28 nov 2023 15:28
IL PATRIARCATO, IN BARBA ALLA REALTA' – "LA VERITA’": "DA AMMANITI A CREPET FINO A RECALCATI, GLI ESPERTI DICONO CHE LE VIOLENZE NASCONO DAL NARCISISMO, NON DALLA DITTATURA DEGLI UOMINI MA LE VESTALI TURBOFEMMINISTE DI CASA NOSTRA NON LI ASCOLTANO: L’IDEOLOGIA LE RENDE SORDE ALLE EVIDENZE DELLA SCIENZA" – LO PSICANALISTA RISE’: “COME SI FA A VEDERE IL PATRIARCATO IN UNO CHE..." -
Maurizio Caverzan per “la Verità” - Estratti
Stavolta il mantra «ce lo dice la scienza» non vale. Sembrava un dogma, tassativo e inconfutabile, avendoci accompagnato nelle ultime campagne comportamentali, nelle recenti ubriacature collettive, dalla pandemia al riscaldamento globale. Del resto, la scienza, medica o ecologica che sia, ha il compito di «supportare» il magistero del momento, si tratti della vaccinazione e delle restrizioni planetarie, dell’invasione buona delle auto elettriche o di «efficientare» le abitazioni. E invece no. Per la violenza contro le donne e i femminicidi il dogma si è sgretolato.
(...)
Da quando si scandagliano i fondali socio-psicologici dell’atroce assassinio della povera Giulia Cecchettin, i competenti della materia si esprimono a una sola voce: «Il patriarcato non c’entra».
Proprio questo era il titolo dell’intervento di Massimo Ammaniti, uno dei maggiori psicoanalisti italiani, ospitato venerdì con qualche imbarazzo da Repubblica. Le violenze e le sopraffazioni maschili «non nascono oggi dal potere patriarcale, che le usava per legittimare la sua supremazia», scrive nascosto nelle pagine interne Ammaniti, «originano piuttosto dalla debolezza e dalla fragilità degli uomini, che sentendosi impotenti e impauriti per essere sopravanzati affettivamente e socialmente dalle donne, reagiscono con rabbia e odio».
Stessa sorte capita due giorni dopo al più cool degli psicanalisti, Massimo Recalcati che alla giornalista di Repubblica che gli chiede se il crimine di Filippo Turetta sia «retaggio del patriarcato» o se sia più corretto parlare di «ferita narcisistica», risponde: «Il mito del nostro tempo è quello del successo individuale. Si tratta di un nuovo imperativo che rende impossibile l’esperienza del fallimento. Subire il rifiuto di una ragazza significa riconoscere i propri limiti [ …]. Per questo a volte il ricorso alla violenza sostituisce la dolorosa constatazione della propria insufficienza».
Concetti chiari, quelli espressi da «uno dei più lucidi e autorevoli indagatori dell’animo umano», come recita la presentazione della collana di opere che il quotidiano sta testé pubblicando, ma che forse avrebbero cromaticamente stonato sotto l’«Onda fucsia», il titolo d’apertura del giornale che illustrava la manifestazione anti-patriarcato di sabato. Bel paradosso per un luminare, la scarsa visibilità. Non l’unico, nelle interpretazioni che si dibattono su questa tragica vicenda. Basta citare quello «nordico», così chiamato dal rapporto dell’Onu che non si capacita di come «nonostante siano leader mondiali in termini di uguaglianza di genere», i Paesi del Nord Europa presentano «tassi di violenza da partner intimo contro le donne sostanzialmente più alti della media Ue».
Impossibile rassegnarsi, per le vestali turbofemministe di casa nostra. Impossibile accettare anche lo scenario prospettato dal filosofo Massimo Cacciari sulla Stampa: «La famiglia patriarcale è già defunta con la famiglia borghese, dove proprio la “patriarcalità” si sfascia in mille forme di incomunicabilità».
Tornando nell’alveo della psicologia, la materia che aiuta a riconoscere il pericolo di far coincidere il vivere con un rapporto amoroso, intervistato dal Corriere della Sera, il terapeuta dell’età giovanile Gustavo Pietropolli Charmet osserva che questo sortilegio trasforma il compagno in uno stalker.
Quando si concretizza l’abbandono, «viene fuori non solo rabbia o malinconia, ma la disperazione di chi si sente definitivamente perduto. E, ai suoi occhi, la responsabile di ciò è la persona che aveva fatto il sortilegio e poi l’ha rotto». Pietropolli Charmet è solo l’ultima delle voci che contesta il ritornello sul patriarcato.
Al Sussidiario.net Paolo Crepet, autore di Prendetevi la luna (Mondadori), aveva detto: «La teoria per cui non c’è da fidarsi perché noi maschi, siamo dei precursori delle violenze, se non degli assassini, mi sembra una teoria nazista: i nazisti ragionavano così, ovvero secondo genetica». Ancora più definitivo, lo psicanalista Claudio Risé sul nostro giornale: «Come si fa a vedere il patriarcato in un poveretto che fa un delitto confuso e pieno di errori, e finisce in un’autostrada senza benzina? Lui è un povero assassino, ma le autorità e i comunicatori che lo scambiano per un esempio di patriarcato non sanno di cosa parlano». Già, le autorità e i comunicatori. Può succedere che, a volte, l’ideologia li renda sordi ai contributi della scienza. A volte.
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3 giu 2023 12:56
GIACOMO AMADORI SCODELLA UNA RIVELAZIONE BOMBA, CHE POTREBBE RISCRIVERE LA STORIA DELLO “SCOOP” DELL’ESPRESSO SUL PRESUNTO SCANDALO DEI FONDI RUSSI ALLA LEGA (ARCHIVIATO PENALMENTE): “UN’INFORMATIVA DELLA GUARDIA DI FINANZA DI MILANO GETTA UNA LUCE SINISTRA SULL’INTERA INCHIESTA: ‘SONO EMERSE TRACCE DI CONTATTI TELEFONICI E DI INCONTRI TRA UNO DEGLI INDAGATI, GIANLUCA MERANDA, E UNO DEI GIORNALISTI FIRMATARI DELLO SCOOP, GIOVANNI TIZIAN” – LA LEGA PRESENTA UN ESPOSTO IN PROCURA: “ALTRO CHE SCOOP: UN FACCENDIERE SCRIVEVA, PARLAVA, REGISTRAVA, CERCAVA IN TUTTI I MODI DI TIRARE IN BALLO LA LEGA E POI PASSAVA TUTTO ALL’AMICO GIORNALISTA…”
1. CASO METROPOL, LA LEGA VA IN PROCURA DOPO LE RIVELAZIONI CHOC DE LA VERITÀ: “GRAVE MACCHINAZIONE PER COLPIRE SALVINI PRIMA DEL VOTO”
Nota della Lega
La Lega ha dato mandato ai propri legali di presentare un esposto in Procura e di procedere in tutte le sedi per ripristinare la verità e tutelare le proprie ragioni, dopo la sconcertante inchiesta pubblicata oggi dal quotidiano diretto da Maurizio Belpietro: la vicenda dell’hotel Metropol di Mosca - scrive oggi il giornale - è stata una macchinazione costruita a tavolino per colpire il partito e il leader Matteo Salvini (ai tempi Vicepremier e Ministro dell’Interno) alla vigilia delle ultime elezioni Europee.
Altro che scoop: un faccendiere scriveva, parlava, registrava, cercava in tutti i modi di tirare in ballo la Lega e poi passava tutto all’amico giornalista che confezionava gli articoli per la felicità della sinistra e dei suoi giornali. I due (faccendiere e giornalista) si parlavano spesso, si incontravano, addirittura si erano recati a Mosca insieme. Non una inchiesta, quindi, ma una macchinazione per incastrare i rivali politici. Il tutto è stato annotato dalla Guardia di Finanza e riportato con evidenza da La Verità di oggi.
È bene ricordare che, dopo anni, i giudici hanno già stabilito l’assenza di passaggi di denaro dalla Russia o di reati a carico della Lega. Ora, queste rivelazioni offrono nuovi spunti che - ne siamo certi - saranno di grande interesse giudiziario. Siamo di fronte a uno scandalo, a una macchinazione che ha inquinato la nostra democrazia e il dibattito pubblico: la Lega si aspetta interventi chiari dalla politica, dalla magistratura, dall’ordine dei giornalisti e dai commentatori che per anni hanno rovesciato fango.
Ps: il direttore che aveva consentito la pubblicazione delle trame contro Salvini, Marco Damilano, è stato poi promosso in Rai dalla sinistra. Ci aspettiamo parole inequivocabili anche da parte sua.
Così una nota della Lega.
LE TRAME RUSSE DELL’«ESPRESSO» PER INCASTRARE SALVINI E LA LEGA
Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori per “La Verità”
Quattro anni fa l’allora direttore dell’Espresso Marco Damilano aveva paragonato l’inchiesta sul Metropol portata avanti dai suoi cronisti nientemeno che al Watergate. Stiamo parlando, per chi non lo ricordasse, del celebre o famigerato (dipende dai punti di vista) «scoop» sulla presunta trattativa tra emissari del Carroccio e oscuri personaggi russi, legati al mondo putiniano, per far arrivare rubli alla Lega grazie a una compravendita di petrolio a prezzo scontato.
Due segugi del settimanale avevano raccontato di essere riusciti a seguire le contrattazioni in tempo reale e di aver persino messo le mani sulla registrazione di uno degli incontri. Un’esclusiva che all’epoca fece il giro del mondo e portò all’apertura di un’inchiesta per corruzione internazionale presso la Procura di Milano. Con quegli articoli e con un tomo a essi collegato (Il libro nero della Lega) media e politica cercarono di mettere in difficoltà Matteo Salvini alla vigilia delle Europee.
L’annotazione della Gdf
Oggi che il fascicolo penale è stato archiviato, la storia di questa parodia del Watergate va probabilmente riscritta alla luce di un’informativa del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Milano, datata luglio 2020, che La Verità ha visionato in esclusiva.
Un’annotazione che getta una luce sinistra sull’intera inchiesta giornalistica del settimanale, all’epoca di proprietà della famiglia di Carlo De Benedetti. Ricordiamo che lo stesso editore nel 2020 ha fondato il quotidiano Il Domani e ha assunto nel suo nuovo giornale proprio il principale autore degli articoli sul Metropol.
Scrivono nel 2020 le Fiamme gialle: «Dagli accertamenti svolti […] sono emerse tracce di contatti telefonici e di incontri intercorsi nel periodo d’interesse investigativo (2018/2019) tra uno degli indagati, Gianluca Meranda, e uno dei giornalisti firmatari dello scoop da cui ha tratto origine l’indagine, Giovanni Tizian (oggi al Domani, ndr)».
Il cinquantatreenne calabrese Meranda, in quel momento, non è un indagato qualunque, bensì l’uomo che, come vedremo, aveva consentito che nascesse il cosiddetto caso Metropol, con dichiarazioni mirate ai giornali e registrazioni autoaccusatorie.
Sul suo iPhone X gli investigatori avevano rinvenuto «alcune fotografie risultate sostanzialmente sovrapponibili a quelle pubblicate su L’Espresso a margine degli articoli a firma dello stesso Tizian». I due autori, Tizian e Stefano Vergine, hanno raccontato ai magistrati di aver lavorato per mesi e di essersi recati personalmente al Metropol dove si sarebbe svolta la famosa trattativa per vendere oro nero con lo sconto all’Eni così da consentire agli emissari della Lega di realizzare una robusta cresta.
Ma non hanno mai voluto raccontare chi gli abbia consigliato di recarsi nell’albergo, o chi gli abbia consegnato l’audio del negoziato, lo stesso consegnato da Vergine ai magistrati di Milano che, con la notizia di reato a disposizione, hanno potuto iscrivere sul registro degli indagati i tre convitati italiani del Metropol con l’accusa di corruzione internazionale.
Sono finiti così sotto inchiesta, oltre a Meranda, il sessantaseienne bancario toscano in pensione Francesco Vannucci e l’ex portavoce di Matteo Salvini, il cinquantanovenne ligure Gianluca Savoini, già fondatore dell’associazione culturale Lombardia-Russia. Una strana combriccola che in gran fretta i giornali progressisti incolparono di quasi tutto, tranne che dell’11 settembre.
[...] Tre personaggi un po’ misteriosi che, però, a parte Savoini, con la Lega c’entravano poco e avevano in comune tra di loro solo l’affare del petrolio. Nell’istanza di archiviazione per i presunti mariuoli la Procura di Milano ci ha fatto sapere che a registrare le voci del Metropol era stato con tutta probabilità proprio Meranda. E allora un terribile dubbio ha iniziato a ronzarci nella testa.
Il sospetto di un complottone di cui, però, non ci erano chiari i contorni. Che ci sono apparsi netti quando abbiamo potuto compulsare l’annotazione di oltre seicento pagine che la Finanza, come detto, aveva trasmesso alla Procura di Milano già nel luglio del 2020. Con grande sorpresa abbiamo scoperto che Tizian, il presunto Bob Woodward italiano, aveva conosciuto Meranda ben prima dell’incontro del Metropol e si era visto con lui diverse volte prima della pubblicazione dell’inchiesta.
Nell’informativa si fa riferimento a una «conoscenza diretta» e a «frequentazioni tra Meranda e Tizian, risalenti quantomeno al luglio 2018». Cioè tre mesi prima della riunione moscovita. Nell’agenda del cellulare dell’avvocato «risultano registrati 14 promemoria di appuntamenti con Tizian nel periodo dal 25 luglio 2018 al 24 giugno 2019».
In un solo caso, il 30 gennaio 2019, probabilmente in vista dell’uscita del libro, compare anche il nominativo dell’altro giornalista, Vergine. Una notizia che per i militari avvalora «la tesi» che Tizian e Meranda «fossero in contatto diretto nel pieno dello sviluppo degli accadimenti oggetto d’indagine (e anche dopo)».
[...] Alcuni appuntamenti non sarebbero casuali, ma «risultano fissati proprio in prossimità o a cavallo di eventi di interesse investigativo, di per sé compatibili con la rendicontazione da parte di Meranda degli sviluppi degli accordi politici e delle trattative petrolifere». Per esempio il primo incontro, quello del 25 luglio 2018, «è immediatamente prossimo a importanti sviluppi degli embrionali accordi e delle trattative commerciali oggetto d’inchiesta giornalistica e, quindi, d’indagine, contestualizzabili tra il 10 e il 24 luglio 2018».
In quest’ultima data Meranda riceve, via mail, una bozza di offerta commerciale dalla russa Avangard gas and oil company, documento che verrà successivamente pubblicato sull’Espresso del 24 febbraio 2019, dove si darà conto anche di questa trattativa abortita, tirando in ballo Savoini e non l’avvocato calabrese. Centrale per gli investigatori e per la nostra controinchiesta è il promemoria del 16 ottobre 2018 dell’appuntamento, calendarizzato da Meranda, con Tizian presso il proprio ufficio («stanza GM»), tra le 16 e le 17.
I finanzieri evidenziano: «La data della riunione è immediatamente prossima alla partenza di Meranda e Tizian per Mosca, con lo stesso volo Alitalia», decollato da Roma Fiumicino il 17 ottobre 2018. Un viaggio «propedeutico» all’incontro del Metropol, «oggetto d’inchiesta giornalistica e, quindi, d’indagine». Cioè, per chi non lo avesse ancora capito, poche ore prima di animare (e registrare) il summit moscovita Meranda ha incontrato Tizian nel proprio studio.
Poi i due sono partiti per la Russia con il medesimo aereo. Uno sedeva al posto 6C e l’altro al 7B. Che cosa si saranno detti Meranda e Tizian prima di volare a Mosca? Fatto sta che due giorni dopo Meranda si registra, pronuncia alcune delle frasi più compromettenti al tavolo, fa il riassunto dell’accordo, lo trascrive sulla sua agenda, lo fotografa e lo invia agli altri partecipanti. Insomma è lui a inguaiare tutti i presenti.
Pronunciando parole come queste: «Non è una questione professionale, ma politica». Oppure: «L’affare non serve per arricchirsi, ma per sostenere una campagna politica, che è di beneficio, di reciproco vantaggio, per entrambi i Paesi coinvolti (Italia e Russia)». Fa riferimento anche a una «soglia (di sconto, ndr) pattuita dai nostri politici (“our political guys”)». Altra data significativa è il 21 dicembre 2019.
Quel giorno Meranda ha fissato l’appuntamento con Tizian tra le 17 e le 18. Alle 17:34, probabilmente con il giornalista di fronte, invia una mail a una referente della società multinazionale Interfax «specializzata nella raccolta di informazioni su imprese e imprenditori in Russia» e inserisce «in copia conoscenza l’indirizzo di posta elettronica di Tizian».
Scrive: «Ciao Kate, Giovanni Tizian potrebbe aver bisogno dell’assistenza della tua azienda. Giovanni - Kate è una professionista molto simpatica. Puoi metterti in contatto direttamente senza bisogno di tenermi in copia». I finanzieri annotano anche un altro particolare di non poco conto: «Dalla disamina delle proprietà del file audio consegnato dal giornalista Stefano Vergine ai pubblici ministeri titolari delle indagini in data 19 giugno 2019, contenente la registrazione della conversazione dell’incontro all’hotel Metropol […] si rileva che la data di ultima modifica è quella del 22 dicembre 2018, ore 11:53. Esattamente il giorno dopo l’appuntamento tra Meranda e Tizian».
La chiavetta, dunque, potrebbe essere stata consegnata ai giornalisti quasi come un regalo di Natale. La riunione del 23 febbraio 2019 è, invece, «immediatamente prossima alla diffusione dell’articolo intitolato “Quei 3 milioni russi per Matteo Salvini: ecco l’inchiesta che fa tremare la Lega”», servizio «distribuito in edicola in 24 febbraio». Il giorno dopo esce, invece, Il libro nero della Lega che contiene un capitolo sulla vicenda del Metropol.
I primi pezzi sono illustrati anche con foto che sarebbero state realizzate dallo stesso Meranda, il quale in alcuni messaggi «ne assume la paternità». [...] Le immagini sarebbero state scattate a Mosca il 6 giugno, il 28 agosto e il 13 dicembre 2018 e raffigurano alcuni dei luoghi dove si sarebbero svolte le trattative per l’acquisto del petrolio.
Per i magistrati sono gli stessi scatti pubblicati sui numeri dell’Espresso del 24 febbraio e del 3 marzo 2019. [...] Nei giorni successivi all’uscita del servizio del 3 marzo («La lunga trattativa di mister Lega»), Meranda invia tramite Whatsapp sia il nuovo «scoop» del settimanale che il capitolo del libro che lo riguarda a suo fratello Giuseppe, a un colonnello della Guardia di finanza e a un dirigente di Leonardo.
L’articolo è trasmesso anche a un albergatore in pensione, con un precedente di tentata estorsione e un ruolo da ambasciatore dell’Ordine di Malta. Gli incontri tra Tizian e Meranda proseguono: uno a marzo (il 6), ben tre ad aprile (7-17-29), uno a maggio (23) e due a giugno (14-24), a cavallo della consegna dell’audio alla Procura di Milano (19 giugno).
I due si scambiano pochissime telefonate (sulla linea normale solo tre, in concomitanza con gli incontri) e nessun messaggio, ma dall’annotazione apprendiamo che almeno in tre occasioni Meranda, su Whatsapp, descrive Tizian come un suo amico. Più precisamente «vecchio amico», «a friend of mine» e «amico caro». Leggiamo. Il 18 luglio 2018, alla vigilia del primo incontro nel suo studio, Meranda commenta l’articolo di Tizian e Vergine che gli aveva inviato una leghista di Formello, allora coordinatrice locale (il servizio si intitolava «Matteo Salvini ha fondato un altro partito: e quindi dovrebbe essere espulso dalla Lega»).«Si, avevo letto (Giovanni Tizian è un vecchio amico)» fa sapere.
[...] Il 23 maggio, data dell’ennesimo appuntamento con il cronista, l’avvocato cosentino manda un messaggio a un magistrato originario della stessa provincia, Paolo Guido (l’aggiunto della Procura di Palermo che ha condotto le indagini che hanno portato all’arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro): «Ciao Paolo, un amico caro dell’Espresso vorrebbe mettersi in contatto con te». Anche in questo caso Meranda inoltra il numero di Tizian. Gli investigatori non riferiscono se Guido abbia risposto o incontrato il giornalista.
Quel che pare certo è che Tizian, in una delle occasioni in cui si sarebbe visto con Meranda, avrebbe convinto quest’ultimo a fargli da intermediario per entrare in contatto con un importante magistrato. Le Fiamme gialle hanno trovato traccia sul telefonino dell’ex indagato anche di tre chiamate Whatsapp della durata di alcuni minuti, tutte risalenti alla prima decade del luglio 2019.
«Le ultime due, dell’11 luglio 2019, ricadono in un momento essenziale per lo sviluppo delle indagini» puntualizzano i finanzieri. Infatti il giorno prima, il 10 luglio, il sito americano di news online Buzzfeed aveva pubblicato stralci dell’audio del Metropol e l’11 luglio le principali agenzie di stampa avevano annunciato l’avvio di indagini da parte della Procura della Repubblica di Milano, rese attuali dalla diffusione della registrazione. Sempre su WhatsApp risultava attiva una conversazione, priva di messaggi.
«Anche quest’ultimo evento datato, 17 luglio 2019 (ore 00:55), ricade in un momento essenziale per lo sviluppo delle indagini» appuntano gli investigatori. Infatti, il 16 luglio, alle 9:45, Meranda aveva ricevuto l’avviso di garanzia con l’invito a rendere interrogatorio. Poche ore dopo gli inquirenti avrebbero sottoposto il legale a perquisizione e al sequestro dei dispositivi elettronici, cellulare compreso. Un’escalation scatenata non solo dalla diffusione dell’audio, ma anche dalla decisione di Meranda di venire allo scoperto a livello mediatico, confermando di essere uno dei partecipanti all’incontro del Metropol di cui Buzzfeed aveva messo in Rete la registrazione.
Un’uscita che rese la notizia ancora più succulenta. La cosa curiosa è che Meranda scelse per confermare la storia un giornale dello stesso gruppo dell’Espresso. Un incomprensibile autogol. Dopo quella lettera, il 13 luglio 2019, Tizian e Vergine, come se non avessero confidenza con l’avvocato, gli inviarono una mail con questo oggetto: «Urgente// Richiesta di commento per il settimanale l’Espresso». Nel formulare le domande i giornalisti si rivolgevano a Meranda dandogli del «lei».
[...] L’ex indagato aveva salvato su telefonino l’indirizzo Gmail di Tizian, ma questa volta il cronista, per la missiva, aveva usato quello di lavoro, che gli investigatori definiscono «istituzionale». All’interno del questionario spiccavano le domande su Francesco Vannucci, il terzo italiano presente al Metropol, in passato impegnato nel sindacato (Cisl) e in politica (con la Margherita), «la cui individuazione era ancora ignota agli atti d’indagine, a questa polizia giudiziaria e all’opinione pubblica».
Un questionario molto simile e anonimo è stato ritrovato tra le carte di Meranda, un documento che l’annotazione riconduce «all’interessamento di terzi (a rigor di logica giornalisti) per i fatti dell’hotel Metropol». Su quei fogli ci sono appunti scritti a margine da Meranda. Di questo tenore: «Sono un avvocato e non mi occupo di politica». Ma anche: «Nel mio studio c’e il primo Comitato Salvini Premier».
Sempre il 13 luglio, dall’indirizzo di Tizian, vengono spediti quesiti analoghi a Savoini. Una mossa che probabilmente serviva a evitare che Meranda fosse individuato come fonte dei cronisti. Anche se Tizian, di fronte ai magistrati, non ha potuto smentire i rapporti con l’ex indagato. «Come è avvenuta la conoscenza con Meranda?» gli chiedono il 9 febbraio 2021 gli inquirenti. Tizian: «Ci siamo conosciuti a una festa nel 2018 a Roma. Non ricordo dove fosse la festa, ma comunque è stato un incontro assolutamente casuale. Confermo di avere incontrato Meranda in alcune occasioni, il più delle volte presso il suo studio a Roma, altre volte in posti pubblici».
Pm: «Descriva i dettagli del suo soggiorno a Mosca a ottobre 2018». Tizian: «Sono partito da Roma il 17 ottobre 2018. Una volta sull’aereo ho scoperto di avere preso lo stesso volo del ministro Salvini. Insieme a Salvini ho notato il portavoce Paganella (Andrea, ndr). Davanti a me c’era Meranda. Preciso di non avere concordato con lui i dettagli del volo».
I magistrati sembrano avergli creduto. [...] Gli inquirenti domandano quando abbia saputo che la riunione era stata registrata. E il cronista risponde: «Non ricordo la data esatta, comunque diverse settimane dopo l’incontro del Metropol, forse a gennaio 2019, abbiamo ricevuto il file con la registrazione dalla nostra fonte, la cui identità non posso rivelare per proteggere il segreto professionale. La fonte ci ha chiesto di non pubblicare l’audio al fine di tutelarla il più possibile».
Ricapitoliamo: un avvocato massone e un giornalista diventano «cari amici». Il primo, molto trasversale nelle conoscenze, aveva contribuito alla nascita (nel gennaio 2018) di un comitato per Salvini premier dentro al suo studio, premurandosi, però, di non apparire nell’organigramma. Poi con un bancario, politicamente vicino alla Margherita, aveva deciso di diventare un procacciatore di finanziamenti illeciti per la Lega.
E mentre trafficava in questo modo raccoglieva materiale che sarebbe stato divulgato nei mesi successivi sul giornale dell’«amico» giornalista, una testata nemica del Carroccio. A quanto pare, però, Meranda si era raccomandato di non rendere pubblico l’audio del Metropol. Quando esplode il caso, Salvini non solo non perde consensi, ma stravince le Europee.
E allora che cosa fanno i giornalisti? Portano la registrazione del loro «agente provocatore» in Procura e, dopo che è stato depositato in Tribunale, il file finisce su un canale di news statunitense (l’articolo viene firmato da un italiano). Forse è l’unico modo per far circolare la notizia a livello internazionale, mantenendo, almeno apparentemente, la parola data a Meranda. Chissà che cosa sarebbe successo se una simile operazione «giornalistica» fosse stata orchestrata da una testata riconducibile all’area moderata. Non vogliamo neanche provare a immaginarlo.
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