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#l’amica 1969
fashionbooksmilano · 6 months
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Carla Cerati Milano 1960-1970
Collana Memoriafotografica diretta da Uliano Lucas n.4
Barbieri, Manduria (Taranto) 1997, 96 pagine, 23x21cm, ISBN 9788886187411
euro 45,00
email if you want to buy [email protected]
Carla Cerati : (Bergamo 1926) fotografa e narratrice italiana. Oltre a diversi volumi fotografici (Morire di classe, 1969; Forma di donna, 1978), ha pubblicato romanzi in cui disseziona lucidamente rapporti familiari e sentimenti: Un amore fraterno (1973); La condizione sentimentale (1977); La cattiva figlia (1990); L’amica della modellista (1996); La seconda occasione (2001); L’intruso (2004).
16/03/24
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giallofever2 · 5 years
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UNA DONNA FERITA.... TRADITA
e UNA VENDETTA che avrà un DOLCE SAPORE...
Questa Notte alle ore 04,20
L'amica
Data di uscita: 23 dicembre 1969 (Italia)
Regista: Alberto Lattuada
Paese di produzione: Italia 🇮🇹
Sceneggiatura: Alberto Lattuada, Mario Cecchi Gori Gianni Vernuccio
Interpreti e personaggi
Lisa Gastoni: Lisa Marchesi
Jean Sorel: Franco Raimondi
Gabriele Ferzetti: Paolo Marchesi
Elsa Martinelli: Carla Nervi
Ray Lovelock: Claudio Nervi
Frank Wolff: Guido Nervi
Marina Coffa: Giovanna
Sergio Serafini: assistente Dott. Nervi
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segretecose · 5 years
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Do You know any Italian period films?
my brain is so slow rn i thought you were asking period as in menstrual cycle lmao. anyway here’s a little list off the top of my head:
Capri-Revolution (2018, dir. Mario Martone): set just before WW1 in the island of Capri;
Il giovane favoloso (2014, dir Mario Martone): a biography of poet Giacomo Leopardi, therefore set in the first half of the 1800s;
Noi credevamo (2010, dir. Mario Martone): set during the Risorgimento (Italian Unification);
N - Io e Napoleone (2006, dir. Paolo Virzì): set during Napoleon’s exile on the Elba island;
Il primo re (2019, dir. Matteo Rovere): about Romulus and Remus and the events leading to the (mythological) founding of Rome;
Martin Eden (2019, dir. Pietro Marcello): based on the novel by Jack London, set in the first years of the XX century;
Una questione privata (2017, dir. Paolo&Vittorio Taviani): bosed on Beppe Fenoglio’s novel, it’s set during WW2;
Le affinità elettive (1996, dir. Paolo&Vittorio Taviani): adaptation of Goethe’s The Elective Affinities;
Beatrice Cenci (1969, dir. Lucio Fulci): based on the life events of Beatrice Cenci, a Roman noblewoman from the XVI century;
Il giardino dei Finzi-Contini (1970, dir. Vittorio de Sica): based on Giorgio Bassani’s novel, it’s set in Ferrara just before WW2;
Il Gattopardo (1963, dir. Luchino Visconti): based on the novel by Giuseppe Tomasi di Lampedusa, it’s set in Sicily during the Risorgimento;
Morte a Venezia (1971, dir. Luchino Visconti): adaptation of Thomas Mann’s novel Death in Venice;
Ludwig (1972, dir. Luchino Visconti): based on the life of king Ludwig II of Bavaria;
I Viceré (2007, dir. Roberto Faenza): based on the novel by Federico di Roberto, it’s set in Sicily during the Risorgimento as the Bourbons start to lose power;
L’amica geniale (2018--, dir. Saverio Costanzo): it’s actually a tv series but it’s really good, i highly recommend it. the second season will start airing in february i think, it’s set in Naples in the 50s and it’s based on Elena Ferrante’s books. 
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pangeanews · 5 years
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“Amo il Suo viso e non posso più sopportare che non sia in pace”. Escono le lettere di Alejandra Pizarnik, meravigliose. Mancano solo quelle di Cristina Campo…
Alejandra Pizarnik costringe al buio, procede addentando, non è poesia nuda, la sua, è poesia che ti spoglia. “Conosci quella frase geniale di S. Sontag ‘la vera arte deve renderci nervosi?’. Bisogna vederla così. Sapeva disturbare l’altro, perché cercava verità […] attraverso la scrittura. Non era il bello la sua preoccupazione, ma la parola. […] Alejandra viveva in stati di passione assoluta”: così la descrive l’amica di lettere María Elena Arias López. Cercare la verità ha per verbo disturbare: turba il quieto vivere, leggere è turbamento. D’altronde, occuparsi della parola significa precipitare – fino alla schizolalia – senza preoccuparsi del bello, occupazione per ideologi.
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Nel settembre del 1972, poco prima di ammazzarsi, a Miguel Otero Silva, giornalista venezuelano. “È la prima volta che invio testi spontaneamente dicendo che mi piacerebbe molto – nel profondo – pubblicarli”. Fa la bugiarda sulla data – “son nata nel ’39”, si toglie tre anni –, cita Henri Michaux, il suo guru (“speriamo che viva ancora a lungo, è il mio unico punto di riferimento”, ha scritto, qualche anno prima), insieme a “Rilke dagli occhi azzurri”. Chiude così, “con vero fervore”. Poco dopo, si ammazza. Come se proprio la morte sia l’inizio, il possibile – è la prima volta… E poi ci sono quei tre anni che si è tolta: per tre anni il suo spirito continua a vivere su questa terra, fa le capriole. In realtà, Alejandra, trasmutata in linguaggio, in un capriolo in verbi, vive ancora.
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Allora. La Pizarnik si legge nel libro di culto pubblicato da Crocetti nel 2004 (poi 2015), La figlia dell’insonnia (a cura di Claudio Cinti) e in Poesia completa, stampa LietoColle, 2018 (a cura di Ana Becciu, traduce Roberta Buffi). Recentemente, la Biblioteca Nacional di Buenos Aires ha recepito i suoi “archivos y libros”. Per entrare nel suo cuore, però, una finestra, un magnetico oblò è la raccolta delle lettere pubblicate da Giometti & Antonello (impresa editrice per censire la quale ogni aggettivo è spregio, fanno un lavoro eccelso) come L’altra voce (a cura di Andrea Franzoni e Fabio Orecchini). Le lettere sono straordinarie perché fanno percepire il tracollo nello sballo linguistico, nel terremoto grammaticale. La Pizarnik è in perpetuo espatrio, per caos genealogico (nasce a Buenos Aires da ebrei russi, cerca la via a Parigi, si apparenta a poeti d’altri idiomi): da sé, dal mondo, dalla lingua.
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Il rapporto epistolare più denso e significativo è con la poetessa e linguista – s’è laureata con Noam Chomsky – Ivonne Bordelois, conosciuta a Parigi. “Diciamo che sto sulla cresta dell’onda: ma tutto è provvisorio. Perché questa è in verità «la vera vita» ma anche di questo parleremo, dell’incredibile distanza tra il contemplare e meditare su tutto, e quello che accade invece quando avviene l’incarnazione, l’atto vivo”, le scrive, Alejandra. Tutto accade proprio lì, tra contemplazione e incarnazione, tra custodire e vivere – di ogni cosa sappiamo il provvisorio, e improvvisamente è proprio questo quasi nulla che teniamo, come fosse tutto.
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Questa porzione di diario, è il 22 febbraio 1963, alla Bordelois, dice la Pizarnik. “Parole. È tutto ciò che mi hanno dato. La mia eredità. La mia condanna. Chiedere che la revochino. Come chiederlo? Con le parole. Le parole sono la mia assenza particolare. Come la famosa «propria morte» c’è in me un’assenza autonoma fatta di linguaggio. Non capisco il linguaggio, ed è l’unica cosa che possiedo. È come avere una malattia o esserne posseduta senza che da ciò derivi alcun incontro, perché l’ammalata lotta per conto proprio – da sola – con la malattia, che fa lo stesso…”. Non si scrive evocando ma chiedendo una revoca: eppure della scrittura sopportare il virus che muta in acqua le giunture.
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L’epistolario garantisce una lettura potente, ha dei luoghi bellissimi. Ad esempio, quando la Pizarnik – il 17 dicembre 1971 – scrive a Jean Starobinski: “Fino al dicembre 1970 – data della mia frattura centrale – bevevo la poesia, avevo nella poesia una piccola casa per me sola (sono solo venuta a vedere il giardino – dice l’Alice di Carroll), avevo un giardino minuscolo nelle mie poesie e, soprattutto, vedevo in esse «gli occhi che porto nel mio ventre disegnati» (San Giovanni della Croce). Ora le mie poesie sono sorprendentemente orali o colloquiali e soprattutto procaci (metafisiche anche, ma è un termine, questo, che mi dà vergogna, e lo sostituisco con le strane melodie di Scardanelli – immaginarle, queste melodie («dissonanti» come dicono i prof.) mi ossessiona…)”. Ad Antonio Benyeto, invece, il 12 settembre 1969, la Pizarnik parla della vigoria politica di Cortázar, maestro, amico: “Per quanto riguarda Cortázar e Paz: Cortázar è oltremodo politicizzato da qualche tempo. Perciò, se vuoi che ti risponda, scrivigli in termini di ribelle innamorato di Cuba con un che di Rimbaud e soprattutto di Lautréamont. No, non mi sto burlando di Cortázar, che amo tanto, ma non credo nelle sue doti politiche (né sicuramente ci crede lui, malgrado i suoi sforzi per ingannarsi)”.
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Il libro riporta in tavola il rapporto epistolare tra Cristina Campo e Alejandra Pizarnik. Straordinario, lampeggiante, tradotto – dal francese, da Stefanie Golisch –, non possiamo leggerlo. “La riservatezza ch’ebbe in vita, con quella sorta di «divieto» che si ebbe di parlare di lei durante e dopo la sua morte, sono all’origine del rifiuto, da parte degli eredi, su esplicita disposizione della scrittrice, di rendere pubblica la corrispondenza Pizarnik-Campo, conservata a Princeton nel fondo Pizarnik”, scrivono i curatori, che quindi antologizzano una lettera della Pizarnik “che non essendo mai stata inviata, è stato possibile pubblicare”. In verità, il veto ha diverse eccezioni (le lettere a Remo Fasani, ad Alessandro Spina, a Gianfranco Draghi, a María Zambrano, a Leone Traverso, a ‘Mita’, per fortuna si possono leggere). Da quel carteggio emozionante, d’improvvise rivelazioni, ricalco la lettera della Campo alla Pizarnik, è il 16 aprile 1963:
“Mia cara, La supplico: cerchi di vendere i miei saggi (che Le ho appena inviato) non importa a chi, non importa come. Sono Suoi, Lei ha il copyright per tutti i paesi, tranne per quelli di lingua tedesca. Con l’aiuto di Sur, può tradurre assai velocemente, forse “In medio coeli” e “Attenzione e poesia”. Le traduzioni (almeno in Italia) sono ben pagate. Non credo che potrà vendere il mio libro così com’è. Ma se lo crede utile, posso spedirLe le critiche apparse nella stampa; non c’è alcuna abiezione che io non consideri con gioia per aiutarLa a fare un poco di soldi con il mio libro. La copia corretta che Le ho appena spedito appartiene a Lei. È il testo definitivo, per quanto un testo possa mai esserlo. Spero che l’editore Le invii altre due copie. Calveyra, comunque, ha ricevuto (dietro sua richiesta) due o tre copie. Chieda a lui se può darLe una di queste. Inoltre: visiti da parte mia, La prego, Madame Weil (la madre di Simone): 3, rue Auguste Comte (Paris). È una donna ammirabile (84 anni) che conosce tutti e che Le può dare dei consigli. Le scriverò questa sera.
Amo il Suo viso e non posso più sopportare che non sia in pace. Il Suo sogno (quello delle piume) mi ha fatto male. Il Suo viso assomiglia a qualcosa che non posso ancora riconoscere, ma che mi è stato, credo, molto vicino durante la mia infanzia. GuardandoLa, ho subito pensato alla mia povera “Noce d’oro” – che mi piacerebbe donarLe, che Le appartiene e che Le dovrebbe portare un poco di felicità. Ha altri libri di poesia? Me li potrebbe inviare senza disturbarsi troppo? Ne sarei molto felice, per molte ragioni. L’abbraccio forte, mi scriva.
Cristina
Di Simone Weil legga, se possibile, “L’Iliade o il poema della forza”. Lasci il resto per un tempo in cui sarà più tranquilla. Soprattutto, bisogna dormire bene per resistere ai colpi di Simone”.
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perfettamentechic · 8 years
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Il conte Hubert James Marcel Taffin de Givenchy, all’età di 24 anni ha creato, grazie al sostegno finanziario di Louis Fontaine (proprietario di Prisunic’s Retail Empire), la sua haute couture home. Nato nel 1927, a Beauvais, Hubert è stato, in età precoce, ispirato dalle fashion magazines a lavorare per Balenciaga. Così a 17 anni, il futuro stilista, inizia a lavorare come assistente designer con Jacques Fath AS STUDIO grazie all’aiuto di un amico di famiglia e studia all’École Nationale Superieure des Art a Parigi, contro il volere della famiglia. Nel 1946. grazie al famoso illustratore Christian Bérard, Hubert De Givenchy si trasferisce, come designer, da Robert Piquet lavorando sino al 1948 e, con raccomandazione di Christian Dior, lavora da Lucien Lelong perfezionando le sue capacità tecniche. Poi lavora un anno per Jacques Fat e sino al 1951 da Elsa Schiaparelli dove era molto più di un assistente infatti fu promosso come creative director della flagsfhip store situato a Place Vendome, rendendolo il primo couture prêt-à-porter haute couture house.
All’età di 27 anni, nel 1952, debutta con la prima collezione “Les Séparables” a suo nome. Il successo è immediato. In particolare desta grande interesse la blusa bettina, dedicata alla celebre “mannequin” dell’epoca Bettina Graziani. L’anno successivo avviene l’incontro con Audrey Hepburn, la quale diviene la sua musa, incarnando l’ideale estetico femminile da sempre ricercato nelle sue creazione. L’attrice veste i suoi abiti sia nella vita che nei film che interpreta, divenendo ambasciatrice del suo stile, caratterizzato dal taglio classico abbinato ad una fantasia profondamente sentimentale. Tra gli anni ’50 e gli anni ’60 sono molte le creazioni iconiche che lo stilista lancia nelle sue collezioni: l’abito a camicia “shirt dress“,nel 1957 l’abito a sacco “sack dress“,nel 1958 il cappotto “balloon“, l’abito “baby doll” e il mantello a collo avvolgente, l’abito a palloncino e l’abito a bustino dell’anno successivo.
Fin dalle prime collezioni si distingue per una ricerca di tessuti e forme di un’eleganza mai banale. Dopo 4 anni di collaborazione come braccio sinistro della Schiaparelli, Hubert De Givenchy crea la propria casa di moda. La stampa è entusiasta per Givenchy alla sua prima sfilata, il New York Times “A Star is Born”, mentre per Figarò  ” Hubert De Givenchy  becomes l’enfant terrible“.
Nel 1953 il modello “Capucine” occupa la copertina di “Elle” francese ed è la prima di molte altre copertine e le celebrità come Lauren Bacall, Greta Garbo, Sophia Loren, Gloria Swanson, la duchessa di Windsor, Françoise Sagan, Hélène Rochas, Marlene Dietrich, Michèle Morgan e l’imperatrice Farah Pahlavi divennero clienti della maison.
Nel 1955, Audrey Hepburn viene nominata migliore attrice per il suo ruolo in “Sabrina” e l’abito disegnato da Hubert, che l’attrice indossa nel film, ottiene lo stesso successo.
Nel 1957, costituisce una nuova impresa, Parfums Givenchy affidando la direzione al fratello Jean-Claude. Dopo le prime difficoltà, il successo arriva verso la fine degli anni ’60, grazie al lancio dei profumi De e L’Interdit. Quest’ultimo, inizialmente creato in esclusiva per l’amica attrice Audrey Hepburn, prese solo in un secondo momento questa denominazione, che in francese significa Proibito. Le caratteristiche del profumo, dai toni fioriti ed aldeidati, esprime l’immagine di perfezione che l’attrice comunicava. Nel 1959, Hubert de Givenchy propose due fragranze maschili a completamento della linea di prodotti: Monsieur de Ghivenchy e l’Eau de Vétyver, originariamente pensati per se stesso. Nel 1970 vi è il lancio di “Givenchy III” con lo slogan Who knows why we remember a woman and not another one? Givenchy III gives memory to me ed è un tale successo che a Beauvais viene costruita una fabbrica per far fronte alle ordinazioni. Stesso anno viene creato il logo da Hubert De Givenchy per la maison. Nel 1971 Hubert De Givenchy ha disegnato una mantella che poi Riccardo Tisci  ne fa divenire un icona dello stile Givenchy.Nel 2007, per i suoi 50 anni, la maison Givenchy ripropose varie creazioni, tra cui L’Interdit, Vetyver o Givenchy III.
Hubert de Givenchy ha creato i guardaroba personali e di scena dell’attrice Audrey Hepburn, come anche l’abito nero di “Collazione da Tiffay” che diventa uno degli abiti più famosi della house, e per aver vestito clienti come Jacqueline Kennedy, l’imperatrice Farah Pahlavi, Marella Agnelli, la principessa Grace, la duchessa di Windsor, la cantante Frederica von Stade, le attrici Marlene Dietrich, Greta Garbo, Lauren Bacall, Jeanne Moreau e Ingrid Bergman. La più celebre testimonial del marchio è stata Audrey Hepburn.Fin dalle prime collezioni si distingue per una ricerca di tessuti e forme di un’eleganza mai banale. Nel 1968, anno in cui il suo idolo Balenciaga si ritira dal mondo della moda, Givenchy eredita la sua clientela. Nel 1969 vi è il lancio del prêt-à-porter linea uomo chiamata “Gentleman Givenchy”. Il 1988 è l’anno del ritiro dello stilista, che decide di vendere la sua maison al gruppo francese LVMH. A sostituire il designer Hubert de Givenchy nel 1995 fu prima John Galliano, che però fu sostituito dopo breve tempo da Alexander McQueen. Nel 2001 il progettista Julien MacDonald è stato nominato Direttore Artistico per la linea donna, mentre nel 2003 Ozwald Boateng è stato nominato il progettista per la linea uomini. Nel febbraio 2005 lo stilista italiano Riccardo Tisci diventa direttore creativo della maison.
Riccardo Tisci, tarantino di nascita, era ancora piccolo quando la madre Elmerinda rimasta vedova con 9 figli decide di lasciare la Puglia e di trasferirsi in Lombardia. A 17 anni si trasferisce a Londra, grazie a una borsa di studio, e si diploma al Central Saint College. Lavora successivamente come freelance per marchi come Puma e l’italiano Coccapani, prima di firmare un contratto triennale con Ruffo Research. Per la settimana della moda di Milano, Riccardo Tisci, presenta una propria collezione nell’autunno 2004/2005. Subito notato viene contattato dalla maison francese Givenchy, in breve diventa direttore creativo, curando haute couture, prêt-à-porter e accessori. Alla vigilia della presentazione della prima collezione di Givenchy by Riccardo Tisci il designer ha spiegato: “What I want to do, actually, is to continue with the Hubert De Givenchy spirit translated for todays modern woman”. Nella collezione autunno/inverno 2006 viene lanciata la borsa “Nightingale” moderna ed elegante, funzionale disponibile in quattro dimensioni a seconda dell’uso per il giorno o la sera. Nel 2008, la star internazionale Madonna lo contatta per disegnare molti dei costumi del suo Sticky and Sweet Tour, e Riccardo Tisci realizza alcuni costumi art-deco e gypsy. Nel autunno/inverno 2009, vi è la presentazione della borsa “Pandora” che offre un designer senza precedenti e con una forma inizialmente ispirato da un riquadro rettangolare. Mentre nel 2010 viene presentata la borsa “Antigona”, un altro classico degli accessori firmato Riccardo Tisci’s Givenchy. Ispirato da un dettaglio di designer delle sue collezioni, Riccardo Tisci realizza la linea “Obsedia”. E’ del 2012 il lancio della borsa “Lucrezia”.Nota l’amicizia tra Riccardo Tisci e la modella Mariacarla Boscono, presente spesso nelle campagne pubblicitarie di Givenchy, nonché nelle sfilate della maison. Altrettanto nota è l’amicizia che lo lega alla stilista Donatella Versace, che ha prestato il suo volto a Givenchy per la campagna autunno 2015, primo caso di una stilista che s’impegna per la pubblicità di un’altra griffe. Nell’aprile 2016 compare nella lista per la categoria “Artists” tra le 100 persone più influenti del 2016 secondo TIME.
Autore: Lynda Di Natale Fonte: givenchy.com, wekipedia.org
Hubert de Givenchy #hubertdegivenchy #givenchy #creatoredellamoda #creatoredistile #perfettamentechic #felicementechic #lynda Il conte Hubert James Marcel Taffin de Givenchy, all'età di 24 anni ha creato, grazie al sostegno finanziario di Louis Fontaine (proprietario di Prisunic's Retail Empire), la sua haute couture home.
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