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#i fiori dell'impero
dedoholistic · 9 months
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Il Salotto Virtuale di Maria Teresa De Donato su Mobmagazine presenta:
“I Fiori dell’Impero – di Cao Shui” ǀ Recensione di Maria Teresa De Donato
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“Le donne sanno quando entrano in menopausa, gli uomini no,
lo capiscono col tempo.”
·92 anni fa nasceva OMAR SHARIF, (Alessandria, Egitto, 10 aprile 1932 - Il Cairo, Egitto, 10 luglio 2015).
L'attore nato ad Alessandia (ma giramondo per vocazione) incarna quella che nell'immaginario collettivo è la vita di un uomo ricco, bello, famoso, adorato dalle masse e conteso dalle donne più affascinanti del pianeta. Un mito alimentato dall'indolente Sharif, che negli anni '60, all'apice della carriera dichiarava ai giornalisti «Lavoro perché mi piace il lusso e quando finisco i soldi, sono costretto a tornare a recitare».
Seppure per necessità, ha lavorato con i più grandi registi - Fred Zinneman (...e venne il giorno della vendetta), Anthony Mann (La caduta dell'impero romano), William Wyler (Funny Girl), Sidney Lumet (La virtù sdraiata) - ed è stato l'incarnazione della bellezza esotica, della fierezza, del coraggio e del romanticismo nei due film che gli hanno regalato la consacrazione, entrambi di David Lean: Lawrence d'Arabia (un Golden Globe e una nomination all'Oscar) e Il Dottor Zivago (nomination al Golden Globe).
Al cinema era arrivato grazie alla madre, che lo mandò in un college inglese, dove Omar dimagrì («da ragazzo ero veramente grasso») e imparò la lingua, e a Youssef Chahine, che lo fece debuttare nel '53. Divo del cinema egiziano fin da subito, è poi diventato una star internazionale, con una propensione ai ruoli storici (è stato Che Guevara in Che!, Genghis Khan nell'omonimo film, l'arciduca Rodolfo in Mayerling, il principe Feodor in Pietro il Grande), romantici (Il seme del tamarindo, C'era una volta, Funny Girl) e d'avventura (L'ultima valle, Ghiaccio verde, Le meravigliose avventure di Marco Polo, Ashanti).
Nel 2003, Omar Sharif è tornato sulle scene, dopo un periodo di silenzio (aveva interpretato Il tredicesimo guerriero, decidendo di «non recitare più in simili sciocchezze»), con un ruolo importante, quello del negoziante arabo che fa amicizia con un bambino ebreo in Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano. Una scelta forte, con cui lanciare un messaggio di pace tra ebrei e arabi in un momento storico-politico nerissimo, gratificata con un doppio riconoscimento al festival di Venezia: il premio del pubblico e il Leone d'oro alla carriera.
Sharif muore nel luglio del 2015 in un ospedale del Cairo, in Egitto, dove era stato ricoverato per un attacco di cuore. Aveva 83 anni.
ARACELI CINEMAdiCITTA'
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theladyorlando · 9 months
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The Moon Also Rises
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La voce di Johnny Flynn non è più quella di prima: non è la voce spessa dei suoi esordi, quella che ad ascoltarla mi veniva in mente un olio denso, scuro, ben pigmentato, che un pennello stende con caparbietà avanti e indietro. Quella lì era una voce consistente, un timbro caldo e distribuito in maniera uniforme sulla tela. Adesso invece al posto del pennello si sente chiaramente che c'è una mano nuda a dipingere, e che a volte lo fa con le stesse unghie: la voce densa si è spezzata in un urlo, si è graffiata sopra alla tela, ed è bellissima, è sensuale ed è, se possibile, ancora più precisa di prima.
L'autunno me l'ha portata dentro al frutto della sua fatica, la fatica di Johnny Flynn. Lui però mi ha avvisata per tempo, e io così ho avuto modo di vivermi l'attesa, di assaporarla. Insieme al suo amico e scrittore Robert MacFarlane e a un'allegra compagnia di nomadi inglesi -quelli che se ne vanno in giro per boschi e campagne senza scarpe e sotto la pioggia, per capirci- Johnny Flynn ha piantato dei semi che in questi mesi hanno germogliato, e io li ho guardati venire su come ho fatto con tutti gli alberi dietro cui mi sono andata perdendo nell'anno. Un calendario.
Il primo seme è stato "The Wild Hunt": lo ha piantato in terra a dicembre dello scorso anno, e a me è sembrato come di vederlo, Johnny Flynn, mentre infilava le dita nella terra fredda e mi diceva, guardandomi bene dentro agli occhi, che quella era una caccia folle: è una caccia folle la caccia al nome del male, la caccia alla tana, la tana del Primitivo. E così improvvisamente diventa una caccia folle anche quella alle cose scontate, le cose banali che tutto a un tratto ti accorgi di non avere più tra le mani: la competenza dei medici, il giusto ricovero, il pronto soccorso, la cura che ti spetta: il Natale il compleanno la pizza del sabato sera. Quella caccia, vedrai, farà tremare i tuoi amori più certi, farà precipitare l'impalcatura del tuo cielo. Io l'ho ascoltato cantarmela lo scorso anno a dicembre come se dicembre non dovesse mai finire, quando la camelia era l'unica spaventosamente fiorita in giardino come una cosa fuori dalla natura, e il suo, allora, mi è sembrato piuttosto l'urlo di un animale, il grido di una creatura selvatica che non sa dove trovare riparo dalla caccia, non sa più dov'è la sua tana. Oh the wild hunt, the wild hunt: qualcosa di incomprensibile o qualcosa che devo aver frainteso, mi sono detta. E invece il calendario, ormai chiaramente liturgico, è andato avanti con il seme di Pasqua: "Coins for the Eyes". Adesso l'urlo, il graffio sulla tela, si era trasformato in una piccola ballata in tre quarti, dolce, quasi acustica, e la caccia, che in fin dei conti era la mia -inutile continuare a negarlo, non avevo frainteso- aveva trovato la sua proporzione più conveniente, la sua direzione più chiara: guardata da dentro a questa canzone la caccia è una ricerca, e il suo movimento cadenzato insegna la pazienza con cui bisogna condurla. Ora che conosciamo bene il nome urlare non serve a niente, basta praticare l'esercizio, un esercizio di pazienza, di concentrazione, un esercizio di ricerca. Come quando mio padre si stampava le mappe dell'impero romano o della Grecia antica per capire meglio come tradurre una versione contorta, come quando studiava epigrafia e nessuno glielo aveva mai chiesto. Come gli alberi che escono dall'inverno, con pazienza, e mettono i fiori, alcuni addirittura senza foglie. E così in tre quarti abbiamo visto sbocciare i fiori, tutti i fiori, e in tre quarti ci siamo addentrati in quanto ci avanzava dell'anno: a un certo punto inevitabilmente abbiamo riconosciuto i primi sentori dell' impietosa, della temibile estate, finché proprio non la abbiamo vista bene in faccia e le siamo così andati incontro senza opporle resistenza, senza nuove canzoni, senza nuovi semi, con pazienza e in tre quarti. Questa è stata la nostra vera quaresima, il nostro deserto: l'estate. Abbiamo guardato l'estate seccarli, i semi, inaridire la terra, fare scempio dei fiori, spaccare i marciapiedi. Alla fine, giunti nel cuore di quella, la abbiamo vista portarsi via mio padre, e così, in tre quarti, piegati nel nostro esercizio di pazienza, lo abbiamo salutato, con dignità credo.
Ma il calendario non era finito: e a settembre infatti è ricominciato quello scolastico. Allora siamo tornati tutti a scuola, come se niente fosse, e lì dentro abbiamo continuato a fare esercizio, a testa bassa. Ad interromperlo è arrivato improvviso l'annuncio: in questi mesi, diceva, anche se da molto lontano e senza scarpe ai piedi, noi abbiamo lavorato, abbiamo fatto un lungo esercizio qui su, un esercizio intorno all'oscurità e alla luce, all' inverno e alla primavera, alla sepoltura e alla rivelazione, a storie tempo stagioni fantasmi e sentieri, amore e fiumi, e tra poco ne consegneremo i frutti a chiunque avrà voglia di ascoltare. Insomma, neanche il calendario di Johnny Flynn si era esaurito, e il primo frutto raccolto ad ottobre, il primo singolo, è stato "Uncanny Valley": quest'estate ci siamo persi tutti in una vallata inquietante, dice, nessuno ha una mappa per uscirne, e c'è un'enorme confusione qui dentro. Forse mi sbaglio, ma mi sembra che Johnny Flynn ora stia ridendo; che urli ancora invece lo sento benissimo: ride e urla che il lutto non è solo una croce, è anche una delizia, è il nostro privilegio e noi dobbiamo penetrarlo, dobbiamo attraversarlo come fosse una vallata dopo aver scalato la più alta delle montagne.
Quello che viene dopo è semplicemente il raccolto: e io che l'ho aspettato come si aspetta una vita che viene al mondo, con un po' di apprensione e insieme con il timido desiderio di riconoscere nei tratti del viso la somiglianza, alla fine l'ho rincosciuta: quando ho ascoltato l'album per la prima volta di notte, nel mio letto, sotto a coperte pesanti, era di nuovo inverno e ho capito subito che in tutti quei mesi Johnny Flynn non aveva mai smesso di guardarmi negli occhi. Lui ha continuato a tirarmi per la manica, a strattonarmi, mi ha richiamata, mi ha scritto, mi ha raccontato: alla fine lui mi ha raccontata, nel suo calendario. Ha raccontato di tutti gli alberi dietro ai quali io ho guidato la mia macchina quest'anno (the beech is lifting me, ash is reaching me), del saluto che mio padre continua a darmi giorno dopo giorno (be not afraid, sing and pray, cry and sway as I enter the shade); di quel dicembre che pareva non volesse mai finire ("A Year-Long Winter"); e poi mi ha raccontato, ancora una volta, "Coins for the Eyes". Vedo però che la semplice ballata in tre quarti è maturata in questi mesi, e da fiore che era in primavera adesso è diventata un bellissimo frutto rotondo, forse un melograno? È diventata un inno, cantato a piena voce, a più voci. Io l'ho ascoltata, nella sua prima e piu dimessa versione, sulla strada che portava al cimitero, il giorno in cui ci hanno consegnato le ceneri e noi le abbiamo riposte nella tomba ancora senza nome. E poi un altro giorno mi è arrivata questa foto, la foto della lapide che era pronta, finalmente. E io a quel punto mi sono chiesta come ci si comporta davanti alla foto della lapide di tuo padre che ti arriva su WhatsApp: è bella, carina, mi piace, grazie mille? In quel momento mi sono costretta all'esercizio del pianto perché quello mi sembrava opportuno, ma non mi è salita nessuna lacrima sinceramente, se non quelle solite, le lacrime della stanchezza. Niente di ciò che ha a che vedere con la morte appartiene a mio padre, mi sono detta come mi ero già detta guardando la bara ad agosto. Questo però gli inglesi lo chiamano denial, e anche se io davvero continuo ostinatamente a credere che lui sia più vivo di me sopra quelle mappe dell'impero romano che vedo con la coda dell'occhio spuntare dalla sua libreria, so bene che negare non è una cosa sana.
E così la scorsa settimana, tornando al cimitero per vederla, questa famosa lapide montata, ho ascoltato la nuova versione di "Coins for the Eyes", l'inno: il melograno. Pare che almeno una canzone di quest' album la abbiano registrata dentro a una tomba antica, che il coro che sento in questi ritornelli pieni di vita, pieni di voce, di tante voci veramente, venga proprio da una sepoltura. Quando l'ho raccontato a mia madre lei mi ha detto, prendendomi in giro, che ci vuole pure un po' di leggerezza nella vita, dai, e questi non ce l'hanno per niente. Ma lei non sa che se veramente è questa la canzone, e voglio pensare che sia proprio questa, io sulle sue note sono arrivata alla tomba e l'ho trovata piena, piena di gente scalza, gente che si sgola, che canta a squarciagola, canta la vita stupenda di mio padre tra i tanti padri che se ne sono andati. Quest'inno è così lontano dalla pesantezza che mi sembra proprio il suo esatto contrario: al punto che questa canzone mi ha riconciliata con quel paese dove mio padre ora è tornato e dove io da piccola ho passato le più noiose e pesanti domeniche di bambina. Un paese dove tutti sembrano avere due sole cose a cui pensare: sposarsi o morire. Un paese che è come costruito intorno al suo cimitero, pare proprio invitare al cimitero, così mi è sempre sembrato. Che lo abbia sempre invitato al cimitero, a mio padre. Beh oggi sento di andarci quasi leggera, al cimitero da lui, mi sento invitata, e quelle canzoni che vengono da così lontano, da un altro luogo, un altro anno, da un'altra fatica, risuonano perfettamente per le strade del paese dove mio padre riposa in questo momento. Io amo tutto di lui e non voglio vivere nella negazione: non mi nego niente, le mappe e la bara, la vita e la morte: è un mio diritto, la mia delizia, il mio privilegio. E me lo ha raccontato Johnny Flynn, urlandolo a volte, a volte ridendo e cantandolo con leggerezza, a volte facendone un inno gioiso e a più voci: il calendario di un anno che abbiamo trascorso insieme, e io non lo sapevo.
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drheinreichvolmer · 1 month
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IL CUORE DEL KAISER - PARTE FINALE
Circa una settimana dopo Karl Franz ed Edna stavano davanti alla tomba del loro padre, il defunto Kaiser. Il marmo bianco splendeva sotto i raggi del sole, mentre i due fratelli rimanevano in un rispettoso silenzio, persi nei propri pensieri.
Alina ruppe il silenzio con un sorriso malinconico, le mani intrecciate davanti a sé. << A nostro padre sarebbe venuto un colpo vedendoti così. >> disse, gettando uno sguardo affettuoso a Karl Franz.
<< Chissà magari da qualche parte lo sa già. >> replicava il principe con voce calma.
Edna annuì, i suoi occhi che brillavano di una dolce tristezza.
<< Ora sei che sei l'erede maschio ti toccherà ereditare il trono di nostro padre lo sai vero? >>
disse Edna , ma nel suo tono c'era qualcosa di scherzoso, quasi a voler alleggerire il peso di quella responsabilità.
Karl Franz alzò lo sguardo verso di lei, un lampo di determinazione nei suoi occhi. << La legge si può cambiare , io credo che tu meriti quella corona molto più di chiunque altro. >>
Edna scosse la testa, sorridendo dolcemente.
<< Apprezzo molto le tue parole ma , dopo una vita trascorsa chiusa in queste mura, ora desidero solo essere libera. Voglio viaggiare, scoprire il mondo, vivere per me stessa. E forse, un giorno, trovare anche io il vero amore. >>
Karl Franz la osserò alzando un sopracciglio. << Stai cercando forse di dirmi qualcosa , sorella? >>
Lo sguardo della principessa si addolcì. << Ho visto come la guardi sai.. >>
A quelle parole il viso dell'austriaco divenne paonazzo , sapeva perfettamente a chi Edna stesse facendo riferimento.
<< Non farti scappare un occasione così e poi.. deve essere proprio una santa se ti riesce a sopportare. >> replicava Edna scoppiando a ridere.
I due rimasero abbracciati per qualche momento , mentre il sole continuava a sorgere, illuminando la strada davanti a loro. La libertà che entrambi avevano cercato a lungo era finalmente a portata di mano, e con essa, la promessa di un futuro diverso, più luminoso e pieno di speranza.
Tre mesi erano trascorsi da quel giorno nel cimitero reale, e la città si preparava a vivere uno dei momenti più importanti della sua storia. Le strade erano adornate con bandiere e fiori, la gente si accalcava sui lati delle strade, ansiosa di assistere all'incoronazione del nuovo Kaiser La notizia di ciò che era accaduto si era sparsa ovunque, e l'intero impero attendeva con trepidazione il giorno in cui Karl Franz avrebbe preso ufficialmente il trono.
Nella cattedrale , le vetrate gotiche brillavano sotto la luce del sole del mattino, proiettando colori vivaci sul pavimento di marmo bianco. La navata principale era affollata di nobili, diplomatici e dignitari da ogni parte dell'impero, tutti riuniti per testimoniare il passaggio di potere. Al centro della scena, su un alto piedistallo, risaltava il trono imperiale, avvolto in drappi dorati e velluto rosso.
Karl Franz stava nei corridoi laterali, lontano dalla vista degli ospiti, avvolto in un mantello di seta ricamato con l’aquila imperiale. Sentiva il peso del momento, non solo per la responsabilità che stava per assumersi, ma anche per ciò che rappresentava. Non era solo l'incoronazione di un nuovo imperatore, ma l'inizio di una nuova era per l'Austria, una era di inclusione e di cambiamento.
Le grandi porte della cattedrale si aprirono, e Karl Franz iniziò a camminare lungo la navata, seguito da uno stuolo di dignitari e guardie imperiali. La musica si alzò, solenne e maestosa, mentre gli ospiti si alzavano in piedi al suo passaggio. I suoi passi erano sicuri, il capo alto, e ogni movimento irradiava la consapevolezza e la determinazione di un uomo che aveva finalmente trovato il suo posto nel mondo.
Giunto davanti al trono, si inginocchiò di fronte all'arcivescovo, che teneva nelle mani la corona imperiale, simbolo del potere e della continuità dell'impero.
<< Karl Franz Joseph Von Österreich , sei pronto a giurare fedeltà al tuo popolo e a servire l'impero con giustizia e onore? >> dichiarava l'arcivescovo con voce potente, che risuonava in ogni angolo della cattedrale.
<< Lo sono. >> replicò Karl Franz con voce sicura.
<< Con l'autorità conferitami da Dio e dal popolo dell'impero, ti proclamo imperatore d'Austria e re D'Ungheria. >> l'arcivescovo sollevò la corona e la posò con riverenza sul capo di Karl Franz.
Un fragoroso applauso riempì la cattedrale, e Karl Franz si alzò in piedi, sentendo il peso della corona ma anche la forza che essa gli dava.
Mentre la cattedrale vibrava con le acclamazioni del popolo, Karl Franz capì che il suo viaggio, nonostante le difficoltà, era solo all'inizio. Ma ora, come Kaiser, aveva la certezza di poter guidare il suo popolo verso un futuro migliore, più giusto e più libero.
La giornata dell'incoronazione proseguì con festeggiamenti che sembravano non avere fine. L'intera popolazione era in festa, con musica e risate che riempivano l'aria. Nel giardino del palazzo, Maja e Antal si erano allontanati dalla folla per godersi un momento di pace. Le risate e la musica giungevano attutite attraverso gli alberi, creando un'atmosfera intima e tranquilla.
Lui con un leggero sorriso sulle labbra, si fermò vicino a una fontana. L'acqua scorreva lentamente, riflettendo la luce del sole. Maja , che non aveva mai visto il giardino reale così tranquillo, si avvicinò a lui, osservando la sua espressione pensierosa.
<< Qualcosa non va? >> gli chiese ad un tratto Maja.
<< Stavo pensando... ora che Karl Franz è Kaiser, avrà bisogno di una guardia del corpo. Qualcuno di cui possa fidarsi ciecamente, che sia al suo fianco non solo come protettore, ma anche come amico. >> rispose l'ungherese
<< Credo fortemente che dovresti candidarti per quel ruolo. >> replicò Maja.
Antal annuii prima di sedersi sul bordo della fontana e prendere dolcemente le mani della giovane dai capelli biondi.
<< In verità poi vorrei candidarmi anche per un altro ruolo. >> disse l'ungherese serio.
<< Sarebbe? >> replicò Maja assai confusa.
<< Beh , quello di tuo marito. >> ribattette Antal timoroso.
Lei rimase senza parole per un momento, sorpresa e felice allo stesso tempo. Il suo cuore si riempì di calore mentre assaporava ogni parola pronunciata da Antal . Non c’era dubbio nella sua mente: lui era l’uomo che voleva al suo fianco, colui con cui desiderava condividere ogni giorno della sua vita.
Sorrise, le lacrime che minacciavano di scendere, e annuì con entusiasmo.
<< Si , non c'è nulla che potrebbe rendermi più felice! >> rispose Maja con la voce tremante per l'emozione.
Maja e Antal , mano nella mano, tornavano verso il palazzo. Ma ora, con il cuore più leggero, sapevano che qualunque sfida si presentasse, l'avrebbero affrontata insieme, come compagni e come sposi.
Era una giornata luminosa e serena nel palazzo reale, e l'aria era pervasa da un senso di pace e rinnovata speranza. Karl Franz si trovava nel suo studio, immerso nei documenti e nelle lettere che richiedevano la sua attenzione di nuovo Kaiser. Nonostante le responsabilità che ora gravavano sulle sue spalle, si sentiva finalmente in pace con se stesso.
Mentre era assorto nel lavoro, la porta si aprì lentamente, rivelando Maja e Antal , mano nella mano. Lei aveva un sorriso radioso, ma nei suoi occhi c'era una scintilla di nervosismo. Lui , invece, era visibilmente serio, ma con la determinazione di chi sa cosa sta per chiedere.
Karl Franz alzò lo sguardo e li accolse con un sorriso caloroso.
<< Posso fare qualcosa per voi? >> chiese Karl Franz amabilmente.
I due si avvicinarono alla scrivania, ma rimasero in piedi, l'uno accanto all'altra. Maja prese un respiro profondo.
<< Karl Franz , fratello.. siamo qui per chiederti qualcosa di molto importante. >>
Karl Franz inclinò la testa, incuriosito, ma con un accenno di comprensione nel suo sguardo.
<< Dimmi pure , ti ascolto. >>
Antal si fece avanti, la mano della ragazza ancora stretta nella sua.
<< Vostrà maestà imperiale noi.. >> iniziò con tono serio e formale.
<< Non è necessario essere così fermali , cosa volete chiedermi coraggio. >> replicò Karl Franz.
<< Io amo tua sorella più di ogni altra cosa al mondo, e vorrei avere la tua benedizione per fare di lei mia moglie! >> rispose l'ungherese senza riprendere fiato per l'ansia.
Karl Franz li osservò per un momento, un sorriso si allargò sul suo volto, e si alzò in piedi.
<< Per noi è importante che tu approvi, che tu sia felice per noi. >> disse Maja.
<< Certo che ve la darò , avete la mia più sincera benedizione. Nulla mi renderebbe più felice che vedere mia sorella al fianco di un uomo che la ama e la protegge come merita. >> replicò Karl Franz.
Liesel, colma di gioia, corse ad abbracciare Karl Franz, stringendolo forte.
<< Grazie fratellone! >>
Antal si avvicinò con un profondo inchino.
<< Ti prometto che farò di tutto per renderla felice. >>
Mentre il trio sorrideva, Estela entrò nella stanza, avendo chiaramente ascoltato parte della conversazione. Con un'espressione divertita, si avvicinò al gruppo e si fermò accanto a Karl Franz.
<< Mio Kaiser , sembra che adesso avrai un ungherese , per parente. >> disse con un tono giocoso.
<< Immagino che le cene di famiglia diventeranno molto interessanti. >> replicò Karl Franz.
Sei mesi erano trascorsi in un batter d'occhio, e il regno si preparava a celebrare un evento di grande gioia: le nozze della principessa Maja e della guardia imperiale Antal. Il palazzo era addobbato con fiori freschi e bandiere colorate, e l'intero impero sembrava risplendere di una luce nuova. Gli ospiti erano giunti da ogni angolo dell'Europa e oltre, portando con sé il calore e l'affetto per i novelli sposi.
Maja, radiosa nel suo abito da sposa, stava discutendo con Edna mentre attendevano di entrare nella sala del trono, dove si sarebbe celebrata la cerimonia.
<< Non posso credere che tu stia per partire per l'Egitto, non sarà lo stesso senza di te. >> disse Maja con un velo di malinconia.
<< È una nuova avventura. Dopo tutto quello che abbiamo passato, ho capito che voglio vedere il mondo, scoprire nuove culture, vivere davvero. Ma ti prometto che sarò sempre in contatto, e chissà, magari troverò anche io la mia felicità in qualche lontano angolo del mondo. >> rispose Edna sorridendo.
Maja annuì, abbracciando Edna con calore.
<< Lo so. E spero che tu trovi tutto ciò che desideri. >>
Poco dopo, la cerimonia ebbe inizio. Antal , con il suo tipico sorriso fiero, attendeva all'altare, e quando Maja fece il suo ingresso, tutti i presenti rimasero incantati dalla sua bellezza. I due si scambiarono le promesse con parole piene di amore e impegno, giurando di rimanere insieme per tutta la vita.
Quando finalmente venne il momento di festeggiare, gli invitati si riunirono nella grande sala del banchetto, dove risate, musica e brindisi riempivano l'aria. Karl Franz osservava la scena con un sorriso soddisfatto, consapevole di quanto la sua famiglia fosse cambiata e cresciuta negli ultimi mesi.
Ad un certo punto Estela si alzò in piedi , rivolgendo ai presenti un sorriso timido ma gioioso.
<< C'è qualcosa di importante che devo dirvi. >>
Karl Franz la guardò, un misto di curiosità e preoccupazione nel suo sguardo.
Estela non disse nulla , si limitò semplicemente a mettere una mano sul proprio ventre , massaggiandolo.
Per un momento, Karl Franz rimase senza parole, gli occhi spalancati per lo stupore.
<< Cosa? Stai forse dicendo che.. >>
Estela annuì, il sorriso che si allargava ancora di più.
<< Avremo un bambino.. >>
Karl Franz rimase a bocca aperta.
Le sue sorelle reagirono immediatamente con un grido di gioia.
Mentre la gioia si diffondeva tra di loro, Antal si avvicinò con un sorriso divertito.
<< Allora, sembra proprio che il Kaiser si sia dato da fare, eh? >>
Karl Franz arrossì leggermente, ma non poté fare a meno di unirsi alla risata.
<< D'altronde, la famiglia si allarga, e più siamo, meglio è. >>
Con queste parole, la stanza si riempì di un senso di calore e appartenenza, mentre i quattro si preparavano a una nuova fase delle loro vite, consapevoli che, qualunque cosa il futuro riservasse, avrebbero affrontato tutto insieme.
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istanbulperitaliani · 7 months
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Mausoleo della famiglia Kangelaris
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Sull'isola di Heybeliada c'é un mausoleo conosciuto come "la tomba inglese". Fu voluto da Spyridon Kangelaris, console a Gemlık (Bursa) dell'Impero britannico nel XIX secolo, per la moglie Sebaste Kangelaris Pellone. Ora esistono un paio di versioni sulla morte della donna. La prima parla di una morte prematura, la seconda vuole che sia stata uccisa dal marito per gelosia. Non sono riuscito a capire quale delle due versioni sia quella vera. In ogni caso 5 anni dopo la morte della moglie, Spyridon Kangelaris vi si fece seppellire accanto. Il mausoleo possiede molti elementi simbolici. Prima di tutto é stato eretto nel 1866 ed é fatto in marmi di Carrara. Sono ritratti i due proprietari che sono uno di fronte all'altro e si guardano. C'é un teschio con le ossa incrociate legate insieme da un nastro a simboleggiare la morte. Compaiono ghirlande e fiori di papavero (simbolo del riposo eterno) e alloro. C'é una scritta in greco: “Il fiore é appassito, i semi si sono dispersi, ma la parola di Dio dura per sempre”. Sugli altri lati del monumento compaiono figure allegoriche che simboleggiano la morte e l'attesa della resurrezione.
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Secondo gli allievi del vicino liceo navale militare, nelle notti d'inverno, il fantasma della defunta si recava nei dormitori a coprire gli allievi ai quali era caduta la coperta. La mia Vita a Istanbul: consigli e informazioni turistiche. Disponibile come GUIDA per delle ESCURSIONI in città. Scrivi una e-mail a: [email protected] anche su www.facebook.com/istanbulperitaliani
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dedoholistic · 9 months
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Cultura in Cina:  I Fiori dell’Impero – di Cao Shui (Fiori D’Asia Editrice).
Recensione di Maria Teresa De Donato
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dedoholistic · 9 months
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I Fiori dell’Impero - di Cao Shui
Raccolta Poetica in tre lingue pubblicata da Fiori D’Asia Editrice
Recensione di Maria Teresa De Donato
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dedoholistic · 9 months
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Flowers of Empire by Cao Shui - Poetry collection in three languages
by Fiori D’Asia Publisher
Review by Maria Teresa De Donato
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