scardina così dai suoi spensierati pensieri di mezzofondo
i piedi gli dolgono ancora
dopo l’insormontabile acrimonia della vergine otorinolaringoiatria
che termina il suo astioso lavoro scavando voragini profonde ai lati dei lobi degli apparati uditivi
in tempo per l’alba della mezzanotte e mezza
Stanco di una giornata di merda come non ne ha mai avute
Decide
è arrivata l’ora di far visita a quel vecchio uccellaccio moscio di Tommy R.
per gli amici
Thomas Raduno Girardi
 A quest’ora non c’è molta gente nel bar che ha l’aria di uno squallido locale sperduto
mentre è incastonato tra cinque grattachecche al centro della grande pera
Il legno ricopre quasi tutti i muri
completamente ammuffito
torto
Un manto di scacchi scozzesi
decorato da cicche spente e cicche masticate spiaccicate
tappezza l’intero piancito rendendo il lercio locale assolutamente sordido
Due grosse botti di legno scuro scoreggiano a stento
sotto una lunga spessa tavola di scolorito legno giallo
levigata da secoli di colossali sbornie storiche
unita ai bordi da farfuglianti sudori dell’ultima ora
lacrime rimpiante
lacrime rimorse
rimosse la sera dopo da un ulteriore carico alcolico
Tutto questo unito ai lati da due colonnine di finto marmo e finto stile
forma il banco del bar sopra il quale troneggia lui
Tommy R.
emigrato argentino per parte di madre e nonna a suffragio universale
un figlio di puttana di secondo grado
fuggito dal suo paese durante la guerra tiepida dell’ottantadue
è un tipico dal fascino attraente
riesce ad immergere strati di polifonica virtù in melma stravagante
per addetti ai lavori notturni senza un senso prettamente immediato
Il suo motto preferito è
Se vai in giro a mostrare i denti
prima o poi trovi sempre qualcuno che te li rompe
Nel senso che quantunq’io sia
primavera storia
massicciamente perduto
nei meandri della memoria del fottuto villaggio globale
in mezzo a tutte queste leggerissime merdine puzzolenti del cazzo
qualcosa di concreto sicuramente trova
come l’acqua del mare che evaporando lascia strati di sale
alterando gl’impulsi principali della mente bugiarda
che ci fanno vedere sempre la stessa persona allo specchio
la stessa per anni
identica ogni giorno
Poi guardi una foto e non sei più
  Meccanismi Cerebrali Primordiali
 Come farsi pipì addosso in cinque comode lezioni
anticipando i tempi
perdonando anzitempo il vecchio orologio a spronbattente che cavalca tempi immoti da tempi remoti giusto in tempo per la bava alla bocca di caramelle gustosissime al sapor di mutella
 Qualcosa mi sfugge
Dice l’uomo barbuto sedendosi sulla panca bianca di lacca bianca
vicino al bianco banco del bar
mentre Tomas Ray ricorda le tribolazioni passate
e di come è arrivato fin la
Col filobus
Dice
Sono arrivato finquà col filobus delle tre e mezza
  Vediamo cosa c’è all’interno di sittantacapoccia
Dice lo squamone all’altro interprete
perpendicolarmente riversato sul suofà ad ampia luce intestina
Si
Acconsente il secondo
non senza un certo malumore priapico
poiché lui ha una vertenza programmatica aziendalpsicoturistica in corso
Non hanno intenzione
questo è certo
di pretendere clitorifornimenti ad alte temperature
ma
ugualmente s’impadronisce di loro un’autentica giroletterarietà pneumatica
con pseudodivergenze adagiate ai piedi del midollo osseo
Scarso scarseggio
vezzeggio multiplo unidisciplinare
scrittura lineare di base
mistica adolescenziale sbiadita
ecco
questo era importante adesso
ricordare l’infanzia e poi dopo ancora su
su
fino ad un po’ più in là di adesso
Non è più capace d’avere visioni
Ci riprova
ancora
Gli ancestri coglioni sono appollaiati su due treppiedi a quattro zampe
accumulate in seguito a disastrosi conguagli mistico-temporali
 Non ha più ali
non ha più poesia
non c’è più rima
Ricordo
Visione
distorsione dalla sera prima
un minuto prima
un mese prima
Era
È
rantola nel buio in cerca di lumi
 Dora Infischio non ha più capelli da mettere sotto i cappelli per i quali belli non si è mai
per giunta le scarpe gli stanno strette anche senza calzette
Prelibati stipettai ne raccolgono orsù che non flaccide membra
menan per l’aia cani abbandonati
strani musi da gatti abbastonati
 Lumache allupate sul far del giorno lo risvegliano
vola l’aquila dalla torre
non passano più le ore
fermo il tempo
non sventolano più bandiere
il vento s’è fermato
nevica
Fiocchi di parole
lettere analfabete
Cerca riparo all’ombra del sole
Perentorio lessico
De testabile arrogante
Presuntuosi logaritmi asimmetrici con pedanteria ambulante
Gli viene il dubbio che esista da solo
Lui
Percuote raucedini stilliformi
Pensierisalassi maniacali per patetici riflussi
Si manca
S’accorge di aver dormito per anni
Sa
è cosciente
ma non riesce assolutamente a svegliarsi
Languide carezze gli sfiorano il viso e pugni allo stomaco in un sorriso
Perturbazioni intraviscerali
atmosfere non pianificate
fretta di andare
freddo ad andare
bere
perdere
 Due soli splendenti si avvicinano zitti zitti
di nascosto alle stelle
da mille anni luce non sono più soli
  Mestruazioni aziendali
cavalcavia affollati da masturbatori incalliti
orecchie piene
naso pieno
vino senza volontà
senza paragoni
coglioni pieni
voglia di spremere
limoni finiti
saloni sbiaditi
immagini affrescate
Parole squamate
Colori lussureggianti sapori
scorticati da figure rozze e blasfeme
Non più Dio
Una commedia senza personaggi
Personaggi senza una commedia
Personaggio senza coraggio
Penso che lui faccia finta di niente
A volte
 tempo
illusione
crediamo di muoverci ma siamo immobili
fermi in un’immagine senza tempo
passato e futuro diluiti in una spremuta di presente senza zucchero
I server intasati della memoria
Ctrl alt canc
 Per un operatore così scaltro ci vuole un premio
un primo premio
un secondo per volta
un
due
tre
stella
Saltando i pasti
i posti intatti
inoculando malvagi pensieri sugli astanti
verosicchè
nessuno avrà più il coraggio di avanzare proposte oscene tipo
catturare passeri sopra una polenta indurita dal dolore
oppure
scorticare formiche per assaporarne il fegato
le guerriere sono le migliori
o
infine
finire il tempo prima che lo beva qualcun altro
e poi non c’è niente di speciale oggi sotto il cielo
Il leopardo dorme supino sommando le agnelle
 perché andare dove non c'è niente quando si può ardire l'inabitato non luogo?
  Rifletti
Gli dice uno specchio insozzato dal nulla
non se lo fa ripetere due volte
ribollendo di rabbia finalmente riesce a vedere coi propri occhiali
c’è erbetta ai lati della frase
verde con striature di sogno
due ciclamini gelsominizzati imprecano a perdifiato vicino a un tombino di riciclaggio
prendendosi a pedalate
un camomillo si avvicina a metter pace
ma pace non è
Sopracigli mandibolari spargono pulci nelle orecchi
vecchi pidocchi scolpiscono segmenti d’anguria melinata
risparmiata la sera prima del pranzo di cozze
con smorfie di secondo grado e stralci di luna sulla narice destra
Comecazzoèmorbida
Dicono in coro
finché non s’induriscono i cervelli
Michelazzo scompare di colpo prima che la rima lo afferri
scappa nella sua stanza per vedere se il paesaggio è pieno
Lo specchio è seno
che fermo riflette
Ruba fiori dal pranzo di notte
lì avvolge nel sacchetto della salsiccia al gorgonzola finita
li porta a casa dove lo aspettano
in ordine di comparizione
due ansiosi postulanti atermici
tre fagociti lessi alla brace di dolci lagrime saponate
un funnambulo con la coda di paglia
un tergiversatore stitico con la sua amica Floppy
detta la Strinfia
a causa delle sue voracità improvvise al basso ventre
Ad ognuno regala i suoi fiori rubati
sprofondando come un porco nel bel mezzo del banchetto dice
Salve
ho fame
non mangio maiale
sono ebromuskat
per gli amici Famok
Sono nato
sto fresco
Poi scappa di nuovo come un fuggivendolo perpetuo
Il bar è aperto anche a quell’ora tarda
Pollici a testa in giù spartiscono le ore appiccicatesi per l’occasione sulla parete opposta
Acqua viva
foglie quasi morte
Per lo spavento chiude le persiane e s’addorme
 Ho troppo sonno per parlare
ho troppo stanco per lavorare
poca fame da mangiare
  Piteto si chiama l’ultimo della fila dei banchi
Gli altri si chinano ad abbassarsi mentre lui passa
Sente affermare che verso le cinque del mattino
ci sarebbe stata una rivoluzione sul terzo pianerottolo
secondo lavandino a destra
Cambia colore immediatamente
da blu diviene color sorella di merluzzo
che invece abita nell’ultimo scantinato
in via dell’estinzione numero cinque
L’estintore frena le fregole
tutti s’innamorano del fronzuto
un rasoio ha affittato un avvoltoio di quarta mano dipinto di giallo
con codest’avvoltoio avvolge rimasti ricordi ammuffiti sul sofà
per rivenderli al mercato dell’indifferenza
Dodici piatti restano sorpresi nell’aria
quando entra improvvisamente sbattendo la maniglia sulla porta a vetri dietro l’angolo
Il tredicesimo
un traditore di lunga data
poiché non ha niente da fare
gli bacia il guanciale
gli bacia
per nulla intimorito gli pesta anche un dito
gli pesta
Questa notte avrebbe portato in tintoria i suoi sogni
  Dopo il risveglio banchettarono a suon di campane azzurre
quelle dei risvegli sempiterni
Moscia nel loro fegato da merluzzi
la scrittura corre avanti con ramoscelli appesi alle code per confondere le tracce
In un vicino boschetto di meandri
sostano opulenti strani alberi dall’aspetto agrodolce
ma dal sapore si capisce al volo che lascino un po’ a desiderare
un cesso
inmenchenonsidica
ma veloce che la pagina è finita
In man che non si abbia
a perdere le chiavi
dell’appuntamento
gradirei che la storia continuasse in altro sito
in altro loco
in altro tempo
magari domani sera all’alba prima di cena
senza scarpe mi raccomando
a casa di un mercante di merletti a tempo
Tom bussa alla porta ricadendo in deboli flussi di luce
poi immerge le dita nel campanello sbagliato
cominciando così la sua candida solfa
contribuendo ad aumentare i tanti cazzi per la testa
scrive parole di fuoco
per l’alma dorata di suo fratello deceduto nella guerra santa dei ricami prêt-à-porter
 Giallo
misericordia
è diventato giallo come un limone questo barbone
servitore delle leghe dell’alba malridotta
che s’abbotta da mane a sera d’aria macchia e fuliggine leggera
nera
con due palle così
Nessuno s’accorge di lui alla festa del lutto perduto
sono dieci
le ore che stanno aspettando per poter svolgere la bandiera col mezzofico
non si accorgono
ma arriva la sera
e perdiana se fa freddo
Con un freddo così c’è da restare per forza coi piedi per terra
Per terra c’è un luogo comune che dice
Come
E risponde anche
Non c’è più niente da fare
Ecco
ora finisce la minestra
E il saltimbocca fa un gesto da sordomuto
finendo la serata accartocciato sul trespolo dell’amore
e Gertrude è simpatica al primo sguardo
ma rimane di stucco ascoltando l’oceano
Da bere è finito già
l’aranciata è da trasformare in vino di coccio
Affrontando lo sguardo a viso aperto
è Tomas
che in mezzo al folto tira più di tutti
mentre l’universo è sfinito
troppe stelle da lavare
troppa merda da rifare
troppi buchi da tappare
Vetri in frantumi diffondono l’aurora e domani non c’è scuola
ne lavoro
né perdono
non permessi
niente sessi
solo fronzoli sconnessi
 Minuscole particelle programmate nell’attesa di un giudizio primordiale
conseguenze cosmiche di un assalto temporale
orifizi anali
contemplazioni oniriche
Ritmi cardiaci dilatati da un aeterna-mente by-pass sincopato
Streghe venture prossime
futuri anelli di contenzione
animati da scaltri difetti dionisiaci
specializzati in normalità relativa
Cosa aspetti
Disse Nero
A volare nelle fauci della verità
Dopo di cui si leva i laccetti che tengono legato il cervello
parte per nidi assolati
Inizialmente ha voglia di farfugli ma
loquacità e permesso aurifero fanno di lui la stanchezza in persona
Ogni volta sembra facile averla afferrata
Eccola qui
ci sono
ci sei
ti ho preso
il rubinetto è aperto
vai
Poi perde colpi
si rifugia in mandragole dorate
allori superflui arrostiti
immediatamente carbonizzati al calore insopportabile dell’incertezza
Menate di pasqua natale e ferragosto
lavoro lavoro lavoro
noia
Non t’abbandoni più a vivere
non vivi più d’abbandono
Cerchi cerchi cerchi
quadrati rettangoli piramidi
animismi superati
avariati avanzati
trigonometrie innocue
farfugliamenti tripponi
Poi
Dove andrai
Ci sei seduto sopra
schiacciando tutto il chidovequandocomeperchè
Perché
Perché tutto è nascosto
Perché tutto è offuscato da sparàgli circonvoluzionari del cazzo
acquartierati in fabbriche in disuso
disossati al termine d’un banchetto loquace di pasqua
a primavera dell’anno che morrà
Punto
Poi
dopo le dodici e quindici
sull’operato centrale nascerà un loggiato di tribali fortezze
di proverbiali mantidi e nefandezze varie
merda
Sotto il loggiato
quadrupedi galoppano accanto a siffatti volumi
s’abbeverano
sì nutrono
sì vestono
sì sparlano
si vergognano
sì svergognano
dopo aver mozzato teste di papaveri addormentati
sotto un cielo di diamanti cherubini
disfatti postumi
aspettando un muro cada addosso
senza il tempo di chiedere ancora una volta
per l’ennesima volta
perché
Scrivere abbattendo muri
virgole e punti
sono a posto
apposta per vergognarsi di noi con supposte presenze nefande
tendenze spericolate
passare al setaccio tutto
Tutto passare al setaccio
Orgoglio a malincuore
Ultradotati maschietti scoprono femminucce in tintarella abbinate a scarpe color cacca
ispirati sproloqui esplodono
Il Dio dell’iniquità provoca traumi insensati in tutto ciò che si muove
e spara a morte su false ipotesi
 Ikonos ha zampe di quaglia
le sue uova sono squagliate
Le luci accese del soggiorno danno la vaga impressione di essere sopra un disco nuotante
circondato da scomposte misurazioni trigonometriche
a fior di pelle
sintoassioamatiche liquefazioni
Chi è
Mi domando
Quell’uomo con l’apostrofo e un accento sull’occhio sinistro
Chi è
Ma è semplice
Rispondo
Cazzonesò
 Poi
alle cinquequarantacinquequattrosecondi
un paradiso malgascio mi colpisce di striscio sotto l’ascella centrale
a quest’ora è ora di cambiare l’anima
Tutto sembra più buio
compreso il buco del cesso
Per quel poco che si scoprirà
anche lui ha deciso di trionfare d’amor proprio
ricompensando misfatti acuti e arguti nelsensochè
Il giorno dopo vivrà due volte di seguito l’alba del diciannovemillesimo giorno
risorgono milioni di perdigiorni che hanno trovato rifugio sui filococchi del tram che va in città
In piazza incontrano un patativendolo che fuma merluzzi avariati in una pentola a mo’ di pipa
Donne al fiume lavano lenzuola strappate
condendo insalate acide con piogge sparse
nuvoloso sulle regioni merdentrionali
con sporadici addestramenti anali e marimossi cazzinostri
Dalla mia piccola finestra sulle visioni mi chiedo
ma chi glielo fa fare di farsi prima di fare la prima comunione la seconda volta che veniva in città
Sempre in tram s’intende
Per caso ha uno stafilococco sui baffi
Se così fosse avrebbedovrebbe fare un saldo indietro nel tempio
proprio lì
dove si prega il dio delle melerancide
Scusa se mi sono permesso di permutare compiti che
Per mio vero e proprio sollievo non sono proprio miei
 Brunilde cerca
Guarda
Espone
Dispone
Esplode
Ma
poi
Al dunque non trova mai il capospago
Quindi
non ricordandomi da dove vengo
cazzonesò dove vado
Per questo si spoglia dei suoi lutti
distrugge i suoi patti segreti
spacca tutti i piatti della casa in testa a quel lombrico moscio senza chiesa
senza squola con la qu
con un paio di baffetti cinciripini alla Allexander Pollodallema
che è poi sé stesso luimedesimo
Poi senza preavviso alcuno si rizza a sedere sul letto
i capelli ritti
gli occhi orbitanti
il naso camuso
le orecchi no
è diventato paonazzo
Grida tuttodunfiato
PerfavorelevatemiditornoquesticalziniallalavandagrecasonoallergicoaimaialiGRAZIE
Poi chiude la porta dietro di sé e ascolta musica per tutto il tempo dopo
 di soppiatto sgattaiola sgusciando in cucina
si avventa sul tetto del barattolo di cioccolata al cocco di mandorle
dove gia bambole sgonfie spompinano benestanti signori di mezz’età
 Però inmenchenonsidica cerca in mezzo
qualcosa c’è stato un tempo
se ne accorge dai rimasugli di vergogna residua
Quella non si può mai bruciare sui roghi perdio
 L’altro resta lì vaporoso
Sonnolento
Corposo
Digitale
Manuflesso
Genuflesso
arcaico capitombolo umano
diverse qualità per tutti i rischi di gratitudine
perverse sensazioni di grattacapi mattutini
 Pertutti è un gioco sadico
Pertutti è un genio
Pertutti è il padrone della città
Da qui comincia la sua strana vita
dal nome
Perbacco invece è il soprannome di Giosuè Scannapopoli
detto Saturno per la voglia di fragola che ha su tutte le certezze
 è così che volto pagina
All’improvviso
Arbusti di selvaggia maestria svelano segreti di angusta poesia
nei libelli impalmati all’alba di ogni primo giorno del mese
per rientrare nelle spese
naturalmente
 Non tocco niente
lascio tutto come sta e me ne vado da solo
non mi volto neanche
guardo dritto
tiro dritto per la lunga autostrada bianca
Il filo rosso avanti a me si spegne piano piano
M’importa una sega
proseguendo vivo
 Il vino che ho in tasca mi carica di elettricità che riverserò poi nel mio stomaco
Cavalco la tigre
Ora lei sfreccia veloce sopra nuvole di polvere d’amaranto
sollevate dal branco che corre avanti impaurito
sulla strada bianca
Guardo la mia carta
la mia foto sbiadisce
si trasforma
spicca il volo
si strappa dalle mie mani
io non lo impedisco
Libera vola la falsa identità di creta
Un incrocio avanti a me
un diavolo sulla sinistra dice
Non c’è posto Per tutti sulla strada bianca
Decidi
Non posso
Non scelgo
Scappo ancora
Non c’è posto per il dubbio sulla strada bianca
 Un clacson alle mie spalle
una lucertola con una pipa smaltata in bocca e carrello antisdrucciolo
guardo
Lei fa un sorriso accidentato
un dente cade
mi offre un tiro di pipa alla melassa dolce
poi sgancia un peto alla melassa amara
svengo per dodici giorni
La lucertola ne approfitta
mi ruba le ruote e una scorta di ginseng alla fragola che tenevo nascosta
per i casi di necessità fotopaleocultocerebrolinguefacentefinzione
Quando mi risveglio ho un paio di mutande a pois sugli oblò
 Le lucertole col cardigan vanno così quando s’innamorano
Io no
Mi alzo
mi reco tosto dal guardavecchi ambulante che ha la bancarella lì
al lato della fortezza dei piselli brizzolati
Espongo il mio caso
Ho le mani sporche di nerofumo
il gruppo si è sciolto centodieci anni orsono dopo aver fatto un colpo alla banca centrale del seme
io mi sono salvato per grazia di zio
mi ha ripescato per le penne dalle acque del ghiaccio Fiume Tremens
 è un impervio e angusto fiumiciattolo fluente a valle
come il sangue nelle vene di un pazzo anfetaminico ubriaco di camomilla
 ma torniamo al presente
c’eravamo già
cioè avantieri
C’è con me uno che quando sogna si toglie sempre i calzetti
perché dice
i sogni degli uomini vanno a finire sottoterra
ed è da lì che a volte ritornano
Io gli dai ragione
All’ottantesimo chilometro
un tanto al grammo
hanno costruito dei cuscini d’avanguardia per rustici ristoratori senza macchia
senza peccati
eccosì che Il capoturno chiama
è l’ora della mezzasega di mezzogiorno
a quell’ora nessuno dorme mai con tutti i gradi
per paura dei temporali
Noi corriamo a perdifiato perdio
quando arriviamo ci ritroviamo trafelati senza sapere se il perché è vero
Il capoturno ci passa il caffè
ci regala poi una maschera col viso stravolto
gli occhi sradicati e perplessi
noi l’indossiamo senza paura togliendo quella che già portiamo addosso
levando la sicura
per sicurezza s’intende
La maschera si trasforma in jena ridenz
Inutile riderenz
disse
Già che ci siete spremete le meningi per trovare una soluzione plausibile
Quale soluzione
diciamo noi in coro
uno anche in falsetto
Una qualsiasi
Risponde
per la mia collezione
aggiunge
Ho la più grande collezione di soluzioni che si possa trovare ai bordi della strada bianca
 Troviamo infine una soluzione qualsiasi per qualsiasi problematico matematico problema
gliela daimo levandocelo per cosiddire gentilmente dai nostri ovali coglioni
 Ma
giorni bui ci attendono
Subito dietro la curva è una lunghissima galleria
buia
Manco a dirlo
Tre milioni di chilometri senza luce
le pagine stanno per finire sotto la padella
cioè in mezzo alla più grigia brace
Alchè mi viene in mente
tra dubbi amletici
scaramantici
circonflessi
una piccola e semplice soluzione
giusto per arrivare in fondo
per non lasciare niente al caso
Scrivere ai piedi della pagina
la parola
 FINE
 il classico uovo alla colombo
giallo
con finiture in piombo
fuso
cottura dieci anni
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anime--perdute · 6 years
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@epsiucos per finire il 2017 in bellezza non potevo non menzionarti sul blog.. Il laccio d'oro, quel filo aureo che ci unisce nell'ultimo periodo si è irrobustito e non ha mai dato un segno di usura seppur sempre tirato al massimo. Sei un punto fisso per me, un porto sicuro, la luce di un faro in un mare in tempesta. Sei il mio corrispondente epistolare, insieme viviamo la nostra utopia, sognamo e cresciamo. Ego esse non possum felicior tui. Σ'αγαπώ Λ ❤
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pangeanews · 4 years
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Bruce Chatwin, l’esteta irrequieto (…e gli incontri con Malraux, Jünger, Klaus Kinski, Nadežda Mandel’stam)
Bruce Chatwin aveva gli scarponi al collo e la faccia da angelo in ceramica. “Bruce è un nome di cane in Inghilterra (non in Australia), ed era anche il cognome dei nostri cugini scozzesi. L’etimologia di ‘Chatwin’ è oscura, ma lo zio Robin, suonatore di fagotto, sosteneva che in anglosassone chette-wynde voleva dire ‘sentiero tortuoso’. Il nostro ramo della famiglia risale a un fabbricante di bottoni di Birmingham, ma in un angolo remoto dello Utah esiste una dinastia di Chatwin mormoni, e di recente ho avuto notizia di un signor Chatwin e signora, trapezisti”, scrive, declinando l’oro della sua stirpe, nel documento autobiografico Ho sempre desiderato andare in Patagonia. Tra gli avi nobili, Chatwin, figlio di buona famiglia – padre avvocato e impegnato nella Royal Navy – nato il 13 maggio del 1940, cita uno “zio Geoffrey, arabista e viaggiatore del deserto, che al pari di T.E. Lawrence ebbe in dono dall’emiro Feisal un aureo copricapo (poi venduto), e morì povero al Cairo”. Ecco: Chatwin fu l’opposto di T.E. Lawrence. All’avventura spiritata preferì l’ordinario nomadismo; alla dissipazione lo spirito ironico; alle vaste campiture narrative con aggettivi magnetici una scrittura lucida, con dedizione all’intarsio. Mi è sempre parso che Chatwin proponga un’irrequietezza da sorbirsi in cottage, in sedentaria solidarietà; d’altronde, le Moleskine si comprano immaginando un fittizio Capo Horn, decrittando le imprese che non condurremmo mai.
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A proposito. In Patagonia è ritenuto il libro più bello di Chatwin: inizia con “un pezzo di brontosauro” e fonda una breve azienda turistica. Pubblicato nel 1977, è ‘di culto’ da quando Chatwin vaga nella Patagonia celeste, era il 1989. Nello stesso tempo, Chatwin fa qualcosa di antico – piglia l’acutezza di Ruskin e di Walter Pater – e di moderno – viaggia on the road. E viceversa. Per me, il libro più bello è Le Vie dei Canti (1987) – l’idea che l’identità aborigena coincida con il poema di un sognatore, che annodi nel canto le storie di tutti, mi affascinò a lungo. Chatwin segue il filo del racconto più che il criterio dello studio, per questo ci incanta. Porzioni di libro sono la – fittizia – trascrizione dei propri appunti. “Nella Muqaddima di Ibn Khaldun, filosofo che considerò la condizione umana dal punto di vista del nomade si legge: ‘Il popolo del deserto è più vicino dei popoli stanziali alla bontà, perché è più vicino al Primo Stato e più lontano da tutte le cattive abitudini che hanno corrotto i cuori di chi ha lasciato la vita nomade’”. Chatwin insegna, insomma, che il miglior modo di viaggiare è leggere i viaggi altrui – oggi, d’altronde, non potremmo fare altro. E che viaggiare è seguire le tracce di altri, fare i segugi.
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La dinamica proposta da Chatwin funziona. Deserto contro città; tenda contro casa; nomadi contro stanziali; cacciatori contro operai. In verità, l’uomo è il culmine di un contraddittorio: è un nomade stanziale. Ci muoviamo per lavoro ma vogliamo una casa a cui tornare; se siamo reclusi in casa vaghiamo svagandoci, tentando l’ascesi o l’ascesa del divano, mentre il nostro destino è umettato di fiction. Ogni uomo si muove per trovare una sede: Alessandro Magno viaggia tra Macedonia e India per porre il proprio palazzo a Babilonia. Anche Dio, infine, vuole casa in un Tempio.
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Chatwin viaggia con la perizia del gemmologo: non è mai ‘sporco’ né estasiato. Gli scarponi li tiene intorno al collo. Per primo, ha portato la scrivania vittoriana in Dahomey: anche l’efferato, in Chatwin, è afferrabile con la ragione, scomposto in aggettivi, vaporizzato nel racconto. La follia di Klaus Kinski – protagonista di Cobra verde, film di Werner Herzog tratto dal Viceré di Ouidah di Chatwin – è anestetizzata in una descrizione che pare giungere per angelologia da Dickens: “un adolescente di sessant’anni, tutto in bianco, con una criniera di capelli gialli. Non corrisponde esattamente all’idea che ho io di uno schiavista brasiliano, ma lasciamo correre”. Chatwin emerge dalla polvere fredda di Punta Arenas come appare da Sotheby’s, con la stessa, attenta eleganza. Per questo, adorava gli scriteriati.
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Con scriteriati intendo quegli uomini che non si adattano ai criteri di questo mondo. Dovrei dire, genio, se è genio la capacità di sdraiarsi sulla cresta della Storia, stabilirsi nella fortuna, fecondi senza caparbietà, audaci per dote e per dono, spietati eppure puri, certi del rispetto che si concede ai toccati dalla grazia. In Che ci faccio qui? Bruce Chatwin pretende l’incontro con due nomadi molto diversi da lui, per statura e scrittura: André Malraux e Ernst Jünger. Di questi, ama l’infallibile, il pudore che nessuno valica, lo spudorato carisma – non saprei come altro dire. “Malraux ha il tempismo di un opportunista di razza ed è stato testimone e partecipe di grandi eventi della storia moderna. Lui solo può raccontare che Stalin considerava Robinson Crusoe ‘il primo romanzo socialista’, e che la mano di Mao Tse-tung è ‘rosa come se l’avessero bollita’, e che la pelle bianca e gli occhi spiritati di Trotckij lo facevano somigliare a un idolo sumero di alabastro”. L’ironia ingabbia di quel tanto l’ammirazione: Malraux è il romanziere narciso, l’esistenzialista corrusco, il brigante dionisiaco, l’esteta mentitore, per cui “le persone di oggi si dissolvono nel mito” e “Mao Tse-tung, ‘il grande imperatore di bronzo’ delle Antimemorie è intercambiabile, in un certo senso, con la statua rilucente di un antico re-sacerdote mesopotamico”. Il dialogo si svolge nel 1974, Malraux morirà due anni dopo. “Concludemmo la conversazione parlando dell’Afghanistan, con i suoi fiumi verde pallido e i suoi monasteri buddhisti, dove le aquile volteggiano sopra le foreste di cedri deodara e gli uomini delle tribù portano asce da combattimento di rame…”. Allora, Malraux, pronto all’ennesima avventura, mai domo, sussurra, “e c’è sempre il Tibet…”.
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Beh, Chatwin sa fronteggiare questi personaggi – ci vuole lignaggio oltre a leggerezza per farlo. Jünger resta ai suoi occhi un implacabile enigma. Il pezzo, del 1981, è un piccolo gioiello, fin dall’incipit: “Il 18 giugno 1940 Winston Churchill concluse il suo discorso alla Camera dei Comuni con le parole: ‘Questa è stata la loro ora più bella!’, e quella sera stessa un personaggio molto diverso, con l’uniforme grigia di ufficiale della Wehrmacht, si sedette nello studio della duchessa de la Rochefoucauld al castello di Montmirail. Quell’ospite non invitato era un uomo di quarantacinque anni, basso di statura ma atletico, con la bocca fissa in un’espressione di stima per se stesso e con gli occhi azzurri di una tonalità particolarmente artica. Sfogliava i libri della duchessa col tocco sapiente del bibliomane e notò che molti recavano la dedica di famosi scrittori. Da un volume scivolò e cadde a terra una lettera…”. Chatwin è uno scrittore che ama le armonie e le superfici ben levigate – “particolarmente artica” –, la “prosa dura e lucida… imperturbabile” di Jünger e “la fermezza incrollabile delle sue idee” lo soggioga e abbaglia. Che, durante una esecuzione in un bosco francese, Jünger descriva i tremiti del bosco e dell’uomo e “una mosca che danzava in un raggio di sole”, lo repelle e lo inietta nell’apollineo. L’incontro con Jünger si rivelerà inutile – il tedesco è chiuso all’ingordigia di pettegolezzi dell’inglese. Gli concede però, “dato che Montherlant m’interessava”, di studiare una copia del foglio che stava sulla scrivania del francese, quando questi si è ammazzato. “Il suicidio fa parte del capitale dell’umanità”, è scritto, in francese. L’aforisma è di Jünger, “risale agli anni Trenta”, la calligrafia di Montherlant. Il foglio è chiazzato. “Le macchie erano fotocopie del sangue”.
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Iosif Brodskij venerava Nadežda, la moglie di Osip Mandel’stam. “Per decenni visse alla macchia, in fuga perpetua svolazzando tra gli angiporti e oscure città del grande impero, posandosi in un nuovo nido solo per riprendere il volo al primo segnale di pericolo. La condizione di ‘non persona’ divenne a poco a poco la sua seconda natura”, scrive il poeta in una memoria raccolta in Fuga da Bisanzio. Chatwin è da Nadežda nel 1978. Lei gli mostra un quadro di Weissberg. “Il quadro era tutto bianco, bianco su bianco, qualche bottiglia bianca su un fondo vuoto e bianco”. Poi fa, “è il nostro miglior pittore: che in Russia non si possa fare che questo, dipingere il bianco?”. In quel caso, il bianco non è opportunità ma prigionia, la gogna più che il giglio, non è l’innocenza ma l’assassinio, perché quel bianco è nero raddoppiato. (d.b.)
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vice-versa-v · 5 years
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Chi sei, tu?
C'è un astro che ti fa
brillare gli occhi
bruciare le vene
rendendo tersi i tuoi
pensieri opachi e bui
Una catarsi che lacera
il pesante manto celeste
in cui annegavi
Respira, ammira
i ghirigori scuciti dalla tua mente;
il filo aureo dei pensieri
giace ordinato sul tuo capo
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jucks72 · 6 years
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Milano Gallery Night Festa all'insegna di arte e vini di Puglia
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Milano Gallery Night Festa all'insegna di arte e vini di Puglia
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  Gallery Night è stato l’evento che ha visto il 30 novembre le gallerie d’arte di una delle più antiche zone di Milano tenere le porte aperte fino a tarda ora in collaborazione con l’Associazione Puglia in Rosè.
Il Distretto 5Vie ha dedicato la serata a 24 gallerie del quartiere che hanno inaugurato una serie di mostre con opere di artisti di fama abbinate alle eccellenze enologice di Puglia.
«Siamo entusiasti di questo evento – ha dichiarato Lucia Nettis, direttrice di Puglia in Rosè – soprattutto perché siamo riusciti a portare in Italia un’idea che abbiamo già avuto modo di sperimentare all’estero, come al Metropolitan Museum of Art e al Museum of Art and Design di New York. La nostra filosofia si basa sulla promozione dei vini delle nostre cantine associate, sottolineando il filo rosso che da secoli lega il vino alla cultura».
È stata un’occasione unica per unire il piacere della vista a quello del gusto, rappresentato da ben 25 aziende vinicole: Cantina Duca Carlo Guarini, Cantine Duca D’Ascoli, Cantine Paolo Leo, Cantine Padre Pio, Cantina Vetrere, Cantina Barone, Cantine Aureo, Feudi di Guagnano, Tenute Girolamo, Masseria Nel Sole, Tenute Annibale, Cantina San Marzano, Elda Cantine, Cantine Zacheo, Cantine Le Grotte, Cantina Apollonio, Vigneti Reale, Azienda Vitivinicola Tor De Falchi, Cantina Ruvo, Vigneti Calitro, Moscato Trani, Vitivinicola Marulli, Cantine Bonsegna, Cantine Vecchia Torre, Cantine Nardella.
Per informazioni: www.pugliainrose.it
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BEllISSIMA DA LEGGERE ASSOLUTAMENTE!! DEDICATA A TUTTI I GALGOS DEL MONDO La Spagna è il paese dei levrieri impiccati. La Spagna è il paese che non apprezza la tenerezza inconcepibile di un animale che si intreccia con l'aria, disegnando acrobazie impossibili. La Spagna è il paese degli alberi con i rami assassini, dove una corda infame spezza una vita leggera come schiuma. La Spagna è una terra sterile che seppellisce la poesia nel suo grembo morto. I levrieri sono poeti in agguato nel vento, levigano gli spigoli in silenzio, scivolando via come un filo d'acqua dal fondo di un fosso. I levrieri sono poeti che si stagliano alla luna, componendo sagome senza eguali. I levrieri accavallano le parole, ci saltano sopra, evitano gli accenti, così arroganti e inflessibili. L'accento è un signore ridicolo che si infila nelle parole come una spina. I levrieri turbano la sua routine, gettandola al vento, giocandoci finché si stufano, lasciandolo su un tetto, dove viene scambiato per un ramoscello. A volte, in un nido. Così riceve lezioni di umiltà e accetta la sua dolorosa insignificanza. Le impronte dei levrieri non lasciano traccia. Sono veloci, alati, quasi eterei. Non influenzati dalla gravità nè dalla durezza della pietra. I levrieri accelerano la rotazione della terra, quando la follia si impadronisce di loro. Lo sguardo riesce a malapena a seguire il loro galoppo vertiginoso, ma grazie alle loro corse sentiamo la musica celeste. I levrieri prendono in giro l'ortografia tendendo o piegando le orecchie. Le orecchie di un levriero possono trasformarsi in una X, Y o LL. Sforzandosi un poco sono in grado di delineare la Ñ o il numero Phi, il numero aureo in cui è nascosto Dio, giocando con una serie infinita che lascia con un palmo di naso gli insegnanti. Gli insegnanti della scuola non capiscono Dio, nè i levrieri. Dio è un bambino che utilizza i puntini di sospensione per attraversare i fiumi. Li genera uno ad uno e salta in avanti. Quelli che avanzano, se li tiene in tasca. I levrieri non sono mai separati da Dio, perché sanno bene che hanno bisogno di non perdersi sulla strada, dove si nasconde l'uomo con il forcone i
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vtribbean · 10 months
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sportpeople · 7 years
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Casa non è solo il tetto che ti ripara dalle intemperie. Non è l’armadio dove riponi i vestiti o il divano dove puoi trovare un attimo di relax.
Casa è tutto ciò che senti tuo. Un insieme di sentimenti, sensazioni, colori, odori che, a pieno titolo, sono una parte di te.
Non esiste una sola casa, esistono tante case. Una delle mie case, per anni, è stata la Virtus Roma.
Chiunque mastica (o ha masticato) ultras in una curva calcistica, almeno a certi livelli, ha necessariamente varcato i cancelli del Palatiziano o del PalaEur.
In tanti hanno gioito per una bomba da tre sul filo della sirena, per una vittoria ai play-off, per un’impresa con una squadra di vertice.
In tanti hanno esternato dolore sincero per un’eliminazione dalla serie scudetto o per una incredibile rimonta degli avversari, che prima dell’ultimo quarto erano sotto di 20.
In tanti hanno abbandonato la Virtus Roma.
In Serie A1, quando le partite non erano contro Bologna o Treviso ma contro Imola o Montecatini. Quando la squadra arrancava e non era da vertice. Quando c’era una concomitanza troppo stretta con le partite di calcio. Quando si è autoretrocessa. Quando ha giocato i playout per non scendere nell’inferno della B. Quando ha rischiato di scomparire. Quando pochi volenterosi hanno manifestato a Piazza Venezia nell’indifferenza generale.
Se la Virtus Roma è stata, o è, la casa per tanti, il suo accesso è sempre stata una porta di servizio e mai un ampio porticato ricco di fregi e capitelli.
La situazione attuale della Virtus Roma è figlia di una cultura del lassismo e della miopia che attanaglia la Capitale, forse da sempre.
Analizzando solo lo sport per non entrare troppo in contesti non pertinenti, si può dire che, dalla scomparsa della Lodigiani, al declino della Virtus e della cancellazione di fatto in altri sport, tutto appartenga ad un unico fil rouge la cui trama è intessuta di declino e menefreghismo.
Se si pensa alla situazione di disinnamoramento e disincanto che ormai sono entrate anche nel mondo della Roma e della Lazio, si capisce che la speranza di una ripresa della passione popolare sportiva, per ora, è veramente scarsa.
La Virtus è un tassello importantissimo della storia agonistica della Capitale, ma la sua parabola recente riflette un periodo cupo di una città sì immortale, ma innegabilmente malata.
A proposito di declino, l’involuzione della Siena del basket ha come punto focale l’attuale situazione del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo ormai rovinata dai debiti e che, salvo incredibili imprevisti, sarà nazionalizzata per non fallire, con lo Stato che si farà garante di almeno 88 miliardi di Euro di debiti.
L’antico istituto bancario senese è sempre stato uno dei perni dell’economia privata italiana.
A Siena ha rappresentato un pezzo di vita e di fiducia per molti cittadini. Occupazione a parte, il “babbo”, come molti chiamavano il Monte, ha sempre garantito un alto tenore di vita alla provincia toscana.
Calcio e basket hanno beneficiato di un periodo aureo in cui il Monte dei Paschi ha investito nello sport in maniera molto massiccia. La Robur ha calcato per diverse stagioni la massima serie, la Mens Sana è diventata per anni la padrona assoluta del basket italiano.
Questo prima che il vaso di pandora dei debiti si scoperchiasse e che la Mens Sana fosse condannata, per vari capi d’accusa (ricettazione, associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale e bancarotta fraudolenta), alla liquidazione e all’annullamento di due titoli di campione d’Italia e due Coppe Italia (più una Supercoppa).
Senza lo storico sponsor Siena è ripartita dalla Serie B con l’orgoglio dei suoi tifosi, e il salto in Serie A2, due stagioni fa orsono, è stato, per quanto sofferto più del dovuto, quasi una formalità.
Quella di stasera non è solo la sfida tra due nobili decadute e tra due rivali storiche, ma è uno specchio dell’Italia di oggi.
La Mens Sana cadetta, come la Virtus Roma del resto, non decolla e non regala grandi soddisfazioni ai tifosi, che vorrebbero una pronta risalita nella massima serie
Tornando alla tifocronaca, scelgo di seguire nuovamente una partita casalinga della Virtus grazie alle mie ferie lavorative che mi hanno permesso di riaffacciarmi alle mie latitudini native.
L’occasione è l’ultima partita del 2016 cestistico della serie A2, e l’avversario è Siena. Mens Sana Siena.
Non credo che sia io a dover ripetere, per la milionesima volta e nella miliardesima salsa, cos’è questa partita per un appassionato di basket capitolino. Non sta a me ricordare cos’è la Mens Sana nella storia recente della palla a spicchi nostrana.
Siena, per Roma, è una rivalità storica, genuina, accentuata dall’avvelenata serie scudetto della stagione 2012/13. Brigate Roma contro Brigata Biancoverde. Un’unica via che divide le città.
È il 29 Dicembre. La partita è un’occasione anche per un ritrovo tra amici e la osserverò forse non con l’attenzione di sempre, ma con qualche chiacchiera e qualche risata in più, il che non guasta mai.
Ma se il pubblico di stasera non è all’altezza della sfida (a proposito della porta di servizio), le due tifoserie organizzate sono da elogiare a scena aperta.
Da una parte le Brigate della Virtus Roma, ragazzi che, di fatto, vedo per la prima volta all’opera (non valutabile la loro prestazione quando li vidi lo scorso anno a Verbania contro Omegna per timbrare il cartellino).
Il gruppo, numericamente parlando, è in linea con la tradizione ultras cestistica della capitale (playoff e partite di cartello esclusi). Cifre non impressionanti ma, se si pensa al periodo generale delle curve, neanche da disprezzare.
Il loro tifo, eccetto qualche rarissima e brevissima pausa, è veramente continuo, con dei picchi notevoli soprattutto negli ultimi due quarti del match. Tanti battimani, voce e impegno onorano questa delicata partita.
Dalla parte opposta i ragazzi della Brigata, che ho già visto in azione qualche volta. Non è un periodo facile per loro, e la stagnazione in Serie A2 comincia a far emergere una disaffezione a livello numerico. La quarantina di tifosi presenti al Palatiziano non è all’altezza di tante altre presenze del passato. Ciò nonostante, i biancoverdi appaiono continui, intensi, abbastanza colorati. Una nota di merito va per aver incitato la squadra nonostante sia sempre stata indietro durante il match.
La rivalità viene onorata a suon di “attestati di stima” reciproci conditi da diverse urla dei singoli e gestacci come se piovesse. Anche il pubblico giallorosso della tribuna, quando c’è da prendere di petto gli avversari, non si tira indietro, con scene talvolta persino esilaranti.
La partita finisce 84-75 per i padroni di casa. A parte rari momenti in cui gli ospiti si sono avvicinati, Roma ha sempre tenuto saldamente in mano la partita, rifilando ai malcapitati avversari la quinta sconfitta consecutiva.
Ciò nonostante, per la Mens Sana sinceri applausi dei tifosi a fine partita: numerosi magari no, ma sicuramente attaccati alla casacca indipendentemente dal risultato.
Per le Brigate della Virtus e il pubblico tutto un sorriso di fine anno, peraltro contro una rivale storica. L’abbraccio tra squadra e curva a fine partita è una delle cartoline più belle di questo sport, spesso snaturato dalla sua eccessiva americanizzazione (per info rivolgersi all’Olimpia Milano e ad altre associate).
Finisce pure per me questo 2016 di partite. Simbolicamente termina in un posto che chiamo casa e che spero costituisca un punto di partenza per le nuove sfide del 2017.
In questo articolo ho parlato di decadenza, disaffezione, malagestioni e altre simili amenità. Con l’anno nuovo nessuno, là in alto, cercherà di migliorare qualcosa, statene pur certi.
Ma la passione, l’amore, l’abnegazione e il sacrificio per le cose a cui teniamo tutti i giorni sono la base per ripartire con nuovo slancio, di anno in anno, di mese in mese, di giorno in giorno. I ragazzi di Roma e Siena l’hanno capito e, insieme a tanti altri ragazzi di altrettante curve italiane sono pronti, per l’anno che verrà, a non alzare mai bandiera bianca di fronte a qualsiasi avversità.
Magari gli anni più belli arriveranno veramente, non solo per Roma e Siena, ma per noi tutti. E non bisognerà ringraziare nessuno al di fuori di noi stessi che crediamo sempre in ciò che facciamo, indipendentemente da cosa facciamo.
Testo di Stefano Severi. Foto di Simone Meloni.
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Arriveranno gli anni più belli: Virtus Roma-Mens Sana Siena, Serie A2 Basket Casa non è solo il tetto che ti ripara dalle intemperie. Non è l’armadio dove riponi i vestiti o il divano dove puoi trovare un attimo di relax.
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vtribbean · 10 months
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More JJBA HCs from my AU:
Sorbet & Gelato
Gelato is basically REALLY into westerns. Like, a lot - he taught himself how to speak like a cowboy because he got really into Spaghetti Westerns and American westerns when he was young. He likes to pretend he and Sorbet are like a Bonnie & Clyde type deal.
Gelato's stand is Whiskey River - it's useful as a form of interrogation and assassination when paired with Sorbet's Badfinger.
Whiskey River's ability is to convert perspiration into an alcohol that absorbs into the body. Basically, if you're locked into a humid chamber or sweating a lot from battle - you're gonna end up getting intoxicated. This was partially inspired by Harvest injecting Okuyasu and Josuke with spirits in DiU.
Sorbet's Badfinger manifests as a ghoulish third arm that attaches to a victim and lures them towards deaths that end up looking like a suicide. Have a gun on you? It'll try to yoink that. Near a busy street? It'll try to drag you into traffic.
When Badfinger is paired with Whiskey River, it often makes an assassination target appear to have gotten drunk and taken their own life, meaning it's rather subtle form of taking out a target. (Looking at you, Formaggio, putting shrunken cars into people's fucking drinks...)
Plus, Whiskey River can be used to interrogate a target for information before their demise - Sorbet likes to try and get cash out of people before they die.
As for Sorbet's personality - he's pretty greedy (as is hinted at in canon) but is otherwise a pretty straight-cut guy. He claims to "put up with" Gelato's western obsession, but he does love it in secret.
As for how they act with their team, well, they kind of act a bit narcissistic in terms of thinking that they're better than the rest of them, but all in all are both in Passione's business for the money. When the cash stops flowing - well, we saw what happened there.
Their loyalties lie to whoever's gonna make them rich, not necessarily solely to Risotto or Passione as a whole. But, they still do hold some level of respect for their team members who show cunning and skill.
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vtribbean · 8 months
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Whenever I find the energy I'm gonna take some poor fucker on this site who wills themselves towards me and RP the entirety of Filo Aureo with them and twist it around to have both of our self ships or just ship our OCs together and then rinse and repeat this same process every time I want to revisit the AU again
Or just find someone to do JJBA RPs with in general I just want to stop being scared of interacting with people frankly 😔
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Medievalismi vittoriani: la Dama seducente e pericolosa dei Preraffaelliti. Tra i soggetti pittorici prediletti dalla Confraternita dei Preraffaelliti - sorta di associazione di artisti e pittori romantici inglesi, attiva tra la metà del XIX secolo e gli anni Venti del Novecento, che dichiarava di ispirarsi agli ideali, ai metodi ed alla "pittura prima di Raffaello" - vi è la Dama "perigliosa", la donna seducente, pericolosamente attraente, ostacolo al cammino iniziatico e circolare di purificazione-perfezione dell'eroe, o nobile e severa, o ancora morente per un amore sofferto, struggente, non corrisposto o vittime di un tragico destino. Le donne dei Preraffaelliti capovolgono in un certo senso l'idea di amor cortese e l'immagine classica e standardizzata della donna angelica o beata: ben al di là dall'essere delle semplici comprimarie dei cavalieri uomini, relegate al ruolo di nobildonne da conquistare con gesta e virtù cavalleresche, le dame preraffaellite sono le protagoniste assolute della scena, consapevoli della propria bellezza e potenzialità, seducenti e affascinanti, in grado di dominare e condizionare le scelte anche dei più valorosi eroi maschili o, in ogni caso, eroiche, di una bellezza surreale, protagoniste tragiche nella loro simbolica ed emblematica morte. Il Medioevo del Ciclo Bretone, arturiano, romanzato da Tennyson e messo in scena da Shakespeare diventa il filo conduttore di tali opere è lo sfondo per queste bellissime e pericolose dame, in linea con lo spirito e il gusto romantico del tempo volto a fare dell'età di mezzo il momento aureo dell'eroismo, della pura fede cristiana, del fantastico e dell'irrazionale. Un revival che aveva i tratti di un ritorno attivo e partecipato all'antico, non solo un tiepido ed emotivo vagheggiamento, ma un’alternativa valida da attuare per rivoluzionare il mondo moderno, sia sotto l'aspetto sociale, economico e industriale, sia, naturalmente, sotto l'aspetto pittorico, artistico, architettonico, riprendendo e rielaborando modelli, simboli e stili dell'età di mezzo. #costruirestorie #medievalism #medievalismoromantico #preraffaelliti #romanticismo #medievalismo #preraffaellitiamoreedesiderio #amore (presso London, United Kingdom) https://www.instagram.com/p/CQ04MRsF-7s7KWTpijnnfZC-yK1NjiuJAad40g0/?utm_medium=tumblr
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pangeanews · 5 years
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“Montale è stato il nostro punto di riferimento”: Jorge Aulicino balla il tango con Eusebio, e lo porta a Buenos Aires
Il linguaggio ha una personalità, ha geologia, destino, volto. Per questo, tradurre non è un gesto meccanico – ma neppure alchemico. La traduzione è un trapianto in cui non si produce un uguale, ma un altro – a volte un Minotauro, altre un unicorno. Provate a ripassarvi sul palato, sulle labbra, nelle narici e infine – infine, dopo!, perché la parola è carne, odore, suono, prima – questo distico: “No nos pidas la fórmula que te abra los mundos,/ sino apenas un sílaba torcida y seca como una rama”. Gemello, ma indubbiamente diverso da questo, che sappiamo da sempre, conficcato nella ramiglia dei nostri nervi novecenteschi, “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo”. Anche quest’altro distico, “Tú no recuerdas; otro tiempo trastorna/ tu memoria; un hilo se devana” nella mia mente monosillabica, qui, che gorgoglia nella laringe, mi sembra esattamente nuovo. Jorge Aulicino, giornalista di talento, poeta, è il traduttore in Argentina dei poeti italiani. La sua impresa, nel 2015, è stata la traduzione della Divina Commedia, dopo anni di lavoro, ma il suo impegno, da sempre, è orientato verso la poesia contemporanea. Di recente, ha tradotto Pier Paolo Pasolini e Cesare Pavese, ha lavorato dentro l’opera di Franco Fortini, di Biancamaria Frabotta e di Antonella Anedda. Quest’anno Aulicino compie 70 anni, e si è regalato, diciamo così, un lavoro aureo. La pubblicazione, per Ediciones en Danza, di una silloge di poesie di Eugenio Montale, En el humo y otros poemas, tradotte con dedizione astrale. La sfida è doppia, per così dire, perché affrontare Montale, in Argentina, significa anche confrontarsi con le storiche traduzioni di Horacio Armani, che comincia nel 1971 con ‘Eusebio’, proponendo una Antología de Montale. Sorprende, soprattutto, dialogando con Aulicino, capire quanto la poesia di Montale abbia agito nella rivoluzione lirica argentina. Le occasioni, la raccolta centrale di Montale – da cui Aulicino estrae i Mottetti e alcune poesie più clamorose, come La casa dei doganieri – è pubblica da Einaudi nel 1939, ottant’anni fa. L’omaggio che viene dall’“altro mondo” mi pare di eccezionale devozione. (d.b.)
Lui è Jorge Aulicino, con l’immancabile pipa. Ha tradotto Montale, Pasolini, Pavese e la Divina Commedia in spagnolo
Quando ha letto Montale per la prima volta e cosa la ha sorpresa della sua poesia?
Negli anni Settanta ho letto le prime traduzioni fatte in Argentina da Horacio Armani, poeta, traduttore e ammiratore di Montale, che conobbe a Milano. La poesia di Montale che più ha affascinato la mia generazione è stata La casa dei doganieri. Per alcuni lettori la frase Il varco è qui? è divenuta una vera parola d’ordine. Anni fa ho letto una vecchia traduzione di questa poesia ma preferisco non citare il nome del traduttore che, disgraziatamente, si era sbagliato proprio in quel momento chiave. Aveva tradotto la parola italiana varco come se fosse barco (in italiano, nave). Forse pensava che Montale stava ancora parlando della petroliera a cui alludeva nel verso precedente. Montale fu un punto di riferimento per lo slancio rinnovatore della poesia argentina degli anni Settanta, insieme ad altri autori statunitensi, inglesi e italiani, oltre ai grandi latinoamericani come César Vallejo, Nicanor Parra, Enrique Lihn o José Lezama Lima.
Come è possibile tradurre Montale in spagnolo? Che difficoltà ha incontrato?
La poesia di Montale fa un uso particolarmente denso delle parole. E di una sintassi a volte non semplice per chi non parla italiano tutti i giorni. Non credo che le mie traduzioni siano migliori di quelle di Armani. Ho cercato solamente di restare più legato alla profondità di campo di Montale.
Quante poesie di Montale ha tradotto e, riguardo alla traduzione, di quale poesia è più soddisfatto?
Ho perso il conto. Nell’antologia appena pubblicata da En Danza ci sono 35 poesie, se consideriamo i Motetti come poesie individuali. In realtà si tratta di 20 poesie brevi. Ma ci saranno, credo, un’altra ventina di poesie rimaste fuori da questo libro. In generale sono piuttosto soddisfatto della traduzione ma credo che le poesie più mutevoli siano quelle come Meriggiare pallido e assorto in virtù del loro particolare ritmo, intraducibile.
In che modo Montale ha influenzato la poesia argentina contemporanea? Qual è il Montale che ama di più: il primo, raffinato e pieno di riflessioni esistenziali, o l’ultimo, epigrammatico, aforistico?
Il primo Montale è quello che più ci ha influenzato perché è quello che più è stato tradotto. Coincideva con la nostra ricerca di una poesia più sobria, meno sentimentale. Nonostante questo, scoprire che Montale cita un tango nella sua poesia Sotto la pioggia di Le occasioni, da argentino, mi ha commosso. Alla generazione successiva alla mia, chiamata ‘oggettivista’, piaceva il Montale di Xenia I e di Xenia II del primo Diario. La poesia argentina degli anni Settanta e di quelli a seguire cercava di mitigare un poco il sentimentalismo. Fu attratta e le attrae l’immagine visiva concreta, la sobrietà di esprimere la situazione poetica (le occasioni, nel linguaggio di Montale).
Ha tradotto di recente anche Pavese. Quale poeta italiano è più vicino alla sua sensibilità di poeta?
Credo Pavese. In Pavese c’è quello stile più colloquiale. E il mito. Un mito legato all’origine. Questo è molto vicino a me.
E ora: chi ha intenzione di tradurre, quale poeta?
Spero che quest’anno venga pubblicata la mia traduzione delle poesie di Biancamaria Frabotta. Inoltre resta inedita una antologia di poesia italiana del XX secolo che continua a crescere. Abbiamo cercato di pubblicarla ma è stato impossibile ottenere tutti i diritti. I diritti postumi sono una vera maledizione. Lo stesso è successo con una antologia della poesia di Franco Fortini: non è stato possibile avere i diritti. A mio avviso gli editori o gli eredi degli autori commettono un errore quando cedono agli editori spagnoli i diritti per tutti i paesi di lingua spagnola. Mi piacerebbe fare una antologia di Alda Merini, un poeta molto amato in Argentina ma so già in partenza che sarà impossibile ottenerne i diritti.
*Traduzione dallo spagnolo di Mercedes Ariza
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Per gentile concessione pubblichiamo alcune poesie da En el humo y otros poemas, di Eugenio Montale, tradotto da Jorge Aulicino
No nos pidas la palabra…
No nos pidas la palabra que encuadre de cada lado nuestro ánimo informe, y en letras de fuego lo proclame y resplandezca como el azafrán en medio de un polvoriento prado. Ah el hombre que parte seguro, de los otros y de sí mismo amigo, y no se preocupa de su sombra que la canícula estampa sobre un muro calcinado. No nos pidas la fórmula que te abra los mundos, sino apenas un sílaba torcida y seca como una rama. Esto solo hoy podemos decirte: lo que no somos, lo que no queremos.
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“Non chiederci la parola”
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe,e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah l’uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo,ciò che non vogliamo.
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La casa de los aduaneros
Tú no recuerdas la casa de los aduaneros en la elevación inclinada sobre la escollera: desolada te espera desde la noche en que entró en ella el enjambre de tus pensamientos y se detuvo inquieto.
La marejada azota hace años la vieja muralla y el sonido de tu risa ya no es alegre: la brújula gira loca a la ventura y el cálculo de los dados no regresa. Tú no recuerdas; otro tiempo trastorna tu memoria; un hilo se devana.
Tengo todavía la punta; pero se aleja la casa y sobre el techo la ennegrecida veleta gira sin piedad. Tengo la punta; pero tú estás sola casi ni respiras en la oscuridad.
Oh el horizonte en fuga donde se enciende rara la luz del petrolero. ¿Es este el paso? (Pulula todavía el oleaje sobre el acantilado que se desploma). Tú no recuerdas la casa de esta noche mía. Y yo no sé quién va y quién queda.
*
La casa dei doganieri
Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t’attende dalla sera in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende…) Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
*
En el humo
Cuántas veces te he esperado en la estación en el frío, en la niebla. Me paseaba tosiendo, comprando diarios innombrables, fumando Giuba, luego suprimidos por el ministro de tabacos, el tarado. Quizá un tren equivocado, un duplicado o tal vez un faltante. Escudriñaba los carritos de los changadores, por las dudas de que llevaran tu maleta y tú llegases luego, retrasada. Al fin aparecías, última. Es un recuerdo de tantos. Me persigue en sueños.
*
Nel fumo
Quante volte t’ho atteso alla stazione nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo tossicchiando, comprando giornali innominabili, fumando Giuba poi soppresse dal ministro dei tabacchi, il balordo! Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una sottrazione. Scrutavo le carriole dei facchini se mai ci fosse dentro il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo. poi apparivi, ultima. È un ricordo tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.
L'articolo “Montale è stato il nostro punto di riferimento”: Jorge Aulicino balla il tango con Eusebio, e lo porta a Buenos Aires proviene da Pangea.
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