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#la progenie senza nome
tvserie-film · 21 days
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Title:  The Nameless Offspring (1932)
Author: Clark Ashton Smith
Vote: 6.5/10
A story that manages to entertain as per its task but which is a bit truncated with a hasty ending and which provides few explanations.
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milkaweisz · 1 year
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Dimorfismo sessuale.
Per dimorfismo sessuale (dal greco "due forme") s'intende la differenza morfologica fra individui appartenenti alla medesima specie ma di sesso differente.
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Il dimorfismo ha principalmente la funzione di attrarre l'altro sesso: è infatti tipico di animali poligami, dove durante la stagione degli amori i maschi duellano per la conquista di un territorio.
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In animali monogami, invece, viene sacrificata la possibilità di avere progenie più numerosa in favore di uno sforzo congiunto per l'allevamento della prole: essendo il partner fisso, le strutture per la difesa dell'harem divengono inutili.
Le caratteristiche sviluppate dai maschi per attrarre le femmine li rendono svantaggiati rispetto a queste ultime, poiché, a causa dei colori sgargianti, sono facilmente localizzabili dai predatori. Le lunghe penne o gli speroni rendono molto più lenti e impacciati nella fuga.
La teoria di questo tipo di dimorfismo si dice "della disabilità": in un organismo il successo riproduttivo conta più della sopravvivenza, e quindi non è importante che un maschio di fagiano comune viva meno di una femmina, se questo permette di lasciare più progenie possibile.
Nella specie Homo sapiens i maschi sono mediamente più alti, più pesanti, più robusti e più forti delle femmine, che da parte loro hanno il bacino più largo e più inclinato all'indietro, spalle più strette, una diversa distribuzione del grasso corporeo e voce più acuta. I maschi inoltre presentano una maggiore quantità di peli (soprattutto sul viso).
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In alcune specie di rane pescatrici, i maschi sono semplici sacchetti di carne senza apparato digerente, che si attaccano alla femmina conducendo una vita parassitica e producendo sperma come unica attività autonoma.
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Una situazione simile la si può osservare nell'emittero Veliidae Phoreticovelia disparata (cimice di Zeus), dove il maschio si aggancia alla femmina nutrendosi da un'area ghiandolare posta sul dorso della stessa, anche se può vivere autonomamente.
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Nella maggior parte delle cocciniglie, le femmine mancano degli occhi e delle ali, hanno zampe atrofizzate e vivono permanentemente fissate alla pianta ospite, mentre i maschi hanno dimensioni minori e sono alati.
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Le cocciniglie o, impropriamente, coccidi (Coccoidea Handlirsch, 1903), sono una superfamiglia di insetti fitofagi compresi nell'ordine dei Rhynchota (sottordine Homoptera, sezione Sternorrhyncha). Il nome cocciniglia deriva dallo spagnolo cochinilla ("porcellino di terra"). Sono insetti esclusivamente fitomizi e costituiscono uno tra i più importanti raggruppamenti di insetti dannosi. La caratteristica generale che contraddistingue questi insetti è il marcato dimorfismo sessuale e la regressione morfologica, anatomica e funzionale delle femmine (neotenia).
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lamilanomagazine · 7 months
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Bologna: Frankenstein (a love story), il nuovo spettacolo di Motus, debutta il 13 e 14 ottobre al Teatro Arena del Sole di Bologna
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Bologna: Frankenstein (a love story), il nuovo spettacolo di Motus, debutta il 13 e 14 ottobre al Teatro Arena del Sole di Bologna. Frankenstein (a love story), il nuovo spettacolo di Motus, debutta il 13 e 14 ottobre al Teatro Arena del Sole di Bologna, inaugurando la Stagione 23/24. Diretto da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, vede in scena, insieme allo stesso Casagrande, l’attrice e performer Silvia Calderoni e l’attrice greca Alexia Sarantopoulou; a firmare la drammaturgia è la studiosa Ilenia Caleo. Una produzione Motus con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, TPE - Festival delle Colline Torinesi, Kunstencentrum VIERNULVIER (BE) e Kampnagel (DE). Attiva a livello internazionale, la compagnia fondata a Rimini da Nicolò e Casagrande nel 1991 ha sempre lavorato sulle più aspre contraddizioni del presente: con il progetto sull’immaginario travolgente di Mary Shelley si avvicina ora a uno dei personaggi più inquietanti della letteratura europea, emblema della diversità e del pregiudizio umano. La figura della “progenie mostruosa” che l’autrice ha ideato per prima, fondando di fatto il romanzo fantascientifico, è stata poi anche un simbolo fecondo per molti studiosi della filosofia postumana, sul confine pericoloso tra umano e artificiale. «Un progetto mostruoso – affermano i registi – composto dalla cucitura di diversi episodi e dal desiderio di ridare vita all’inanimato, galvanizzandolo, scomponendo e ricomponendone pezzi letterari. Uno spettacolo su Frankenstein che è esso stesso (un) Frankenstein. Non siamo entrati nella narrazione dei passaggi complessi e dolorosi del romanzo epistolare, ma ne abbiamo distillato solo frammenti/monologhi legati alle tre esistenze, compresa quella di Mary Shelley, perché tanto delle vicende biografiche (e tragiche) del suo passato hanno influito sulla nascita di quest’opera/mostro, che abbiamo ibridato anche con visioni scientifico-antropologiche e fantascientifiche, nel lavoro di riscrittura con Ilenia Caleo, con le voci di tante studiose contemporanee, da Donna Haraway e Ursula Le Guin, a Lynn Margulis. Al centro gli interrogativi della creatura senza nome e la sua percezione del mondo degli Altri, degli umani sempre più insensibili e crudeli verso le persone “non conformi”, sino alla lenta presa di coscienza del fatto che il non possedere né denaro, né amici, né proprietà di alcun genere la relegavano alla sfera degli esclusi, dei maledetti, dei senza nome, appunto». In Frankenstein (a love story) il mostro e l’orrore esistono nel corpo, mentre in altri romanzi gotici è il luogo a provocare la paura, qui è la fisicità: «Frankenstein rende la carne stessa gotica e Shelley, quindi, traccia una nuova geografia del terrore», conclude la compagnia. La composizione dello spettacolo, con la collaborazione drammaturgica della studiosa Ilenia Caleo, parte dalla struttura a scatole cinesi del libro che Mary Shelley ha scritto a soli diciannove anni: «Sono tre linee, tracce che scivolano una nell’altra, qualche volta si sciolgono, si mescolano» scrive Caleo. «Trattiamo il testo come una storia che contiene una storia che contiene una storia, una seppellita nel corpo dell’altra». I personaggi in scena, Mary Shelley ovvero la creatrice, Victor ovvero il creatore, il mostro, che la compagnia definisce la creatura, immaginandola al femminile – «perché in realtà incarna tutte le fragilità e contraddizioni che all’epoca della scrittura del romanzo erano pregiudizialmente attribuite alle donne» –, compaiono in uno spazio asettico e vuoto, un’immagine fantasmatica. Ghiaccio e bianco a perdita d’occhio, un paesaggio straniante e doloroso in cui la natura è in tumulto, in tempesta, non ha niente di idilliaco. Mary Shelley è la prima figurazione mostruosa, narratrice ma lei stessa mostro, perché mostruosa è la sua immaginazione, un’immaginazione giovane e prodigiosa, di adolescente. Victor Frankenstein è una figura pienamente ottocentesca, che vuole possedere, conquistare e governare le forze della Natura, ma ne è sopraffatto. La Creatura è una figura senza potere, fuori posto e fragile, “un ibrido” che sta sul confine tra mondi, come i mostri, proprio lì dove non dovrebbe esistere. Tre solitudini radicali che si intrecciano. Il progetto ha aperto diverse strade di ricerca che hanno portato la compagnia a immaginare il lavoro in due forme diverse, unite e dialoganti; Frankenstein diventa quindi un dittico che si sviluppa in due movimenti autonomi: lo spettacolo Frankenstein (a love story) e nel 2024 la creazione di un film, Frankenstein (a history of hate). Motus nasce a Rimini nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, producendo sin dalla fondazione spettacoli capaci di raccontare le più aspre contraddizioni del presente. Il lavoro della compagnia, fatto di teatro, performance e installazioni, accompagnato da un’intensa attività di seminari, viene presentato in Europa e in tutto il mondo. Del 2020 è il progetto Tutto Brucia che, prendendo spunto da Le Troiane di Euripide, indaga il concetto di “fine” nella tragedia, in un periodo segnato dalla pandemia e dal lutto. Da Tutto Brucia nascono i due soli, You Were Nothing but Wind, un focus con Silvia Calderoni sulla figura di Ecuba, e Of the nighitngale I envy the fate, affondo su Cassandra con Stefania Tansini. I registi della compagnia sono stati direttori artistici del cinquantenario di Santarcangelo Festival - progetto biennale in tre atti tra luglio 2020 e luglio 2021. Nel 2021 Motus ha vinto il Premio della Critica dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Nel 2023 hanno curato Supernova, prima sperimentazione della rassegna di arte performativa contemporanea a Rimini. FRANKENSTEIN (a love story): ideazione e regia di Daniela Nicolò & Enrico Casagrande con Silvia Calderoni, Alexia Sarantopoulou, ed Enrico Casagrande drammaturgia Ilenia Caleo adattamento e cura dei sottotitoli Daniela Nicolò traduzione Ilaria Patano assistenza alla regia Eduard Popescu, disegno luci Theo Longuemare, ambienti sonori Enrico Casagrande, fonica Martina Ciavatta, grafica Federico Magli, produzione Francesca Raimondi organizzazione e logistica Shaila Chenet e Matilde Morri, promozione Ilaria Depari comunicazione Dea Vodopi, distribuzione internazionale Lisa Gilardino una produzione Motus con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, TPE - Festival delle Colline Torinesi, Kunstencentrum VIERNULVIER (BE) e Kampnagel (DE), residenze artistiche ospitate da AMAT & Comune di Fabriano, Santarcangelo Festival, Teatro Galli-Rimini, Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto-Teatro Dimora | La Corte Ospitale”, Rimi-Imir (NO) e Berner Fachhochschule (CH), con il sostegno di MiC, Regione Emilia-Romagna Prossime date: dal 17 al 19 ottobre 2023 TPE Festival delle Colline Torinesi, Torino dal 26 al 28 ottobre 2023 Kampnagel, Amburgo dal 22 al 26 novembre 2023 FOG Triennale, Milano 17 febbraio 2024 Centro Servizi Culturali Santa Chiara, Trento 2 marzo 2024 Teatro Galli, Rimini 9 marzo 2024 Teatro Koreja, Lecce 6 aprile 2024 Teatro Kismet, Bari Teatro Arena del Sole, via Indipendenza 44 – Bologna Prezzi dei biglietti: da 5 € a 27 € Biglietteria: dal martedì al sabato dalle ore 11.00 alle 14.00 e dalle 16.30 alle 19.00 Tel. 051 2910910 - [email protected] | bologna.emiliaromagnateatro.com  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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miniatdetective · 11 months
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Piccoli paracadute che volano via con il vento ツ
𝐃𝐚𝐧𝐝𝐞𝐥𝐢𝐨𝐧 (𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑙𝑒𝑜𝑛𝑒; nome scientifico: Taraxacum): pianta da fiore della famiglia delle Asteraceae, originaria dell'Eurasia ed ampiamente introdotta in Nord e Sud America e in altri continenti; specie invasiva in alcune aree.
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Le foglie affilate assomigliano un po' ai denti di leone. 
I suoi semi sono come piccoli paracadute che volano via con il vento, allargandosi e facendo crescere altri denti di leone; sono usati in Cina come medicina. Il polline di tarassaco può spesso provocare allergie.
Molte specie di Taraxacum producono semi asessualmente per apomissis (senza impollinazione); la progenie risulta, pertanto, geneticamente identica alla pianta madre.
Al Razi, intorno al 900 d.C., scrisse il tarashaquq è come la cicoria; uno scienziato e filosofo musulmano, Ibn Sīnā, intorno al 1000 a.C. scrisse il capitolo d'un libro sul Taraxacum; Gerardo da Cremona, nel tradurre dall'arabo al giapponese, intorno al 1170, lo indicò con tarasacon.
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magicnightfall · 4 years
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MAN OR WOMAN, SHE’S THE BOSS ANYWAY
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La mia vita è un pendolo che oscilla incessantemente tra “Ma cosa campo a fare?” e “Se non altro c’è Taylor Swift”. Non c’è infatti cataplasma migliore, contro il logorio della vita moderna, di un po' di tempo speso a cercare di capire cosa passa per la mente della gattara. Stavolta l'occasione per tale approfondimento psicologico è data dal video di The Man. Ora, sui social hanno già scritto e detto tutto su tale argomento, hanno anche già individuato tutti i singoli easter egg e i riferimenti esoterici alla circoscrizione dei Templari di Baranzate bassa, quindi in questo post, che viaggia con Trenitalia, non troverete nulla che non avete già letto in tempo reale su cosechenessunovidirà.covid19.com: pertanto se volete saltare direttamente alla fine dove ci sono le previsioni del tempo, fate pure. The Man è una delle canzoni più interessanti di Lover (ne ho parlato qui), e il video che l’accompagna non è da meno. Innanzitutto, è stato scritto, diretto, prodotto, interpretato e posseduto — non nel senso demoniaco del termine — da Taylor stessa, la quale ha evidentemente deciso di darsi all’autarchia. Siamo, devo dire, ancora lontani dalla compiuta realizzazione del concetto “Se vuoi che le cose vengano bene devi fartele da solo” perché, per esempio, la scena della pipì sul muro — per quanto d’impatto — è zoomata troppo e zoomata a caso, ma comunque la gattara merita un plauso per aver provato a mettersi in gioco su un’arte complicata come la regia. In realtà, la ragione sottesa a questo suo coinvolgimento così capillare nella realizzazione del video è anche e soprattutto un’altra, e origina dal contenzioso sulla discografia precedente a Lover, e i master di cui non è riuscita a ottenere la proprietà. Con la (quasi) totalità della sua produzione artistica in mano a plutocrati viscidi, falsi e tracotanti, a un certo punto Taylor ha deciso che l’unica padrona di se stessa doveva essere, appunto, se stessa (emblematico il disclaimer con l’indicazione del copyright: Taylor Swift in luogo della casa discografica, come invece accadeva in passato). Così non passa certo inosservata la “denuncia” cui dà voce il cartello appeso a un muro decorato con i graffiti con i titoli dei suoi album: “Smarriti: in caso di ritrovamento restituire a Taylor Swift”. (sia messo a verbale che, se dovessi smarrirmi, anche io vorrei essere restituita a Taylor Swift. Federica Sciarelli prendi nota) E nemmeno passa inosservata la frecciatina a Scooter Braun, uno dei tracotanti di cui sopra, affidata a un secondo cartello che vieta i monopattini elettrici (“scooter”). (certo che uno che decide di darsi al business col soprannome “Scooter” dovrebbe essere preso a botte alla stregua di uno che sceglie di farsi chiamare, che ne so, “Apecar”, ma il mondo non è mai stato un posto troppo razionale) Ora, sebbene questi siano un aspetti senza dubbio importanti da menzionare, il video si concentra principalmente su altre questioni, così come, in effetti, il testo della canzone: i due pesi e le due misure che la società applica tra donne e uomini. E sceglie di mostrarcelo in modo letterale, lasciando tuttavia che sia lo spettatore a unire i puntini, portandolo (si spera) a una riflessione su come sarebbe percepita una donna se facesse quelle stesse cose. Così Taylor mette in scena non solo i comportamenti odiosi degli uomini come il manspreading, cioè l’allargare le gambe sui mezzi pubblici occupando tre posti invece di uno, l’aggressività sul luogo di lavoro (che però viene vista come un atteggiamento sicuro e vincente), ma anche i comportamenti odiosi della società stessa, la quale considera padre dell’anno l’uomo che fa il minimo indispensabile nei confronti della sua progenie, o celebra il playboy che passa da una ragazza all’altra (consapevoli che, a parte invertite, la donna verrebbe invece messa alla gogna). C’è chi dice che il video avrebbe avuto maggiore impatto se protagonista fosse stata una donna invece di un uomo, ma io non sono tanto d’accordo. Abbiamo già avuto modo di vedere come, fondamentalmente, i media e buona parte della società siano stolidi buoi che, come dire, non capiscono mai un cazzo: se ancora, dopo sei anni, molti faticano a cogliere l’ironia e le metafore del video di Blank Space, non vedo perché si possa pensare che quegli stessi soggetti siano in grado estrapolare un sottotesto. Secondo me ha avuto ragione Taylor a voler fare un video che rinuncia a qualsiasi intento allegorico per mostrarci invece le cose come in effetti sono. Così è, se vi pare. “Gli uomini si comportano in questo modo, gli uomini pensano in questo modo, la società consente loro di comportarsi in questo modo, è ora che ve ne rendiate conto: ecco perché ho messo tutto qui, nero su bianco” parrebbe dirci Taylor. Credo che con questo espediente sia meno marcato il rischio che la “morale della favola” finisca per perdersi.
Se da un lato, però, un video così testuale paga per forza lo scotto di risultare un tantino banale, dall’altro il vero guizzo di originalità è data dalla circostanza che l’uomo è Taylor stessa. Il reparto trucco e parrucco ha fatto un lavoro davvero straordinario (forse secondo soltanto ai miracoli degli addetti Photoshop di Giorgia Meloni). Sebbene fin dalla prima immagine rilasciata in anteprima, con l’uomo di spalle, mi aspettavo una trovata del genere (un po’ a là Drew Barrymore e Cameron Diaz in Charlie’s Angels più che mai), confesso che non l’ho riconosciuta fino all’ultimo, e per ultimo intendo proprio quando fanno vedere la trasformazione. Anche se la voce di The Rock (quella sì che l’avevo riconosciuta) mi aveva insospettita, sono proprio cascata dal pero. A rivederlo, col senno di poi, si capisce che non poteva essere che lei (il modo in cui si muove, tipo quando fa l’occhiolino o allarga le braccia, è inconfondibile), ma per il resto sono ancora F4 basita. Questo sotterfugio, devo dire, mi è piaciuto tantissimo: dopotutto, nella canzone Taylor riflette su come sarebbe percepita se fosse un uomo, e si può dire che, con questo ben riuscito artificio, abbia toccato con mano le sue teorie. Nella canzone la gattara afferma anche che, se fosse un uomo sarebbe un tipo “Alpha”. Ebbene, credo di parlare a nome di tutti dicendo che, per quel che ci riguarda,  donna o uomo, Taylor è l’intero alfabeto greco. Meteo: chicchi di grandine grandi come furgoncini su tutta Baranzate bassa.
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bettalatalpa · 3 years
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Quando il video verrà correttamente elaborato da YouTube, arriverà in mondovisione la puntata pilota di #bettatv, l'ultima della progenie del progetto di Betta La Talpa. Senza costanza e senza paletti, senza varie ed eventuali e per carità senza ordini del giorno! I protagonisti sono i libri ed ecco che si presentano in tutto il loro splendore: quando Maga Magò dice "Ho vinto, ho vinto!" sappiate che sono io davanti alla pila sul comodito da Guinness World Record. - #lanegromante edito @segretiingialloedizioni, ah sono io ma non mi sono mai letta da quando il mio nome è sulla copertina🤣 - #delittoecastigo del buon #dostoyevski per @feltrinelli_editore, lo lessi anni fa e me innamorai perdutamente. - #primocomando di Patrick O'Brian con @tea.libri per ricordare il mio amore per le storie di mare. -Gli indoeuropei e le origini dell'Europa di #franciscovillar edito @IlMulino -La fabbrica della fantasia dei ragazzi di @mastereditoria - Tina di Marco Scardigli per Interlinea Edizioni -I meccanismi dell'editoria di Roberto Cicala sempre con Il Mulino -L'educazione di Tara Westover per @feltrinelli_editore -I mondi di J. R. R Tolkien di John garth per @oscarvault -Tutti i racconti di Lovecraft sempre per @oscarvault - La saga di Terramare di Ursula K. Le Guin poi la finisco @oscarvault -Il viaggio di Halla di Naomi Mitchison per la collana Lainya di Fazi Editore Più uno... Jonathan strange e il signor Morrell della magnifica Susanna Clarke🎉 Non so se ce la farò, ma è un sacrificio che sono pronta a compiere!!! #books #bookpower #libri #bookshelf #reading #leggere #ticonsigliounlibro #editoria https://www.instagram.com/p/CN94ozZnik6/?igshid=a7tl083bx57e
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berna282 · 3 years
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Relaxing Music Therapy - Hypnotizing Drive Through The Canyons
CHI E’ IL RE DEL REGNO DI DIO?
DICENDO:’’IO STESSO HO INSEDIATO IL MIO RE SU SION, MIO MONTE SANTO’’. ( SALMO 2:6) 
INFATTI CI E’ NATO UN BAMBINO, CI E’ STATO DATO UN FIGLIO; E IL GOVERNO SARA’ SULLE SUE SPALLE .IL SUO NOME  SARA’ CONSIGLIERE MERAVIGLIOSO, DIO  POTENTE,PADRE ETERNO,PRINCIPE DELLA PACE. IL SUO GOVERNO SIFARA’ SEMPRE PIU’ FORTE E LA PACE NON AVRA’ FINE SUL TRONO DI DAVIDE  E SUL SUO REGNO. ESSO SARA’ SALDAMENTE STABILITO E SOSTENUTO MEDIANTE IL DIRITTO E LA GIUSTIZIA ORA E PER SEMPRE. LO ZELO DI GEOBVA DEGLI ESERCITI FARA’ QUESTO. ( ISAIA 9:6,7)
E TU, BETLEMME E’FRATA, QUELLA TROPPO PICCOLA PER ESSERE FRA LE MIGLIAIA DI GIUDA DA TE MI  USCIRA’ COLUI  CHE DOVRA’ GOVERNARE IN ISRAELE ,LE CUI ORIGINI RISALGONO AI TEMPI ANTICHI, AI GIORNI DI MOLTO TEMPO FA. (MICHEA 5:2)
ERA DISPREZZATO ED EVITATO DAGLI UOMINI UOMO FATTO PER IL DOLORE E CHE AVEVA FAMILIARITÀ’ CON LE MALATTIE. ERA COME SE IL SUO VISO CI FOSSE NASCOSTO. ERA DISPREZZATO ,E NON LO TENEVAMO IN NESSUN CONTO. ( ISAIA 53:3) 
LUI,INVECE,E’ STATO TRAFITTO PER LE NOSTRE TRASGRESSIONI ; E’ STATO SCHIACCIATO PER LE NOSTRE  COLPE. HA SUBITO LA PUNIZIONE PERCHE’ NOI AVESSIMO PACE, E GRAZIE ALòLE SUE FERITE SIAMO STATI GUARITI. ( ISAIA 53:5)
PERCHE’ TU NON MI LASCERAI NELLA TOMBA. NON PERMETTERAI CHE IL TUO LEALE VEDA LA FOSSA. MI FAI CONOSCERE IL SENTIERO DELLA  VITA. C’E’ IMMENSA GIOIA ALLA TUA PRESENZA, FELICITA’ ALLA TUA DESTRA PER SEMPRE. ( SALMO 16:10,11)
GESU’ CRISTO: IL RE IDEALE 
ECCO, RIMARA’ INCINTA E PARTORIRAI  IUN FIGLIO; DOVRAI CHIAMARLO GESU’. SARA’ GRANDE E SARA CHIAMATO FIGLIO  DELL’ ALTISSIMO .GEOVA DIO GLI DARA’ IL TRONO DI SUO PADRE DAVIDE, E LUI REGNERÀ’ SULLA CASA DI GIACOBBE PER SEMPRE,E IL SUO REGNO NON AVRA’ FINE’’. ( LUCA 1:31-33)
GESU’ SI INTERESSAVA DELLE PERSONE 
VEDENDO LE FOLLE NE EBBE COMPASSIONE , PERCHE ERANO MAL RIDOTTE E DISPERSE COME PECORE SENZA PASTORE. ( MATTEO 9:36)
E PRESE I BAMBINI FRA LE BRACCIA E LI BENEDISSE,  PONENDO SU DI LORO LE MANI. ( MARCO 10:16)
E VENNE DA LUI UN LEBBROSO ,CHE LO SUPPLICO’ IN GINOCCHIO DICENDOGLI:’’SE TU VUOI, PUOI PURIFICARMI’’. ALORA GESU’, MOSSO A COMPASSIONE , STESE LA MANO E LO TOCCO DICENDOGLI: ‘’LO VOGLIO! SII PURIFICATO. IMMEDIATAMENTE LA LEBBRA SPARI’ E  L’UOMO FU PURIFICATO. ( MARCO 1:40-42)
GESU’ INSEGNO’ COSA FARE PER PIACERE A DIO. 
QUANDO GESU’ EBBE FINITO DI DIRE QUESTE COSE,LE FOLLE ERANO STUPITE DEL SUO MODO D’INSEGNARE, PERCHE INSEGNAVA LORO  COME UNO CHE HA AUTORITÀ’, E NON COME I LORO SCRIBI. ( MATTEO 7:28,29) 
MA IOVI  DICO : CONTINUATE AD AMARE I VOSTRI NEMICI E A PREGARE PER QUELLI CHE VI PERSEGUITANO, ( MATTEO 5:44) 
MA GESU’ DICEVA:’’PADRE ,PERDONALI,  PERCHE’ NON SANNO QUELLO CHE FANNO’’.INOLTRE TIRARONO A SORTE LE SUE VESTI PER DIVIDERSELA. ( LUCA 23:34)
QUAND’E’ CHE IL REGNO DI DIO GOVERNERÀ LA TERRA?
QUANDO SI FURONO RIUNITI,GLI CHIESERO: ‘’SIGNORE,E’ QUESTO IL TEMPIO IN CUI RISTABILIRAI IL REGNO PER ISRAELE?’’ LUI RISPO0SE:’’NON STA A VOI CONOSCERE I TEMPI O I PERIODI CHE IL PADRE HA  POSTO SOTTO  LA PROPRIA AUTORITÀ. ( ATTI 1:6,7)
ALLO STESSO  MODO, QUANDO VEDRETE ACCADERE QUESTE COSE,SAPPIATE CHE IL REGNO DI DIO E’ VICINO. ( LUCA 21:31)
QUALI EVENTI PREDISSE GESU’? 
POI’ DISSE : ‘’NAZIONE COMBATTERÀ’ CONTRO NAZIONE E REGNO CONTRO REGNO. CI SARANNO GRANDI TERREMOTI E, IN UN LUOGO DOPO L’ ALTRO,CARESTIE ED EPIDEMIE; CI SARANNO FENOMENI TERRIFICANTI E GRANDI SEGNI DAL CIELO. ( LUCA 21:10,11)
 UN’ OPERA DI PREDICAZIONE MONDIALE 
E QUESTA  BUONA NOTIZIA DEL REGNO SARA’  PREDICATA IN TUTTA LA TERRA ABITATA,PERCHE’ SIA RESA TESTIMONIANZA A TUTTE LE NAZIONI,  E ALLORA VERRA LA FINE. ( MATTEO 24:14)
CHE SIGNIFICATO HA PER NOI IL SEGNO?
ALLO STESSO MODO, QUANDO VEDRETE  ACCADERE QUESTE COSE,SAPPIATE CHE IL REGNO DI DIO E’ì VICINO. ( LUCA 21:31) 
I RE DELLA TERRRA PRENDONO POSIZIONE E I DIGNITARI SI RADUNANO COME UN SOL UOMO CONTRO GEOVA E CONTRO IL SUO UNTO. ( SALMO 2:2)
COLUI CHE SIEDE SUL TRONO NEI CIELI RIDERA’; GEOVA SI FARA’ BEFFE DI LORO. ( SALMO 2:4) 
DICENDO:’’IO STESSO HO INSEDIATO IL,MIO RE SU SION, MIO MONTE SANTO’’. FATEMI PROCLAMARE IL DECRETO DI GEOVA; EGLI MI HA DETTO:’’TU : SEI MIO FIGLIO ; IO OGGI TI HO GENERATO. CHIEDIMELO,  E IO TI DARO’ IN EREDITA’ LE NAZIONI, TI DARO’ IN POSSESSO LE ESTREMITÀ’ DELLA TERRA. LA SPEZZERAI CON UNO SCETTRO DI FERRO; COME IUN VASO D’ ARGILA LE FRANTUMERAI’’. ( SALMO 2:6-9) 
VENGA  IL TUO REGNO . SI COMPIA LA  TUA VOLONTÀ’, COME IN CIELO,COSI’ SULLA TERRA. ( MATTEO 6:10)
COSA FARA’ IL REGNO DI DIO? 
IL REGNO DI DIO INIZIA  A OPERARE 
E SCOPPIO’ UNA GUERRA IN CIELO: MICHELE E I SUOI ANGELI COMBATTERONO CONTRO IL DRAGONE,E IL DRAGONE E I ANGELI COMBATTERONO ( RIVELAZIONE 12:7)
COSI’ IL GRAN  DRAGONE, L’ ANTICO SERPENTE, COLUI CHE E’  CHIAMATO  DIAVOLO E SATANA ,CHE SVIA L’INTERA TERRA ABITATA,FU GETTATO GIU; FU GETTATO SULLA TERRAA, E I SUOI ANGELI CON LUI. ( RIVELAZIONE 12:9) 
NELLAN PARTE FINALE DEI GIORNI IL MONTE DELLA CASA DI GEOVA SARA’ POSTO  SOLIDAMENTE  AL DI SOPRA DELLE CIMA DEI MOMNTI E SARA’ INNALZATO AL DI SOPORA DEI COLLI, EN TUTTE LE NAZIONI VI AFFLUIRANNO. MOLTI POPOLI VERRANNO E DIRANNO: ‘’VENITE ,SALIAMO AL MONTE DI GEOVA, ALLA CASA DELL’ IDDIO0 DI GIACOBBE. EGLI CI INSEGNERÀ’ LE SUE VIE, E NOI CAMMINEREMO NEI SUOI SENTIERI’’. DA  SION INFATTI USCIRA’ LA LEGGE, E DA GERUSALEMME LA PAROLA DI GEOVA . EGLI SARA’ GIUDICE FRA LE NAZIONI E METTERÀ’ LE COSE A POSTO PER MOLTI POPOLI.TRASFORMERANNO LE ORO SPADE IN VOMERI E LE  LORO LòANCE IN  FALCETTI PER POTARE . LE NAZIONI NON ALZERANNO LA SPADA L’UNA CONTRO L’ ALTRA, NE’ IMPARERANNO PIU’ LA GUERRA. ( ISAIA 2:2-4)
COSA FARA’ IL REGNO DI DIO IN FUTURO?
GEOVA STENDERÀ′ DA SION LO SCETTRO DEL TUO  POTERE ,DICENDO: ‘’DOMINA IN MEZZO AI TUOI NEMICI’’. ( SALMO 110:2) 
POI’ MI DISSE:’LE ACQUE CHE HSAI VISTO, SU CUI SIEDE  LA PROSTITUTA ,RAPPRESENTANO POPOLI, FOLLE,NAZIONI E LINGUE. E LE 10 CORNA CHE NHAI VISTO E LA BESTIA FEROCE ODIERANNO LA  PROSTITUTA, LA SPOGLIERANNO E LA LASCERANNO NUDA, NE MANGERANNO LE CARNI E LA BRUCERANNO COMPLETAMENTE NEL FUOCO. ( RIVELAZIONE 17:15,16)
DALLA SUA  BOCCA ESCE UNA LUNGA SPSADA AFFILATA CON CUI COPIRE LE NAZIONI.  LUI   LE GOVERNERÀ’ CON UNA VERGA DI FERRO E PIGERA’  L’UVA NEL TORCHIO DELL’ IRA FURENTE DELL’ IDDIO ONNIPOTENTE. ( RIVELAZIONE 19:15) 
POI VIDI UN ANGELO IN PIEDI NEL SOLE,CHE GRIDO’ A GRAN  VOCE A TUTTI GLI UCELLI CHE VOLANO IN MEZZO AL CIELO: ‘’VENITE ,RADUNATEVI PER  IL GRANDE BANCHETTO DI DIO,PER MANGIARE LE CARNE DEI RE, LA CARNE DEI COMANDANTI,LA CARNE DEI POTENTI,LA CARNE  DEI CAVALLI E DEI  CAVALIERI E LA CARNE  DI TUTTI,  LIBERI E SCHIAVI,PICOLI E GRANDI!’’( RIVELAZIONE 19:17,18)
MA I MALVAGI SARANO  STRONCATI DALLLA TERRA, E GLI SLEALI NE SARANNO STRAPPATI VIA. ( PROVERBI 2:22)
LO GETTO’ NEL’ ABISSO, CHE  CHIUSE E SIGILLO’  SU DI LUI IN MODO CHE NON POTESSE PIU’ SVIARE LE NAZIONI FINO ALLA FINE DEI 1.000 ANNI; DOPODICHÉ’ DEV’ ESSERE LASCIATO LIBERO PER UN PO’ DI TEMPO.  (RIVELAZIONE 20:3) 
E IL  DIAVOLO,CHE LE SVIA ,SARA’ GETTATO NEL LAGO DI FUOCOI E ZOLFO,DOVE SI TROVANO GIA ‘ LA BESTIA FEROCE E IL FALSO PROFETA; E SARANNO  TORMENTANTI GIORNO E NOTTE PERI SECOLI DEI SECOLI.  (RIVELAZIONE 20:10)
COSA FARA’ IL REGNO DI DIO PER GLI ESSERI UMANI? 
 E CANTANO  UN NUOVO CANTO: ‘’TU DSEI DEGNO DI PRENDERE IL ROTOLO E DI APRIRNE I SIGILLI, PERCHE’ SEI STATO  SCANNATO E CON IL TUO SANGUE HAI COMPRATO A DIO PERSONE DI OPGNI TRIBU’, LINGUA,POPOLO E NAZIONE,E NE HAI FATTO  UN REGNO E SACERDOTI PER IL NOSTRO DIO; E REGNERANNO SULA TERRA’’. ( RIVELAZIONE 5:9,10) 
ED ECCO,VIDI L’ AGNELLO IN PIEDI  SUL MONTE SION,E CON LUI 144.0000 CHE AVEVANO IL SUO NOME E IL NOME DEL PADRE SUO SCRITTO SULLA FRONTE. ( RIVELAZIONE 14:1)
ESSI CANTANO DAVANTI AL  TRONO E DAVANTI ALLE QUATTRO CREATURE VIVENTI E AGLI ANZIANI QUELLO  CHE SEMBRA  UN NUOVO CANTO; NESSUNO POTEVA IMPARARE WQUEL CANTO TRANNE I 144.000, CHE SONO STATI COMPRATI DALLA TERRA. ( RIVELAZIONE 14:3)
E NESSUNO ABITANTE DIRA:’’SONO MALATO’’. AL POPOLO CHE DIMORA NEL PAESE SARA’PERDONATO IL SUO PECCATO. ( ISAIA 33:24) 
ED EGLI ASCIUGHERÀ OGNI LACRIMA DAI LORO OCCHI, E LA MORTE NON CI SARA’ PIU’, NE’ CI SARA’ PIU’ LUTTO NE LAMENTO NE’ DOLORE,. LE COSE DI PRIMA SONO PASSATE’’. ( RIVELAZIONE 21:4)
TUTI I TUOI  FIGLI SARANNO ISTRUITI DA GEOVA, E GRANDE SARA’ LA PACE DEI TUOI FIGLI. ( ISAIA 54:13) 
SIEDERANNO OGNINO SOTTO LA SUA VITE E  SOTTOI IL SUO FICO, E NESSUNO LI SPAVENTERÀ ′, PERCHÉ’ LA BOCCA DI GEOVA DEGLI ESERCITI HA PARLATO. ( MICHEA 4:4) 
NON  CONTINUERANNO PERCHE’ QUALCUN ALTRO ABITI E NON PIANTERANNO PERCHE’ QUALCUN ALTRO MANGI, PERCHE’ I GIORNI DEL MIO  POPOLO SARANNO COME I GIORNI DELL’ ALBERO  E I MIEI ELETTI GODRANNO PIANAMENTE IL FRUTTO DEL LORO LAVORO. NON FATICHERANNO INUTILMENTE E NON METTERANNO AL MONDO FIGLOI PER VEDERLI SOFFRIRE, PECHE’ LORO9 E I LORO DISCENDENTI SONO LA PROGENIE DEI BENEDETTI DA GEOVA. ( ISAIA 65:22,23) 
IL DESERTO E LA REGIONE ARIDA ESULTERANNO, E LA PIANURA DESERTICA GIOIRA’ E FIORIRA COME  LO ZAFFERANO. ( ISAIA 35:1)
QUESTO SIGNIFICA VITA ETERNA: CHE  CONOSCANO TE, IL SOLO VERO DIO, E COLUI CHE NTU HAI MANDATO,GESU’ CRISTO. ( GIOVANNI 17:3)
SE SOLO PRESTASSI ATTENZIONE AI MIEI COMANDAMENTI! ALLORA LA TUA PACE DIVERREBBE PROPRIO COME UN FIUME, E LA TUA GIUSTIZIA COME LE ONDE DEL MARE. ( ISAIA 48:18) 
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New York Little Wind Books 26.10.20 Flashback #literaryloungehalloweenweek Lo sciamano si era sentito inquieto per tutta la giornata. Nessuno di loro poteva comprendere. Non era il suo consueto stato alterato dovuto all'avvicinarsi di Samhain, no, qualcosa increspava l'animo del giovane e i suoi occhi solitamente del color del cielo sereno, si erano tinti da una sfumatura enigmatica. Solo chi lo conosceva bene poteva intuire che qualcosa non andasse, per il resto degli avventori del Little Wind Books lui si comportava come sempre. Maxine e Kim lo osservavano senza pronunciare parola, sapendo che l'unico modo per gestirlo è attendere che lui si aprisse, ammesso che volesse farlo. La mattinata sembrò volare come l'aquila che apparteneva al suo nome nativo e si ritrovò ben presto in pausa pranzo. Dentro di sé David era esausto e cercò di ricavare un po' di energia da Madre Terra grazie alla tecnica del radicamento. Incurante di ciò che i passanti potevano pensare di quell'uomo seduto sul marciapiede con la schiena appoggiata alla fredda vetrina del negozio, lo sciamano chiuse gli occhi e iniziò una lieve meditazione. Non voleva viaggiare, voleva solo recuperare un po' di forza per affrontare il resto della giornata ma, come sempre in quel periodo dell'anno, gli eventi tendevano a sfuggire dal suo controllo. Era immerso nella sua meditazione che non si accorse dell'arrivo del fratello e, soprattutto, che la sua coscienza aveva lasciato il posto a qualcun altro nella gestione del suo corpo. Quel qualcuno sussultò di colpo quando lo sentì dire: "Un penny per un tuo pensiero, David." "In questo momento credo che lui sia più furioso per ciò che ho fatto." Gabriel studiò il volto del fratello cercando di comprendere che cosa stava accadendo e i suoi occhi chiari sembravano farsi specchio di quelli di David... o di chiunque fosse al suo posto. Si sentiva studiato a sua volta. "Così tu saresti parte della mia progenie." "Sarei profondamente incazzato se fossi nella situazione di mio fratello." "Lo è, infatti ma dovevo vedere con i miei occhi lo stato della stirpe. Da quel che vedo non posso lamentarmi." "Dubito che tu abbia preso possesso del corpo di Dave solo per dare una sbirciatina nel futuro. Dimmi cosa vuoi davvero." "In realtà è proprio per questo che l'ho fatto. Volevo essere sicuro che Chimera non prenderà possesso della tua conoscenza e dei poteri di Naira e Aldalórë." L'uomo spalancò gli occhi. "E' il linguaggio quenya creato da Tolkien vero? Ho un enorme rispetto per quell'uomo, ha creato vero potere senza esserne completamente conscio." Rylan era sorpreso. Il suoi modi di fare, il suo tipo di reazione... tutto in lui gli parlava di Eleri e ciò gli fece provare una nostalgia lancinante. "Sai cosa significa?" Gabriel annuì: "Cuore di fiamma e di albero. Chi sarebbero?" "I gemelli Wright. Sono il loro nome di potere. Immagino tu sappia di cosa sto parlando. David si fida di te, lo sentirei nel cuore se ne avessi ancora uno. Ora ho avuto la prova definitiva che Chimera dovrà ascoltarvi. Siete al sicuro, se credete in voi e nel vostro legame. Diglielo. Dì a tuo fratello quello che..." L'uomo richiuse gli occhi e quando li aprì nuovamente, gli occhi si dipinsero di una tonalità di puro fuoco. "Dannazione, Rylan, che modi sono questi?" sbottò irritato David. "Bentornato tra noi fratellino. Ci sono momenti in cui vorrei essere come Grace, magari avrei potuto proteggerti." "Non credo che tu possa proteggermi da qualcosa che è parte integrante di me. Piuttosto, come mai sei qui? Hanno cercato ancora di usarti contro di me?" Gabriel fece un cenno di diniego con la testa. "Diciamo che stavo seguendo una mia sensazione." "Tua o della mia gemella?" "Credo più di entrambi ma qui ci sono solo io." "Siediti accanto a me, allora. Vedo se riesco a recuperare davvero le energie per oggi pomeriggio, visto che il nostro avo ha deciso diversamente. Purtroppo a Samhain il controllo su di lui diventa... labile." "Ho notato. Deve essere davvero sfibrante, ora comprendo perché Grace fosse sempre esausta, nonostante il fatto sembrasse non fare fisicamente nulla di impegnativo." "Madre Terra esige sempre un alto tributo dai suoi figli più sensibili. Più che altro mi spiace che lei non ti abbia detto mai nulla. Sei parte della famiglia e, anche se non sei come noi, hai la conoscenza giusta per poter essere comunque d'aiuto. Posso farti una domanda, considerato il fatto che tu conosci meglio di me i nostri genitori?" "Puoi chiedermi tutto quello che vuoi, fratellino, lo sai." "Gabriel, Grace... anche io dovevo avere un nome con la G?" " Sì. Nostro padre è fissato con l'iniziale del suo nome. Avresti dovuto chiamarti George, come il nonno paterno. Mamma sin da subito però si è detta sicura del tuo nome di battesimo. Ammetto che in casa si respirava un'aria abbastanza particolare quando lei era in attesa di voi due, come se lei sapesse già cosa stava per accadere." "Una strega, incinta, e per di più appartenente alla stirpe Haller? Mi sarei meravigliato di più se fosse stato tutto normale, Gabe. Sono stanco. Terribilmente stanco. Samhain, Chimera, Charles Haller mi stanno esaurendo psicologicamente. Se resisto è per Kim, per voi tutti. So che non è finita." "Haller mi ha lasciato un messaggio: ha detto che Chimera ci ascolterà se crediamo nel nostro legame." David fece un sorriso sornione. "Oh di questo ne sono sicuro. Ti ha detto altro?" "I vostri nomi." disse il fratello maggiore con un tono di voce tirato. "Non ti preoccupare, mi fido di te ciecamente. Lo so che pensi che non ci conosciamo davvero ma... sono uno sciamano, leggo nel cuore delle persone e il tuo cuore e quello di Grace sono come il mio. Forti. Limpidi. Non ho paura di voi. E poi il mio nome cambierà ben presto. Non sono più solo fuoco ma devo ancora meritare davvero quella parte del nome." "Come fai? Cioè voglio dire... se fossi al tuo posto sarei spaventato per tutto il tempo." David porse una mano verso il fratello e gli disse: "Aiutami a rialzarmi, devo tornare dentro o farò preoccupare le ragazze." Gabriel lo tirò su con forza. Lo sciamano aggiunse "Sono sempre costantemente vigile perché ho timore di ciò che vedo e che sento. Se sembra diversamente è perché non permetto alla paura di avere il sopravvento su di me. Imparerai, tȟaté, imparerai anche tu a non farti bloccare dalla paura, ne sono sicuro." Gabriel gli sorrise e gli diede una pacca affettuosa su una spalla. "Fratellone... come ti ho detto leggo nei cuori. So che per molto tempo ti sei sentito escluso da mamma e da Grace. Forse è anche per questo che ti sei messo a studiare i codici. Io non sono come loro. Per me la conoscenza è sacra e tu vali esattamente come Grace, la mamma e me. Se il Grande Spirito e Madre Terra hanno deciso in questo modo, c'è un motivo e non vedo l'ora di scoprirlo assieme a te... assieme alla nostra famiglia." Il sollievo di Gabriel gli arrivò dentro in maniera possente. Samhain o no, stanchezza o meno c'erano cose che non sarebbero cambiate per il giovane sciamano. 𝘎𝘺𝘨𝘳𝘦𝘧𝘶𝘨𝘨𝘦𝘭 𝘎𝘢𝘷 𝘮𝘦𝘨 𝘷𝘪𝘯𝘨𝘢𝘳 𝘒𝘷𝘪𝘵𝘦 𝘬𝘰𝘳𝘱𝘢 𝘎𝘢𝘷 𝘮𝘦𝘨 𝘴𝘫𝘰𝘯 𝘎𝘢𝘭𝘥𝘳𝘦𝘬𝘳𝘢̊𝘬𝘢 𝘎𝘢𝘷 𝘮𝘦𝘨 𝘴𝘰𝘯𝘨𝘦𝘯 𝘒𝘷𝘪𝘵𝘦 𝘷𝘪𝘯𝘨𝘢𝘳 𝘍𝘺𝘭𝘨𝘫𝘦𝘳 𝘮𝘦𝘨 𝘚𝘱𝘪𝘳𝘪𝘵-𝘣𝘪𝘳𝘥 𝘎𝘢𝘷𝘦 𝘮𝘦 𝘸𝘪𝘯𝘨𝘴 𝘞𝘩𝘪𝘵𝘦 𝘳𝘢𝘷𝘦𝘯 𝘎𝘢𝘷𝘦 𝘮𝘦 𝘧𝘰𝘳𝘦𝘴𝘪𝘨𝘩𝘵 𝘊𝘩𝘢𝘯𝘵𝘪𝘯𝘨-𝘤𝘳𝘰𝘸 𝘎𝘢𝘷𝘦 𝘮𝘦 𝘵𝘩𝘦 𝘴𝘰𝘯𝘨 𝘞𝘩𝘪𝘵𝘦 𝘸𝘪𝘯𝘨𝘴 𝘍𝘰𝘭𝘭𝘰𝘸𝘴 𝘮𝘦 
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                                                 Music                   
All’inizio era il nulla. D O decise che non si poteva avere tutto quello spazio e lasciarlo vuoto, era un vero spreco, si rischiava l’esproprio proletario. Dapprima fu il caos. Si guardò intorno e mormorò: “Bella minchiata, ora mi tocca ripulire” Si mise di buzzo buono e in sette giorni, D O riordinò e disegnò nel bianco latteo del nulla, sette righe che generarono sei spazi (sette giorni per disegnare sette righe? Dritte spero). Si accorse di aver saltato il week end e stizzito, cancellò due righe come memorandum. Nacque così il pentagramma, una sorta di pentapartito, ma che funziona. Quando si alzò dal divano, dopo la pennichella pomeridiana, diede un’occhiata al suo operato. Cominciò a saltellare da una riga all’altra, fermandosi ora in uno spazio ora in un altro. Si divertì così, per cinque, dieci minuti al massimo, ma poi si accorse di quanto fosse monotono tutto quel ciondolare senza scopo. Si senti solo e vuoto. Si depresse. Abusò di alcool, marjuana, hascisc, cocaina e eroina, ma a nulla valse quel suo girovagare di allucinazione in allucinazione. Nella disperazione più nera arrivò persino a considerare i fiori di Bach e la cromoterapia. Niente non ne veniva a capo. Pensò e ripensò, pensò e ripensò, quando ad un tratto, una folgorazione: “Non sarà che per ovviare al problema della solitudine   io debba trovare compagnia?” (quando si dice: il genio) D O si mise alla scrivania e iniziò a fare delle prove: “Hmmm così non va… no così no… ma vahh… ma che merdata… PHUAA!!!… ma porc… se vabbeh, quadrato…” Un altra illuminazione gli permise di capire che, prendendo se stesso come esempio di base e applicando delle piccole variazioni, sarebbe stato semplice plasmare qualcuno con cui far bisboccia e… arricchire la sua esistenza certo. D O si fece un selfie e creò a sua immagine e somiglianza sette creature, dando origine alla Compagnia del Pentagramma (abbreviato: Note, non chiedete perché, mistero della fede) e diede un nome ad ognuna di loro. La prima la chiamò in suo onore, Do (ma tutto attaccato) la seconda Re, la terza Mi, la quarta Fa, la quinta Sol, la sesta La e l’ultima Si (la coincidenza nei numeri: sette sono i peccati capitali e sette le virtù e sette le piaghe d’Egitto e sette i mari e sette sono i nani). Ad ognuna di loro assegnò un alloggio, riga o spazio che fosse e visto che rimanevano uno spazio e una riga vuote, la sua lungimiranza snocciolò così, per non saper ne leggere ne scrivere, il secondo estratto. Mi secondo estratto e Fa secondo estratto. Bona li!!! E mo’? Mah!!! Ognuno dal suo balconcino guardava gli altri e poi intorno e intorno non è che ci fosse molto da vedere, bianco a perdita d’occhio, non c’era iterazione. Un sorriso imbarazzato, un colpetto di tosse, occhi pensierosi rivolti al… su. D O doveva pensare a qualcosa (era sfinito, si stava rompendo i coglioni di tutto sto pensamento). Mumble, mumble, mumble, mumble, muginava e rimuginava ma non riusciva a venire a capo di quel momento d’impasse. Gli venne in mente di tutto: da una bella riunione di condominio al bingo, ma nulla sembrava la cosa giusta per quella compagnia. “Basta, mi sono rotto e ho il mal di testa, forgerò qualcuno che si prenda la briga di creare per me, voglio riposare e non fare più un cazzo!!!” Così D O decise di dar vita a una creatura al di sopra delle parti e che pensasse per lui: impastò gli ingredienti di cui era in possesso e partorì, senza dolore, l’Omino di Zenzero (prima lezione nei corsi di animazione in 3D), aggiunse una folta e lunga capigliatura, un abito improponibile e due mani fornite di dita, rimirò la sua creatura e disse: “Ecco qui, ho creato il Musicista.” (Azz…) Dapprima fu il Batterista, un tipo di musicista primordiale, tera tera!!! Il Batterista, guardò la Compagnia del Pentagramma, si grattò la testa, non ci capì un cazzo e la mise da parte (prendi l’arte…), prese la prima cosa che gli capitò in mano (due bastoncini di legno) e cominciò a pestare su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, dai bicchieri della coca cola ai porta tovaglioli, dai cuscini del salotto alla batteria di pentole antiaderenti della mamma (creatura mitologica e santa, inventrice, tra l’altro, dei tappi per le orecchie). Il Batterista era si primitivo, ma non del tutto stupido e si costruì un set ben organizzato sul quale battere con i suoi legnetti. Cominciò con lo scuoiare bestie di tutti i tipi e inventò il tamburo e così andò fino a quando non intervennero gli animalisti vegani e dovette ripiegare su pelli sintetiche. La fantasia certo non mancava a questo prototipo, da qualsiasi oggetto poteva estrarne l’anima sonora che gli permetteva di giocare con il tempo. Le cose andarono bene per lui fino al giorno in cui arrivarono la Paiste e la Tama e le lacune di questo primate lo portarono quasi all’estinzione. Quella progenie si chiuse in una comunità omologata e standardizzata, perdendo smalto e identità; incrociandosi solo tra consanguinei, diventò malaticcia e pallida… scazzò insomma,  tanto che qualcuno pensò e provò a sostituirli con l’elettronica. La Compagnia del Pentagramma, va da se, non era per nulla contenta di essere stata messa da parte senza mezzi termini e cominciò a lamentarsi vigorosamente, così D O, nello scontento generale, creò: Mozart. Diede lui dei tasti bianchi e dei tasti neri e poi disse: “Potrai usare tutti i tasti bianchi che vuoi ma non toccare i tasti neri se non vorrai saggiare la mia ira” Mozart, che già da piccolo era un ragazzino sveglio, pose a D O una D Omanda: “Perchè o Grandissimo tu mi dici ciò? Perché tu mi dai anche i tasti neri e poi mi ordini di non usarli? Avresti fatto prima a non mettermeli davanti agli occhi, non ti pare?” D O visibilmente irritato per essere stato colto in fallo, replicò: “Io ho parlato, questa è la mia volontà e chi sei tu per fare domande a un D O?” E Mozart insolente: “ Dovresti saperlo, mi hai creato tu con questo caratterino, non è che adesso devi fare quello caduto dal pero.” Proferì queste parole sgranocchiando una bella mela rossa con lo sguardo di sfida classico del bambino prodigio. D O a questo punto, incazzato come una mina, pronunciò frasi forti: “BASTA, fai il cazzo che ti pare, ti concederò il libero arbitrio, ma poi non venirmi a dire che non ti avevo avvertito.” E così Mozart rimase solo con i suoi tasti bianchi, gli intoccabili, tasti neri e un serpente arrotolato al suo fianco che il medico locale aveva consigliato come pet terapy. Le sue dita cominciarono a saltellare sui bianconi, prima timidamente, poi con sempre più baldanza fino a che non raggiunse la più totale padronanza del mezzo, mezz’ora dopo. A quel punto le sue mani volavano senza freni e si sa, in un volo senza freni capita di perdere il controllo. I suoi polpastrelli cominciarono a sfiorare i tasti neri senza pigiarli, con leggere carezze, come a stuzzicare la pelle di una giovane donna; il gesto atto ad eccitare lei, si ritorce contro e gli ormoni frizzano come una pepsi appena versata. Sfiora oggi che ti sfiora domani, una delle dita più eccitata delle altre, profanò una delle vergini nere. Apocalisse!!! D O, inverecondo, esplose la sua rabbia scaturendo una sbrodolata  di simboli da non raccappezzarcisi più. Chiavi, battute, frazioni di tempo, piano pianissimo, forte fortissimo e poi diesis e bemolle e staccato, saltellante, legato, terzinato… ma va in mona vai!!! E per qualcuno non ce n’era abbastanza e dal tumulto sorse il Chitarrista Rock. Larsen, tapping, wah wah e distorto e forzato e nitrito di cavallo e  chi più ne ha più ne metta e poi il Bassista con lo slap, razza meno evoluta del sopracitato, causa un deficit alla nascita (un raggio spazio/temporale più limitato rispetto all’esacorde), una meno pronunciata mania di protagonismo ma una forte propensione all’assurgere, anche ricorrendo a correzioni della propria naturale fisionomia (lifting), per sedere fianco a fianco con la razza superiore. Il condominio della Compagnia del Pentagramma si animò e cominciò ad interagire. E conversazione fu! Dal chiacchiericcio nacque Schoenberg e una dissonanza gergale incomprensibile e confusionaria, che poi venne adottata come lingua ufficiale dalla classe politica. Poi arrivò Stravinsky che regolò le cose facendo coesistere conversazioni diverse regolandone le altezze, la metropoli. Bach, in tutto questo trambusto, cercava di fuggire al pari di Berlusconi che con il suo sassofono prendeva qualsiasi nave salpasse. Bach trovò la fuga Berlusconi no, ma ci andò vicino. D O era furioso e così mise sulle teste dei musicisti una maledizione: la povertà (in realtà erano due, ci fu anche quella della mamma che diceva:”mai con un musicista”, ma non funzionò un granché). Da questa piaga monetaria nacque il musicista jazz, vizioso, sporco con i denti neri cariati dal fumo, piegato su se stesso che nuotava in uno stagno nero e fangoso rotolandosi come una zoccola nella melma e come in ogni stagno che si rispetti, un re ranocchio, che mischiò le carte in tavola e da pappone, diventò colui che portò l’esperanto (l’idioma del futuro genere umano, mai sentito parlare da nessuno tranne forse da me, in versione maccheronica, quando cerco di farmi capire da un nord europeo e in versione spiccia, in Waterworld) a Babele, un certo Miles Davis. Dal nulla D O aveva creato un universo smisurato e bizzarro, dai confini troppo ampi, per essere controllati da uno che si alzava tardi e passava la giornata sul divano a grattarsi. La cosa gli sfuggì di mano e per una distrazione fatale, l’orda barbarica che si era avvicinata alle mura senza essere notata, fece breccia; i Cantanti si rovesciarono all’interno dell’universo di D O, come un travaso di bile. La Compagnia del Pentagramma perse il suo ruolo di protagonista e al suo posto salì sul podio lo specchio, che giorno dopo giorno attraverso la sua lucida vanità accrebbe la forza di quell’etnia fino a trasformarli in front man, coloro per i quali strapparsi i capelli e le mutandine: i belli e impossibili. Da Orietta Berti a Sergio Endrigo, dalla brunetta dei Ricchi e Poveri a Toto Cutugno, dal baffo dei Ricchi e Poveri a Pupo spuntarono come funghi dopo un acquazzone, alimentando il potere di Narciso, il loro dio. L’universo di D O vacillò orrendamente, la Sua immensa galassia si era troppo avvicinata ad un buco nero e rischiava di essere risucchiata. D O con uno sforzo enorme, dato che si era di molto inchiattito, alzò il culo dal divano, richiamò a se tutte le forze e scagliò il suo esercito all’attacco contro quell’infezione emorragica . Lo scontro di questi due super poteri generò Allevi e la sua “O generosa” (colonna sonora e portante della nostra serie A, che uno si chiede come abbiano fatto a giocare al calcio fino ad oggi, senza quell’inno sornione) e tutto fu Fine.
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katekesi · 6 years
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Il Sacrificio di Isacco
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Ad un certo punto Dio fa un barbecue e invita un po’ tutte le sfere celesti. Alla festa viene anche Satana, che è il classico vicino di casa che mette la musica a palla alle undici di sera e non fa un cazzo tutto il giorno, fuma e tocca le femmine, mentre a te ti tocca lavorare sei giorni su sette. Dio lo detesta da anni, e non manca mai occasione per vantarsi delle sue opere e dei suoi successi, tipo quando si era comprato il SUV mentre Satana aveva solo la bicicletta.
Dio lo vede e comincia a pensare a come farlo sentire un pezzente, solo che le ferie a Zanzibar se le era già giocate, la macchina nuova era roba dell’anno scorso, e sulla famiglia, beh, era un argomento delicato che avrebbe volentieri evitato.
Allora gli viene in mente Abramo. Va da Satana con un drink e gli fa:
“Oh, hai visto Abramo?” “Eh?” “Abramo” “Chi?” “Dai su, Abramo, l’ebreo” “Sono tutti ebrei i tuoi amici” “Quello un po’ su con gli anni, con due figli, che sta vicino a Cinisello” “Ah, Abramo, capito” “Figo eh?” “Cosa?” “Eh, dai, quanto mi adora” “Mmmh” “Come mmmh, guarda che mi adora un casino” “Sì, sì, ok, come no” “Tutta invidia la tua, perché ti adorano sono i ragazzotti disagiati della provincia di Varese” “Eh, sarà bello ‘sto Abramo, sarà” “Bello non lo so, ma mi adora alla grande, senza se e senza ma” “Eh, grazie al cazzo, gli hai dato un figlio anche se è vecchio bacucco, gli paghi la pensione, lo tratti con i guanti, tutte le grazie che chiede gli arrivano prima di Amazon Prime, che vuoi che faccia?” “A parte che con la storia del figlio non c’entro niente, e in quanto onnisciente mi sento di dare tutto il merito al postino Giosafatte, lui mica mi adora per quello, eh?” “Ah, no?” “Noooo, mi adora perché sono, tipo, Dio” “Seh, vabbè, io vado a prendere delle tartine và” “Non ci credi? Scommettiamo?” “Fai una cosa, bloccagli tipo il conto corrente, staccagli l’ADSL, vedi se non bestemmia come un ottomano” “Guarda, faccio di più: gli chiedo di ammazzare suo figlio” “Whaaaaaat?” “Vado lì e gli dico: ammazza tuo figlio, uaaaahhh, sono ddiohhhh” “Ma te sei scemo nella testa” “Paura eh? Coooo… co-co-co-cooooòòò” “Senti, io vado che ho una mezza cosa in ballo con lo Spirito Santo, ma te lo dico, te sei malato…” “Ti faccio vedere, ti faccio… uaaaahhh”
Al che Satana si allontana, Dio capisce di aver bevuto un po’ troppa vodka, e va a dormire risvegliandosi con il mal di testa del secolo.
Appena sveglio, comincia a pensare a Satana, ad Abramo, e che se ora si fa finta di niente che figura facciamo, e insomma prende il telefono e chiama Abramo.
“Abramo, sono il tuo Dio” “Oh” “Come ‘oh’, cominciamo male eh” “Volevo dire: Alleluja, alleluja” “Questa l’hai copiata da Leonard Cohen” “Chi?” “Fa niente, senti, volevo chiederti un favore” “Se posso, mio ineffabile creatore” “Senti dovresti sgozzare tuo figlio” “Uhm” “Dai, su, fa’ il bravo” “No, mi chiedevo, quale?” “Il tuo unico figlio” “Non è per contraddirti, o inesplicabile potenza suprema, ma io avrei due figli” “Quello che ti è più caro” “Mi sono cari entrambi” “Quello biondo” “Sono tutti e due biondi” “Quello che ami di più” “Li amo entrambi equamente” “Quello più simpatico” “Sono entrambi ugualmente simpatici” “Quello che si masturba furiosamente quattro volte al giorno pensando a Zorobabele” “Ah, Isacco”
Allora Abramo va da Sara, la madre di Isacco e gli dice: “Senti ho avuto un’idea, mandiamo Isacco a studiare a Milano, così diventa un uomo saggio e costumato”, e Sara inizia a preoccuparsi e risponde “Dove esattamente, o probo e retto consorte?”. “Allo IULM”, dice Abramo, e Sara inizia a disperarsi, e piangere e strapparsi le vesti, e urla ad Abramo “Oh, disgrazia nefasta, mio adorato e non-credo-più-così-saggio marito, quanto avrei preferito che mi avessi detto: prendo nostro figlio e lo porto su un monte per sgozzarlo con le mie mani”. Ed Abramo risponde: “Sara, siediti, ho delle buone notizie”.
Abramo e Isacco si incamminano quindi verso il luogo del sacrificio, e Isacco parla col padre pieno di trepidante attesa:
“Oh, padre illuminato e saggio, dove andiamo di bello?” “Isacco, t’ho detto che è una sorpresa” “Ma io voglio sapere, o prezioso genitore” “Isà, fidati, non lo vuoi sapere veramente” “Cosa sottendi con queste aspre parole, amato capofamiglia? E perché affili compulsivamente codesta mannaja? E perché ho su la maglietta di ‘The Walking Dead’?” “Quante domande, o giovane progenie dei miei lombi! Non è forse meglio rassegnarsi al Signore ed accettare il destino che Egli ti ha riservato senza scassare così violentemente i cabbasisi?” “Va bene, o fidatissimo ancestore, tanto sono vieppiù certo che il Signore è buono e mi protegge e per me non pensa che a praterie di gioia e oceani di felicità, ma soprattutto e in primo luogo una lunga e prospera esistenza” “Bbbrffffffff” “Cosa, padre?” “Niente, solo un colpo di tosse asinina, caro figliolo. Ecco, siamo giunti nella vallata detta ‘Del Figlio Ammazzato Malamente’” “Oh, che nome sinistro, cosa mai vorrà significare?” “Figlio, di una cosa sono ormai certo: sei tutto tua madre”.
Nel frattempo Satanasso, che aveva seguito tutta la vicenda, inizia un po’ a preoccuparsi. Va bene tutto, ma fare una figuraccia con quello sborone di Dio proprio non gli va. Così prova un paio dei trucchi dei suoi: si finge Zorobabele e va a parlare col figlio, si finge Jennifer Lawrence e va a parlare con il padre, e curiosamente ottiene in entrambi i casi lo stesso effetto. Tuttavia Abramo non demorde: allora Satana si fa torrente e li allaga fino alla gola, ma niente, i due la buttano sul triathlon e ne vengono fuori.
Finalmente giungono sulla vetta del monte Morijà, e Isacco fa per chiedere il significato di questo nome sinistro, ma Abramo lo blocca subito: “Fiorellini, Isacco: vuol dire fiorellini. Lo so, l’ebraico antico è un po’ una lingua del cazzo. Senti, mettiti lì su quell’altare sacrificale.”
E insomma, Isacco è lì che spippola col cellulare, Abramo affila la mannaja, tutto sommato un bel quadretto famigliare, quando Dio si rende conto della cazzata che sta per fare e si gioca la carta del montone sostitutivo. Satana ci prova anche a placcare il montone, ma quelle son bestie agili e gli sfugge. Abramo guarda il cielo, guarda il figlio, guarda il montone, guarda Satana, ed esclama: “Ok, sono un pochino confuso”. Al che Dio gli parla e dice:
“Ma pensavi davvero che ti avrei fatto ammazzare il figlio prediletto?” “Ehmmmm” “Ma sei un boccalone! Era una provocazione! Un gesto dadaista! E che cazzo, Abramo, il senso del tono!” “Quindi niente sacrificio? Mi son portato questo mentecatto in giro per il deserto per cento miglia per niente?” “Gioisci, o figlio, puoi risparmiarlo e sacrificarmi invece un montone, che è lo stesso!”
Al che Isacco pensa tra sé e sé “Non so se sentirmi sollevato o offeso, mi sa che nel dubbio mi drogherò parecchio”.
Abramo un po’ ci rimane male, che quando inizi una cosa poi lasciarla a metà è sempre brutto, ma sacrifica il montone che è comunque una piccola soddisfazione. Tra l’altro, come dice il proverbio ebraico, del montone non si butta via nulla: infatti con le ceneri ci fanno un focolare per il Sacro Santuario, con i tendini una lira per Davide, con la pelle un cinto per Elia, e i due corni se li suona Dio, uno sul Sinai in una memorabile performance con oltre trentamila spettatori paganti, e l’altro lo tiene da parte per quando richiamerà il popolo di Israele nella big reunion di fine carriera.
Satana però non ci sta, e allora pensa di fare uno scherzone a Sara: gli si presenta sotto le mentite spoglie del Rettore dello IULM e Sara ne è sconvolta, si dispera, si cosparge il capo di cenere, lancia l’urlo della disperazione stessa in lingua ebraica “Noaoaoao”. Allora Satana si rivela con le sembianze di Isacco e gli dice “Donna! Era tutta una burla: sei su ‘Ebrei a parte’!”, e gli fa firmare la liberatoria.
E QUESTA E’ PAROLA DI DIO
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Achille Tresca di Lecce, il plagiario seriale
di Armando Polito
La condivisione, come tutti i concetti umani, ha una connotazione morale neutra, nel senso che sarà l’applicazione concreta a decidere, sulla scorta di ciò che la nostra razza, troppo spesso per unanime, ipocrita convenzione che per sincera e responsabile convinzione, avrà fatto in concreto, se condividere, come anche il suo contrario, dissociarsi sia un bene o un male. Se qualcuno mi chiedesse un vocabolo o una locuzione sostitutiva di “rete” direi senza pensarci su troppo, “condivisione digitale”. Già quella non virtuale aveva i suoi inconvenienti: riferendomi, per esempio,  alla pubblicità, sono veramente sempre sicuro dell’affidabilità del passaparola relativamente alla bontà o meno di un prodotto? Pagheremo di persona, questo è certo, l’esserci fidati e pure il suo contrario e, se non siamo idioti, dopo essere rimasti disgustati, mettiamo, da un prodotto alimentare consigliatoci da un amico, non consumeremo più quel prodotto e ci terremo l’amico? Ma al mangiare, diventato sempre più freneticamente convulso e disordinato, della vita reale, corrisponde il fagocitare di quella virtuale e, come tendiamo a rimpinzarci di quel certo cibo di una certa marca che in quel momento è di moda, così tracanniamo, senza pensarci su almeno tre volte, tutti i bocconi che la rete ci offre: ora genuini, ora artefatti, ora scientificamente fondati, ora giullarescamente fantasiosi , e chi più ne ha più ne (im)metta. Finché il social non è esistito,  il rischio della diffusione del letame culturale (che non fa bene al cervello come, invece, quello reale fa bene alla terra) si limitava in partenza a qualche blog personale (in cui non mancava qualche banner a farti l’occhiolino …) in partenza e nella credulità dell’internauta in arrivo. Quest’ultimo, però, se avesse voluto rendere partecipe qualche amico dei contenuti che avevano suscitato il suo entusiasmo, avrebbe dovuto annotarsi l’indirizzo e passarglielo: operazione troppo complicata per diventare abituale. Con il social la musica cambia, perché basta un semplice clic per condividere con tutto il mondo qualcosa di veramente nostro o spacciato come tale (senza citazione dell’autore per pigrizia o, più spesso, per malafede) o qualcosa che altri a loro volta hanno condiviso con noi; e in qualche caso con effetti esilaranti … (http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/20/uno-scherzo-da-prete-anzi-da-cardinale-no-unidiozia-made-in-web/).
Com’è noto, il reato di plagio riferito ad una persona è stato cancellato dal nostro ordinamento, ma permane, almeno sulla carta, quello riferito all’ambito artistico in generale ed a quello letterario in particolare. Se lo sfruttamento commerciale di un’opera altrui era in passato facilmente perseguibile avendo tra le mani il corpo del reato (la pubblicazione plagiata), con l’avvento della rete l’operazione risulta molto più complicata perché spesso la creatura spacciata per originale è un mosaico frutto di un copia-incolla in parecchi casi, fra l’altro, pateticamente maldestro.
La stessa rete, però, a dimostrazione che anche un raggio laser può incenerire un corpo o guarirlo, offre lo strumento, a chi ne ha tempo ma soprattutto voglia, di smascherare l’inganno tramite l’accorto uso di motori di ricerca sempre più sofisticati.
Il caso contemplato nel link prima segnalato è a tal proposito emblematico, ma quello che sto per proporre è ancora più interessante e, per certi versi, scandaloso1, nonché la riprova che il proverbiale vizio del lupo è congenito, invece, alla nostra razza …
La Biblioteca arcivescovile Annibale De Leo di Brindisi custodisce, fra l’altro, manoscritti, alcuni dei quali, digitalizzati ed immessi in rete, ho potuto sfruttare più di una volta2.
Potrei definirlo, in base alle conclusioni che ho tratto, Dossier Tresca. Prima di entrare nel cuore dell’argomento, non guasta qualche immagine. Chi volesse leggere integralmente quello che riguarda il post di oggi, lo troverà all’indirizzo http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ACNMD0000209704&mode=all&teca=MagTeca+-+ICCU.
Inizio con quello che può essere considerato a tutti gli effetti (lunghezza compresa, non certo eccezionale a quei tempi) un frontespizio.
Descrizione della Giapiggia in lingua Toscana formata d’Achille Tresca di Lecce per servizio, ed uso del Real Infante D. Carlo IV Borbone, Dio gratis, degnissimo Real Figlio di D.  Ferdinando IV, che il Ciel feliciti, Invittissimo Monarca, Re delle due Sicilie, di Gerusalemme, Infante delle Spagne, Duca di Parma, e Piacenza , e Castro, Gran Principe di Toscana, e Suoi Gloriosissimi Antecessori. Nella medesima opera l’Autore dedica ed offre venti sonetti, e due sestine alla R. M. di D. Ferdinando IV, Real Progenitore del sopra nominato Reggio Infante. 1775
(carte 4r-5v; la foto seguente si riferisce alla 4r, la trascrizione a tutte)
  Cinque lettere responsive, che forma l’Autore in lingua toscana, e le dirigge per la volta di Vineggia ad un tal Ettore Morosini, chi dimanda d’aver qualche distinta notizia della Giapiggia, come familiarissimo Amico del medesimo.
Allorché, Sire, mi surse talento di pregare S. R. M., Dio gratiis, a concedermi la grazia, ed a darmi l’onore di poter io dedicare La descrizione della Nostra Giapiggia al vostro Reale Infante, e nostro Novello Padrone, fu sorpreso il mio cuore da un eccessivo piacere, perché conobbi avverato quel, ch’egli innanzi tratto presagito m’avea, val quanto dire, che la nostra Padrona, che il Cielo la conservi, e la feliciti, infantar si dovea, e produrre alla luce un Real Bambino;  tanto più crebbe in me la gioia, ed il contento in aver io la bella, e vaga sorte di vederea assicurati li vostri Regni, e Domini colla perpetuità della Prole, e di godere noi il gran vantaggio d’essere perpetui Vassalli, come di Vostra Real Maestà, così ancora della di lei Real Progenie, per lo mezzo della nostra discendenza. Io non ò tralasciato, come tuttavia non cesso, di porger grazie all’Altissimo per un tale felice avvenimento;  gli avanzo di continuo le mie preghiere per la conservazione di S. R. M., e per quella del suo Real Figlio, affinché in processo di tempo se ne veda Progenitor contentissimo; e noi altri suoi fedeli Vassalli possiam godere gli effetti, non solo di vostra protezione, m’ancora di quella del vostro Reale Infante in staggione così lieta, e tranquilla, com’è la nostra, perché parmi rinovellato l’aureo tempo de’ Cesari, e dell’Augusti. Mentre ch’io ero dalla grande allegrezza scosso, ed aggitato, mi ritenevo nel chiuso recinto della mia stanza brillandomi il cuore in petto fuor dell’usato per lo soverchio impiacimento alla novella del felice successo , quando mi si fe’ presente la mia musa, ed in atteggiamento di leggiadra, e veneranda donna venn’ella meco a parte della mia consolazione, poiché fattamisi d’appresso tutta lieta, e festante, dettandomi in una notte, ed in jn giorno sessanta sonetti, e sei sestine, dieci  de’ quali, ed una sestina ò stimato i situarli nel principio della descrizione della Giapiggia, ed altri dieci con un’altra canzone nell’ultimo luogo della medesima. Il rimanente lo serbo io presso di me, per non recar noia, ed infastidire S. R. M. colla lunghezza, e coll’inculto stile de’ miei rozzi versi. Va’ mi disse ella, che là dove ptterai dedicar la descrizione della Giapiggia al nato Infante Reale, parmi ben convenevole di offerire alla R. M. di Ferdinando IV, di costui Real Progenitore, quel che ora io ti detto. Dopò di chè ottenutami la promessa, si dileguò in aura la musa, e mi si diè l’aggio di esemplarne la copia delli seguenti versi, quali a S. R. M. gli presento, ed umilio. Sire, conosco molto bene di qual castigo sia degno colui, che alla sua musa oppone, e contrasta: quindi per obbedirla, mi convenne fargli alla M. S. presenti . Ma mio malgrado, perocché stimo di essere troppo grande l’audacia di quei vassalli, che s’ingegnano di lodare in prosa, od in verso la virtù del loro Monarca, essendo questo qual chiarissimo Sole, che dapertutto scintilla, e risplende. Egli è un Vicedio della Terra, cui deesi prestar cieca ubbidienza, e rispettoso omaggio da’ suoi Vassalli; ma incoraggisco il mio spirito ad umiliarle i qui descritti versi, non per altro motivo, se non se, per dimostare al mondo la fedeltà. e devozione di un suo umilissimo, e sincero suddito, qual’io sono, e protesto; ed oltre a ciò le porgo tal proferta benche tenuissima, affinché i Lettori della descizione della nostra Giapiggia possano in verità rilevare, che alla bellezza del sito della medesima, alla moltitudine de’ prodotti corrisponda assai bene il Real Valore del Padrone,  che la possiede, qual’è S. R. M., di cui umilmente ne imploro la protezione.
  Seguono (carte 5v-12r) 5 sonetti e una sestina e ancora 5 sonetti. Per motivi di spazio, già prima emersi, da ora in poi riporterò solo la trascrizione dei brani che ci interessano.
  (carte 13r-16r)
Cinque lettere responsive, che forma l’Autore in lingua toscana, e le dirigge per la volta di Vineggia ad un tal Ettore Morosini, chi dimanda dall’Autore d’aver qualche distinta notizia della Giapiggia.
Lettera prima
Ecc.mo Sig.re
A me medesimo rincresce, ed il mio cuore è da gran cordoglio trafitto, quando meco stesso considero d’essersi in parte spenta, e pressoché dell’intutto dileguata la gloriosa rimembranza, ed il celeberrimo nome della nostra rispettabile Reggione, talché se vestiggio alcuno, per così dire, o reliquia di gran Cittadi  in parecchi luoghi si scorda, ciò però non ostante se  n’è smarrito il sentiero,e se n’è confula la traccia, né rinomata alcuna sovrasta, o delle orrevoli cose intraprese, o delle Città medesime, o di alcune lettere particolari, onde gli nostri Giapiggi si servivano, innanzi tratto, che i Greci qui calassero appresso il Troiano Eccidio. Questa è del Mondo la variabile incostante vicenda. Corrono a dileguarsi le cose de’ Mortali, non altrimenti, che lieve soffio d’aura passeggiera, o pur qual nebbia, qual ombra, o qual fugace sogno, il vorace tempo tutto rode, e consuma. Penzo io, che la nostra Giapiggia fusse stata molto gloriosa, e di celeberrima fama poco prima del Troiano diroccamento . Ripigliò la medesima forza, e vigore dopo l’arrivo di Lizzio Idomeneo, e de’ Spartani, e di Falanto, vergando i Greci il tutto sù delle carte, per li autentici monumenti delle lettere. Di belnuovo li Goti, indi li Longobardi occupando l’Italia a richiesta de’ Greci, o piuttosto de’ Romani, ogni Reggione, ch’era nel mezzo dell’uno, e l’altro Impero fù da que’ Barbari miseramente devastata, e pressoché distrutta, giacché trovasi la Messapia ,o sia Giapiggia allogata nel mezzo dell’Oriente, e dell’Occaso. Porgo a S. E. un esempio qual fù la Guerra de’ Turchi, che se poco prima fusse stata eseguita, forse, e senza forse tutta la Giapiggia vedrebbesi da noi presentemente al suolo adeguata, e compiagnerebbesi nostro malgrado la totale rovina della medesima. Fioriva, egli è vero, una gran moltitudine di uomini, una gran copia di Città, e di Reggioni là nel Peloponneso, capace di molti potentissimi Popoli; ora però dalle continue Guerre de’  Viniggiani, e de’ Musulmanni è stata in tal maniera rovinata, e disfatta, che reca pietoso spettacolo agl’occhi de’ guardanti. Il documento degli antichi scrittori da noi si è smarrito. Come di Eratostene, e d’Ipparco. Nella staggione di Ptolomeo, Plinio, Pomponio, Strabone, e Dionisio in questa Terra altro non vi soprastava per la variabil fortuna delli umani accidenti, che piccoli Contadi, Terre malnote, o neglette. Se a noi sarà di gradimento di riandare i libri degli antichi Istorici, e Giografi, ritroveremo nella Giapiggia anche cose degne di ammirazione e perciò d’esser annotate. Falanto, Platone, Archita, Aristotele, Theofrasto, e le Guerre di Annibale: il porto di Brindisi meritò da pertutto lodevolissima fama, e solenne rimembranza, per lo passaggio de’ Romani in Grecia. Quindi gli scrittori tramandarono a noi delle testè divisate cose qualche memoria considerevole, e speciosa. Io mi persuado, e credo, che Giovano Vitalliano abbia dato gloria, ed onore alla Città di Otranto, la di cui manierosa maniera pompeggiò e di eterna rinomata divenne a’ tempi di Giustiniano Imperatore, mentre ché Vitalliano lo serviva da Capitano nella Guerra de’ Goti, onde prese tutta la Provincia il nome dell’anzidetta Cittade. Leuca, Ugento, Gallipoli, Nardò, Vaste, Galatone, Soleto, Rugge, Mandurio, Cellie, Oira, Galeso state sono dall’ingiurie de’ tempi desolate, e pressocché di serte, e l’Eroiche gesta de’ Naturali, e Cittadini delle medesime furon poste in oblio, od ignorate, o neglette. La nostra Lecce sol tanto egli è purtroppo rinomata, e gloriosa per la storia del Principe dell’Antonino, la qual ne addita, che abbia egli tratta la sua materna prosapiada Malennio di Dasumno Figlio, e Re de Salentini. Altri chiamolla col titolo di Lupiarum, altri col solo nome di Rhudiarum. Guidone di Ravenna, che molti scrittori li più moderni in parecchi cose lo adoprano per Testimonio, e che io poco fà ò letto, e riandato, non è né troppo novello, né troppo antico  Autore. Lo stato in cui erano le nostre cose nel di costui secolo rilevasi a chiaro lume dalle parole del testé divisato, le quali io con brevità ne porgo a S. E.; e presento in brieve il senso, e il significato. Leggonsi molte cose che fà duopo comprendere, e capire. In alcune altre mancò, in quelle deesi accaggionare l’ingiuria del tempo. In questo è degno di compatimento, in quelle meritevole di lode. Perocché se quelle in qualunque maniera siano, scritte non avesse, neppur noi potremmo a chiaro lume capire queste, che a S. E. scrivo. Egli il divisato Autore è stato il mio fido compagno con averlo più fiate trascorso, e riletto. Dal di lui avviso, e notizia me ne sono avvaluto, senza mai dipartirmi dal suo giudizio, e dalla mia idea, quando l’ò conosciuta, e ravvisata alla verità più propinqua,e vicina. Non così aggevolmente può mettersi  in prospetto quel che una fiata si è dileguata, ed abbolito dalla memoria degli uomini. Noi per quanto le nostre forze reggeranno cerchiamo sempre dar lustro al Padrio suolo. Ch’egli tra’ Salentini abbia considerata Lecce, non traviò dal vero, ma fecesi vincere, e superar dall’errore allorché nomò Gallipoli colla voce  di Lecce, ch’Ennio tratti avesse i suoi natali nella Calabra sponda; dice il vero che abbia avuta, e sortita la sua origgine in Taranto, s’inganna all’ingrosso. Perciocché Pomponio dice, che la Nobiltà dell’Antica Rugge la tragga, e la ripeta dal suo Cittadino Ennio,qual Città non era troppo da Lecce lontana, anzi se voglia prestarsi fede a’ que’ pochi spezzoni, e fragmenti, che a noi il testè divisato Poeta sono per buona nostra sorte rimasti illesi dall’ingiuria de’ tempi, egli medesimo di propria bocca confessa – Rhudiae me genuere vetustae -. Il ché non era troppo da Lecce distante. Forse trà queste due Città frapponeasi  lo spazio di tredici stadii, ed è rimasto deluso, e ingannato dall’uno, e dall’altro nome per la voce, ed appellazione de’ suoi Natali dal sopra descritto Autore prostituita,  e corrotta. Non tedio di vantaggio S. E. con tali oscuri racconti, mentre resto baciandole divotamente le mani.  Lecce li 2 Agosto 1772. Divotissimo servitore vostro obbligatissimo Ach. Tresca
Chiedo scusa al lettore se ho scelto di far parlare lo stesso autore, ma questo espediente permetterà di comprendere più agevolmente  l’intera questione. Fino ad ora, comunque, abbiamo appreso attraverso la lettera appena riprodotta che Achille Tresca3, aderendo ad una richiesta del suo amico Ettore Morosini, si appresta a fornirgli una descrizione della Iapigia, per la quale dichiara come fonte principale, anzi pressoché unica, Guidone di Ravenna, geografo del XII secolo, autore di Geographica, opera in cui laconiche notizie sulla Iapigia appaiono in ordine sparso (27-29, 69 e 71-72). Prima di procedere è opportuno ricordare che alla data del 1775 l’opera più completa sulla Terra d’Otranto rimaneva il De situ Iapygiae di Antonio De Ferrariis (1444-1517) alias il Galateo, opera uscita postuma per la prima volta per i tipi di Perna a Basilea nel 1553. É vero pure che Girolamo Marciano aveva già scritto Descrizione, origine e successi della provincia di Otranto, ma l’opera rimase manoscritta fino al 1855, quando venne pubblicata, con le aggiunte di Domenico Tommaso Albanese, per i tipi della Stamperia dell’iride a Napoli nel 1855.
Con la seconda lettera (carte 17r-31v) del 2 aprile 1773, con la terza (carte 32r-59r) del 6 aprile 1774 e con la quarta (carte 60r-100r) dell’8 maggio 1774 il Tresca invia quella che è in sostanza la traduzione dell’opera del Galateo con qualche aggiustamento che non tradisca l’imbroglio e guardandosi bene dal citarne almeno una volta il nome o l’opera4. Puntigliosa (non può essere altrimenti,quando l’accusa mossa è grave, anzi gravissima …) documentazione di tutto ciò è alla fine di questo lavoro.
Ad onor del vero di questo si erano già accorti i letterati dell’epoca, come testimonia la replica del Tresca (carte 133r-139v), ridicola ed tratti veramente imbarazzante, pur in assenza della lettura diretta (ammesso che da qualche parte si conservi il testo) della stroncatura: Protesta che fà l’Autore ad una lettera cieca pervenutagli. Alcuni saccentuzzi del nostro secolo avendo incombro il di loro petto da livido cuore d’invidia, ed avendo nell’istesso tempo inteso, che volevo io dare alle stampe la descrizione della nostra Giapiggia, vibrarono contro di me la lor trifulca lingua, dichiarando sotto ignoti caratteri, che io non avevi troppo bene penzato di mandare a capo il mio disegnoper li quattro seguenti motivi.
Primieramente, come io nel descrivere la Giapiggia bbia trascurato di dare al Corrispondente una distinta descrizione di me medesimo.
2 Che io nella ridetta opera mi sia portato con isfrontatezza da succido ladrone, avvalendomi delle akltrui fatighe, e sudori, da donde cercai rintracciarne gloria, e fama.
3 Che io abbia fatto un pasticcio, tramestando nella consaputa opera versi, e prosa per obietti troppo diversi e staccati.
4 che mi conveniva parlare, e far menzione all’orbe intero nel divisato libro dell’Eroiche virtù, e della gloria della nostra Real Padrona che Dio sempre la prosperi, e secondi, a’ quali motivi l’Autore à dovuto rispondere colle seguenti proteste.
Ero già pur troppo vago, e desideroso a formar la descrizion della nostra Giapiggia per darne io un dettaglio all’Italiana Nazione. Mi è riuscito grazie al Cielo, divisarne quel  breve saggio, e corta relazione, come per me s’è potuto, ma finalmente mi sono di già avvertito, che avendo io voluto mandare a capo la medesima abbia mancato il di più, che mi era convenevole. Conoscerà ognuno da’ miei apporti la vaghezza del di lei sito , l’amenità dell’aere, ed il moderato temperamento del clima, e quanto sia la medesima ferace, e copiosa di tutto quel,che poteva la benigna Natura a soccorso, e nudrimento dell’uomo prestare; ma non comprende di quali imperfezioni sfreggiato sia lo scrittore, e di qual corrotto,  e guasto costume composto,e sguisato. Misera umanità! Descrivesi alle Repubbliche il di più, ed il meno si trascura. Rimiro spesse volte, e meco stesso considero l’ignoranza, e l’audacia degli uomini a parlare delle cose, che sono fuori di loro, senza darsi penziero di formar la descrizione del di loro temperamento, ed umore. Se l’Alto Divin Facitore nel produrgli alla luce avesse lor cangiata la falda della bisaccia, talché quella, che nel dorso va’ sospesa, fusse nel petto, vedrebbesi a chiaro lume ammanzita la di lor vanità, e ciaschedun di noi favellar diversamente da quel cghe raggiona. Ero io già di fresca guancia vestito, e cominciava a balenar nel mio spirito fior di raggione quando io derterminai applicare allo studio dell’umane lettere. Mi chiusi perciò nella scuola della Grammatica,e quotidianamente raggiravami all’intorno di quei libri,da donde rilevar potess’io il conoscimento, e la pratica di saper la lingua latina. Mi versavo nella profana, e sacra Storia, e divagava sovente il mio penziero col verseggiare e col farla da imperito Poeta. Ma lasso me! Dove incauto trasportavami il fallace desio. Mi ero già impratichito de’ versi di Orazio, di Virgilio, e di Omero, parlavo speditamente l’idioma latino, della Storia ne avea preso qualche saggio, e dettaglio, ed al pari d’ogn’altro inculto versificatore facevo carmi, e sestine. Ma che! Sul bollor delle mie applicazioni, mi assaliva un panico timore, che scuotendomi dapertutto le ossa, mi gelava ben volentieri il sangue nelle vene. Divenivo sovente bersaglio della malnata cupidiggia, che tutto giorno mi conquidea, e mi affannava.Tormentavami l’ira e la libbidine, scoglio inevitabile a cui rompe, e frange l’incauta Gioventù. Era l’intestina guerra, ed il contasto de’ giorni miei. Terminato il corso della Grammatica, un’intensa voglia mi trasse in età piucché adulta d’imparare a suonare il cembalo, per sollevare l’animo dalla diuturnità de’ miei studi. Piacevami l’acuto de’ tuoni, ed il grave delle note mi feriva lo spirito per l’armonia, e proporzione delle consonanze. In tale stato di cose dall’esterno suono delle corde passavo sovente a determinare il mio animo sicché reggesse in calma, e trà la quiete ne’ colpi della seconda, ed avversa fortuna. Ma ciò tutto era vano, perché non sostenea egli nelle occasioni al martello.   Dalla musica bene spesso alla Giomedria facevo io passaggio. Mi era gradevole la cognizione dell’essenzade’ triangoli, della natura de’ circoli, e de’ quadrati. Sapevo, che le linee rette tirate dalla circonferenza del circolo fino al suo asse, equalissime fussero trà di loro nella lunghezza e nella dimenzione. Dopò di qualche profonda applicazione, che io nella suddettaenza metteva, dimandavo a me stesso: misura con matematico ordegno la grandezza, e moltitudine de’ vizii tuoi, la smisurata propenzione del tuo cuore, che à nello sdegno, nell’invidia, negli amori, nella gelosia. Puoi tu (ripigliavo io meco stesso)dalla medesima dedurre, che con i de lei insegnamenti arrivi l’uomo a scandagliare, e misurar se medesimo circa a quanto gli sia bastevole, ed intorno a quello, che la vanità lo predomini. Ti è nota e manifesta l’essenza della linea retta; ma ignori la rettitudine dell’oprare. Egli è aggevole col matematico compasso dividere in più parti il tuo rustico predio, o campo; ma tutto riesce di poco frutto,  quando dalle Professioni non si rilevi la maniera di rendersi in ogn’ora felice, e contentarsi de’ beni, che dentro di se stesso nascono, di cui i rendo incapace prenderne compiacimento, perché divagato dal copioso fallace stuolo de’ beni stranieri (se così vogliam dirli) onde sono convint, ed invischiato, non mi permette la scienza di me medesimo. Mi apparto dalla Matematica, ed alla Scuolastica Filosofia mi appiglio. Quante, e vane questioni mi si paravan d’innanzi, che per comprenderne delle medesime il vero sovente il mio intendimento turbavano. Volevo io conoscere l’essenza del vacuom se disperso, se disseminato raggirasse nella gran machina del Mondo, se la corporea dimenzione soggiacesse a’ colpi di ferro, che in infinitum la disgiunga, e divida. Ma traea la voglia di percepire colla raggionela Natura, ed Esistenza del Divin Facitore, come l’uomo s’ingeneri, da donde acquistino il movimentole veggetabili, e le sensitive creature, da quai principi sia ogni Ente prodotto, se dal fuoco, come ad Anassacora piacque, o da i quattro elementi, come altri dicea. Dimandavo con fervorose preghiere dalla Filosofia, che mi dichiarasse la materia del sole; ed ella sovente rispondeami: Egli è di ferro, o di selce, o pur di altra più nobile sostanza di fuoco. In fine nel mezzo della medesima mi scorgevo io tutto cinto di tenebre, e ravvolto nel buio degli errori, e dei dubii. Trà le molte naturali questioni mi consideravo uno Stoico, un Pirronista, dalla curiosità conquiso, e niente pagodi aver potuto rintracciare il vero delle cose. Da tali atteggiamenti di spirito volgevo dentro di me stesso lo sguardo, ed altro non ravvisavo, che un’assidua violentissima procella di spinose cure,e di affanni, talché naufrago io nello svariato Pelago di tanti mali, non sapevo qual onda secondare come amica, e qual, come avversaria schifare. Da tutto ciò potrà ogn’un comprendere quanto sia di vanità l’uomo carco, e ricolmo, poiché gli riesce aggevole di formar la descrizione piuttosto delle cose esterne, che di se medesimo.                Cade qui in acconcio il detto di Bionte “Nil difficilius, quam nosse se ipsum”. Quindi dove si può molto bene delle cose parlare senza prevenzione di passione ; il formare una pittura del mio guasto, e corrotto natural costume, era troppo per le mie forze malaggevole, e difficoltoso. Descriver l’uomo è lo stesso,  che dipigner  tele, e ritrarre in carte l’ingratitudine, e l’incostanza. Ognun conosce le massime del mondo traditore, tutti vediamo a chiaro lume l’insussistenza del nostro penzare. Quel che ora io trà me stesso risolvo frà pochi momenti mi affanna, e mi affligge, e tormentandomi lo spirito mi fà tosto cambiare voglia, e penziero. Ogn’aura ci scuote, ogni vento ci altera, qualunque svariata vicenda ci perturba, e scolora.Perciò parmi che poco bene rifletta colui, che voglia lo stesso descrivere al mondo,  perché nemo tenetur infamare se ipsum. Oltre di questo se l’Autore nel descrivere la Giapiggia, o ne’ versi, ch’egli a Sua Eccellenza presenta, ed umiliaavrà preso qualche sbaglio, o si troverà qualche proposizione del medesimo, che si opponga, e contrasti le leggi della nostra Religione Cattolica, o pure i dettami della pulizia dello stato, il sudetto Autore avvanza l e sue proteste dirette a’ correggitori di quest’opera, che vadano, cassino e cancellino tutto, quel che di soverchio, d’improprio, e di erroneo sarà stato nel decorso della medesima scritto, e vergato. Implora un benigno compatimento, giacché la povera umanità è troppo sottoposta, e soggetta a travedere nel buio, e nelle tenebra dell’ignoranza, di lei indivisibil compagna. “Hoc unum scio, me nihil scire”. Brontola contro di me la veneranda adunanza de’ letterati, che nella sudetta descrizione della Giapiggia da vero ladro io mi sia mostro, et additato, perché altro non abbia fatto che rivangare quel, che altri ne’ secoli caduti con diverso idioma ne scrisse. Cesserà però la maldicenza, e la critica di costoro, mentre io sarò per ricordarli, che ogni scienza nel mondo sia limitata, e finita, perché dalli uomini  escogitata, e prodotta. Non vi à Poeta, Prosatore non trovasi, che nelle sue respettive opere non s’abbia d’altri antecedente lui servito, ed avvaluto. Confessa tutto ciò a chiare note il nostro Orazio, che fù fedel imitatore di Lucilio, Virgilio fedelissimo seguace di Omero e tanti altri di rinomatissima rimembranza, che a rammentarli tutti sarebbe lo stesso, che non finirla giammai. Sono ammaestrato dalla ragion legale, che “Pater, et Filius sint una eademque persona”. Dal che se ne potrà dedurre, che avendo avuto io il desidero di dedicar le lettere della Giapiggia alla Maestà del nostro nostro Reale Infante (che Dio lo conservi) stata sia audacia troppo grande la mia farla da Poeta, e ricantar le glorie di Filippo iv. nostro rEal Padrone. Bella riflessione invero formata da’ nostri giureconsulti, non per altro motivo, se non se, per quelli, che sono alle leggi sottoposti, e soggetti. Ma trattandosi de’ Monarchi non corre, né regge a martello la massima divisata. Io per me sarò loro sempre fedele, ed ubbidientissimo vassallo, e gli terrò sempre mai  per due distinti Padroni ad amendue  divotamente offerendomi. Né si meravigli tal’uno,come io nella qui retroscritta opera non abbia niente della nostra Padrona fatto menzione. Il fù mio Genitore dedicò per mezzo del fù mio zio Commendatore all’Augustissima di lei Genitrice           un libro di prose, e di versi, ricantando le glorie, ed i Trofei della Casa d’Austria , delli quali quantunque la sudetta Real Augusta Famiglia niun bisogno ne avea, per aver ella in tutto l’Orbe qual fulgidissimo Pianeta, che per ogni parte sfolgorante vibra la sua chiara luce, e lo spendore, pur tuttavia il fù mio Padre volle dare a divedere a tutti un verace attestato di quella venerazione, ed ossequio, onde un suddito è al suo Padrone tenuto, ed obligato. E chi rivocherà in dubbio quel, che io rammento,  me lo accenni, me lo divisi, che tosto ne gli farò capitare il manuscritto ed istampato esemplare.                 
Ho già definito imbarazzante questa difesa. Non mi rimane che uscire dall’imbarazzo dicendo che in essa l’unica nota interessante è quella finale relativa all’opera del padre5, con il cui frontespizio mi congedo prima di procedere al raffronto dettagliato tra il testo del Tresca (in grassetto corsivo) l’originale del Galateo (corsivo) che ho ritenuto opportuno accompagnare con la mia traduzione e, in rosso, l’eventuale commento.  Laddove compaiono all’inizio e alla fine dei brani esaminati tre puntini vuol dire che i pezzi intermedi sono assolutamente coincidenti. Delle lettere ho riportato, comunque, l’incipit e l’explicit.
(carta 17r) Lettera seconda. Sulla situazione della Giapiggia
Quel che ora Italia addimandasi, traendo la sua origine dalle Alpi, viene dal mar Superiore, e dall’Inferiore  battuta, ed innaffiata, e tra’ l’Oriente  Iberno, e nel mezzo giorno è posta, ed allocata, dalli altissimi monti dell’Appennino, come se fussero due penisole del Chersoneso, quasi due conii di bipartito Albore vien terminata e finita. Queste due penisole, o tal Reggione fraposta negli antichi secoli era non solamente ad ogn’altra Terra preferita, ma tenevasi da ognuno in maggiore stima tralle Nazioni di Grecia…
 Quae nunc Italia dicitur, ab Alpibus ortum habens, supero, et infero mari abluitur, inque ortum hybernum, et meridiem porrecta, perpetuis Apennini iugis, duabus peninsulis, seu (ut Graeci dicunt) chersonesis, finitur. Quae quasi vertices sunt, seu coni bifidae arboris. Hae peninsulae et interiacens ora, antiquis temporibus non solum coeteris terris, sed ipsi quoque Graeciae praelatae …
Quella che ora è detta Italia, avendo l’origine dalle Alpi, viene bagnata dal mare superiore [l’Adriatico] e inferiore [Tirreno] e, allungata tra nord e sud dai continui gioghi dell’Appennino, termina con due penisole o, come dicono i Greci, chersonesi. Esse sono quasi le cime o coni di un albero biforcuto. Queste penisole e il territorio intergiacente, preferiti nei tempi antichi non solo alle altre terre ma pure alla stessa Grecia …
Incipit assolutamente coincidente.
  (carta 24r) … questa è la dessa, onde più speciosa, e ben degna commemorazione Orazio ne fece. Questa, Chersoneso, con vari nomi da diversi autori trovo chiamata. Altri come Aristotele , ed Herodoto Giapiggia la nomarono …  
… haec insularum omnium peninsularumque ocellus quondam fuerat. Haec est de qua Horatius cecinit: Unde si Parcae prohibent iniquae,/dulce pellitis ovibus Galaesi/ flumen et regnata petam Laconi /rura Phalantho./ Ille terrarum mihi praeter omnes/angulus ridet, ubi non Hymetto/ mella decedunt viridique certat/baca Venafro;/ ver ubi longum tepidasque praebet/ ìIuppiter brumas et amicus/Aulon fertili Baccho minimum Falernis/invidet uvis./Ille te mecum locus et beatae/postulant arces; ibi tu calente/ debita sparges lacrima favillam/vatis amici .Hanc chersonesum variis nominibus a diversis auctoribus subinde appellatam fuisse habeo: alii, ut Aristoteles Herodotusque, Iapygiam dixere … 
… questa un tempo era stata la perla di tutte le penisole. Questa è quella della quale Orazio ha cantato così: “Se [dalla guerra] le inique Parche mi terranno lontano andrò verso la corrente del Galeso cara alle pecore spinte al pascolo e verso le campagne su cui regnò lo spartano Falanto. Quell’angolo di terra più di tutti mi sorride, dove il miele nulla da invidiare ha a quello dell’Imetto e l’olio a quello della verdeggiante Venafro, dove Giove offre una lunga primavera e tiepidi inverni e l’amico Aulone con la fertile vite non ha nulla da invidiare alle uve di Falerno. Quel luogo e i felici colli ti vogliono con me; ivi tu con la dovuta lacrima bagnerai le ceneri dell’amico poeta”. Mi risulta che questa poi come penisola fu chiamata con vari nomi  dai diversi autori: alcuni, come Aristotele ed Erodoto, la chiamarono Iapigia …
Nella traduzione del Tresca non sono riportati i versi di Orazio (Odi, II, 6, 9-24)
  (carta 27r) … veleno si cava fuori, e dilegua col beneficio del canto, e del suono. “Est etiam ille malus Calabris in montibus anguis”. Vi sono parimenti serpi pestilentissime, denominate chersidri  surte da secco ed arido terreno…
  …venenum cantu, et fistulis pellitur. De his loquitur Virgilius Georgicon libro secundo verso 42: Est etiam ille malus Calabris in montibus anguis. Sunt et serpentes pestilentissimi: chersidri enim sunt nati in arida tellure …
… il veleno viene eliminato col canto e con la musica. Di questo parla Virgilio nel verso 42 del secondo libro delle Georgiche: Est etiam ille malus Calabris in montibus anguis. Ci sono anche serpenti velenosissimi: i chersidri infatti nacquero nella terra arida …
Nel Tresca manca l’indicazione di Virgilio e della sua opera.
  (carta 28r) … siccome qui, così nella Campania, tanto nella state, che nel verno scuote soventi fiate il terreno lo strepitoso fragore, e rimbombo di parecchi fulmini. Saremo dunque noi perciò alla natura ingrati, che ricusiamo i di lei presenti, e favori, perché …  
… nam hic, ut in Campania, hyeme, et aestate sunt fulmina. Erimusne nos, Spinelle, naturae ingrati, ut recusemus illius munera quoniam …  
… infatti qui, come in Campania, d’inverno e d’estate ci sono fulmini. Saremo noi, o Spinelli, tanto ingrati verso la natura da rifiutare i suoi doni perché …
Il Tresca ha eliminato il nome di Giovan Battista Spinelli, destinatario del De situ Iapygiae, che è in forma epistolare e che era stato richiesto al Galateo perché il sovrano Ferdinando il Cattolico fosse ragguagliato sullo stato dei territori di recente conquistati. Nella fattispecie lo scimmiottamento può condensarsi in una proporzione: Morosini: Spinelli=Ferdinando IV: Ferdinando il Cattolico.
   (carte 31r-31v) … e siccome la terra chiude, e ricuopre nelle sue viscere le ossa de’ bisonti, così distrugge Città, e Reggioni, e niuna cosa può in eterno durare. Il Tasso mi ripiglia a tempo: Chiude il fasto, e la pompa arena, ed erba. La caliggine, e la folta trascuraggine degli uomini  de’ secoli caduti mise in profondo sempiterno oblio la fama ed i nomi di quelle, e la chiarezza de’ luoghi. Noi proseguiremo in tanto a dare a S. E. notizia della Giapiggia, indi ci appresseremo fil filo riandar con distinzione per le parti della medesima, mentre resto baciandole di votamente le mani. Lecce 2 Aprile 1773
…et quemadmodum urbes, et ossa hominum terra operuit, sic et famam illarum, et aliquarum etiam nomina, et locorum claritatem depressa temporis caligo obtenebravit. Nos primum oram, deinde mediterraneas partes prosequemur.
… e come la terra ha ricoperto le città e le ossa degli uomini, così la nebbia del tempo discesa  ha ottenebrato pure la loro fama e di alcune anche i nomi e la magnificenza dei luoghi. Noi tratteremo prima della costa, poi delle parti interne.     
Manca nel Galateo la citazione dal Tasso.
  (carte 32r-59r) Lettera terza. Descrizione della Giapiggia. Littorale
I Greci indagando il principio di Taranto a Taranton, o come altri vuole a Talanton, che noi Talento diciamo, Stefano pose il nome a questa città da quello, ch’è Taras, Tarantos, ch’è un nome commune tra’ la medesima e la fiumana …
Principium a Tarento sumentes, Graeci Taranton, ut illi talanton, quod nos talentum dicimus. Stephanus ab eo quod est Taras, quod est urbis nomen, et fluvii commune, posuit …
Cominciando da Taranto: i Greci la chiamarono Taranton, come essi dicono talanton ciò che noi chiamiamo talento. Stefano pose il nome da quello che è Taras, che è nome comune alla città e al fiume …
Incipit perfettamente coincidente.
  (carta 34v) … e dacché questi pervennero al colmo delle ricchezze, tralignarono dalla primiera severità di vita da lor Maggiori tenuta; ma poiché Eccellentissimo Signore mio ò addossato il carico di narrarli sù di ciò minutamente  quel, che gli Autori ne scrissero,  perciò sembrami ben convenevole divisarli in compendi qualche cosa secondo il costume di Filosofo, e non come all’Istorico appartiene. Aristotele rammenta nei suoi Problemi … 
…et Romani quum ad summum divitiarum pervenere, a maiorum vitae severitate degeneraverunt. Facile ii temperate vivunt, quibus desunt luxuriae alimenta: at ii quibus ampla sunt facultates, non possunt non molliter, et delicate vivere. Exemplo nobis sunt Principes sacerdotum, quibus dum pauperes erant , satis fuerunt oluscula et pisciculi minuti; nunc nec terrae, nec maria eorum gulae, ac libidini sufficiunt. Hic est mos fere omnium gentium, quae cum inopes sunt, atque omnium rerum indigae, parce, modeste, frugaliter, ac temperanter vivunt. Quae deinde per bella, et caedes, et rapinas, et miserorum viscera saginatae, contempta, quam prius laudaverant necessariam, frugalitate, in omni luxuriae genere volutantur. Testes sunt Medi, Persae, Macedones, et ipsi rerum Domini Romani. Nec non, et nos Christiani, ut dixi, dum pauperes, et mendici fuimus, pie, iuste, et sancte viximus; at postquam res Christiana ad tantas devenit opes, in apicem vitiorum ascendimus, nec habemus quo ulterius progrediamur. Certant inter se duo illa maxima vitia, avaritia, atque luxuria, et cum utraque in summo sit, non est facile iudicare utra illarum sit maior. Res admiratione digna est, quomodo, et homines, et Dii ferre possunt scelera nostra. Spinelle, Vir excellentis animi et ingenii, non mihi cura est omnia exquisite narrare, quae Auctoresa scripsere,sed summatim aliqua, ut tibi morem geram, et ut Philosophum, non ut Historicum decet. Aristoteles ait in suis Problematis …  
… e i Romani quando pervennero al sommo della ricchezza tralignarono dalla severità di vita degli avi. Facilmente vivono con moderazione coloro ai quali manca l’alimento del lusso, ma quelli che hanno ampi mezzi non possono non vivere mollemente e voluttuosamente. Sono esempio per noi  i più importanti dei sacerdoti ai quali, finché erano poveri, bastarono ortaggi di scarso valore e  pesciolini insignificanti. Ora né le terre né i mari sono sufficienti alla loro gola e libidine. Questo è il costume di di quasi tutte le genti, che, quando sono povere e bisognose di tutto, vicono parcamente, modestamente, frugalmente, moderatamente. Esse poi  attraverso guerre, stragi e rapine, sazie delle viscere dei miseri , disprezzata la frugalità che prima avevano lodato come necessaria, rotolano in ogni genere di lusso. Sono testimoni i Medi, i Persiani, i Macedoni . E anche noi Cristiani, come dissi, finché fummo poveri e mendichi, vivemmo piamente, giustamente e santamente; ma, dopo che il Cristianesimo pervenne a tanto grande ricchezza, salimmo sulla cima dei vizi e non abbiamo dove spingerci ulteriormente. Gareggiano tra loro quei due massimi vizi, l’avarizia e il lusso e quando entrambe sono all’apice non è facile giudicare quale di esse sia più grande. É cosa degna di meraviglia come e gli uomini e gli dei possano sopportare le nostre scelleratezze. O Spinelli, uomo di eccellente animo e talento, non è mia preoccupazione narrare le cose che gli autori scrissero non minuziosamente ma per sommi capi alcune per venire incontro al tuo desiderio e come conviene ad un filosofo, non ad uno storico. Aristotele dice nei suoi Problemi …
Da notare nel Tresca il taglio della parte che poteva urtare la suscettibilità di un cattolico e, verso la fine, la sostituzione di Spinelli con  Signore mio.
  [carte 35v-36r) … da Taranto navigandosi a seconda del vento Euro , si para d’avanti agli occhi de’ nocchieri, dacché si è varcato il mare al di là di otto miglia, un luogo anticamente nomato Bafia, che oggi quei naturali lo addicono in latino Saturum: amenissimo il tratto di questo paese: à sul merige campagne pur troppo amene …
… a Tarento in Eurum navigantibus ad VIII millia pasum occurrit in ora locus, quem incolae Saturum penultima producta nominant, amoenissimus tractus est, et apricus in meridie …
… per chi naviga da Taranto verso est a circa 8 miglia si presenta sulla costa un luogo che gli abitanti, allungata la penultima,  chiamano Saturo; è un tratto amenissimo e luminoso  a mezzogiorno …
Notevole nel Tresca il toponimo Bafia, probabilmente presente nell’edizione del De situ Iapygiae da lui utilizzata o sua integrazione, frutto, forse, di confusione con l’omonimo centro della Sicilia orientale (registrato da Vito Maria Amico, Lexycon topographicum siculum,  tomo III, Puleggio, Catania, 1760). 
  (carta 38v) … si portò così bene il bellicoso coraggio di quei cittadini, che nessuno può chiamarli vinti, o dall’oste nemica superati. Eccellentissimo Signore se io passo sotto silenzio, e non rammento  la fedeltà di coloro che abitano nell’ultimo luogo dell’Italia, ch’è  un’angolo di Lucera, a me par convenevole di porre in prospetto, e commendare l’eroiche gesta adoperate da cittadini  di Gallipoli, ed Otranto …
… sic se Callipolitani gessere, ut nemo illos iure victos dicere possit, sed a multitudine hostium superatos. Praeclarissime Spinelle, quando eorum, qui in extremo Italiae angulo Luceriae, virtus et fides oblivioni, ac silentio datur, nos ipsi Callipolis,et Hydrunti fortia facta non taceamus …  
… i Gallipolini si comportarono in modo tale che nessuno a buon diritto li può definire vinti, ma battuti dalla superiorità numerica dei nemici. Illustrissimo Spinelli, quando sono consegnati all’oblio e al silenzio il valore e la fede di coloro che stanno a Lucera, un estremo angolo d’Italia, proprio non passiamo sottosilenzio le forti gesta di Gallipoli r di Otranto …
Ancora la già vista sostituzione  di praeclarissime Spinelle con eccellentissimo Signore.    
  (carta 48r) … ogni sacerdote fù ad uno ad uno scannato, non perdonando tampoco il furor maomettano, neppure a’ quei poveri preti, che sull’are tenendo l’ostia sacrata tra’ le mani celebravano il divin sacrifizio. Da poiché per tutta quella notte appresso la quale spuntò, e succedette quella torbida giornata,Stefano Pendinelli, ch’era l’Arcivescovo del sudetto luogo, patrizio di Nardò, e consanguineo del fù Antonio de Ferraris avendo confirmato tutto il Popolo col divin sacramento dell’Eucaristia, si presentò alla matutina Guerra …
… sacerdotes in ecclesia omnes ad unum trucidaverunt, et nonnullos super altaria hostiam tenentes tamquam victimas mactaverunt. Postquam nocte tota, quam turbolentus ille dies secutus est, Stephanus Archiepiscopus consanguineus meus, omnem populum divino Eucharistiae sacramento firmaverat ad matutinam, quam prescierat, pugnam …
… in chiesa trucidarono ad uno ad uno tutti i sacerdoti e ne ammazzarono come vittime sacrificali parecchi mentre tenevano in mano l’ostia sull’altare. Dopo che nell’intera notte precedente quel turbolento giorno l’arcivescovo Stefano mio congiunto aveva confortato tutto il popolo col divino sacramento dell’Eucaristia fino alla battaglia del mattino che aveva previsto …
Si tratta dell’unico brano in cui compare, però in terza, non compromettente  persona,  il nome del Galateo.
  (carte 57r-57v) … ma la negligenza de’ cittadini  recò infamia a questo luogo:che se disserrati ell’avesse gli suoi acquedotti, non avrebbe mai tale sventura sortita. Mi ricorda di aver io letto, che in Napoli morta fusse gran copia di abbitanti … 
… sed civium negligentia urbem hanc infamavit, quae si  aquae suos exitus apertos habuissent, numquam tale nomen assecuta fuisset. Nonne vides, Spinelle, quot mortales hoc anno Neapoli periere …  
… ma la negligenza dei cittadini infamò questa città, che, se le acque avessero avuto aperto il loro sbocco, non avrebbe avuto tale fama. Non vedi, Spinelli, quanti uomini sono morti quest’anno a Napoli …
Spinelli ormai naturalmente assente nel Tresca.
  (carte 58v-59r) … tai parole fanno ben degna fede dell’integrità, e costanza della Brindisina Nazione, solita sempre a prestar ubbidienza alli Augustissimi Imperatori. Dopo di questo, Eccellenza, parmi ben convenevole di descriverle distintamente le parti mediterranee della Giapiggia, le quali dopò qualche respiro, ed in altra occasione le prometto con altra lettera a formare quel distinto raguaglio, che da me si potrà, rilevandolo dall’oblio de’ secoli caduti. E con ciò raffermo mi resto. Lecce li 6 Aprile 1774  
… haec verba, Spinelle, maximum perhibent testimonium integritatis, et fidei illius regionis, quae non nisi veris Imperatoribus  parere solita est . Nunc de mediterraneis dicendum est …
Nel Tresca, oltre all’ormai fisiologica assenza di Spinelli, il tratto finale prepara la lettera successiva.
  (carta 60r) Lettera quarta. Delle parti mediterranee della Giapiggia
Si frapponevano a Brindisi e a Taranto due antiche città …
Inter Brundisium et Tarentum duae antiquae urbes fuere …
Tra Brindisi e Taranto ci furono due antiche città …
Ancora l’incipit perfettamente coincidente.
  (carta 61v) … Ora è tanto il numero e la copia de’ libri, che non solamente gli medesimi, ma né pur degli Autori gli nomi ponno scolpiti. ed impressi restar nella nostra memoria. Riderà forse tal’uno, che io mentre in altri commendi la brevità del dire, e nell’altrui scrittura, sia io prolisso, con lungo torno di parole stenda, e dilarghi tal descrizione …
  … nunc tanta est librorum copia, et magnitudo, ut non solum dicta, sed ne nomina quidem auctorum memoriter tenere valeamus. Ridebis fortasse, Spinelle, Galateum, qui brevitatem suadet, cum ipse prolixus sit, sed hoc rite fit …
… ora è tanta l’abbondanza e l’estensione dei libri che non siamo in grado di tenere a memoria neppure i nomi degli autori. Forse riderai, o Spinelli, del Galateo che invita alla brevità quando lui stesso è prolisso, ma ciò avviene solitamente …
Nel Tresca illustri assenti, in un colpo solo, Spinelli e il Galateo.
(carta 81v) … il modello delle qui soprascritte lettere furono presentate ad alcuni savii di quella staggione, come al Pontano, ad Hermolao, ad Accio, a Chariteo, al Summonzio, li quali furono tutti al mio parere concordi, avendole chiamate lettere di Messapia …  
… harum litterarum exemplum, Pontano, Hermolao, Actio tuo, immo et meo, Chariteo, et Summontio misi, et nonnullis aliis: omnes mecum sensere has esse Mesapias literas …
 … di queste lettere ho inviato una riproduzione al Pontano, all’Ermolao, al tuo, certamente anche mio, Azio, al Cariteo e al Summonte e a parecchi altri: tutti convennero con me che questi erano caratteri messapici …
Con savii di quella staggione e con l’eliminazione di meo dell’originale il Tresca si è liberato della cronologia; non poteva certo aver chiesto la consulenza di Giovanni Pontano (1429-1503), di Ermolao Barbaro il Giovane (1454-1493), di Azio (nell’Accademia Pontaniana pseudonimo di Iacopo Sannazzaro, 1456 circa-1530), del Cariteo (nome umanistico di Benedetto Gareth, 1450 circa-1514 e di Pietro Summonte (1463-1526).
  (carta 83r) … alla distanza di tredici mila passi fabricata si vede Galatone. Altri la chiamano Galatana, chi Galatina …
… hinc ad XIII millia passuum, Galatana, unde mihi origo est. Alii Galatenam, alii Galatinam … 
… da qui a 12 miglia Galatone, donde io ho origine. Alcuni la chiamano Galatena, altri Galatina …
Come poteva essere mantenuti l’originario unde mihi origo est?
  (carta 84r) … ero io di fresca guancia, ed in età fiorita, quando nel riandare l’opera di Livio lessi, e ravvisai la città di Theuma …  
… cum essem iuvenis, legens apud Livium inveni Theumam … 
… essendo giovane, leggendo presso Livio trovai Teuma …
Innocuo riferimento cronologico, dal momento che Livio poteva tranquillamente essere stato letto tanto dal Galateo che dal Tresca.
  (carte 84v-85r) …deponendo costumi, vestimenta, come ancora l’argivo dialetto: ma non la ceppaia. Non mi vergogno punto di propalare l’origine de’ nostri Maggiori. Siam Greci ed ognuno lo si deve a gloria recare. Platone il Dio de’ filosofi costumava sovente di ringraziare i Numi per queste tre cose: che Uomo e non bruto, che Maschio, e non Donna, che Greco e non barbaro fusse nato, e cresciuto. Il suo servidore, Eccellenza,che  la Giapiggia descrive non da’  Mauri, non dalli Ethiopi, non dalli Allobrogi, o Sicambri, ma dalla Greca Nazione sorge, e deriva. Il Progenitore di chi tal dettaglio della Giapiggia li porge, non ignorò il Greco, e molto meno l’idioma Latino. Fù celebre non per valore dell’armi,ma fù difeso, e scortato dall’integrità della vita, e dalla bontà de’ costumi. Mi vergogno, Eccellenza, parlando seco lei senz’Arbitri dirle, come io nell’Italia abbia tratta la mia origine, e derivati i miei natali, sebbene alcuni scrittori posero il suolo Giapiggio fuor dell’Italia …   
… mores, et vestes, et Graecam linguam deposuerunt sed non genus. Nec pudet nos generis nostri. Graeci sumus, et hoc nobis gloriae accedit. Divinus ille Plato in omnibus gratias Diis agebat, sed praecipue in his tribus: quod homo non bellua; mas, non foemina; Graecus, non Barbarus natus esset. Galateus tuus, Spinelle, non a Mauris, aut Lingonibus, non ab Allobrogibus, aut Sycambris, sed a Graecis ducit genus. Pater meus Graecas, et Latinas literas novit; avus, et progenitores mei Graeci Sacerdotes fuere, literarum Graecarum, Sacrae Scripturae, et Theologiae minime ignari: non armis, hoc est, vi, et caedibus, et rapinis, sed bonis moribus et santitate vitae celebres. Pudet me, Spinelle (tecum sine arbitris loquor) in Italia natum fuisse, quamvis Iapygiam terram extra Italiam scriptores quidam posuere. Graecia sua vetustate, sua que fortuna, Italia suis consiliis, suisque discordiis periit … 
… deposero i costumi, le vesti e la lingua greca, ma non la stirpe. Né ci vergogniamo della nostra stirpe. Siamo Greci e questo ci torna a gloria. Quel divino Platone rendeva grazie a tutti gli dei ma soprattutto per queste tre cose: per essere nato uomo e non animale, maschio e non femmina, greco e non barbaro.Il tuo Galateo, o Spinelli, trae origine non dai Mauri o dai Lingoni, non dagli Allobrogi o dai Sicambri, ma dai Greci. Mio padre conosceva il greco e il latino, mio nonno e i miei antenati furono sacerdoti greci, per nulla ignari delle lettere greche, delle sacre scritture e di teologia, cioè celebri non per le armi, la violenza, le stragi e le rapine ma per i buoni costumi e per la santità della vita. Mi vergogno, o Spinelli (con te parlo direttamente), di essere nato in Italia, sebbene certi scrittori abbiano posto la Iapigia fuori dell’Italia …
Sostituzione di Galateus tuus, Spinelle con Il suo servidore, Eccellenza.    
  (carta 86r) …  dove un tempo fabricato vi era un Munistero assai Nobile di Monaci Basiliani, dedicato, ed eretto a gloria di S. Nicola. Comincia di bel nuovo il detto Appennino…  
… ubi erat quondam nobile coenobium monachorum magni Basilii, divo Nicolao dicatum, cui avunculus meus plusquam triginta annis praefuit. Inci pit molliter insurgere …  
… dove era un tempo un nobile cenobio di monaci del grande Basilio, dedicato a S. Nicola, al quale presiedette per più di trent’anni un mio zio materno . Comincia ad innalzarsi leggermente …
Qui è lo zio materno ad essere stato eliminato.      
  (carte 88r-89r) … di tempo in tempo avviene, che quivi cresca in tal maniera l’inondazione, che par di volersi egli ingoiare l’intero Abitato. Crebbe in tale smodato eccesso ne’ secoli caduti, che molti se ne annegarono. Il vino, il formento, l’olio furon dall’onda insana assorbiti, e rimase logora, e stracciata la più parte delle suppellettili. L’acqua medesima distrusse, e seppellì ne’ suoi gorghi quantità di libri Greci, e Latini, che quivi erano con molta diligenza custoditi, e serbati. Questa città … que’ cittadini nell’assiduo contrasto valorosamente resistettero, e si difesero. In tal guerra difensiva militò da soldato un tal De Ferrariis Galatio. Finalmente a Giovannantonio non essendoli potuta riuscir felicemente l’impresa, distaccato l’assedio, altrove drizzò le sue mire ed in altra parte rivoltò le sue armi. Dopò di questo avendo finito di vivere la Regina Giovanna, ed il Caldora, tutta la Giapiggia si ridusse nel dominio di Giovannantonio. Il de Ferrariis, come di costui giurato inimico, fù rilegato in esilio nella città di Gallipoli. Postesi finalmente le cose in assetto, il Prence Giovannantonio desiderando di ascoltar la causa della discolpa del de Ferrariis, che contro di lui aveva militato, ed imbrandito il ferro, nella seguente maniera da Gallipoli scrisse il medesimo al suddetto Principe Giovannantonio: “Io, per quanto an sostenuto le mie debili forze non ò fatta resistenza alcuna agli suoi disegni … 
… quandoque tanta est imbrium copia, ut oppidum aquarum illuvie laboret. Tempore avi mei tanta per oppidum crevit aquarum multitudo, ut in aliquibus locis duorum passuum mensuram excederet. Nonnulli periere, vinum, oleum, triticum, hordeum et quamplurima supellectilia absumpta sunt: libros Graecos, quorum avus meus magnam habebat copiam in Ecclesia, quae nostri iuris est, ubi ipse versabatur, aqua delevit, atque consumpsit. Haec urbs … oppidani continua pugna acerrime restiterunt; in qua pugna pater meus interfuit. Tandem Ioannes Antonius re infecta, et longa obsidione soluta, alio arma vertit. Post haec Regina, et Caldora vita functis, tota Iapygia in potestatem Ioannis Antonii pervenit. Pater meus tamquam hostis ab Ioanne Antonio inauditus Gallipoli exulare iussus est. Compositis tandem rebus, Ioanni Antonio causam audire cupienti,in hanc sententiam scripsit patermeus: “Nulla, o bone Princeps, a te accepta iniuria  ausis tuis quoad potui obstiti …        
… di tanto in tanto tale è l’abbondanza di piogge che la città soffre per inondazione. Al tempo di mio nonno la massa di acqua crebbe tanto da superare in alcuni luoghi la misura di due passi. Molti morirono, vino, olio, grano, orzo e moltissime suppellettili furono trascinate via; l’acqua distrusse e consunse molti libri greci, dei quali mio nonno aveva una grande quantità nella chiesa, che è di nostro diritto, nella quale esercitava la sua funzione. Questa città … i cittadini resistettero fieramente con una lotta continua: ad essa partecipò mio padre. Alla fine Giovanni Antonio,  essendo diventata difficile la situazione e tolto l’assedio, volse altrove le armi. Dopo di ciò, essendo morti  la regina tutta la Iapigia venne sotto il potere di Giovanni Antonio.  Mio padre come nemico senza essere ascoltato da Giovanni Antonio ebbe l’ordine di andare in esilio a Gallipoli. Sistematesi finalmente le cose, mio padre contro questa sentenza scrisse a Giovanni Antonio  che desiderava ascoltare le sue ragioni: O buon principe, non essendo stata ricevuta da te alcuna offesa, finché ho potuto mi sono opposto ai tuoi piani …
I casi del padre del Galateo vengono trattati in terza persona.
  (carta 90r) … tali parole furono con tanta gratitudine accolte daquel buon Principe, che cangiato, convertito l’odio in amore fin ché visse costui, lo amò, e l’ebbe caro al pari degli altri suoi più intimi, e familiari Amici, e sofferse di buon grado la di lui Eroica morte, che sostenne per amor della verità, e per attenersi  sempre fedele, aspra vendetta ne prese. La città di Galatone …
 … haec verba adeo grata bono Principi fuere, ut totum, si quod erat odium, in amorem verteret, tantumque patri meo quoad vixit fidei praestitit, quantum cuivis eorum, quos charissimos habebat, eiusque heroicam mortem, quam pro veritate, et fide servanda passus est, molestissime tulit, atque aspere ultus est. Haec urbs …   
… queste parole furono tanto gradite al buon principe che, se c’era qualche odio, lo cambiò tutto in amore e prestò tanta fiducia a mio padre quanto a ciascuno di coloro che aveva carissimi e sopportò con grandissimo dolore la sua morte eroica che patì in difesa della verità e della fede e lo vendicò fieramente. Questa città …
Continua la narrazione in terza persona della vicenda del padre del Galateo. 
  (carta 91r) … la ridetta città abbondava di molti sacerdoti Greci, trà gli altri ve ne avea d’uno massimamente in quei tempi, che lo addimandavano il Maestro, da donde surse, e derivò la famiglia del de Magistris, il di cui nipote chiamato Virgilio avendo per venti anni fatto induggio  in Bisanzio …
… haec complures Sacerdotes Graecos doctissimos habuit, sed praecipue unum, quem magistrum appellaverunt, unde Magistrorum familia, cuius nepotem Vergilium, ego puer novi, et proavi mei, quorum unus viginti annis Byzantii versatus est … 
… questa ebbe parecchi dottissimi sacerdoti greci, ma soprattutto uno che chiamarono maestro, donde la famiglia dei De Magistris,il cui nipote Virgilio io fanciullo conobbi, ed i miei proavi, dei quali uno visse venti anni a Bisanzio …
Come c’era da aspettarsi, è saltata la conoscenza personale di Virgilio , nonché il ricordo dei proavi.
  (carta 99v) …ne’ secoli caduti appressavasi ognuno, che volea sacrificarsi alle scienze nella città di Nardò per istudiare … 
… temporibus patris mei ab omnibus huius regni provinciis ad accipiendum ingenii cultum Neritum confluebant … 
… ai tempi di mio padre confluivano a Nardò da tutte le province di questo regno per acculturarsi …  
Il temporibus patris mei del Galateo nel Tresca è diventato ne’ secoli caduti.
  (carta 100r) … Era tal paese un tempo da Bellisario Acquaviva. Potrei far altre distinte descrizioni di luoghi ragguardevoli, e rinomati, che furon trà la Giapiggia, ma non volendomi io punto abbusare della pazienza di chi sarà per leggere tal mia descrizione, finisco col verso del Venusino Poeta “Neritum longae finis chartaeque viaeque” riserbandomi in altra disertazione descrivere la Città di Gallipoli. Ed è quanto devo mentre rassegnandomi resto. Lecce li 8 Maggio 1774.
… hic et ego prima literarum fundamenta hausi. Galatana me genuit, haec urbs educavit, et fovit, et literis instituit. Hic Aquaevivus tuus, imo et meus Belisarius, magni Aquaevivi frater, dominatur. Neque ero ingratus, si ut initium descriptionis Tarento, sic et finem Nerito tribuero. Hoc exigit locorum ratio; et conviviorum magistri semper aliquid, quod maxime delectet, in finem reservant, sic “Neritum longae finis chartaeque viaeque”. 
… qui pure io appresi i primi fondamenti delle lettere. Galatone mi generò, questa città mi educò e coltivò e mi avviò alle lettere. Qui domina il tuo, anzi anche il mio, Belisario fratello del grande Acquaviva. E non sarò ingrato se, come ho affidato l’inizio della descrizione a Taranto, così pure affiderò la fine a Nardò. Questo esige la disposizione dei luoghi; e i maestri del convito sempre riservanoalla fine qualcosa che diletti in sommo grado; così “Nardò sia la fine del lungo viaggio e racconto”.
Censurati (e che poteva fare …) nella parte iniziale tutti i dati personali riguardanti il Galateo, per finire più in bellezza rispetto a come aveva iniziato e proseguito, il Tresca mostra di voler essere recidivo con la sua intenzione di fare la stessa operazione con un’altra opera del Galateo. E così fu puntualmente. Nel manoscritto-dossier la quinta lettera, datata Gallipoli li 6 Febraro 1775, la Descrizione della città di Gallipoli occupa le carte 101r-124r.
Non è da escludere che, se avrò tempo da perdere, me ne occupi con la stessa procedura …
­­­­­­­­­­­­­­­­­­_____________
1 Di altro colpevole, ma sempre ai danni dello stesso autore  scippato oggi, per quanto il reato sia meno pesante: http://www.fondazioneterradotranto.it/2010/05/14/se-non-e-plagio-ditemi-voi-cose/.
Un caso meno appariscente in http://www.fondazioneterradotranto.it/2011/02/06/pasquale-oronzo-macri-e-nicola-maria-cataldi-duecento-anni-dopo/.
2
http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/19/mattarella-la-cagnetta-mesagne-larcivescovo-brindisi/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/01/24/mesagne-la-sua-accademia-degli-affumicati-15/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/11/08/mesagne-luca-antonio-resta-vescovo-laffumicato/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/01/25/taranto-suo-stemma/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2016/11/11/diego-tafuro-lequile-xvii-secolo-un-frate-fra-santi-principi-parole-13/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2016/10/03/le-torri-costiere-del-salento-nelle-mappe-giuseppe-pacelli/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2016/01/23/storia-e-leggenda-un-emblematico-caso-salentino-anzi-due/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2015/07/02/regolamentazione-dei-senza-fissa-dimora-nel-regno-di-napoli-secondo-la-testimonianza-di-giovanni-bernardino-manieri-di-nardo/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/11/20/ostuni-due-suoi-figli-immeritatamente-dimenticati-pietro-vincenti-francesco-trinchera-12/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/26/lalbania-salentina-nellatlante-del-pacelli-1803-posseduto-suo-tempo-giuseppe-gigli-giallo-nota/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/03/07/la-grecia-salentina-nellatlante-del-pacelli-1803/
3 Di lui risulta pubblicato solo il sonetto inserito in Poesie italiane, e latine del sig. d. Damiano Romano avvocato fiscale della sacra regia Udienza di Lecce dedicate all’illustriss. sig. il signor marchese d. Bernardo Tanucci, Viverito, Lecce, 1739
4 Per fortuna questo lavoro del Tresca non fu pubblicato. Ad ogni modo, essendosi salvato il manoscritto, il leccese avrebbe fatto una figura migliore, se avesse optato sic et simpliciter per una traduzione dichiarata del De Situ Iapygìae, seguendo, oltretutto, una prassi consolidata nei secoli precedenti e successivi di dedicare a qualche personaggio importante la traduzione di un’opera famosa. E in questo sarebbe stato il primo, precedendo le traduzioni ottocentesche di Vincenzo Dolce, Rusconi Napoli, 1853, di Gaiancamillo Frezza, Del Vecchio, Lecce, 1853 e di Salvatore Grande, Tipografia Garibaldi di Flascassovitti e Simone, Lecce, 1867.
5 Di Francesco Maria nel Dizionario Biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto, Lacaita, Manduria, 1999, p. 61 è segnalato pure un sonetto in lode di Giuseppe Ruffo inserito in Componimenti vari in lode di Giuseppe Ruffo Vescovo di Lecce, Benevento, 1737. Per il fratello Berardino, oltre alla dedica  e ai due sonetti  inseriti nell’opera di Francesco Maria rispettivamente alle pp. 3-7, 8 e 288, il citato dizionario ricorda un altro sonetto inserito in Raccolta dei componimenti in lode di Carlo Borbone re delle due Sicilie, Lecce, 1745.
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Crotone e lo spirrinchio
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Crotone e lo spirrinchio
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C’era una volta un’antica colonia della Magna Grecia, dove già il termine “Magna” fa venire l’orticaria. Nella terminologia del dialetto romanesco “magna”richiama alla  mente Alberto Sordi, davanti ad un bel piatto di maccheroni e la sua frase: “mo ve magno tutti”. A parodiare su quel termine, dopo gli ultimi avvenimenti, non è aleatorio  parlare di  un grande magna magna generale, dove si banchetta allegramente e gli ossi vengono gettati ai cani umani. Crotone, dove le inchieste della Magistratura hanno scoperchiato il vaso di Pandora, è la città di tutti i mali possibili; qui si campa grazie ad accordi sottobanco, a consorterie che nascono come i funghi dal momento che gli affari sono congrui e nemmeno una briciola deve essere sprecata. Il vero male di questo territorio è l’illegalità diffusa che risale alla notte dei tempi. Un vero Medio Evo dell’ingiustizia, che ha messo radici e regna sovrana. Lo dimostra l’operazione Stige che ha decapitato il malaffare istituzionale  e, a Crotone,  il sequestro di 80 villette costruite in contrada Margherita, area di dissesto idrogeologico. Sappiamo bene cosa significa questa catalogazione, quali rischi comporti in un territorio fragile, che rischia di sbriciolarsi sotto i nostri piedi. Crotone, la città dei palazzinari con una propensione così forte a edificare, da farlo anche nelle zone archeologiche, con tanto di permessi concessi da uffici comunali, oppure di occhi chiusi, tanto da far finta di non vedere lo scempio che si consuma sotto i nostri occhi. Nonostante ciò, siamo ancora capaci di credere alle favole dei grandi vecchi, in cambio di vane promesse che non si potranno mantenere, ma che pur tuttavia vengono inseguiti come i sogni che svaniscono alle prime luci dell’alba. C’era una volta una città dal passato glorioso, sospinta irrimediabilmente indietro dal vento della storia, tornata ai fasti della cronaca per le assurdità che si vivono, che pesano come un pesante macigno sul nostro groppone e quello dei nostri figli. Figli di nessuno, perché quelli dei faraoni hanno percorso così velocemente le orme del gigante da rimanere piazzati e in pole position nei posti che contano, capaci di strumentalizzare uomini e donne della propria cordata, perché uniti si vince e l’impossibile diventa possibile. Dove stiamo andando? Abbiamo bisogno di idee copia e incolla. I giovani della maggioranza silenziosa della città fanno prima a prendersi bagatti e bagattelle per andare a tentare la sorte altrove. Così, mentre ci priviamo delle menti migliori, qui rimangono solo avvoltoi e falchetti ammaestrati alla caccia sul braccio del signorotto di turno. Qui, dove un nome fa la differenza, siamo ritornati ai tempi del notabilato: ricche famiglie come ai tempi del podestà fanno il salto di qualità non solo per se stessi ma per tutta la loro progenie, la sola in grado di essere classe dirigente. Dirigente di se stessa, dei propri interessi, mentre le voci libere vengono silenziate, messe a tacere, costrette all’immobilismo nel vedere il degrado umano della propria città. La colonia del Magna Magna continua a fortificarsi, impoverendo un tessuto sociale spolpato fino all’osso. Purtroppo è come navigare nell’oceano, esposti ai mari in tempesta senza possibilità di toccare terra. Non promettono nulla di buono nemmeno queste elezioni, con una rivoluzione annunciata dal Movimento 5 Stelle  che ha rivoluzionato soltanto il modo di stazionare sulla poltrona. Testa e coda continuano a toccarsi a Crotone come altrove.
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italianaradio · 4 years
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Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, 10 cose che il film ha cambiato della saga
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Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, 10 cose che il film ha cambiato della saga
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, 10 cose che il film ha cambiato della saga
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, 10 cose che il film ha cambiato della saga
In qualità di grande episodio finale della saga, L’Ascesa di Skywalker prende alcune importanti decisioni sull’universo di Star Wars, tanto in merito al passato e al presente del franchise, quanto in merito al suo futuro. Non solo i film che verranno saranno completamente diversi, ma da ora in avanti anche guardare i vecchi episodi con la conoscenza di ciò che accadrà in seguito sarà, inevitabilmente, un’esperienza totalmente nuova.
Dopo i 10 riferimenti alle vecchie trilogie che potreste non aver notato, di seguito abbiamo raccolto 10 modi in cui il film di J.J. Abrams ha cambiato completamente la saga di Star Wars. Per fortuna, nessuno di questi modi rovina effettivamente il franchise: così, anche se non siete amanti della trilogia sequel, potrete sembra guardare a quella originale come al capolavoro che è sempre stato.
La progenie di Rey
Ne Il Risveglio della Forza, Rey non sa molto circa il suo passato. Non ha memoria dei suoi genitori, ricordando in maniera molto vaga che sono scappati via su una nave. Ne Gli Ultimi Jedi, Kylo le rivela che i suoi genitori non sono “nessuno”, abbandonata su Jakku e venduta ad un trafficante di rottami. Ne L’Ascesa di Skywalker viene finalmente rivelato che suo padre era figlio dell’Imperatore Palpatine: Rey è quindi la nipote del Signore Oscuro dei Sith.
Mentre alcuni avrebbero preferito che Rey non avesse una progenie così definita, il film di J.J. Abrams sottolinea come a volte, voltare le spalle al proprio destino, sia necessario per fare la cosa giusta e forgiare il proprio percorso al servizio della giustizia.
Distruggere il Primo Ordine
La tangibile minaccia che affligge la Galassia nei film della trilogia sequel è il Primo Ordine. Non è esattamente chiaro come l’organismo politico sia arrivato ​​al potere, anche se Palpatine potrebbe certamente avere a che fare con la sua creazione. In ogni caso, il Primo Ordine non potrà più fare del male a nessuno dopo la gloriosa vittoria di Rey e della Resistenza nella battaglia di Exegol, con l’intera Galassia che unisce le forze per fermare una volta per tutte le loro terribili azioni.
Snoke
Uno dei più grandi misteri che circondava il Primo Ordine era l’identità del suo enigmatico leader, Snoke. I fan sono rimasti scioccati quando Kylo lo ha eliminato ne Gli Ultimi Jedi, anche se la prima scena de L’Ascesa di Skywalker spiega subito da dove provenisse e quale fosse il suo obiettivo. 
Il Leader Supremo che il Primo Ordine aveva così tanto ammirato non era altri che un clone creato da Palpatine. E il Signore Oscuro dei Sith non si è neanche risparmiato nel realizzarlo, considerando quanto Snoke sia sia spinto lontano nel suo piano per controllare la Galassia.
L’allenamento Jedi di Leia
Come membro della famiglia Skywalker, la sensibilità di Leia nei confronti della Forza è qualcosa di innato. Le sue abilità si rivelano essere molto più forti di quanto inizialmente pensato, come quando la vediamo tornare in salvo dallo spazio ne Gli Ultimi Jedi. La prima scena di Rey ne L’Ascesa di Skywalker ci mostra il suo allenamento sotto la direzione di Leia, mentre la scena con Luke contiene un flashback che mostra il suo allenamento Jedi con la sorella dopo gli eventi narrati ne Gli Ultimi Jedi. Tuttavia, Leia rinunciò all’addestramento, sebbene pare abbia comunque avuto abbastanza esperienza per riuscire ad utilizzare la Forza al momento opportuno. 
Il mondo occulto dei Sith
Nonostante il loro status di villain principali del franchise, i Sith sono rimasti dei personaggi alquanto misteriosi per tutti e nove i film. L’unico vero Sith sotto forma di vera forza del male che abbiamo avuto modo di conoscere è stato Palpatine, e neanche abbiamo saputo troppo circa il suo passato. Finalmente, ne L’Ascesa di Skywalker è stato rivelato il loro mondo occulto, Exegol.
All’inizio del film vediamo Kylo Ren arrivare sul pianeta desertico, mentre nel gran finale toccherà anche a Rey e al resto della Resistenza. Il film ci ha permesso di scoprire qualcosa in più sui Sith rispetto a quanto fatto in precedenza da altri media, nonostante le misteriose figure che venerano Palpatine e lavorano per lui, aggiungono ancora più mistero alle loro origini e alla loro dimora. 
La corruzione di Kylo
In tutti e due gli episodi precedenti, si pensava che fosse Snoke a manipolare la mente di Kylo. All’inizio de L’Ascesa di Skywalker, invece, scopriamo che è stato sempre Palpatine a tormentare i pensieri del figlio di Han e Leia. Se da un lato è stato entusiasmante assistere al ritorno dell’Imperatore, dall’altro è stato sicuramente deludente scoprire che nessuna delle teorie su chi fosse realmente a manipolare la mente di Ben – Darth Vader? Snoke? – aveva il minimo fondamento. 
La relazione tra Kylo e Rey
Kylo ha sempre sentito una sorta di connessione con Rey, legame che non è mai riuscito a spiegarsi. Perfino Palpatine, nonostante tutte le sue conoscenze e il suo immenso potere, brancolava nel buio in merito alla loro vera relazione. Ne L’Ascesa di Skywalker li vediamo diventare una diade nella Forza: due persone unite al misterioso potere grazie alla loro sensibilità, cosa che li rende essenzialmente un solo essere agli occhi della Forza.
Questo spiega come i due siano stati in grado di comunicare anche a considerevoli distanze. Inoltre, sempre grazie a questa diade, ne film di Abrams li vediamo protagonisti di uno dei duelli con le spade laser più belli dell’intera saga, quando Kylo si trova sul pianeta Kijimi e lei sullo Star Destroyer dove Ben aveva nascosto la maschera di Darth Vader.
La morte di tutti i membri degli Skywalker
I nove film di Star Wars costituiscono la saga degli Skywalker perché raccontano la storia del lignaggio della famiglia, da Anakin fino a Ben Solo. Alla fine de L’Ascesa di Skywalker, tutti i membri della famiglia Skywalker risultano morti o scomparsi. Per quanto sia triste prenderne atto, sarà comunque Rey a portare avanti il ​​nome della famiglia, sebbene non sia imparentata con Luke, Leia e tutti gli altri dal sangue. Questo è un tema centrale all’interno del film di J.J. Abrams, anche se il personaggio principale della trilogia sequel volta le spalle al destino per abbracciare uno diverso.
Distruggere Palpatine una volta per tutte
Per nove film e oltre quarant’anni, Palpatine ha controllato gli eventi, principalmente agendo nell’oscurità. Si pensava fosse stato eliminato una volta per tutte ne Il Ritorno dello Jedi, ma a quanto pare neanche cadere in una fossa senza fine può fermare Il Signore Oscuro dei Sith. Rey è l’unica che riesce a sconfiggerlo definitivamente, trasformandolo letteralmente in nient’altro che in un cumulo di polvere. Neanche l’essere più potente dell’Universo potrà resuscitare dopo una morte del genere…
Rendere possibile la clonazione dei Jedi
Nel videogioco Star Wars: Il potere della Forza, viene affrontato per la prima volta il tema della clonazione degli Jedi, qualcosa che si pensava fosse impossibile. Anche ne L’Ascesa di Skywalker, l’uso da parte di Palpatine dei cloni di Snoke sembra implicare che la clonazione di un essere sensibile alla Forza è possibile. Tutto ciò solleva però un importante quesito che forse non troverà mai risposta: c’è mai stato un vero Snoke che sia servito da modello per i suoi cloni, o il Leader Supremo è stato creato da uno scarto?
Fonte: ScreenRant
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Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, 10 cose che il film ha cambiato della saga
In qualità di grande episodio finale della saga, L’Ascesa di Skywalker prende alcune importanti decisioni sull’universo di Star Wars, tanto in merito al passato e al presente del franchise, quanto in merito al suo futuro. Non solo i film che verranno saranno completamente diversi, ma da ora in avanti anche guardare i vecchi episodi con […]
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Stefano Terracina
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