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#lista film anni venti
oubliettemagazine · 2 years
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Il cinema degli anni Venti: i 30 capolavori del decennio
Il cinema degli anni Venti: i 30 capolavori del decennio
Facciamo un ulteriore salto temporale all’indietro, in questa serie di “bignamini” sulla Storia del Cinema che da un po’ di tempo a questa parte vado elaborando sulle pagine di “Oubliette”, e occupiamoci oggi del cinema degli anni Venti del Novecento. Cinema anni Venti Nella Storia della “Settima Arte” gli anni Venti sono soprattutto ricordati per l’introduzione del cinema sonoro, avvenuta nel…
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plassocean · 2 years
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Di seguito, un accozzaglia di cose che ho scritto ma che non ho mai condiviso, spesso perché non mi garbavano e non mi garbano tutt'ora, ma mi è capitato di perdere tante note a cui ero affezionato quindi perché no.
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La vita non è un film
E tu non hai occhi
Dietro la testa
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Ti Stavo
Cercando tra la folla come faccio
ultimamente mi comporto in modo strano
Se sei a meno di passo da me
Non so parlare o forse non ti so parlare
Non sai parlare o forse non ti va di farlo
Sai che non c'è niente da dire
E allora vuoi
So lo ri de re
Vieni a cercarmi proverò a vestirmi strano
E mi farò la barba solo per metà
Dirò cazzate e farò la figura dello scemo
È quella di un pagliaccio la mia anima
Solo per sentirti ridere
La mia anima di pagliaccio
La mia anima di pagliaccio
La mia anima di pagliaccio
La mia anima di pagliaccio (che non vuol crescere)_
Che non vuole crescere
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Ho fatto un incubo
C'erano tutti e mi volevano
Un po' tutti morto
Io che a scappare e rovinare tutto
Batto tutti
Fatto casini senza di te
Perché non sei venuta a prendermi
Vorrei giocarmi una carta
Ma temo di perdere tutto
Io che non so gestire quello che sento
Finisco per pensare ad altro
Ho fatto una serie senza di te
Avevo paura di includerti
Avevo paura di innamorarmi
Adesso ho soltanto paura
Di perderti
(ngap a me volevo scrivere una canzone qui)
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Siamo bravi a consolarci ma
Non sappiamo parlare
Io so solo farti ridere
Con le solite cazzate
A te ancora fa strano aprirti
Ma lo fai sempre con me
Io non piango da due anni
Fumo per tapparmi gli occhi
Ma com'è com'è che ancora mi parli
Ma com'è com'è com'è com'è
Com'è che non ti stanchi con me
Hai provato a dirmi che dovrei smettere
Di fumare ma non so separare
Le cose che mi fanno stare bene
Da quelle che mi fanno scappare
Non ricordo cosa ho risposto ma
Per te di sicuro scapperei
Per tornare a piangere
Fra le tue gambe
Solo per chiedermi
(Ca pur n'altra canzone doveva essere ma appendevo perché le ciofeche sono ciofeche)
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Amore autunnale
Siamo una foglia che cade
Non fa rumore
Ma solo noi sappiamo
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Sono in una stanza col cane che mi guarda, che abbaia, che salta e divertito mi morde la mano e poi la gamba
Lo guardo stranito, indeciso se essere o meno invidioso.
Non sorrido, sono come stanco, ma senza esserlo davvero
Non sto pensando. Evito di pensare perché i pensieri che faccio mi portano ad arrovellarmi, stancarmi ancora di più.
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Io non ti so parlare di me
Se ti ho pensato in questi anni
Che cosa ho fatto è perché
Non so nemmeno salutarti
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Il grande dittatore
Quarto potere
C'era una volta in America
Apocalisse now
2001:Odissea nello spazio
Qualcuno volò sul nido del cuculo
Taxi Driver
Shutter Island
The Wolf of Wall street
Il padrino
Shining
La finestra sul cortile
Psyco
La dolce Vita
Io e Annie
Le ali della libertà
La città incantata
Il castello errante di Howl
Porco rosso
(questa è na semplice lista di film cult da vedere. In realtà ne ho già visto un bel po' ma le ne mancano alcuni. La lascio qui in caso mi dimentichi di finirla.)
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Lo sai che una mia amica mi ha detto
Che quando parlo di te mi accendo
E il mio sorriso è una parentesi
Con te mi piace litigare
Almeno noi non siamo tossici
Se non parliamo siamo equazione
Il tuo sorriso è una parentesi
Ma cert volte siamo da buttare
Cioe ma siamo scemi
Che fumiamo al mare
Siamo sopra i venti
Si, ma sotto i cento
Abbiamo ancora tempo
Per restarci male
Io voglio farlo adesso
Io voglio farlo adesso
Sono sincero
E ti piace
Ma poi ti (fai così male)
Ccio male
Non posso pensare a te
Io devo mettere a posto
Tutte le parti di me
Dò nomi alle mie emozioni
E a certe mie sensazioni
Perché ho paura di me
E dei miei troppi pensieri
Facciamo una cosa a tre
Io e te sul letto coi traumi
La mia paura di vita
Che adesso deeeeeeeeeeeveeeeee fiiiiniiire
Questa doveva essere sempre tip na canzone un po' alla Alex Britti par e pall lo so ma mi diverto a scrivere sti strunzat non me ne vogliate
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Ieri notte sono andato a dormire presto.
"Almeno non ci penso, non ti penso"
Così ho pensato...invano.
Ti ho sognato.
Ancora una volta,
Per la quinta volta.
Ci siete riusciti!
Eri così contenta!
Io invece,
a 100 all'ora su un parabrezza
Che giocavo a non morire,
E non avevo paura di perderti.
Forse volevo solo svegliarmi.
Perché ho voluto sperarci?
Perché lo devo scrivere,
Perché non posso ignorarti?
Se almeno sapessi vivere...
Così almeno saprei viverti.
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Quello di seguito nasce come sorta di monologo, ma troppo corto, quindi boh, una delle mie cose scritte senza troppo senso.
Io cerco l'io, io cerco Dio...
E so che gli altri mi guardano
Bene poi male poi stanchi
Di stare a guardare che nulla si muove
Eppur si muove cosa?
Ricordo ancora Sogni a iosa
In camera voglia di vivere
Ridere e scrivere la storia
Ma scrivere cosa?
Di cosa ormai?
Di una lacrima che non scende?
Che al massimo bagna, s'affaccia
E il tempo che passa
Alla fine si stanca,
E mi stanco pur io,
Certo che mi stanco pur io!
E di che scrivo allora io,
Che cerco l'io e cerco Dio?
E lo so che è banale
una rima baciata
cosi elementare ma
Lasciami vivere un dubbio,
Inseguire uno stupido sogno!
Fai un passo verso di me,
Che io lo faccio verso di te.
Perché si, tu,
Che  ti freghi dell'io
E ti freghi di Dio
Lo so che gli altri ti guardano
Bene poi male poi bene poi male poi stanchi.
Stanchi (è arrabiati) di stare a guardare che non vuoi cambiare
Ma cambiare per cosa!!?
Cambiare per chi?!?!
Lo so che combatti da tempo
in un corpo diverso
Da quello allo specchio.
Faccio un passo verso di te.
Io cerco l'io.
Io cerco Dio.
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Ho fatto un tiro per la paura di piangere
E mi sentivo così piccolo e solo
Così piccolo e triste
Perché non riesco a trovare
Quelle piccole cose
E delle nuove parole
Ho solo colpi di tosse
E paura di te
Io non lo faccio apposta
A farti stare male
Ho mal di testa e paura di annoiarmi ad uscire
E mi spaventa non avere più niente da dire.
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pocrita che sono e mi sento
Se mi fermo e ti guardo.
Sei limpido.
Sei una sigaretta scroccata
Il tabacco che completa una canna.
Sei un clipper
E da che mondo e mondo
O clipper è megj ro bic.
Sei luce fioca per me.
Sei sole per che ti ama
E che se pur nel farlo par nu poc a fess
È perché ha colto quella tua luce
Quella tua bellezza tipica.
Sei la persona che un po'
Sarei voluto essere anch'io
E che forse in fondo un po' sono.
Ma sei ciò che io non sarò mai,
Un grande amico.
Perché io sono un pezzo di merda,
Ma tu si piezz e cor.
(dedicata a un mio amico tanto tempo fa, se la meritava)
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Stai dormendo?
E nel caso,
Ma solo nel caso,
Ci sono anch'io lì?
O meglio,
Avrei potuto esserci?
Se avessi parlato,
Se t'avessi detto
Le cose che ti giuro,
Mi rimbombano dentro...
Anche solo un bacio,
'Na carezza,
Il tempo di una chiacchiera
O una comparsa!
Fioca e veloce
Misteriosa a tratti,
Anche poco memorabile,
Ci potrei-...
...Ci potevo essere?
Magari ci sono e
non potrò mai,
Mai saperlo?
Non c'è bisogno di sapere.
L'ovvio non va troppo sviscerato.
Eppure...!
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Scusa se non mi sono fatto vedere per come sono veramente, se non forse in pochi, piccoli, insufficienti momenti, e dettagli.
Penso davvero che ci siano certe cose di te che mi piacciono tanto, anche quelle che non conosco, se non a parole, o per sentito dire da altri.
Penso davvero che ci siano certe cose di me che possano piacerti tanto. Anche se non le conosci, se al massimo le immagini, ma non sei sicura che ci siano.
A volte sono stupido...
No, anzi, spesso.
Le mie paure, le mie ansie, mi portano a non essere mai me stesso. Ad annullarmi per paura di farmi tremendamente male.
Ma scoprire che semplicemente non combaciamo, che ci annoiamo l'uno dell'altro, o io di te, o tu di me, sarebbe molto più piacevole di non saperlo mai.
Lo so.
Ma a quanto pare
Non ne sono consapevole.
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Ho sonno e non mi sento bien, mi fermo qui
Ma oh, è già qualcosa
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weirdesplinder · 1 year
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Lista di libri con viaggi nel tempo in lingua straniera, Video n. 7
Questo fine 2022 invece dei soliti post dedicati ai libri natalizi o ai riassuntoni di cosa si è letto durante l’anno ho deciso di regalarvi una serie di post e video dedicati ai LIBRI CON VIAGGI NEL TEMPO: 7 video dedicati a 7 gruppi di libri con viaggi nel tempo suddivisi per genere: 1genere fantascientifico-classico, 2narrativa generale, 3 romance, 4 fantascienza di difficile reperbilità, 5 romance di difficile reperibilità, 6 young adult, 7inediti in italiano..
Ormai siamo all'ultimo giorno del 2022 e quindi ecco l'ultimo video dedicato ai viaggi nel tempo e ultima lista di suggerimenti:
-Titolo: A stitch in time Autore: Kelley Armstrong (3 libri)
Link: https://amzn.to/3pENpTe
Trama:   Thorne Manor è sempre stata infestata … e ha sempre perseguitato  Bronwyn Dale. Da giovane, Bronwyn poteva passare attraverso un passaggio  del tempo nella casa della sua prozia, e andare a trovare William  Thorne, un ragazzo della sua età, nato due secoli prima. Dopo una  tragedia familiare, la casa fu chiusa e Bronwyn si era convinta che  William esistesse solo nella sua immaginazione.  Ora, vent'anni dopo, Bronwyn eredita Thorne Manor. E quando torna,  William la sta aspettando.  William Thorne non è più il ragazzo che ricorda. È un uomo difficile e  tempestoso, la sua stessa vita segnata dalla tragedia e da uno scandalo  che lo ha costretto a ritirarsi in un esilio autoimposto nelle sue amate  brughiere. Inoltre, non è molto contento di Bronwyn per averlo  abbandonato tanti anni fa.  Mentre la loro amicizia si riaccende e si trasforma in qualcosa di più,  Bronwyn deve anche occuparsi dei fantasmi nella versione attuale della  casa. E presto si rende conto che sono collegati a William e allo  scandalo segreto che lo ha riportato a Thorne Manor.Kelley Armstrong di  solito non scrive historical romance e si sente nello stile che usa in  questo libro che è a tutti gli effetti un historical romance con un  pizzico di paranormal e di giallo. Lo stile a volte stride se penso ai libri delle mie  scrittrici preferite in ambito romance, ma questa piccola imperfezione  non cancella il fatto che è un gran bel libro, molto adatto a questo  periodo natalizio. Una favola romantica con viaggi nel tempo,  sicuramente adatta a voi se avete amato La straniera o il film Kate  & Leopold.
- Somewhere in time, di Richard Matheson
Link: https://amzn.to/3gWzaub
Ospite  di un vecchio hotel, Richard Collier vede la fotografia di Elise  McKenna, un attrice che si era esibita lì nel 1896, e mentre inizia a  fare ricerche su di lei, se ne innamora, finchè un giorno viene  trasportato nel passato, esattamente nel 1896.
- The Wizard of Seattle di Kay Hooper
Link:https://amzn.to/3HdgtNo
A magical story of timeless love and mesmerizing  fantasy. Set in modern-day Seattle and ancient Atlantis, Hooper spins a  tale of a young woman with a wild talent and the handsome wizard who  would risk everything to teach her a forbidden art–and taste a  forbidden love.
- Replay, di Ken Grimwood (questo ho scoperto è disponibile anche in italiano se vi interessa!)
Link: https://amzn.to/3GZLbtv
Jeff  Winston non sapeva di essere un replayer—almeno finchè non morì. Poi si  risvegliò più giovane di venticinque anni, visse un altra vita e poi  morì ancora…e visse ancora….e morì ancora….
- Flash forward, di Robert J. Sawyer
Link: https://amzn.to/3EWAC7Z
A  causa di un problema un esperimento scientifico fallisce in modo molto  grave e causa gravi ripercussioni. Infatti causa a tutte le coscenze  umane un salto in avanti di venti anni.
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corallorosso · 3 years
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Un grumo purulento: lo storico Eric Gobetti riflette sulle foibe e sugli usi pubblici della storia Il 10 febbraio del 2007, in occasione della ricorrenza del Giorno del Ricordo, nel corso della consegna di onorificenze ai parenti degli infoibati al Quirinale, il presidente Napolitano conferisce la medaglia d’oro al merito civile ai familiari di Vincenzo Serrentino. Questi fu tenente colonnello dell’esercito italiano, dirigente dei Fasci di combattimento di Zara sin dagli albori degli anni Venti, dal 1940 primo Seniore della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, membro del Tribunale Straordinario della Dalmazia (istituito nel 1941 per debellare la Resistenza jugoslava durante l’occupazione militare italiana), prefetto di Zara e capo della provincia durante l’occupazione militare tedesca dal novembre 1943 all’ottobre 1944, quando la città fu liberata. Nel 1946 il suo nome compare nella lista stilata dall’apposita Commissione ministeriale d’inchiesta di civili e militari italiani passibili di accusa presso la giustizia penale militare, coloro nella cui condotta erano “venuti meno ai principi del diritto internazionale di guerra e ai doveri dell’umanità”: con lui, tutti i membri del Tribunale Speciale (tra cui il più celebre Pietro Caruso), che aveva celebrato processi “senza il rispetto delle più elementari norme procedurali”, condannando a morte “anche persone minorenni”. Il suo nome figura nell’elenco CROWCASS (Central Registry of War Criminals and Security Suspects, 1947), compilato dagli Alleati anglo-americani, delle persone ricercate dalla Jugoslavia per crimini di guerra. Catturato a Trieste nel maggio 1945, venne processato dalle autorità jugoslave, riconosciuto come criminale di guerra e fucilato nel maggio del 1947. Nel 1987, il comune di Rosolini (Siracusa), suo paese natale, gli ha dedicato una strada. Nel febbraio del 2012, durante il programma televisivo di Rai 1 Porta a Porta, che affronta lo spinoso argomento della vicenda delle foibe, viene mostrata una fotografia che ritrae un plotone di esecuzione nell’atto di fucilare alla schiena cinque uomini allineati: ai telespettatori viene detto che si tratta di partigiani comunisti jugoslavi che sparano a degli italiani. In realtà, come gli studiosi sanno bene e come si evince chiaramente dagli elmetti dei soldati del plotone di esecuzione, la foto, scattata il 31 luglio 1942, mostra la fucilazione di cinque partigiani sloveni (di cui sono noti i nomi) ad opera di militari italiani durante il periodo dell’occupazione dei territori jugoslavi. La sera del 10 febbraio 2019 la Rai manda in onda un film di cui è co-produttrice, Rosso d’Istria. La pellicola, tanto inverosimile quanto brutale, è un autentico prodotto propagandistico: diffonde paura e odio attraverso un immaginario razzista e un racconto ben poco attinente alla realtà, raffigurando i partigiani comunisti jugoslavi come bestie assetate di sangue e animate da un sadismo innato che aggrediscono vittime innocenti: degli italiani, fascisti dichiarati. Gli eroi del film sono mostrati in camicia nera, invocano apertamente il Duce e aspettano come manna dal cielo un esercito di “liberazione”, quello nazista, bei giovanottoni che danno l’idea di riportare la pace, laddove gli efferati partigiani slavi avevano scatenato guerra, odi e vendette: con una netta scelta ideologica, lo spettatore è portato a schierarsi con le “vittime” fasciste di un crimine commesso dai comunisti. Questi tre macroscopici esempi, scelti da una folta schiera di eventi altrettanto gravi, indicano in modo lampante una cosa: nel nostro Paese la complessa vicenda delle foibe e delle violenze nei territori del confine orientale è da anni oggetto di una gravissima distorsione fattuale e di un accentuato uso propagandistico della storia, operati a più livelli: storiografico, istituzionale, dell’immaginario collettivo. Nel primo caso si intralcia e si destabilizza il lavoro di ricerca e d’una corretta divulgazione degli avvenimenti occorsi sul confine orientale da parte di studiosi seri, che intendono ricostruire accuratamente i fatti e i contesti in cui questi presero forma, il modo in cui vengono narrati. A livello istituzionale, si accreditano versioni false e distorte degli eventi con ambigue dichiarazioni delle più alte cariche dello Stato e paradossali riconoscimenti (uno Stato nato dalla liberazione dal fascismo che conferisce medaglie a fascisti conclamati e criminali di guerra?), sospensioni di contributi finanziari alla ricerca ad associazioni o individui che non si attengono alla comune vulgata diffusa sulla vicenda delle foibe (come nel caso del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia). A livello di immaginario collettivo, con la martellante diffusione di mistificatori luoghi comuni operata dai media, la creazione di fiction non solo televisive che incidono a fuoco nelle menti di spettatori ignari delle patenti falsità storiche, capovolgendo di segno la realtà e il suo significato morale. Questo atteggiamento largamente condiviso produce un clima culturale favorevole a intimidazioni, minacce, insulti mediatici e infamanti accuse di “negazionismo” e “riduzionismo”, animato dalle forze della destra nazionalista e neofascista e volto a screditare il lavoro degli storici, impedire loro di affrontare un tema delicato, di ricostruire e contestualizzare il fenomeno, di raccontarlo in maniera corretta. Di questa pericolosa temperie, che fa vacillare la civiltà di un Paese evocando foschi scenari, porta testimonianza diretta lo storico Eric Gobetti, con il libro E allora le foibe? (pp. 116, € 13), pubblicato dall’editore Laterza nella collana “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti”. Gobetti rilegge la vicenda delle foibe e dell’esodo partendo da alcune domande: Di cosa parliamo quando parliamo di foibe? Cosa è accaduto realmente? In che modo e da chi vengono narrati quegli eventi? Con un argomentare stringente, storicamente probante, il libro getta ampia luce sugli eventi occorsi sul confine orientale a partire dal 1943, ricostruendo il contesto in cui essi presero forma e si manifestarono, la storia che li ha determinati, le cause sociali e politiche per cui essi furono in un primo tempo rimossi, quindi, a partire dagli anni Novanta, la falsificazione cui furono soggetti e la narrazione distorta che se n’è fatta, sino ad approdare all’attuale cancerosa situazione, che ha avuto l’ennesima conferma dal modo in cui è stato vissuto e celebrato il 10 febbraio scorso, Giorno del Ricordo. (...) Anche lo stereotipo dell’espulsione forzata “corrisponde ben poco alla complessità dei fatti”; quella dei profughi istriano-dalmati è una tragedia umana legata al mutamento dei confini e degli assetti internazionali conseguenti alla sconfitta militare dell’Italia. Soprattutto, “è il risultato estremo di un circolo vizioso innescato dall’imperialismo italiano e poi dal fascismo. Gli esuli sono le vittime ultime della politica aggressiva del regime, dei crimini di guerra commessi dall’esercito italiano e della sconfitta militare in una guerra che Mussolini aveva ottusamente contribuito a scatenare”. Gobetti affronta anche il problema dei numeri relativi alla vicenda delle foibe: si ripetono infatti, anche da parte di alti esponenti politici e della divulgazione storica, cifre smisuratamente gonfiate (un ministro della Repubblica parlò di “un milione di morti”), che non trovano alcun riscontro fattuale, e che contribuiscono a diffondere falsi miti e una perniciosa disinformazione, cosa, tra l’altro, che non favorisce la memoria e non denota rispetto per le vittime, usate per squallidi fini ideologici e politici. (...) La conclusione di questo studio è adamantina: invece che rischiare di essere “una commemorazione fascista”, il Giorno del Ricordo “dovrebbe essere una data per ricordare i drammi prodotti dal nazionalismo, dal fascismo, dalla violenza ideologica, dalla guerra e dalla sconfitta militare di un paese mandato al macello in maniera criminale non solo da Mussolini ma da tutta un’élite politica, militare ed economica che non ha mai pagato per le sue colpe”. Già, ma se così fosse l’Italia sarebbe un Paese civile. Giuseppe Costigliola
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Torno a casa?
Ho tante cose da scrivere ma non so come metterle su carta. Succede spesso ultimamente. Quando mi ritrovo di fronte al foglio bianco i mille pensieri che mi turbinavano nel cervello si assopiscono, si mettono a dormire, pronti però a tornare alla ribalta quando meno me lo aspetto, quando sono distratto, e forse credo persino di essere felice. La barretta grigia di word che ad intervalli regolari appare e scompare davanti ai miei occhi è quasi terapeutica. Mi regala un senso di ordine, di qualcosa che ti puoi aspettare, che non ti sorprende, che tranquillizza.
Ascolto molta musica in questo periodo. Recupero vecchie perle e poi mi immergo nelle solite canzoni tristi che se ne stanno buttate come in un angolo a prendere polvere e aspettano soltanto che io abbia un nuovo inesorabile crollo. Aggiungo film all’elenco delle cose da vedere, sapendo già che per la maggior parte di essi non riuscirò a trovare il minimo momento libero. Creo nella mente una lista di possibili idee regalo, visto che lo spirito natalizio si avvicina a grandi passi. Percepisco voci intorno a me, persone, eventi; c’è la coperta sopra il divano che è tutta in disordine, i dadi a venti facce sul tavolo (un 3, un 9, un 14). Ma mi sembra tutto così collaterale, così lontano e distante. Come di passaggio, e arrivo alla sera che non sono neanche sicuro di come diavolo sia successo che passassero così tante ore. Attraversare il dolore penso, mentre sono sotto le coperte, attraversare il dolore, fallo, attraversa il dolore. Che poi in verità mi pare che ora come ora sia lui invece che stia attraversando me, ferocemente tra l’altro, come una freccia, un coltello e come altri oggetti che cruentemente possono lacerare la carne umana.
Si tratta però comunque di una metafora riduttiva, inadatta. Voglio dire è più una sensazione avvolgente, se dovessi seguire le indicazioni della medicina d’urgenza penserei maggiormente ad un infarto come tipologia di paragone. Sì, la classica costrizione interiore, con tanto di groppo in gola e mal di testa serale da stanchezza emotiva. Uno stereotipo vivente praticamente.
Esistono vari tipi di dicotomie. Tra il bianco e il nero ad esempio, e non ve lo sto neanche a dire di come, dal punto di vista stilistico, si tratti di una cosa deliziosa. Adoro mettere il maglione intrecciato a collo alto bianco con i pantaloni neri e le scarpe corvine e un cappotto grigio. Oppure tra giorno e notte, anche questa destrutturata e analizzata in milioni di maniere. Vogliamo buttarci sulla cucina e dire tra dolce e salato? Certo, diventa fondamentale quando si deve organizzare una festa in cui ognuno porta qualcosa, è importante che le due categorie si bilancino. E contestualmente che qualcuno magari si ricordi di comprare pure piatti e bicchieri e roba da bere. Le dicotomie sono ovunque in pratica, che lo si voglia o meno. Ma non bisogna assolutamente cadere nel tranello di ritenere che si trovino solamente all’esterno, nel mondo intendo, immerse nell’ambiente. Molto spesso le più profonde si nascondono dentro di noi, in posti reconditi e oscuri e da lì sono capaci di spaccarci a metà. È quello che sta succedendo a me negli ultimi giorni.
Da una parte la logica del voler realizzare i propri sogni. Del voler abbandonare ogni cosa di punto in bianco per dedicarsi solamente alle proprie passioni, vivere di quello, andare avanti in questo modo. Dall’altra la consapevolezza di non esserne in grado. Di non avere la determinazione sufficiente, di non avere forse neanche l’arroganza per poter credere a tali vaneggiamenti, di arrivare semplicemente ad un certo punto e non avere più voglia di inseguirli. D’altronde la mia vita è una collezione di racconti mozzati si potrebbe dire; capitoli lasciati aperti e mai continuati, finali evanescenti, corsi e concorsi abbandonati sul nascere per incapacità di impegnarsi o perché non ero del tutto convinto e allora che te ne fai di una cosa della quale non sei del tutto convinto?
Conobbi una ragazza quando ancora facevo nuoto, parliamo di una decina di anni fa. Maldestra, sgraziata, la facevi correre un po’ e non so come spiegarlo ma finiva da tutte le parti. Aveva difficoltà con i compiti qualche volta, forse pure con le amicizie al di fuori dell’ambito della piscina. Ma quando nuotava cazzo, cioè uno non poteva che rimanere a bocca aperta. E io quella cosa gliela invidiavo da morire; il fatto che avesse un suo ambito, una sua specialità, qualcosa nella quale fosse eccellente. Mi ricordo che guardavo alla mia situazione e sospiravo; bravo a scuola certo, suonavo il pianoforte discretamente, vincevo qualche gara in acqua se ero particolarmente ispirato e avevo anche mangiato un bel piatto di pasta per pranzo, ma non c’era niente di mio, di veramente e genuinamente mio. E in nessuno di quegli ambiti avevo bisogno di impegnarmi seriamente. Cavolo, suona così pretenziosa come cosa, fa impressione.
Ho lavorato in biblioteca per un inverno. Sezione di pedagogia e antropologia. Un luogo polveroso e poco frequentato; facevi qualche prestito e tornavi a studiare sul bancone aspettando il prossimo avventore. Poi ad una certa scendeva il direttore, e si chiudeva tutto. Lo ricordo come un momento della vita brillante, e non per i libri e l’atmosfera e le chiacchiere con quelli che stavano là insieme a me, ma forse più che altro per il fatto che essere impegnato 12 ore al giorno non mi lasciava neanche un istante di introspezione, di evasione mentale. Ecco, non avevo come succede invece adesso la possibilità di pensare al destino, al futuro, alle scelte. Al fatto di essere veramente in grado di poter dedicare la vita alla medicina oppure no. Insomma a tutta una serie di ‘vorrei’ lasciati appesi e che inesorabilmente infrangerei e a tutta un’altra serie di ‘non sono in grado’ che mi tengono legato qua.
Forse è che per davvero mi piace questo tipo di personaggio. È tagliato su misura per me; quello che poi ti racconta le storie e ti dice: avrei potuto essere questo e quello e un sacco di altre cose e invece eccomi qua su un marciapiede il sabato sera a bere una birra con i soliti amici di sempre. A invidiare, a provare gelosia, insicurezza. Che stronzo viene da pensare. Già, che stronzo.
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carocinematv · 5 years
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SHAZAM!
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un ringraziamento speciale a Pinterest che offre certe perle!
SHAZAM! è un film dal trailer demenziale, per il quale non avrei speso neanche mezza falce (?), invece sono state due ore molto divertenti! Spassoso, leggero, ben strutturato e comico al punto giusto. La commedia americana, soprattutto quando coinvolge le fasce teen, tende a diventare subito eccessiva, invece questo spiritoso supereroe DC riesce a non perdere la sua età anagrafica e dimostrare progressivamente, una maturazione personale importante.
Sono pignola su certe cose, per cui inutile nascondere che mi ha disturbata la totale mancanza di somiglianza tra Zachary Levi e Asher Angel così come mi è risultata indigesta la performance nettamente più adulta e ponderata di Asher, rispetto alla costante ricerca di leggerezza e l’eccesso di immaturità da parte di Zachary. Se il Billy Batson quindicenne vive il dramma dell’abbandono, il Billy adulto sembra compensare l’apparenza con il cervello e diventa rapidamente un fenomeno da baraccone fine a sè stesso.
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La sceneggiatura regge, il film riesce a mantenere il ritmo fumettistico e raccontare i retroscena di un personaggio sconosciuto ai più. Me inclusa. Entro i primi venti minuti di film, avevo il quadro di un’ambientazione geografica e “magica” legata all’origine dei super poteri. A metà film, ero inglobata e divertita dai TEST da supereroe del protagonista. E’ uno degli aspetti che maggiormente ho apprezzato, perché se diventassi un supereroe a quindici anni chi continuerebbe ad andare a scuola senza testare le nuove capacità?
In un mondo protetto da persone speciali, in cui Superman e Batman non sono personaggi dei fumetti ma persone reali, c’è una lista piuttosto articolata di possibilità: raggi x, volo, invisibilità, Shazam quindi inizia a testare le proprie potenzialità con la spensieratezza dei suoi anni e l’aiuto di Freddy. Compagno di stanza, amico ed infine fratelli, seppur resti solo il sangue a differenziarli.
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Mark Strong nei panni del bad guy fa la sua bella figura, inquietante seppur scarsamente espressivo, non ha lasciato il segno nel personaggio. Non lo inserirei tra i migliori villans del genere supereroico Thanos continua a stravincere la concorrenza.
Uno spettacolo piacevole, tutto sommato. Un film bilanciato, dagli effetti speciali semplici ma ben fatti, la DC ha preferito scommettere sulle saette e la velocità, scelte note e già viste. Niente di paragonabile alla concorrenza. Nota di demerito: il film manca di una colonna sonora. Nella prima parte l’assenza è quasi completa, nella seconda invece la scelta è ricaduta su titoloni imponenti che seguono la scia di altri film recentemente usciti al cinema e che senza dubbio, smuovono dalla poltrona gran parte della sala.
Ancora una volta DC mostra segni di miglioramento, ma ha molta strada da fare prima di poter essere realmente competitiva.
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carmenvicinanza · 2 years
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Tina Turner
Buon compleanno a questa immensa regina del #rock di cui ripropongo la storia tormentata, dolorosa eppure pregna della luce e energia che riesce sempre a irradiare! Auguri splendida #tinaturner Una lunghissima carriera costellata di successi e carisma da vendere.Famosa per le sue prestazioni potenti ha deciso di diventare padrona della sua esistenza, nonostante le enormi avversità incontrate, abbandono, abusi, violenze, malattia, la morte del figlio e tanto altro ancora. Con oltre cento milioni di copie vendute è una delle artiste più vendute nella storia della musica. E splende, splende come solo le stelle possono fare.
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Buon compleanno Tina Turner!
Immensa regina del rock che ha conosciuto l’abisso e ricercato costantemente luce e energia vitale che  irradia e rimanda prepotentemente.
È sicuramente la più dinamica cantante soul e rock della storia della musica. Una lunghissima carriera costellata di successi, ha carisma da vendere, famosa per le sue prestazioni aggressive e potenti ha deciso di diventare padrona della sua esistenza, nonostante tutto.
Con oltre cento milioni di copie vendute è una delle artiste più vendute nella storia della musica.
Nella sua carriera ha ricevuto dodici Grammy Awards.
Nata con il nome di Anna Mae Bullock il 26 novembre 1939 a Nutbush nel Tennessee, è stata abbandonata dalla madre in tenera età, comincia a cantare da bambina, assiste all’omicidio del padre da parte dell’amante, viene messa incinta da giovanissima.
La sua carriera musicale inizia nel 1958 nella band di Ike Turner, suo marito. Dopo due anni da corista, è naturalmente lei che domina il palcoscenico. Nel 1960, utilizza per la prima volta lo pseudonimo Tina Turner, la coppia riscuote grandi successi.
Nel 1967 è la prima artista afrostatunitense sulla copertina della rivista Rolling Stone.
Il marito Ike è un sadico che la picchia, abusa di lei in vari modi, vive alle sue spalle e la tradisce continuamente.
Si separano nel 1976, ponendo fine alla loro collaborazione personale e musicale. Tina Turner rimane senza un soldo, inseguita dagli ufficiali giudiziari per tasse su concerti mai avvenuti. Inizia la sua carriera da solista ma la ripresa non è stata semplice e ha comportato una notevole forza d’animo.
La sua vita travagliata è raccontata nel film Tina –What’s love got to do with it del 1993, tratto dall’autobiografia della cantante Io, Tina, diretto da Brian Gibson, i cui protagonisti, Angela Bassett e Laurence Fishburne, candidati entrambi all’Oscar.
All’inizio degli anni ’80 Tina Turner, rinata e agguerrita, sorprende tutti impazzando nelle classifiche mondiali con i suoi dischi.
La consacrazione avviene nel 1984 con l’album Private Dancer, un successo da oltre venti milioni di copie vendute in tutto il mondo che la rilancia come star internazionale. Nel 1985 partecipa a USA for Africa, un super gruppo di 45 celebrità della musica pop cantando We Are the World incisa a scopo benefico. I proventi raccolti vengono devoluti alla popolazione dell’Etiopia, afflitta in quel periodo da una disastrosa carestia.
Nel 1986 riceve la sua stella nella Hollywood Walk of Fame.
I gemiti e i ruggiti di Tina Turner sul palco assumono il carisma dell’esperienza vissuta e del dolore.
Nel 1985 nel film Mad Max:oltre la sfera del tuono con Mel Gibson, canta la canzone che è il tema del film We don’t need another hero, con cui avrà un successo strepitoso.
Ha duettato e collaborato con innumerevoli mostri sacri.
Nel 2000 c’è stato il fortunatissimo Twenty Four Seven Tour, la serie di concerti più importante della sua carriera e quello con i maggiori incassi dell’anno, con oltre 100 milioni di dollari di introiti.
Nel 2004 Rolling Stone la inserisce al 17º posto nella classifica dei e delle cento migliori cantanti di sempre e al 63º posto nella classifica dei lista dei/lle cento miglior artisti/e.
Nel 2005 viene insignita del Kennedy Center Honors per le sue performance artistiche.
Nel 2007 fonda il gruppo spiritual Beyond, progetto che fa incontrare canti buddisti e musica corale cristiana, con cui pubblica quattro album.
Nel 2008, per festeggiare i cinquant’anni di carriera, torna a esibirsi dal vivo nel Tina!: 50th Anniversary Tour, da cui viene tratto un album e un DVD.
Nel 2009 Tina Turner si ritira definitivamente dalla sua attività dal vivo.
Nel 2013, dopo avere vissuto quasi vent’anni con il compagno Erwin Bach in un paesino vicino a Zurigo, riceve la cittadinanza svizzera e rinuncia a quella statunitense.
Lo spettacolo Tina, musical basato sulla sua storia di vita ha debuttato a Londra nell’aprile 2018 e a Broadway nell’autunno del 2019.
Nel 2018 è stata pubblicata My Love Story, la sua seconda biografia ufficiale.
Nel 2020 il suo terzo libro, Happiness Becomes You: A Guide to Changing Your Life for Good, dove descrive come ha trasformato la sua vita e offre una guida per superare le difficoltà per vivere con gioia.
Nella sua vita adulta non sono mancate le sofferenze anche fisiche, un ictus, un cancro all’intestino, il trapianto di un rene datole dal marito, nel 2017.
E, cosa davvero straziante, nel 2018, Craig Raymond Turner, il suo primogenito, avuto a 18 anni, si è suicidato.
Tina Turner ha vissuto intensamente tutta l’altalenante giostra che è stata la sua vita.
La sorte non le ha risparmiato niente, si è piegata come una canna al vento, ha visto la sua faccia sull’asfalto tante volte, eppure è riuscita a assecondare il flusso e trarne luce, senza farsi ingoiare dal buio. La sua tenacia, energia e forza vitale toccano vette incredibili.
Ha combattuto le numerose avversità del suo cammino grazie al potere della musica, della fede buddhista, la pratica e la costanza che mette nelle sue passioni. Una donna straordinaria!
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italianaradio · 5 years
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C’era una volta a…Hollywood, dal 2 gennaio in Home Video
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C’era una volta a…Hollywood, dal 2 gennaio in Home Video
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C’era una volta a…Hollywood, dal 2 gennaio in Home Video
C’era una volta a…Hollywood, dal 2 gennaio in Home Video
Il premio Oscar Leonardo DiCaprio e la nomination al premio Oscar Brad Pitt sono protagonisti di performance estremamente complesse ed incredibilmente divertenti nei panni di Rick Dalton e del suo amico stuntman Cliff Booth, accompagnati dalla nomination agli Oscar Margot Robbie nei panni di Sharon Tate nel nono film di successo dello sceneggiatore e regista Quentin Tarantino, C’era una volta a…Hollywood, in arrivo il prossimo 2 gennaio 2020 nei formati Dvd, Blu-ray, Steelbook 4k Ultra HD e Digital HD grazie a Universal Pictures Home Entertainment Italia. Per la prima volta, un film in formato 4k Ultra HD nativo firmato Quentin Tarantino.
Sempre dal 2 gennaio, sarà disponibile l’esclusiva edizione da collezione Vinyl Edition in formato 4k Ultra HD, che entrerà di diritto nella lista dei desideri di ogni fan di Tarantino. La preziosa edizione da collezione conterrà al suo interno un vero disco in vinile da 45 giri con due delle migliori tracce della colonna sonora (insieme ad un adattatore per giradischi), un poster vintage da collezione del film di Rick Dalton Operazione Dyn-o-mite! ed un’esclusiva parodia di MAD Magazine della serie TV di Rick Dalton, Bounty Law, chiamata Lousy Law. La Vinyl Edition è già pre-ordinabile presso Amazon e Dvd Store.
Le edizioni home video del film arrivano ricche di esperienze e musiche direttamente dagli anni ’60, con oltre venti minuti di materiale bonus che ci proietta più a fondo nel mondo che è la Hollwyood di Rick Dalton. Le edizioni Blu-ray e 4k Ultra HD includono inoltre contenuti speciali esclusivi, sguardi dietro le quinte sulla creazione delle scenografie, della fotografia, dei costumi, delle auto e molto di più.
C’era una volta a Hollywood, la recensione
C’era una volta a…Hollywood di Quentin Tarantino fa visita alla Los Angeles del 1969, dove tutto sta per cambiare, mentre la star della TV Rick Dalton (Di Caprio) ed il suo fidato amico e stuntman Cliff Booth (Pitt) cercando di farsi strada in un’industria cinematografica che è cambiata radicalmente. Il nono film dello sceneggiatore e regista Tarantino include “uno dei più grandi e importanti cast di tutti i tempi” – tra cui Margot Robbie, Julia Butters, Margaret Qualley, Timothy Olyphant, Luke Perry, Austin Butler, Dakota Fanning, Emile Hirsch, Bruce Dern e Al Pacino – e molteplici linee narrative che rimandano ad un tributo ai momenti finali dell’età dell’oro di Hollywood.
C’era una volta a…Hollywood ha dato prova di essere apprezzato sia dal pubblico che dalla critica. Il film ha guadagnato il successo di apertura più grande per un film di Tarantino, ed ha ottenuto la certificazione “Certified Fresh” di RottenTomatoes. Un film che sorprende, commuove, fa riflettere e divertire al contempo, descritto dalla critica come uno dei migliori di Tarantino e con un Leonardo Di Caprio in stato di grazia.
CONTENUTI SPECIALI NEI FORMATI BLU-RAY E 4K ULTRA HD:
Oltre venti minuti di scene aggiuntive
Cinque contenuti esclusivi dal dietro le quinte:
La lettera d’amore di Quentin Tarantino ad Hollywood
Bob Richardson – Per amore del cinema
Le auto del 1969
Ricostruire Hollywood – Le scenografie di C’era una volta a…Hollywood
La moda del 1969
E molto altro!
CONTENUTI SPECIALI NEL FORMATO DVD:
Oltre venti minuti di scene aggiuntive
Il film sarà disponibile in 4K Ultra HD in una edizione Steelbook doppia che include il 4K Ultra HD Blu-rayTM e il Blu-rayTM. Il disco 4K Ultra HD disc comprende gli stessi contenuti extra della versione Blu-rayTM, tutti nella straordinaria risoluzione 4K.
4K Ultra HD è la migliore esperienza visiva per la visione di un film. Il 4K Ultra HD presenta la combinazione della risoluzione 4K di quattro volte superiore al classico HD, la brillantezza dei colori dell’High Dynamic Range (HDR) con una resa audio totalmente immersiva per un’esperienza sonora multidimensionale.
Blu-rayTM sfodera il potere della tua TV HD e si dimostra il modo migliore per vedere i film a casa, con la risoluzione di 6 volte superiore rispetto al DVD, extra esclusivi e un sonoro in modalità surroud, come al cinema.
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Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
C’era una volta a…Hollywood, dal 2 gennaio in Home Video
Il premio Oscar Leonardo DiCaprio e la nomination al premio Oscar Brad Pitt sono protagonisti di performance estremamente complesse ed incredibilmente divertenti nei panni di Rick Dalton e del suo amico stuntman Cliff Booth, accompagnati dalla nomination agli Oscar Margot Robbie nei panni di Sharon Tate nel nono film di successo dello sceneggiatore e regista […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Chiara Guida
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paoloxl · 7 years
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Viaggio nella città toscana dove la lista della tartaruga frecciata ha conquistato l'8 per cento, portando un suo rappresentante in consiglio comunale. Riempiendo i vuoti lasciati dai partiti tradizionali
«Certo che li ho votati! No, macché, non sono fascista, io, ci mancherebbe! Ma quei ragazzi sono stati gli unici a darsi da fare. Qui al Piaggione il sindaco Pd non l’abbiamo visto neanche una volta in tutto il suo mandato. Guardi quell’avvallamento, sta lì da tre anni, fa tremare le case ogni volta che passa un camion, un giorno o l’altro le farà crollare, ma decine di lettere del comitato paesano non hanno avuto risposta. CasaPound, invece...». Anni 56, operaio in cartiera, alle scorse politiche un voto di protesta ai Cinquestelle, Francesco Novelli te lo spiega in due parole come hanno fatto i “fascisti del terzo millennio”, col loro simbolo della tartaruga nera in campo rosso e una lista collegata, a prendere a Lucca quasi l’8 per cento alle comunali di giugno e a portare in Consiglio il loro leader Fabio Barsanti, terzo per voti dopo il sindaco e l’avversario di centrodestra e prima del sindacalista candidato dai Cinquestelle. Case history, Lucca, ma lo stesso schema ha funzionato l’altr’anno a Bolzano e in questa tornata di amministrative a Todi, all’Aquila e in altri centri minori, con e senza apparentamenti col centrodestra, percentuali fra il 2 e il 5. Come ha raccontato a caldo Marco Damilano sull’Espresso dei tre omini neri col fez in copertina, per ballerina che sia la legge elettorale quella al momento in vigore alla Camera contempla una soglia del 3 per cento: non facile da raggiungere ma neanche impossibile. È in atto a quanto pare un cambio di strategia di CasaPound in vista delle politiche: dall’entrismo nel centrodestra (anche Barsanti alle comunali 2012 si era presentato, senza successo, con il Pdl) a liste autonome. Sulla scia greca di Alba Dorata. Il Piaggione, dunque, è l’ultima frazione del Comune di Lucca verso la Garfagnana, sorta intorno a un cotonificio oggi chiuso, duecento abitanti, dodici chilometri dalle mura, due file di vecchie case e in mezzo uno stradone. «La vuole sapere l’ultima beffa?», attacca Novelli. Ti conduce al vialetto alberato che porta alla stazione, abbandonata, e alla passerella sul fiume Serchio, sbarrata da un muro di cemento perché nessuno l’ha più riparata, e lui, che alla cartiera ci arrivava a piedi in dieci minuti, adesso deve prendere l’auto e fare il giro da sotto: «Tempo fa, sette o otto ragazzi di CasaPound sono venuti qua rimboccandosi le maniche a ripulire il viale dove i bambini giocano e le anziane signore fanno salotto sulle panchine. Sotto elezioni mettono un cartello per dire che tornano il sabato, e che fa il sindaco? Manda gli operai comunali alle 6 di mattina per far prima di loro!». Sbottano Alma e Rita, due delle signore in panchina: «Cosa credono, quelli, di cambiare la storia perché levano quattro frasche?» Ma quando al Circolino è venuto a parlare Barsanti la sala era piena, con gli altri quasi vuota. E il candidato di qua di CasaPound ha preso da solo 90 e passa voti. Chi sono, innanzitutto, i militanti? Venti o trenta, anche ragazze. Composti, ben vestiti, niente ostentazione, zero rappresaglie quando un collettivo di sinistra gli rovesciò palate di letame davanti alla sede. Attentissimi a non tracimare nell’iconografia del fascista violento e sprezzante. Determinati ma rassicuranti, dev’essere l’ordine di scuderia. La sede l’hanno in centro in un’ex-gioielleria con porta protetta, via Michele Rosi a cento metri dalla Casa della Carità dove suor Rosa delle Scalabriniane distribuisce una quarantina di pasti a migranti e, la sera, anche a italiani, ormai un terzo dei senzapane. Dentro la sede, tricolore, tartaruga, articoli di giornale, niente ammennicoli mussoliniani in vista, una tenda a dividere la zona club e bancone bar, riservata. Abili anche nella comunicazione, ribaltano pro domo loro gli svarioni altrui: la notte della risicata vittoria, il Pd in piazza a cantare Bella ciao, al sindaco scappa detto che con lui ha vinto «la Lucca bella e buona», loro gli sparano contro l’hashtag #Luccacattiva, come dire il 78 per cento che non l’ha votato, a Tambellini tocca scusarsi. Il loro capo è Fabio Barsanti, 36 anni, laurea triennale in Scienze giuridiche, anni fa lavori occasionali come cameriere e falegname, rappresentante di fiori essiccati e addobbi per vetrine e cerimonie, coordinatore di CasaPound prima in Toscana e ora nel lucchese. Un fumetto sulla pagina facebook sotto lo slogan “Difendere Lucca” lo raffigura con scudo e corazza da guerriero, nella destra una grande matita o paletto appuntito, difficile dire, sorridente. «Sempre con il sorriso sulle labbra» è la chiusa di alcuni suoi post. Però è sotto processo a Lecce per rissa aggravata, scontri con antagonisti nel settembre 2015; a chi glielo ricordava ha risposto di ritenere «anormale un uomo che non ha fatto a cazzotti»; e il suo film preferito è “Fight club”, combattimenti clandestini, bombe, banche che saltano per aria, anche se a lui ciò che piace del film è «la sfida, la realtà, il tempo». Toni pacati sempre, nei confronti pubblici e nei comportamenti privati, non come il candidato CasaPound di Ostia che prometteva in Consiglio di «far volare sedie e rovesciare banchi». Gentile e corretto, il Barsanti, anche quando ti dà buca. Arrivano in due, lui e un altro militante, bella moto Bmw del 2001, maglietta polo d’ordinanza, barba ben curata. Due ore prima dell’incontro concordato, un pomeriggio in giro tra sede e quartieri dove hanno fatto man bassa di voti, è arrivato il diktat del vertice romano di CasaPound: cancellare, niente interviste con L’Espresso. Non sono piaciuti i pezzi su Carminati. Sì, lui, “er cecato”, il neofascista dei Nar e della banda della Magliana, lo scassinatore di caveau, in galera per Mafia Capitale. Abbastanza stupefacente, ma così è. D’altronde, un minimo di gerarchia... «Un massimo di gerarchia!». Giusto. “Del terzo millennio” ma pur sempre fascisti si dichiarano e sono. “Gerarchia” era la rivista ufficiale del regime, anche se i loro riferimenti sono il fascismo rivoluzionario delle origini e quello repubblicano di Salò. Gerarchia resta per loro un valore imprescindibile. E gerarchia è «responsabilità, doveri, disciplina» (Mussolini 1922), «rapporto di subordinazione e supremazia» (Treccani 1932): chi sta sopra comanda, chi sta sotto ubbidisce. Anche se è uno come Fabio Barsanti, nel 2008 a Roma tra i fondatori nazionali di CasaPound Italia, oggi l’artefice dell’encomiabile risultato di Lucca. Vari fattori hanno concorso al loro successo in questa città un tempo feudo democristiano nella Toscana rossa. L’incrocio con la tifoseria estrema della locale squadra di calcio, la Lucchese, come raccontiamo a pagina 34 . L’attivismo del Blocco studentesco, loro filiazione, negli istituti cittadini, tre rappresentanti all’agrario, al turistico, al tecnico-commerciale e uno nella Consulta provinciale. Poi, certo, i 273 migranti sistemati in una tendopoli alle Tagliate gestita dalla Croce Rossa, il vicino campo rom semi-istituzionalizzato, e tutto l’armamentario cui attingono loro e altri qua e altrove: i barconi, l’invasione, i furti, la sicurezza, lo spauracchio del gender. Eccoli infatti proclamare che loro azzererebbero i costi per l’accoglienza girando i 500 euro al mese a ogni nuovo nato lucchese, o appendere davanti a una scuola d’infanzia cartelli con maschio e femmina stilizzati e accanto la X rossa sopra due omini maschi. Ma l’elemento decisivo che ha portato voti e consensi, è stato il lavoro capillare sul territorio. Ciò che un tempo svolgevano da dio il Pci e la Dc. Da tre anni almeno, non solo sotto elezioni, Barsanti e i suoi camerati di CasaPound girano, ascoltano, danno voce alla protesta di ogni singolo attore, comitato, gruppo: dai residenti di Antraccoli che si oppongono alla costruzione di un nuovo centro polivalente fino ai volontari del canile comunale di Montetetto, assieme ai quali si mettono a fare la sgambatura, l’ora d’aria degli animali, resa difficile dai nuovi regolamenti e dalla carenza di stanziamenti. Un attivismo quotidiano. Supplenza alle carenze delle istituzioni: a Nave han messo in sicurezza coi mezzi che avevano una piscina chiusa dove i bambini vanno comunque a giocare. Assistenza legale gratuita: la campagna “Nemica banca” contro gli illeciti degli istituti di credito. Volontariato: c’è il terremoto ad Amatrice, loro raccolgono e mandano abiti, soldi, cibo. Microwelfare: come una San Vincenzo nera, fanno la spesa all’invalido, organizzano mensilmente una raccolta alimentare, ritiro anche a domicilio, distribuzione alle famiglie bisognose, rigorosamente italiane. Su chi fanno presa, come allargano l’area di consenso, come arruolano nuovi militanti? Detto altrimenti: come si diventa fascisti nel 2017? Te lo racconta un uomo di sinistra, Simone Cavazzoli, presidente della Cooperativa sociale NoEmarginazione, agricoltura biologica e lavoro a disabili: «In questa città i mestieri altolocati sono appannaggio degli stessi cognomi da seicento anni e, caso unico, sulla carta d’identità ti scrivono “Lucca centro”: fuori le mura sei già un foresto. Alle periferie, alla pensilina che manca o al fiume che puzza non ci pensa nessuno. Loro sì. Ed è così che crescono: il ventenne vuol vedere un buco la mattina e la sera un mattone che lo chiude, ha bisogno di riscontri immediati di ciò che fa e di esserne soddisfatto. Hanno intercettato un bisogno di inclusione e riconoscimento di sé. Ne conosco un paio, ragazzi a posto, e madri contente della “buona compagnia” dei figli». È quasi un refrain: «Hanno lavorato bene, ci sono, li vedi, gli altri no»: così da chi li ha votati e da chi mai nella vita. Al Montuolo, altro quartiere dove sono volati nelle urne, villette, giardini, tre blocchi di case popolari e l’antica torre campanaria, Luca operaio elettrico, che stava con Bertinotti e leggeva il manifesto, ora vota CasaPound «contro il sindaco e contro una sinistra diventata liberista e preoccupata solo di immigrati e matrimoni gay». Lasci i dimenticati fuori le mura per il centro storico pieno di turisti americani che sciamano tra le cento osterie dal Duomo alla Casa del Boia per vie che si chiamano del Bastardo, dei Bacchettoni o della Felicità: e scopri che anche qui CasaPound ha rastrellato 334 voti, pari all’11 per cento. Perché «la sinistra ha aperto sei micromarket e una grande bisteccheria Eataly disintegrando il piccolo commercio e tutti i lunedì pomeriggio la Caritas distribuisce i panni agli immigrati tra i turisti basiti dallo spettacolo», si sfoga Partemio Moroni il pasticcere, disilluso pure dal centrodestra. Perfino il sindaco Pd Alessandro Tambellini, rieletto per il rotto della cuffia al ballottaggio con 361 voti di scarto, che con loro s’è preso a pesci in faccia prima e dopo le elezioni, ti dice che «hanno sensori sui territori, svolgono servizi nelle zone di maggior disagio, han censito gli edifici abbandonati che sono o possono diventare luoghi di spaccio». Gli chiedi perché non provvede il Comune. «Era tutto da rifare, a cominciare dai trasporti. S’incassavano 13 milioni l’anno di oneri di urbanizzazione, ora siamo a 1,6. Non arriviamo a tutto». I giovani e i militanti del Pd, allora? Circolo centro storico in piazza San Francesco, compagni e compagne seduti fuori a cerchio come un tempo nell’aia delle cascine, Sonia Bernicchi è la presidente del Comitato San Francesco, qua ospitato: «Ma anche noi facciamo tanto! Paghiamo bollette alla povera gente, italiani, sì, feste per i bimbi, ogni martedì andiamo nelle frazioni a prendere gli anziani per farli giocare a tombola da noi, e la domenica mattina è un viavai di gente che viene a prendere un litro di latte o un pacco di pasta, quasi più italiani che migranti. Il fatto è che non pubblicizziamo abbastanza ciò che facciamo...» Ecco, ci mancava, difetto di comunicazione, figuriamoci. C’è davvero da stupirsi se per un ragazzo è come una boccata d’aria fresca aggiustare un muretto in gruppo, perché no di camerati, anziché infervorarsi su come arare il campo di Pisapia o su dove s’è spostata oggi la tenda di Prodi? http://espresso.repubblica.it/palazzo/2017/08/31/news/come-hanno-fatto-i-neofascisti-di-casapound-a-prendere-l-8-per-cento-a-lucca-1.307061 Lucca, tutti i collegamenti tra i fascisti e gli ultras Alcuni gruppi organizzati della squadra locale, la Lucchese, sono una diretta emanazione di CasaPound. E negli anni scorsi il leader di una di queste associazioni è andato a combattere per la secessione del Donbass Non che Lucca sia nuova a storie d’estrema destra. Negli anni Settanta Ordine Nuovo (era di qua Marco Affatigato, ora in galera per truffa e bancarotta) e il Fronte Nazionale Rivoluzionario (grazie a una rete di complici, vi rimase nascosto per mesi Mario Tuti, condannato per due omicidi e ricostituzione del partito fascista), più di recente Forza Nuova, per un breve periodo. Il quinquennio peggiore s’apre nel 2004, e ruota intorno alla tifoseria della squadra di calcio, la Lucchese. In quell’anno nascono i Bulldog, che dalla curva ovest dello stadio Porta Elisa cacciano a sprangate la tifoseria di sinistra dei Fedayn e dei Tori flesciati e imperversano per le strade della città con pestaggi, aggressioni, accoltellamenti, caccia al rosso, un ragazzo ci rimette anche un occhio. Finalmente l’Ucigos si muove: retata nel 2009, condanna di 14 di loro dai 2 ai 5 anni 
e mezzo per associazione a delinquere e una sfilza d’altri reati, tutto prescritto 
in Cassazione giusto il 18 luglio. Intanto il loro capo, Andrea Palmeri, detto 
il Generalissimo, è fuggito in Donbass, dove combatte coi filorussi contro gli ucraini: 
«Un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia», esulta Pavel Gubarev, 
ex governatore dell’autoproclamata repubblica popolare del Donetsk. Tre o quattro candidati di CasaPound sono tifosi storici anche in epoca Bulldog, ma non risultano coinvolti negli scontri. La Lucchese fallisce due volte in 33 mesi, ricomincia dal Campionato d’eccellenza, sale in serie D. Anche la tifoseria nera si rinnova, e ora due gruppi dominano la curva ovest: la Banda Thevenot (la bomba a mano degli Arditi nella prima guerra mondiale), diretta espressione di CasaPound, e La meglio gioventù, comunque amici. E giocano un ruolo chiave nella campagna elettorale. In casa, Barsanti e i suoi non si perdono una partita, animano il tifo, fanno nuovi proseliti. In trasferta non ci vanno per protesta e rifiuto della “tessera del tifoso”. Neppure a giugno, quando la squadra gioca i playoff per tornare in C, ma perde la sfida decisiva contro il Parma. Lui, in compenso, segna in città un 8 per cento che vale assai più della serie C. http://m.espresso.repubblica.it/attualita/2017/08/31/news/lucca-tutti-i-collegamenti-tra-i-fascisti-e-gli-ultras-1.307066?ref=twhe&twitter_card=20170831092632 iniziative_fasciste
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wholesalestore-blog · 5 years
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Scarpe Golden Goose Saldi Guida Avvio delle piccole aziende reali
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pangeanews · 5 years
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“Sono un po’ malato e un po’ matto e un po’ co**ione”: in un tempo di libri inutili, finalmente uno scrittore anticonformista. Elogio di Paolo Bianchi
Tempo fa un amico, esteta e uomo di lettere, mi ha chiesto qualche nome di scrittori viventi accusati o accusabili di maschilismo, misoginia, sessismo, eccetera. Ho cercato di far mente locale, e per prima cosa mi sono ricordato di una frase di Stenio Solinas a proposito di Louis Aragon, Pierre Drieu La Rochelle e gli anni Venti: “La misoginia va a braccetto con il romanticismo”.
Ho pensato che delle due l’una. O i migliori romanzieri viventi, e pure i saggisti più vivi, e in salute, più che vegeti, sono tutti dei romantici, o la misoginia è una delle possibili forme d’intelligenza fondamentali per comprendere la realtà… E poi mi sono guardato attorno. Sono partito dal mio comodino.
È carico di libri; appena sfogliati: come le Lettere alle amiche di Céline; da leggere: Pitié pour les femmes, “Folio” Gallimard, non ancora tradotto in italiano; o rileggere: Bukowski, Donne, Hamsun, Victoria, Schnitzler, Il ritorno di Casanova…
Mi sono quindi reso conto che di norma per cercare vita e vitalità e verità mi devo rivolgere ai grandi del passato. Ma scorrendo gli scaffali della mia biblioteca mi sono accorto che in fondo oggi non ce la passiamo poi così male. A parte un paio decisamente trascurabili, la lista che ho messo assieme conta gli autori contemporanei da cui non si può prescindere, forse pure la misoginia.
La Francia decadente è in ottima forma, con Michel Houellebecq (con Estensione del dominio della lotta e Le particelle elementari), Edouard Philippe (il primo ministro è anche l’autore di un poliziesco molto criticato), Michel Schneider (prima con Big Mother, poi col pamphlet La Confusion des sexes), Alain Soral (Sociologie du dragueur e Vers la féminisation sono fondamentali) ed Eric Zemmour (L’uomo maschio, la traduzione distorta del titolo Le Premier sexe).
Negli Stati Uniti nonostante tutto hanno ancora Bret Easton Ellis (sotto la superficie il più grande moralista conservatore americano), e qualche accusa è piovuta persino addosso a Stephen King, a Cormac McCarthy, a Jay McInerney e a Thomas Pynchon, ma curiosamente non a Bob Dylan, che non solo ha firmato una canzone come Idiot wind – vero capolavoro – ma ha anche spedito a Stoccolma la donna rock di servizio a ritirargli il Nobel, visto che aveva da fare.
Tra gli italofoni non latitano le voci letterariamente e relazionalmente “ribelli”, alcune episodiche come l’Enrico Brizzi di Bastogne, il Giuseppe Culicchia di Brucia la città e il Mirko Volpi di Oceano Padano, altre più costanti come Massimo Fini, autore del fondamentale Di(zion)ario erotico. Manuale contro la donna a favore della femmina, e Camillo Langone, e Claudio Risé.
Tra i trascurabili, Massimiliano Parente, che non lo manda a dire nei suoi articoli di polemista e spesso dice bene, ma fatico anche solo a sfogliarli, i romanzi di un autore che crede alla superstizione positivista di discendere dalle scimmie e non da Adamo ed Eva.
Definitivo resta forse McInerney: “Penso che gli uomini parlino alle donne per poterci andare a letto e che le donne vadano a letto con gli uomini per poterci parlare”. Da Le luci si spengono… Gli anni Ottanta gioiosi. Forse più superficiali… Di sicuro più gaudenti.
Traduttore proprio del newyorkese chic, McInerney, uno dei miei maestri – ormai rinnegato – dei miei vent’anni e di uno – non rinnegabile – dei miei trenta, il dandy normanno Drieu, e vale a dire de L’ultimo scapolo e delle Memorie di Dirk Raspe, storie di amori, amoretti e corna l’uno, di pittura, passione e zoccole l’altro, Paolo Bianchi quando non traduce e scrive, come l’americano e il francese non è tipo da nascondersi dietro la narrazione e i giochetti postmoderni.
Non esita il rischio di mettersi in prima persona nella pagina; da sempre; lo si sente. La riempie tutta. Ma non deborda.
Già lo si era visto nei suoi ultimi due lavori come romanziere, Per sempre vostro e L’intelligenza è un disturbo mentale.
E con Donne smarrite, uomini ribelli entra a pieno titolo nella lista degli anticonformisti in materia erotica e amorosa.
Anticonformista perché conforme a un modello più antico, conservatore, di sicuro misogino perché in fondo romantico.
Anticonformista perché conforme a un modello più antico, conservatore, classico, trasparente, anche nella sua scrittura.
Il suo stile ha l’asciuttezza di un minimalista – un massimalista – come Ellis, l’eleganza di un Henry de Montherlant, e infatti Donne smarrite, uomini ribelli, terzo episodio di una trilogia che qui probabilmente si conclude, sta con Le ragazze da marito, primo volume di una cinica tetralogia sulle donne nubili, e con Pierre Costals il suo protagonista, Emilio Rivolta – Rivolta il ribelle – chiaro alter ego del biellese (la “Città Piccola”) trasferito a Milano (la “Città Grande”).
Ribellione a cosa, contro cosa? Ribellione alla sua condizione. O meglio: ribellione a uno stato di cose. E ancore: ribellione silente, elegante, pacata, semplice quanto lo stile di scrittura, terso, di una semplicità che L’intelligenza è un disturbo mentale spiegava.
La semplicità, vi scriveva Bianchi, “è un punto d’arrivo. Sto attento alla banalità, quella è una scorciatoia. Ma complicare le cose, no. […] Scrivere complicato è più facile, la fatica la addossi tutta al lettore, invece per scrivere semplice bisogna aver capito bene”.
Ribellione contro la complicazione, da parte di un uomo certo complesso, non fosse altro per la sua condizione di bipolare sempre alle prese con psicoterapeuti, psicanalisti, psichiatri e psicofarmaci, e per l’innata predilezione per le donne a loro volta complicate.
Ribellione che non c’entra col ribellismo. Il ribellismo è di moda. È una moda femminile. Il ribellismo è un conformismo di massa. La ribellione è un fatto tutto individuale. E Rivolta esprime “certe idee fuori moda”. E out, a Milano, tanto quanto la galanteria.
Ribellione della speranza, “nella vita e in tutte le sue lusinghe perfette”, se non della fede.
Ribellione contro il fatto di esser “la persona meno sistemabile della Terra” e saperlo. Ribellione contro le donne che vogliono cambiare gli uomini, uno in particolare o tutti. Ribellione contro le dinamiche della Città Grande italiana, contro le infinite derive gastronomiche e linguistiche, antropologiche e psicologiche, architettoniche e urbanistiche, artistiche e culturali, o pseudo tali, e femministe, nonché (an)erotiche e dunque (an)agapitiche. Tutto si tiene. E va assieme.
Il catalogo del disprezzo, o meglio innanzitutto dello sconforto, è pressoché infinito… Le amanti della Svezia e di Tinder (“era diventato un lavoro, quasi una burocrazia, e per quanto palliativa, non era una cura sufficiente a darmi quiete”), dove Le donne da marito viene aggiornato agli anni Duemila (“Statemi lontani uomini che volete solo sesso” – “Cerco relazione con uomo serio, no sposati”), il teatro brechtiano, l’analisi junghiana, o freudiana, o lacaniana (“ho in orrore i testi di psicologia, perché si basano su presupposti criptici, sono il prodotto di dottrine esoteriche”), le presentazioni di libri, i Capodanni (di solito tristi), i week-end (detti pure we), gli psichiatri, gli sposati, i gay (per dire froci), gli psichiatri gay sposati (con un uomo), i pensieri proibiti (“Malati non so, curabili forse. Ma lui no di certo, alla sua età.”), gli intellettualismi, i film d’autore, i corsi di cucina, le uscite a quattro, gli svaghi, i diversivi, le fughe fuori porta, tra “i turisti scomposti del mordi e fuggi” (emuli degli italioti Totò e Fantozzi – certamente non di un Paul Morand), le giacche optical e gli uomini stalker, gli sms e il web, i manager, i briefing, il mobbing e i grattacieli (“arroganti imitazioni dei giardini pensili di Babilonia”), gli Spritz – sempre molto meglio il Negroni – agli aperitivi dove devi “pagare una cifra esagerata con il pretesto che ti puoi rifornire a sazietà a un buffet di cibi scadenti” per “l’eterno stare a guardarsi, l’un l’altro, l’essere insoddisfatti dell’altro, […] di sé, andare a casa soli”, e la movida del sabato in cui “moltiplicare le frustrazioni”, il cibo etnico, i circoli Arci (a esser sincero non vorrei dover mai infilare certe sigle tra le mie parole) e i centri sociali, macabri, anerotici, disperati luoghi d’ammucchiate “di fascisti travestiti da antifascisti”, i ritrovi “per anime in grado di professare solidarietà a distanza verso tutti i Vinti e i Disgraziati e i Deboli del mondo, non di questo mondo, ma proprio di tutto, soprattutto del mondo geograficamente lontano, l’Africa per esempio”, i manifesti sovietici e i poster dei Sandinisti o del Che (“icona più scontata tra i salvatori del mondo da divano”), la musica techno e Goran Bregovic, gli autori d’autofiction e i reading, la slam poetry, i social, il cool, le drag-queen, le mostre blockbuster; le “ragazze” di quarantacinque anni (“non siamo mica cresciuti in India”); quelle che vogliono fare l’albero di Natale (“voleva fare l’albero, io il presepio”); le deluse; le culone; quelle che si danno al browsing compulsivo, quelle che comprano roba da Ikea e da Coin, quelle che chiedono se hai un preservativo (“Non me li porto dietro perché lo trovo di cattivo gusto”); quelle che non sanno cucinare (“L’eredità ideologica della madre stava nel non saper cucinare”); le gelide, psicorigide, nervose (“Tutto il corpo le tremava compatto come un fascio di saggina”); le borghesi in fuga da se stesse; quelle che si tengono in forma; quelle sempre impegnate; le ecologiste; le animaliste;  le vegane, le vegetariane; le spirituali non religiose; e le confuse, e le smarrite; quelle “tra due generazioni lunghe, i vecchi che invecchiano sempre più, i bambini che arrivano sempre più tardi”; quelle sole senza volerlo; e le incapaci di stare sole; le puttane gentili del mondo della notte (Bianchi preferisce le zoccole alle esibizioniste); le “Vagine Lignee nel mondo di giorno” (un virgolettato da L’intelligenza è un disturbo mentale); le pretenziose, le ipotermiche, le autoritarie, le narcisiste, le paranoiche, le disperate, le tatuate, le perforate, le autolesioniste, le emancipate, le annoiate, le femministe, le rivendicatrici, le vendicatrici e i vendicatori, le “Animalate” e gli “Animalati” che raccolgono la cacca del cane invece di pulire il sedere ai bambini, e i sottomessi, gli inaffidabili, i mimetizzati da “giovani”, i lampadati e i depilati, i battutari e i narcisisti, e i timidi, gli asociali e gli egoisti – è ciò che Rivolta dice di essere – e i “doppiogiochisti o triplogiochisti o tetragiochisti”, i cugghiuni e i figgh’i buttana (a Milano si sente sempre meno parlare il caro milanès); i lettori che tra gli scrittori suicidi o ubriaconi optano per Ernst Hemingway e Raymond Carver e David Foster Wallace, e non per i due maestri di nome Charles, Baudelaire e Bukowski, per Drieu o per Celan; le lettrici che tra le scrittrici femmine scelgono inevitabilmente Alice Munro, se non peggio, ovvero qualche italiana, e non la Yourcenar o, meglio ancora per certi secondi fini primari, l’erotofilia di Anaïs Nin; gli esteti che ai film Clint Eastwood preferiscono i dipinti di Chagall, neppure Matisse e Wesselmann, e,  per farsi mancare proprio tutto, alle armonie di Mozart, Chopin e Listz la monotonia di Gideon Klein.
Eppure resta un dato di fatto, vero a Milano come in ogni altra metropoli del mondo. Come sostiene Fini nel Di(zion)ario erotico, testo fondamentale: “La città è erotica, la campagna è sessuale. In città sono i ritmi accelerati, febbrili, ossessivi, nevrotici, la prevalenza dei lavori intellettuali su quelli manuali, la mancanza di fatica fisica, gli ambienti ristretti, la contiguità di molti individui, l’importanza che vi assumono i vestiti, l’abbondanza e la fantasia degli oggetti, il contesto tecnologico, il cemento, a predisporre a un sesso di tipo mentale”.
E l’erotismo, che come scrive lo stesso Fini è un fatto mentale, per lo più maschile, in cui la donna è preda e l’uomo predatore, col paradosso per cui l’atto sessuale interessa di più la donna, nella grande città resta comunque vivo, se non che in poche ormai accettano questa dinamica, pur sollecitandola.
Nella Città Grande le donne non guardano ma vogliono che le si guardi. Peggio ancora, vogliono esser guardate ma non vogliono essere guardate. In ogni caso di base non guardano, non osano, e se osano sono smarrite. Così, “anche nei posti pubblici, anche dove si presumeva che le persone avessero interessi analoghi, la gente, se la osservavi, distoglieva gli occhi, perché girava questo luogo comune che se un uomo guardava una ragazza allora era perché voleva scoparsela e poi non richiamarla mai più, e se una donna guardava un uomo era una troia in cerca.”
È una Milano atroce che ne viene fuori male, anzi malissimo, che è specchio di una società in cui “sei vulnerabile se non sei crudele a tua volta, non sei perdonato, non sei nemmeno perdonabile”.
È una Milano ansiogena e del tutto priva di spontaneità. Una Milano che macina “vite, intenzioni e aspettative”. Una città che non perdona né la vecchiaia né la povertà. Una città nella quale le librerie “vivevano più di aperitivi che di libri, i libri non li comprava più nessuno”. Una Milano realistica, e quindi orrenda. Ricolma di donne sempre più conformi. Donne piene di pensierini prefabbricati. Che al concetto di radical chic possono esser ricondotti ma non ridotti, e qui sta l’interesse del libro. Bianchi, attraverso lo sguardo di Rivolta, si fa analista, moralista.
Un analista non da psicanalisi. Un moralista in senso classico. E un “uomo intransigente”.
L’oggettività, le evidenze, informano crudelmente il suo stile, esito di una nobile, sofferta, lucida sprezzatura conservatrice nei confronti di questo mondo e degli altri, ma anche e innanzitutto di se stesso (“sono un po’ malato e un po’ matto e un po’ coglione”).
Ma non si ferma agli oggetti e ai gesti, alle formule e alle parole. Mira dritto, per quanto possibile, al cuore, al punto del problema. Consapevole che la ricostruzione resta incerta, imprecisa, oziosa. Mezza necessità di un animo sensibile e ribelle, ovvero maschile. Mezza frivolezza di un uomo che non lavora più e vive di rendita. Eppure…
Eppure pesano i rammarichi, i gesti non fatti, i baci non dati, le parole di troppo, e quelle non dette, “tutto quello che sarebbe potuto essere e non è stato, ma non è detto che le cose sarebbero state diverse o migliori, […] le cose sarebbero andate per conto loro, anche peggio, e io comunque non posso saperlo, come sarebbero andate le cose se”.
I se, da cui Rivolta si dice attanagliato sin dalle primissime pagine di Per sempre vostro (“Per me […] ogni giorno passava con un senso vano di rimpianto”), per poi esplorarli ben più a fondo nelle memorie fanciullesche de L’intelligenza è un disturbo mentale.
I se. La ricerca delle occasioni perdute. A partire dalla prima donna di cui si era innamorato, “una matrice per un modello che lo avrebbe segnato di lì a sempre”.
I se. Il ricordo delle donne immaginate. Troppo differenti da quelle di oggi, che non sono più “le femmine, con i loro capricci e le riconciliazioni appassionate”.
I se. La decadenza della società italiana. Avesse avuto la possibilità, lui come i suoi coetanei e i più giovani, di vivere in un paese diverso, quello di decenni fa…
“Una società di vegliardi che avevano goduto dello sviluppo economico e adesso erano lì a passare l’eredità ai figli, i quali ne avrebbero goduto nello stesso tempo in cui perdevano il lavoro o si accontentava no di mezze carriere, là dove i genitori avevano riposto in loro aspettative sconvolgenti. […]
Del resto la mia era una generazione che viveva sull’eredità di un mondo in via di sparizione, su patrimoni grandi e piccoli accumulati nei decenni prima dai nonni e dai genitori, sul lavoro fatto nel dopoguerra, durante una crescita che ormai non c’era più da anni, si era fermata del tutto un decennio prima. […]
Purtroppo io da anni non avevo rapporti con la realtà vera e costruttiva di chi incide in modo pratico sul mondo, avendo frequentato la civiltà arcaica dei giornali e delle case editrici, e un mondo letterario che era ormai solo un sottobosco sociale e non contava nulla e non produceva reddito alcuno.”
Bianchi non esita a criticare i libri, specie di scrittori italiani, il giornalismo, le presentazioni, le librerie, l’editoria (“Gente di una cattiveria luciferina”), un ambiente con cui ha convissuto ed evidentemente convive controvoglia, ma non solo, dà conto di una strana impressione per cui i libri possano arrivare perfino a soffocare, a inficiare, a distruggere una storia d’amore in fieri.
“I libri ci opprimevano, per quanto ancora non ce ne fossimo accorti. I libri cercavano di distruggerci. Le idee astratte ci minacciavano. […] Alla fine eravamo sempre impantanati nei libri. […] Gira e gira e ravamo sempre in qualche libreria”…
I libri, i grandi classici, sono tuttavia il nutrimento intellettuale di Rivolta, che in Donne smarrite, uomini ribelli più volte si trova a prendere, sfogliare, chiudere e riporre i libri di autori italiani, mai citati credo per disgusto più che per rispetto, dunque per non imbrattare le pagine del suo romanzo con nomi e titoli poco degni, mentre ne L’intelligenza è un disturbo mentale facevano capolino Il grande Gatsby di F. S. Fitzgerald e la Ricerca del tempo perduto di Proust a far da spunto al lavorìo mentale tra passato e futuro, in un presente che sfugge.
Rivolta scrive su un quaderno della Cura e della Lotta. “E ci scrivo gli inizi dei libri che leggo, che sanno raccontare gli affanni. Ricopio dai grandi. Poi non sono soddisfatto nemmeno così, perché non sono neanche abbastanza piccolo da tacere sempre. Per i due terzi della mia vita ho scritto, però adesso, dopo le tempeste, scrivo per agire”.
Ricopia l’incipit delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, che informa alcune frasi d’autoanalisi, autodenigratoria, in cui si dice a sua volta odioso, malvagio, malato (“Se l’umanità era malata, lo ero anch’io” – “L’umanità era malata, e dunque io pure”), sprofondato in un sottosuolo che, come ha scritto Fausto Malcovati, “è negazione, distruzione delle abitudini sociali cristallizzate, è rifiuto delle fissità convenzionali, è maledizione della solitudine”, stato di rivolta.
Lo stato bipolare, depresso, ansioso che sia, approccia, nelle sue crisi, la verità che agli altri sovente sfugge: “Poi ho pensato che le crisi, quando si è dentro nella morsa della Tenaglia, hanno come unico vantaggio, sempre che lo sia, di conferire una forte lucidità di giudizio sul mondo. […] Per questo era così duro sopportare una crisi, perché era come se l’ansia e la verità, a un certo punto, si trovassero a coincidere. E quella cosa era abbastanza vicina alla disperazione.”
Ricorda, ancora ne L’intelligenza è un disturbo mentale, come la sofferenza non sia sempre definibile e mai davvero misurabile (“Non si può quantificare il dolore, non c’è una unità di misura, non si può calcolarlo con il dolorimetro”), e come ogni sintomo sia non solo una pena ma anche un segno (“Una mia amica psicologa dice che il sintomo è la salvezza e che senza i sintomi impazziremmo tutti”), ed eccolo sintomatologo, denunciatore della decadenza nei suoi dettagli.
Ne scrive. Ma scrive anche che: “La scrittura non è terapeutica”; sa che non guarisce; eppure vuol guarire; vivere. Non buttare via la vita con la psicanalisi. Non buttare via l’energia e la vita dagli psicanalisti. E scrive che scrivere “non aiuta, anzi ti trascina in basso”; ma sente anche che “finché scrivo, sto ancora vivendo”; e può testimoniare… E la sola maniera che conosce è scrivere.
Il suo “voglio vivere”, elegante, sommesso, trattenuto, ricorda il grido vitale di un Miller. Un grido vitale quasi sempre assente dalla sconfortante teoria di mortiferi romanzi italici. Mentre a riguardo da questo libro si può attingere in lungo e in largo quanto ad aforismi – alcuni devastanti (“Distruggere un amore è difficile quasi quanto costruirlo”) altri illuminanti:
“[R]ipenso che c’è molto della politica nell’amore. Se la politica alla Von Clausewitz è la continuazione della guerra con altri mezzi, e l’amore è guerra, anche l’amore non può essere che continuazione della politica con altri mezzi.
La politica è, come la guerra, l’arte di conquistare ed esercitare il potere. L’amore è l’arte di conquistare ed esercitare il potere. Più che l’amare, conta l’essere amati. Chi è amato vince. Il fuggire in amore è solo una ritirata strategica”.
In un paese che offre ormai per lo più romanzi inutili (di fronte alle prose di un Baricco, di un Saviano o di un Serino devo fermarmi alla prima pagina), troppo un americanismo d’accatto, da epigoni di Eggers, Ellroy e Wallace, e pseudo rocchenrol da provinciali – nel senso più negativo del termine –, sotto vuoto spinto, tra nichilismo, giochino adolescenziale e culturame paratelevisivo, in una scena cui anche le voci migliori come un Brizzi non sono più scintillanti come ai tempi di Tre ragazzi immaginari (l’ultimo romanzo italofono che – fanno esattamente vent’anni – ho letto il giorno in cui è uscito), è semplicemente bello sapere che c’è ancora un romanziere che scrive di sé, davvero di sé – ossia della realtà, l’unica vera realtà –, e delle persone, degli incontri, delle relazioni senz’altro filtro se non quello della più semplice classica eleganza, come fa Bianchi in Donne smarrite, uomini ribelli…
Un libro buono per non dimenticare che, donne e uomini, maschi e femmine, in fondo ci troviamo “nella stessa barca di altri innumerevoli ricercatori di sé, di un senso e di un posto nel mondo”. Eppure, è in realtà un romanzo più di disamore che d’amore. Perché è un libro in cui la storia d’amore è l’allegoria di altro. Ovvero di un mondo culturale, letterario in totale decadenza. Nel quadro di un paese ideologizzato, e anch’esso alla deriva.
Rivolta, e come lui lo stesso Bianchi, è l’uomo in rivolta, l’uomo necessario nelle lettere ma anche e soprattutto fuori dai libri. È l’uomo che ama, che vuole aprirsi al mondo, al sensuale, al possibile, al futuro, ma anche conservarsi, conservando il meglio. A dispetto del fatto che ciò possa dare l’impressione d’indietreggiare risospinti dalle onde del tempo (“Se il mondo cambia e noi non cambiamo di conseguenza, se siamo conservatori, abbiamo l’impressione di essere lasciati indietro”). E anche a dispetto del fatto che ciò possa dare l’impressione di esser dei provocatori e dei ribelli (“Chissà quanto cafone mi aveva trovato, fare il provocatore e poi mettermi addirittura a leggere, senza contare quanto avevo bevuto”). Perché, e questo è il dato che emerge prepotentemente dal romanzo di Bianchi, in questa drammatica fase storica e ideologica, una cosa sembra comportare necessariamente l’altra.
O forse si tratta soltanto del ritorno eterno di ciò che sottolineava Solinas relativamente ai grandi romanzieri degli anni Venti, misoginia e romanticismo vanno a braccetto.
Con intelligenza e sensibilità, a dispetto di tutto e più di tutto della stupidità delle tentazioni gnosticiste che allignano ovunque: nella censura puritana di sedicenti eletti, in una vera e propria caccia alle streghe; in una sorta di maccartismo progressista; in una moralizzazione sempre più pervasiva; nelle tentazioni delle astrazioni ideologiche; peggiori di ogni tentazione erotica o carnale. E se l’amore non può esser saldo come una roccia, che sia vivo come un albero o un felino, o magari come una piccola onda…
Ricordandosi che, come ha scritto Ernst Jünger nel suo Trattato del Ribelle, anche se si è cavalieri: “Il ribelle non si aspetta che il nemico accetti i suoi ragionamenti, né, tanto meno, che si comporti secondo le regole della cavalleria. […] Il ribelle conosce una nuova solitudine introdotta dalla malvagità che si è accresciuta in modo satanico”.
Jünger è decisamente puntuale… L’etimologia è d’altronde chiara: il modus satanico è quello della divisione, l’opposizione, l’ostilità, la separazione, il complotto contro l’altro; e se l’angelo del male è ribelle a Dio, nel romanzo di Bianchi s’intravede pure una possibile rivolta del bene.
La definiremo amore e speranza.
Per chiudere, mi perdonerà il romanziere se ho esagerato con l’identificazione tra autore e personaggio, la quale d’altronde mi pare vada quasi tutta a sua gloria.
Marco Settimini
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chenxidesuxing-blog · 7 years
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maurogv · 7 years
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Le schede telefoniche France Télécom Pubbliche
Ho introdotto le schede telefoniche francesi per cabina telefonica o postazione telefonica che si inseriscono nel telefono pubblico fornendo preziose informazioni sulla classificazione, sull'aspetto e i modelli di schede telefoniche France Télécom, che sono schede telefoniche a chip, aiutato dalla Bibbia del Collezionista ossia il catalogo Phonecote,[^] dal sito che connette i collezionisti, cioè Colnect, e dalla mia esperienza. Ho guardato nel lato figurato della scheda telefonica al tipo di chip e al cartiglio, e al retro della scheda telefonica nello spazio bianco, dove si trovano il logo, il testo di servizio e altre scritte, il numero di serie, la tiratura e la data di emissione, ecc., ecc. Vengo, ora, finalmente al pane del collezionista, la scheda telefonica con la sua immagine e la serie alla quale eventualmente appartiene, parlando di quelle che ho avuto tra le mani, ossia le schede telefoniche France Télécom Pubbliche e Assimilabili Pubbliche.
Alcune informazioni
Le schede telefoniche France Télécom Pubbliche, Les Publiques,[^] sono migliaia,[^] e hanno attratto, per lo stile inimitabile, milioni di collezionisti di schede telefoniche, e non solo, di ogni parte del globo per più di venti anni, più o meno a cavallo dell'anno 2000. Le schede telefoniche francesi pubbliche sono in due valori, 50 unités e 120 unités. La scheda in 120 unità di solito ha una tiratura inferiore della scheda da 50 unità, spesso sono una coppia, e a volte con la stessa immagine, molte, invece, fanno parte di una serie.
Le variazioni principali di schede telefoniche aventi la stessa immagine riguardano la puce, la tiratura e la data, ma non sono molte. Le varietà del numero di serie, serigrafie, la loro posizione, errori e altro, sono invece un certo numero e richiede uno studio specialistico, che in Phonecote ha una sezione dedicata, con il nome Les Variétés de Publiques.[^] La tiratura sulla télécarte è complessiva delle 50 e 120 unità, e delle carte con chip e date diverse (ci sono tuttavia eccezioni), e serve, quindi, un catalogo per conoscere la reale tiratura della singola scheda. Alcune télécartes hanno scritto Tirage di ben 2.000.000,[^] una scheda con l'immagine della Torre Eiffel appena 105.000[^].
Preferisco omettere esempi di schede telefoniche, anche a scapito della documentazione, che su Colnect hanno segni aggiuntivi, a matita o a penna, e molte carte francesi li hanno perchè le varietà sono molte, come il numero di catalogo,[^] anche con il prezzo,[^] o con altre annotazioni[^].
Le prime schede telefoniche Pubbliche
Nel maggio 1987 vede la luce la prima scheda telefonica a chip francese pubblica, Paris JTB Champs-Elysees Arc de Triumphe.[^] La télécarte non ha logo ma solo il cartiglio, e France Télécom nascerà solo nel 1988. Le prime schede telefoniche, è evidente, sono rare, e io non le ho, mi piacerebbe, è altrettanto scontato, averle. Con il primo cartiglio e France Telecom che è solo nel testo En cas d'incident appellez le 13 ou adressez-vous à votre Agence de France Telecom, io ricordo alcune télécartes che posseggo, che hanno già una tiratura maggiore, La 4e Dimension, 3e Internationaux de France de Gimnastique, Kronenbourg[^].
Il periodo d'oro, dal 1989 al 2000
Con il secondo cartiglio, che dura dal 1989 al 2000, bellissime télécartes, indimenticabili, che catturano, lascio molti nomi in francese. La scheda telefonica è in tasca ad ogni persona che vuole telefonare fuori casa, e le telefonate sono tantissime, e si può dire che è il suo periodo d'oro, che viene dopo il pagamento con gettoni e monete e prima dell'avvento del telefonino.
Due serie culto: Les Grand Figures des Telecommunications e Telephone et Cinema
Due serie sono vere oggetto di culto per i collezionisti di schede telefoniche, imitate da tanti altri paesi e Telecom del mondo. Molte carte sono nel doppio valore, 50 e 120 unità.
La prima è Les Grand Figures des Telecommunications, con l'immagine di un personaggio che ha fatto la storia delle telecomunicazioni, inventori e scienziati, e al retro della carta una sua breve biografia. Ogni télécarte ha uno sfondo ad un colore, ci sono variazioni di data e di produttore della puce. Queste Grandi Figure sono:
1 Maurice Deloraine (10/92), 2 Alexander Graham Bell, 3 Samuel Morse, 4 René Barthelemy, 5 Emilie Baudot, 6 Clement Ader, 7 Guglielmo Marconi, 8 Gustave Ferrier, 9 Claude Chappe,[^] 10 Edouard Belin, 11 Robert Keller, 12 Giovanni Caselli (03/94).
La seconda serie memorabile di télécartes è Telephone et Cinema, una serie numerata iniziata prima del 1990, quando ancora non c'era la tiratura e la data di emissione sulla carta, e continuata fin oltre l'anno 2000. La serie ritrae, con immagini tratte da film, noti attori e attrici mentre telefonano:
1 Michel Serrault dans "Les fantômas du chapelier" (1982) un film de Claude Chabrol.[^]
2 Claude Lelouch (02/92) dans "La belle histoire" (1992) un film de Claude Lelouch.
3 Gerard Lanvin (02/92) dans "La belle histoire" (1992) un film de Claude Lelouch.[^]
4 Jean Gabin (03/93 - 05/94) dans "Les Grand Familles" (1958) un film de Claude Deny de La Patellière.
5 Simone Signoret (12.93, 03.94) dans "Les Diaboliques" (1954) un film de Henri-Georges Clouzout.
6 Romy Schneider dans "La Piscine" (1969) un film de Jacques Deray.
7 Jean-Louis Trintignat dans "Trois Couleurs Rouge" (1994) un film de Krzysztof Kieslowski.
8 Catherine Deneuve (04/95) dans "Le bon plaisir" (1984) un film de Francis Girod.
più in breve, 9 Gérard Depardieu-Christian Clavier,[^] 10 Jeanne Moreau (10/96), 11 Michel Piccoli, 12 Christian Clavier, 13 Bernard Blier (02/99), 14 e 15 con il nuovo cartiglio.
Altre serie con tema il telefono, la telefonata e la cabina telefonica
Continuo a scrivere del periodo più bello della carta telefonica, con le serie di télécartes con tema il telefono, l'atto di telefonare e dove avviene, nella cabina telefonica. Il merito di France Télécom, come nelle due serie sopra nominate, è di metterlo davanti ad ogni altro tipo di soggetto. Le serie sono:
Collection Historique, con date 1997 e 1998, dove ogni télécarte ha immagine un telefono d'epoca, e al retro c'è il nome del telefono, l'anno e una didascalia:
1 Téléphone Deckert 1912,[^] 2 Téléphone Ericsson 1900, 3 Téléphone D'Arsonval 1900, 4 Téléphone Jacquesson 1924, 5 Téléphone Ader 1880, 6 Téléphone Ericsson 1885,[^] 7 Téléphone Mildé 1892, 8 Téléphone Bailleux 1892, 9 Téléphone Mildé 1901, 10 Téléphone Pasquet 1905, 11 Téléphone Berliner 1910, 12 Téléphone Mildè 1911, ..., 22 Télégraphe manipulateur Bréguet 1850.
9 histoires humoristiques (la prima télécartes è del 11-98): 1 Les petits diables,[^] 2 Le roller, ..., 9 Le père Noël.
Depart immediat pour Londres, New York, ou Le Caire... (12-98 - 05-99): 1 New York,[^] 2 Pise, 3 Pékin, 4 Londres, 5 Moscou, 6 Amsterdam, 7 Le Caire, 8 Tokyo, 9 Marrakech, 10 Münich, 11 Seville, 12 Cuba.
Collection Dessins d'enfants: Cabine n° 1 gaelle 6 ans, ..., Cabine n° 8 marc 6 ans[^].
Collection grand nouvelles: 1 Le Mariage, 2 La Danseuse Étoile, 3 La Naissance, 4 Les Vacances,[^] 5 L'Oscar, 6 L'Examen (alcune sono con il cartiglio successivo).
Altre serie di télécartes e télécartes
Altre schede telefoniche di quel decennio fantastico e irripetibile, nella dimensione di una carta di credito, 85.60 mm. × 53.98 mm, che ha tanta fortuna, le raggruppo per argomento. Alcune sono serie di télécartes, altre una coppia, 50 unità e 120 unità, un numero più piccolo sono ricorrenti ogni anno:
culturali: Accadémie francaise (più serie, i primi soggetti sono del 1989), Festival de Musique d'Anvers-sur-Oise con il celeberrimo autoritratto di Van Gogh,[^] Mozart Musicién Européen (05/91),[^] la serie L'Art Vocal di 6 carte, 50 e 120 unités, con Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Louis Armstrong,[^] Bessie Smith, Fats Waller e Cab Calloway, poi Street Culture, e molte altre.
di servizi telefonici e del marchio France Télécom: Tarif 18 h 00, Mémophone 3672,[^] Signal d'appel, Transfert d'appel, Call home, Minitel 2, le stagioni,[^] e molte altre.
pubblicitarie: Aspirine oberline, Milka Lila Pause, Yoplait[^] con l'immagine della fiaccola, per Albertville 92, la prima carta telefonica francese da me avuta, EuroDisney,[^] Bose, Gaz de France, Orangina, Schweppes, Buitoni, Barilla, Peugeot Assistance, Renault, Citroen, Kitkat, SNCF, Yves Rocher, Michelin, Nike, Auchan, e molte altre. Alcuni marchi, periodicamente, sono in carte telefoniche, e in serie.
celebrative di eventi sportivi: la serie di Albertville, su sfondo azzurro, con un atleta per ogni disciplina invernale (hockey,[^] pattinaggio, sci, sci di fondo, salto con gli sci), Roland Garros, campionati del mondo di ginnastica a Bercy, le due serie di Peugeot 1ere aux 24 heures du Mans en 92 et 93, Tour de France. Poi, campionato del mondo di calcio France 98, con i gruppi, Footix,[^] i manifesti, i giocatori, le vignette di umoristi, gli stadi[^]. Queste ultime meritano un ricordo speciale. Infatti, le acquistai da un mio conoscente francese, che faceva forse il mio stesso mestiere, fare dei mercatini, andando a Nizza, partendo in treno da Bordighera, dove di solito trascorrevo le vacanze.
commemorative: 50ème Anniversaire de Débarquements en Normandie et de la Libération de la France.
di luoghi e regionali, carte a più bassa tiratura uscite solo in regioni o dipartimenti: Ile de France, Règion des Pays de la Loire e altre.
della telecomunicazione, della tecnologia telefonica e la vendita di schede telefoniche: Musée de Télécommunication de Plemeur-Bodou, Plemeur-Bodou (21 serie nel corso degli anni), BNVT (Bureau National de la Vente des Telecartes de France Telecom).
informative e lotta contro le malattie: SIDA.
E ciò che sembra essere solo una lista di carte telefoniche, è il tempo che passa, la mia vita che scorre.
Le télécartes dal 2000 in poi
Dal 2000, dovendo continuare il mio racconto, con il cartiglio a punta e il nuovo logo, le schede telefoniche francesi progressivamente diventano più difficili da trovare, nonostante l'alta tiratura stampata sulla carta, forse perchè meno vendute e, più probabilmente, perchè France Télécom cambia frequentemente la data della stessa carta e il fabbricante.
Nuove serie illustrano, con disegni, altri aspetti della telefonia, come il progresso, le cabine telefoniche, nell'arte, ma risultano essere meno efficaci rispetto alle serie precedenti. Le serie sono:
continua Telephone et Cinema, con 14 Roman Polanski (03/00)[^] e 15 Johnny Depp (11/00).
Le XXème siècle (00): Carte N° 1 La Conquête spatiale (con il cartiglio precedente), N° 2 L'Ordinateur, N° 3 Le G.P.S, N° 4 La Télévision, N° 5 L'automobile, N° 5 Le cinema, N° 6 Les Télécommunications, N° 7 La Plongèè sous-marine,[^] N° 8 La Musique, N° 9 L'Électricitè, N° 10 Le Microprocesseur, N° 12 La Médicine.
Collection Courants Artistiques (11/00): N°1 Le "Wiener Werkstâtte" Austriche (1896-1932),[^] N°2 Le Fauvisme - France (1905-1910), ..., N°8 Le Pop Art Etats-Unis (1955-1970).
Tre serie di 4 carte ciascuna: Le Soleil, les Vacances, la Plage (07/01), Les cabines de... (07/01), Le double-effet cabines telephoniques (10-01 - 12-01).
Parlez-vous Européen? (01-02 - 02-02): 1 Hola - Espagne, 2 Emitpos - Grece, 3 Hallo - Hollande, 4 Hallo - Allemagne-Autriche, 5 Hello - Angleterre, 6 Pronto - Italie[^].
Altre: "Instantanes de cabines" (04-02) una serie di 4 schede telefoniche a chip, Cool! OK! tranquille! (07-02) 6 télécartes, 20000 cabines partoute en France! (10-02) 6 télécartes, Vivez la ville (09-03) 4 carte telefoniche.
Altre télécartes o serie di télécartes sono: Bollè, RFM, & france telecom et votre buraliste, Rugby, film in uscita nei cinema, come S1m0ne, Seigneur des Anneaux (Il Signore degli Anelli),[^] Blade II e Austin Powers, poi Les Grand Monuments, e tante altre.
La mia catalogazione
Dopo vari pasticci, in cui avevo separato le schede di servizi telefonici e del solo marchio France Télécom dalle altre, perchè meno appariscenti e comuni o ordinarie, ho seguito, poi, la più logica catalogazione cronologica di Phonecote.
Le mie télécartes sono gelosamente custodite in scatole di scarpe, che mai ho cambiato, all'interno di pacchetti di sigarette numerati, mentre altre sono sistemate in fila in scatole etichettate, della dimensione di una scheda, alcune in legno, con le serie più lunghe, e altre in cartone. Esse sono sparse in più locali, l'armadio della mia cameretta, un angolo della sala e la cantina. Ho presentato le mie schede telefoniche francesi a chip in tre grandi album, raggruppando le carte di ogni serie, e mettendo, in ogni taschina, un piccolo adesivo in alto, in cui c'è il numero di catalogo, e un altro adesivo in basso, rotondo, con il mio prezzo di vendita.
Nel passato portavo uno dei miei album di schede telefoniche France Télécom Pubbliche al mercatino, proprio al centro della mia bancarella, e ne andavo fiero, perchè esse erano le più belle tra le mie schede telefoniche straniere.
Note
Chambre des négociants experts en télécartes. Phonecote 2002: Guide Annuel des Télécartes et mobicartes (13a ed.) (in francese). Consultato il 21 febbraio 2017.
Chambre des négociants experts en télécartes. Les Publiques. Phonecote 2002: Guide Annuel des Télécartes et mobicartes (13a ed.) (in francese). pp. 81-173. Consultato il 21 febbraio 2017.
"France Telecom". In Catalogo di schede telefoniche: Francia: Lista per Serie. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
Chambre des négociants experts en télécartes. Les Variétés de Publiques. Phonecote 2002: Guide Annuel des Télécartes et mobicartes (13a ed.) (in francese). pp. 175-240. Consultato il 21 febbraio 2017.
"L'univers Telecarte". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Tour Eiffel". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Schweppes 1". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Call Home 92". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Minicom". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Paris J.T.B.". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Kronenbourg Petite Fleche". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Grandes Figures Telecom. n. 09 - Claude Chappe". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"01 - Michel Serrault". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Tel-cine03 Lanvin". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Telephone et Cinema n. 9 - Clavier & Depardieu". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Collection Historique n. 01 - Téléphone Deckert". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Collection Historique n. 06 - Téléphone Ericsson". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Les Petits Diables". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"01 - New York". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Marc 8 ans - la cabine en haut". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Grandes Nouvelles n. 4 - Les Vacances". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Van Gogh". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Mozart". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Jazz - Louis Armstrong". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Memophone Jazz". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"L'hiver". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Yoplait". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Casting Center Eurodisney Gros Logo Mickey". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Hockey". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"World Cup '98 - Footix, Tete". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Les Stades de France 98 - Lyon". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Telephone et Cinema n. 14 - Roman Polanski". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Le XXe Siecle n. 7 - La Plongee". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Collection Courants Artistiques n. 1 - Wiener Werkstatte Aut". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Allo 6 - Italie (pronto)". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
"Seigneur Des Anneaux - Yeux Fermés". In Catalogo di schede telefoniche: Scheda telefonica. Colnect. Consultato il 21 febbraio 2017.
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carmenvicinanza · 3 years
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Kara Walker
https://www.unadonnalgiorno.it/kara-walker/
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Kara Walker è un’artista afroamericana che, da oltre venti anni, esplora  con un personalissimo linguaggio visivo, questioni sociali, di genere, storia dello schiavismo e discriminazione razziale.
Nel 2007 è comparsa nella lista delle cento persone più influenti dell’anno per la rivista Time.
Nata in una California multiculturale il 26 novembre 1969, quando aveva 13 anni si trasferì con la famiglia a Atlanta dove si è presto scontrata con un ambiente chiuso e razzista. Questa esperienza ha segnato la sua produzione artistica volta a denunciare ingiustizie attraverso silhouette nere, sculture e dipinti intrisi di violenza, sadismo e ironia.
Nel 1994 ha realizzato la sua prima opera Gone: An Historical Romance of a Civil War as It Haccurred Between the Dusky Thighs of One Young Negress and Her Heart (Romanzo storico di una guerra civile avvenuta tra le cosce scure di una giovane nera e il suo cuore) al Drawing Center di New York in cui ripropose la sagoma di un soldato della secessione e di una donna che stanno per baciarsi, una coppia come quella di Via col vento, mentre nella scena si dipanavano efferatezze e sesso, con espliciti riferimenti alle raffigurazioni degli schiavi africani nella società dell’epoca, con torture, linciaggi e stupri.
L’opera ha imposto Kara Walker sulla scena internazionale dando il via a una pratica che l’artista declina in differenti accezioni e discipline.
Nel 1997, a soli 28 anni, ha ricevuto la prestigiosa borsa di studio Mac Arthur, chiamata anche “Genius Grant”, destinata a giovani geni che portano innovazione nel campo delle arti.
Nel 2007 è stata tra gli artisti del Padiglione centrale della 52° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.
La sua produzione è contraddistinta dall’uso di sagome nere direttamente applicate sul muro bianco, profili ritagliati direttamente dalla carta o dal linoleum, che delineano figure a grandezza naturale tratte solitamente dalla storia americana, la narrativa colonialista e i suoi cliché.
Le sue trasposizioni  attingono da un ampio repertorio storico-culturale agendo su più piani: in un mondo da incubo, si rivela la brutalità del razzismo e della disuguaglianza resi con una violenza gretta ma dai movimenti festosi così sgradevoli da implicare una riflessione mista a fastidio e senso di colpa.
Spesso la protagonista è l’iconografia della Mami del film Via col Vento, foulard annodato sulla fronte, seno e fondoschiena grossi, facilmente identificabile e sempre oggetto di abusi e sfruttamento.
Usando questo archetipo ha realizzato, nel 2014, Marvelous Sugar Baby una gigantesca scultura di una donna nera dai tratti caricaturali in sembianze di Sfinge ricoperta di zucchero bianco e circondata da statue di bambini color melassa fatti di zucchero sciolto e resina. In mostra presso la raffineria Domino Sugar abbandonata a Brooklyn in occasione della sua demolizione, era un chiaro riferimento alla raccolta dello zucchero, alla sua lavorazione e alla realtà umiliante e disperata di schiavi e schiave delle piantagioni.
Nel 2015 ha firmato scene, costumi e regia della Norma di Vincenzo Bellini al Teatro La Fenice di Venezia, per la Biennale, ambientando la storia in Africa, in un immaginario che gioca con le rappresentazioni dei luoghi comuni e denuncia pregiudizi, disuguaglianze e maltrattamenti.
Tra il 2019 e il 2020 ha realizzato Fons Americanus, opera commissionata dalla Tate Modern per la Turbine Hall. La fontana, alta 13 metri, era ispirata al Victoria Memorial di Londra, monumento in cui figure allegoriche circondano un piedistallo sulla cui sommità c’è la protagonista. La scultura, fatta di sughero, metallo, legno e jesmonite, progettata per essere riciclabile, seguendo lo schema trionfalistico, culmina con una figura femminile dal cui seno e dalla gola tagliata zampilla l’acqua che scorre nella parte inferiore dove appaiono elementi che fanno riferimento alle storie dell’Africa, dell’America e dell’Europa, in particolare relative alla tratta atlantica degli schiavi.
Nel 2020, a rappresentare il Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia, si è scelta un’altra artista, forse più rassicurante.
Le sue opere sono state spesso oggetto di polemiche: al Detroit Institute of Art una sua opera fu rimossa per poi essere esposta di nuovo; nella Newark Public Library, The moral arc of history ideally bends towards justice but just as soon as not curves back around toward barbarism, sadism, and unrestrained chaos fu coperta perché non ritenuta idonea al luogo e non sono pochi coloro che accusano l’arte di Kara Walker di istigare alla violenza.
Nonostante le sue opere siano “scomode”, le sue quotazioni sono da record come per Four Idioms on Negro Art #4 Primitivism (2015) che, nel 2019, ha raggiunto 445.842 euro da Christie’s.
Testo di Graziella Melani Geraci
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carmenvicinanza · 3 years
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Liliana Segre
https://www.unadonnalgiorno.it/non-anestetizziamo-le-coscienze/
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La politica che investe nell’odio è sempre una medaglia a due facce che incendia anche gli animi di chi vive con rabbia e disperazione il disagio dovuto alla crisi e questo è pericoloso. A me hanno insegnato che chi salva una vita salva il mondo intero, l’accoglienza rende più saggia e umana la nostra società.
Liliana Segre, attivista e politica italiana, superstite dell’Olocausto e instancabile testimone della Shoah italiana.
Senatrice a vita dal 2018, presiede la Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni di odio, razzismo e intolleranza.
Nata a Milano il 10 settembre 1930 in una famiglia di discendenza ebraica, sua madre morì quando era piccolissima. A causa delle leggi razziali venne espulsa da scuola nel 1938. Suo padre la nascose a casa di amici utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provarono a fuggire in Svizzera ma furono respinti. Il giorno successivo, venne arrestata, aveva tredici anni. Venne detenuta per quaranta giorni nel carcere di San Vittore a Milano.
Il 30 gennaio 1944, fu deportata al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Venne subito separata dal padre, che non rivide mai più e che morì dopo pochi mesi. Nello stesso anno anche i suoi nonni paterni furono deportati e uccisi nelle camere a gas.
Ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Passò ben tre selezioni in cui si sceglieva chi doveva entrare nelle camere a gas e chi graziare, in una di queste perse una sua giovane amica con cui lavorava.
Il 27 gennaio 1945, fu costretta dai soldati nazisti, insieme agli ottantamila internati ancora capaci di reggersi in piedi, a incamminarsi verso la Germania, in una marcia forzata che divenne nota come Marcia della morte, perché le strade innevate della Polonia erano disseminate dei cadaveri dei prigionieri che non avevano retto alla fame e al gelo, o che erano stati finiti dalle SS con un colpo di pistola. Venne liberata dall’Armata Rossa a Malchow, un sottocampo di Ravensbrück, il 30 aprile 1945. Quando tornò a Milano, della sua famiglia si erano salvati solo i nonni materni e uno zio. Delle 605 persone del suo trasporto, solo venti fecero ritorno.
È stata tra i 25 sopravvissuti dei 776 bambini e bambine italiane di età inferiore ai 14 anni deportati ad Auschwitz.
Il ritorno a casa non fu semplice,
Nel 1948, a Pesaro, conobbe Alfredo Belli Paci, avvocato cattolico anch’egli reduce dai campi di concentramento nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò. Si sposarono nel 1951 e hanno avuto tre figli, due maschi e una femmina.
Il marito in seguito aderì in seguito alla lista del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, candidandosi per la Camera dei Deputati nelle elezioni politiche del 1979. Questa scelta causò un’incrinatura nel loro rapporto ricucita quando l’uomo abbandonò la politica su sua richiesta.
Liliana Segre, che per molto tempo non ha voluto parlare pubblicamente della sua esperienza nei campi di sterminio, ha poi vinto il pudore iniziale grazie a Goti Bauer, anch’essa deportata ad Auschwitz-Birkenau nel 1944, che la convinse a testimoniare e la sostenne nei suoi primi racconti in pubblico. Da allora, Liliana Segre è diventata una testimone importantissima, amata, richiesta in tutte le scuole.
Nel 1997 è stata fra i testimoni del documentario Memoria, presentato al Festival del Cinema di Berlino.
È del 2004 la sua testimonianza nel volume Come una rana d’inverno. Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz.
Nel 2005 è uscito Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah.
Nel 2009 la sua voce è stata inclusa nel progetto di raccolta dei “racconti di chi è sopravvissuto” del Centro di documentazione ebraica contemporanea. Ha partecipato anche al film/documentario Binario 21 di Moni Ovadia.
Le è stato anche dedicato un asteroide contraddistinto dallo stesso numero che porta tatuato sul braccio.
Il 19 gennaio 2018, nell’80º anniversario delle leggi razziali fasciste, è stata nominata senatrice a vita “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale“.
Per le sue ferme dichiarazioni di opporsi a qualunque legge discriminatoria ha subito attacchi feroci dalle destre sovraniste italiane in aula e su internet, tanto che le è stata assegnata una scorta nel novembre del 2019.
In opposizione ai tanti odiatori, c’è da dire che ha avuto un enorme sostegno da milioni di persone.
Il suo prezioso narrare in tanti contesti pubblici e soprattutto in tante scuole, è diventato una fucina di metafore e di immagini. Ha continuato a esaminare, a scandagliare i concetti che esprime, a verificarne la solidità e l’efficacia, a mettere alla prova i ricordi anche nei più minuti dettagli.
L’autorevolezza della sua figura pubblica è stata riconosciuta dall’attribuzione di molte prestigiose onorificenze, lauree ad honorem e medaglie.
Liliana Segre è una testimone lucida e dettagliata, una voce fondamentale contro ogni forma di ingiustizia e discriminazione.
Il 9 ottobre 2020 ha pronunciato il suo ultimo discorso pubblico, prima di ritirarsi a vita privata, in provincia di Arezzo.
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italianaradio · 5 years
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The Batman: rivelati i quattro villain principali del film
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/the-batman-rivelati-i-quattro-villain-principali-del-film-2/
The Batman: rivelati i quattro villain principali del film
The Batman: rivelati i quattro villain principali del film
The Batman: rivelati i quattro villain principali del film
La galleria di antagonisti di The Batman sembrerebbe ufficialmente allineata: è il sito Geeks WorldWide a riportare infatti che nel film di Matt Reeves, ideato per riavviare le sorti del crociato di Gotham al cinema dopo il tentativo di Zack Snyder con Ben Affleck, vedremo ben quattro villain affiancare il protagonista Robert Pattinson.
Ma di chi parliamo?
Enigmista
Secondo i report, l’Enigmista sarà uno dei cattivi del film, e per questo personaggio il regista sarebbe in cerca di un attore di età compresa fra i trenta e i quarant’anni. I primi dettagli di produzione lo descrivono come “una mente criminale di Gotham City che si diletta nell’integrare enigmi nei suoi schemi, lasciandoli come indizi da risolvere per le autorità“.
Pinguino
Più che probabile il ritorno sullo schermo di Pinguino, che le indiscrezioni apostrofano come un “gangster di Gotham City” in una versione non del tutto reinventata rispetto agli adattamenti precedenti visti nella serie in onda su FOX Gotham.
Per Oswald Chesterfield Cobblepot Reeves vorrebbe un attore maschio di qualsiasi etnia, tra i venti e i quarant’anni anni, e non mancano i candidati: tempo fa Josh Gad si era proposto per il ruolo, e chissà che non ci sia speranza di vederlo davvero nel film…
Catwoman
Per settimane si è vociferato del suo arrivo nel progetto, ma ora sembra che Selina Kyle  aka Catwoman entrerà sicuramente nella lineup dei personaggi di The Batman. L’antieroina viene descritta come una “ladra di Gotham City che indossa un completo aderente e usa una frusta come arma”. Per questo ruolo Reeves cerca un’interprete di qualsiasi etnia di età compresa tra venti e trent’anni, dunque molto giovane.
Firefly
Arriviamo all’ultimo villain della lista, forse il più inaspettato: Firefly. Il personaggio non fa parte della serie A degli antagonisti di Batman, ma a quanto pare farà il debutto sul grande schermo in questo adattamento dei fumetti in un ruolo secondario.
La prima descrizione spiega che si tratta di “un incendiario professionista che tenta di bruciare tutti i posti in cui non era ben accetto quando era orfano“. In tv ha avuto una breve apparizione nella serie Arrow.
Leggi anche – The Batman: tutto quello che sappiamo sul film
Fonte: Geeks WorldWide
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
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Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Cecilia Strazza
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