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#fuori salone
hungryfacesart · 21 days
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Fashion Meets Design at Fuori Salone 2024 Playground
Imagine strolling through the lively streets of Milan, where every corner holds a new surprise and each building whispers tales of elegance and innovation. This is the essence of Fuori Salone Design Week, an annual extravaganza that transforms Milan into a hub of creativity and style. And this year, the spotlight shines brightly on fashion houses, as they weave their distinctive flair into the…
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mlleshopping · 1 month
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Discovering Milan: A City of Timeless Inspiration
Discover the captivating allure of Milan’s design landscape as we unveil 12 exquisite design delights awaiting you at Fuori Salone Milan Design Week 2024. Delve into a world where creativity knows no bounds and innovation takes center stage. Embrace the essence of Milan’s design scene and let your curiosity guide you through a realm of artistic marvels and limitless inspiration. Join us on this…
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limoniacolazione · 4 months
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Ci troviamo a ballare un lento mentre un disco 78giri dei Travelling four sputa fuori uno spiritual che scioglie i nodi allo stomaco. L'amica V., in crisi sentimentale, occupa il divano-letto nel salone e, per non farla stare peggio, abbiamo ridotto i nostri contatti a momenti di solitudine nascosta. Carezze fugaci, baci rubati.
Mi preparo a pagare la retta per una formazione, con l'idea di riesumare la mia carriera professionale lontana da dove ero prima.
Da qui alla primavera dovrò essere una nuova me, potenzialmente in forma, con una salute mentale inscalfibile. Chi lo sa come si fa.
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thecommaconstellation · 9 months
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Il primo gennaio
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.
Eugenio Montale, da Satura II
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melancomine · 1 year
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SETTE MINUTI | eddie munson x lettrice
trama: per colpa dei tuoi amici e di quello stupido gioco “sette minuti in paradiso” ti ritrovi chiusa in uno stanzino insieme all’insopportabile eddie munson. sette minuti saranno abbastanza per farti cambiare idea sul suo conto?
pairing: eddie munson x lettrice
avvertenze: smut esplicito, enemies to lovers, consumo di erba, cose in luogo pubblico, sesso non protetto, dirty talking, gli eventi di st4 non sono mai accaduti, 1986
word count: 6k
masterlist | wattpad
Steve Harrington e le sue famose feste, Robin è riuscita a trascinartici. Odi i luoghi affollati ma sai che in compagnia di quella stramba ragazza bionda ti divertirai. Sei vestita bene, con un abito corto del tuo colore preferito e le intramontabili All Star nere ai piedi, le uniche di cui ti fidi. Certo, avresti preferito dei jeans come quelli che indossa Robin ma questa sera hai deciso di lasciarti andare ed esagerare. 
Una volta arrivate davanti la casa di Steve, rimanete a bocca aperta. Addobbi luminosi appesi lungo tutto il perimetro del tetto anche se è Giugno, persone che entrano ed escono, altre che, già sbronze, stanno rigettando nelle siepi, alcuni si stanno tuffando in piscina. È la prima volta che partecipi a questo evento atteso da tutti i ragazzi di Hawkins, Robin invece conosce Steve da più tempo per cui ti afferra per il polso e con un ”Cosa stiamo aspettando?” ti conduce all’interno dell’abitazione, il cuore della festa. Schivando qualche coppia impegnata a mangiarsi la faccia a vicenda, ora siete in cucina, dove l’isola al centro propone alcol e bevande gassate insieme a bicchieri rossi. 
”Le fanciulle cosa desiderano?” Jonathan vi accoglie con un ampissimo sorriso, che collegato agli occhi arrossati e quasi chiusi vi fa scappare una risata. In mano ha una bottiglia di vodka e nell’altra un bicchiere vuoto. Argyle lo raggiunge con quello che sembra a tutti gli effetti uno spinello incastrato tra il suo cappello con la visiera e l’orecchio. ”Ciao, principesse!” Vi saluta.
Mentre Jonathan ti sta versando da bere, Robin batte il cinque ad Argyle quando nota che le loro camicie sono molto simili e ricominciate a ridere, ora insieme ai ragazzi.
”C’è un bong che ci aspetta.” Argyle si avvicina all’orecchio del suo amico per farsi sentire meglio ed evitare di urlare, poi vi rivolge lo sguardo nuovamente ”Vi unite a noi?” 
Scuotete entrambe la testa e dopo averli salutati e augurato buon viaggio, decidete che è arrivato il momento di andare a ballare. Vi dirigete nel grande salone, fonte di musica altissima e di corpi scatenati. La portafinestra che conduce al giardino e alla piscina è aperta per facilitare il passaggio e sopratutto per far circolare l’aria. 
”Come va con Vickie? Le hai chiesto di uscire?” Domandi a Robin una volta entrate completamente nel flusso della musica, Madonna sta cantando.
”Sì, cioè no, ancora no. Ma sto…” Vieni distratta dalle sue parole incerte e i suoni intorno a te diventano ovattati. Seduto su una delle sdraio a bordo piscina c’è Eddie Munson, vicino a lui Gareth e Jeff. Il sangue ti bolle nelle vene e le guance si scaldano alla sua vista. È fastidio quello che stai provando. Possibile che quell’insetto sia ovunque?
”Che ci fa Eddie Munson qui?” Interrompi l’accattivante storia di Robin di quando è quasi riuscita a parlare alla sua grande cotta ma senza riuscirci e indichi il ragazzo che se la spassa fuori.
Robin si gira per guardare in che direzione punta il tuo dito. ”Grazie per appoggiarmi sempre! Comunque, Eddie e Steve sono diventati molto amici ultimamente.” Scherza per un attimo e poi risponde alla tua domanda.
Eddie percepisce i vostri occhi addosso, in particolare i tuoi, pungenti, quasi tangibili. Si accorge di voi, fa un gesto con la mano ai suoi amici per zittirli e si alza. 
”Oh no, sta venendo qua.” Sbuffi alzando gli occhi al cielo. Sorseggi il drink dal tuo bicchiere, forse manderà giù anche il tuo nervoso.
”Ragazze!” Eddie si trova ad un passo da voi. I suoi capelli ricci cadono come sempre sulle spalle, scoperte per via della t-shirt dei Metallica a cui ha strappato le maniche. Essendo estate ha abbandonato la giacca di pelle che porta sempre con fierezza insieme al gilet di jeans de i Dio. È un po’ corta, infatti lascia intravedere il suo addome. Quando solleva il braccio per metterlo intorno al collo di Robin, la maglietta si alza, esponendo il suo ombelico e una striscia di peli che termina dove i jeans neri strappati alle ginocchia iniziano. Due catene luccicanti pendono dalla sua cintura. Almeno non sta indossando la solita maglia dell’Hellfire Club, chissà se l’ha mai lavata, pensi. Le dita sono ornate da quelli che sembrano gli anelli più grandi che tu abbia mai visto, accecanti, ma non sai se non ci vedi più per colpa loro o di chi li sta indossando.
Quel ragazzo ti ha sempre dato sui nervi per il suo modo grottesco di comportarsi. Senza veli e senza vincoli di nessun tipo. In mensa capitava spesso che salisse sui tavoli per disturbare gli atleti oppure semplicemente per mettersi in mostra come il grande Master del suo club di Dungeons & Dragons. Credevi di essertene liberata appena finito il liceo, invece hai appena scoperto che si è unito al tuo gruppo di amici.
”Perfetto, d’un tratto la festa è diventata noiosa.” Lo fulmini un’altra volta.
”Al contrario, dolcezza, la festa è appena cominciata.” Ti risponde lasciando la presa su Robin e ti sorride. Quel maledetto sorriso contornato da adorabili fossette. Il suo enorme ego ti investe e tutto quello che puoi fare è allargare le narici per fare uscire la rabbia repressa che coltivi nei suoi confronti e che non puoi scaricare colpendolo in faccia.
”Sei riuscito a diplomarti? Quanti anni fai, trentacinque quest’anno?” Assumi una falsa espressione pensierosa e lo prendi in giro.
Eddie ridacchia, incrocia le braccia al petto e alza gli occhi al cielo. ”Certamente, l’ho detto che l’ottantasei sarebbe stato il mio anno. E tu, invece, sei riuscita a toglierti quel palo che ti ritrovi nel culo?” Risponde alle tue provocazioni con la stessa moneta.
Robin assiste a questo spettacolo di botta e risposta che state avendo sentendosi un po’ in imbarazzo. 
”Perché non vai a farti un giro, Munson?” Gli suggerisci.
”Cosa? Ce l’hai ancora con me perché non ti ho fatta entrare nel club?” Ti stuzzica Eddie, colpendo un tasto dolente. Questa è una verità che speravi tenesse nascosta ma sì, uno dei motivi principali per cui lo vuoi fuori dalle palle è che non sei mai riuscita ad entrare nel suo esclusivo Hellfire Club. ”Tranquilla, dolcezza, puoi sempre avermi in qualsiasi altro contesto.” Ti fa l’occhiolino sottolineando la parola qualsiasi, ripetendo quel tremendo nomignolo e tu rabbrividisci al suo squallore.
”Piuttosto-” Provi a rispondere ma Robin ti interrompe ”Steve! C’è Steve! Grazie al cielo, Steve.” Una salvezza, arrivata per calmare le acque. Passava lì per caso, ma la tua amica ha pensato bene di farlo partecipare per tirarla fuori da quell’imbarazzante conversazione, accogliendolo con le braccia aperte.
Il nuovo arrivato guarda tutti e tre con aria perplessa. ”Già, eccomi. Come sta andando?”
Infondo, Eddie adora quello che c’è tra voi due. Ama vederti arrabbiata, pensa che tu sia carina quando lo sei. Gli piace giocare al gatto e al topo con te e il motivo per cui continua a provocarti è che non vuole che tutta questa vostra situazione finisca. Si diverte e sotto sotto anche tu. Eddie guarda Steve e torna serio. ”Torno da Gareth e Jeff. Steve, se vedi Chrissy le dici che quello che mi ha chiesto la sta aspettando?” Rivolge lo sguardo a te e il suo intento di farti ingelosire un po’ funziona, perché ti ritrovi a guardare tutto tranne lui. ”Ci vediamo in giro.” Dice come ultima cosa e mentre se ne va sfiora il tuo corpo con il suo, fingendo di non averlo fatto apposta.
Il party procede con altri due bicchieri pieni e tante risate, si sono fatte le quattro di mattina e gli unici rimasti sono i troppo ubriachi per tornare a casa, sistemati in giro per la casa a dormire e voi, amici ristretti, ormai non più sbronzi e tranquilli in salotto. Casa di Steve è diventata per tutta la cerchia una seconda dimora e avete dato per scontato che potete rimanere lì.
”Giochiamo?” Argyle e il suo ottimismo fanno capolino nella stanza.
Sei seduta al suolo con la schiena appoggiata alle gambe di Nancy, stravaccata sul divano. ”A cosa?” Domanda lei.
Steve sembra risvegliarsi da uno stato di trance. ”Siamo in abbastanza, che ne dite di sette minuti in paradiso?”
I presenti annuiscono in accordo con l’idea del ragazzo dai capelli perfettamente in piega. “Non siamo più alle medie, ma va bene.” Dice Jason, più a se stesso che a Steve. Robin è particolarmente entusiasta della cosa in quanto Vickie, la sua cotta, è partecipe. 
”Quali sono le regole?” Chiedi. Non ci hai mai giocato ma sembra divertente.
”Ci mettiamo in cerchio, si gira una bottiglia, le due persone sorteggiate devono chiudersi in una stanza al buio senza orologi e scaduti i sette minuti, li si va a prendere. Può succedere di tutto, è questo il bello.” Ci pensa Eddie a illuminarti sulle regole di questo classico gioco.
”Perfetto, iniziamo.” Dici, guardandolo dritto negli occhi con aria di sfida. Lui ricambia e ti rivolge un sorrisetto alzando solo uno degli angoli della bocca.
Come luogo avete scelto il bagno del piano inferiore, il più piccolo e senza finestre, quindi completamente privo di luce. Al primo giro sono usciti Chrissy e Jason, tornati dallo stanzino con dei nuovi succhiotti e coi capelli spettinati. Al secondo Nancy e Jonathan, rimasti in silenzio per via della recente rottura. 
”Vai tu, Y/N.” Incita Steve.
Ti guardi intorno e noti che tutti gli occhi sono puntati su di te. Robin ti passa la bottiglia vuota di birra e l’appoggi sul tappeto, con un gesto veloce la fai roteare. Ipnotizzata dal suo girare veloce, pensi ”Non Eddie… Non Eddie…” quando la bottiglia si ferma piano piano, segui il collo che punta dritto verso la persona con cui dovrai passare i prossimi minuti e… Eddie. Il ragazzo dalla buffa frangetta, che si trova dinanzi a te, ridacchia e si alza in piedi. Ti porge una mano che osservi prima di afferrarla per aiutarti ad alzarti. ”Dopo di lei.” Dice Eddie mentre fa un goffo inchino per lasciarti passare. Robin sta facendo di tutto per trattenere le risate.
Sbuffando, entrate nel piccolo bagno con le luci spente e tu accaparri subito il posto sulla tavoletta abbassata del water. Lui chiude la porta dietro di sé, dando il via al timer di sette minuti nell’oscurità più totale. Portando le mani avanti per farsi strada, trova il lavandino e si ci appoggia con il sedere.
”I sette minuti più lunghi della mia vita. Almeno non dovrò vedere quella brutta faccia che ti ritrovi.” Prevedi e ti spalmi una mano sulla fronte, massaggiando le tempie.
”Puoi sedertici sopra, se ti va.” Ridacchia il metallaro a meno di un metro da te.
”Magari, ma peccato che non ti chiami Billy Hargrove.” 
”Sai che quel cazzone abita nella roulotte di fronte alla mia?”
”Me lo presenti?”
”Certo, non vedo l’ora di ammirare la tua divina presenza anche nel mio quartiere.” Scherza Eddie e lo senti maneggiare con qualcosa. Infila una mano in tasca ed estrae quella che sembra, dal rumore, una scatolina d’alluminio. Prende fuori il contenuto, la chiude e la rimette al suo posto.
”Che stai facendo?”
”Niente, tu che stai facendo?” Fa il verso. 
”Posso chiederti una cosa?” 
”È il momento adatto per farlo.”
”Che ho fatto di sbagliato?”
Eddie è perplesso e scuote la testa. ”Che intendi?”
L’orlo del tuo vestito è diventato un anti stress per le tue mani, hai iniziato a tormentarlo con le dita. ”Non capisco perché tu non mi abbia voluta nell’Hellfire. Non mi hai dato nemmeno una possibilità per provarti che sono brava.”
Sei riuscita a farlo zittire, ma solo per qualche secondo. ”Può essere che ti abbia sottovalutata. Ma guardati.” 
”Guardarmi?”
”Sì, tu sei stupenda, non c’entri niente coi nerd nella mia squadra.”
”Oh, scusa se non vado in giro con un cartello che dice Consideratemi, mi piace il fantasy e i giochi di ruolo anche se non sembra.”
”Perfetto, vorrà dire che ti metterò alla prova.”
Sei dubbiosa e cerchi di vedere cosa sta succedendo nei suoi paraggi ma in quel bagno non entra un filo di luce e non riesci a vedere neanche la silhouette dei suoi movimenti. Stai per chiedergli nuovamente cosa stesse armeggiando quando un odore inconfondibile inonda le tue narici. ”Ti- Ti stai facendo una canna?!” 
”Assolutamente no.” Risponde Eddie tirando fuori l’accendino. Fa scattare il suo meccanismo e dopo due scintille nasce una piccola fiamma che gli illumina il viso. In effetti, quello che stringe tra le labbra è proprio uno spinello. Trovi che sia molto attraente in quella posizione: una delle mani è posta dietro a quella che tiene l’accendino per non far spegnere il fuoco, il cipiglio creato sul suo volto e quelle labbra, solitamente carnose e piene ma ora assottigliate per tenere ferma la sigaretta corrotta.
Gli strappi l’accendino dalle mani prima che possa attizzarla e ”Sei impazzito? Vuoi farci morire soffocati?!”
Eddie ride al pensiero della tua premura. ”Andiamo a fumarla fuori? Qui è una noia.”
”Sono convinta che alla fine dei sette minuti manchi ancora del tempo.”
”Che importa, sgattaioliamo via.” La mano di Eddie è in cerca della tua e quando la trova sussulti al tocco che piano ti stringe. L’idea di scappare ti sembra grandiosa e un po’ eccitante.
Sorridi ed annuisci, ma lui non può vederti quindi ”Okay.” gli dici.
”Allora fai silenzio.”
Eddie non ti ha lasciato ancora la mano e la usa per tenerti vicino a lui nella vostra fuga. Apre la porta lentamente e si assicura che non ci sia nessuno nelle vicinanze. Sono tutti ancora in salone, per cui ne approfittate per uscire di soppiatto. Vi dirigete in cucina, dove Eddie ruba uno dei tramezzini avanzati e uscite dalla porta che conduce sul retro della casa. Ti scappa una risatina che si interrompe quando giungete ai piedi del bosco.
”E ora dove andiamo?” Domandi, spaventata dalla presenza di quegli alberi altissimi nella notte.
”Conosco un posto, ma si va per di là.” Eddie sorride per provare a rassicurarti mentre divora lo snack e ti appoggia il braccio tatuato sulle spalle. ”Non è lontano.”
Alzi gli occhi al cielo e ti sposti dal suo peso. ”Non vorrai uccidermi, Munson? So difendermi molto bene.” 
Le fossette sulle sue guance sono di nuovo protagoniste della scena e insieme a loro, Eddie ti guida in mezzo all’oscurità del bosco. Per fortuna la luna è piena e in grado di illuminare il sentiero che vi porterà al suo famoso posto.
Mentre camminate, il ragazzo vicino a te non tradisce la sua fama di bocca larga e non riesce a stare in silenzio. ”L’hai visto La Cosa?”
”Se l’ho visto? Lo so a memoria! Me la sono fatta addosso quando hanno provato a rianimare Norris e quello si è rivelato essere la cosa.”
”Anche io! Poi arriva Kurt Russell e incendia tutto.”
La chiacchierata che avete mentre raggiungete il luogo adatto per accendere lo spinello ti piace, non ti aspettavi che aveste così tante cose in comune e sopratutto che quella di Eddie, il suo essere super eccentrico e fastidiosamente strano, è solo una facciata. Si sta mostrando come una persona genuina e molto intelligente, il contrario di quello che pensa l’intera Hawkins di lui.
Nel frattempo, a casa Harrington, Robin e Steve sono diretti al bagno. ”Tempo scaduto, piccioncini.” Dice Lei. Quando aprono la porta ed accendono la luce, quello che si presenta davanti a loro è uno stanzino vuoto.
”Ma che cazzo?” Steve sussurra mentre si guarda intorno. ”Dove sono finiti?”
”Ta-daaa.” Eddie ti dà il benvenuto nel suo luogo di spaccio, una piccola piazzola con un tavolo e delle panchine al centro. Non c’è nient’altro, se non qualche lattina di birra al suolo.
Ti accomodi sul tavolo, abbassando un po’ il vestito per evitare che le tue gambe nude si graffino con il legno e porti i piedi sulla panca. Appoggi i gomiti sulle ginocchia e ti sorreggi il mento con le mani. ”Porti qui tutte le tue ragazze?”
”Se vogliono comprare la roba, sì, è il posto perfetto. Non ci viene mai nessuno qua. Dritto per di là c’è il liceo.” Eddie tira fuori da dietro l’orecchio lo spinello e dalla tasca l’accendino ed eccolo di nuovo a fare quell’espressione capace di mandarti una scossa lungo tutta la schiena. 
Eddie ora è seduto di fianco alle tue gambe, che tieni strette a causa del venticello fresco che tira. Le guarda, le ammira, così lisce e così armoniose, carnose. Hai la pelle d’oca e non riesci a capire se è perché Eddie Munson ti sta fissando come se stesse per mangiarti o per l’agghiacciante panorama del bosco di notte.
”Se fai una foto, dura di più.” Lo solleciti a tornare dal suo mondo immaginario, dove probabilmente le tue cosce sono protagoniste.
Il ragazzo dai capelli lunghi ti rivolge un sorriso accattivante. ”Se avessi qui la mia polaroid, non me lo farei ripetere due volte.” Ti sfiora con le dita il polpaccio, partendo dal ginocchio. I brividi si fanno più intensi e per qualche strana ragione, non gli sposti la mano e al contrario, lo lasci fare. Arriva alla caviglia, te l’afferra in un pugno e porta il tuo piede sulla sua coscia, coperta da quei vecchi jeans neri rovinati.
”Hey!” Esclami.
Ora possiedi lo spinello tra le dita, Eddie te l’ha passato per cercare qualcosa nelle tasche. Dal nulla, fa comparire un pennarello rosso ed inizia a scarabocchiare sulla parte bianca all’estremità della tua All Star. Un paio di corna e una coda appuntita, classici di un diavoletto. Eddie lo disegna ogni volta che può, sui bordi dei compiti scolastici, sui cartelli stradali.
Una volta terminato, un minuto più tardi, stendi la gamba per vedere meglio l’opera. Non sei arrabbiata perché ti ha appena rovinato le tue scarpe preferite, diversamente trovi la cosa adorabile. ”Fammi capire, giri sempre con un pennarello in tasca?”
”Non sia mai che qualcuno chieda un autografo al chitarrista più famoso della storia.”
”Jimi Hendrix è qui?!” Ti fingi sorpresa e guardi in giro. Eddie scoppia a ridere e si porta una mano al petto come per estinguere la risata e tu fai lo stesso. ”Ah, parlavi di te.”
”Dovresti venirci a sentire, qualche volta.”
”L’ho fatto, in realtà. Tre martedì fa, al The Hideout.” Ricordi di averlo visto in azione con la sua chitarra elettrica rossa sul palco a suonare inediti misto metal e grunge. Eri capitata in quel locale per caso, ma quando ti sei accorta di quanto Eddie si stesse divertendo e che la musica era a tutti gli effetti orecchiabile, sei voluta rimanere. Per fortuna non ti aveva notata, l’ultima cosa che avresti desiderato è che ti vedesse ballare sulle canzoni dei Bara Acida, ti avrebbe presa in giro fino allo sfinimento.
Il ragazzo ha l’aria sorpresa. ”Ti avrei offerto da bere.” 
Alzi gli occhi al cielo, improvvisamente una sensazione strana alla gola. Ti senti piccola, non capisci perché ti senta in imbarazzo davanti a lui. ”Non fare il carino con me. Guarda che so fare.” Cambi argomento e appoggi la canna tra il medio e l’anulare, chiudi la mano in un pugno ed aspiri dal piccolo buco tra l’indice e il pollice. Inali una grossa quantità di fumo dal forte odore e lo trattieni. Espiri trasformando le labbra in una O e il fumo esce a forma di cerchi dalla tua bocca.
”Molto Metal, dolcezza. Ma guarda io, cosa so fare.” Eddie si alza, si sposta a capotavola e a te basta girarti per averlo davanti a te. Ora i tuoi piedi penzolano in mancanza di una panchina dove appoggiarli. Accetta lo spinello che gli hai appena allungato e fa un normalissimo tiro. Si avvicina pericolosamente a te e usa le ginocchia per divaricarti le gambe e comodarsi in mezzo ad esse. Rimani in silenzio e normalmente ti verrebbe da spingerlo via per la troppa vicinanza, ma scrutando nei suoi caldi occhi color cioccolato capisci che devi rimanere immobile, quella che ti sta trasmettendo è sicurezza e a te piace il controllo che ha su di te.
”Apri.” Ti incita fissandoti la bocca. Fa un altro tiro e questa volta non lo inala, lo tiene nelle guance e lo smuove un po’ per farlo addensare.
Appena obbedisci, Munson posiziona una mano dietro al tuo collo, tenendoti ferma per la nuca. L’altra è appoggiata al tavolo e lo senti perché i suoi grossi anelli hanno fatto rumore a contatto con le tavole di legno. Il suo viso è vicinissimo al tuo e le vostre labbra si stanno sfiorando, se non fosse per qualche centimetro vi stareste baciando. Eddie espelle il fumo, tu afferri immediatamente il concetto ed inali quello che sta buttando fuori. Il fumo entra nei tuoi polmoni e lo espiri dirigendolo di lato.
Vi state perdendo l’uno negli occhi dell’altro. Il color cioccolato dei suoi occhi è completamente sparito e sostituito con il nero delle pupille dilatate. La luna illumina solo parzialmente i vostri volti, le curve sono ben delineate e siete capaci di ammirare le vostre espressioni.
La mano di Eddie è ancora ben ancorata al tuo collo e sussulti quando senti una leggera pressione che vi permette di unire finalmente le vostre labbra in un bacio pieno di desiderio. Volevi fare lo stesso, ma ti ha preceduto. Le tue braccia sono finite sulle sue spalle, ti stringe leggermente i fianchi e ti avvicina al bordo del tavolo, i vostri corpi congiunti. Le tue gambe abbracciano le sue. Un intreccio di lingue e saliva, passione. Sembrate fatti l’uno per l’altra. Le sue mani vagano lungo la tua schiena, la pancia, le cosce, tra i capelli, dove le dita si adagiano tra le ciocche e si permettono di tirare con una forza moderata che ti fa gemere e allontanare dal bacio. La tua testa cade all’indietro e chiudi gli occhi per bearti completamente dei baci caldi e umidi che Eddie si sta impegnando a dare sul collo e sulle clavicole.
”Eddie…” mormori. Spalanchi le palpebre quando ti rendi conto di cosa sta succedendo. Non vuoi fermarti. ”Forse non dovremmo…” Sei in balia delle sue carezze, completamente incantata dal suo tocco e dai morsi sul tuo viso e sulle spalle.
Eddie continua e non ascolta il tuo suggerimento. ”Shh… Lascia che mi prenda cura di te.”
Un ansimo esce dal fondo della tua gola in risposta. Ora ti stai appoggiando al tavolo coi palmi. La tua schiena è inarcata per permettergli di abbassare la porte superiore del tuo abito ed esporre il tuo seno. Non indossi il reggiseno e la brezza mattutina fa irrigidire i tuoi capezzoli. Eddie è ammaliato alla vista, sorride prima di chinarsi verso il tuo corpo per raggiungerli e cominciare a leccarne uno. L’altro seno è stretto dalla sua morsa, massaggiato e per finire colpito da uno schiaffetto. La cosa ti fa gemere oscenamente ed Eddie non può evitare di ridacchiare sopra al tuo capezzolo.
La sua traccia di baci continua lungo il tuo addome, da sopra la stoffa del vestito. Ti sdrai completamente sul tavolo di legno, i piedi fissi sul bordo. Eddie Munson ti allarga ulteriormente le gambe dopo averti alzato l’abito per esporre il tuo minuscolo intimo di pizzo nero. Si prende qualche secondo per apprezzarlo.
”Ammetti che hai pensato a me mentre decidevi cosa indossare.” Schernisce mentre ti sfila lentamente le mutandine. Le fa scendere lungo le tue perfette gambe e una volta rimosse, se le infila nella tasca posteriore dei jeans. ”Queste non ti serviranno.”
Il tuo respiro è pesante. ”Eddie, cazzo.” 
”Cosa vuoi che faccia? Parlami, dolcezza.” Eddie avvicina la testa in mezzo al tuo inguine. Le braccia ti circondano le cosce, posizionandole dove vuole lui, manovrandoti come una bambola. Il viso è estremamente vicino al tuo sesso, il suo soffio lo investe. 
Vuoi di più. Lo desideri, ti sta sfiorando, gli occhi incatenati al tuo volto sofferente. Porti una mano sulla sua testa e gli afferri i capelli, sono sorprendentemente soffici. ”Toccami, ti prego.” Ti senti vulnerabile.
”Così ti voglio, piccola.” Conclusa la frase, la lingua di Eddie si intrufola tra le tue pieghe. Si fa strada e trova il tuo clitoride, lo tormenta, muovendo la lingua freneticamente e succhiando.
”Sì, continua. È così bello.” Riesci a mormorare tra un gemito e l’altro. Stai vedendo le stelle, letteralmente e non, in quanto il cielo notturno è il protagonista di tutto, vi circonda completamente. Eddie invece te le fa provare, le stelle. Adrenalina ed eccitamento crescono dentro di te. Il fatto che siete all’aperto e che qualcuno potrebbe arrivare in qualsiasi momento rende tutto più divertente.
Eddie ama ascoltarti mentre gli dici quanto ti fa sentire bene. Oltre a farlo eccitare, fai sì che il suo ego si gonfi esattamente come ciò che ha nei boxer. ”Sei deliziosa. Il tuo sapore…”
Ti morde l’interno coscia e ne approfitta per portare le dita alla tua intimità. Fa strisciare il medio e l’anulare sulla tua entrata per raccogliere tutto il bagnato che grazie a lui e la sua magica lingua hai generato. Quando le sue dita sono bagnate abbastanza, le inserisce completamente, fino all’ultima nocca. Rimani senza fiato. ”Dio, hai la fica più bella che abbia mai visto.”
Sorreggendoti coi gomiti, i vostri occhi si riconciliano. ”Di più, Eddie. Ti prego.”
Eddie non se lo fa ripetere e le sue dita iniziano a muoversi dentro di te, colpendo il punto giusto. Non escono, si contorcono all’interno, su e giù. Il ritmo è veloce e quando con il pollice coinvolge anche il tuo pulsante clitoride, la tua testa cade nuovamente all’indietro. ”No, dolcezza, guardami.”
Non puoi fare altro che obbedire, anche se ti risulta difficile perché i tuoi occhi non ne vogliono sapere di non roteare all’indietro per il piacere che ti sta procurando.
”Lasciati andare, lasciati andare per me.” Ti incoraggia mentre tu sei sempre più sull’orlo di scoppiare. Eddie aumenta la presa sulla tua coscia e si china verso di te per continuare ciò che aveva interrotto col seno, inondandolo di baci e morsetti. Sei sicura che stia lasciando il segno del suo passaggio.
I tuoi acuti gemiti, che prima cercavi di smorzare non volendo rischiare di essere sentiti da qualcuno, hanno preso possesso del tuo corpo e scappano via dalla gola nel modo più pornografico possibile. I fianchi si muovono involontariamente in armonia con le sue dita mentre raggiungi il tuo apice. L’orgasmo si impone e ti fa tremare.
Eddie rallenta i movimenti fino a fermarsi. Ti sollevi per baciarlo. Il tuo sapore è impresso sulla sua lingua e al solo pensiero hai un piccolo spasmo. Le tue mani sono leste e si aggrappano alla sua cintura, la slacciano e con una veloce mossa gli hai abbassato la zip dei pantaloni. Eddie ti aiuta a calarli fino alle ginocchia e con loro anche i boxer. La sua prorompente erezione si presenta nella sua gloriosa forma e tu non resisti, ti scosti dal bacio per guardarla. La tua mandibola cade in un’espressione di puro stupore. Due luccicanti piccole palline argentate pendono dal suo frenulo. Non ti era mai capitato prima, nascondi un sorriso con la mano.
”Cosa? Ah, il piercing?” Eddie domanda riferendosi alla tua espressione. ”Non ti piace?”
Il tuo sorriso da divertito e sorpreso muta in malizioso. ”Lo adoro. Fammelo sentire. Fammi tua.” Mormori avvicinandoti al suo orecchio. Non resisti un secondo di più. Mordicchi il lobo e succhi leggermente uno specifico punto del suo collo. Senza preavviso gli afferri l’erezione e cominci a pompare lentamente. Il pollice passa intorno alla punta per raccogliere tutto il liquido pre seminale gocciolante. Un profondo gemito esce dalla peccaminosa bocca di Eddie alla nuova sensazione. 
Una stretta attorno le guance ti costringe a guardarlo negli occhi e ad obbedire a qualsiasi cosa lui voglia. Eddie ti fa sdraiare di nuovo sul tavolo, poi ti afferra da sotto le ginocchia, porta le gambe indietro così che le tue cosce tocchino l’addome e la visuale si fa paradisiaca. Hai tutto quanto esposto soltanto per lui. Ti accarezza i glutei prima di stringerli e colorarli di rosso con l’impronta della sua mano, sussulti.
Eddie sputa sul tuo sesso, la saliva scende dalle sue labbra e cade dolcemente, lasciandosi una scia dietro. La guarda mentre scorre sulla tua rosea parte e prima che possa scivolare via, la ferma con la punta del suo pene. Entrambi ansimate appena la fa strisciare su di te. Avanti e indietro. Le tue pieghe lo abbracciano gentilmente e la dura, estranea ma piacevole sensazione del piercing sul tuo clitoride ti fa portare le mani a stringerti i seni. ”Voglio sentirti dentro di me.” Lo supplichi.
”Impaziente ragazzina. Non riesci ad aspettare, vero?” Continua con la straziante tortura che porta il tuo intero corpo a dimenarsi. Il tuo chiedere di più da parte sua fa eccitare Eddie in maniera spropositata. Mai nella vita vi sareste aspettati di trovarvi in questa situazione, tu impaziente di essere scopata e lui che ti stuzzica per provocarti.
”Ti prego, Eddie…” Le tue anche cercano più contatto creando movimenti circolari sul suo sesso, che aggiunti ai suoi, formano più frizione e quindi maggiore piacere per entrambi.
Un altro sputo incontra il tuo già bagnato sesso e lentamente Eddie fa entrare la punta. Boccheggi quando, lentamente, inserisce la lunghezza fino a metà. Strizzi gli occhi, credi di non potercela fare. Ti senti già riempita e non hai preso nemmeno l’intero membro.
”È tutto okay, faccio piano.” Ti rassicura, posando una mano sulla tua gota arrossata e continuando ad entrare dentro di te. Quando le tue calde pareti lo avvolgono completamente, rimane fermo per qualche secondo, aiutando ad abituarti alla nuova presenza.
”Puoi farmi di tutto, tranne andarci piano.” Lo provochi appena ti senti a tuo agio.
Eddie lo prende come via libera per spingersi dentro di te. I suoi fianchi sbattono contro i tuoi, portando il tuo corpo a muoversi sul tavolo. Il legno sottostante ti graffia la pelle esposta del culo ma non ci fai caso, è un problema che verrà dopo. Ora sei completamente assorbita dalla goduria. ”Sì? È questo che vuoi?”
I tuoi capezzoli sono tormentati dalle tue dita ”Sì, sì, sì.” Le parole escono come ansimi a denti stretti, a ritmo con ogni spinta.
La sua mano destra finisce sul tuo collo e stringe leggermente ai lati. Tu afferri il suo avambraccio tatuato con entrambe le mani e lo guardi negli occhi. Le tue pupille sono dilatate, come le sue, ricolme di lussuria e desiderio. Le unghie affondano nella sua carne. Ti afferra una caviglia, portando la gamba sulla sua spalla. La favorevole posizione permette a Eddie di affondare più in profondità e i tuoi gemiti, anche se soffocati, si fanno più pesanti. ”Ti piace? Ti piace quando colpisco questo punto?”
I suoni che scappano da te sono i più belli che Eddie abbia mai sentito, musica per le sue orecchie. Così acuti e pornografici, adornati dalle sopracciglia corrugate e da quella stupenda bocca scarlatta leggermente aperta. Le tette rimbalzano gloriosamente ad ogni suo movimento. Sei così bella e attraente, Eddie potrebbe venire soltanto guardandoti. Come se non bastasse, le tue pareti stringono il suo membro con dei piccoli spasmi e il tuo intero corpo inizia a tremare, come il tavolo e le panche sotto di voi. 
Eddie lo sa bene che sei ad un passo dal secondo orgasmo, infatti vuole fare di tutto per accontentarti. La sua mano abbandona il tuo collo per portarlo al clitoride, dove ci appoggia tre dita e le muove circolarmente sull’intera zona. Le spinte sono più forti e se possibile più profonde. Il tuo culo riceve uno schiaffo così forte da riecheggiare nel bosco. ”Cazzo, è così bello quando mi stringi in questo modo. Ci sei quasi, vero, dolcezza?” 
”Sto per venire, Eddie.” Ammetti e con le braccia ti alzi per averlo più vicino. La gamba, prima sollevata, ora è intorno alla sua vita. Lo tieni stretto per le spalle mentre lui ha una mano impegnata a stimolarti il clitoride e l’altra attorno alla tua schiena per tenervi uniti. I vostri nasi si toccano e i tuoi fianchi si dimenano incontrollabili contro di lui. I suoi capelli ricci solleticano le tue gote.
”Forza, vieni per me, vieni su di me.” Ha gli occhi fissi sui tuoi e non ti lascia andare. Il suo pube, coperto da qualche pelo nero e riccio, è zuppo di tutto il tuo eccitamento.
L’alba si vede in lontananza, il cielo si sta schiarendo lentamente.
Come da ordine, il tuo orgasmo si riversa su di lui, urli dal piacere ed Eddie non te lo impedisce, anche se è convinto che i tuoi versi siano arrivati fino a casa di Steve. Semplicemente ama sentirti miagolare grazie a lui. Questo gli basta per raggiungere anche il suo, di orgasmo. Dopo essersi accertato che il tuo respiro sia diventato un po’ meno affannoso, si scosta da te e con la punta forata dal piercing appoggiata sulla tua entrata, agguanta il suo cazzo ed inizia a pomparlo. Pensi che sia giusto ricambiare il favore quindi sostituisci la sua mano con la tua. Le vostre labbra sono di nuovo unite in quello che sembra il bacio più passionale della storia. State facendo scintille, nessuno ha più connessione di voi.
”Continua così.” Geme Eddie sulla tua bocca quando all’improvviso si rivolta sopra tuo sesso arrossato con un forte e sonoro gemito, il suo caldo sperma esce a fiotti e ricopre le tue pieghe e il tuo pube. Sospiri. Le vostre fronti l’una contro l’altra mentre i vostri fiati e i vostri battiti si regolarizzano.
Eddie si sposta per tirarsi su i pantaloni. Lo guardi con un sopracciglio alzato e lui sorride, ”Cosa?” Ti chiede.
”Vuoi lasciarmi così?” Gli rispondi con un’altra domanda, riferendoti al casino che ha combinato sulla tua intimità. Il metallaro ride e tira fuori la sua bandana coi teschi dalla tasca posteriore. Ti pulisce dal suo liquido seminale e lo ringrazi con un sorriso, sfatto per colpa della violenta scopata, ma carino. Con un saltello torni con i piedi per terra. Le gambe ti tremano e fatichi a rimanere su. Il tuo culo è pieno di piccoli taglietti provocati dal legno del tavolo e di rosse manate dovute agli schiaffi che ti ha tirato Eddie. Due succhiotti posati su entrambi i seni. Fai sfuggire un silenzioso gemito al pensiero di Eddie che poco fa ti stava fottendo con tutte le energie che possedeva. Ti rimetti a posto l’abito, ”Ridammi le mutandine.”
Eddie trova lo spinello mezzo consumato che avete abbandonato sulla panchina, lo riprende in bocca e lo accende. ”Non credo che lo farò.”
Alzi gli occhi al cielo e sbuffi. ”Neanche mentre mi scopi riesci a chiudere quella boccaccia.” Lo sfotti.
”Non mi sembra che ti sia dispiaciuto.” Squadra la tua intera figura, sei reduce di due potenti orgasmi grazie a lui, i capelli sono spettinati e il trucco è colato per via delle lacrime che ti sono scappate dal piacere.
Ti guardi attorno e fai finta di non averlo sentito. ”È mattina, mi accompagni a casa? O prima mi fai a pezzi nel bosco?”
Ricevi un adorabile bacio sulla punta del naso, le guance strette dalle sue mani piene di anelli argentati. Un morsetto, lì dove ci ha lasciato un bacio. ”Prima ti sacrifico a Satana, poi possiamo andare.”
”Satana preferirebbe una vergine. Perché non facciamo un salto al liceo e lo facciamo insieme?” Ricordi che la vostra vecchia scuola dista poco da lì, scherzate entrambi e, dopo averla fumata un po’, Eddie ti passa la canna.
”Ho lasciato il van da Steve, dobbiamo tornare indietro.”
”Oh no.” Usi le mani per nascondere l’imbarazzo sul tuo volto, ma Eddie le sposta. ”Cosa diremo? Siamo spariti.”
Eddie ha i tuoi polsi ben saldi, avvicina la tua mano che tiene lo spinello alla bocca e fa un tiro da esso, poi ti trascina sul sentiero che vi riporta a casa Harrington. ”Che ci siamo fatti la migliore scopata di sempre e che sei venuta come una puttanella grazie al dio del sesso Eddie Munson?”
Non riesci più ad essere arrabbiata con lui, non dopo aver scoperto cosa è capace di fare. Lascia andare i tuoi polsi e ne approfitti per tirargli uno schiaffetto sul braccio. Lo sorpassi e ti dirigi verso casa del vostro amico. Eddie assume una finta espressione sofferente e con due ampi passi ti raggiunge. Si vendica cacciando una forte pacca sul tuo culo. Gemi per la sorpresa e ti giri per guardarlo. Eddie scoppia a ridere e ti avvicina a sé per i fianchi, ricongiunge le vostre labbra insieme in un veloce bacio molto meno sfrenato. 
Chissà se anche il tragitto in van verso casa tua sarà interessante allo stesso modo.
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greenbor · 4 months
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4. Il primo gennaio di Eugenio Montale
So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c’è se mai nessuno l’ha veduto. So che si può esistere non vivendo, con radici strappate da ogni vento se anche non muove foglia e non un soffio increspa l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone. So che non c’è magia di filtro o d’infusione che possano spiegare come di te s’azzuffino dita e capelli, come il tuo riso esploda nel suo ringraziamento al minuscolo dio a cui ti affidi, d’ora in ora diverso, e ne diffidi. So che mai ti sei posta il come – il dove – il perché, pigramente rassegnata al non importa, al non so quando o quanto, assorta in un oscuro germinale di larve e arborescenze. So che quello che afferri, oggetto o mano, penna o portacenere, brucia e non se n’accorge, né te n’avvedi tu animale innocente inconsapevole di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra e una sostanza, un raggio che si oscura. So che si può vivere nel fuochetto di paglia dell’emulazione senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato da Chi volle tu fossi…e se ne pentì. Ora, uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti lo scheletro dell’albero di Natale, ti accompagna in sordina il mangianastri, torni indietro, allo specchio ti dispiaci, ti getti a terra, con lo straccio scrosti dal pavimento le orme degli intrusi. Erano tanti e il più impresentabile di tutti perché gli altri almeno parlano, io, a bocca chiusa.
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megabif · 3 months
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Nico Vascellari
Alessio
Via
 Roma, un ragazzo fischia fuori da un bar imitando il canto degli uccelli. Il tempo e la vita attorno a lui sembrano scorrere tranquilli, una donna entra ed esce con la spesa, le auto si muovono, la gente parla, beve il caffè, mangia un cornetto. A Firenze, Alessio di Nico Vascellari è un’azione coreutica che coinvolge oltre trenta performer all’interno del magnifico Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, decorato nel XVI secolo per celebrare il potere di Cosimo I de’ Medici e le conquiste di Firenze sotto la sua guida. Qui lo sguardo scorre lungo le pareti, tra affreschi e sculture affollati da corpi in azione. E mentre gli occhi scoprono continui dettagli tra centinaia di combattenti avviluppati in gesti trionfali o in duelli all’ultimo sangue, la contemplazione diviene un’esperienza che coinvolge tutti i sensi mentre risuonano le urla di quella moltitudine di uomini. Alessio è questo e molto altro, è un’opera che nasce da quelle immagini ma non solo, è un lavoro attorno alla gestualità e alla sua istintività, è un ragazzo che fischia fuori da un bar.
Una performance senza aggettivi. Alessio, che Nico Vascellari porta nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio è una coreografia di corpi i quali riproducono gli stessi gesti che, a video, fa il giovane ventiseienne romano da cui prende il titolo il lavoro dell’artista di Vittorio Veneto: Alessio, un ragazzo autistico.
La mamma, racconta che, fino ai due anni e mezzo, sembrava che tutto filasse liscio: «Poi la sua regressione verbale e l’inizio di una vita e di una modalità di comunicazione nuova, fatta di gesti. Alessio vive oggi la relazione con l’altro da sé in questo modo. Oltre ad alcune regole che si devono seguire io lo lascio molto libero di esprimersi come vuole. Lui è molto consapevole di se stesso. Ed è più libero dei suoi coetanei. Frequenta una cooperativa sociale. È seguito da una psicologa e da pochissimo ha un’assistenza, la chiedevo da 8 anni. Adesso finalmente è arrivata e questo gli consente di passare il suo tempo libero accanto ai ragazzi della sua età». 
Una performance senza aggettivi, si diceva, quella che ci mostra il ragazzo davanti a un supermercato e sotto di lui 30 ballerini a riprodurne le movenze (è arrivata Asia Argento, amica personale dell’artista, per vederla). Un’ora durante la quale non si tratta di distinguere tra chi è normale e chi no. Chi è diverso e chi no. Quello che, senza scossoni, senza turbamenti, senza giudizio, ci mostra il lavoro di Vascellari su Alessio è un linguaggio gestuale fatto di ripetizioni, di suoni gutturali, di un corpo che ha bisogno di toccarsi per percepire se stesso in relazione con gli altri (la mano più volte sbattuta sulla fronte, i salti, gli schiaffi ripetuti in varie parti delle gambe). Cose così. Nulla di più nulla di meno. 
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lunamagicablu · 1 year
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Il canto elfico di Galadriel Ai! laurië lantar lassi sùrinen, Yèni ùnòtimë ve ràmar aldaron! Yèni ve lintë yuldar avànier mi oromandi lisse-miruvòreva Andùnë pella, Vardo tellumar nu luini yassen tintilar i eleni òmaryo airetàri-lìrinen. Si' man i yulma nin enquantuva? An sì Tintallë Varda Oiolossëo ve fanyar màryat Elentàri ortanë ar ilyë tier undulàvë lumbulë; ar sindanòriello caito mornië i falmalinnar imbë met, ar hìsië untùpa Calaciryo mìri oialë. Sì vanwa nà, Ròmello vanwa, Valimar! Namàrië! Nai hiruvalyë Valimar. Nai elyë hiruva. Namàrië! Ah! Simili ad oro cadono le foglie al vento, lunghi innumerevoli anni come le ali degli alberi! I lunghi anni sono fuggiti, come rapidi sorsi del dolce idromele, in aerei saloni oltre l'Occidente, sotto le azzurre volte di Varda ove le stelle tremolano al canto della sua voce, una voce sacra di regina. Chi riempirà ormai per me la coppa? Ahimè! la Vampa, Varda, Regina delle Stelle, ha innalzato le sue mani al Monte Semprebianco come nuvole che ascendono al cielo,ed ogni sentiero è immerso nella più cupa oscurità; fuori dalla grigia campagna, il buio sovrasta le onde spumeggianti che ci separano, e la nebbia ricopre per sempre i gioielli di Calicirya. Perso! Perso è ormai Valimar per coloro che vivono a oriente. Addio! Forse un dì tu troverai Valimar. E forse anche tu lo troverai un dì. Addio! Tolkien by SYLVIAsArt *************************** The elven song of Galadriel Ai! laurië lantar lassi sùrinen, Yèni ùnòtimë ve ràmar aldaron! Yèni ve lintë yuldar avànier you command me lisse-miruvòreva Andùnë pella, Vardo tellumar nu luini yassen tintilar i eleni òmaryo airetàri-lirinen. Si 'man i yulma nin enquantuva? An yes Tintallë Varda Oiolossëo ve fanyar màryat Elentàri ortanë ar ilyë tier undulàvë lumbulë; ar sindanòriello caito mornië i falmalinnar imbë met, ar hìsië untùpa Calaciryo mìri oialë. Yes vanwa nà, Ròmello vanwa, Valimar! Namàrië! Nai hiruvalyë Valimar. Nai elyë hiruva. Namàrië! Ah! Like gold, the leaves fall in the wind, long countless years like the wings of trees! The long years have fled, like quick sips of sweet mead, in air salons beyond the West, under the blue vaults of Varda where the stars flicker at the song of his voice, a sacred queen's voice. Who will fill the cup for me now? Alas! the Vampa, Varda, Queen of the Stars, has raised her hands to Mount Everwhite like clouds that ascend to the sky, and every path is immersed in the darkest darkness; out of the gray countryside, darkness hangs over the foaming waves that separate us, and mist forever covers the jewels of Calicirya. Lost! Lost is now Valimar for those who live in the east. Goodbye! Maybe one day you will find Valimar. And maybe you too will find it some day. Goodbye! Tolkien by SYLVIAsArt
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momentidicri · 1 year
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altro che fuori salone a Milano
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hungryfacesart · 1 month
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Design Delights, what to see at Fuori Salone Milan Design Week 2024
Fuori Salone Design Week is a colorful celebration of creation that takes place in the busy streets of Milan, where history meets innovation. You will be really taken aback by the dazzling exhibitions and installations that offered a glimpse into the future of design as we started to explore this creative extravaganza. Неделя дизайна Fuori Salone – это, больше чем красочный праздник творчества,…
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saerdna86 · 1 year
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Fuori salone ‘23 - TORTONA
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la-novellista · 11 months
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The reader (2)
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Il giorno dopo mi preparai indossando qualcosa che potesse essere piuttosto formale. Una longuette con piccolo spacco posteriore con rusche un top di seta rosa antico. Calze con la riga e tacchi.
Uscii e mi incamminai verso il negozio.Nel buio vidi una macchina ferma ed un uomo appoggiato accanto intuii che fosse lui e così fu.
" Buona sera" esordì " Prego salga andiamo a cena e poi come promesso leggerò per lei"
Salii nell'imbarazzo e nel silenzio generale non emisi un suono. Già respirare mi sembrava troppo.
Arrivammo in un posto che però non aveva l' aspetto di un ristorante.
Scese, venne ad aprirmi lo sportello e fece cenno di uscire. Quando fui fuori capi' il mio stupore e disse: " Non è un ristorante è casa mia. Leggere è cosa intima non potrei farle un regalo che sentirebbero tutti. Si fidi venga" e mi porse la mano.
Entrammo nel salone, appoggiai la stola leggera che avevo sulle spalle e notai poco lontano la tavola apparecchiata. Lo seguii e misi sul tavolo il libro.
" Una buona lettura deve essere preceduta da un'ottima cena. Spero sia di suo gradimento.
Venne servita la cena ma per tutto il tempo non proferi' parola. Si limitò solo a guardarmi.
Finto mi fece accomodare sul divano e di lì a poco capii che avrebbe letto per me.
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ufficiosinistri · 11 months
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Trade Unions
Sul lato opposto della strada fuori dalla finestra del mio ufficio, ci sono, in sequenza da sinistra a destra, lo studio di un fotografo, una parrucchiera e un bar. Fanno tutti e tre parte del piano terra di un antico palazzo grigio e perennemente in ristrutturazione. Il primo ad iniziare la giornata lavorativa è il bar, ovviamente, che trovo già aperto quando arrivo alla mattina. Poco dopo, magari mentre bevo il primo caffè brodoso della giornata, vedo il fotografo mettere la sua moto nel parcheggio all’angolo della strada, accanto al bar. Chiude il manubrio con un pesante lock nero, si toglie il casco ed entra a far colazione al bar, prima di alzare la serranda del suo laboratorio. Esce senza salutare, come se fosse un’azione autonoma scissa dalla sua personalità.  La parrucchiera è l’ultima ad incominciare.  Non appena le giornate incominciano a riscaldarsi, a metà mattina, il titolare del bar mette una piccola panchina di legno fuori dalla vetrina del locale, tra lui e la parrucchiera, e arriva sempre un po’ di gente a fare capannello. Il lunedì, l’argomento principale è lo sport, mentre già da giovedì iniziano le lamentele per il tempo che farà nel weekend e le incombenze con mogli e nipoti. Tra una cliente e l’altra, la proprietaria del salone esce e partecipa, seppur per poco tempo, a queste conversazioni, che attirano alle volte anche sei o sette nuovi astanti. Il fotografo invece non esce mai, se non per far capolino dall’uscio del suo studio e ridere delle cose vengono dette. Sempre verso metà mattina, il barista esce ogni giorno con un vassoio e porta caffè e cappuccino sia a lui che alla parrucchiera, che di quando in quando ordina anche qualcosa per le sue clienti, soprattutto acqua o tè freddo, se fa caldo. Quando entra qualche cliente nel salone, sento dalla mia scrivania il rumore del campanello della porta.
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Rimanendo aperto anche durante l’ora di pranzo, facendo da piccola tavola fredda, il bar riceve consegne da parte dei corrieri anche per gli altri due negozi.  Di solito arrivano un paio di furgoni intorno all’una, a consegnare prodotti di bellezza e risme di plastica, quando la via è vuota e invasa dal sole, che sembra una strada di un villaggio del far west prima dell’inizio di un duello. Lasciano il rumoroso motore acceso, il barista esce, si fa lasciare il pacco sulla panca mentre firma la bolla d’accompagnamento e lo porta ai vicini non appena riaprono, intorno alle tre e mezza del pomeriggio. Lo fa sorridendo, ogni volta come se fosse la prima, allungandosi sugli usci e chiamando i due colleghi di attività col suo vocione dialettale da persona del Nord.
È un meccanismo perfetto, tenuto insieme dalla routine e, se vogliamo, dalla necessità di mantenere vivo il proprio lavoro. Siamo quotidianamente strattonati, contesi e sbatacchiati da necessità di guadagnare, malattie, impegni, visite mediche urgenti, divani, lavori in casa: da soli non ce la potremmo mai fare. Ogni giorno, tutto il giorno. Anche nel calcio è così, soprattutto nel tanto vituperato calcio moderno. In squadra, ormai, come se fosse una guida, ci vuole un tratto d’unione, una persona e un ruolo in grado di tessere le fila e dare costante sicurezza in caso di bisogno. Nel calcio di oggi, privo, ormai, di terzini puri, da 4-4-2 per intenderci, Robin Gosens è diventato questo tipo di calciatore. In difesa, sì, ma sempre presente anche quando bisogna dare una mano, servire chi sta davanti e chi, soprattutto, non ha la stessa continuità alle redini della squadra.  
Il calcio, come il lavoro, deve essere un diritto fruibile a tutti. Deve essere universale, non deve rifarsi ad utopie o fatalismi. Le concezioni olandesi prima e sacchiane poi del gioco del pallone si riflettono totalmente nelle teorie di squadra adottate da Gasperini dal 2017, anno in cui Robin Gosens arrivò all’Atalanta: non siamo una squadra milionaria ma possiamo farcela, almeno sotto l’aspetto del gioco. Basta lavorare. Gosens ha quindi dovuto, in quel cantiere sportivo ai piedi delle Alpi Retiche, sudarsi una maglia da titolare. Gli esterni a Bergamo non sono mai mancati, ma cercando quella maglia si è creato uno spazio su misura, efficace e duraturo.
È un ruolo, il suo, che nell’Atalanta è andato oltre il fare la classica “spola”. Gosens non è un “motorino” degli anni Novanta (vi ricordate Marco Sgrò e la noiosa dialettica sulla sua quasi servile instancabilità?) e non è nemmeno un “pendolino” degli anni duemila. Queste similitudini futuriste non si addicono ad un giocatore sensibile alla scienza tattica come lui. Empiricamente, il tedesco ha cercato sempre di partire da tentativi ed esperienze, per affinare il suo ruolo in campo. È un tedesco, uno abituato a pensare come porebbe pensare un illuminista europeo.
Questo si chiama lavorare.
Mi domando se le tre persone dalle quali siamo partiti, quando io non sono a lavoro, magari per i weekend, non cambino atteggiamenti nei confronti l’una dell’altra. Se per esempio il sabato mattina, con gli uffici della zona chiusi, i ragazzi delle scuole a casa ed i loro genitori indaffarati a fare spesa o a valutare le offerte negli autosaloni, non stentino a salutarsi. O se non programmino una consegna in un orario in cui il negozio è aperto, per non disturbare il vicino.
Nelle azioni di tutti giorni, che compiamo o che vediamo compiere, risiede il nostro far parte di un’umanità che non potrebbe mai resistere senza imparare da queste stesse azioni.
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ilciambellano · 2 years
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Un po’ di cose sulla casa nuova
I gatti sembrano molto più tranquilli, soprattutto Ipazia, perché adesso può mettere tra me e lei almeno una stanza e un corridoio di distanza.
Avere il Parco Dora vicino è bello, tranne quando fanno il Kappa Future Festival o il Salone del Gusto e devi parcheggiare a Milano.
Forse è perché ormai conoscevo ogni angolo di Borgo San Paolo, ma qui ho l’impressione che ci siano meno “cose” (ferramenta, panificio, etc.)
Sono caduto anche io nel tranello di Bezos e ho messo due Alexa e molti smart switch, ho comprato NetAtmo e conto di aggiungere altra domotica. Non dovrei, ma non riesco a fermarmi.
Avere una stanza-ufficio da cui esci quando smetti di lavorare (e rientri per pulire la lettiera) è molto d’aiuto per distinguere work time e leisure time
Dal settimo piano vedo le montagne, le colline oltre il Po, Superga, il grattacielo San Paolo, Santa Zita, ma non la Mole. Ho scoperto dopo mesi con un binocolo che quella che pensavo essere la Mole era solo un’antenna. Però dai, il panorama non è male (a parte quella chiesa di merda). 
Quest’estate ho acceso il condizionatore meno di 10 volte, perchè tenendo le finestre aperte si riusciva a sopravvivere. This is a big plus.
Non ho mai vissuto in una casa con degli infissi decenti a Torino, quindi sentivo già freddo a Ottobre, a causa degli spifferi. Adesso qua ci sono 24 gradi mentre fuori ce ne sono 15, sia lode al doppio vetro.
Tra quando abbiamo chiesto il mutuo e abbiamo fatto il rogito il tasso d’interesse è aumentato da da 0,9 a 1,5. Ho rosicato un sacco, ma dati i tassi che ci sono adesso, posso ritenermi fortunato.
Possiamo invitare più di due persone a casa!
Per buttare l’immondizia serve una tessera magnetica. L’altro giorno ho portato l’organico ma l’ho dimenticata, quindi sono salito a prenderla lasciando giù il bidone.  Quando sono tornato (3 minuti circa?), il bidone non c’era più. OK, messaggio ricevuto...
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Formiche
Provate a chiedere alla formica in cerca di molliche sul pavimento di casa vostra di aiutarvi a far quadrare i conti; forse vi consiglierà di berci su qualcosa di forte e di lasciarla stare ai suoi minuscoli problemi di sopravvivenza…  Ed è quello che intendiamo fare noi, lasciare la formichina alla sua infaticabile ricerca e assieme a lei tutte le altre, e milioni di altre ancora, quante mai sono apparse su questo pianeta brulicante di minuscoli esseri, capaci di creare invidiabili aggregazioni sociali e agglomerati urbani. A voi piccolissime creature dedico il futuro, a voi resterà il compito di traghettare il cosmo, questo antico e stanco viandante verso la sua prossima rinascita, a voi che inconsapevoli partecipate alla grande corsa, a voi che potreste precipitarvi a ricoprirmi, a consumarmi, se non fosse ancora presto per questo…  Così mi imbarcai su di una zattera costruita dalle mie amiche formiche e salpai, un millimetro da terra, solcando i più insicuri e sconosciuti pavimenti del mio appartamento; e ogni mattonella era un mondo da scoprire, un’isola misteriosa su cui approdare o al limite naufragare, per liberare quell’innato anelito all’avventura che ognuno di noi porta costretto dentro, come una vescica in una scarpa nuova.  E percorrendo quel bagnasciuga di marmo, mentre la zattera barcollava sulle onde dell’oceano, mi veniva incontro un paesaggio esotico, un intero metro quadro di ignoto proprio nel centro del salone di casa. Il pappagallo dalla coda variopinta ristagnava sulla mia spalla, sfiorandomi la schiena con le sue piume colorate; io forse ero un pirata, forse un bucaniere naufragato, forse un avventuriero, o uno della ciurma su un vascello dell’esercito regolare, o soltanto uno stronzo che perdeva il contatto con la realtà. E le formiche divennero mare, e poi alberi, e sabbia sottile e bianca, e onde schiumose, e una capanna di legno… Quando vennero a salvarmi non avevo molta voglia di abbandonare quel paradiso di serenità. Vennero a bordo di una telefonata che squarciò il cielo come un fulmine rosso e mi trascinarono incatenato per costringermi a risalire a prua della realtà e a riaffiorare al centro del mio appartamento in una serata afosa di agosto, con fuori un silenzio irreale e dentro chissà quanti anni ancora di vita.
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artedges · 1 year
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Artedge n. 1. Il Grande Vetro di Mar-Cel Duchamp secondo una lettura post-strutturalista.
Il Grande Vetro di Marcel Duchamp o Richard Mutt o Rose Selavy è probabilmente una delle opere d’arte più significative del XX secolo, ma nessuno lo avrebbe detto nel 1923. Per comprenderne la grandezza è, infatti, opportuno ripercorrere alcune tappe fondamentali di Mar-Cel, la cui frammentazione della propria soggettività è forse il lascito più grande dell’artista. 
Duchamp, il grande Duchamp che conosciamo noi oggi, esordì, fallendo, al XXVIII Salons des Indépendants di Parigi dove, allontanandosi dal Cubismo dei fratelli e pittori già affermati, propose il suo “Nudo che scende le scale”, che risentiva piuttosto di un’estetica futurista. L’opera venne rifiutata dal comitato ed il rifiuto portò Duchamp a vivere un vero e proprio trauma. Nell’estate del 1912 Duchamp si trasferì a Monaco, definita da egli stesso come “la scena della mia completa liberazione”, probabilmente dall’aspetto retinico dell’avanguardia parigina - “retinico” veniva usato dall’artista per indicare la pittura che non impegna la “materia grigia” della mente ed è un aspetto non trascurabile se si vede in Duchamp il padre del Concettualismo, e lo è -. Tuttavia, dopo l’esperienza a Monaco, due furono gli eventi che segnarono principalmente la carriera di Duchamp: l’incontro con Raymond Russel, che mostrò gli stratagemmi con cui combinava caso e scelta e il Salon de la Locomotion, tenutosi a Parigi nel 1912 e al quale confidò all’amico Brancusi “La pittura è finita. Chi può fare meglio di questa elica? Dimmi puoi farlo?”. Probabilmente il Salon de la Locomotion è più pertinente se si parla di readymade. Ciò che interessa a noi è piuttosto il caso, che definisce il Grande Vetro. 
Nel 1915, a causa della Grande Guerra e similmente ad altri artisti, Duchamp si trasferirà come esule a New York e qui comincerà a lavorare intorno, sopra, dentro e fuori al Grande Vetro. “La sposa messa a nudo dai suoi celibi”, nota anche con il nome di Grande Vetro, non era, tecnicamente parlando, un dipinto. Si trattava di un vetro composto da due pannelli a cui si dedicava con molti materiali curiosi: polvere, oggetti di piombo e argento. A tale opera Duchamp lavorava sporadicamente, passando più tempo a creare un clima concettuale intorno alla sua opera attraverso una quantità di note che appuntava nella cosiddetta “Scatola verde”, pubblicata poi nel 1934. Le interpretazioni sul Grande Vetro sono tra le più varie: dal religioso all’erotico, ed in queste poco aiutano le annotazioni quasi febbrili dello stesso autore, che tra l’altro nel 1923 dichiarò conclusa l’opera come “incompiuta”. 
La lettura di Rosalind Krauss -che mi permetto di definire una delle letture più complete mai lette nella storia dell’arte- guarda al Grande Vetro come una fotografia. Krauss dice che sebbene possa sembrare contraddittoria la lettura fotografica dobbiamo tenere in mente due cose: la prima è il forte realismo degli oggetti “fissati” nel vetro e la seconda è l’impenetrabilità dell’allegoria stessa, espressa da un lato da un ingranaggio metallico che ospita i Celibi (in francese “CELibataires” e da qui “MarCEL”), dall’altro da una nuvola amorfa e sempre metallica che ospita la Sposa (in francese “MARiee” e da qui “MARcel”). Ed in questo senso Mar-Cel. Le ambiguità non vennero risolte dopo la pubblicazione delle Note, ma anzi aumentarono le chiavi di lettura dell’opera, prima fondante solo sulla didascalia (”La sposa messa a nudo dai suoi celibi” ). Per questo motivo Krauss va incontro al carattere fotografico che collega i due aspetti del Grande Vetro, ovvero il suo verismo e la sua resistenza all’interpretazione. Sulla base di questo Krauss dice che le fotografie non contengono la loro interpretazione come i dipinti, piuttosto, in quanto prese direttamente dalla realtà, le fotografie sono la manifestazione di un fatto e la loro spiegazione spesso dipende da un testo aggiunto, come la didascalia (in questo caso: la sposa messa a nudo dai suoi celibi). Prima di addentrarsi in questa lettura è opportuna la considerazione di Roland Barthes, che ha definito questo carattere della fotografia come “messaggio senza codice”. Le parole emergono da un fondo di linguaggio organizzato su regole grammaticali e lascito lessicale -quindi da un sistema ben codificato- ed è proprio all’interno di questo sistema che le parole trovano il loro significato: sono simboli per dirlo in termini di semiologia. Le immagini sono icone, perché sono legate ai loro referenti -non per convenzione, come le parole- ma attraverso la somiglianza. L’ultimo di questi segni è l’indice, che è letteralmente causato dal suo referente e per questo intrattiene un legame materiale con esso. 
L’indice è ciò che si trova in Duchamp: le forme coniche dei setacci -la parte dell’apparato dei Celibi in cui vi è condensato il desiderio maschile- è indice della fissazione della polvere depositata sul vetro per mesi; così come i nove spari -raggi del desiderio che penetrano nel regno della Sposa- sono indice di dove hanno colpito la superficie nove fiammiferi; o ancora i pistoni di corrente ad aria -i riquadri dentro la nuvola della Sposa- che rimandano alla stessa tecnica utilizzata per “Tre rammendi-tipo,1913-14”, che fonda sul concetto di caso. Sulla base di questa lettura si può giungere a cogliere il significato dell’opera, che ruota intorno alle questioni che stimolano la produzione di Duchamp: l’indice non implica solo uno spostamento del tipo di segno utilizzato -da iconico a indicale-, ma anche un profondo cambiamento nel processo artistico. In che senso? L’indice, essendo la traccia di un evento -come l’herpes è la traccia di un virus-, è dettato dalla pura casualità: il caso esclude il desiderio dell’artista tradizionale di comporre la propria opera, annullando l’idea di abilità collegata all’artista. L’uso del caso, così come se ne serve Duchamp, meccanizza l’operare dell’artista. Seguendo questo ragionamento, allora, anche "Ruota di bicicletta” e “Scolabottiglie” sono indice di un evento, ovvero del loro incontro con Duchamp. In tal senso il “ripetibile” -oggetto seriale- diventa frutto di un “evento unico”, ovvero il suo incontro -fisico- con l’artista, così come la fotografia è indice -segno- dell’incontro fisico della luce su carta sensibile. 
Silvia Trevisan 
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