Tumgik
#la trama segreta della realtà
valentina-lauricella · 8 months
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La Fisica Quantistica e la Teoria dell'Anima sono due ambiti di studio che, apparentemente distanti, si intrecciano in modo suggestivo. In questo articolo esamineremo l'interessante connessione tra la fisica quantistica e la teoria dell'anima, esplorando gli aspetti metafisici che emergono da questa fusione. Attraverso l'analisi di concetti come l'entanglement quantistico, il potere dell'osservatore e l'interconnessione universale, cercheremo di comprendere l'essenza stessa dell'esistenza.
IL PENSIERO DI ERWIN SCHRÖDINGER: L'ESSENZA NON MATERIALE DELL'ANIMA.
Il celebre fisico teorico Erwin Schrödinger ha sostenuto che l'anima non può essere ridotta a una sostanza materialmente ponderabile. Egli afferma: "L'anima non è una sostanza materialmente ponderabile, ma qualcosa di completamente immateriale". Questa visione suggerisce che l'anima sia un'entità non legata alle caratteristiche fisiche, ma diffusa nell'interezza del cosmo. La fisica quantistica è una delle più affascinanti e rivoluzionarie teorie scientifiche del nostro tempo. Esplora i misteri della realtà a livelli microscopici e sfida le nozioni tradizionali di spazio, tempo e causalità. In questo articolo introduttivo esamineremo alcuni fondamenti della fisica quantistica con un'attenzione particolare agli aspetti metafisici che solleva. Esploreremo il pensiero di Erwin Schrödinger, fisico teorico di spicco, che ha evidenziato l'essenza non materiale dell'anima e la sua connessione con il cosmo.
Erwin Schrödinger, vincitore del Premio Nobel per la Fisica del 1933, espresse una visione unica dell'anima. Egli affermò che l'anima non può essere ridotta a una sostanza materialmente ponderabile. Questa concezione suggerisce che l'anima non sia confinata alle caratteristiche fisiche del corpo, ma permei l'intero cosmo. Schrödinger guardava all'anima come a un'entità che trascende i limiti della dimensione materiale, aprendo così le porte a una comprensione più ampia dell'universo.
L'interferenza di Schrödinger: l'anima nelle leggi della natura. Un risultato fondamentale della fisica quantistica, l'interferenza, è stato teorizzato proprio da Erwin Schrödinger. Questo fenomeno descrive come due onde possono combinarsi per produrre un effetto di amplificazione o soppressione. Schrödinger affermò che l'interferenza è indicativa della presenza dell'anima nelle leggi della natura stessa. Egli concepiva l'anima come un'energia sottile che interagisce con il mondo attraverso i processi quantistici, lasciando una traccia dell'interconnessione universale.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg. Libertà e incertezza dell'anima. Werner Heisenberg, un altro luminare della fisica quantistica, formulò il celebre principio di indeterminazione, che postula che la posizione e il momento di una particella non possono essere noti simultaneamente con precisione. Questo principio ha importanti implicazioni filosofiche, poiché suggerisce che l'autodeterminazione e l'incertezza siano parte integrante della nostra esperienza umana. In questo contesto, l'anima può essere vista come una forza libera che trascende le leggi deterministiche delle particelle, permettendo alla volontà e al libero arbitrio di emergere nell'universo quantistico. La fisica quantistica, con la sua natura affascinante e spesso paradossale, ha suscitato notevole interesse sull'aspetto metafisico dell'esistenza umana. Attraverso la visione di Erwin Schrödinger sull'essenza non materiale dell'anima e la connessione dell'anima con le leggi della natura, ciò che potrebbe sembrare astratto e complesso diventa intrigante e affrontabile. Questi punti di vista ci invitano a riflettere sul significato del libero arbitrio, sulla nostra relazione con l'universo e sul potenziale illimitato dell'anima umana.
L'OSSERVAZIONE QUANTISTICA: IL POTERE DELL'INTENTO.
Uno dei principi fondamentali della fisica quantistica è che l'atto di osservazione influenza attivamente la realtà. Questa idea trova una connessione interessante con la teoria dell'anima, secondo la quale l'osservazione può influenzare e manifestare l'esperienza individuale. Alcuni studiosi interpretano la consapevolezza e l'osservazione come dimensioni dell'anima che interagiscono con il mondo quantistico, plasmandolo attraverso la loro presenza e intenzioni.
Il paradosso dell'osservazione quantistica. Il ruolo dell'osservatore nell'esperimento. Uno dei paradossi più noti della fisica quantistica è quello dell'osservazione, spesso espresso nell'esperimento della doppia fenditura. In questo esperimento, quando un elettrone viene mandato attraverso due fenditure, si comporta sia da particella che da onda, ma il suo stato definitivo viene determinato solo quando viene osservato. Questo paradosso solleva la domanda cruciale: cosa accade durante l'atto dell'osservazione che determina il risultato finale? Alcuni studiosi suggeriscono che siano l'intenzione e la consapevolezza dell'osservatore che influenzano l'esito dell'esperimento.
L'effetto dell'intenzione sulle particelle subatomiche. L'influenza dell'anima. Diversi studi hanno investigato l'effetto dell'intenzione umana sul comportamento delle particelle subatomiche. Un noto esperimento è stato condotto da Helmut Schmidt negli anni '60, in cui i partecipanti concentravano la loro attenzione su una serie di lanci di moneta. Si è notato che, quando gli individui desideravano fortemente ottenere un risultato specifico, la distribuzione delle teste e delle croci non seguiva più il principio della casualità. Questo fenomeno potrebbe essere interpretato come un'interazione tra l'anima individuale e il mondo quantistico, in cui l'intenzione dell'individuo modifica attivamente il risultato delle misurazioni.
L'interconnessione tra mente e realtà. Il ruolo dell'osservatore nel creare la realtà. La fisica quantistica suggerisce un collegamento profondo tra mente e realtà. Alcuni scienziati interpretano l'osservazione come un atto creativo in cui l'osservatore partecipa attivamente alla costruzione della realtà oggettiva. Questo concetto, noto come idealismo quantistico, sostiene che la nostra osservazione e consapevolezza plasmano il tessuto dell'universo stesso. Nell'ambito dell'anima, questa prospettiva implica che la nostra presenza intenzionale e la nostra consapevolezza svolgono un ruolo centrale nella manifestazione della nostra esperienza individuale e nella creazione della nostra realtà.
L'ENTANGLEMENT QUANTISTICO: L'ANIMA COLLETTIVA
L'entanglement quantistico, un fenomeno in cui due particelle diventano inestricabilmente connesse al di là della distanza fisica che le separa, suggerisce l'esistenza di un'interconnessione profonda tra le parti dell'universo. Alcuni pensatori ipotizzano l'esistenza di un'anima collettiva, una coscienza che permea tutto ciò che esiste. Secondo questa prospettiva, ogni individuo sarebbe intrinsecamente legato agli altri attraverso l'entanglement quantistico, creando una rete di interconnessioni che riflette l'essenza stessa dell'esistenza.
L'entanglement quantistico.Il mistero delle connessioni invisibili. L'entanglement quantistico è un concetto che ha stupito e affascinato gli scienziati sin dalla sua scoperta. Quando due particelle sono entangled, qualsiasi misurazione effettuata su una delle particelle influenzerà istantaneamente lo stato dell'altra, indipendentemente dalla distanza che le separa. Questa connessione straordinaria sembra andare oltre la spazio temporalità e sfida il concetto tradizionale di separazione. Alcuni studiosi vedono l'entanglement quantistico come un'indicazione di un'interconnessione più profonda tra tutte le cose, che potrebbe riflettere l'esistenza di un'anima collettiva.
L'abisso quantistico. La possibilità dell'anima collettiva. L'idea di un'anima collettiva che permea tutto ciò che esiste ha affascinato pensatori e filosofi per millenni. La scoperta dell'entanglement quantistico ha stimolato nuove riflessioni su questa prospettiva. Alcuni teorizzano che l'entanglement quantistico che collega tutte le particelle potrebbe riflettere un'anima collettiva, una consapevolezza universale che si intreccia attraverso tutte le cose. Questa visione suggerisce che ogni individuo sia parte di un tutto più grande, e che le nostre azioni e le nostre esperienze siano in qualche modo intrecciate con quelle degli altri.
L'esperimento dell'entanglement. Un legame profondo tra le particelle e forse oltre. Uno degli esperimenti che ha fornito prove concrete sull'entanglement quantistico è stato condotto da Alain Aspect negli anni '80. L'esperimento ha dimostrato che lo stato di una particella in entanglement era determinato istantaneamente dalla misurazione effettuata su un'altra particella entangled, anche se le due particelle erano distanti tra loro. Questo risultato incredibile sottolinea la natura profonda e misteriosa dell'entanglement quantistico, suscitando la speculazione che possa esistere una connessione ancora più ampia che trascenda le particelle stesse. L'entanglement quantistico rappresenta un mistero sfaccettato che stimola il nostro immaginario e ci invita a esplorare il potenziale dell'esistenza umana in modi nuovi e affascinanti. Se l'entanglement quantistico riflette un'anima collettiva o un'interconnessione più profonda tra tutte le cose, ciò solleva domande sulla natura stessa dell'essere umano e sulla nostra relazione con l'universo. Mentre continuiamo a scrutare gli aspetti metafisici della fisica quantistica, potremmo scoprire che il mistero dell'entanglement offre non solo una finestra sulla natura intima della realtà, ma anche una prospettiva affascinante sulla possibilità di un'anima collettiva che trascende le singole esperienze umane.
UN PONTE TRA SCIENZA E SPIRITUALITÀ
L'incontro tra la fisica quantistica e la teoria dell'anima rappresenta un punto di intersezione tra scienza e spiritualità. Molti scienziati quantistici hanno espresso interesse per l'aspetto metafisico della loro disciplina, cercando un terreno comune con l'approccio spirituale. Questo connubio offre un nuovo orizzonte di possibilità per comprendere l'essenza dell'esistenza umana e del cosmo circostante.
Alla ricerca del terreno comune. L'esplorazione del legame tra la fisica quantistica e la teoria dell'anima non solo ci invita a riflettere sull'aspetto metafisico della realtà, ma anche ad esplorare un terreno comune tra scienza e spiritualità. Molti scienziati quantistici hanno manifestato interesse per l'aspetto spirituale della loro disciplina, spingendosi oltre i confini della scienza tradizionale per cercare una comprensione più olistica dell'universo e della nostra esistenza.
La frontiera dello sconosciuto: la ricerca di un'integrazione tra scienza e spiritualità. La fisica quantistica ha portato alla luce una realtà straordinaria che va oltre le nostre previsioni e concezioni tradizionali. Questo innesca un dibattito e una ricerca per trovare un terreno comune tra scienza e spiritualità. Mentre la scienza esplora i meccanismi e le leggi che governano l'universo, la spiritualità si occupa dell'aspetto più intimo ed esperienziale dell'esistenza umana. L'intersezione tra questi due campi può offrire nuove prospettive e una comprensione più profonda della realtà.
Sincronia e coincidenze significative: l'universo come danza interconnessa. La teoria dell'anima e la fisica quantistica trovano un punto di contatto attraverso il concetto di sincronicità e coincidenze significative. Gli studiosi della spiritualità riconoscono che ci sono momenti nella vita in cui eventi apparentemente casuali si allineano in modo significativo. Nella fisica quantistica, siamo consapevoli dell'entanglement quantistico che collega le particelle e le interferenze che si verificano a livello subatomico. Questa connessione profonda e misteriosa, secondo alcuni, potrebbe alludere all'esistenza di un'energia o un'intelligenza universale che permea tutto ciò che esiste.
La consapevolezza come elemento fondamentale. La ricerca del significato dell'essere. La ricerca del significato dell'essere è un obiettivo condiviso sia tra scienza che spiritualità. Mentre la fisica quantistica esplora la realtà a livello più profondo, si scopre che l'osservatore stesso ha un ruolo attivo nella creazione della realtà. Questo concetto suggerisce che la consapevolezza e l'intenzione dell'osservatore siano parte integrante del processo di manifestazione e co-creazione dell'universo. La spiritualità, d'altra parte, insegna che la consapevolezza dell'individuo è fondamentale per raggiungere uno stato di illuminazione o di connessione con l'essenza divina.
Note bibliografiche. Molti di questi libri sono stati editi anche in lingua italiana.
[1] Capra, F. (1982). "The Tao of Physics: An Exploration of the Parallels between Modern Physics and Eastern Mysticism". Shambhala Publications. [2] Wilber, K. (2000). "A Brief History of Everything". Shambhala Publications. [3] Laszlo, E. (2004). "Science and the Akashic Field: An Integral Theory of Everything". Inner Traditions. [4] Schrödinger, E. (1958). "Mind and Matter: The Tarner Lectures". Cambridge University Press. [5] Greene, B. (2004). "The Fabric of the Cosmos: Space, Time, and the Texture of Reality". Penguin Books. [6] Heisenberg, W. (1958). "Physics and Philosophy: The Revolution in Modern Science". Harper Perennial.
(A cura di Bruno Del Medico, blogger, divulgatore, scrittore.)
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veronica-nardi · 4 years
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The Wolf
“A questo mondo, sono colui che più desiderava che tu vivessi spensierata e che non ti sentissi come un uccello in gabbia. Ma alla fine, sono colui che ti ha costretto a vivere tra le bugie e nell’agonia. Ora, aprirò la gabbia per liberarti.”
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Dopo oltre tre anni da quando è stata girata, a novembre questa serie ha visto finalmente la luce. So che ha avuto non pochi problemi con la censura per via di contenuti violenti, e ci credo: le scene violente in questa serie ci sono, e sembrano come mozzate, perché immagino siano stati costretti a tagliare e rigirare alcune parti.
Ho visto The Wolf solo per Xiao Zhan, lo dico subito.
Aspettavo questa serie e sono contenta che sia uscita, ma quella che sto davvero aspettando e che non vedo l’ora che esca è The Oath of love. USCITE QUESTO DRAMA, MADONNA BENEDETTA IN CARRIOLA.
Un’altra cosa che voglio dire subito è che questo drama non mi ha fatta impazzire, e penso che abbia alcuni problemi, ma è anche vero che a parte The Untamed è il drama migliore di Xiao Zhan tra quelli che ho visto finora (Joy of life, arriverò anche da te). Non che ci voglia molto a essere migliore di quella specie di brutta copia trash di Harry Potter che è stata Super Star Academy.
Un adolescente cresciuto dai lupi e che ha sviluppato sensi acuti e soprannaturali, incontra una donna di nome Ma Zhaixing, figlia adolescente di un funzionario del governo - e il duo stringe una solida amicizia.
Ma Wolf Boy conosce poco le vie della società civile e viene facilmente ingannato dal fratello di Ma Zhaixing facendolo attaccare un potente gruppo di persone che poi gli dà la caccia e lo fa cadere da una scogliera.
Tuttavia, la caduta non uccide il ragazzo ma lo lascia solo gravemente ferito.
Il sovrano dello Yang Chu Kui viene a sapere di Wolf Boy e parte alla ricerca del giovane. Credendo di poter utilizzare i poteri del ragazzo alla fine lo adotta come figlio, mantenendo segreta la sua vera identità.
Cresciuto come essere spietato e ferocemente fedele a Chu Kui, alla fine viene nominato principe reale.
Ma, otto anni dopo la fatidica caduta, il principe si ricongiunge improvvisamente con Ma Zhaixing. Potranno riaffiorare vecchie emozioni o è passato troppo tempo? (Fonte: Viki).
A leggere la trama così, ancor prima di aver visionato il drama, sapevo già cosa poter rispondere all’ultima domanda. La risposta è così scontata.
Già dal riassunto di trama che propone Viki, posso notare un problema: si parla del lead e del suo cambiamento, e della storia d’amore. E basta. Ed è questo che viene mostrato la maggior parte del tempo. Essendo un dramone cinese, sono presenti molti altri personaggi, ma gran parte delle cose che accadono ruotano attorno ai due lead e alla loro storia d’amore. Questo per me è stato un problema.
In The Untamed l’80% del tempo non era concentrato sui due protagonisti e il loro rapporto. La Città di Yi è stata una bellissima e straziante storyline secondaria, ed è solo un esempio.
Più vado avanti e più mi rendo conto che la bellezza completa di The Untamed è qualcosa che difficilmente si riuscirà a raggiungere.
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Immagino che dipenda anche dai gusti, ma quando guardo una serie storica mi aspetto un vivo gioco del trono, e complotti e tradimenti a non finire. Purtroppo in The Wolf questa parte non è stata per me sufficiente. Per non parlare del fatto che ben tre personaggi tentano colpi di stato per rovesciare l’imperatore, e l’unico che ci riesce si tiene il trono per due minuti. Perché se non sei il second lead di Ashes of love NON CE LA PUOI FARE. Pivelli.
La storia d’amore è stata carina ma non è memorabile. Il suo più grande problema è che è un continuo cliché, e soprattutto sono ripetutamente e ostinatamente caduti nel già visto e rivisto - e direi che ha anche rotto - “ti tratto male e ti allontano perché voglio proteggerti.” E’ un espediente narrativo che posso anche accettare, ma non quando si protrae fino al penultimo episodio: a quel punto vi mando a cagare e basta.
Visto che sto accennando agli episodi finali dovrei parlarne nella parte spoiler, ma è qualcosa che ci tengo a dire fin da subito: questi due non hanno MAI imparato a combattere insieme, e come faccio a tifare per una coppia che non fa di tutto per essere una coppia?
Su questo sono alquanto perplessa.
I due lead in sé, invece, mi sono piaciuti. Non che mi abbiano fatta innamorare, ma ho visto di peggio (sì lead di Ashes of love, parlo con te).
Sono dovuta arrivare all’episodio 37 - il migliore della serie a mio parere - per farmi piacere il lead. Prima non mi prendeva, avevo poco da dire ed era fastidiosamente over power. Io capisco che l’essere cresciuto nella natura in mezzo ai lupi lo abbia reso agile fuori dal comune e coi sensi fortemente sviluppati, ma ho visto quest’uomo letteralmente volare da un dirupo di decine di metri. Mydramalist indica questo drama di genere wuxia e fantasy, ma questo mi confonde oltremisura: se così fosse TUTTI i personaggi dovrebbero avere poteri magici.
Il lead mi è piaciuto solamente quando ha mostrato la sua umanità: il suo dualismo interiore tra l’essere l’innocente ragazzo lupo e lo spietato Principe di Bo, la presa di coscienza e la ribellione verso l’imperatore, seguiti da quel bellissimo senso di libertà di poter per la prima volta decidere per la propria vita - qui mi ha fatta piangere. Per tanto tempo ho sentito la mancanza di un suo POV emotivo, ed è stato davvero triste il momento in cui mi sono resa conto che in realtà era l’eroe di questa serie. Un eroe scemo, ma pur sempre un eroe che si mette sulle spalle il peso dei sensi di colpa.
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Carina e piacevole la lead. E’ caduta nel cliché di personaggio femminile un po’ troppo badass per l’epoca, tuttavia non ritengo che il personaggio sia stato rovinato: mi sono piaciuti i suoi sogni di vita matrimoniale con il lead, ho apprezzato vederla cucinare dolcetti per il suo amato, e l’ho anche vista cucire e farsi bella.
Forte e sensibile, tuttavia troppo amichevole con le persone a lei inferiori. Capisco che l’intento fosse quello di rappresentare una protagonista che risultasse simpatica, ma questo l’ho trovato uno sputo in faccia all’epoca storica rappresentata. La cosa che più mi è piaciuta di questa lead è stata la sua intelligenza e capacità di deduzione. E’ stata davvero ammirevole.
Non ho mai visto prima l’attore e l’attrice che hanno interpretato i due lead, ma posso dire che sono stati entrambi molto bravi, non posso lamentarmi. Sono inoltre stupita che nonostante Darren Wang abbia interpretato un personaggio più che altro freddo per la maggior parte del tempo, lui e Li Qin sono riusciti a creare una buona chimica tra i due protagonisti. Soprattutto negli episodi finali sembravano emotivamente presi dalla situazione.
Per quanto riguarda Xiao Zhan, sospettavo che interpretasse il second lead della situazione, e così è stato. Tuttavia devo ammettere che non mi è piaciuto come si sia perdutamente innamorato della lead, perché semplicemente... non si è visto. O sono scema io, o hanno proprio saltato un passaggio. Ma ok, posso passare oltre a questo, perché in generale si è rivelato un ottimo second lead - forse già il migliore dell’anno? - nonché il personaggio migliore della serie.
Sarò anche di parte, ma Ji Chong è stato un personaggio splendido, con una bella costruzione e tanto di background: scaltro, furbo, intelligente, uno che sa cavarsela in ogni situazione e che potrebbe socializzare pure con i sassi per terra; umano e sfaccettato, l’ho rimproverato e ho empatizzato per lui. Questi sono i personaggi che mi piacciono: quelli con cui provo simpatia e con cui posso arrabbiarmi perché umani.
E Ji Chong è pervaso per tutto il tempo da questa aria e modi di fare fottutamente adorabili a cui solo Xiao Zhan può dare vita.
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Sulla sua recitazione non ho assolutamente nulla da dire. Anzi mi ha stupita. Perché mi sono ricordata che quando ha girato aveva ancora venticinque anni e... wow. Penso che nella seconda parte della serie abbia dato il meglio di sé. Sapevo già quanto fosse bravo, ma sono lo stesso rimasta stupita di fronte alla sua straordinaria capacità di immedesimarsi in un personaggio, tanto da farmi dimenticare che sta recitando. E come non lodare la sua espressività? Qualcosa che mi ha fatta innamorare di lui fin dall’inizio.
Xiao è bravo, versatile, espressivo, camaleontico, si impegna e lavora sodo. Il mio sogno è vederlo nei panni di un villain. Lui stesso ha detto che gli piacerebbe. TI PREGO FALLO.
Mi sono anche ricordata di aver letto una sua intervista in cui dichiarava di aver capito cosa vuol dire essere davvero un attore proprio sul set di The Wolf, e che ha anche dovuto allenarsi un sacco. E da certe scene che ho visto, ci credo eccome.
Ultima cosa: so che esiste la ship Yizhan e che molte fan lo shippano con Wang Yibo nella vita reale, assumendo quindi la sua omosessualità. Non so quale sia la verità, ma so che in questa serie ho visto Xiao guardare la lead con un profondo sguardo d’amore e un disperato desiderio di essere amato. Ha superato le mie aspettative.
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Strano ma vero, in questo drama ci sono state due second lead, anche se quella vera alla fine è stata solo Yao Ji. Anche lei un’ottima second lead, devo dirlo: sembra una strega cattiva all’inizio, per poi mettere tutto in gioco per il suo amato, rivelando di amarlo davvero e di tenere alla sua felicità. Peccato che non sia stato un personaggio approfondito e sviluppato come Ji Chong.
Ma la mia Queen della serie è stata la principessa Bao Na. Capricciosa, esuberante, viziata, infantile, impulsiva ma ha anche dei difetti, ma anche leale, di buon cuore, coraggiosa, determinata, una vera amica. Mi è piaciuta un sacco.
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Tra i personaggi secondari quelli che mi sono piaciuti di più sono stati il Quarto Principe, per la schiettezza giovanile e il modo coerente in cui reagiva di fronte alle cose, e il Re del Jin: severo, giusto, accorto e compassionevole, per me rappresenta il profilo di re ideale.
Abbastanza deludenti invece i Demoni della Notte, il trio dell’Ave Maria team del protagonista. Sul loro passato non si sa praticamente niente, non ci viene raccontato come si è creato un tale rapporto di lealtà con il lead, e fanno soprattutto da contorno. Riponevo grandi speranze in loro, davvero un peccato.
Il villain principale è stato l’imperatore dello Yang, e non mi è piaciuto molto. L’ho trovato poco strutturato, però mi è piaciuto che non fosse uno stupido. Non male il Secondo Principe, anche se alla fine risulta un po’ ridicolo.
Buoni gli effetti speciali e anche i costumi.
Mi è piaciuta la bromance inaspettata che si viene a creare a un certo punto, ma quest'anno sto ancora aspettando quel tipo di bromance che ti fa battere e bruciare il cuore.
Stupenda la colonna sonora. Mi sono scaricata tre ost che sono da mozzare il fiato, e anche se non è tra le mie preferite - non amo il rap, ma ammetto che è stata una cosa particolare - devo citare anche Who am I?, ost principale del drama e che accompagna la sigla di apertura.
In generale The Wolf è stato un drama godibile, che ha toccato i punti più alti nella seconda parte. L’ho visto volentieri, ma l’avrei gestito in maniera un po’ diversa su alcune cose.
Voto: 7.5
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La frase che ho usato come sottotesto per questo commento potrebbe sembrare che sia stata pronunciata dal lead, e invece no! Quelle parole sono uscite dalla bocca di Ji Chong, un vero signore e che sa come si ama davvero una persona. Avevo pensato di usare come sottotesto una frase del lead che mi ha commosso - episodio 37 - ma visto come mi abbia fatta arrabbiare fino quasi alla fine, l'ho mandato a cagare. Fatemi causa.
Io al lead ho cercato di volergli bene, e per un po’ gliene ho voluto davvero, ma quando l’ho visto tentare di allontanare la lead per continuare a lottare da solo fino al penultimo episodio, allora l’ho mandato a quel paese. No comment per la lead che sembra la più investita in questa storia d’amore e alla fine va a suicidarsi alla capitale tenendo all’oscuro il suo amato. Mai vista una coppia che fino all’ultimo non impara a combattere insieme.
Finale inutilmente tragico. Ma capisco perché l’abbiano fatto: con il lead già con un piede nella fossa da diverso tempo, hanno fatto morire anche lei perché tanto non si sarebbe mai sposata con nessun altro per tutta la vita, e in quanto Principessa sarebbe stato irrealistico. Hanno preferito tirare su un finale tragico romantico facendoci intuire che staranno insieme a guardare le farfalle nella prossima vita.
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Xiao personaggio inutile sul finale. Ammettiamolo: quel piano di andare alla capitale per salvare il Quarto Principe l’hanno fatto solo per poter girare la scena straziante davanti alla morte della lead.
Io ho una richiesta e una sfida: per una volta vorrei vedere un personaggio di un drama che non abbia alle spalle una qualche tragedia e la famiglia mezza morta o disagiata, ma che risulti lo stesso interessante e sfaccettato.
Il lead si ostina a voler lottare da solo e vuole espiare i suoi peccati con la morte, Ji Chong è in cerca di amore nonostante i suoi errori e cerca di fare ammenda tutti i giorni della sua vita per anni: la differenza tra un eroe tragico palesemente finto e un personaggio che risulta un essere umano credibile.
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La paura di Ji Chong che le persone intorno a lui soffrano a causa sua è la cosa più adorabile della serie.
La reale identità della lead figlia della principessa di stocazzo, è stato solo un banale cliché completamente inutile ai fini della trama.
Ma Ji Chong che all’inizio faceva comunella col Secondo Principe, che cosa voleva fare? Non l’ho mai capito.
Se nel quiz di fine anno dovesse esserci la domanda sulla storia d’amore secondaria più bella, probabilmente Ji Chong e Bao Na si porteranno a casa la vittoria. Ho adorato la loro partenza finale per andare a girare il mondo. Peccato che questa ship abbia avuto pochissimo spazio, e questo è un problema della serie: tanto tempo per raccontare i due lead, poco tempo per tutto il resto, tanto che alcune dinamiche sono sembrate frettolose. Ora ESIGO uno spin off sul vagabondaggio di questi due cazzoni in giro per il mondo. #esigolospinoff
Alla parola “divorzio” ho abbandonato la serie e ho visto gli episodi finali solo perché ormai ero lì.
Come abbia fatto la lead a condividere il letto con Xiao e NON FARE NULLA rimane il più grande mistero di questa serie.
Personaggio più tenero dell’anno a Ji Chong per il modo in cui ha cercato di far funzionare le cose con la lead e il suo sguardo da cucciolo deluso e abbandonato di fronte all’intesa dei due protagonisti.
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dilebe06 · 4 years
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Drunken to love you
“ Un matrimonio senza vino è come ballare senza mostrare il culo.”
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Una delle sacre regole imposte da mamma e papà sin da giovani è quella di non andare a bere con gli sconosciuti. Infatti è un attimo che ti ritrovi la mattina dopo rapinata, a 100 km da casa tua con un mal di testa atroce, brutta e sfatta, con vuoti di memoria assurdi e senza la minima idea di cosa sia successo la sera prima. 
Oppure, come ci insegna questo drama, ma è un drama e quindi PURA FANTASIA è un attimo che dopo aver bevuto l’intera cisterna d’alcool di Taipei, ti ritrovi sposata con un tizio di cui non sai manco il nome. 😐
La pura fantasia è che il tizio è quel gran figo di Joseph Cheng. Nella realtà lo sposo sarebbe probabilmente il il barista o il più cesso del locale.
Questo è esattamente l’incipit del drama: Lin Xiao Ru è una ragazza solare, caotica, sbadata e ottimista che lavora in un hotel. Innamorata del suo ragazzo che fa il pilota, sogna di metter su famiglia con lui. Ed il desiderio sembra avverarsi quando il ragazzo le dice che la porterà a Las Vegas per sposarla e coronare il loro sogno d’amore.
[NOTA A MARGINE] Xiao Ru è così contenta della cosa che si porta in valigia non 1, non 2 ma 24 preservativi per 2 settimane. Fate voi i conti che poi tiriamo le somme. [FINE NOTA] 
Tuttavia il dramma è dietro l’angolo e il giorno della partenza non solo il fidanzato parte senza di lei, ma la lascia in lacrime e devastata dicendole che “qualcun’altro ha bisogno di lui.” 
Nello stesso momento Song Jie Xiu, è in ginocchio di fronte alla sua fidanzata storica - la top model Tang Ai Wei - per chiederle dopo anni di relazione segreta, di iniziare una vita insieme alla luce del sole. Sole, che la donna spegne subito rifiutando la proposta e mettendo in chiaro che il suo lavoro è più importante della relazione con l’uomo.
Così i due rifiutati si incontrano al bar e tra una chiacchiera di disperazione su quanto siano stronzi i loro fidanzati e più di una bottiglia di alcool, sfogano il loro dolore tra risate e devastazione. 
(Non sono sicura ma sembra che questi passino o una nottata intera a bere o addirittura un giorno intero. Non ho idea di come non siano andati in coma etilico.) 😳
La mattina dopo - perchè il sole sorge sempre alla fine e tutti i guai vengono alla luce - Jie Xiu si risveglia a casa sua con vestiti di donna sparsi per casa e l’anello della proposta sparito. Xiao Ru invece si ritrova in ospedale con una fasciatura alla gamba e un anello con diamante grosso quanto il Mozambico al dito.
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L’aggiunta dell’infermiera che gli dice che è arrivata al pronto soccorso puzzando di alcool come una distilleria mentre il marito picchiava il dottore perchè lei non voleva farsi la puntura e quello insisteva...è un tocco di classe. 😂
Dalla trama si intuisce bene che razza di drama sia: una commedia romantica spiritosa e divertente. E devo dire che rispetta fedelmente questi canoni perchè mi sono fatta delle grosse e grasse risate molte volte. Ho dovuto mettere in pausa per riprendere fiato.
Drunken è una serie leggera e dolce - lo zucchero e tutto il miele che mi sono sorbita mi farà venire il diabete sicuro - che non ha di certo una scrittura perfetta, un bel pò di difettucci, ma si difende bene. 
Inoltre non è una serie stupida. Accanto alle risate c’è spazio per riflessioni sulle relazioni, l’abbandono, il desiderio di stabilità, il matrimonio. Non sono temi buttati a caso ma questioni che Drunken si offre di esplorare e sviluppare. E devo dire che sono rimasta soddisfatta da gran parte di questo lavoro.
Credo comunque che il merito più grande vada ai due protagonisti visto che Rainie e Joseph hanno un ottima chimica e riescono a convincerti solo guardandosi. 😍 Inoltre una grande mano l’ha data anche la scrittura dei personaggi e della loro relazione: se Xiao Ru è un personaggio solare, ottimista, disordinata e spesso pazza, lui è molte volte la voce della ragione. Jie Xiu è perfettino, ordinato, quasi maniacale e spesso soggetto all’irascibilità. La sua interazione con un personaggio come la lead è spesso esilarante. 
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Tuttavia mentre ho adorato il personaggio del lead - sopratutto grazie all’ottima interpretazione di Joseph - la stessa cosa non posso dire di lei. Purtroppo non amo tantissimo i personaggi come la lead e ad un certo punto della storia l’ho proprio odiata.
La serie è piena di altri personaggi ma voglio fare due menzioni speciali: la prima è Tang Ai Wei, la top model. Nonostante inizialmente non mi piacesse, andando avanti con gli episodi l’ho trovata molto più simpatica e umana della lead. L’altra è Samantha che non posso dire chi è per non spoilerare, ma che voglio come mia Guru personale di vita. Ho amato questa donna e l’ho ammirata tanto.😍
Essendo un drama taiwanese, purtroppo soffre della presenza dei cosiddetti momenti comici caricati o della presenza di personaggi comici in situazioni completamente fuori luogo che dovrebbero far ridere, ma a me imbarazzano e basta....fortunamente esiste il tasto “skip 10 secondi” e passa la paura! 
In realtà la serie ha un altro problema più grave: l’audio. 
Ho seriamente pensato che oltre ai due lead ad aver esagerato con gli alcolici siano stati anche i lavoratori all’audio del drama: altrimenti non capisco come non si siano accorti di non aver cancellato i rumori di sottofondo quando la gente parla. Interi dialoghi tra i due lead frammentati da questo brusio di macchine che passano...treni che partono...bambini che urlano...signore che chiacchierano... un delirio. 
Nonostante queste difficoltà la serie scorre bene ed in un modo molto piacevole e divertente. Non ho sentito la pesantezza degli episodi - 18 episodi da 1 ora e 14 minuti a botta - e mi sono svagata tra risate e romanticismo. 😍
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Lo sviluppo della storia è interessante e coinvolgente, nulla di eclatante chiariamoci, ma ha saputo tenermi incollata allo schermo Joseph mi ha tenuta incollata diciamoci la verità , tra momenti adorabili e un sacco di roba cliché ma fatta bene. Semmai alcune volte certi personaggi avevano delle motivazioni per fare determinate azioni che davvero non ho capito. 😶
Infine le musiche: alcune ripetute ma tutto sommato erano orecchiabili e adatte alla situazione presente su schermo. 
VOTO: 7.7
Il dramma più grosso è il sapere che Song Jie Xiu non esiste e che se anche esistesse non mi calcolerebbe di pezza e non mi parlerebbe o guarderebbe come fa con la lead. #ahimè
Perchè si, il lead inanella una quantità esorbitante di flirt selvaggio e tensione sessuale ed è stato frustrante da morire vedere la lead rifiutare le sue avances...per non far soffrire la ex fidanzata di lui.
 La ex fidanzata di lui, ripeto. 😐
Xiao Ru infatti soffre della sindrome della santità, ossia quella bruttissima malattia presente nelle lead di svariati drama, di mettere la felicità di altri - anche conosciuti da poco - sopra alla loro e al ragazzo che amano. E così mentre il lead lascia la sua ex promettendo eterno amore alla lead, la lead rifiuta qualsiasi interazione romantica per non far soffrire la di lui ex. 
Non solo. Xiao Ru è così buona che perdona tutti. Dalla direttrice dell’hotel che ha quasi ammazzato sua suocera, alla donna che gli ha rubato il fidanzato pilota. Un concentrato di bontà e irrealisticità che purtroppo a me non piace... sono sempre convinta che ci voglia un pò di sano egoismo della vita. Non di essere degli stronzi patologici per carità, ma arrivare a fare l’amicona con la tizia rimasta incinta del tuo fidanzato...mi pare esagerato. 😐
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Ecco perchè Tang Ai Wei alla fine mi è piaciuta di più e trovo che abbia avuto anche un’evoluzione più soddisfacente: è un personaggio umano, realistico nella sua gelosia e ossessione per il lead. Nel suo egoismo, nei suoi dubbi, incertezze ed errori. 
Un grande spazio viene dato inoltre al rapporto tra il lead e sua madre, la grande Samantha che ho amato un sacco. Oltre a farmi morire dalle risate il fatto che ‘ sta madre avesse una vita così intensa e che il figlio passasse la vita a rimediare ai suoi errori, ho adorato anche come la serie abbia gestito il tutto, prendendosi tempo e scene. 😍 
Come mi è piaciuto anche il tempo che hanno dedicato alla vita della lead all’orfanotrofio per spiegare certi suoi atteggiamenti o la sua storia. Potevano dire che era orfana e cresciuta da sola e stop...ed invece hanno ampliato questa parte. 
NOTE SPARSE:
- il fatto che al loro secondo matrimonio fossero vietati gli alcolici mi ha fatto crepare dal ridere. Non tanto come il prete che durante la cerimonia dice:-” siamo qui riuniti per celebrare il matrimonio tra due giovani sobri...[....] 😂
- ho amato tutte le battutine a sfondo sessuale che la serie mi ha regalato. 
- il personaggio del giornalista dovrebbe essere ammesso tra “ le persone moleste” e bandito da qualsiasi drama. 
- la parte finale della serie, dove la lead ritrova la madre è stato un pò un meh...insomma si capiva chi era da episodi ed episodi e dato il poco spazio riservato al suo ruolo, mi è sembrato più un modo che chiudere tutte le sotto trame che una cosa seria. 
- ammetto che ad una certa ho iniziato a shippare pure il second lead. Ok Joseph è Joseph...ma pure il second lead era tanto carino e adorabile. E faceva tenerezza. 
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liviaserpieri · 5 years
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“strano che le ragazze brune e ossute abbiano  tutte lo stesso odore, di foglia bruciata, che filtra attraverso qualunque profumo usino”
l’umidità azzurrina di un burrone, una rimembranza d’amore, camuffata da prato, esili nuvole...levrieri celesti
“Indietro nel tempo, indietro nel passato, come facevo ogni volta che la vedevo, ripetendo per intero la trama che si era andata accomulando dall’ inizio fino all’ ultima aggiunta- è così che nelle favole russe ciò che è già stato raccontato si riassume daccapo a ogni nuovo sviluppo della storia. Questa volta ci eravamo incontrati in una Fial’ta calda e brumosa, e non avrei potuto festeggiare in modo migliore l’occasione, né ornare con descrizioni più vivide l’elenco dei precedenti favori del destino, neanche se avessi saputo che quell’ incontro sarebbe stato l’ultimo, lo ripeto, perché non so immaginare nessun intermediario celeste che accetti di combinare un appuntamento con lei nell’ oltretomba.”
“...dopo avermi guardato socchiudendo gli occhi e avere sentito il mio nome, si tolse di bocca il bocchino lunghissimo e lentamente, gioiosamente proferì:”Ma guarda un po’ chi si vede...” e subito fu palese a tutti, compresa lei stessa, che tempo addietro i nostri rapporti erano stati intimi: era indubbio che aveva dimenticato il bacio vero e proprio, però quel fatto insignificante le richiamava alla memoria, in modo nebuloso, il vago abbozzo  di un’ amicizia calda, piacevole che in realtà non era mai esistita fra noi. Pertanto la struttura della nostra relazione si basava in modo fraudolento su rapporti amichevoli immaginari che nulla avevano a che fare con l’accidentale cordialità di Nina. L’ incontro fu piuttosto insignificante dal punto di vista delle parole che pronunciammo, ma già non esistevano più barriere tra di noi; e quella sera, seduto per caso accanto a lei a cena, impudentemente saggiai la portata delle sua segreta pazienza.”
“E non dimenticherò mai la prima notte che passai lì: come rimasi in attesa, come fossi sicuro che senza doverle dire niente lei sarebbe venuta furtivamente nella mia camera, come non venne, e lo strepito di migliaia di grilli nella delirante profondità del giardino roccioso intriso di chiarore lunare, e come mi dibattei fra la deliziosa spossatezza meridionale che coglie dopo una lunga giornata di caccia sui pendii sassosi e il desiderio sfrenato della sua venuta furtiva, della risata sommessa...”
Primavera e Fial’ta, in Una bellezza russa (V. Nabokov)
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klimt7 · 5 years
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AUGURI !!
[ E AUGURI AL GURU ]
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Esistono esercizi per imparare a contemplare il mondo come fosse un’opera d’arte?  Io credo di sì.
Il video che segue, mi sembra proprio questo.
Con lo sguardo che si lascia andare alle immagini che scorrono, fino a sciogliersi, fino a fondersi con la loro Bellezza magnetica. E’ quasi una disciplina per lo sguardo e la mente. Avvicinarsi alla realtà, non tanto con la Ragione, piuttosto, tramite l’empatia, la partecipazione emotiva,  l’intuizione, il nostro sentire. Fino a riuscire a scorgere oltre la superficie mutevole delle cose, il nucleo, il vero messaggio che è in loro racchiuso. Fino a vedere come noi stessi apparteniamo alla medesima tela, all'identica trama che regge e compone il dipinto che è il mondo.
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Altri esercizi che conosco per entrare in contatto con la Bellezza, sono l’andare in montagna, il camminare sulle cime oppure il mistero del Mare: il farsi catturare dalla potenza ipnotica e misteriosa del movimento del mare, oppure, ancora, l'immergersi dentro le onde e vibrazioni della Musica.
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Ciò che accomuna tutte queste situazioni, è il riuscire a mutare pian piano il nostro modo di guardare, la nostra percezione, la nostra attenzione, il nostro modo di prestare ascolto a ciò che è fuori di noi… facendo affiorare una sorta di devozione, di struggente gratitudine verso ciò che ci raggiunge, verso la Realtà, fino a contemplarla come pura emozione, con un coinvolgimento totale, come dentro una sindrome di Stendhal generalizzata. Perché è solo in questo stato che riusciamo a vedere tutto quanto ci sta intorno, come un autentico dono, un qualcosa a nostra disposizione. Fatto apposta per noi.
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Attraverso questi "esercizi", tramite queste occasioni che ci si presentano, se anche un giorno non ci saranno nè il mare, nè le montagne, nè la musica di fronte, ognuno di noi, potrà contare sul proprio sguardo allenato alla poesia che abita il mondo, anche quella più umile, più segreta, infinitesimale. Ed è lì dentro, che per davvero, si annida il vero senso della Festa, quella non detta, ma pienamente vissuta.
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E’ questo il dono, per chi passerà di qui.
Quello che spero di riuscire a far intravedere con il piccolo esperimento di questo video. 
E solo un piccolo dono, perché un altro, molto più grande, possa raggiungerci...
E’ il mio Augurio. Perchè ognuno possa avvicinarsi al proprio Guru, al proprio Maestro interiore, che è nascosto dentro ogni persona.
E non è un Augurio valido soltanto per il giorno di Capodanno.
Vale ogni giorno. Vale per sempre!
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Ecco il video
e l'esercizio! 😂 :
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youtube
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I miei Auguri
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Buon 2020 !
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weirdesplinder · 5 years
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Il mio libro prefrito del 2019
Quale è stato il libro più bello che ho letto nel 2019? Ebbene è stato un libro che mi ha colto di sorpresa... non pensavo mi sarebbe piaciuto, ma la trama mi attirava perchè aveva a che fare con le confraternite universitarie americane , il che mi ricordava alcuni film ambientati appunto nelle università americane che qualche anno fa andavano tanto di moda, e a questo univa poi l’elemento paranormal...perciò l’ho letto e piano piano me ne sono innamorata.
Il libro in questione è NINTH HOUSE di Leigh Bardugo, autrice famosa per la trilogia fantasy Shadow and bone (da noi in Italia intitolato Tenebre e ghiaccio) che qui si cimenta con un urban fantasy che ha riscosso un enorme successo, basti dire che il libro ha vinto i Goodreads choice award della categoria fantasy.
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Di cosa parla?
Trama: Galaxy “Alex” Stern si ritrova a Yale in circostanze più che anormali. Dato il suo...orribile passato non avrebbe mai pensato che sarebbe potuta entrare in quel’università, ma è stata scelta per far parte di una ‘associazione segreta’ che ha il compito di controllare che le confraternite (club privati degli studenti) non combinino casini. Ma perchè è stata scelta? Perchè Alex da sempre vede i fantasmi e questa sua caratteristica è molto rara e importante per l’associazione, poichè le confraternite praticano vera magia in segreto, perciò l’associazione stessa deve usarla per impedire che gli studenti uccidano accidentalmente qualcuno durante i loro riti. Ora la magia si può studiare e imparare ma è molto difficile, mentre il potere di Alex è naturale e particolamente datto al compito che le hanno assegnato poichè uno dei pericoli in cui incorrono gli studenti durante i loro riti è attorare i fantasmi...e caderne vittima o renderli potenti e in grado di creare casini o peggio....perciò occorre qualcuno che renda sicuro dai fantasmi i luoghi dei loro riti. Anche perchè la gente ‘normale’ non sa che la magia esiste e questi priviligiati vogliono che le cose restino così. Visto che i loro riti servono a renderli ricchi e famosi ...
Alex viene perciò assoldata dall’associazione che ripulisce il suo passato, le da dei soldi, la fa entrare all’università e le fornisce anche un mentore che inizia ad insegnarle i suoi compiti, Daniel, che tra l’altro è pure un bel ragazzo, seppure un poco rigido....ma non è tutto rose e viole. Le otto confraternite fanno riti...che dire macabri o pericolosi è dire poco: una studia mutaformismo, una la metereologia, una i portali dimensionali, una il futuro tramite un aruspice che lo legge nelle viscere di un malcapitato malasto mentale che poi (ora che esistono delle regole e una associazione che le fa rispettare) sarà ricucito e riportato dove è stato trovato, una studia la magia oratoria, una la magia dell’illusione ecc...In diversi casi il sangue scorre durante i riti e dire che Alex ha spesso la nausea è dire poco, ma in confronto alla sua vita di prima ora sta alla grande almeno finchè non accaono due cose: Daniel scompare inghiottito da una specie di portale magico e una ragazza viene uccisa per strada in una delle notti dedicate ai riti delle confraternite.
Tutti dicono ad Alex di lasciare perdere ma lei sente che quell’omicidio è collegato alle confraterbite e un’attentato alla sua stessa vita glielo prova. E anche se sola e impreparata decide di richiare il tutto per tutto e indagare perchè almeno una volta nella sua vita vuole riuscire a salvare qualcuno. Ha fallito con la sua migliore amica, ha fallito con Daniel, ma almeno vuole fare giustizia per quella povera ragazza che non meritava di morire così.
Questa in soldoni è la trama del libro senza spoiler, capisco che non vi dica molto ma non voglio essere più precisa per non rovinarvi la sopresa. Il libro al  momento non è stato pubblicato in italiano, ma lo sarà visto che le altre serie della Bardugo lo sono state.
Se però non temete dei lievissimi (promesso) spoiler continuate a leggere i motivi per cui il libro mi è piaciuto tanto.
1. Al contrario delle altre serie dell’autrice non è un fantasy ma un urban fantasy, è ambientato nel nostro mondo e anche se i protagonisti sono ventenni è un libro per adulti e l’ambientazione universitaria è veramente molto ben costruita e interessante mi ha ricordato tanti film americani ma con un twist paranormale. Adoro. Se come me siete figli degli anni ottanta secondo me non potrete non amarla.
2. Mi ha ricordato in alcuni punti il primo libro della serie Fever di Karen Marie Moning (se non la conoscete ne ho parlato a questo link: https://weirdesplinder.tumblr.com/post/138602217768/le-difficili-decisioni-di-una-lettrice-compulsiva) una delle serie che più ho amato, in particolare i primi libri. Il rapporto tra Alex e Daniel, mi ha ricordato quello tra Mac e Barrons. Non so bene perchè, visto che sono personaggi molto diversi, ma nel loro interagire, nel fatto che l’attrazione c’è ma non viene ammessa, che uno deve insegnare all’altro, ma il più potente è lo studente e nel fatto che entrambi non conoscono realmente l’altro....insomma a me hanno ricordato loro, perciò ADORO.
3. Daniel nel primo libro è poco presente quasi secondario, ma la sua assenza è molto importante e formativa per Alex che quindi brilla da sola e cresce da sola seppur ispirata da Daniel. E questo la rende un personaggio femminile particolarmente indipendente e forte che nel libro sovrasta i prsonaggi maschili, ma nel modo giusto...non so come spiegarlo...non è semplicemente che li sovrasta perchè è più intelligente o più potente, li supera perchè pur con tutti i suoi difetti non cede e persegue sulla sua strada. Commette errori sbaglia, ma cerca di fare la cosa giusta a scapito di se stessa. Mi ha ricordato Mercy (personaggio della serie Marcy Thompson di Patrica Briggs) a tratti, che come lei vede i fantasmi e lotta contro cose più forti di lei che lei stessa non capisce ma non per questo molla, nonostante tutti gli orrori che ha subito.
4. La costruzione del libro lo rende più bello di quello che sarebbe in realtà. Il ibro non è del tutto lineare da un punto di vista cronologico. Parte dalla fine (o meglio dalla quasi fine) e poi torna indietro al passato più prossimo (dopo la scomparsa di Daniel) per farci vvere con laex le indagini sullìomicidio della rgazza, con delle incursioni nel passato più remoto, tipo flashback che però sono interi capitoli, prima della scomparsa di Daniel che quindi ce lo fanno conoscere e ci fanno vedere il rapporto tra lui e Alex dal punto di vista di dnaiel. Ora detto così potrà sembrarvi che questo andare vanti e indietro renda difficile la lettura e forse per i primi tre quattro capitoli è così, ma poi tutto fila e questi salti la leggono ancora più avvincente. E se lo dico io che odio le trame non cronologicamente lineari potete credermi.
5. Non solo la costruzione del libro è molto affscinante e intrigante, ma anche come è stato presentao il potere di Alex lo è. Ora quante serie sono state scritte con protagonitsi che vedono i fantasmi? Tantissime credetemi, è un potere che nel genere urban fantasy è stato molto sfruttato e non è che Alex ne abbia una versione diversa dal solito, no è come Melinda di Ghostwhisperer (senza il fatto di guidarli verso la luce) o come Manfred di Midnight city di Charlaine Harris  e non è l’unica ad averlo (nel libro si vedrà) ma....l’autrice presenta il suo potere in molto molto forte e violento molto dark. Alex li vede da sempre i fantasmi, e questo ha rovinato la sua vita. Lei sa quanto possono essere pericolosi e non aveva armi contro di loro finchè l’associazione non le ha insegnato alcuni trucchetti...e le ha detto che l’ha tenuta d’occhio per anni dopo una segnalazione ai servizi sociali che li ha fatti sospettare che le sue allucinazioni fossero in realtà reali....e come credete che ciò l’abbia fatta sentire? grata? Certo che no. Furiosa. Perchè se l’associazione si fosse mossa invece di limitarsi a guardare, forse non avrebbe subito tutto ciò che ha subito per anni.... se avesse avuto prima quelle armi....Alex è una vittima, così ci viene presentata, vittima dei suoi poteri, del sistema, di persone troppo importanti per scomodarsi per lei prima che potesse tornare utile e poi vittima di sé stessa.
Ma questa vittima nel corso del libro capirà il suo valore, capirà dove vuole stare e come vuole vivere e finalmente lotterà per ottenerlo.
L’autrice costruendo così Alex ha dato tutto un altro significato al libro, che sì è un’indagine gialla per niente scontata (fino all’ultimo io avevo intuito chi fosse il colpevole ma non capivo comunque il perchè...e scoprirlo è stato un gran colpo di scena) e un urban fantasy con la magia e i fantasmi, ma in realtà è una storia di vendetta, rivalsa e giustizia, è la storia della maturazione di Alex.
Il libro è il primo della serie, e immagino nel secondo ci concentreremo invece su Daniel, visto che anche lui è un personaggio interessantissimo...peccato che il seguito uscirà nel 2021. Spero la data di uscita sia anticipata perchè io non posso aspettare due anni per il seguito giuro non posso. Anche se comunque questo libro ha una sua conclusione, sono troppo curiosa sul destino di Daniel..
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anybodybutlebron · 5 years
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Cari compagni proprietari, una nuova stagione si sta schiudendo avanti a noi, ma quale nuova annata sarebbe senza il power ranking di benvenuto? Si, certo, avete visto quello di Mario, avete sentito parlare di quello di Ale (mai pervenuto), ma siamo sinceri, è questo il solo e l’unico che attendevate con ansia, e quindi ecco la risposta ai vostri desideri più incofessati, che come la rete nella notte del draft arriva all’ultimo istante così da essere ancora più anelato.
1. TEAM GUARNERI: 2013, e ho detto tutto, è da 6 anni che Giuseppe non vince, ormai è l’unico campione a non essersi ripetuto, tanto che in molti si domandano se non sia stato più il caso che altro nella notte dei tempi a portarlo al trionfo. Quest’anno Giuseppe non si è presentato alla notte del draft (come successe nel 2013), si dice perché altrimenti avrebbe dovuto noleggiare un camion per trasportare tutto il materiale consultabile, e questo spiega anche perché si sia preso tutti i 120 secondi per ogni singola presa. Non ci sono punti deboli e la panchina è la più profonda, è l’anno del riscatto per il venerabile maestro?
2. FRANCOFORTE LINCI: Primo nel power ranking dell’anno scorso ed in quello di 3 anni fa, Daniele porta sempre a casa un draft solido, ma a fine anno i risultati non riflettono le aspettative; non fraintendete, siamo di fronte ad uno dei proprietari più competitivi: la seconda media vittoria più alta e due regular season vinte, ma solo un terzo posto come risultato migliore. CP3 a OKC e Beal a Washington predicano nel deserto ed in logica fantasy questo non è necessariamente un male.
3. CREMONA 3TITANS: Mario arriva da una stagione difficile: partito con un draft sospetto ha sistemato il roster con 37 mosse di mercato (record della stagione passata), giunto ai playoff (unico proprietario a non averli mai mancati) è uscito al primo turno in modo anacronistico. Nessuno più di lui è capace di rimestare nel torbido dei bassifondi per trovare le gemme nascoste e con il passaggio a 14 squadre questo talento diventa un super potere. Dalla sconfitta all’ultimo canestro contro Giacomo di 3 anni fa non si è ancora ripreso pienamente; quest’anno può contare su un gruppo di guardie con molti punti nella mani ma sembra un po’ leggerino sotto canestro.
4. BEOGRAD JUGOSLAVIA: L’annata del matrimonio è sempre difficile per tutti, è complesso coniugare bomboniere e palle rubate; il draft di quest’anno è molto più imponente con tanti ma tanti chili a rimbalzo e nonostante il peso ridotto delle stoppate i centimetri hanno storicamente innalzato le nostre franchigie alla meta dei playoff. Le spalle di PG13 sono la grande incognita mentre lo spogliatoio di Boston detossificato da Kyrie dovrebbe garantire a Kemba la solita stagione iperproduttiva.
5. DARK SIDE: Stefano agisce nell’ombra da tanti anni, ha visto i suoi sforzi sprecati dalle scelte scombinate del compagno di professione, ma ora è giunto il suo momento di brillare nella luce della ribalta. Ci piace il suo gruppo in cui in tanti sanno fare tanto, ed anche nelle notti in cui il tiro sarà un po’ fuori fase potranno contribuire nelle altre categorie. Certo Kanter non è detto che arrivi a fine stagione, Porter Jr non ne ha ancora iniziata una, e molti dovranno ambientarsi in nuove realtà ma le triple doppie di Westbrook sono come la morte e le tasse.
6. LAGUN ARO MARISCOS: Ale ha lottato per 4 anni per giungere ai playoff, poi si è ripetuto in back to back ma gli manca ancora quell’elusiva prima vittoria. De’Aaron in tutte le guide per il draft era il giocatore “da prendere” ma il suo compagno di backcourt Donovan Mitchell dopo aver spezzato il cuore del commissioner si è prodigato in un mondiale storicamente deludente. Anthony Davis ha dimostrato negli anni di valer per tre, quattro anche cinque giocatori ma poi non lo abbiamo visto in campo per lunghi mesi, lo scorso anno si è vigliaccamente riposato per cui parte fresco ma ormai sappiamo che la lebronite ha azzoppato le statistiche di innumerevoli compagni.
7. G FORCE: Dario è stato in fuga per tutta la prima parte del campionato, ha iniziato a gozzovigliare ed è arrivato bolso alla fine mancando clamorosamente la finale. Ci riprova quest’anno con tanti giocatori dal nome poco sexy ma molto abili a fare quello che devono fare. Drummond e Gobert metterebbero paura a chiunque, Rozier è chiamato ad onorare un contratto per molti insensato e LeVert deve provare ad una squadra praticamente nuova che l’infortunio è ormai cosa vecchia.
8. CREMONA BIG CREAMERS: Lore ha studiato per giorni e giorni prima del draft ed i risultati si vedono, Lamb è stata la sorpresa fantasy della scorsa stagione ed ha permesso a Giak di alzare la coppa, Lillard domina da anni la regular season e se non fosse al confino in terra di Portland non sarebbe costretto a vergognarsi di pubblicità discutibili ma sarebbe il volto della NBA e Draymond Green può finalmente smettere di essere la brutta copia del vaso di coccio Bosh schiacciato tra i vasi d’acciaio della Miami di Lebron e tornare a macinare triple doppie.
9. NORTH LONDON BULLS: Il draft di Maffo è ovviamente influenzato dall’entità dell’infortunio di Zion che fino ad ora si è dimostrato sospettosamente delicato nonostante la stazza ercolinea, purtroppo al fantasy non vanno bene campioni trattati con i guanti bianchi, servono onesti lavoratori che ogni sera timbrano il cartellino, detto questo il commissioner è segretamente innamorato di Zion per cui promuoviamo comunque la scelta purtroppo sfortunata (il record del commissioner non è particolarmente di buon auspicio). Tante novità impattano i giocatori di Maffo che potrebbe avere un inizio di stagione complicato: Conley deve abituarsi al deciso cambio d’aria dopo tanti anni di Memphis che nel frattempo ha accolto Valanciunas, Brook Lopez si è reinventato sharpshooter ed Ibaka deve scoprire la vita senza Kawhi ma crediamo che a regime il nostro rookie potrà togliersi molte soddisfazioni.
10. READY FOR GO HOME: Che anno sarebbe se il dottore non partisse fuori dalla zona playoff? Tanto lo sappiamo che come ogni volta assisteremo alla stessa trama: un inizio di campionato da incubo seguito dall’interminabile sequela di infortuni seguita da una sfilza di vittorie inspiegabili per poi terminare in una amara sconfitta nei playoff. Sempre la stessa solfa con in più l’aggravante dell’assenza dell’essenza segreta di questa franchigia che ora è diventato proprietario indipendente.
11. NEW YORK KNICKERBOCKER: Prima figlia, prima maratonina e soprattutto prima finale di fantasy basket. Solo un Giacomo con un squadra irreale ha fermato Andrea ad un passo dal triplete. Manca poco e scopriremo se l’effetto delle ceneri del vulcano islandese intossicherà anche il nostro campionato; RJ Barrett e Coby White sommati assieme non fanno l’età del proprietario ma saranno chiamati ad avere in mano le chiavi dell’attacco dei Knickerbocker della bassa. Ma più che l’inesperienza, sono i giorni di riposo che saranno concessi a Kawhi sulle spiagge californiane che pongono dubbi sulle possibilità di ripetere il successo nella postseason.
12. CHEZ CHAMOIS: “the pick heard around the world”: dopo un’annata che più anonima di così quasi non ci si accorgevamo che avesse partecipato, il commissioner ha deciso di farsi notare subito da tutti nel modo più eclatante possibile, senza badare agli effetti a lungo termine: per cui porte aperte alla gragnuola di triple by the bay e poi per non farci mancare nulla abbiamo deciso di andare in Africa ed ai Caraibi, se stessi preparando un piatto di cucina fusion potrebbe saltare fuori qualcosa di interessante peccato che si stia giocando a fantabasket e la pallacanestro sia stata inventata negli Stati Uniti...
13. DEPORTIVO LA CORUNA: L’altro Splash Brother ha condiviso gli onori della cronaca la notte del draft ma ha creato ancora più sgomento perché non vedremo Klay fino alla fine della regular season. Una terza scelta arruolabile sarebbe tornata decisamente utile a Ciccio per raggiungere finalmente i playoff al sesto tentativo ed evitare che i nuovi rookies gli possano bagnare il naso nella corsa alla terra promessa dei playoff. L’unicorno si presenta ai nastri di partenza in forma smagliante e Herro parte come favorito per il trono di Rookie of the Year ma non sono loro a preoccuparci quanto l’effetto LBJ che intristisce tutto ciò che tocca.
14. RASTA SUPERSONICS: Gli opposti si attraggono, gli estremi si toccano, l’eterna competizione tra discepolo e maestro si ripete con una nuova declinazione: Giacomo tenta di replicare la mossa del Barone, che l’anno dopo il trionfo si accaparrò la coppia di Philadelphia, per dimostragli di riuscire dove l’altro si è dimostrato mancante. Siamo troppo severi con il Campione? Se nessuno è mai riuscito a ripetersi ci sarà un perchè: Mario ci è andato vicino, Gasta sembrava destinato, sarà il giovane orobico a porre termine al sortilegio? Se l’abbiamo messo qua è perchè noi lo riteniamo tanto probabile quanto che Ben Simmons vinca la gara del tiro da 3.
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pangeanews · 6 years
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Luca Doninelli: Discorso sulla fine del Testo e dell’autorità (ma lo scrittore resta un vulcano)
Per gentile concessione dell’autore si pubblica una selezione di brani dal saggio di Luca Doninelli, inedito, “La fine del Testo. Letteratura, media e politica dopo la fine della modernità”.
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[…] Tutte le forme di potere moderno, dalla sempre ambigua democrazia al totalitarismo più rivoltante, hanno sempre gradito cinema e teatro e riempito sale da concerto, teatri lirici e teatri di prosa. Non per una forma di coazione, ma perché l’esistenza di un regime moderno (di qualunque tipo) si regge sulla partecipazione, e il garante di questa azione, del suo valore, non è più un potere personale ma un testo, qualcosa che sta scritto e sta lì. Il potere conquista il consenso offrendo al pubblico uno specchio adeguato di sé.
La nascita di nuovi dispositivi, dalla macchina per proiettare diorami al grammofono, introduce una novità che appartiene, in realtà, anche a molte epoche e contesti precedenti: la possibilità di interrompere il testo. Possiamo bloccare il DVD player, indietreggiare di una scena, avanzare rapidamente, rinviare al giorno successivo.
Per la verità non fu esattamente così per il grammofono (dove l’interruzione comprende sempre il rischio di un danno materiale – per la puntina stessa del grammofono, o per il disco), viceversa è così per il Cd, l’MP3. Non credo di tratti solo di un’evoluzione tecnologica, ma di un mutamento nella domanda che noi rivolgiamo a un dispositivo di riproduzione. Il grammofono è figlio di un’epoca della testualità, il DVD player non più.
In realtà per la letteratura il problema dell’interruzione si è sempre posto in termini non temporali. Un romanzo, lo si legge in un tempo che dipende dalla sua lunghezza, lo si può abbandonare, se ne può saltare una parte o più parti, lo si può riprendere anni più tardi. Per non parlare della poesia, che prevede l’interruzione, la pausa, nella sua stessa struttura. Ma qui è in questione la continuità in un altro senso: nel senso, appunto dell’esser-testo del testo. La sua durata – sia che leggiamo un romanzo d’un fiato, sia che ne interrompiamo la lettura più e più volte – svolge (o svolgeva) la sua unità nella continuità che riusciva a stabilire nel tempo interiore del lettore. A distanza di anni, è difficile ricordare il tempo impiegato a leggere Anna Karenina o Lo straniero, mentre la loro unità, la loro continuità nel tempo interiore risulta evidente per una qualità che non ha un riferimento immediato con la velocità o il tempo della lettura, e nemmeno con l’immedesimazione psicologica che si realizzò al momento della lettura.
*
Considerato tutto questo, verrebbe da concludere che l’epoca della continuità si mostri circoscritta nel tempo, e che presenti più i caratteri di una necessità propria dell’epoca stessa che non della forma d’arte rappresentata. Anche un grande disegno – romanzo o poema o affresco o film che sia – acquista la sua forza nel frammento: è nel frammento che si può comprendere se il disegno esiste o no.
La durata di quest’epoca è all’incirca la durata di quella che siamo soliti chiamare modernità, un’epoca caratterizzata non tanto dalle grandi scoperte scientifiche quanto dalla forma del contratto sociale: un contratto dove in luogo della persona del re aveva preso posto il testo. Non a caso è l’epoca delle monarchie prima, e poi delle repubbliche costituzionali. La convivenza è regolata, limitata ma anche sostenuta mediante un testo scritto.
Fa impressione pensare che le ultime comparse importanti della parola “testo” appartengano a opere della crisi, quando cioè il testo perde trasparenza e si presenta nella sua – diciamo così – testualità (textualité) opaca, che non lascia penetrare nulla al difuori di sé stessa, da Monsieur Texte di Mallarmé a quel capolavoro in parte inesplorato che è Le plaisir du texte di Roland Barthes – passando attraverso l’epoca dell’école du regard (e soprattutto di Tel Quel) – dove la stessa insistenza del grande critico-scrittore sul piacere ci indirizza verso un pensiero nuovo, e cioè che alla fine la testualità del testo non esiste, o comunque è essa stessa niente più che un gioco.
Io stesso mi chiedo: quelli che scrivo a Dio piacendo si possono dire romanzi, racconti, saggi, ma posso chiamarli “testi”? La mia esperienza mi rinvia, nuovamente, alla nozione foucaultiana di campo, ossia di luogo dove opera una molteplicità di soggetti che raggruppiamo sotto il termine “autore”.
Io non provo avversione per questo termine, ma sostengo che esso consiste proprio nella sua necessità di essere continuamente ridefinito. Ciò che mi fa “autore” non è lo scriver libri o il girare film, e nemmeno il contenuto di queste cose, bensì ciò che attraverso me si mette in atto, adesso.
Un buon insegnante di scrittura creativa (o anche non-creativa) dà sempre ragguagli sulla necessità che un racconto sviluppi sempre linee orizzontali e linee verticali, trama e ordito, che il “questo” e il “possibilmente altro” rimangano connessi, e così via.
Eppure – proprio come la crisi dell’istituto-famiglia ha prodotto sull’argomento molte opere letterarie e non (dai Simpson a Le correzioni) aventi per oggetto la famiglia, così il tornare a insegnare l’arte della composizione di un testo non può ripristinarne l’ufficialità: proprio quell’ufficialità (che è anche quella dell’orinatoio di Duchamp) è venuta meno con il venir meno dell’età moderna.
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Oggi ci troviamo nell’epoca della fine del testo, o del dopo-testo. Sarebbe curioso fare una campionatura tra giornali, web ecc. e contare il numero delle occorrenze della parola “testo” rispetto a certi composti come “ipertesto” o “sottotesto”. Già la nozione di “sottotesto” ci fa capire che siamo usciti da una certa epoca: fino a qualche anno fa quello che chiamiamo “sottotesto” sarebbe stato considerato per quello che era, ossia una parte del testo. Il sottotesto è il testo, ne è una componente essenziale, tanto che un testo senza sottotesti è così perché è stato voluto così. L’uso odierno, viceversa, presenta il sottotesto come qualcosa di altro dal testo stesso, una deviazione segreta, una strada per pochi capace di immettere in paesaggi-altri. Invece fino a qualche anno prima il paesaggio era uno, il testo era uno, e come tale lo si trattava.
Oggi la parola “testo” indica l’enunciazione come tale, oppure l’enunciato letterale: ogni stratificazione è un’aggiunta, è qualcosa in più rispetto al testo.
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Si perde così l’aspetto politico della letteratura, almeno nel modo in cui l’abbiamo conosciuto finora, che coincide con la sua testualità. Al posto del testo abbiamo nuovi termini, come per esempio “progetto”, diciamo: questo romanzo è parte di un progetto che vado portando avanti da tot anni. L’idea, insomma, che un testo non è solo un componimento retorico ma una realtà politica, un documento sempre in qualche modo ufficiale, un elemento del contratto sociale, si è perso, come in un certo senso si è perso il contratto sociale stesso così come era stato concepito nell’età moderna. Le attuali vicende politiche (scrivo nel 2018), in Italia come in Europa come nel resto del mondo, mostrano un cammino parallelo tra fine della testualità e fine di un’idea generale di contratto (in primis sociale).
Perciò abbiamo bisogno di riformulare non tanto l’idea di Testo, ma il senso della politica.
Oggi l’idea della testualità passa, per esempio, attraverso un (cosiddetto) lavoro di squadra. Il mondo si è riempito di team e di staff. Un testo lo si costruisce insieme, così come si costruisce insieme la vittoria a un campionato mondiale di ciclismo: anche se a vincere è uno solo, essa è sempre il risultato di un lavoro ottimizzato di squadra, tra preparatori, meccanici, direttori sportivi, alimentaristi ecc. Allo stesso modo, basterebbe scorrere l’immancabile pagina di ringraziamenti che ogni romanziere si sente in dovere di apporre alla propria opera per capire che il fenomeno di cui stiamo parlando è generale, e non riguarda solo la letteratura, lo sport, il cinema, ma una vasta gamma di azioni, la grana – direi – dell’agire stesso dell’homo œconomicus.
La pubblicità è il modello-base del testo moderno: breve, indifferente alle interruzioni (e quindi interrompibile ad libitum), ogni secondo viene studiato e analizzato da un team di persone espertissime, e ciò che noi vediamo è il risultato finale. Nei ringraziamenti che quasi sempre compaiono alla fine di un romanzo o di un saggio, specie di una certa dimensione, si fa sempre cenno al fatto che senza Tizio o Caio non si sarebbe mai raggiunto questo risultato – che si suppone stratosferico in quanto realizzato in team. Lo scrittore sensibile non manca mai di rimarcare che i pregi dell’opera sono collettivi mentre gli errori sono soltanto suoi, ma questo fa parte del gioco.
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[…] La mia persuasione è che il romanzo resti necessario per ciò che in esso esclude i dispositivi che regolano la produzione di un testo. Detto altrimenti: non è vero che una storia può diventare indifferentemente film o romanzo o telefilm: non tanto e non solo per ragioni tecniche (certe situazioni sono più adatte al cinema, altre al romanzo ecc.), perché le cosiddette “ragioni tecniche” costituiscono, anzi, un grande stimolo: se fossi un regista mi piacerebbe fare esattamente ciò che non si deve fare in un film. Come tanti modesti scrittori pubblica(va)no romanzi fatti come i film che speravano di realizzare – cosa comprensibilissima, è chiaro -, così si potrebbe dire che la separazione dei generi è fatta per essere violata. Questa storia dovrebbe diventare un romanzo? Bene, noi faremo un film. Questo dovrebbe essere un film? E noi faremo un album rock (importanza storica di The Wall).
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Che tutto questo avvenga è augurabile e auspicabile, sempre. Tuttavia la funzione dello scrittore resta. Può occuparsi di cinema, può scrivere per un serial tv (è il sogno nel cassetto del sottoscritto), ma sa – ne è costretto – che la sede naturale del suo operare è il romanzo.
Può esserne cosciente al 100%, al 20% o allo 0,05%, ma è così. Può diventare il manager di sé stesso, anzi, glielo auguro di tutto cuore (qué viva Stephen King), ma per quanto sia condotto a pensare che, in fondo, fare un film o un serial da diffondere su YouTube o scrivere un romanzo di 400 pagine sia alla fine una questione di scelte tecniche, e pur giungendo a concepire il proprio lavoro come un lavoro essenzialmente di squadra, una cosa non potrà essere cancellata, e cioè il fatto che raccontare non equivale né ad affabulare da un lato né, dall’altro, ad esprimere una visione del mondo. Se fosse tutta una questione di entertainment da un lato e di weltanschauung dall’altro, il romanzo potrebbe sparire e la rilocazione si compirebbe come puro evento spirituale.
Ma così non è. Il romanzo è (se lo è) un dispositivo sui generis – o meglio il prodotto di una serie cangiante di dispositivi facilmente identificabili: quella che 15 anni fa appariva una scrittura prodigiosa rivela oggi i suoi trucchi, a meno che quella scrittura prodigiosa non celasse un vero, profondo malessere che era la sostanza vera dell’opera (penso, come tutti, a David Foster Wallace, o a Carlo Emilio Gadda, due scrittori che sono stati presi erroneamente come modelli di qualcosa che sarebbe dovuto accadere – una nuova letteratura, una nuova scrittura…).
L’oggetto del romanzo non è la visione del mondo, né l’interpretazione della realtà, e nemmeno il nostro bisogno di raccontare/ascoltare storie. Tutto questo non fonda alcuna differenza specifica. E vero: esistono cose che un romanzo non può raccontare e che solo l’espressione del volto di un attore può rendere, così come nessun film si può addentrare nella materia delle cose (o in quella dei sogni) come il romanzo, e questo perché esistono aree dell’esperienza umana che sono soltanto verbali.
Ma questi sono temi tecnici, oppure filosofici, o neurologici, e riguardano lo studio e la definizione delle diverse componenti dell’esperienza. Esiste infatti un’esperienza parlata, o che parla.
Tuttavia la vera ragione per cui i romanzi esistono è che siamo esseri finiti: questa è la differenza di cui lo scrittore è, volente o no, il custode. Questa realtà che le cose finiscono, le storie finiscono, noi finiamo, l’universo è finito, l’ininterrotto non esiste se non in un mondo virtuale mentre quello presente ci appare nel segno della discontinuità, dell’intervallo, dell’interruzione – e noi, che agiamo nel finito, non smettiamo di amare questa finitezza (quest’ultima è un’aggiunta mia personale): questo è il fondamento della differenza nella quale lo scrittore, destituito di ogni autorità/autorialità legislativa e sacerdotale, continuerà a vivere, anche se non scriverà mai un romanzo in vita sua, anche se farà per sempre lo sceneggiatore di serial tv.
Se Chuck Lorre non avesse messo al mondo Sheldon Cooper, The Big Bang Theory resterebbe una sit com come tante: invece si è prodotta un’eccedenza, Sheldon è portatore non solo di risate o di situazioni paradossali ma di un dolore, di una solitudine, di una povertà umana che ce lo fa amare. La sua differenza (un q.i. esagerato, che lo accomuna ai dementi) è fonte di comicità ma anche di pena per ciò che tutti noi siamo. E nasce in qualcuno il sospetto che il q.i. di Sheldon non sia che la metafora di quella differenza nella quale consiste la natura dello scrittore, quel suo non essere mai uguale al lettore che forse lo adora ma che non lo potrà mai capire fino in fondo – non per la sua intelligenza, che è un gioco, ma perché noi non capiamo mai quello che ci appartiene più profondamente. Sheldon è portatore sano di un oscuro romanzo, gli altri personaggi della serie no. Forse Chuck Lorre non ha il coraggio (anche perché ci perderebbe economicamente) di gettare un po’ di luce su quell’oscura storia.
Il romanzo non è più normativo rispetto alle altre arti narrative perché non possiede il Sapere del Testo, anche se ne conserva il piacere. Tale sapere è dissipato, interrotto, discontinuo, e il romanzo ne fa parte come ne fa parte il cinema, la tv, la radio, il web ecc. Ma questa non è una novità, anzi: così facendo il romanzo può meglio appropriarsi della sua natura, o quantomeno farsi ad essa un po’ più vicino.
Dinanzi a un potere tecnologico in grado di dislocare storie, sentimenti, emozioni in tutti i modi, dinanzi alla capacità gestionale di chi detiene il potere di mescolare problemi, necessità e passioni creando l’illusione di un nuovo ordine possibile – e questo proprio nel momento in cui il caos sfila come una parata militare sotto i nostri occhi (ma proprio qui sta l’abilità di chi mescola le carte: mostrarci la guerra e farci sentire in pace, raccontarci gli sbarchi dei derelitti a Lampedusa e offrirci vacanze da sogno sempre a Lampedusa) – la letteratura e specialmente il romanzo introducono, o possono introdurre (poiché tale è lo statuto dello scrittore) quelle sconnessioni di cui il mondo sembra dover morire e che, viceversa, lo fanno vivere.
Lo scrittore è vulcanico, tellurico, distruttivo, ma noi sappiamo che senza l’attività sismica il mondo sarebbe da milioni di anni nient’altro che un sasso di grosse dimensioni.
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Per finire. Questo ci permette di rispondere alla domanda se un romanzo sia o meno un dispositivo. Non è un dispositivo, e questo lo differenzia radicalmente dagli altri media. Il romanzo è un contratto dotato di una forza mimetica che si è rivelata capace di somigliare – non nell’aspetto esteriore ma nell’uso che se ne è fatto – ai dispositivi e alle esperienze estetiche o di fruizione artistica o di semplice intrattenimento con le quali si è dovuto confrontare. Nell’era del testo si raccomandava di leggere tutto il libro prima di decidere che era brutto: il libro andava comunque finito. Oggi non è più così. Ciò che è fuorviante è il concetto di “influenza” o “influsso”, che risulta alla fine più immaginativo che concettualmente fondato.
Non domandiamoci, dunque, che ne è del romanzo nell’età dei social media. Non è una domanda seria. Domandiamoci che ne è della comunicazione oggi, sapendo che il romanzo è un pezzo di questa comunicazione ma sapendo anche che lo scrittore è il custode di quella differenza che renderà sempre arduo il compito di chi vorrà mettere, per così dire, “a sistema” l’universo comunicativo.
L’arte, per quanto possa far uso della tecnologia, ha il compito di precipitarci nell’età della pietra. Per costruire un universo comunicativo coerente basta Joseph Goebbels. Per entrare nel cuore della comunicazione ci vuole la divina imperfezione dell’essere. […]
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L’età dello smontaggio. Viviamo nell’epoca dello smontaggio. Tutto è un giocattolo, tutto ha un meccanismo, tutto ha un suo funzionamento, ogni cosa è riducibile, l’Irriducibile (che era il punto d’arrivo dell’indagine di Derrida e, prima ancora, di Heidegger) è abolito, e con esso è abolito, per così dire, lo spessore dell’esperienza, il fatto che esista sempre una doppia faccia dell’esperienza. Lo smontaggio non ammette alternative: un romanzo è fatto di X elementi, e sarà con questi elementi che lo si potrà costruire. Le cosiddette “istruzioni per l’uso” sono sempre esistite, ma un conto è se esse possano essere usate al contrario, uno se debbano essere seguite alla lettera. Quello che mi irrita nelle scuole di scrittura è che le istruzioni non possano essere usate al contrario, non per fare così ma per non fare così.
Con l’affermarsi dello smontaggio si è smarrita l’idea di reversibilità. Alla coppia irriducibile (e dunque) reversibile si sostituisce la coppia opposta: riducibile (e dunque) irreversibile, poiché una volta stabiliti gli elementi-chiave di una struttura (riduzione) il modo di ricostruirla sarà sempre lo stesso: irreversibile.
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Credo che il modello culturale di questo rivolgimento si possa riferire al protestantesimo americano, e alla sua tangenza con il pragmatismo orientale. Se tutto è smontabile, ciascuno può dominarne gli elementi, la realtà non ha più segreti da conservare, dalla SS. Trinità alle polpette della nonna: basta accendere la tv e constatare il numero esorbitante di trasmissioni nelle quali la persona si ricostituisce (acquisisce cioè una dignità) a seconda che abbia o meno superato una prova: di canto, di pasticceria, di scrittura creativa. L’oggetto è secondario, conta la gestione delle sue parti, o elementi. Uno chef, uno scrittore, una rockstar – possessori del “fattore X” – giudicheranno l’operato dell’esaminando.
Ma c’è un prezzo da pagare: con l’età dello smontaggio finisce quella della saggezza, dell’auctoritas. Esistono due tipi di autorità: quella personale e quella di un testo. “Testo” e “persona” sono correlati, si fanno eco: c’è l’uno perché c’è l’altro. L’antropologia dell’età moderna – giustamente identificata da Antoine Compagnon con gli oppositori della modernità – si fondava su questa coppia: l’umano si reggeva su un poema, una Costituzione, un testo-base, una Teoria. Al chi è costui? che definiva lo stupore totalmente umano di chi incontrava Gesù Cristo si è sostituita l’autorità dei Testi Sacri, i quali non hanno mai rinviato direttamente alla persona di Cristo, ma ne hanno piuttosto de-finito la natura, la missione, l’escatologia ecc.
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Questa a me pare una questione primariamente politica. Per fare un testo in epoca moderna sono necessari un auctor e un luogo dove chi fa dell’autore un autore (lettori, spettatori, discepoli, assemblea popolare, parlamento) può riceverne le parole. L’ufficialità dell’autore, la sua universalità, dipendono dall’ufficialità del luogo e viceversa: le stesse parole pronunciate su un angolo di strada o nello speaker’s corner avrebbero avuto un altro valore se pronunciate da un microfono del Collège de France. Ma è anche vero che il Collège si conquista (microfoni compresi) per merito, per titoli. L’autorevolezza dipende insomma dal Testimone non in quanto tale ma nella forma con la quale la testimonianza viene messa a punto: apparato teatrale, il teatro come modello dell’autorevolezza moderna.
Testo è tutto quanto fa testo. E per fare testo occorre autorità. E l’autorità si dota di luoghi, di teatri, e i teatri sono luoghi dove l’autorità è attestata, perciò “fa testo”.
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Ma a un certo momento – databile diversamente a seconda degli ambiti – questa coppia è saltata. Lo chef, lo scrittore famoso non necessitano di un’autorità intrinseca: l’importanza dello chef dipende unicamente dal ristorante in cui lavora, quella dello scrittore dai premi che ha vinto o dalle copie vendute o dal numero di traduzioni, ecc. Essi hanno conquistato il diritto (il potere) di mettere sotto esame quello che fu il testimone, il testificatore dell’autorità. Non c’è più un’assemblea di persone che giudica un autore, ma un autore che mette sotto esame tanti “x” passibili di accedere o meno al rango di persona.
Quello che non esiste più, o è diventato inutile, è il livello della condivisione. Nel pensiero classico la parola che definiva uno Stato e la sua autorità era “consenso”. Oggi il consenso può essere considerato un passaggio inutile: il paragone di chi aspira all’autorità con chi può concederla o revocarla si può saltare, la rappresentanza non ha più luoghi. L’autorità ci si conquista con altri strumenti – per esempio l’asfissiante presenza in tv, dove al consenso si sostituisce il gradimento.
Perché dunque non votare standosene a casa propria? Ti inviano un codice segreto con una password, tu accedi al sito “elezioni amministrative”, inserisci la password, digiti il codice personale – come nell’home banking – e dai il tuo voto: sarebbe un sistema più sicuro, meno costoso e non c’è dubbio che le percentuali dei votanti aumenterebbero: bisognerebbe rinunciare solo alla solitudine della cabina – ma sono ancora in molti a comprendere il valore essenziale (essenziale perché rituale) di quel momento?
*
Parlare della Fine del Testo significa parlare della fine di tutta una serie di procedimenti – in arte, in letteratura, in politica, nei rapporti giudiziari, forse anche in economia – nei quali la Modernità ha fissato la propria legittimazione. Ma è una fine contraddittoria, la modernità è viva e vegeta in certi ambiti (la Scuola p. es.) con tutte le sue regole e più che morta in altri, come nei social media, nel mondo dello spettacolo e nello spettacolo della politica.
Il problema che queste osservazioni sollevano può essere riassunto come segue: come è possibile ridefinire il contratto – letterario, ma anche politico, sociale – dopo la Fine del Testo? Cosa troveremo al posto dell’Autore, al posto del Testimone? Come avverrà la mediazione tra questi ipotetici nuovi poli affinché il patto sociale possa rafforzarsi? Come ridefiniremo la cittadinanza (che è di diritto, ma anche culturale, economica)? Il problema esiste ed è pressante: quando ci definiamo cittadini, ci sarebbe da chiedersi: cittadini di cosa? Cosa intendiamo definendoci italiani? Qual è la vera forma dell’Italia oggi? Una forza centralizzata? Una somma di potentati locali con molte infiltrazioni? Una costellazione di abusi? O un’entità da ridefinire dove spiccano alcune nuove città-stato?
E, soprattutto: se la dignità umana ci viene restituita come attestato, o premio, su cosa si fonda nel XXI secolo la polis?
La polis è la più grande creazione dell’uomo, e il contratto sociale ha bisogno di una forma per mantenere in vita quest’opera suprema.
Luca Doninelli
*Luca Doninelli, tra l’altro, è l’autore de “I due fratelli” (Rizzoli, 1990), “Talk Show” (Garzanti, 1996), “La polvere di Allah” (Garzanti, 2007), “Le cose semplici” (Bompiani, 2015). Il suo legame con Giovanni Testori è narrato in “Una gratitudine senza debiti” (La Nave di Teseo, 2018). Di recente, ha adattato per il teatro “I miserabili” di Victor Hugo, con Franco Branciaroli nelle vesti di Jean Valjean.
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levysoft · 3 years
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Il Marvel Cinematic Universe oggi è un mondo ipercinetico e variegato, capace di offrire ogni genere di avventura, dalla fantascienza con I Guardiani della Galassia allo spionaggio, come dimostrato dalla recente serie The Falcon & The Winter Soldier. Una simile struttura narrativa può permettersi queste divagazioni solo se poggia su solide fondamenta, che nel nostro caso sono le metalliche spalle di un’armatura rossa e dorata, indossata per la prima volta il 2 maggio 2008 da un playboy, miliardario, filantropo. L’ovvio riferimento è a Iron Man, primo capitolo delle avventure cinematografiche del Vendicatore Dorato di casa Marvel, oggi considerato come il primo passo del Marvel Cinematic Universe.
Con il senno di poi, è facile identificare in Iron Man un primo capitolo promettente per il nascente MCU, ma se ritornassimo al 2008, e fossimo un pizzico cinici, non potremmo fare a meno di chiederci quante possibilità potevano esserci con un attore dal grande talento stoltamente sprecato come Robert Downey Jr. e un personaggio non di primissima fascia della Casa delle Idee possano diventare la colonna portante di un progetto di così grande ambizione. Nonostante questo scetticismo, i Marvel Studios investirono su questa strana coppia, spinti da un’idea che da anni cercava di approdare al cinema.
Iron Man: dal fumetto al cinema
Fin dai primi anni ’90, infatti, in casa Marvel si voleva trasportare Iron Man nel mondo del cinema. Prima ancora di Blade, X-Men e Spider-Man, era il miliardario in armatura il personaggio designato a traghettare i fumetti Marvel sul grande schermo. All’epoca i cinecomic non erano ancora il Sacro Graal che veneriamo oggi, motivo per cui gli Universal Studios, che avevano acquistato i diritti del personaggio, miravano a realizzare un film dal budget contenuto, utile per tastare il terreno. Il successo del primo Batman l’anno precedente e la memoria del Superman di Donner era dei segnali incoraggianti, ma prima di investire su una grande produzione era meglio realizzare un progetto semplice ma efficace.
Il compito inizialmente su Stuart Gordon (Re-Animator, Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi), ma dopo una lunga traversia tra sceneggiature mai completate e complicazioni varie, si arriva al 1996, quando i diritti di Iron vengono acquistati dalla 20th Century Fox, un cambio che comporta anche un cambio di percezione sulla potenziale qualità del prodotto finale, tanto che due attori si propongono come interpreti: Nicholas Cage e Tom Cruise. Il primo è da sempre un appassionato di fumetti, già reduce da un fallito tentativo di trasposizione cinematografica di un comics, il famigerato Superman di Tim Burton. Cruise, invece, si sta avviando verso il suo ruolo di attore d’azione, ma il suo interesse venne preso maggiormente in considerazione, tanto che in una miniserie a fumetti del periodo, Extremis, Tony Stark venne ritratto con le sue fattezze.
La 20th Century iniziò a valutare seriamente di realizzare questo film, tanto da coinvolgere il creatore del personaggio, Stan Lee, come supporto per Jeff Vintar, incaricato di scrivere la sceneggiatura. I due idearono una storia da toni fantascientifici, identificando in MODOK l’antagonista; questa prima stesura convinse gli studios, che chiesero a Jeffrey Cane di limare alcuni dettagli in modo da arrivare a una versione finale, nello stesso periodo in cui si cercò di coinvolgere nel progetto Quentin Tarantino come regista. Nel frattempo, la 20th Century Fox aveva acquisito i diritti di altri personaggi della Casa della Idee, come Fantastici Quattro e X-Men, che vennero ritenuti più promettenti, una visione che spinse la major a cedere i diritti di Iron Man alla New Line Cinema.
Il rapporto tra la New Line Cinema e la Marvel aveva già dato vita al primo film dedicato a un personaggio della Casa delle Idee, Blade. Quando nel 2000 i diritti di Iron Man vennero rilevati dalla New Line, la casa di produzione aveva assunto un team di scrittori (Ted Ellito, Terry Rossio e Tim McCanlies), che non si era limitato a immaginare un film dedicato a Tony Stark, ma vedeva un potenziale in questa occasione: creare un universo di storie e personaggi. Tanto che si immaginarono camei di altre figure del Marvel Universe, come Nick Fury, di cui si iniziò a ipotizzare un film. Da queste prime idee, la sceneggiatura di Iron Man passò diverse fasi, che videro un primo cattivo nel Mandarino, in seguito accantonato per dare spazio a una trama in cui Howard Stark sarebbe divenuto un villain con il nome di War Machine. Allo stesso modo, vennero avvicinati diversi registi, tra cui Joss Whedon, ma anche in questo caso le titubanza fecero scorrere il tempo sino al 2004, quando il fallimento del progetto affidato a Nick Cassavettes, portò al momento in cui tutto cambiò: i diritti di Iron Man tornarono in mano a Marvel.
Iron Man e la nascita del Marvel Cinematic Universe
Nel 2005, in casa Marvel si era cominciato cambiare la percezione dello sfruttamento dei propri personaggi. Alcuni degli eroi più amati erano stati affidati grandi nomi, come 20th Century Fox e Sony, e i vertici di Marvel Studios decisero di seguire una strada differente: realizzare in autonomia le pellicole ispirate ai propri eroi. Iron Man venne identificato come il primo supereroe del Marvel Universe cinematografico, anche se questa scelta costrinse gli Studios a confrontarsi con una realtà inattesa: nessun professionista voleva avvicinarsi al progetto. I motivi, sostanzialmente, erano la scarsa fiducia nel fatto che il film sarebbe stata una produzione interna e che il personaggio era poco più di uno sconosciuto. Quest’ultima considerazione venne confermata da alcuni focus group organizzati da Marvel, che rivelarono come per la gente Iron Man era poco più di un robot. Era necessario, quindi, ribaltare questa immagine dell’alter ego di Tony Stark, compito che venne affidato a un nome oggi considerato uno dei grandi narratori della pop culture: Jon Favreau.
Favreau si era già avventurato nel mondo Marvel, avendo partecipato nel ruolo di Foggy Nelson in Daredevil (2003), occasione in cui aveva stretto amicizia con Avi Arad. I due erano intenzionati a realizzare un progetto assieme, e Iron Man divenne l’occasione giusta per provarci. Favreau aveva le idee chiare su come presentare Iron Man al pubblico, appellandosi alla sua umanità e intessendo una storia che avesse suggestioni da spy story, umanizzando il più possibile il personaggio.
Era necessario creare una origin story che mostrasse in modo chiaro Tony Stark sul piano umano, prima che su quello supereroistico. Favreau decise che il suo Iron Man sarebbe stato il riflesso dell’avvenuta consapevolezza di Tony Stark di come il mondo fosse diverso dalla sua percezione agevolata, costringendolo ad affrontare la verità nel modo più duro possibile. Per farlo, si riscrissero le origini del personaggio, attualizzandolo anche storicamente, ma cercando di preservare lo spirito autentico di Iron Man, avvalendosi della collaborazioni di nomi importanti della storia editoriale del Vendicatore (Mark Millar, Joe Quesada, Brian Michael Bendis).
Per il ruolo del protagonista, la prima scelta di Favrau era stata Sam Rockwell, che si dimostrò interessato al ruolo, ma a cambiare tutto fu un provino di un altro attore: Robert Downey Jr. Attore con un burrascoso passato di dipendenze e riabilitazione, Downey Jr. tra la seconda metà degli anni ’80 e i primi anni ’90 era considerato una delle grandi promesse del cinema, ma quando i suoi problemi con droga e alcol lo assalirono, la sua carriera parve finire. Graziato da una seconda occasione, grazie all’aiuto e alla fiducia di alcuni colleghi, Downey Jr,. tornò a recitare, dopo un lungo percorso di riabilitazione, all’inizio del nuovo millennio in film come Gothika, e Zodiac, ricordando a tutti le sue incredibili doti artistiche.
Durante la sua audizione per il ruolo di Tony Stark, l’attore non fece mistero della sua passione per il personaggio, ma a convincere Favreau fu un aspetto più intimo del personaggio:
“I momenti più alti e quelli più infimi dell’esistenza di Robert erano sotto gli occhi di tutti. Doveva trovare un equilibrio intimo per superare gli ostacoli che ne avevano rovinato la carriera. E questo era Tony Stark!”
La scelta di Robert Downey Jr. venne vista come una scommessa troppo rischiosa, ma Favreau non intendeva cedere su questa decisione. Per il regista, la vita drammatica di Downey Jr era una chiave emotiva vincente per dare uno spessore umano credibile al personaggio, che nei comics aveva attraversato momenti simili, come nel celebre arco narrativo di Il Demone nella bottiglia. Questa adamantina convinzione di Favreau alla fine ebbe la meglio, facendo ottenere a Robert Downey Jr. il ruolo che per dieci anni avrebbe riportato la sua carriera nell’olimpo di Hollywood, scalzando concorrenti del calibro di Timothy Oliphant, Rob Lowe, Clive Owen e Hugh Jackman.
Per il suo Tony Stark, Robert Downey Jr non si affidò solo alle sue esperienze personali, ma modellò il personaggio su Elon Musk, che per l’attore era un ideale Iron Man. La verve di RDJ, come è stato amichevole soprannominato l’interprete di Tony Stark, non tardò a manifestarsi sul set, divenendo un tratto essenziale del personaggio. Dato che quando le riprese iniziarono non era ancora stata terminata l’ultima revisione della sceneggiatura, Robert Downey Jr ne approfittò per improvvisare numerose battute e attribuire al suo personaggio alcuni vezzi che trovava divertente, contribuendo a creare una sinergia tra interprete e personaggio che è divenuta uno dei tratti più riconoscibili del suo lungo sodalizio con l’eroe di casa Marvel. Non stupisce quindi che la celebre scena in cui Tony Stark rivela a tutti la sua identità segreta sia stata improvvisata da Robert Downey Jr, cogliendo di sorpresa la troupe, ma rivelandosi come un risvolto emotivo accattivante per la trama del film.
Creare il mondo di Iron Man
Dopo aver deciso di non mostrare subito un villain storico del personaggio come il Mandarino, Favreau decise di cambiare totalmente approccio, preferendo creare un contesto narrativo ampio ma non totalmente svelato già nel primo film. Da questa idea nacquero i Dieci Anelli, presenza che sarebbe divenuta una costante dell’MCU, e concentrandosi su una minaccia più concreta e vicina alle avventure del personaggio. Venne quindi identificato come antagonista Obadiah Stane, che avrebbe affrontato Tony con una propria armatura, citando la run di Armor Wars.
Per realizzare le armature, ci si avvalse del maestro Stan Winston, che diede un tocco di personalità ad ogni armatura. Per la Mark I, costruita da Tony per fuggire dalla sua prigionia, il look venne definito ragionando in termini di recupero, considerato come questa prima armatura era funzionale alla fuga e a un attacco frontale. Diverso fu l’approccio per la realizzazione della Mark II, realizzando pensando alle line dei prototipi di velivoli sperimentali, e la Mark III, alla cui realizzazione partecipò anche il designatore Adi Granov, autore delle tavole della saga di Extremis, fonte di ispirazione del terzo film dedicato a Testa di Latta. Il lavoro di Stan Winston in Iron Man fu parte integrante nel dare al personaggio una definizione inziale delle sue armature, un’opera che ha un sapore dal retrogusto amaro, considerato che Winston, leggenda del cinema, si spense un mese dopo l’uscita del film nelle sale americane.
Io sono Iron Man
All’uscita nelle sale, Iron Man non si rivelò semplicemente una scommessa vinta, ma fu un vero e proprio fenomeno, che oggi possiamo rivedere a piacimento su Disney+. Ogni dubbio sull’avere affidato a un attore a rischio come Robert Downey Jr. un ruolo simile evaporò quando Tony Stark prese vita sullo schermo, presentandosi come una figura eclettica ma credibile, con i suoi drammi interiori, valorizzati dal suo percorso di evoluzione da fabbricante di morte a eroe. Sin da questa prima apparizione nel ruolo di Testa di Latta, Downey Jr ha creato una singolare sinergia con il suo alter ego che spesso ha spinto gli appassionati dove finisse l’uno e iniziasse l’altro.
Difficile oggi immaginare un Marvel Cineamtic Universe senza Tony Stark. Soprattutto, un Tony Stark diverso da quello offerto da Robert Downey Jr, che divenne subito parte integrante del nascente Marvel Cinematic Universe, figurando nella scena post credit del secondo film della saga, Hulk, uscito due mesi dopo Iron Man. Dopo dieci anni passati a indossare l’armatura del Vendicatore Dorato, dopo aver compiuto l’estremo sacrifico in Avengers: Endgame, questo legame che sembrava indissolubile tra attore e personaggio è arrivato al termine, tra lo sconforto dei fan e la necessità di un attore di liberarsi da quella che rischiava di diventare una maschera che ne offuscava la creatività e la bravura. Dieci anni di convivenza, un capitolo importante per una carriera e per una rivoluzione del mondo dell’entertainment quale è il Marvel Cinematic Universe, che son infine giunti a una conclusione, quando l’eroe e l’attore, in un tutt’uno, si sono accomiatati dal pubblico nello stesso modo con cui avevano avviato questa splendida amicizia, con tre semplice parole:
“Io sono Iron Man”
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filmserieinfoita · 4 years
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Il giorno 17 Febbraio su Netflix uscirà la miniserie
Dietro i Suoi Occhi.
Trama:
Diventata amante del capo e poi amica segreta della sua enigmatica moglie, una madre single si trova coinvolta in una perversa realtà di giochi psicologici. Guarda tutto ciò che vuoi.
(Fonte Netflix)
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flotillasreview · 7 years
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Recensione: The Lost Tomb
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Attenzione: la recensione contiene numerosi e consistenti spoiler, doramista avvisato mezzo salvato. Si tratta esclusivamente della mia opinione personale sull'opera in sé e nient'altro, se siete fan della serie o degli attori e non la condividete non ritenetela un’offesa ma cercate di coglierne l’ironia e la leggerezza
Dire che sono rimasta insoddisfatta dalla visione del drama è poco. L'aver visto Lao Jiu Men potrebbe aver influenzato la mia opinione, potrebbe, ma c'è un dato di fatto che è difficile da superare al di là delle visioni precedenti. Il drama in sé è insipido, con o senza un Lao Jiu Men alle spalle.
Trama
Nel tentativo di salvare un’antica reliquia dalle grinfie di un’associazione straniera e misteriosa, Wu Xie fugge nel deserto e affronta diverse difficoltà riuscendo comunque nel suo intento. Durante questa fuga rocambolesca scoprirà una mappa misteriosa e insieme ai compagni cercherà di scoprire dove porta. 
La storia sembra interessante: scoprono una mappa segreta di una tomba millenaria, che i cattivoni stranieri vogliono depredare e svendere chissà dove, e iniziano le ricerche. Tutto molto bello e patriottico, peccato che venga narrato con un ritmo altilenante e, a volte, così noioso che perde quel poco di fascino che aveva acquisito. Forse nei libri il tutto funziona ma cinematograficamente parlando no. La parte più interessante è di sicuro l'esplorazione della tomba(misteri, fantasmi, insetti con le dentiere, trappole e storie di re e generali), l'unica parte che avrei salvato, per il resto avrei effettuato una miriade di tagli da far invidia alla romance di Er Ye. Ci mostrano una serie di scene con il gruppetto di amici che oltre a non essere divertenti sono totalmente inutili, perché il drama è così breve e i personaggi così scialbi che è impossibile affezionarglisi. I personaggi più che tombaroli sono degli irresponsabili incapaci e con zero esperienza. Non sanno dove sono e cosa stanno facendo. Gli unici che salverei sono Kylin Zhang, lo zio e il mr Fatty. E nessuno di loro è il protagonista, ovvero il "carismatico Wu".
Wu Xie
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Wu è in realtà una bandiera al vento, va dove lo trascinano  i suoi turbinii mentali, tra le mille domande con cui assilla il malcapitato di turno e la buona azione del giorno. A Wu non importa se gli hai bruciato casa, lui ti vorrà bene comunque e ti donerà tutto quello che ha, soprattutto se gli sono rimaste solo un paio di mutande. È l'incarnazione del detto "Tira più un pel di...", flirta senza dignità con la sua attentatrice, anche se a volte il suo interesse cade più sul tenebroso emo che sulla tipa che voleva ucciderlo. Una delle poche parti in cui la sua presenza prende colore.
Kylin Zhang
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Kylin Zhang, anche detto il tenebroso emo, è l'unico “saputo” in mezzo alla banda bassotti e mi chiedo come ci sia finito. Sa cosa deve fare, quando farlo e come farlo. Picchia per bene, usa poteri magici, svolazza come pochi, mostra i pettorali, e ne sa più di tutti loro messi assieme. Niente per niente è della famiglia Zhang!
Wu San Sheng
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Lo zio è quello che rispetto agli altri ne sa di più, ha più esperienza ma anche lui in quanto a fantasticherie non scherza. In una scena pensa insieme al genio del nipote che Kylin abbia fatto delle cose assurde persino rispetto a tutte le capacità mostrate. Merita però più rispetto degli altri solo perché li tratta tutti malissimo. Uno di noi insomma.
Wang Pang Zi
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Mr fatty è l'unico che ha un atteggiamento furbo e che dà un po' di pepe ai dialoghi. Spesso è proprio lui ad aprire gli occhi, o consigliare Wu, che sennò resterebbe lì a boccheggiare come un pesce che annaspa e pensa alla prossima tinta sbagliata da fare.
Il cagasotto. Penso mi scuserà se non ricordo affatto il suo nome ma la sua presenza era così disturbante che saltavo ampiamente quando potevo.
Haimé si tratta SOLO della prima parte della storia che riprende il primo libro, quindi ho visto solo l'introduzione alla megastoria di Wu e compagni. Devo decidere se essere entusiasta o meno.
VOTO:5,5
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itisanage · 5 years
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Come interrompere le “narrazioni”?
Come interrompere le “narrazioni”? Il tema, per me, è: basta con le “narrazioni”. In che senso? Sui fatti sociali, o su ciò che ne resta dopo la scorpacciata che ne fa il sistema della rappresentazione cosiddetta mediatica (social, scritta, tv, in immagini ecc.), grava la cappa della “narratività”. La riduzione a racconto, intreccio, trama, sviluppo (perché una trama si sviluppa? Perché la narrazione avrebbe tra le sue doti principali quella di districare l’intrigo che costituisce la realtà degli eventi che si presentano all’esperienza dell’uomo, singolo o in comunità). Sono forme del tempo, perché tutto ciò, per dispiegarsi, ha bisogno di sequenze, di passaggi che occupano una certa quantità di tempo, lo avvolgono e si fanno avvolgere. Basta riprendere il Paul Ricoeur di Tempo e racconto (o forse l’Agostino delle Confessioni – meno J.-J. Rousseau per il quale la confessione è una sorta di velo gettato sugli eventi... appunto per dissimulare ciò che va dissimulato perché insostenibile) per descriverne la struttura. Semplificando: c’è un tempo esterno e uno interno (Husserl); il primo è preso nelle trame del secondo che agisce nella segreta speranza di addomesticarlo, di ridurne la latente insensatezza, di portarlo alla dimensione linguistico-simbolica, essenziale tratto ontologico dell’uomo.
Se questo è, grosso modo, il quadro entro cui nasce l’attenzione sulla dimensione narrativa dell’esistenza (è l’impegno teorico di Paul Ricoeur), ben diverso è quello che ci viene presentato dagli usi, e dagli abusi, che oggi la società dello spettacolo fa di questa necessità antropo-ontologica dell’uomo.
Intanto scompare, nelle forme diverse e cangianti delle diverse tecniche comunicative, ogni riferimento all’ontologia: narriamo gli eventi perché accadono e lo strumento linguistico diventa ciò grazie al quale gli eventi si presentano all’esperienza umana, ma non la fecondano né tantomeno ne arricchiscono la trama. È come se le strutture narrative parlano per sé stesse e di sé stesse e non degli uomini come esseri parlanti. È ciò che s’intende quando si dice che non parli una lingua ma è la lingua che ti parla. È il meccanismo delle serie tv: la realtà, o ciò che ne rimane, entra nella narrazione e la narrazione entra nella realtà; lo spettatore, per il tempo in cui assiste al canovaccio narrativo, ha l’impressione di entrare e uscire dalla realtà stessa senza mai neppure uscire da sé stesso. Questo è l’attuale vero intreccio narrativo, e sostanzialmente manipolativo. A questo meccanismo mira la politica, qualsiasi politica, e ad esso fa riferimento per strutturare la propria azione e le opzioni di governo della realtà che ne conseguono.
In questo viluppo non ci sono reali divergenze tra coloro che raccontano storie diverse. A nessuno fa comodo la platonica uscita dalla caverna e al cittadino viene presentato un teatro d’ombre e solo su quest’ultimo è chiamato ad esprimersi.
Naturalmente non c’è Verità alcuna in gioco. La verità si costruisce di volta in volta; è un rapporto di forza sempre componibile e variabile nelle forme e nella durata. Le istituzioni e la democrazia stessa (per altro ab origine interessata alle conseguenze del mito della caverna, quindi tutt’altro che trasparente nella sua stessa costituzione e mai fino in fondo aderente ai suoi stessi principi, quindi sempre sul punto di essere confutata) perdono qualsiasi rapporto con la realtà.
Il sistema, però, incontra oggi un suo limite esterno in ciò che rimane della “natura”. L’attuale discorso ecologista, con tutte le sue infinite variazioni, è totalmente immerso nella finzione narrativa. Ma occupandosi del limite esterno tra rappresentazione e realtà, o almeno alla faglia dove si incontrano, si affida al discorso scientifico solo e non prima di averne depotenziato gli effetti di realtà che ancora esso contiene, se non come sapere teorico almeno come sapere tecnico. La procedura scientifica, il metodo scientifico, nella sua dimensione dubitativa, verificazionista o falsificazionista, poco importa, viene abbandonata a sé stessa e al suo posto viene introdotta una “narrazione” senza possibilità di verifica alcuna. L’opinione pubblica non sa assolutamente nulla di clima, variazioni, cicli temporali, insomma della complessa catena di cause in atto che “coinvolge scale spaziali che vanno dalle poche decine di metri all’intero pianeta e scale temporali che vanno da pochi anni (El Niño) alle grandi ere geologiche”. In questo caso l’effetto narratologico è piegato a un interesse esterno alla dimensione verificazionista (falsificazionista) del discorso scientifico. Si parla a nome dell’umanità; delle generazioni future; dei loro destini, come se l’umanità stessa non fosse coinvolta dallo stesso discorso scientifico, come se non ne fosse il soggetto stesso, oltre che l’oggetto. Se dovessimo riprendere la riflessione di Jürgen Habermas in Conoscenza e interesse (1973) oggi è proprio il discorso ecologista, con la sua estenuante necessità di “narrazione” a rappresentare il più serio e importante attacco alla capacità dell’umanità di evolvere e migliorare la propria presenza sulla terra. Consegnandosi a procedure opache, a narrazioni slegate dal dato conoscitivo completo, assumendo un punto di vista parziale, l’attuale azione ecologista si muove su un terreno non verificabile e ne diventa l’attore principale, per la convenienza di una parte del sistema produttivo, capitalista, credo di poterlo chiamare senza ulteriori sfumature valutative, a realizzare un mutamento di paradigma produttivo che non deve essere messo in discussione.
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weirdesplinder · 5 years
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In libreria
Post dedicato alle uscite interessanti, a mio giudizio, che potete trovare in libreria. 
Partiamo con un romanzo storico ambientato in Australia. Non l’ho ancora letto, ma mi attira parecchio la trama perciò ho voluto sgnalarlo anche a voi:
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La moglie del cacciatore di perle
di Dhand Roxane
Trama: Una terra lontana. Un marito pericoloso. Un amore proibito.
È il 1912 quando la diciannovenne Maisie Porter guarda l'Inghilterra svanire in lontananza dal parapetto dell'Oceanic. Si appresta a un lungo viaggio verso Buccaneer Bay, nello sperduto nord-ovest dell'Australia, e verso l'incerto destino che l'attende: ovvero il matrimonio con il lontano cugino Maitland Sinclair, che lei non ha mai visto e che gestisce la ricerca delle perle in quel tratto di costa. Quando Maisie arriva, si ritrova in una sonnolenta cittadina nel mezzo del nulla, dove l'ipocrisia vittoriana che credeva di essersi lasciata alle spalle è più soffocante che mai. Delusa dal comportamento odioso del marito, misogino e arrogante, si ritroverà con l'unico conforto dell'affascinante pescatore William Cooper, che lavora per Sinclair: è lui il vero «cacciatore di perle», nonostante Sinclair si spacci per tale. È lui che si tuffa in mare per compiere ogni volta l'incredibile impresa di arrivare nelle acque profonde col solo aiuto dei polmoni, e portare alla luce le meraviglie che l'oceano nasconde. Ma l'amore che sboccia fortissimo tra Maisie e William troverà molti ostacoli... soprattutto quando scopriranno insieme il segreto terribile che Sinclair nasconde nel proprio passato.
Poi vi segnalo anche un uscita paranormal, si tratta di un romanzo breve di Deborah Harkness ambientato nello stesso universo della sua acclamata Trilogia delle Anime, che approfondisdce un personagio secondario della stessa serie. Ve lo consiglio solo se avete amato quella serie alla follia, poichè in realtà il libro è piuttosto deludente non aggiunge molto e non approfondisce molto, al punto che quasi mi son chiesta cosa lo ha scritto a fare se poi non mostra secondo me punti cruciali della vita di quel personaggio... mah. Comunque meritava una menzione. Così come la serie televisiva inglese dedicata alla Trilogia della anime che ho visto in lingua originale e che mi ha deluso pure lei parecchio. Molto lenta e anche lei si sofferma su cose secondo me inutili. Boh.
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Il figlio del tempo
Autore: Deborah Harkness
Trama: Si può, per amore, rinnegare la propria natura? Restare giovani per sempre, sfuggire alla tirannia del tempo: essere un vampiro vuol dire anche questo, e quando Matthew de Clermont fa la sua bizzarra e inquietante proposta al giovane Marcus - diventare, come lui, un non-morto - sta facendo molto più che salvargli la vita sul campo di battaglia. Gli sta offrendo l'opportunità di sconfiggere il tempo. È la fine del Settecento, e Matthew incontra il giovane chirurgo Marcus in piena Rivoluzione americana. Da quell'incontro provvidenziale comincia il suo viaggio nella storia e nell'eternità, sotto lo sguardo amorevole di Matthew e Diana, sua moglie e strega immortale, che lo considerano un figlio: è stato Matthew, in fondo, ad averlo fatto "rinascere". Ma diventare un vampiro vuol dire lasciarsi indietro una parte di sé, e liberarsi dalla mortalità significa rinunciare a ciò che, in fondo, ci rende umani. Due secoli dopo, a Parigi, sarà questo il tormento di Phoebe: umana, innamorata perdutamente di Marcus, dovrà decidere se accettare la meravigliosa e dolorosa transizione, e diventare vampira per seguire il suo cuore.
Altro libro paranormal che nomino e che ho appena scoperto, ma che è un paranormal horror è Nos4a2 che ho conosciuto grazie alla serie tv che ha ispirato e che va in onda su Amazon Prime video.
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NOS4A2 Ritorno a Christmasland
Autore: Joe Hill
Trama: Victoria McQueen ha la stupefacente capacità di trovare le cose: un braccialetto smarrito, una foto persa, risposte a interrogativi che non hanno soluzione. Quando passa con la sua bicicletta sul vecchio e traballante ponte coperto nei boschi dietro casa sua, emerge sempre nel posto in cui deve andare. Vie tiene segreta questa sua insolita abilità, perché sa che nessuno le crederebbe. Anche Charles Talent Manx ha una dote tutta sua. Gli piace portare in giro i bambini sulla sua Rolls-Royce del 1938 con la targa personalizzata NOS4A2. A bordo della macchina, lui e i suoi innocenti passeggeri possono uscire dalla realtà e percorrere strade segrete che portano a uno straordinario parco dei divertimenti che lui chiama Christmasland. Chilometro dopo chilometro, il viaggio sull'autostrada dell'immaginazione distorta di Charlie trasforma i suoi preziosi passeggeri, rendendoli terrificanti e inarrestabili quanto il loro "benefattore". Poi viene il giorno in cui Vic esce per cercare guai... e inevitabilmente la sua strada incrocia quella di Charlie. Questo è stato molto tempo fa. Ora l'unica ragazzina che sia riuscita a sfuggire al male implacabile di Charlie è diventata una donna che cerca, disperata, di dimenticare. Ma Charlie Manx non ha mai smesso di pensare all'eccezionale Victoria McQueen e non si fermerà finché non avrà avuto la sua vendetta. Vuole dare la caccia a qualcosa di molto speciale, qualcosa che Vic non potrà mai sostituire. 
Io amo un genere di paranormal diverso più personale, con magia, o vampiri o licantropi...più vicino al fantasy. Qui invece siamo più vicini alle atmosfere di Stephen King. Perciò se amate quel genere direi che fa per voi.     
Per concludere non potevo non consigliarvi anche il mio nuovo romanzo come lettura estiva. Su tratta di un romanzo rosa contemporaneo con protagonisti due cantanti che partecipano a X Factor:
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Piccola vipera
Autore: Mariachiara Cabrini       
Trama: Fin da piccola Roxanne ha avuto un unico sogno: diventare una cantante famosa. Ora è una giovane donna sicura di sé, impulsiva e temeraria che ha fondato persino una rock band per raggiungere lo scopo, ma tutto cambia quando incontra in un negozio di musica gli occhi verdi di Jessie. Di solo un anno più grande di lei, anche lui condivide il suo stesso sogno e lo insegue con altrettanta tenacia. I due sono così simili che finire per innamorarsi è inevitabile per entrambi. Quando cantano insieme creano una magia unica e sono convinti di essere inarrestabili. Ma la dura realtà li metterà davanti ad un bivio, Jessie compirà una scelta di cui si pentirà amaramente, e Roxanne ne pagherà le conseguenze. Una delusione d’amore a diciassette anni non dovrebbe fare così male, ma Roxy non è come tutte le altre ragazze della sua età. Quel dolore la plasmerà e la spronerà ancora di più a raggiungere i suoi obbiettivi, ma anche Jessie non è tipo da arrendersi e quando desidera qualcosa è disposto a tutto pur di ottenerla. Negli anni le loro strade si incroceranno più e più volte, ma sapranno finalmente mettere da parte orgoglio e ambizione per amore?
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peccatidipenna · 6 years
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Una ragazza riservata di #KateAtkinson @editricenord uscita prevista per il 7 marzo. #TRAMA Londra, 1981. Una donna giace sull’asfalto. È stata investita mentre attraversava la strada, proprio il giorno del suo ritorno in Inghilterra, dopo anni passati all’estero. Un tragico incidente, che presto verrà dimenticato da una città in fermento per il matrimonio del secolo. O forse non è stata una casualità. Perché quella donna era depositaria di tanti, troppi segreti. Londra, 1940. La diciottenne Juliet Armstrong viene reclutata dai servizi segreti per un lavoro all’apparenza semplice: sbobinare registrazioni. In realtà, si tratta di un compito delicato, perché quelle registrate sono le conversazioni tra un agente infiltrato e un gruppo di cittadini inglesi simpatizzanti del Reich. Per il governo, è essenziale individuare e tenere d’occhio una potenziale quinta colonna filonazista in patria. Soprattutto ora che Londra è il bersaglio delle bombe tedesche. Dapprima disorientata, Juliet s’immerge sempre più in un mondo all’apparenza innocuo, eppure in cui ogni gesto, ogni parola è ambigua e pericolosa. E dopo alcune settimane ha l’occasione di mettersi alla prova come agente operativo, in una rischiosa missione sul campo. E nulla andrà come previsto. Londra, 1950. A cinque anni dalla fine delle ostilità, la crisi economica e le conseguenze della guerra opprimono ancora il popolo inglese. Juliet lavora per la BBC, allo sviluppo di programmi d’intrattenimento per sollevare lo spirito degli ascoltatori. Ma anche per lei è difficile liberarsi del passato, che riemerge nella forma di un messaggio lasciato sotto la porta di casa: Pagherai per quello che hai fatto. Dopo tutto quello che è successo dieci anni prima, Juliet non è sorpresa. E riprende contatto con alcune conoscenze del tempo di guerra, che però non le sono di nessun aiuto. Anzi, un uomo misterioso la coinvolgerà ancora una volta in una missione segreta. La scacchiera è sempre la stessa, ma è cambiato uno dei giocatori: non più la Germania nazista, bensì l’Unione Sovietica. —— Ebook 9,99€ Cartaceo 18€ Pag. 356 —— #libri #pubblicazioni #leggere #leggeremania #narrativa #letture #peccatidipenna https://www.instagram.com/p/BuqpAGDntSm/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=yw7qkk92zcvo
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pangeanews · 5 years
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La rivista più bella del mondo si chiamava “Minotauro” (e Michel Leiris era il suo torero)
Avrei voluto fondare due riviste, nei cui riguardi porgo una dedizione ingenua, infantile, non del tutto ingiustificata. Il genio genuino di queste riviste è esplicito fin dal titolo, dalla bellezza grafica, gratuita, dalla periodicità sporadica, dal destino – come un gioco di prestigio – di una illusoria costanza. Queste riviste esplodono – cioè: nascono con l’intento di sparire. La prima si chiama The Enemy, Il Nemico, dura tre numeri, dal 1927 al 1929, ed è il parto diabolico di Wyndham Lewis, l’organo antididattico con cui il grande scrittore – direttore, redattore, grafico: insomma, dittatore – si vendica di tutti, ex amici ed ex amanti, marginalizzato da tutto. Una rivista come atto d’urto, volontà di rabbia, palestra suicidale, che bello.
*
L’altra fu organica all’oltranza, organizzata intorno all’onirico, degna autopsia del mostro sul lettino. Si chiama Minotaure, fu pubblicata a Parigi dal 1933 al 1939, durò 13 (ma un paio sono doppi) memorabili numeri, con illustratori d’inclassificata grandezza. Per intenderci, la copertina del primo numero è pittata da Picasso – esperto nell’arte di ritrarre minotauri – il sesto lo ha pensato Marcel Duchamp, l’ottavo Salvador Dalí, quello dopo Matisse, quello dopo ancora Magritte. L’editore, Albert Skira, foraggiava la promiscuità tra arte figurativa e letteratura – su quell’incrocio ‘mostruoso’ guadagnava bene, in effetti. Minotaure – evoluto spin-off di Documents, il periodico fondato nel 1929 da Georges Bataille – accoglieva per programma l’irrazionale, a pezzi d’arte s’alternavano saggi psicoanalici, pappe antropologiche, regesti onirici. Se il Surrealismo fu la Sfinge, Minotaure bombardò il labirinto, liberando il mostro, che danza. Vi scrissero, tra i vari, l’onnipresente Breton, Pierre Reverdy – di cui occorre rinverdire il ricordo, prima o poi –, Paul Eluard, Giorgio De Chirico, Valéry, Antoine de Saint-Exupéry, Pierre-Jean Jouve, Roger Callois, Jacques Prévert…
*
Tra nemici e minotauri sto meglio, accudito nella mia bestialità di fogna, che tra Caffè, Politecnici, policlinici dell’intelletto, Verri, tedio vociano, argomenti che dovrebbero essere nuovi e nascono morenti.
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In fondo, Minotaure s’inscrive nel desiderio della letteratura occidentale da Conrad in qua: scatenare il mostro dal labirinto della ragione, elevare il selvaggio a re, sbrogliare il desiderio dall’atto, agire per furia d’istinto, levare dai ceppi l’animale che mi porto dentro. I russi non avevano questo problema: per loro – in prossimità d’Asia – il punto non è galvanizzare l’Io nell’Altro, nella bestia che è in me, ma annientare l’Io in Dio.
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Il secondo numero di Minotaure, illustrato da Gaston-Louis Roux, giugno 1933, è dedicato alla mitica “Mission Dakar-Djibouti”, coordinata da Marcel Griaule, etnologo di genio – leggetevi il bellissimo Dio d’acqua –, con lo scrittore Michel Leiris al seguito, in qualità di “segretario-archivista”. La spedizione parte il 31 maggio da Dakar, Senegal, si installa tra i Dogon, passa per Congo, Etiopia, Massaua, Addis-Abeba. I nostri atterrano a Marsiglia il 17 febbraio 1933. Testimoniando quel viaggio, Leiris scrive un certo numero di articoli su Minotaure, ma soprattutto il primo grande libro, L’Africa fantasma (1934), diario di bordo, confessionale, esorcismo letterario, feticcio.
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Morto nel 1990, Michel Leiris è uno dei tanti Minotauri dimenticati dalla cultura nostra, devota alla buona educazione – cioè: non leggete, comprate –, nel labirinto del tempo che fu. Peccato: è un autore corrosivo e corroborante, che rompe la prassi formale e inquina la cristalleria sentimentale. Naturalmente, in Francia lo trattano come un Prometeo: il suo capolavoro, la quadrilogia autobiografica pubblicata tra 1948 e 1976 con il titolo complessivo “Le Règle du jeu”, è relegato nella ‘Pléiade’ Gallimard, è un classico. Lo era anche per noi: il primo tomo del ciclo, Biffures, fu edito da Einaudi nel 1979 per la cura di Guido Neri; il secondo, Fourbis, con il titolo Carabattole, è edito da Einaudi nella ‘Nue’ nel 1998. Gli altri due, fregandosene del diritto della completezza, del buon lavoro culturale, cioè Fibrilles e Frêle bruit, sono ancora inediti, d’altronde, a chi interessano?
*
In realtà, un’era fa Leiris era oggetto di strepitoso interesse. Andrea Zanzotto traduce Età d’uomo – un tempo in catalogo Mondadori –, negli Ottanta “Il Verri” lo omaggia con un numero speciale e fottio di firme, da Sanguineti a Guglielmi, da Neri a Zanzotto. Carabattole è adornato da un saggio di oltre 70 pagine di Ivos Margoni che ci ricorda costantemente l’inesauribile spregiudicatezza linguistica di Leiris (“Le Règle du jeu è senza dubbio uno degli sforzi più coerenti e organici che siano mai stati compiuti per piegare la propria esistenza agli esiti eticamente positivi dell’autoanalisi, ma il suo paradosso maggiore consiste nel fatto che per chi ne è l’autore essa è anche, nella realtà del suo farsi e del suo essere, la più dura testimonianza del fallimento della ‘confessione’ autoterapeuticamente intesa”). D’altronde, l’ala dell’edizione Einaudi è letale: Carabattole è detto “libro-confessione folgorante come i Saggi di Montaigne, maniacale e analitico come la Recherche, spietato come i Ricordi del sottosuolo di Dostoevskij”. Mancano soltanto i fuochi d’artificio. C’è da chiedersi se, artificiosamente, fossero tutti cinici e fasulli allora o siamo cretini ora, avendo barattato l’oro letterario per lo specchio per allocchi (i lettori). Pendo per la seconda.
*
“Tutta la mia vita è negativa; non ho desideri ma timori; non l’idea positiva di una missione da compiere (un messaggio da portare) ma solo tabù; non disperazione ma noia; non amici ma relazioni; non piaceri ma distrazioni; non orgoglio ma amor proprio; non costanza ma inerzia; non disinteresse ma inappetenza; non credenze ma superstizioni; non rivolta ma incapacità di adattamento; non eleganza ma correttezza; non generosità ma indifferenza… Paura di tutto, voglia di niente… Muscoli molli, testa molle, sesso molle…”, scrive Leiris nel suo diario – edito da Gallimard nel 1992. Naturalmente, è seduzione al negativo, necessità di distruggersi, teatro – Leiris non sta nel covo delle mura domestiche: al viaggio africano seguono gite di studio nelle Antille, in Cina, in Giappone, dove c’è l’estremo, l’intoccabile, il selvatico –, risolto con frasi sontuose e concetti aforistici propri di una muscolare vanità.
*
Carabattole, molto banalmente, è un libro mirabile, che ambisce a dissotterrare il delirio – “al di sotto della trama cosciente del mio libro… si svolge una trama che ignoro o di cui intravvedo soltanto qualche bazzecola grazie ai capricci di un’immagine o di una reminiscenza” – con uno stile da stilita dell’ego. “Mondo della veglia, mondo del sonno: entità ben distinte che, come due parallele, sono fatte per rimanere fianco a fianco, ma senza incontrarsi mai… Solo alcune luce affermavano che non tutto era assolutamente addormentato in quel mare sul quale noi eravamo un isolotto di veglia”. Magnetiche le pagine dell’amore africano per Khadigia, che a Leiris “appariva come una maga – o un demone del meriggio o addirittura come Lilith, la donna spettro nata da una polluzione di Adamo quando Dio non gli aveva dato ancora una compagna”. In una scena, i due pisciano insieme, “io in piedi e lei che accosciata dava la stura nel buio ai grossi getti del liquido che aveva ingerito in ragguardevole quantità… Più che un piacere perverso, credo che in quel totale abbandono del riserbo che sempre sussiste fra un uomo e una donna (per quanto intima sia la loro unione) io provai la contentezza di un momentaneo ritorno allo stato di natura e anche quell’impressione di toccare il fondo che mi aveva inebriato quando nella più segreta intimità Khadigia aveva trovato la prova non tanto della nostra comunione quanto del dileguarsi dei limiti delle nostre due persone sotto la schiuma delle fluttuazioni organiche più elementari”. Sano senso del corpo, estasi ingenua, biologia che brama l’estetica.
*
Michel Leiris firma nel 1938 un saggio sulla tauromachia (in Italia edito da Bollati Boringhieri come Specchio della tauromachia). “Nel passaggio di tauromachia il torero, con le sue evoluzioni calcolate, la sua scienza, la sua tecnica, rappresenta la bellezza geometrica sovrumana, l’archetipo, l’idea platonica. Questa bellezza tutta ideale, atemporale, paragonabile soltanto all’armonia degli astri, è in relazione di contatto, di sfioramento, di minaccia costanti con la catastrofe del toro, sorta di mostro o corpo estraneo che tende a precipitarsi in dispregio di tutte le regole, come un cane che rovesciasse i birilli d’un gioco ben allineato quali le idee platoniche”. Minotauro e labirinto si legano come l’ordine e la sua sovversione, ma “Nessun piacere estetico è dunque possibile senza che ci sia stupro, trasgressione, superamento, peccato, relativamente a un ordine ideale che funge da regola”. Occorre uccidere il Minotauro per risolvere il labirinto in grido? Oggi, in letteratura, si ha paura del labirinto, del Minotauro, di chi, come Leiris, sa aggiogarlo, sa cavalcarlo. (d.b.)
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levysoft · 4 years
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Il remake di Battlestar Galactica realizzato da Ronald D. Moore è considerato ancora oggi, a più di quindici anni dalla sua uscita, una delle migliori serie di fantascienza mai realizzate. Pur basandosi su un concept originale che non ha mostrato il suo pieno potenziale con la prima incarnazione, Battlestar Galactica 1978, Battlestar Galactica ha beneficiato non solo dell’ottimo lavoro di Moore e soci nella realizzazione di una trama profonda e ricca di spunti, ma anche della creazione di una serie di spin off e film ‘paralleli’ che hanno dato ancora più profondità a questa incredibile storia di fantascienza.
Battlestar Galactica: l’universo oltre la serie
Senza andare a scomodare la breve serie di romanzi usciti al termine della serie, e che gettano luce su altri momenti della serie, sono le serie spin off e i due film usciti in concomitanza con la serie ad essere centrali nell’espandere l’universo di Battlestar Galactica. L’odissea spaziale dell’umanità in fuga dai Cyloni, per quanto ben raccontata dalle quattro stagioni della serie, aveva trattato in modo rapido e nebuloso alcune linee narrative, lasciando gli appassionati con la curiosità di scoprire ulteriori dettagli della trama.
E una simile voglia di avventurarsi nuovamente nell’universo di Battlestar Galactica non poteva rimanere inascoltate, motivo per cui vennero realizzati i due film e gli spin-off
Blood and Chrome
The Plan
Razor
Caprica
Blood and Chrome
Una serie che funge da prequel a Battlestar Galactica 2004. Ambientata durante il decimo anno della Prima Guerra dei Cyloni, questa webserie si concentra sulla figura del giovane tenente William ‘Husker’ Adama, che dopo il suo diploma all’Accademia viene assegnato alla BSG-75, la Galactica.  Arrivato a bordo della nave da battaglia, Adama viene assegnato come pilota di un Raptori, prima di vedersi assegnata la sua prima missione: scortare una scienziata verso le linee nemiche per testare una nuova, devastante arma.
Tra scontri, visione cinica del conflitto e delle necessarie black ops e una morte quasi certa, Adama viene per la prima volta in contatto con la realtà della guerra con i Cyloni. Al termine di questa missione segreta, avrà finalmente l’occasione di sedersi dietro la cloche di un Viper e diventare uno dei piloti di punta della Battlestar Galactica.
Quando si trattò di realizzare questa serie, il primo pensiero degli sceneggiatori era quello di ricreare il più fedelmente possibile il Galactica del periodo bellico. Nella serie, infatti, lo si vedeva dopo anni di pace, oramai datato e prossimo al disarmo, mentre per Blood and Chrome avrebbe dovuto apparire come una macchina da guerra in perfetta forma.
Nel 2010, quando venne annunciata la serie, il produttore esecutivo Michael Taylor, confermò si sarebbero usate delle scansioni digitali dei set e e delle ambientazioni del Galactica realizzate prima dello smantellamento dei set, in modo da ricrearla il più fedelmente possibile
“Ho visto la versione virtuale in 3D del centro di comando del Galactica ed è impressionante. E la miniserie non è confinata al solo Galactica. Si tratta di una storia che ci porterà ad esplorare altri aspetti del mondo di Galactica, mirando ad essere una storia di guerra moderna. Direi che possiamo vederci richiami a scenari di guerra come Iraq e Afghanistan”
Pensato inizialmente come un film prequel, alla fine venne deciso di trasformare Blood & Chrome in una webserie in dieci episodi, che venne presentata in anteprima su Machinima, salvo poi venire inserita nei contenuti extra delle edizioni da collezione della serie di Battlestar Galactica.
Blood and Chrome è un prequel che ribadisce il tono serio e disincantato della guerra in Battlestar Galactica, dandoci una visione del passato di Adama, utile per comprendere le decisioni e gli atteggiamenti del futuro ammiraglio della Battlestar Galactica.
The Plan
Una delle caratteristiche di Battlestar Galactica è la sua profondità narrativa, che nel corso delle quattro stagioni si sviluppa in modo da offrirci una visione di tutti i differenti punti di vista in azione, dagli umani ai Cyloni. Tuttavia, proprio in relazione ai sintetici rimanevano alcune perplessità in merito alle loro azioni,che parevano contrastanti rispetto al disegno complessivo della loro missione.
Al centro di The Plan non ci sono gli umani, ma la visione di alcuni dei Cyloni impegnati nell’infiltrarsi nella comunità umana. Grazie a questo film, abbiamo modo di sondare le intenzioni di alcuni dei Cyloni, rivedendo parte degli eventi centrali della serie focalizzandosi sulla percezione dei sintetici, dandoci una nuova prospettiva della serie.
Come ha detto Edward James Olmos, interpreta dell’ammiraglio William Adama e co-regista di The Plan, vedere questo film
“Quando i fan di Battlestar Galactica vedono The Plan, devono assolutamente vedere tornare all’inizio e rivedere l’intera serie”
Premessa intelligente, visto che al centro di The Plan abbiamo la figura di John/ Cavill, il Cylon interpretato da Dean Stockwell che nella serie ha un ruolo machiavellico, ma il cui ruolo viene specificato dallo sceneggiatore Ryan Mottesheard:
“John/Cavill è il solo a conoscere gli Ultimi Cinque perché ne ha corrotto la programmazione degli altri sei modelli in modo da impedire loro di parlare dei Cinque o anche di mettersi alla ricerca della loro identità. Ovviamente, qualora lo avessero fatto, la sua casa di carte sarebbe crollata, motivo per cui ha imprigionato D’Anna”
The Plan consente, quindi, di addentrarsi all’interno della fitta rete di pianificazioni ordite da John/Cavil, comprendendo alcune dinamiche apparentemente fragili (il ritrovamento di Ellen Tigh, l’attentato ad Adama o la distruzione della Resurrection), dando ai fan della serie una nuova chiave di lettura dell’intera serie.
Razor
Razor è un film nato, inizialmente, per poter presentare un prodotto semi indipendente, pensato per arrivare direttamente nel mercato home video. A curarlo sarebbe stato nuovamente Ronald D. Moore, che si trovava quindi a dover realizzare una storia che fosse parte della continuity di Battlestar Galactica, ma che al contempo raccontasse nuovi aspetti di questo universo narrativo.
Potersi rivolgere direttamente al pubblico domestico, consentì di aggirare una delle caratteristiche di Sy-fy, il canale su cui era trasmesso Battlestar Galactica: la censura. L’emittente era molto attenta a limitare contenuti violenti e sessualmente espliciti, ma rivolgendosi ad un target differente queste limitazioni vennero meno.
Considerato il finale della terza stagione di Battlestar Galactica, Razor doveva collocarsi in una posizione all’interno della continuity che fosse compatibile non solo con quanto già narrato, ma anche con gli sviluppi futuri. Una regola che non sfuggì a Moore:
“Non c’era modo di realizzare un contenuto home video che potesse essere autonomo e anche essere integrato nella continuity della serie. Doveva, quindi, essere per forza ambientato prima del cliffhanger della terza stagione”
Fortunatamente, i fan avevano già dimostrato di aver apprezzato delle figure carismatiche che divennero un punto di partenza per lo sviluppo di Razor, e Moore non si fece scappare questa occasione, trasformandola in un punto di partenza da cui si sarebbero poi dipanate le trame future:
“Una delle linee narrative che tutti hanno amato era quella della Pegasus e del personaggio dell’Ammiraglio Cain, così decidemmo di iniziare da qui. Gli eventi raccontati in Razor, pur accadendo nel passato, avrebbero trovato pieno compimento nella quarta stagione”
Per dare spessore a questo racconto in flashback, Moore decise di raccontare anche eventi legati alla prima Guerra dei Cyloni. Occasione perfetta per inserire all’interno della narrazione di Battlestar Galactica la presenza dei Cyloni conosciuti nella serie originale, espediente adottato sia per omaggiare il lavoro di Larson che per dare un senso di passaggio del tempo tra gli eventi del presente e la guerra che ha forgiato questa divisione tra umani e sintetici.
Razor diventa quinti un punto di svolta per il mondo di Battlestar Galctica. Dopo avere mostrato durante la serie la diversità di azione e approccio alla guerra di Adama e Cain, Razor si addentra nel mostrare le origini di questa divergenza, raccontando un evento della Prima Guerra dei Cyloni che ha visto entrambi protagonisti.
Moore si avventura in profondità nell’animo dei protagonisti, mostrandol’idealismo del ‘buono’ contrapposto alle esigenze della guerra e delle necessità contrapposte all’onore militare. Non a caso, Lee Adama viene messo al comando della Pegasus, dove il comando perentorio e adamantino di Cain ha portato alla creazione di un regime militare inflessibile, con diverse tragedie sul proprio cammino.
Razor è rilevante anche per il riferimento al mito cylone dell’ibrido, una figura che avrà un ruolo essenziale nel finale della serie.
Caprica
In Battlestar Galactica si parla spesso della Prima Guerra dei Cyloni, che rimane relegata ad un ricordo di coloro che la hanno combattuta, come Adama e Tigh, o avere segnato il modo di concepire l’intelligenza artificiale del popolo delle Dodici Colonie. Durante a lavorazione della seconda stagione di Battlestar Galactica, Moore e David Eick iniziarono a teorizzare come sarebbe potuto essere la società delle Dodici Colonie prima delle Guerre dei Cyloni.
Occupati dal portare a compimento la serie, i due non ripresero il progetto sino a quando, nel 2006, alla Universal non venne proposta una serie di fantascienza basata sull’intelligenza artificiale. L’idea presentata da Remi Aubochon non diede sicurezza per lo sviluppo di un film, ma si ritenne che fosse valida per sviluppare una serie, coinvolgendo Moore ed Eick.
Dopo aver mostrato l’umanità in lotta con i Cyloni, gli sceneggiatori ebbero dunque l’occasione di dare vita ad un prequel che raccontasse il come si fosse arrivati a questa divisione. Ambientato cinquant’anni prima delle Guerre Cyloni, Caprica mostra una civiltà umana fiorente e al proprio apice, in cui uno scienziato, Daniel Graystone, utilizza le proprie conoscenze scientifiche per creare un surrogato della propria figlia perduta. Nella sua ossessione, incrocia la strada dell’avvocato Joseph Adama, figura appartenente alla classe meno ricca della società e con notevoli legami con la criminalità.
Pur condividendo con Battlestar Galactica lo stesso universo narrativo, Capricaha un approccio differente. Non essendo focalizzata sulla guerra ma sul racconto di una società florida, la serie mirava ad esser un punto di ingresso ideale per nuovi fan, soprattutto rivolgendosi ad un target di spettatrici che poteva non avere particolare interesse per una serie di guerra. Il risultato, per quanto promettente e ricco di ottimi spunti, non riuscì a convincere, e la serie si concluse dopo una sola stagione.
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