Tumgik
#io ero sulle strisce
omarfor-orchestra · 7 months
Text
Buon pomeriggio dopo aver sentito una macchina inchiodare ed aver continuato per la mia strada senza curarmene mi sono accorta di aver attraversato senza guardare
3 notes · View notes
madamedecharte · 10 months
Text
Da sabato ad oggi, in ordine:
Hanno tamponato la macchina di una mia amica, con me dentro, dal mio lato
Uno mi stava investendo con la bici, di quelle grosse da cross, ho fatto in tempo a tirarmi indietro e mi ha preso solo sulle braccia, lui si è cappottato volando via, si è rialzato ed è sceso urlando pretendendo di aver ragione (io ero sulle strisce e stavo attraversando da un po’, palesemente torto lui)
Hanno spaccato il finestrino della macchina dei miei suoceri con cui siamo andati al ristorante, l’abbiamo visto subito dopo cena.
Chi mi porta l’acqua santa?
7 notes · View notes
Text
Quella mattina seduta per terra fumavo fuori al balcone ed hai avviato un video con il cellulare esclamando "ti amo" mettendo me come obiettivo, in primo piano a mia insaputa. Il traffico per la città in confronto non faceva un bel suono, mentre la tua voce sì. Ricordo che tempo fa mi chiedesti di promettere una cosa: avrei dovuto parlare di noi anche con gli sconosciuti ma io non avevo bisogno di mantenere, perché lo faccio già sotto ogni forma che l'universo ci lascia, ci regala. Ora siamo arrivate a chiederci come facciano gli altri a dare quel senso della quotidianità, senza escludere la gratitudine di sorridere ad un bambino nel passeggino o di far attraversare sulle strisce pedonali una persona anziana quando è il resto che manca. Quella mattina mi sembra così tanto lontana anni luce da me e mi succede di essere triste, vuota e di stare con la compagnia della mia solitudine che ormai l'ho presa bene sottobraccio. Sono la passante che non passa mai effettivamente e che ti guarda in ogni istante, il tuo riflesso di vita per sempre, il tuo piccolo grande tassello dellʼindecifrabile, sono per te scricchiola ma così tanto grande da riempire il mondo; il tuo mondo.
"Non ci credo che sei andata via", mi dicesti mentre ero sul pullman che si allontanava da te. Ritorno a casa ogni qualvolta stringo quella citazione del Bacio Perugina: secoli fa doveva essere una lettera. Nelle ere precedenti ad oggi non me ne sono andata.
Ilaria Sansò
3 notes · View notes
quellostrano-1980 · 6 months
Text
Pioveva oggi, una pioggia fitta e costante. Ho acceso la moto in garage ed ho subito capito che era il momento di uscire, di prendere un'inzuppata andando chissà dove. La Harley borbottava, la zip del giubbotto è arrivata fin sotto il mento, i guanti che di impermeabile non hanno niente si sono bagnati appena ho messo le ruote fuori in strada. Il rettilineo, il traffico della città, poi un pezzo di tangenziale e poi stradine di campagna e dopo una cinquantina di chilometri mi sono fermato in un paesino in cui non ero mai stato. Il classico piccolo paese sperduto nella pianura padana, dove sono tutti concentrati a lavorare. La chiesa con la piazzetta, il parcheggio davanti al bar tabacchi. Fermo lì la moto, scendo e dopo averla spenta pare sia tornata la quiete in paese (sì, se passo se ne accorgono tutti). Il signore anziano col bastone che attraversa sulle strisce pedonali si volta a guardarmi. Entro nel bar, si voltano a scrutarmi come fossi E.T. ma va bene così, so che succede sempre. Mi siedo e dopo un attimo arriva la ragazza che prende la mia ordinazione. Un the caldo. Cazzo ridete? Sì, lo so che vi aspettavate la birra media, ma sono zuppo, gocciolo dai vestiti e ho le mani intirizzite dal freddo. La tazza fumante attorno alla quale avvolgo le dita è una manna dal cielo. Sorseggio il the e intanto mi guardo intorno. Al tavolo in fondo, in disparte, c'è una ragazza, avrà forse l'età di mia figlia. È avvolta in uno sciarpone color mogano, jeans ha e anfibi ai piedi e gli occhiali troppo grandi per il suo visino continuano a scivolare giù dal naso. Sta leggendo, non so cosa sia ma l'ha presa completamente, tanto che è stata l'unica che non si è voltata a guardare quando sono entrato nel bar. Fa sempre gli stessi 3 movimenti: tira su gli occhiali col dito medio, sposta la ciocca di capelli castani dalla fronte fin dietro l'orecchio e gira le pagine del libro. Io la guardo e lei gira le pagine. Mi sto rendendo conto che per lei l'intero universo è racchiuso in quel libro. E la invidio. Non so perché ma il suo faccino assorto nella lettura è l'essenza stessa della calma. È bella, di un bello che sa ancora di quella innocenza che non è stata ancora intaccata delle cattiverie del mondo.
La signora che entra col bambino urlante che cerca di svincolarsi dalla mano della madre mi fa smettere per un attimo di osservare quella attenta lettrice. Quando torno a cercarla con lo sguardo ha chiuso il libro, l'ha infilato in una enorme borsa a tracolla, si è alzata ed è andata dritta dal bimbo, lo ha preso per mano e l'ha portato verso l'espositore dei pacchetti di patatine facendolo smettere di urlare in me che non si dica. Poi ha dato un bacio sulla guancia alla madre del nanetto che nel frattempo ingurgitava le dixie. Per un attimo negli occhi di quella donna ho visto quelli di mia madre, calmi, pieni d'amore, stanchi. Mi sono alzato, ho pagato il conto anche per il bimbo e la ragazzina che leggeva, uscendo le sono passato accanto, mi sono fermato davanti a lei e alla madre e sorridendo ho detto "signora, non faccia mai perdere a sua figlia la voglia di leggere".
Me lo diceva sempre mia made. Sarà per quello che non ho più spazio nelle librerie di casa...
La cinquantina di chilometri del rientro col diluvio in atto hanno avuto un sapore diverso, di speranza. Sì, perché non ho trovato una ragazzina fissa sul cellulare, ma una con lo sguardo avido di sapere. E questo mi fa sperare.
0 notes
a-tarassia · 2 years
Text
Quelle risate forti quando eravamo insieme, le corse in bici su via dei consoli di notte, le manifestazioni, le serate a rullare canne fino a non capire niente, le canne sulla fontana in piazza della repubblica davanti alle camoinette, la giornate al parco, i singhiozzi nell'ascensore, lo zaino in spalla posso dormire con te che ho freddo, le domenica di pioggia sul cornicione di casa tua, il mercoledì al corto, le occupazioni alla fiat, le serate post esame a bere con un peso in meno, i concerti al villaggio, i subsonica all'intifada con 5mila lire, gli after alla centrale del tennis a gratis, il sesso nel portone di trastevere, tu che mi baci appoggiati al muro dietro la piramide sulla metro b, il sesso di nascosto sul balcone, il pompino nel parco, 15kg sulle spalle su per i sentieri del gran sasso, i weekend a dormire in spiaggia a sperlonga, gli ska p a livorno, barceloneta tra le lacrime mentre mi facevi sentire in colpa, lo spacciatore ad oviedo vestito da morte, i capodanni a non ricordarsi dove stava la macchina, la birra nello scantinato a san lorenzo, il bacio rubato a vania al buio, andiamo a prendere la stampe all'aventino ti faccio vedere il buco, è l'alba ti porto al gianicolo che è più bello, i gay pride da sola al circo massimo con lady gaga, quando sono svenuta davanti al 32, le strisce di coca sul comodino, la vittoria del mondiale a don bosco, quando giovanni ha smesso di venire e ci sei rimasto male, i pullman fino a poggio mirteto così possiamo bere, le guardia al roma rock che ci hanno portato con loro per un tocco di fumo, quelle in autostrada che mi hanno controllato il buco del culo, quando è andata via la luca durante la notte bianca e pioveva a dirotto, quando eravamo in 18 a dormire a casa, quando mi hai trovato in quella bolgia del concerto di manu chao e ci siamo abbracciati, quando mi venivate a prendere alla stazione che ero piena di roba da giù, il bagno nudi di notte, le scopate nel bagno mentre gli altri dormivano, le scopate di pomeriggio col caldo che si moriva, quando me la leccavi e tremavo tutta e ridevi, quando ho vomitato perchè sei venuto con lei alla festa, quando abbiamo fatto il test per l'aids la mattina presto, quando tornavamo la mattina presto e andavamo direttamente a porta portese, la festa di halloween al circolo degli artisti, la festa di vice al circolo degli artisti in cui ci siamo finalmente baciati tantissimo, tua mamma che mi cucina la lingua, la guerra delle arance nella sala lettura, quando ho capito che eri geloso e non me lo hai mai detto, quanto mi manchi.
Ho paura di dimenticare tutto, di dimenticare la vita che non c'è più, al dolore delle cose che non tornano non ci penso mai, ma quando succede mi sento soffocare, sento mancarmi il respiro e soffoco di nostalgia, razionalmente penso che vivo, ho vissuto, ho l'urgenza della vita, sono nata così, mi hanno insegnato così, mi ribello alla vita, lotto contro per recuperare tempo, per rubare attimi, ma poi tutto passa e soffoco di memoria. A volte quando tutto mi torna ho paura di dimenticarmi i pezzi e non voglio, mi sento soffocare di inesorabilità, ho paura della vecchiaia, ho paura di finire, di non potere, ho paura che le cose finiscano perchè so benissimo che finiscono o si trasformano, ma finiscono. Mi convinco che anche io cambio, ma io sarei pronta a rifare ogni cosa così come è stata, dolore e gioia, ripetere ogni istante. Me ne vado a camminare così mi passa anche stavolta.
47 notes · View notes
teredo-navalis · 3 years
Text
Comunque stamattina dopo la discussione coi miei basata su "se vuoi continuare ad uscire a mezzanotte e mezzo massimo devi stare a casa" mi sono letteralmente buttata sotto il treno, perché era tardi e dovevo prenderlo ed era lì, allora ho attraversato i binari e mentre lo facevo ho visto che il treno non era più fermo ma si stava muovendo. il macchinista poi ha fermato e mi ha urlato dal finestrino "come cazzo ti viene?!" e mi è dispiaciuto per lui in quel momento ma l'unica cosa che sono riuscita a pensare io per me è stata "oopsie" e questa cosa (il fatto di non aver provato niente) mi preoccupa un po'
perché, anche se non so mai darmi risposte in questo senso, credo sempre che ci sia una spiegazione, una motivazione dietro le cose e i sentimenti e in questo momento non saprei davvero dire qual è e mi disturba molto non provare/aver provato alcun tipo di paura/rimorso/agitazione nei confronti di un evento che avrebbe benissimo potuto concludersi col mio fine vita proprio perché (nonostante io in passato non ci abbia tenuto affatto e non abbia minimamente esitato a fiondarmi sulle strisce pedonali anche in presenza di macchine che non accennavano a decelerare perché tanto ero io nel giusto e poi non m'importava niente di me e di quello che mi potesse succedere) ultimamente ci tengo abbastanza a restare in vita e vedere sprazzi del mio vecchio sentire nelle mie azioni mi spaventa non poco(semplicemente perché preferirei non tornare in quel luogo mentale)
12 notes · View notes
intotheclash · 3 years
Text
Fu il Maremmano a vederci; molto prima che noi sospettassimo della sua presenza. quel cazzo di terreno sembrava non finire mai. Grande come dieci campi da calcio e tagliato a strisce sottili dai fitti filari della vigna. notammo la sua testa sbucar fuori dalle foglie delle viti, ad un centinaio di metri di distanza, ci guardò per un istante, poi di nuovo chino sul lavoro. Nemmeno un cenno di saluto.
"Ecco dove si era infilato quel diavolo!" Esclamò Sergetto, già madido di sudore. Come tutti noi, del resto.
"Ma come cazzo avrà fatto ad accorgersi che stavamo arrivando?" Aggiunse Bomba, che zampillava come una fontana.
"Come ha fatto? Fai più casino tu che un trattore con i cingoli!" Ringhiò il Tasso. "A me, 'sta storia ha già rotto i coglioni. Non sarebbe dovuta andare in questo modo. E poi siamo arrivati quassù per aiutarlo e lui neanche ci caga."
"Piantala, Tasso! ti vuoi già rimangiare la promessa?" dissi. Ma neanche a me era piaciuto l'atteggiamento di Pietro.
"A parte il fatto che non ho promesso un cazzo di niente. Comunque sono qui e ci resto. Ma nessuno può impedirmi di lamentarmi."
Finalmente raggiungemmo il nostro amico. Compatti e armati delle nostre migliori intenzioni. O quasi. Il Maremmano attese qualche secondo prima di aprire bocca. Neanche ci guardò, rimase chino sul suo lavoro come uno schiavo dell'antica Roma. Era a torso nudo e i suoi muscoli guizzavano al ritmo imposto dalla zappa. "Cosa ci fate qui?" Chiese improvvisamente, restando concentrato sulle erbacce da togliere, evitando di  ferire le viti. "Già, cosa ci facciamo qui? Sai com'è: stamane non avevamo un cazzo da fare, non sapevamo come divertirci, così ad un idiota è venuto in mente di venirti a trovare e noialtri, idioti lo stesso, abbiamo accettato. Eccoci qua!" disse Tonino, guardando storto Sergetto.
"Zappare è uno dei nostri giochi preferiti!" Aggiunsi
"Dopo la gara di seghe! Naturalmente!" Disse Bomba.
"Siamo venuti ad aiutarti, ecco cosa! stronzetto di un borioso Maremmano!" ringhiò, al suo solito, il Tasso.
Ammutolimmo e lo fissammo. Che fosse impazzito? Anche il Maremmano posò la zappa, si raddrizzò la schiena, e lo fissò. Il Tasso rimase interdetto. Un velo di timore oscurò il suo sguardo. Di certo non si aspettava tutta quella attenzione. Si grattò, perplesso, il cranio malamente rasato e riprese:" Allora? Si può sapere che cazzo vi è preso? Cosa c'è che non va?" Pietro fece un passo verso di lui, con una lentezza esasperante, non tradiva alcuna emozione il figlio di puttana. Era un attore nato. Perché io ero sicuro che stesse giocando. Aveva fatte sue le nostre regole e le stava usando, ciò mi fece capire ancora di più che quello che stavamo facendo era giusto.
"Com'è che mi hai chiamato?" Sibilò a non più di due palmi dal brutto muso del Tasso.
Quest'ultimo, stavolta, esitò a lungo prima di rispondere, faceva correre lo sguardo da lui a noi, da noi a lui, in cerca di un appiglio. La situazione in cui si era messo non doveva piacergli affatto e probabilmente non sapeva come uscirne. Ma noi niente, duri e impassibili come le rocce dei nostri monti. Alla fine si fece coraggio. Non era una femminuccia, cazzo, era un lottatore. E, anche se la voce spezzata tradiva la sua poca fiducia in se stesso, rispose: "Ma che cazzo vuoi, Maremmano? Cosa ti avrò detto mai?"
"Come mi hai chiamato, poco fa?"
"Borioso! ti ho chiamato borioso!"
"Borioso?"
"Puoi giurarci! E allora?"
Il Maremmano fece una pausa che sembrò interminabile. Si scrollò la polvere di dosso, si sfregò le mani e con gli occhi piantati in quelli del tasso disse: " Bella parola. Mi piace. Dove l'hai imparata?" E gli fece l'occhiolino. Scoppiammo a ridere all'unisono, come una banda musicale cui il maestro ha dato il via con la bacchetta. Un crescendo di risate. Il Tasso sputava fiamme, ma, al contempo, si vedeva che si sentiva sollevato. Il pericolo era stato scongiurato. "Brutti figli di puttana!" Ci aggredì. "Questa me la pagate! E tu sei il più figlio di puttana di tutti, Maremmano. E me la pagherai più di tutti!"
Il Maremmano lo abbracciò stretto, ancora ridendo," Ho capito, te la pagherò, ma un altro giorno. Ora risparmia fiato e energie, che qui c'è un sacco da fare. Siete venuti per questo, no?"
"Borioso. Ma dove l'hai pescata 'sta parola? Lo sai almeno cosa significa?" Chiese Tonino avvicinandosi al Tasso.
"Certo che, a volte, fai proprio delle domande a cazzo! Non lo so no cosa significa! l'ho sentita ieri sera, alla tele. Stavo guardando un film di guerra. C'erano due che discutevano incazzati e, a un certo punto, uno ha detto borioso all'altro."
"Quindi?"
"Quell'altro ha fatto la faccia offesa, ha alzato il culo e se ne è andato via."
"E tu hai pensato bene che se ne sia andato per via della parola."
"Certo che è stato per quello!"
"Si, ma tu, prima di usarla, potevi almeno chiedere il significato a tuo padre!" Disse Bomba.
"Certo che glielo ho chiesto, idiota. Cosa credi?"
"E lui che ti ha risposto?"
"Guarda il film e non rompere i coglioni! Ecco cosa mi ha risposto."
13 notes · View notes
sciatu · 4 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
DOPO LA FESTA
Lo svegliò l’odore del caffè e inconsciamente capì subito che doveva essere un caffè fatto in casa. Aprì gli occhi ma vide solo il bianco delle lenzuola e solo il vederlo gli fece venire un gran mal di testa tanto che chiuse gli occhi “Amore ti ho portato il caffè” disse una voce femminile “Che strana voce ha Gessica questa mattina.” Si disse, ascoltando ad occhi chiusi quella voce sottile quasi da bambina. Sentì sulle labbra il bordo della tazzina e presala in mano bevve lentamente “Buonissimo, pensò, proprio come piace a me Gessica questa volta è stata brava” Apri gli occhi sorridendo e si vide davanti il volto di una donna che non aveva mai visto. Era mora con gli occhi scuri, mentre Gessica era bionda con gli occhi chiari, la ragazza indossava un accappatoio chiaro con disegnato degli orsetti e da come era aperto sul davanti, si capiva sia che sotto non indossava nulla sia che aveva una misura di petto tripla di quella di Gessica. Anche il resto del suo corpo era il doppio di quello di Gessica che con i suoi cinquanta chili scarsi sarebbe scomparsa dentro l’indumento. “Che c’è?” Chiese lei vedendo la sua faccia sconcertata. “La luce, mi da fastidio.” Rispose dicendo in parte la verità. “dovevi vedere che mal di testa avevo io quando mi sono svegliata – fece lei sorridendo con aria complice – poi mi sono fatta una doccia ed è passato tutto. Fatti anche tu una doccia, vedrai che starai meglio” Aprì l’anta di un grande armadio tirando fuori un accappatoio con coniglietti Solo allora, alzandosi dal letto, si accorse che era nudo. Guardò le due nudità, che pensò di nascondere tra le mani e poi la ragazza cercando qualche scusa. Lei invece gli passò l’accappatoio e sfiorò con le labbra quelle di lui “Uhmmm – fece lei sotto voce – mi fai venire voglia” e si girò dirigendosi verso la sala su cui, attraverso un disimpegno, si affacciava la stanza da letto. L’ osservò andarsene muovendo il suo di dietro in una maniera tale, che pur di misura XXL aveva un che di aerea civettuoleria con gli orsetti dell’accappatoio che sembrava ballassero il chachacha “Ma che minchia ho fatto? E quanto minchia ho bevuto? Mannaia a mia sembra che non so che non sopporto l’alcool e che poi non mi ricordo nulla!!!” Si chiese preoccupato ed incazzato con se stesso. Andò verso il disimpegno in cui vi era anche la porta del bagno che era un trionfo di rosa e di cornici barocche colmo del profumo di creme rimasto a mezz’aria insieme al vapore. Prima di entrare nella doccia si guardò nello specchio che copriva la porta del bagno. I capelli erano scomposti come se si fosse pettinato con i mortaretti, mentre la faccia sembrava quella di un ‘pizzatu o peggiu, di nu cugghiuni di mulu, tanto era brutta, grinzosa e smorta. Sul petto aveva dei segni come di graffi e li in basso vide delle strisce rosse che pensò preoccupato sangue scoprendo che invece era rossetto Il pensiero andò alla fidanzata. “Che gli dico ora a Gessica?” Entrò nella doccia e aprì l’acqua e solo mentre si insaponava si ricordò un cosa tremenda “Gessica mi ha lasciato!!” restò immobile nella doccia mentre l’acqua calda scendeva in piccoli rivoli sul suo corpo  e lavando la schiuma dall’odore di papaya con cui si era coperto. Ora ricordava! Aveva litigato con Gessica. Anzi no, lei era venuta all’appuntamento che gli aveva chiesto e gli aveva restituito l’anello. “Mi dispiace, ma nun è cosa” “Comu nun è cosa? C’è un altro?” “No, ma nun è cosa, ommai si comu n’amicu: non provo più niente. È come se mi fossi svegliata da un sogno capendo che era un incubo. Devo finire questa farsa prima che ci facciamo male” “Ma come un incubo? C’è un altro?” “No – rispose lei incazzata – non c’è un altro, è che non ci sei tu!” Si girò e se ne andò Lui la rincorse e la fermò “C’ è un altro, troia, non me lo vuoi dire! Come può essere che dopo cinque anni che stiamo insieme prendi e mi lasci così, come si lascia un cane per strada” Lei diventò una belva ed incominciò ad urlare “Non c’è nessuno, sei tu che mi hai rotto, con le tue visite ai parenti, con il parlare di un domani con solo impegni e sacrifici, senza mai pensare a quello che io voglio e a come la penso. Io voglio stare con qualcuno che mi riempia la vita non che me la organizzi! Perciò hai rotto, capito? R-O-T-TO” E l’osservò con gli occhi di una belva. La guardò stupito, chiedendosi se fosse proprio lei quella che chiamava “amorino” o “micettina” e che invece era na rannissima buttana! Reagì quindi come reagiscono tutti gli uomini stupidi: le diede uno schiaffo! Ma all’ultimo momento rallentò la forza dello schiaffo, perché era un gesto contro la sua natura e perché non aveva senso. Perché in fondo l’amava e non poteva farle del male. Lei invece gli restituì lo schiaffo con una violenza tale che dopo aver fatto due giri su sé stesso andò a sbattere contro un albero del marciapiede e scivolò sulla strada finendo sdraiato tra due macchine parcheggiate.  Probabilmente era svenuto perché si ricordò solo la voce di un bambino che diceva “Guarda mamma due piedi” E la madre rispondere, “non toccare è cacca” Si ricordò vagamente che si alzò e sentendosi le guance gonfie per lo schiaffo e il colpo all’albero decise di andare da Mario, un suo amico che abitava li vicino a cui raccontò quello che era successo. Mario gli diede del coglione perché tutti avevano capito che lei lo voleva lasciare, mentre solo lui insisteva a non capire, a voler continuare “ma se due si vogliono bene, si parlano e le cose si risolvono” Si difendeva lui “Ma lei ti parlava in tutti i modi, con il corpo, le allusioni e le parole. Ma tu eri chiù orbu i na littiridda (pipistrello): non hai mai capito na minchia!” Concluse l’amico. Poi ebbe pietà e gli disse che avevano organizzato una festa clandestina in un Palmento verso Santa Teresa, sarebbero andati a divertirsi e dopo due bicchieri di vodka avrebbe sicuramente dimenticato Gessica. Dopo quasi un ora e mezza di macchina finì in un vecchio baglio dove in un magazzino enorme stavano chiusi per via delle limitazioni del Covid, un centinaio di ragazzi che ballavano storditi dalla musica, dalle canne e dall’alcool. A lui bastarono pochi bicchierini di vodka al melone per imballarsi. Si mise a girare per il magazzino pieno di ragazzi, che ballavano agitandosi nella penombra e nella nebbia formata dal fumo denso delle canne. Ballavano stordendosi, accecati da un mitragliare ritmico di raggi laser e assordati dalla musica ossessiva. Ad un certo punto gli sembrò di vedere la forma filiforme di Gessica con la sua chioma bionda e lunga. Pensò che forse era li con il nuovo ragazzo. Furioso si aprì una strada tra la folla per raggiungerla. Dopo aver sgomitato a destra e sinistra la arrivò alle spalle ed era appoggiata ad una botte piena di bicchieri di plastica con altri ragazzi che gli stavano intorno. Le toccò la spalla gridando “Gessica...” pronto a restituire lo schiaffo che aveva ricevuto. Anzi stava quasi per farlo partire quando la bionda si girò mostrando una barba di tre giorni e un naso aquilino che da solo faceva provincia. “Chi Cessica e Cessica? Cammelu sugnu! cu je sta Cessica” Disse seccato il biondo con proboscide “Nenti, nenti, ho sbagliato persona” fece frenando il braccio che stava partendo. “Levati i cà ricchiuni chi finisci male” disse uno alto e grosso quanto un paracarro seduto vicino a Cammelu “Vatinni , chi nun ti mittemu i mani in coddu picchi nun vulemu prublemi” Sottolineò l’uomo elefante. “Na cosa dissi, puru pi sbagghiu” rispose e si allontanò ostentando una faccia cattiva per tener a bada il gruppo. Si spostò di lato sedendosi su uno sgabello accanto un'altra botte, sempre guardando gli amici di Cammelu in cagnesco. “e tu chi sei?” Disse una voce da bambina. Si girò e la vide. Era la classica curvy: faccia da bambola e corpo da lottatore di sumu “Che è una botte riservata anche questa?” Fece lui seccato e rassegnato a non aver più pace. “in teoria si – fece lei tristemente – lei mie amiche mi hanno portato qui per non farmi pensare al mio ragazzo che mi ha lasciato, poi si sono imboscate col primo che trovavano. Ora sono qui, sola, abbandonata da tutti e con la sensazione di essere per sempre una tagliata fuori” “Davvero il tuo ragazzo ti ha lasciato? Anche la mia ragazza mi ha lasciato…” “Benvenuto nel club degli abbandonati” Fece lei alzando un bicchiere di plastica pieno di un liquore rosso. Lui prese un bicchiere di plastica, vi versò i rimasugli dei bicchieri che erano sulla botte e disse serio “Salute” Bevve l’intruglio d’un fiato, facendo una smorfia quando gli arrivò nello stomaco. “e a te perché ti ha lasciato” Chiese lui. “Perché si vergognava di me. Tutti si vergognano di me! Anch’io mi vergogno di me. E a tè perché ti ha lasciato” “Perché non le stavo più bene” “E cioè…?” “L’amore è come un vestito, deve essere della tua taglia, deve essere per come tu vuoi essere. Quando ci siamo conosciuti ero della taglia giusta, formale ed elegante. Ora è cambiata la moda, va il casual ed il cafone. Non le stavo più bene, allora mi ha mandato a fanculo!” Lei lo guardò tutta seria qualche secondo “Ha fatto bene - come se avesse capito fino in fondo il suo discorso – Se un vestito non ci fa sentire a posto, è inutile tenerlo” “lo so, ma io pensavo che quello era il vestito che voleva. Pensavo che stare insieme voleva dire famiglia, figli, cena la domenica, visita alle zie, vedere i mobili per la casa. Per lei stare insieme voleva dire non dover sentire nessuno e divertirsi. A me rompeva le palle visitare quelle mummie delle zie, ma pensavo che doveva essere fatto, che se eravamo fidanzati eravamo parte delle nostre famiglie mentre lei si era fidanzata proprio per scappare di casa” “e perché non ne avete parlato?” “Perché non ci pensavo, credevo che quello era stare insieme. Perché pensavo di fare la cosa giusta invece non avevo capito na minchia!” “ A volte, ognuno vive il suo amore scrivendosi una parte che poi non sa recitare, o non è adatta a lui. Allora invece di trovare un punto d’incontro, una soluzione, si preferisce scappare. Il mio ex ha fatto così e forse anche la tua ha fatto così. ” “Giusto! Per amore uno non dovrebbe levarsi i vestiti, ma le sue ipocrisie e preconcetti” “Parli bene, bravo! Ma allora perché ti sei fatto lasciare?” “Perché la persona saggia capisce il problema prima che capiti, quella stupida capisce tutto solo dopo che è successo il disastro e spesso neanche allora” “Bravo” Disse lei finendo le ultime gocce del bicchiere Lui la guardò come se la vedesse per la prima volta. “Lo sai una cosa? Non ce ne deve fregare niente se ci hanno lasciato! Noi siamo meglio di loro: noi siamo abituati a soffrire! la vita non ci schiaccerà: noi da sfigati abbiamo fatto della sofferenza la nostra corazza” “giusto: siamo come l’aglio, più ne butti giù più ti torna su” Lui la guardò non capendo forse per l’alcool che incominciava a fare effetto. “L’aglio? Chi minchia ci ntrasi” “io nei paragoni ho sempre fatto schifo – poi abbassando gli occhi e arrossendo aggiunse sottovoce – sono stupida” Lo disse con un’aria triste e facendo sporgere il labbro inferiore come fanno le bambine quando stanno quasi per piangere. A lui la faccia triste che mostrò lo fece ridere “Ma quale stupida e stupida vaja: stupido è il mondo che ci vuole tutti brillanti e spiritosi come cocainomani” Carmelu e i neandertaliani che lo accompagnavano, li guardavano scambiandosi battute e grosse risate Lui sentì che era partita un'altra canzone di J-Ax e per evitate problemi con quei vicini trogloditi decise che era meglio spostarsi da dove erano. “Balliamo! Facciamo vedere a tutti che ci siamo anche noi” Le prese la mano e la portò nell’aia che faceva da pista da discoteca e si misero ad agitarsi come presi dalle convulsioni. Poi, come sempre, arrivò un lento e si abbracciarono dondolandosi a destra e sinistra. Lei aveva la testa sulla sua spalla e lui stava valutando l’ipotesi di far scendere la sua mano sul posteriore di lei perché ormai a Gessica non gliene doveva fregare niente. “ Tu  faresti l’amore con me?” “Certo – le rispose – sei una bella ragazza, chi non lo vorrebbe fare?” “mi ricordo che il mio ex diceva che gli facevo schifo, che ero tanto grossa che non riusciva ad abbracciarmi” “I ricordi sono come le banconote fuori corso: possono essere belle o brutte ma in ogni caso non hanno più nessun valore. È inutile che li accumuli, perché non potrai spenderli mai. Lasciali stare i ricordi del tuo ex e pensa che inizi una nuova vita” Lei gli sorrise ed appoggiò la testa sulla sua spalla, ma dopo meno di qualche minuto la risollevò “Scusami, non mi sento bene, voglio….  voglio tornarmene a casa. Grazie della compagnia. Mi ha fatto bene” Lui gli avrebbe anche creduto se dai suoi occhi non fossero partite due lunghe strisce di lacrime. Si staccò da lui e se ne andò quasi barcollando. Vedendola zizzagare tra la folla, lui pensò che dentro di sé lui era come lei, disorientata, amareggiata, offesa, sola, delusa e tutto quello che uno poteva sentire in una simile situazione.  Pensò anche che per come barcollava, sicuramente si sarebbe ammazzata da qualche parte. Non che lui non fosse alticcio, ma lei sicuramente stava peggio di lui. La raggiunse e si mise accanto a lei “vuoi che ti accompagno? Non mi sembra che puoi guidare” “no, no sto bene credimi” Rispose prima di lanciare un urlo perché aveva messo un piede in fallo e stava per cadere. La prese al volo e la portò al parcheggio delle macchine. Questo era tutto quello che ricordava. Il resto, compreso il nome di lei, era da qualche parte nella sua testa, tra l’alcool che ancora non aveva smaltito e il ricordo di Gessica che faceva sempre meno male.
Uscì dal bagno rinfrancato e con l’accappatoio con i coniglietti e le pantofole a forma di coniglio attraversò la sala di fronte alla camera da letto. La sala faceva da salotto sala da pranzo e cucina. A lato della piccola cucina a vista c’era una vetrata che dava su un terrazzo dove sotto una tenda lei (come si chiamava? Anna? Carmela? Assunta?) era seduta ad un tavolo pieno di cibo. Dalla terrazza si vedeva il mare di un blu intenso sotto un cielo di un azzurro slavato e con un silenzio irreale rotto dal rumore di qualche camion o macchina che passava per strada. Si avvicinò seguendo il profumo di uova strapazzate e briosce calde. “Ho preparato qualcosa” Si sedette affamato e incominciò a mangiare tutto quello che gli capitava “Non ho mai avuto tanta fame al mattino” “Forse hai fame perché sono le quattro di sera” “Le quattro? Mamma mia ma quanto abbiamo dormito?” “poco visto che ci siamo addormentati per le sette del mattino, quando è passato il camion della spazzatura” “Ma scusa, siamo usciti alle undici, che abbiamo fatto da quell’ora alle sette?” “Abbiamo fatto! e tanto anche…” Rispose con uno sguardo malizioso Elisa? Alberta? Gianna? Lui la guardò incapace di crederle perché con Gessica amarsi più di mezzora era un record mai raggiunto. “Tutto questo tempo a letto? Incredibile” “Bhe non tutto questo tempo, ti ricordi? Abbiamo iniziato nell’ascensore…” Si ricordò! Improvvisamente si ricordò quando, arrivati a casa di Emanuela? Natalia? Marta?  dopo che lui le aveva parlato in macchina dell’importanza dell’essere sull’apparire, con esempi importanti da Maradona a San Francesco, Filomena? Renata? Marina?  gli chiese se voleva un caffè a casa sua, così poteva aiutarla a cercare le chiavi che non riusciva neanche ad aprire la borsetta. Lui accettò perché nelle ultime curve aveva avuto qualche problema a restare nella sua corsia. Scesero ed entrarono in un piccolo ascensore, tanto piccolo che pur stringendosi riuscivano appena a chiudere le porte. Erano cosi vicini che lui era quasi imbarazzato e per questo disse a Susanna? Concetta? Giulia? “Una volta facevano questi ascensori piccolissimi” Marta? Immacolata? Francesca? Fece la faccia sconsolata “Non è piccolo l’ascensore, sono io che sono grossa, che sono troppo grassa e stupida! A me nessuno mi amerà con la passione e la voglia che danno alle altre, nessuno mi sceglierebbe mai tra tutte le mie amiche o mi farebbe sentire come l’unica donna da amare. Tu parli parli, ma io sarò sempre una delle tante, buona per cinque minuti di sesso e per restare sola con una vita di rimpianti.” Alla luce fioca e tristemente gialla della lampadina, la guardo stupito perché alla fine, tutte le parole dette in macchina e il silenzio con cui le aveva ascoltate, non avevano risolto il nocciolo del suo dolore. Capì che era inutile buttare salvagenti di parole ad un’anima che stava affondando nel mare del suo non amarsi e che doveva tuffarsi in quel mare e andare a riprenderla prima che per sempre scomparisse nei suoi abissi, sfiorendo e inaridendosi. Allora lentamente, si abbassò di poco e delicatamente appoggiò le sue labbra su quelle di lei sfiorandole appena perché lo schiaffo di Gessica gli aveva fatto capire che ad ogni azione corrisponde una reazione contraria e di ugual intensità. “per me non sei una seconda scelta” Le disse con ancora le sue labbra calde delle sue. Alberta? Gaia? Ruth? aveva gli occhi fissi nei suoi come mani tese di un naufrago che spuntano tra le onde. “non so crederci più…” Gli rispose con un filo di voce. Era questo quello che la intristiva quello che aveva ucciso la sua speranza nella vita: aveva perso la sua fede nell’amore. Allora, come un giocatore d’azzardo, decise che doveva puntare tutto quello che poteva, per prendere tutto, o niente. Scese lentamente a toccare quelle di Beatrice? Gaia? Nicole? con le sue labbra semiaperte e a metterci più passione, ma capì subito che quello era un bacio che chiunque poteva dare a chiunque e che non era quello il modo di farle capire che lei, senza essere nessuno, era importantissima, che la vita, non era il dolore che ci poteva dare ma le opportunità che offriva. Allora fece scendere le sue mani sulla sua schiena premendo il suo corpo contro il suo soffice e profumato corpo. Quando le sue mani arrivarono al fondo schiena lo accarezzò lentamente in tutta la sua grande estensione, poi afferrata la sua veste, incominciò a raccoglierla tirandola su lentamente. Intanto la sua lingua era andata a cercare quella di lei invitandola a giocare a seguirla nella sua ricerca del piacere. La veste era ormai tutta nelle sue mani e le sue dita si erano raccolte intorno al filo del suo tanga. Allora incominciò ad abbassarsi lasciando tutta una scia luminosa di baci, sul collo e sul seno di Gloria? Valentina? Marcella? mentre faceva scivolare il suo tanga fino a che non lo lasciò su i suoi piedi. Risali lentamente continuando con i suoi baci sulle ginocchia, sulle tonde cosce, restando nascosto sotto la gonna e da li arrivò fino all’altra bocca di Raimonda? Gioconda?  Ilaria? che baciò nello stesso modo e con la stessa intensità di prima. Emerenziana? Angela? Epifania?  lo aveva seguito nel suo voglioso scendere, prima sorridendo, poi stupita, quindi persa in quanto le stava facendo, abbandonandosi all’ ondata di sensazioni che provava. L’ascensore era ormai al piano e la piccola lampadina si spense. Il buio era riempito solo dal respiro di Martina? Margherita? Rosa? sempre più affannoso, mentre chiudeva gli occhi e il suo respiro aumentava diventando più profondo e ritmico. Piegò la testa all’indietro e con le mani premette la testa di lui sotto il vestito contro il fuoco del suo corpo aiutandolo, muovendo il bacino avanti e indietro, a darle tutto quello che in quel modo voleva dirle sulla vita e sull’amore, ora che apparivano essere una sola cosa. Poi ci fu il rumore di una serratura che si stava aprendo e di corsa si ricomposero, Monica? Federica? Rachele? aprì la porta del piccolo ascensore, lo prese per mano e corse alla porta di casa sua tirandoselo dietro. Si chiuse la porta alle spalle e lo guardò. Lui si avvicino per sentire ancora il calore del suo corpo e Azzurra? Asia? Annarita? lo prese dalla camicia, lo attirò a se e lo baciò come se la sua anima attraverso le sue labbra dovesse scendere dentro di lui a cercare la sua. Non era un bacio, era come quando il sale si scioglieva nell’acqua, ora Pasqualina? Litteria? Epifania? si stava sciogliendo in lui per essere insieme qualcosa di diverso da quanto erano prima, da quello in cui gli altri li avevano infelicemente trasformati. Lui capì che Assunta? Pina? Maddalena? Era quel tipo di donna che ogni uomo avrebbe voluto accanto, non tanto per il sesso, ma perché sapeva restituire tutte le emozioni, tutta la gioia e piacere che le si dava. Si ricordò che era iniziato tutto così con Teresa? Serena? Angelica?
Sorrise soddisfatto. Era la cosa più strana che avesse mai fatto per una donna. Mostrò i graffi sul petto “E questi ?” “È stato quando mi hai fatto mettere su di lui…” Ricordò improvvisamente anche questo. Le aveva detto di salire su di lui e di muoversi per come le dava più piacere. Lei aveva incominciato e poi aveva trovato il modo giusto e quando lui le aveva afferrato i meloni davanti e li aveva spremuti, lei era come svenuta e si era aggrappata con le unghie al suo petto per non cadere dal letto. “però anche tu mi hai fatto male “ Gli disse Alessia? Fiorella? Selvaggia?  simulando il broncio E gli fece vedere una spalla dove vi erano stampati i suoi denti “ E questo?” “ Quando mi hai fatto fare la capretta e mi dicevi tutte quelle cose cattive  dandomi  gli schiaffi sul sedere e tirandomi i capelli.” Lui ebbe un flash back, con il sederone di Tindara? Febronia?  Ada? Che andava avanti e indietro e lui che le mordeva la spalla stringendole il seno. Lei si era abbattuta sul letto, accasciandosi tra le lenzuola disfatte con un lungo lamento, tanto che pensò le fosse venuto un infarto. Invece sorrideva e i suoi occhi mostravano solo il bianco del piacere assoluto. “Abbiamo fatto tutto questo?” “Si, poi abbiamo fatto il gioco del “Mi piace”. Tu mi baciavi sul corpo e io ti dovevo dire se mi piaceva o no e poi io l’ho fatto con te. Poi abbiamo parlato ci siamo detti tante cose di noi. Ti ho detto cose che neanche al mio ex ho detto.” “E anch’io ti ho detto tante cose?” “si. Mi hai fatto pensare. Poi hai incominciato a farmi il solletico e siamo finiti a fare l’amore” “Ancora?” “Si ancora. E’ stato dolce, molto bello…” “Insomma ci siamo divertiti! Ed io che non mi ricordo nulla… che figura” “Abbiamo giocato tutta la notte. Mi hai detto che l’amore è un gioco. Se dai una palla a dei bambini questi giocano tanto da non sentire fame e fatica, e noi stavamo facendo lo stesso. Il sesso era il nostro gioco e giocare è il modo più felice di vivere.” Lui sorrise. “Ieri è stata la giornata più triste della mia vita e nello stesso tempo è stata quella più fortunata perché ho incontrato te. In fondo questa è la vita” Si alzò una folata di vento che scosse la tenda che copriva la terrazza. Nuziata? Crocifissa? Immacolata? Si strinse l’accappatoio “Sta incominciando a fare freddo” “Ti aiuto a portare tutto dentro” Prese il latte e la spremuta di arancia e li portò dentro nel frigo. Federica? Stella? Matilde? raccolse tazze e tazzine e li mise nell’acquaio incominciandoli a pulire. Lui andò nella stanza da letto per vestirsi. Lo fece lentamente perché gli piaceva essere in quella stanza che sapeva di Gilda? Arianna? Bianca? Lei arrivò poco dopo e si sdraio a letto. “Mi riposo cinque minuti e poi rifaccio il letto”. Lui l’osservò distendersi nel letto e mettersi sotto le coperte con l’accappatoio. Le si sdraiò accanto e Alberta?  Ginevra? Aurora? si avvicinò abbracciandolo ad occhi chiusi e gli chiese “Ora cosa siamo? Fidanzati?” “Tu cosa dici?” “Siamo qualcosa in mezzo tra essere amici ed essere fidanzati - Restò qualche secondo in silenzio - Non voglio fidanzarmi!  Non voglio rincominciare tutto da capo con amici e parenti. Non voglio correre dietro a quello che sono gli altri o a quello che pensano” “È meglio restare così più che amici, ma non innamorati” “non seriamente innamorati!” precisò lei “Ti spaventa impegnarti di nuovo?” “Si e forse non ne vale la pena. Meglio essere una tra le tante, amare quando e se serve, ma restare libera senza impegni. Stare insieme è difficile. Io non so più sopportarlo!” “Forse è giusto così! La laurea, il lavoro, il matrimonio, tutti a darti obiettivi che adesso non hanno più senso. Forse hai ragione, forse è meglio restare cosi, fuori da ogni definizione.” “Per ora è quello che voglio. Ho bisogno di fermarmi e capire cosa voglio. Non voglio più decidere per paura di restare sola, o perché mi sento incapace di affrontare la vita. Uno deve scegliere per quello che prova, che desidera, non perché deve scegliere per ora paura della solitudine o di essere diversa dagli altri” Lui restò in silenzio per qualche secondo ”Io penso che la vita cambia sempre e proprio per questo devi cogliere le opportunità che ti arrivano. Per farlo però devi sapere cosa vuoi. Devo pensarci anch’io. Però ora ho sonno.” Si giro chiudendo gli occhi e mettendo i piedi sotto le coperte. Anche lei si girò dandogli le spalle e si accucciò per dormire “Se vuoi puoi andare – disse con la voce impastata di sonno – non ti preoccupare che non mi offendo…. Lasciami il tuo numero di cellulare…. Il mio è scritto sulla lavagnetta in cucina.” Lui rispose con una specie di grugnito.
La svegliò un odore forte che sul momento non capiva cosa fosse. Allungò la mano cercandolo, ma il letto era vuoto e sentì solo le lenzuola fredde. “Se ne è andato! È giusto così – pensò con un po' di tristezza – ha fatto quello che gli avevo detto di fare. Non posso prendermela! È un bravo ragazzo e con lui mi piace parlargli e giocarci. Ma non posso obbligarlo. Non posso imporgli la mia presenza per sempre, per una notte di sesso che abbiamo avuto. Grazie a lui però ho capito. Non esiste gente di seconda o prima scelta! Esiste chi sa dividere il proprio cuore con qualche altro come si divide il pane ed altri che non hanno nulla da dividere perché il loro cuore è come pane secco. Lui è dei primi: tutto quello che ha fatto lo ha fatto per me, perché mi sentiva uguale a lui e in fondo lo siamo. Lui ha aiutato me e io lui, abbiamo già un legame, dobbiamo solo capire quanto è forte. Lo chiamo domani per un caffè e magari stiamo un po' insieme per parlarci. Speriamo che mi abbia lasciato il cellulare e scritto come si chiama. Eravamo tanto brilli che non ci siamo neanche chiesti il nome. Ma non avevamo bisogno di sapere il nome o di chiamarci. Eravamo già nella stessa solitudine e li insieme e non potevamo lasciarci. Mi piace stare con lui, non mi fa sentire stupida e mi piace come mi bacia. Forse però domani non posso incontrarlo. Forse era meglio dirglielo prima. Comunque lo chiamerò per sentirlo. Ho voglia di rivederlo. Forse ne ho bisogno...” L’odore divenne più forte. Ora capì cosa era: frittura di aglio! Sicuramente aveva lasciato la vetrata aperta ed era salito l’odore della cucina del piano di sotto. Doveva alzarsi e chiuderla perché se no l’appartamento avrebbe avuto l’odore di una trattoria. Si alzò stringendosi addosso l’accappatoio. Ciabattò dinoccolandosi verso la porta della sala. Quando l’aprì restò di stucco. La sala era buia perché nella poca luce del crepuscolo, solo la luce della cappa della cucina era accesa. Davanti alla cucina c’era lui che stava muovendo con abilità la padella più grande da cui proveniva il rumore di gusci di vongole che si urtavano. L’osservò versare un bicchiere di vino bianco che sfrigolò liberando verso l’alto una nube di vapore. Incominciò a tritate sul tagliere il prezzemolo fresco e il suo odore riempì la sala unendosi a quello dell’aglio. Il suo pancino incominciò a gorgogliare di gioia nel sentire quei profumi. Si avvicinò lentamente alla cucina e quando fu a pochi metri di distanza lui si girò mentre sorseggiava un bicchiere di vino bianco. Le sorrise. “Ho visto le vongole in frigo. Se non le facevo si piddianu (sarebbero andate a male).” Sorrise ancora e si girò a tritare il prezzemolo. Dopo alcuni colpi si fermò e senza voltarsi le disse. “Ci ho pensato! Ho capito che per me non sei una seconda scelta, non lo puoi essere più” Lei si avvicinò e lo strinse appoggiando la testa sulle sue spalle, chiuse gli occhi e sorrise felice. Lui riprese a tritare il prezzemolo e lei restò attaccata a lui, “Va bene così – gli disse stringendolo e strusciandosi con lui come se fosse una coperta calda in inverno – non ci pensare, va bene così” Fuori il sole era una sottile striscia gialla che divideva il blu scuro del mare da quello del cielo. La striscia luminosa lentamente  scomparve e mare e cielo diventarono un unico colore.
16 notes · View notes
giuliakmonroe · 3 years
Text
𝐁𝐞𝐧𝐯𝐞𝐧𝐮𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐁𝐥𝐨𝐠 🎔
Post inaugurale di questo blog, ovviamente di domenica, perché è il giorno in cui mi dedicherò a questo sito e vi posterò un breve recap di quella che è stata la mia settimana, tra vita personale, lavorativa, sportiva e tutti i progetti con i quali mi sono oberata.
Progetti di cui trovate una panoramica completa in questo video:
youtube
Per il resto, so che come post introduttivo non è regolare, uno ci si aspetta un minimo di presentazione, ma se siete qui a leggere immagino che mi conosciate già per vie traverse, quindi sarebbe alquanto inutile ammorbarvi con una serie di informazioni sulla sottoscritta che già dovreste aver potuto reperire dagli altri Canali tramite i quali siete giunti fin qui; invece, per chi è nuovo e gli è capitato questo mio post confusionario sotto le mani, beh... seguitemi e imparerete a conoscermi. In fondo, è come quando ci si incontra per la prima volta a una festa e si comincia a parlare: non è che uno sviscera tutto e subito di sé con una bella lista di cosa ci piace o non ci piace, giusto?
Comunque, per chi proprio non lo sapesse, comunico l'unica cosa per me davvero importante: sono un'aspirante scrittrice; tra poco meno di un anno sarò una scrittrice esordiente, perché sto per pubblicare il mio primo romanzo cartaceo per la DarkZone Edizioni, e questo è uno dei motivi per cui ho deciso di aprire questo blog.
Sto cercando di migliorare la mia presenza online, perché come spiego nel video di cui sopra, internet è ormai l'unico mezzo per farsi conoscere, soprattutto in questa giungle selvaggia che è diventata l'editoria italiana, dove c'è più gente che scrive di quella che legge. É una vera e propria guerra e io sono pronta a combatterla. Sì, se vi fa piacere, potete immaginarmi con una divisa militare, una fascetta in testa e due strisce nere disegnare sulle guance. Renderebbe l'idea di quanto io sia seria in questo mio progetto supremo (che poi racchiude in sé tutti i progettini più piccoli di cui mi avete sentito blaterare su).
Ora, passando al recap: da oggi in poi, ogni domenica vi porterò tramite le mie parole dietro le quinte della mia vita, raccontandovi un po' di me attraverso ciò che mi succede durante tutta la settimana. SHOW, DON'T TELL. Chi scrive come me, sa a cosa mi riferisco.
Dato che però oggi è 30 Agosto, ultimo giorno di ferie, ho deciso di fare un recap di tutto il mese, quindi mettetevi comodi, prendete un pacco di biscotti o di patatine o di gelatine tutti i gusti più uno, insomma ciò che più aggrada le vostre papille gustative, e immergetevi in questo breve racconto del mese appena trascorso. Cercherò di non essere noiosa, lo prometto. Sto cercando anche di migliorare come scrittrice, inserendo una vena di ironia nei miei romanzi, quindi questo sarà un ottimo esercizio.
Le mie ferie sono iniziate il 31 Luglio (sì, il giorno del compleanno di Harry Potter, auguri in ritardo Harry e anche zia Jo, che nonostante tutte le mille critiche per le sue esternazioni sul web poco oculate, rimarrà per sempre la mia autrice preferita e il modello a cui ispiro. Per niente pretenziosa io, vero? PS. Non sono affatto di nuovo ossessionata da Harry Potter, è solo un'impressione. Sarà la riscrittura della mia primissima fanfiction, ovvero "Un Particolare In Più" - la trovare su Wattpad e su EFP, dove le sto dando un vero e proprio restyling!). Comunque, sono solo alla prima riga e già sono uscita dal tema, fantastico, Giulia, davvero. Ah già, per chi non mi conosce e se non fosse chiaro dal nome del blog, sono Giulia, piacere! Sopportatemi, non ho intenzione di frenare la mia mente o le mie dita, quindi scriverò qualsiasi cosa mi venga in mente senza farmi troppi problemi o senza farci troppi ricami sopra, quindi sarà sicuramente un blog confusionario, ma tant'è. In fondo, non è così che funziona un diario personale?
Ad ogni modo, cercando di tornare sulla retta via.
Quest'anno, per la prima volta da quando ho abbandonato il mondo degli studi e mi sono inoltrata nel mondo del lavoro, ormai sei anni fa, sono davvero riuscita a staccare la spina. Sì, il pensiero del mio ufficio ogni tanto si è affacciato e mi ha tormentata un pochino, caricandomi il petto di un peso che nell'ultimo periodo lavorativo ho sentito fin troppo spesso, ma sono riuscita ad allontanarlo tempestivamente e a godermi ogni giorno senza pensare a quando questo meritato riposo sarebbe giunto al termine. Non ho neanche risposto alle chiamate dei miei colleghi e probabilmente verrò additata come la solita antipatica, menefreghista e asociale, ma davvero, non mi importa. Io ne avevo bisogno. Avevo bisogno di fingere che non esistessero, almeno per questo mese. Avevo bisogno di ricaricare le batterie, pensare solo a me stessa, godermi la mia provvisoria libertà e dedicarmi a tutto ciò che nel resto dell'anno posso fare solo durante le mie brevi pause dal lavoro (che, facendo un calcolo approssimativo, si riducono davvero a due sole ore piene al giorno, il che è abbastanza deprimente).
Ho vissuto l'ultimo periodo al lavoro davvero male. Quest'anno era partito benissimo, avevo trovato la mia dimensione, mi sentivo fiera di me. Se mi seguite su Instagram (altrimenti al lato della Homepage trovate tutti i link dove venire a seguirmi) sapete che ero riuscita ad adottare uno stile di vita più "zen", se vogliamo definirlo in questo modo. Avevo capito che farmi coinvolgere dai problemi del lavoro, starci male, prendermeli a cuore o prendermene la responsabilità, anche quando non spettava a me, e starci male, con attacchi di ansia, di panico, difficoltà a respirare, come se mi si allagassero i polmoni e l'ossigeno che vi immettevo non fosse mai abbastanza... ecco, non era giusto. Dovevo riuscire a guardare tutto con più distacco, a preoccuparmi del mio lavoro e non anche di quello degli altri, perché se non se ne facevano un problema loro, perché avrei dovuto farmelo io? Eppure, per quanto ci abbia provato, gli ultimi due mesi sono stata letteralmente abbandonata a me stessa. Gestivo tutto da sola in ufficio, cercavo di risolvere ogni problema e alla fine sono annegata.
Quest'anno non può e non deve ripetersi.
Sono riuscita a rimettermi in sesto. Domani tornerò in ufficio e, a dispetto di quel che pensavo, non sono così depressa e nemmeno preoccupata. Riesco a respirare (abbastanza) bene quando ci penso, il senso di oppressione è quasi del tutto sparito, quindi penso di essere riuscita a calmarmi e sono pronta a ricominciare. Ricominciare sì, ma con uno spirito nuovo. Non mi sobbarcherò più del lavoro degli altri e penserò solo a fare il mio, al meglio delle mie capacità, com'è giusto che sia.
Non pensavo davvero che avrei parlato così tanto del mio lavoro, in questo post, ma forse sentivo la necessità di farlo. La necessità di esternare come mi sono sentita e come mi sento ancora adesso quando ci ripenso. La scrittura, in fondo, è una delle migliori terapie e per me ha sempre funzionato. Vorrei piangere, dopo aver scritto questo papiro, chissà perché. Sento anche un piccolo peso sul cuore, ma sorrido e proseguo. Non c'è alcun motivo per essere agitate.
Comunque, dicevo... anzi, in realtà "scrivevo".
In questo mese di ferie mi sono rilassata, ma sono stata anche contenta di non aver oziato tutto il giorno, ma di essere riuscita a iniziare tanti nuovi percorsi, che hanno poi dato vita ai molteplici progetti di cui al video. Ecco quindi una breve lista delle cose per cui sono grata a queste ferie:
1) Ho scritto, tanto e tutti i giorni; maggiormente mi sono dedicata alla mia FanFiction su My Hero Academia, "Distance", che trovate su Wattpad, EFP e Fanfiction.net, ma ho anche ripreso in mano, oltre ogni previsione, "Un Particolare In Più" e la sto revisionando, cambiando e decisamente migliorando. Ho lavorato tantissimo anche alla revisione di "Un Frammento Nel Cuore", romanzo in uscita (ancora non ho una data neanche indicativa) con Le Mezzelane e sono orgogliosa dei progressi che ho fatto, di come la stiamo evolvendo insieme all'editor. É stato terribile e al tempo stesso meraviglioso scoprire quanto lavoro ancora io debba fare per migliorare come scrittrice e intendo farlo, garantito.
2) Sono uscita dal blocco del lettore e ho ripreso rileggendo la Saga dell'Attraversaspecchi. Una cosa bella (e terrificante!) di me è che la mia memoria non funziona molto bene, quindi sto leggendo i libri quasi fosse la prima volta. Certo, ho un'idea generale di cosa succede, ma non ricordavo quasi nulla dei dettagli e della trama di ogni singolo libro, quindi immergermi di nuovo nel mondo di Ofelia e Thorn è fantastico e mi sta facendo sognare forse ancor di più che la prima volta.
3) Mi sto allenando giornalmente, seguendo video di esercizi su YouTube che mi stancano il giusto, appagando la mia voglia di migliorare sia dal punto di vista estetico che atletico. Da Settembre riprenderò anche il corso di JuJitsu, quindi spero di riuscire a mantenere un buon ritmo, a non farmi scoraggiare e stressare troppo dal lavoro e ad avere costanza con tutti gli allenamenti. Dall'anno scorso ho perso circa 10 Kg, ma adesso sto veramente faticando a buttare giù ogni grammo, anzi capitano giorni, come oggi, nei quali nonostante sia ligia, mi alleni e mangi intorno alle 1300 calore al giorno, la mia stupida bilancia segna grammi in più invece che in meno, ma pazienza, devo essere paziente e non arrendermi. Vedrò i risultati col tempo, se non mi lascio abbattere.
4) Ho passato un sacco di tempo con la mia famiglia e per me è una cosa super importante. Amo i miei genitori, sono la mia vita, e poter trascorrere del tempo con loro, specialmente da quando ho "lasciato il nido" e ho cominciato a costruirmi una vita tutta mia, è per me meraviglioso. Devo anche ammettere di essere stata estremamente fortunata a incontrare un ragazzo meraviglioso, che capisce le mie esigenze e non mi fa mai pesare nulla, anzi. Un vero amore e forse non lo sa, perché non lo dimostro mai abbastanza, ma gli sono grata e lo amo per tutto quello che fa per me.
5) Ho visitato un sacco di posti nuovi e ho scattato tante foto, altra cosa che mi ha reso super contenta: da una parte, non me ne sono stata sempre chiusa in casa, ma ho riscoperto la gioia di passeggiare all'aria aperta, nella natura, in luoghi nuovi e meravigliosi; dall'altra, sto cercando di imparare ad accettare me stessa e il mio fisico per come sono, quindi anche se non sono perfetta, anche se non sono una modella, mi sono atteggiata a tale e ho scattato foto stupende in posti stupendi. Ve ne lascerò una carrellata nei prossimi post.
Bene, direi che per oggi è tutto (non lo so, ho scritto un romanzo, ma cosa vi aspettavate da una scrittrice?)
Spero abbiate voglia di seguirmi qui (come su tutti gli altri social, che vi ricordo trovate nella mia Homepage).
Alla prossima domenica, un bacio enorme.
Vostra Giulia K. Monroe
1 note · View note
Text
- Campanello.
- Vado io, vado io, tranquillo.
- Salve.
- Salve, oh dio che brutta cera. Che le è successo?
- Mi è successo lei.
- Io? In che senso?
- Ieri sera lei mi ha investito.
- Come investito?
- Stavo sulle strisce, e lei mi ha investito.
- Suvvia, non sia così precipitoso. È sicuro che fossi io?
- Sì.
- Glielo chiedo perché era buio, magari non ha visto bene.
- Questa è la sua macchina?
- Sì.
- E allora era lei. Fuori dal Billionaire.
- Ah, adesso mi ricordo. Come stai?
- Sto che mi hai investito.
- Ho capito, intanto parla piano che qua i vicini son terribili. Ascolta, eri ubriaco…
- E tu eri dentro due tonnellate di acciaio.
- Non si va in giro ubriachi. Vestiti così, poi…
- Vestiti come?
- Dai, con la maglietta a righe. A righe sulle strisce pedonali. Uno se la sta un po’ cercando.
- Come mi devo vestire per non essere tirato sotto dalla tua macchina?
- Ah, non cominciamo con 'sta storia eh.
- Che storia?
- Che t’avrei tirato sotto con la macchina.
- Tu mi hai tirato sotto con la macchina.
- No, io ti ho investito.
- Fa differenza?
- Certo. Se dici “tirato sotto con la macchina” mi fai sembrare un mostro. Intanto non t’ho mica ammazzato. Stai in piedi, stai benone, magari t’è pure un po’ piaciuto.
- Ma cosa cazzo stai dicendo?
- Dai, su, magari te sei di quelli che si mette a bordo strada e aspetta la macchina grossa. Che ci gode un po’ a fare sto gioco pedone – pirata della strada.
- Mi hai investito. Mi hai fatto male.
- Ma cosa vuoi che ti abbia fatto male? Se ti avessi fatto male, avresti urlato. Hai urlato?
- No.
- E allora lo vedi che un po’ t’andava di essere investito. Se urlavi, frenavo.
- Non ho urlato perché avevo paura.
- Ecco, questo proprio non lo capisco. Ti fa paura essere investito la sera? E allora non uscire la sera, oppure fatti accompagnare quando attraversi la strada. Che ci vuole?
- E se io volessi attraversare la strada da solo?
- Ti assumi le tue belle responsabilità. Da che mondo è mondo gli automobilisti tirano sotto i pedoni, non è una novità. Uno si dovrebbe tutelare di conseguenza. E poi scusami, se ti ho fatto così male perché non sei andato a denunciarmi.
- Ci vado a denunciarti.
- Quando?
- Domani.
- Eh bravo, e perché non dopodomani, o magari la settimana prossima. Se uno viene investito, denuncia subito. Non è che aspetta. Se aspetta è perché non è stato investito, no?
- Avevo paura. Ero sotto shock.
- E allo shock mio non ci pensi? Alla paura mia non ci pensi?
- Che paura?
- Ma scusa, tu adesso mi denunci e io passo per pirata della strada. La mia reputazione, il mio lavoro, tutto nel cesso perché magari, forse, non sei sicuro ti ho tirato sotto che stavi mezzo ubriaco. Dai, per cortesia.
- Non me ne frega niente. Ti denuncio.
- Così mi rovini la vita.
- Tu a me l’hai già rovinata.
- Aspetta, aspetta… forse ho una soluzione per risolvere questa faccenda.
- Non voglio soldi.
- No, macché soldi. Aspetta qua.
- Perché?
- Papààà! Puoi venire un attimo?
1 note · View note
comeilsoletramonta · 4 years
Text
Ho una passione per i fumetti… Tutti i fumetti!
Il mio amore per i libri e per i fumetti dura da sempre: i miei genitori mi leggevano un sacco di fiabe da bambina, così come i giornalini di Topolino e di Barbie. È così che ho imparato a riconoscere le lettere e a leggere con scioltezza a quattro anni e mezzo.
Posso dire di aver letto di tutto, ma è soprattutto con i fumetti che ho sperimentato di più: sono partita con Topolino, poi l’ho lasciato per i fotoromanzi di Barbie alla scuola materna e buona parte delle elementari. Perso l’interesse per Barbie, ho ripreso con Topolino per altri tre anni (complice l’abbonamento annuale) e le intramontabili W.I.T.C.H. 
Alle medie abbandonai i fumetti, perchè volevo sentirmi grande e trovare nelle pagine dei giornaletti per ragazzine (tipo Top Girl o Cioè) la migliore amica che non avevo e con cui potevo confrontarmi per affrontare l’adolescenza. Di quelle riviste mi stancai però presto, perchè mi sembravano tutte uguali e, in un certo senso, insulse: come potevano aiutarmi i loro consigli sull’amore e sull’amicizia, quando ero terribilmente sola, e come potevano interessarmi i gossip sulle star che io manco seguivo? I valori e gli ideali che quei giornaletti veicolavano non coincidevano con i miei, così smisi di comprarli e sono l’unica cosa cartacea di cui mi sono sbarazzata di cui non sento la mancanza.
Vennero poi finalmente le superiori e lì cambiò tutto. Grazie ad una compagna di classe, riscoprii il piacere dei baloon con i manga giapponesi (se adesso qualcuno si azzarda a mandarmi un messaggio anonimo, dicendo che non c’era bisogno di specificare “giapponesi”, lo picchio: esistono molti fumetti in stile manga anche di artisti di altri Paesi, come la Cina, la Corea del Sud e anche l’Italia). In quei cinque anni ho svaligiato la fornitissima fumetteria della mia cittadina con opere di Ai Yazawa, le CLAMP, Masashi Kishimoto e qualunque altro titolo mi ispirasse.
Alla lunga però, quel tipo di disegno e le trame quasi sempre simili persero di attrattiva. Avevo bisogno di nuovi stimoli e di nuove storie, così provai il fumetto occidentale durante gli anni universitari, soprattutto quello americano: iniziai con qualche numero di Star Wars e di qualche supereroe della Marvel. Presi anche qualche numero di The Walking Dead, ma non scattò la scintilla con nessuno di questi: o non mi piaceva lo stile di disegno oppure non mi appassionava la trama. Menzione speciale va ad una serie di strisce che per tutto quel periodo mi ha accompagnato e mi ha fatto riflettere con la sua ironia sagace e al tempo stesso tagliente: i Peanuts, di cui ho postato moltissime gag in questo blog.
Fu proprio in questo momento di limbo che trovai il comic perfetto per me: Batman. Dopotutto, da bambina era il mio supereroe preferito e amavo il cartone animato. Se il mio amico di penna torinese non mi avesse convinto a prendere in mano The Killing Joke, forse non mi sarei più riavvicinata a Gotham… Complice anche la faida fra i fan delle due più grandi case di supereroi americane che andava tanto di moda anni fa: io ero schierata con la Marvel (e tuttora la preferisco per i concept dei personaggi), quindi non osavo ammettere che ci potesse essere qualcosa di interessante nel pantheon DC. Invece, mi dovetti ricredere: The Killing Joke fu uno schiaffo a tutte le mie convinzioni e mi trasportò in un mondo più cupo e ammaliante di quanto potessi immaginare. Ancora adesso seguo il Cavaliere Oscuro con la pubblicazione quindicinale (sono indietrissimo con la lettura, quindi nessuno mi chieda pareri sulle ultime vicende, perchè non le ho lette) e, quando posso, recupero le grandi storie del passato come Il ritorno del Cavaliere Oscuro e il Lungo Halloween. L’ultimo acquisto è Anno Uno e non vedo l’ora di ritagliarmi un po’ di tempo per immergermi nel suo splendore.
Ma la mia curiosità per il mondo dei fumetti non si è fermata qui! Durante il Servizio Civile ho scoperto Zerocalcare e il catalogo della Bao, con tutte le loro proposte nostrane e internazionali. Anche se conosco molti autori solo di nome, ho già inserito alcune loro opere nella mia infinita lista di roba da leggere, aspettando il momento migliore per recuperarle (cioè quando riuscirò a smaltire qualcosa da questa benedetta lista).
Quindi, perchè ho scritto tutto questo panegirico? Perché da qualche settimana ho ripreso a cercare qualcosa di nuovo da leggere… In realtà, non si tratta di scoperte, ma di un grande ritorno: Topolino! Ho ricominciato a seguirlo dopo un lungo periodo di valutazione: mi era tornata la curiosità di riprendere in mano le avventure dei beniamini della mia infanzia, ma qualcosa mi aveva sempre frenato dal farlo. Forse era la paura di restare delusa, come è successo con tanti miti di quando ero bambina. Poi un mesetto fa mi sono decisa a prenderne una copia e ho ritrovato un mondo che conosco bene e che è ancora così strabiliante, proprio come lo ricordavo! Anzi, forse adesso lo apprezzo anche di più, perchè riesco a vedere dietro la lettura più superficiale e giocosa: tutto il lavoro stilistico e grafico che c’è dietro, dalla scelta del vocabolario alla mimica dei personaggi. È un mondo spiritoso e avventuroso, leggero ma emozionante, spensierato e istruttivo/educativo al tempo stesso. È semplicemente perfetto. E tuffandomi nuovamente fra le pagine di questo settimanale, ho capito perchè sono appassionata di storie a fumetti e perchè non riesco a farne a meno.
2 notes · View notes
levysoft · 4 years
Link
Le auto Mild Hybrid hanno senso? Pro e contro delle ibride “leggere” Con i nuovi incentivi le Mild Hybrid ritornano sotto i riflettori: servono davvero a qualcosa o sono solo uno stratagemma fiscale?
Mild Hybrid. Due parole che ormai siamo abituati a leggere spesso riguardo alle auto. Le ibride leggere infatti, come vengono tradotte in italiano, si stanno diffondendo a macchia d’olio. Dalle più piccole ed economiche sul mercato alle ammiraglie top di gamma, dai semplici sistemi a 12 Volt ai più complessi a 48. Ci sono Case che celebrano in pompa magna queste versioni ed altri che, senza dire nulla, aggiungono ai suoi motori “tradizionali” una componente ibrida.
Tutto chiaro, tutto bello. Ma questi sistemi, a cosa servono? Sono davvero vantaggiosi per consumi ed ambiente? Sono solo dei “vantaggi fiscali”? Oppure sono proprio inutili? Vediamo insieme i pregi e le critiche mosse al mild hybrid, un argomento di attualità sempre maggiore. Attenzione: non ci sono solo bianco e nero in questa storia, le sfumature di grigio sono moltissime!
Cosa sono le auto Mild Hybrid?
Vi abbiamo già parlato sulle pagine di Tech Princess delle auto Mild Hybrid, in una puntata del nostro celebre Auto For Dummies dedicato al mondo delle auto ibride. Per una disamina completa di tutti i sistemi ibridi e in particolare dei mild hybrid vi rimando lì.
Oggi però vi farò un piccolo ripasso della tecnologia che c’è dietro il mild hybrid. Le ibride leggere hanno un powertrain, ovvero un insieme di motori, costituito da un motore principale termico (che può essere benzina, diesel, anche a GPL o a metano) e da un piccolo motore elettrico. Questo motorino elettrico è collegato ad una piccola batteria agli ioni di litio, e sostituisce in un colpo solo motorino di avviamento ed alternatore. Quindi ha anche il compito di ricaricare la batteria ed alimentare tutti i sistemi di bordo, oltre che di immagazzinare energia all’interno della batteria.
Questo motore così “piccoletto” non raggiunge in media i 10-15 CV di potenza, spaziando dai 5 di FIAT Panda Hybrid ad arrivare agli oltre 20 di Audi A6 TDI o simili. Non ha quindi una potenza necessaria per muovere da solo le ruote. A cosa serve quindi? Ad aiutare il motore termico nei momenti in cui questo, per sua intrinseca natura, fa fatica a muovere l’auto. Alle ripartenze da fermo, ad esempio, a bassi giri, o quando si richiede tutta la potenza al motore.
Dal punto di vista meccanico, il sistema ibrido leggero può essere collegato al motore in due modi. Il modo più economico è montarlo come fosse un classico alternatore, ovvero collegato al motore tramite una cinghia. Questo sistema si chiama BSG (Belt Starter Generator), ed è pressochè adattabile ad ogni motore in circolazione, e a modelli sia manuali che automatici, oltre che piuttosto economico.
Il secondo sistema è più complesso, ed è chiamato ISG (Integrated Starter Generator). In breve, questo sistema prevede che il motore elettrico sia posto all’interno del cambio, di solito automatico. Questo sistema è più costoso, ma utilizza di norma motori più potenti, e più efficiente.
Quali sono i compiti del motore elettrico su un’auto mild hybrid?
Ricapitoliamo insieme velocemente quali sono i compiti del sistema ibrido su un’auto mild hybrid.
Il motore elettrico sostituisce alternatore e motorino di avviamento, permettendo un sistema Start&Stop fulmineo e senza vibrazioni o scatti.
Il motore elettrico recupera energia in rilascio e in frenata, a volte in maniera ben avvertibile.
Questa energia va ad alimentare i sistemi di bordo, e viene immagazzinata nella batteria agli ioni di litio del sistema ibrido.
L’energia raccolta viene infine utilizzata dal motore elettrico per aiutare il motore termico quando fa più fatica: alle ripartenze da fermo, durante le riprese, a pieno carico o quando il motore è a bassi giri.
Una mild hybrid è una ibrida “vera”? Per la legge… si
Arriviamo alla domanda fatidica che molti di voi si staranno facendo: le mild hybrid sono delle ibride “vere”?
La risposta è semplice: no. Il motore elettrico infatti non è mai in grado di muovere da solo l’automobile. Può supportare il motore termico, può sopperire ai suoi momenti con meno coppia e potenza, ma non sarà mai in grado di portarvi in giro neanche per pochi metri. Questo le rende anche dal punto di vista semantico differenti dalle ibride classiche. Ma sarebbe anche sbagliato chiederglielo: il sistema non nasce per questo!
Attenzione però: se dal punto di vista tecnico ed ingegneristico le mild hybrid non sono equiparabili a delle vere e proprie ibride, per la legislazione italiana, al momento, lo sono. Per le leggi italiane, infatti, non cambia nulla tra una Toyota Prius, una BMW i8 o una Suzuki Ignis Hybrid. Sono tutte ibride allo stesso modo. E da ibride, godono degli stessi vantaggi fiscali.
E di cosa si parla? Di parcheggi gratis sulle strisce blu in diverse città (previa iscrizione o segnalazione, mi raccomando!), di passaggio libero, o quasi, nelle ZTL e, soprattutto, a varie agevolazioni riguardo al pagamento di bollo ed assicurazione.
Se per l’assicurazione lo “sconto” dipende dalla società a cui vi rivolgete, per il bollo le agevolazioni cambiano a seconda della Regione di residenza. In Lazio e in Veneto, ad esempio, non si paga il bollo per 3 anni, mentre in Liguria per 5 anni. In Piemonte, 5 anni solo per le ibride con meno di 136 CV. Per saperne di più, andatevi a cercare la pagina riguardante le esenzioni dal bollo della vostra Regione di residenza.
Per ultimo ma non per importanza, tocchiamo il discorso incentivi statali. Da pochi giorni sono stati aperti gli ecobonus anche alle auto termiche con emissioni inferiori ai 110 g di CO2 al km, che per questa fascia raggiungono i 3500 euro. E indovinate quale sistema abbassa i livelli di CO2 sui modelli termici? Si, proprio lui, il Mild Hybrid. Sono tantissimi i modelli ibridi leggeri che usufruiscono dell’ecobonus, dalle piccole FIAT Panda e Suzuki Ignis a berline come BMW 320d, o SUV come Ford Puma.
I vantaggi segreti delle Mild Hybrid che rispondono a tutte le critiche
Come tutte le novità, anche le Mild Hybrid hanno attirato contro di loro molte critiche. Da chi le etichetta come totalmente inutili, a chi non capisce se abbiano reali vantaggi, a chi proprio non le considera. Io devo ammettere che all’inizio della diffusione di questi sistemi ero parecchio scettico.
“Cosa potranno mai portare 10 CV? Sarà solo una questione fiscale”. Certamente, i sistemi che portano poco o nessun vantaggio tangibile ci sono, come in ogni ambito c’è una soluzione venuta peggio di altre. Però pensandoci meglio, ragionandoci e soprattutto provando varie auto di questo tipo, ho realizzato che questo tipo di soluzione porta diversi vantaggi, diciamo, “nascosti” ad una prima veloce occhiata.
Intanto, un sistema mild hybrid è piuttosto leggero ed economico da realizzare. Questo significa che quando si dovesse scaricare, non ci sono 2-3-400 kg di batterie e motori elettrici da portare in giro, a tutto vantaggio di prestazioni ed efficienza. Certo, di solito questi sistemi pesano circa 50, massimo 80 kg, ma se si eliminano alternatore, motorino di avviamento e batterie adatte allo Start&Stop, alla fine, lo svantaggio non supera il peso di un bambino!
In secondo luogo, questi sistemi sono la chiave per permettere la sopravvivenza di due cose che agli appassionati stanno molto a cuore: i motori termici e il cambio manuale. Grazie ad un piccolo motore elettrico, infatti, le emissioni teoriche e anche quelle reali si abbassano notevolmente, senza eliminare del tutto i motori benzina o diesel.
È un dato di fatto che, a parità di modello, un motore mild hybrid consumi ma soprattutto emetta meno CO2 di un’auto solo a benzina o solo diesel. Proprio i gli amati-odiati motori diesel sono i primi utilizzatori di questi sistemi: grazie a loro, i già pulitissimi gasolio moderni emettono una quantità di anidride carbonica irrisoria se raffrontata alle medesime versioni di 10 anni fa.
Per quanto riguarda il cambio manuale, beh, se su ibride pure ed ovviamente elettriche l’automatico è d’obbligo per il perfetto connubio tra parte termica (se presente) e parte elettrica, sulle Mild Hybrid nulla vieta di avere il cambio manuale, anzi. Se siete fautori di questo tipo di cambio, c’è ancora speranza. Ci sono ad esempio modelli come le Mazda 2, 3 e CX-30, che offrono Mild Hybrid e manuali allo stato dell’arte. Yes please.
Il motore elettrico, migliore amico del termico
La frase è di certo una provocazione, ma racchiude in sè una verità nascosta che pochi di quelli che criticano questi sistemi conoscono.
Il motore termico, infatti, per sua intrinseca natura non ha una curva di potenza lineare. Sia nei motori aspirati che, in misura ancora maggiore, nei motori turbo, per raggiungere la potenza massima bisogna aspettare un certo numero di giri motore per avere la massima potenza e, soprattutto la massima coppia. Se infatti la potenza è importante per determinare quanto un’auto vada veloce, la coppia determina in quanto tempo un’auto riprende velocità.
I motori elettrici, invece, non hanno questo problema, anzi: erogano potenza e coppia fin da 0 giri, da subito, e sono ricchi di coppia. Ad un motore di 10 CV, infatti, corrispondono circa ben 50 Nm di coppia, un boost davvero niente male. In questo modo, capite che il vantaggio di un sistema mild Hybrid è proprio questo: essere in grado di riempire i vuoti di potenza del motore, riuscendo da una parte ad alleviarne il lavoro (e quindi riducendo i consumi), e dall’altra a dare una bella spinta in più nei momenti difficili.
Habemus fluidità e zero vibrazioni
Non si parla solo di migliore guidabilità in marcia. Un motore elettrico al posto del motorino di avviamento migliora sensibilmente il sistema di Start&Stop. Questo dispositivo, ormai presente da oltre 10 anni sul mercato, è da molti criticato per la sua lentezza nel riaccendere il motore nei momenti concitati, e nelle vibrazioni conseguenti al riavvio. Bene, con un motore più potente ed elettrico l’accensione è pressochè istantanea, e le vibrazioni sono totalmente attenuate. Moltissime auto Mild Hybrid, poi, usano il motore elettrico per sfruttare al massimo il veleggio. Mollando l’acceleratore in velocità, infatti, il sistema mantiene il motore termico al minimo, abbattendo i consumi, e spegnendolo direttamente sotto i 15 o addirittura i 30 km/h, facendo avanzare l’auto per pura inerzia.
L’ultimo aspetto da considerare è la fluidità. Ho notato su Ford Puma e soprattutto su Mazda CX-30 che il motore elettrico ha reso meno ruvido, più elastico e fluido il motore termico. Su Puma, ad esempio, le vibrazioni del 3 cilindri Ecoboost sono pressochè inesistenti, e la ripresa è fluidissima fin da poco più di 1000 giri. Anzi, sulla versione da 155 CV il sistema ibrido è ancora più utile. Per ottenere tutta quella potenza da un piccolo 1.0 tre cilindri, Ford ha montato un turbo molto grosso, che avrebbe aumentato molto il turbo lag. Grazie ai 50 Nm di coppia extra del motore elettrico, però, il turbo lag è pressochè inavvertibile, e si ha in questo modo un motore turbo così spinto che è anche fluido e regolare.
Ancora più importante il ruolo svolto sull’innovativo SkyActiv-X di Mazda. Il motore benzina che funziona come un diesel giapponese, infatti, per via del suo funzionamento così particolare sfrutta supporti di banco ammortizzati e, per evitare ruvidità sgradevoli ai bassi giri, il motore elettrico aiuta la spinta e allevia il motore da parte del lavoro.
Il risultato? Un motore davvero fluido, senza vibrazioni e con una curva di potenza regolare su tutti i giri. Per saperne di più sul ritrovato della tecnica by Hiroshima, vi rimando al nostro articolo di approfondimento sul nuovo SkyActiv-X.
Un aiuto alla manutenzione: meno componenti, meno scocciature
L’ultimo vantaggio “nascosto” è quello legato alla manutenzione e alla durabilità dell’auto. Avere un secondo motore può spaventare, così come avere una batteria agli ioni di litio. Queste preoccupazioni sono però contraddette dall’esperienza elettrica degli ultimi 10 anni, e di quella ibrida degli ultimi 20. Il sistema ibrido Toyota, ad esempio, si è rivelato incredibilmente affidabile e duraturo, soprattutto nella componente elettrica. I motori elettrici puri, invece, si sono dimostrati affidabilissimi, come dimostrano le centinaia di Tesla con oltre 400 mila km senza bisogno di manutenzione ai motori.
Perciò l’eliminazione di alternatore e motorino di avviamento, notoriamente due componenti cagionevoli, sostituiti da un solo motore elettrico molto affidabile può portare diversi vantaggi nella manutenzione a lungo termine di un’auto Mild Hybrid. Ma non è solo lì che il motore elettrico aiuta. Come abbiamo detto in precedenza, infatti, il sistema recupera energia cinetica in rilascio e in frenata. Durante le fasi di rilascio, tutti questi sistemi, chi più chi meno, rallentano l’auto come un potente freno motore. Alcuni modelli, poi, rallentano in modo davvero importante, permettendo di effettuare moltissimi rallentamenti cittadini senza sfiorare il pedale del freno.
Questo vuol dire che pastiglie e dischi sono chiamati in causa molto meno spesso rispetto ad un’auto simile senza sistema ibrido. Può sembrare poco, ma alla lunga è un bel risparmio, e un bel vantaggio per la sicurezza visto che si avranno freni efficienti per più tempo!
Il Mild Hybrid è l’unico futuro… per i motori termici
Siamo arrivati alla fine di questa riflessione sui sistemi Mild Hybrid. Questo tipo di motorizzazione sta diventando sempre più diffuso e scelto dai clienti. La sua semplicità, il suo relativamente basso costo e la sua facilità di utilizzo stanno trovano molti estimatori. Certo, per chi sogna una mobilità elettrica non è ancora abbastanza, ma a chi ama i motori e li guarda con diffidenza consiglio di fare questa riflessione.
Tutti noi appassionati amiamo i motori a scoppio. È insito dentro di noi amarli, e preferirli ai motori elettrici, così asettici e privi di suono. È però indubbio che le doverose limitazioni sulle emissioni renderanno la vita sempre più difficile ai nostri amati motori termici. Come fare per salvare la specie? Un sistema Mild Hybrid limita le emissioni di inquinanti, facendo rientrare moltissimi motori all’interno delle fasce “dei buoni”. È in grado poi di riempire i vuoti di potenza e di coppia del motore termico, senza un aggravio di peso eccessivo, e dando la possibilità di salvare dall’estinzione il cambio manuale. Se si ragiona pensando a tutte queste componenti… il Mild Hybrid non sembra così cattivo, anzi. avrà sempre più senso per voi. Voglio vedere se lo etichetterete ancora come “quello falso” o “quello sbagliato“…
1 note · View note
vainstream · 4 years
Text
26 aprile 2020
Sono pieno di meraviglia. È una condizione difficile da raggiungere, in questi giorni. Siamo tutti chiusi in casa, il viaggio è l’attività che più di tutte è lontana dalle nostre vite, adesso. Eppure eccomi qui, con la mente proiettata fuori da me, sparata lontanissimo e velocissimo sul nostro mondo e oltre.
Ho appena fatto un viaggio per Roma. Una Roma deserta come pensavo non sarebbe mai stato possibile. Io ci sono stato poco tempo fa, alla fine dell’anno, per festeggiare l’arrivo di quello nuovo – inconsapevole di quanto funesto sarebbe stato.  
È una città caotica. Se dicessi che l’ho amata, mentirei. Non è la mia dimensione: prima di tutto, c’è troppa gente. Per uno come me, abituato ad una piccola e composta città, popolata di gente schiva e circondata da infinite campagne, trovarsi imbottigliato nei tunnel della metropolitana, schiacciato agli altri come tante sardine in una latta, è un’esperienza funesta. La scalinata di Piazza Navona che non si riusciva a salire da quanti l’affollavano, il Circo Massimo stracolmo di persone in attesa del concertone di Capodanno. Insomma, non esattamente la mia tazza di tè. Neppure io sono riuscito a trattenere la meraviglia di fronte ai monumenti che segnano la storia del nostro Paese, certo anche io mi sono trovato ad ammirare sbigottito la bellezza di Fontana di Trevi e del Colosseo e mi sono sentito schiacciato dalla magnificenza dell’Altare della Patria. Non sfuggo a questi meccanismi, ma sapevo di non essere nel mio ambiente; ero fuori posto, più del solito.
Pure, di Roma conservo un caro ricordo, che la renderà indelebile nella mia memoria. Un “ti amo” dritto negli occhi, colmo di sincerità, di intenzione, detto con il cuore palpitante degli stessi scoppi che fuori dalla finestra riempivano il cielo e lo illuminavano di strisce colorate, a salutare il decennio.
L’immagine che ho della città è quindi quella e pensavo che mai sarebbe cambiata. Quanti “mai” mettiamo inutilmente. Poniamo in continuazione limiti al nostro futuro, quando non abbiamo il minimo indizio di come saranno neppure i secondi successivi dopo averli posti. Una rassicurante abitudine umana, immagino, di quelle che rendono tutto più accettabile e semplice, perché finito.
Oggi Roma l’ho vista invece deserta. Io sono qui, a casa, ma l’occhio meccanico di una telecamera e le strade di internet l’hanno portata sullo schermo del mio cellulare. Ho camminato per tutti quei luoghi ed è stato strano e molto giusto rendersi conto di come non appartengano solo a me, alle mie impressioni, al ricordo di quel “ti amo”, ma anche a tutte le persone che ci sono passate sopra o vicino e che ci ambientano i propri, di ricordi. Così che quelle strade ora deserte, quella scalinata così bianca e silenziosa, quell’anello di terra solitario, sono comunque affollate di tutti coloro che vi legano una parte della propria esistenza indissolubilmente.
Il viaggio non si è fermato nella nostra Capitale, però. Ero colmo di meraviglia, avevo ormai un nodo in gola ma di quelli belli che non vorresti mai allentare. Così sono partito ancora. Sarebbe stato un viaggio di 12 ore, se avessi preso l’aereo. Invece mi sono steso sul mio divano e mi sono immerso nelle pagine di un diario.
Sono in Cile, è il 2019. La nostra mente è così meravigliosa, un dono insostituibile, che ho potuto viaggiare anche nel tempo, in un punto preciso.
Il Cile fa parte del mio immaginario da quando scrivo storie (e cioè circa da quando ho imparato che mettendo in fila le parole potevo creare mondi che prima non esistevano). Innanzitutto, perché è un paese lontano e a me sconosciuto, il che lascia più libera la fantasia di estraniarsi dalla realtà; poi per il deserto di Atacama, un’enorme area su cui domina la natura e nient’altro, ma non la natura fatta di vita – dono fragile –, quella fatta di terra e roccia e acqua e sole, le vere forze che plasmano il mondo di cui noi viventi siamo solo fugaci ospiti. E poi perché in Cile c’è il cielo. Sì, non sono pazzo, so che il cielo c’è anche qui, ma lì lo vedi veramente. Lì di notte le stelle sono così tante che davvero non puoi dire il nome di tutte quando alzi lo sguardo, come faccio qui in Emilia, dove l’umidità e le luci della città lasciano che solo i pianeti e qualche stella più luminosa faccia capolino.
Dopo essere passato per Santiago, aver visto quanto somiglia all’Europa (un’ Europa incastonata tra altissimi monti e un infinito oceano), averne percepito l’odore e il colore, sfreccio sulla Panamericana ed ecco che sono a La Silla, in mezzo a migliaia di astronomi e turisti ad aspettare. Facciamo tutti finta che non stia per accadere nulla, loro parlottando del più e del meno, io indugiando sulle parole che i miei occhi cercano di divorare, ma sappiamo benissimo perché siamo lì e siamo ferventi. E poi eccola: l’ombra della Luna si allunga veloce come una macchia e ci raggiunge e anche se eravamo lì proprio per vederla, un po’ ci terrorizza ugualmente. È notte di una notte strana, con troppe tonalità di grigio. Fa improvvisamente molto più freddo. Siamo nel bel mezzo del pomeriggio. È la notte d’eclissi.
Non mi sono spostato, eppure sento che il mio mondo si è mosso. Sono ancora steso sul mio divano, ma so che il mio mondo si è allargato. Io, stando qui, ho vissuto. Il tempo che ho speso qui nel guardare e nel leggere si è moltiplicato e mi ha permesso di rendere la mia vita più di una vita, tante vite.
Allora anche se sembra che sia tutto fermo, se nelle città si riescono a sentire molto meglio gli uccellini e il vento e i delfini sono tornati nei porti deserti, anche se sentiamo ogni giorno, aprendo gli occhi, che la nostra esistenza sia come sospesa, in realtà la vita non si può fermare. Non è forse questa, la sua essenza?
3 notes · View notes
app-teatrodipisa · 4 years
Text
IL LIBRO LIBeRO — Irene Bendinelli
Salpammo all'alba.
Eravamo uno sparuto gruppo di curiosi spiriti all'avventura, fermamente intenti a emulare le leggendarie imprese del multiforme eroe Ulisse. Il cielo sopra di noi conservava ancora il respiro lento delle ultime luci stellate della notte, mentre stralci dorati di un nuovo giorno si preparavano a indicarci la rotta.
Eravamo privilegiati spettatori di uno scenario mai visto prima: maestoso, bellissimo, come tante rose tee da poco sbocciate in una meraviglia di colori! Il nostro giardino fiorito era lievitato, sollevato da schiumose onde del Mare-Oceano-Mari.
Cavalcammo, come intrepidi indiani nelle vaste praterie americane, verso spazi aperti, immensi, nell'infinità delle acque salate. Nessuno ci avrebbe potuti fermare! Eravamo più forti di mille eroi della mitologia greca, più coraggiosi di tutti i soldati del mondo riuniti in battaglia e più liberi di centomila palloncini sospesi nell'aere.
Il vento a favore ci guidava come un caro padre che prende il figlio per mano e lo conduce verso i sentieri della sua vita futura. Sostenuti dalla forza di Eolo, ci sentivamo padroni dell'universo, dei mari, delle terre, dell'aria e della miriade di stelle lassù.
Continuava a navigare fiera e sicura la nostra imbarcazione in legno, con tre gonfie vele bianche issate: erano tre morbide nuvole di ovatta, calate sulla linea dell'orizzonte. Intanto gli spruzzi d'acqua e sale ci rinfrescavano, permettevano di farci sentire sui volti tutta la carica esplosiva dell'estate e sancivano l'unione tra noi marinai e le creature marine. Ci sentivamo anche noi come dei pesciolini.
– Esploratori seguaci di Nemo, sgargiante bandiera a strisce bianche e arancioni, all'arrembaggio! Il tesoro dell'isola è già nostro!
Niccolò era completamente assorto in quell'avvincente lettura, che non si era distratto neanche da suoni e suonetti provenienti dal telefono mobile. A capofitto tra quelle pagine sfogliate con vivo interesse, aveva la possibilità di diventare un ottimo marinaio a bordo del vascello Poseidone.
– Agli ordini, capitano! - rispose la ciurma al completo, mentre il Mare-Oceano-Mari riempiva l'anima.
La direzione era quella giusta, puntando ancora per diverse miglia a Nord. La freschezza di quell'acqua salata, sempre più chiara e limpida, ci rinfrescava anche i pensieri, che viaggiavano leggeri leggeri, sorretti da quelle tre gonfie vele bianche.
Da marinaio semplice avevo ancora tanto da imparare, ma la passione e la curiosità non mi mancavano certamente, così controllare la nave, svolgere la regolare manutenzione e talvolta provvedere alla distribuzione del cibo nella cambusa erano attività che non mi spaventavano minimamente. In tutto questo, non perdevo mai di vista il nostro saggio ed esperto capitano Hogart, pronto a guidarci nell'impresa e a risolvere qualsiasi genere di situazione: gli imprevisti, per lui, erano semplicemente nodi di velluto da sciogliere grazie a piccole mani dalle dita elastiche.
Niccolò interruppe la lettura e si osservò le mani. Anche le sue, come quelle descritte nel romanzo, erano mani piccole, con dita peraltro elastiche, proprio perché lui era ancora un bambino. Sarebbe voluto entrare in quella storia, Niccolò, far parte di quella ciurma, aiutare il capitano Hogart a sciogliere i nodi degli imprevisti e dimostrare agli altri marinai, a se stesso, ma soprattutto ad alcuni suoi compagni di classe che aveva coraggio da vendere, anche se a scuola appariva spesso introverso. Le sue, erano ancora mani misurate per impugnare le penne e le matite, morbide per proteggere un cucciolo di gatto e delicate per assemblare in mille diverse costruzioni i mattoncini Lego. Sarebbero diventate capaci, però, non troppo tardi, di ammainare le vele, manovrare il timone, sfidare la forza dei venti e utilizzare tutti gli attrezzi del mestiere marinaresco.
Il sole, intanto, si preparava a troneggiare nel centro della volta celeste. Splendido splendente si sarebbe fatto alto, una palla infuocata, luccicando ininterrottamente sulle creste lievi di quella meraviglia che era il Mare-Oceano-Mari. E l'acqua si sarebbe ancor di più riscaldata e la vita a bordo del vascello Poseidone si sarebbe illusa di stare pigramente in vacanza.
Uno stormo di gabbiani, saziato dall'abbondanza di pesci, decollò veloce dalla superficie azzurra screziata di bianco ai chiari riflessi sconfinati del cielo, diretto verso una mèta ben precisa, per vivere una nuova stagione in un'altra terra.
Un'isola accogliente stava aspettando anche i nostri marinai.
Si delineò di lato alla loro vista un curvilineo profilo di un timido scoglio, col capo di poco alzato e ricoperto da una rigogliosa vegetazione. Mentre la distanza dal veliero all'isola si riduceva, mentre si annullava la presenza di uomini e animali nei paraggi, ardeva il desiderio di approdarvi, la frenesia di corrervi a piedi nudi e di scoprirne il fatidico tesoro. Pirati e galeotti si erano sfidati, su altri mari e in altre epoche, per appropriarsi di gemme e monete in quantità; temerari cercatori d'oro si erano spinti per secoli oltre quelle acque, per nobilitare ogni volta di più le loro imprese; sognatori di altri tempi – e forse anche di questi – erano cresciuti con il sale della fantasia e la speranzosa convinzione di far rotta all'isola di Utopia.
Poche erano le carte nautiche che segnalavano la presenza di quell'isola, a differenza di molte che la ignoravano completamente, indicando al suo posto una qualsiasi corrente acquatica. Ma poiché il mistero si infittisce se un'antica pergamena polverosa viene scovata per caso in una rimessa, trovano invece il loro senso la curiosa esplorazione, l'audace avventura e l'entusiasmo della partenza.
Il capitano Hogart, da vero capitano, fu il primo a scendere dall'imbarcazione, per assicurarsi che su quella terra, emersa dai fondali marini, non si nascondessero insidie. Soltanto pappagalli dai grandi becchi gialli e dalle ampie piume variopinte, appesi sulle legnose fronde di contorte mangrovie, intonarono un acuto saluto di benvenuto.
“Ci siamo!” pensò Niccolò. “Vediamo ora cosa succede.”
I marinai, con la gioia che sarebbe esplosa nei loro petti se non fosse stata contenuta dalle divise a righe bianche e blu, seguirono fedelmente il loro capitano. Parevano una fila ordinata di formiche in processione, caute e silenziose, ma ancor più attente e curiose, alla ricerca di cibo, di briciole di pane. L'ultimo della ciurma, col viso florido e raggiante per la fierezza del compito assegnatogli, issò sulla sponda orientale della riva l'alta bandiera del Poseidone: un tridente grigio rivolto in su, sostenuto dalla possente mano destra del dio Nettuno, protettore di tutti i mari e della loro piccola compagnia.
– Ricordate il richiamo dell'eroe Ulisse ai suoi compagni di viaggio! Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza! – rimbombò così potentemente la voce di Hogart, da far volare via in un istante tutti i pappagalli che li avevano accolti.
“La conoscenza, la conoscenza!” pensai.
Da tre mesi della mia vita mi trovavo a bordo di una nave, che già consideravo come una seconda casa, io che da piccolo non volevo più uscire dalla vasca durante il bagnetto e che giocavo a ore sulle pozzanghere come fossero laghi da attraversare. Avevo imparato tanto finora: ogni uscita in mare aperto era una sfida con me stesso e con la natura, ogni gesto da compiere un esempio di solidarietà verso gli altri, ogni nubifragio una prova da superare per crescere, ogni porto raggiunto una sicurezza da custodire con affetto.
Mentre tali pensieri mi rimbalzavano nella mente, i miei piedi marciavano allineati a quelli degli altri marinai alla scoperta di quell'isola. L'aria era talmente intrisa di un silenzio paradisiaco, che si riuscivano a percepire i respiri affannati e i battiti accelerati dei nostri cuori.
Li avvertiva anche Niccolò quei respiri e quei battiti, che filtravano da quei luoghi fantastici alla cameretta reale del bambino, grazie alle pagine ingiallite di quel romanzo, appartenuto da generazioni alla sua famiglia.
L'isola, con una superficie grande quanto mille uomini in cerchio, odorava di essenze rare, di dolci profumi fruttati e di fresche fragranze floreali. Il lungo viaggio assolato sul Mare-Oceano-Mari trovava il suo meritato riposo all'ombra di nodose mangrovie, di maestose palme verdeggianti e di piante dai fiori tropicali mai visti prima, che infondevano pace e serenità.
Quell'isola era tutta per loro, per quei prodi marinai!
La costa orientale era contornata da un'innumerevole varietà di conchiglie, alghe, ricci e legnetti, adagiati su basse dune sabbiose, mentre la zona a Ovest era battuta da forti venti impetuosi, che si infrangevano su dure e ripide falesie, come se due stagioni naturali si contendessero il controllo di quella dispersa roccaforte.
Nel mezzo stavano loro, i coraggiosi marinai, in equilibrio tra estate e inverno, tra caldo e freddo, nel protetto spazio centrale dove terra, roccia, fiori e frutti convivevano in armonia. Non c'erano tracce di tesori, di bauli, di gemme e di ori, ai quali la ciurma non pensava già più, felice com'era di starsene lì tranquilla e beata. Nel cuore di quell'isola svanivano i rancori e le paure, le ansie e i  problemi, sostituiti dalla calma quiete delle anime, dalle perfette solitudini ritrovate e dall' intramontabile desiderio di libertà mai sopito. Altre isole avrebbero raggiunto, altre avventure avrebbero vissuto, altre storie avrebbero raccontato, ma quella era l'isola alla quale non avrebbero più rinunciato, l'isola del Poseidone, dove ognuno si sentiva libero. Come vento libero.
Niccolò sentì entrare, dalla finestra aperta della camera, un soffio d'aria fresca. Era l'imbrunire di una sera alla fine di aprile, era la briosa brezza di quell'isola, sostenuta e tramandata dall'eco esplosivo della letteratura che aveva trasformato le pagine del libro in onde di libertà, amata libertà.
2 notes · View notes
mydreamsandtrips · 4 years
Text
Verso l’Oceano
Ero in una città di mare, affacciata sull’Oceano Pacifico. Nel sogno mi pare di aver sentito la parola Bordeaux, ma non è proprio sul mare… Insomma, sto cercando di vedere il mare, immaginandomelo immenso. Cammino in mezzo ai palazzi, attraverso piazze. A un certo punto di fronte a me c’è un’enorme strada a più corsie, con un traffico veloce e intenso. Di là c’è la spiaggia, anche se il mare si scorge ancora lontano, seminascosto da alberi e case. Il passaggio pedonale non è davanti a me, ma poco più a sinistra. Il semaforo diventa verde e tutti cominciano ad attraversare sulle strisce. Io accelero e attraverso tagliando la strada, senza raggiungere le strisce. Arrivato a metà, le gambe diventano pesantissime, inamovibili, bloccate, ancorate a terra, gonfie. Non rispondono ai comandi del cervello. Sono disperato perché le auto ricominciano a marciare. Ce ne sono alla mia destra che stanno arrivando. Soprattutto una. Si avvicina sempre più veloce e io non so cosa fare. Non riesco a muovermi in nessun modo. Mi sdraio, comincio a strisciare, a farmi forza con le mani e le braccia. Il marciapiede sembra lontanissimo e sono sul punto di arrendermi. Poi, mi trovo di là, quasi senza accorgermene. Sono stremato, prosciugato fisicamente e mentalmente. Le gambe ancora non danno segni di vita. Piango a dirotto. Mi raggomitolo in un angolo. Stringo le mie gambe piegate, in un abbraccio per niente consolatorio. Il mare me lo sono scordato. La gente intorno mi ignora, così come nessuno aveva notato la mia difficoltà in mezzo alla strada. Un senso di frustrazione profonda mi assale.
Ma sono di là, alla fine la strada ce l’ho fatta ad attraversarla.
1 note · View note
ideedicorsa · 5 years
Text
un passo, un pensiero
oggi mentre correvo pensavo a quello che avrei ricordato alla fine della corsa dei miei pensieri. mi chiedevo quali sarebbero rimasti nella corsa e quali avrei conservato anche una volta fermata. dopo il frullato, dopo la doccia. devo fare come dice di fare Murakami, ho pensato, devo mettermi a scrivere e trascrivere quando arrivo, appena finito. ma non prima del frullato, non ce la posso fare.
alla fine sono qui, dopo il frullato, banane e prugne, dopo aver annaffiato le piante, dopo aver messo via le cose dentro e fuori dalla lavastoviglie. le piante avevano bisogno e poi non riesco a stare subito ferma in casa, quando finisco di correre, mi manca l’aria, almeno in balcone mi sono riacclimatata.
pensavo a Murakami, che me l’ha consigliato un altro tumblero, “l’arte di correre”, che in realtà ha un altro titolo più interessante, in originale, ma non me lo ricordo. pensavo che si sente che l’ha scritto uno scrittore, rispetto agli altri libri sulla corsa che ho letto finora. pensavo a @giovaneanziano, che me l’ha consigliato, che in questi giorni ha detto che è tornato a correre, dopo l’operazione che ha fatto poco tempo fa. chissà come è andata, la sua corsa, pensavo. spero bene, si merita di stare bene, di avere delle soddisfazioni, pensavo. non ho mai imparato a gestire il mio tempo, a tenere i contatti, a mostrare e dimostrare che le persone ce le ho in mente più spesso di quanto riesca poi a sentirle o vederle. pensavo alle mie amiche, a Gloria, che ha fatto un altro esame, e le ho scritto, ma non l’ho chiamata, all’Anto, che dovevamo sentirci lunedì, a Barbara, che è una vita che non ci sentiamo io e lei sole. pensavo alle donne e agli uomini della mia vita, che non sono mica molti. eppure non sono brava in queste cose, mi sa. anche chi mi conosce bene lo sa, credo.
oggi sono uscita un’ora prima di ieri e si notava la differenza nella quantità di gente che correva. ieri ho incrociato solo bici e gente coi cani, oggi invece un sacco di gente che correva. uno aveva le maniche lunghe, come il mio vicino che ho incrociato prima, quando sono tornata dall’ufficio. il mio vicino era zuppo di sudore e io avrei voluto dirgli qualcosa, ma invece mi sono morsa la lingua. io sono in canotta ultraleggera e pantaloncini. se non fosse per le cosce che sfregano sarebbe perfetto. chissà se perderò prima o poi quel centimetro che fa la differenza, altrimenti mi farò prestare il gel da G. per vedere se va meglio. però non ho segni alla fine, forse è più una sensazione che un effettivo problema. i pantaloncini da uomo forse sono più lunghi, devo verificare, oggi un signore che ho incrociato li aveva sicuramente più lunghi dei miei. in primavera quando uso quelli di G. con la parte aderente sto molto comoda, ma fanno un gran caldo. meno roba ho addosso, meglio è, per ora. anche il marsupio ancora mi dà fastidio. però non credo di voler tornare alla fascia al braccio.
ho pensato al mio progetto, alle cose da scrivere in vista dell’appuntamento che ho rimandato a fine settembre. a come impostare una scaletta di pensieri, di chiavi di lettura, a quali domande potrei fare, a quando trovare il tempo per leggere e per scrivere.
per fortuna sono riuscita a non pensare al lavoro. non più che di sfuggita, dai.
ho pensato a una cosa che mi ha detto G l’altro giorno, a quanto si sta bene a correre quando cala la temperatura a fine estate, che ti ricordi che è bello correre, dopo che hai sofferto il caldo e sei comunque andato ad allenarti e invece ora vai e dici “ah, ecco perchè mi piace”
ho pensato alle strade condivise, con i pedoni, i ciclisti e anche le auto e oggi un’auto mi ha dato la precedenza sulle strisce, si è proprio fermata frenando assai, anche se io ero ferma ad aspettare, anzi forse proprio perchè mi ha visto ferma, forse, ha deciso di frenare e farmi attraversare.
e sicuramente sotto la doccia penserò ancora, magari arriveranno anche quei pensieri che nel frattempo non mi sono ancora tornati in mente. sicuramente qualcuno rimarrà là per strada.
4 notes · View notes