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#mi sembra abbastanza ridicolo
princessofmistake · 1 month
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“Capisco. E allora in cosa credi?”. “Non credo in un aldilà in senso letterale”, disse, tormentando con le dita il suo libro. “O, almeno, in un aldilà posticipato. Penso che l’intera faccenda dell’eternità sia disponibile nel qui e ora. Voglio dire, non è strano, quasi brutto, immaginare di ascendere all’infinito, per non fare nulla? Solo starsene seduti in silenzio, obbedienti? Perché l’immortalità, la divinità, la realizzazione spirituale, o come diavolo vuoi chiamarla, perché non può essere qualcosa che realizziamo qui sulla terra? Affermiamo di volere l’indipendenza, ma siamo troppo spaventati per coglierla quando ci sta fissando in faccia. Perché non ce la prendiamo e basta?”. Mi toccai la tempia. “Io… mi stai chiedendo perché semplicemente non ci prendiamo ciò che desideriamo? Forse perché esiste una morale. Solo perché abbiamo un’anima, e quindi il potenziale per la devozione, non significa che possiamo andare in giro a fare quello che vogliamo”. Evan sorrise con impazienza, come se questo fosse semplicemente un esercizio per guidarmi verso qualcosa che avrei potuto digerire in termini più semplici. “E allora cosa?”. “Allora, si spera, siamo qui per fare ciò che è giusto”. “Ma è proprio questo il punto”. Girò la testa, assicurandosi che nessuno ci stesse ascoltando. “Se siamo, in effetti, la fonte dei nostri stessi valori, allora noi siamo ciò che è giusto. Quei desideri che abbiamo troppa paura di realizzare? Beh, per definizione, sono profondamente morali”. “Beh, questo è… ridicolo”. “Perché è ridicolo?”. “Non lo so”, dissi. “Che ne dici per esempio del fatto che abbiamo il bene e abbiamo il male?”. “Bene e male, virtù e peccato, mitzvah e averàh. Sono termini stantii, Eden. L’obiettività non fa che rafforzare il vecchio modo di pensare, il modo che ci fa procrastinare ed evitare i conflitti. Ma i veri picchi? Questi si trovano nel mezzo”. “Per esempio quali?”, chiesi. “Quali sarebbero questi picchi?”. “Che ne dici per una volta di riuscire a seguire te stesso e le tue inclinazioni e non allontanartene?”. “Sì, beh, mi sembra che intraprendere questa cosa del sé interiore potrebbe essere un po’ pericoloso”. “Qualcosa può essere vero al massimo grado ed essere al tempo stesso pericoloso, no?”. Cominciavo a sentire la nausea. Avrei voluto non averlo mai raggiunto. “Prendi per esempio il sole, Eden”. “Il sole?”. “Più lo vedi”, spiegò, “più la tua visione ne viene distrutta”. “Mi sembra un’analogia piuttosto banale”. “Applicala a Dio, allora. La verità completa acceca. Pensa a I predatori dell’arca perduta”. Lo fissai confuso. “Giusto, dimenticavo, sei come un recipiente vuoto, non hai mai visto un film. Proviamo a dirla in termini che conosci. Pensa alla moglie di Lot che si volta a guardare. Orfeo che si volta a guardare. Gli abitanti di Bet Shemesh che guardano nell’arca. Uzzà che tocca l’arca. L’elenco continua, ma è sempre lo stesso: vedi Dio e sei distrutto”. “Non sempre”, dissi. “Non Mosè”. “Precisamente”. Evan diede uno schiaffo alla scrivania abbastanza forte da guadagnarsi un’occhiataccia dal bibliotecario. Si scusò con un cenno della testa. “Non le persone eccezionali. Loro non si fanno male”. Abbassò la voce fino a trasformarla in un sussurro cauto. “La nostra capacità di sopravvivere alla verità assoluta – e questo è il trucco, Eden, seguimi – la nostra capacità dipende dalla forza delle nostre anime. E la forza delle nostre anime è proporzionata a quanta verità siamo in grado di reggere. Allora, come facciamo a saperlo? Come facciamo a sapere quanto in là ci possiamo spingere?”. I suoi occhi erano azzurri e inquietanti. “Ti sto facendo una cazzo di domanda, Eden”, disse, dopo una pausa di disagio da parte di entrambi. “Non lo so, Evan”.
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crossroad1960 · 7 months
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La domanda merita la precisione del virgolettato: “Due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto?”. L’ha posta José Negri, vescovo di Santo Amaro, Brasile, e la domanda ha oltretutto il pregio di una chiarezza quasi brutale. La risposta è del cardinale Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero della dottrina della fede, massima autorità in materia ma, per evitare fraintendimenti, è controfirmata da Francesco: “Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica”.
Un’enormità: non soltanto un bambino “ottenuto con l’utero in affitto” può essere battezzato, ma i suoi genitori sono riconosciuti come tali, purché cattolici (e mi sembra ovvio). Ora immaginate la stessa identica domanda rivolta al presidente del Consiglio: due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino ottenuto con l’utero in affitto? La risposta stavolta è no. Possono essere genitori per la Chiesa se intendono battezzare il figlio, non possono esserlo per il governo se intendono iscriverlo all’anagrafe. E quando la legge sarà stata approvata al Senato, dopo essere stata approvata a luglio alla Camera, non soltanto non saranno genitori ma diventeranno criminali, e imputabili di un reato universale, nientemeno. Non fosse abbastanza chiaro, propongo un’ulteriore sintesi: il Vaticano li accoglie, il governo dichiaratamente cattolico li rifiuta e li processa. Per fortuna c’è ancora tempo per non sprofondare nell’oscurantismo e nel ridicolo. (Mattia Feltri)
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emailsiwillnotsend · 10 months
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Giorno 31
Ti ho detto addio molte volte.
è passato un po’. Ho parlato con molte persone della fine della nostra relazione, tutte mi hanno detto cose orribili che io, forse, mi rifiuto di vedere o ancora non riesco a vedere. 
Il ragazzo con cui mi frequento non ha preso il tuo posto. Ma lui mi ha guardato incredulo dopo aver fatto sesso con me e mi ha ripetuto quanto ero bella, era senza parole. Ci siamo fatti una doccia e mentre mi asciugavo mi ha detto “wow, in questo momento sei ancora più bella”. Mi bacia quando mi vede, mi dimostra un desiderio bruciante e costante e una tenerezza a cui non ero abituata. C’è qualcosa nel suo modo di amarmi che in te non c’è mai stata e mai ci sarà. Capisco che tutte le volte in cui ho pensato che forse era colpa mia, che ero io che non ero abituata alle dinamiche di una relazione, ecco quelle volte forse non erano così normali. Che non è normale che tu ti scansi da me se provo ad avvicinarmi, che non è normale che mi prendi la mano solo quando sto per partire e non ci rivedremo per un po’ o che dormi abbracciandomi solo quando temi di avermi fatto troppo male. 
La verità è che tu queste lettere non le leggerai mai e quindi io posso scrivere quello che voglio. Posso scrivere che mi sto innamorando di lui, posso scrivere che se ti penso a scopare con altre persone mi viene da vomitare, posso scrivere che ogni volta che mi tuffo in acqua sono abituata a pensare a qualcosa che fa male, e questa cosa sei sempre tu che baci lei. Posso scrivere che mi sembra ridicolo che ci siamo lasciati appena le cose potevano diventare più semplici, che ti odio per aver mollato prima di darci una chance, che ti odio perché hai comprato il mio profumo e vorrei sapere con che cazzo di coraggio te lo metti.  
C’è un mondo possibile in cui semplicemente mi scrivi che stai molto male e che ti manco. In questo mondo possibile io leggo i tuoi messaggi e ci chiamiamo e ne parliamo. Ma non c’è un mondo possibile in cui rispondo alla storia con il mio profumo. E dici di chiederti se sei felice. Non voglio che tu sia felice, voglio che ogni volta che ti metti il mio profumo, una fitta nel tuo cervello ti riporti da me e ti sbatta davanti alla faccia che quella cosa tu non ce l’hai più. 
Ti ho detto addio molte volte. Ti ho detto addio due giorni fa, quando sono tornata alla mia libreria preferita e ho visto solo libri che avrei voluto regalarti. Ti ho detto addio quando ho sceso le scale e ho pensato che 8 mesi fa qui c’eri tu che pensavi che fossimo amici. Ti ho detto addio quando sono tornata in stazione dopo averci accompagnato te e ho visto la panchina su cui mi hai abbracciato e mi hai detto che volermi bene non era abbastanza, ma io ti ho detto che invece non bastava più. Ti ho detto addio quando ho avuto il coraggio di riprendere la borsa che mi hai lasciato tra le mani e lanciarla in un cassetto mentre mi veniva da vomitare. Con che coraggio mi lasci sulla scrivania una cosa che mi ricorderà per sempre di te. Ti ho detto addio quando ho fatto la festa del mio compleanno e lui mi ha guardato estasiato e mi ha abbracciato in ascensore e mi ha detto che ero bellissima e che non vedeva l’ora di fare l’amore con me e mi sono resa conto che tu non l’avresti mai fatto. Ti ho detto addio quando ho scelto di non comprare il gelato alla fragola e al limone perché non conosco nessuno a cui piaccia a parte te (ma tu non ci sei più). Ti ho detto addio anche quando ho aspettato con il cuore in gola che mandassi qualcosa in residenza per il mio compleanno, ma tu fortunatamente non l’hai fatto. Ti ho detto addio quando un mio amico mi ha comprato dei fiori e me li ha lasciati in camera (quei fiori che avresti dovuto regalarmi tu). Ti ho detto addio quando un mio amico ha parlato del cammino di Santiago e noi stavamo pensando di andarci insieme a marzo 2024. Marzo 2024. Pensa che non abbiamo visto neppure luglio 2023. Ti ho detto addio quando al supermercato sono passata davanti ai crodini e ho pensato che non avrebbe avuto senso prenderli, perché tu non ci sei più. Ti ho detto addio quando sono tornata a casa da Padova e ho chiuso per sempre la porta della camera che ha visto tutta la parabola della nostra relazione. La camera in cui mi sono seduta in lacrime cercando di respirare il giorno che sei andato via. La camera che mi ha visto baciare lui e dormirci abbracciata. Ti ho detto addio quando i tuoi BeReal hanno smesso di farmi effetto, quando la storia con il mio profumo mi ha fatto venire voglia di mettermi a urlare. Ti ho detto addio quando la tristezza è diventata rabbia e la rabbia indifferenza. 
Sono così stanca.
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pocodormire · 1 year
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ciao volevo dirti che il tuo post recente "I am enough" mi ha ispirata a elencare anche i miei di pregi e obbiettivi raggiunti, tipo al volo nelle note del telefono, e beh che dire. grazie per avermi ricordata che elencare quelle cose anche se sembra ridicolo è in realtà utile, mi rendo conto che le stesse cose che per me sono ovvie "massì ho fatto quella cosa boh vabbè e neanche al 100% bene", se scritte da altri mi sembrano degne di nota. perché se leggo che parli bene tre lingue penso "caspita che brava wow mica come me che sono scema" dimenticandomi che anch'io ne parlo bene tre? perché invidio i tuoi achievements quando i miei, seppur in un altro ambito, sono comparabili? perché più siamo ambiziose più ci sotterriamo da sole pur razionalmente sapendo che buona parte del successo sta proprio nel crederci, a volte anche più del dovuto, e quindi non solo è pessimo emotivamente ma è anche controproducente in senso pratico? boh. poi in fondo penso che ce la faremo, però sarebbe bello viversela un po' meglio nel mentre no? hai delle cose che trovi utili per fare un passo indietro da quel mindset autolimitante?
Che bel messaggio, ti ringrazio davvero tanto:) io credo purtroppo sia nella mia natura, per quanto cerchi di cambiarla. tendenzialmente mi ritrovo a non essere mai soddisfatta, e a temere di non essere abbastanza. io cerco di tenere a mente che anni fa i successi che considero quasi una banalità me li sognavo, che non devo dare tutto per scontato. però è faticoso sì
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ciucciospritz · 2 years
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Perché l’estate è una cornice, e io non ne ho paura. Pasolini mi intristisce e mi sembra sempre più ridicolo, soprattutto se vuole fare il tragico, e Spinoza non dice mai abbastanza. Ferragosto è la notte di mezz’estate, ma questo vuol dire che si approssima l’autunno, che devo lavare veramente quei vestiti schifosi lavati da una lavatrice non funzionante? La risposta è sì. La vacanza già finisce e ricomincia la malinconia. Quando tornavo non vedevo l’ora. Sapevo che avrei lasciato indietro tante cose, tanti pensieri. Ne sono sopraggiunti altri, ma forse meno di prima. Cosa devo fare se non andare dallo psichiatra? Null’altro. Anche questa è una risposta.
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automatismascrive · 2 years
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Bava, peli e agopuntura, ma anche tanto cuore: The School Nurse Files
Quando hanno annunciato l’uscita di The School Nurse Files su Netflix ho subito drizzato le orecchie. Ho visto esattamente zero k-drama fino ad oggi – romance e thriller non sono esattamente i miei generi preferiti – ma leggendo la premessa mi sono immediatamente convinta che potesse trattarsi di qualcosa molto più nelle mie corde; mi piacciono le storie che seguono un guardiano della soglia tra il quotidiano e il soprannaturale (vedi Mushishi), adoro i monster of the week e la pessima CGI, e soprattutto mi cattura subito quell’atmosfera a metà tra il ridicolo e la serietà che riesce a trasmettere il trailer. Mi sono quindi decisa a salvarlo nella lista dei desideri e ad aspettare l’uscita per decidere se vale la pena vederlo, visto l’entusiasmo con cui ho accolto il primo annuncio. Fin qua, storia terribilmente noiosa, tant’è che quando ho iniziato la visione non stavo nemmeno meditando di farlo diventare materiale per il blog, considerando che si tratta di una serie uscita su una delle più grandi piattaforme di streaming, con premesse tutto sommato riconducibili ad un filone del fantasy abbastanza popolare.
Tuttavia, non appena la serie esce succedono due cose. Uno, questi sei episodi non se li fila nessuno. Al mio radar internettiano non arriva un singolo parere sulla serie, positivo o negativo che sia, e rimane quindi in un limbo da cui non si schioda perché ho sempre qualcosa di più promettente da guardare, se non altro perché ho letto recensioni positive in merito. Probabilmente qualche blog specializzato in k-drama ne ha parlato, ma essendo fuori dal giro il silenzio è stato assordante, anche in confronto ad altri usciti nello stesso periodo. Due, quando finalmente mi decido a guardare la serie scopro il motivo per cui non l’ha vista nessuno: è completamente fuori di testa. Non potevo dunque certo esimermi dal segnalarla!
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Uno dei poster promo della serie. Ecco, se vi sembra un filo strano sappiate che è solo l’inizio.
Nel corso di questi sei episodi seguiremo le vicende di Ahn Eun-young, che sin da piccola possiede la capacità di vedere “la bava”, una sostanza gelatinosa che si appiccica agli esseri umani e cresce in presenza di emozioni forti, positive o negative che siano; la nostra protagonista si renderà presto conto che essa può diventare dannosa o addirittura mortale se non controllata, e deciderà di dedicare la sua vita a combatterla. Per fare ciò, inizierà a lavorare in una scuola superiore come infermiera, cercando di gestire contemporaneamente il lavoro quotidiano e le sue attività da esorcista-guerriera – non tutta la bava è così semplice da eliminare come sembra. Tuttavia la scuola in cui lavora non è certo un edificio normale, e per fare fronte ai pericoli che minacceranno gli studenti Ahn Eun-young avrà bisogno di nuovi alleati… Come il professore di caratteri cinesi reduce da un misterioso incidente, che è anche il nipote del fondatore della scuola e potrebbe conoscerne i segreti più reconditi. A questa premessa interessante ma non particolarmente originale si aggiungono però una miriade di personaggi, spunti narrativi e bizzarrie assortite: in sei episodi avremo a che fare con un culto à la Scientology, un insolito triangolo amoroso, agopunturiste magiche, peli di tutti i generi e mostriciattoli dai poteri nefasti! Verrebbe da chiedersi se questa carrellata di cose non rischi di diventare un amalgama informe di avvenimenti senza capo né coda, ma la ragione che mi ha spinto a scrivere questa segnalazione è proprio il fatto che la storia che si riesce a ricostruire alla fine di tutto è sorprendentemente coerente e intelligibile, nonché spesso piuttosto divertente.
Sicuramente il punto di forza principale della serie risiede in come gestisce tutto questo ammasso di roba che ci si para davanti nel corso degli episodi. Ci troviamo improvvisamente gettati in questo marasma di creature sovrannaturali che funzionano in maniera piuttosto opaca, ma è molto facile rimanere rapiti proprio perché le spiegazioni sono comprensibili ma ridotte all’osso. Abbiamo quasi sempre abbastanza informazioni per interessarci alla buona riuscita delle azioni della protagonista, ma allo stesso tempo siamo incalzati dai numerosi dubbi che ci sovvengono ad ogni episodio: che cosa sta facendo ora Eun-young? Come funzionano i suoi rituali? Perché ci sono piccoli polipi chibi ovunque? The School Nurse Files è molto abile nel non trattare lo spettatore come un cretino che necessita di spiegazioni ad ogni piè sospinto, offrendo quel tanto di chiarimenti che bastano per entrare nel vivo della vicenda e del conflitto tra la nostra protagonista e gli eventi assurdi che le capiteranno; difficilissimo annoiarsi, proprio per la quantità di problemi aperti in ogni momento della serie, e soprattutto per le stranezze che divertiranno qualunque amante della narrativa fantastica meno tradizionale che si rispetti.
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Una tranquilla lezione in una scuola coreana. Circolare, circolare, non c’è niente da vedere.
Ad un ottimo ritmo che rende la visione dei sei episodi davvero leggera si aggiungono anche una regia e dei dialoghi assai curati. Spulciando la pagina Wikipedia per cercare le informazioni di rito (tipo come diamine si scrivono i nomi dei protagonisti) ho immediatamente scoperto che Lee Kyoung-mi, regista e una dei due sceneggiatori, ha già un film acclamato dalla critica coreana all’attivo e ha pure lavorato con Park Chan-wook sul set di Lady Vengeance – insomma, non esattamente la prima scappata di casa. Tutta questa esperienza si riflette chiaramente nella cura per i dialoghi e per tutte le interazioni, anche quelle più semplici e transitorie: ciascuno dei personaggi intavola conversazioni brillanti, interessanti e spesso surreali con gli altri, che permettono di decifrare un po’ meglio tutti i coinvolti: viene spontaneo il paragone con Bakemonogatari, anche il flusso di parole al secondo è più contenuto; in particolare la protagonista e Hong In-pyo (il professore sopra citato) danno vita sia a siparietti divertenti ma anche a scambi insospettabilmente intimi ed emozionanti, considerando il tono grottesco della maggior parte della serie, che permettono di cementare una certa empatia nei loro confronti e soprattutto per la riuscita della missione di Eun-young.
Indubbiamente è proprio lei a brillare su tutti, grazie alla sua personalità decisamente atipica per un’eroina del genere: Eun-young è strana, scostante, spesso sgradevole e ha un incredibile senso del dovere; vive pochissima socialità tradizionale e tutti i rapporti che ha all’interno della serie sono tratteggiati in maniera vivida e brillante, dall’amica agopunturista ed esorcista part-time alla relazione (non specificherò di che tipo… ) con Hong In-pyo che ribalta le noiose dinamiche del ragazzo tormentato&misterioso aiutato dalla crocerossina di turno in maniere divertenti e originali. Vedere una protagonista così particolare in una serie tv mi ha fatto molto piacere, soprattutto considerando l’abilità della sceneggiatura nel farci provare empatia anche per una personalità così bislacca e sopra le righe: vogliamo che riesca a salvare tutti i suoi studenti dalle minaccie che incombono sulla scuola, ma anche che riesca a conciliare la sua vita da esorcista con la rigida società in cui si trova suo malgrado impigliata.
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Eun-young impegnata a sparare a della bava particolarmente aggressiva. Sì, la pistola in plastica è un’arma d’ordinanza degli esorcisti.
Nonostante l’alta qualità dei dialoghi e la competenza nell’impilare una sopra l’altra questi tasselli di pazzia per costruire una torre che non crolli rovinosamente sotto il loro peso, la serie è semplicemente troppo corta per trattare ciascuno di questi con la competenza dovuta. Non mi ha affatto sorpreso scoprire che è tratta da un libro piuttosto corposo – intitolato, ehm, School Nurse Ahn Eun-young – e che gran parte del suo materiale è arrivato indenne alla stesura finale della serie: ci sono troppi personaggi, diversi dei quali avrebbero potuto essere fusi assieme senza danno per costruire archi narrativi meno sbrigativi e più emotivamente carichi; moltissimo minutaggio è dedicato a studenti che avranno poi un ruolo marginale in seguito, invece di focalizzarsi su due o tre persone da coinvolgere sistematicamente per la durata della serie. Sempre per mancanza di tempo da dedicargli, capita che alcuni dei nodi logici che tengono insieme la vicenda scricchiolino: la serie per la maggior parte è piuttosto abile nel mostrare solo l’essenziale, ma a volte anche quello manca e ci si trova a guardare una scena dalle dinamiche poco leggibili; non aiuta il fatto che il mondo sovrannaturale opera con regole e leggi abbastanza vaghe, che spesso possono lasciare confusi circa le reali dinamiche degli eventi.
Anche il finale soffre una cronica mancanza di spazio: non è un finale tremendo e troviamo risposta a quasi tutti gli interrogativi che ci assillavano, ma queste risposte sono presentate in modo eccessivamente sbrigativo, specialmente a fronte delle indagini degli episodi precedenti, e manca un po’ di impatto emotivo e di risoluzione dei rapporti tra diversi personaggi. È un peccato, considerando quanto la serie avesse brillato fino al sesto episodio, ma era anche la conclusione inevitabile di una produzione a cui è stata dato pochissimo respiro per raccontare una storia così ricca – o al contrario, della scelta di buttare troppa carne al fuoco per seguire il romanzo originale.
------------------------------------------------------ ANGOLO SPOILER --------------------------------------------------------------
Per esempio, l’incidente di Hong In-pyo non diventa mai rilevante per la storia, nonostante nei primi episodi sembri essere un mistero importante da risolvere. Anche il fatto che la Safe Happiness sparisca immediatamente dalla scuola senza alcuna conseguenza per i protagonisti appare un po’ forzato: davvero anche il campo di forza di Hong In-pyo smette di interessarli non appena la scuola viene distrutta? Sarebbe bastato un episodio in più per chiarire questi punti più oscuri.
---------------------------------------------------- FINE ANGOLO SPOILER -----------------------------------------------------------
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Ringraziamo Netflix per l’impossibilità di fare screenshot delle cose di cui voglio parlare, sia mai che qualche pazzo là fuori scelga di guardarsi senza pakareh la serie usando gli screen dell’amico anziché digitando serie sub eng sulla barra di ricerca di Google. Un vaffanculo è sempre d’obbligo.
Insomma, The School Nurse Files è molto divertente, assolutamente fuori di zucca e sorprendentemente coerente: nonostante l’eccessivo affollamento di personaggi ed eventi che la rendono faticosa da seguire e non sempre limpida nei suoi salti logici (e talvolta del tutto incomprensibile), merita una visione se almeno qualcuno degli elementi che ho citato cattura il vostro interesse. La serie si trova su Netflix, ma in mancanza di un abbonamento ci sono tanti altri mezzi perfettamente legali e per nulla legati a criminose attività marittime per procurarsela: date una chance a questi soffici polipetti!
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cosastratta · 3 years
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Piadina di lenticchie aromatizzata al timo con miele,fragole e banana
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Io che faccio post culinari è decisamente ridicolo considerando che litigo con pressoché ogni pentola di pasta che incontri
Non sapendo cucinare ho la presunzione di creare accostamenti creativi che si rivelano pessime idee prima ancora di essere attuate
Voglio perdere peso ma non so se ce la farò, non penso di riuscire più di così
Non voglio fare la fame però, non voglio di nuovo finire in quella spirale
Voglio prendermi cura di me stessa e rimanere tonica, anzi, voglio diventarlo sempre di più
Voglio energie per correre e vivere
Non voglio scomparire ma solo mutare, di nuovo
Non so bene cosa stia cercando, non sono nemmeno sicura che il problema sia all'esterno
Voglio essere bella in un modo in cui non riesco ad essere bella
Non mi sembra mai abbastanza
O meglio
È abbastanza solo quando sono felice
Ed allora è tutto ok, il mondo è in equilibrio, io sono in equilibrio nel mio corpo che non è perfetto ma è mio e mi permette di muovermi nel mondo
In giorni come questi vorrei scomparire
Sarà il ciclo, sarà questa sensazione di non essere mai completamente piena
Pienezza che è diversa da sazietà, perché in giorni come questi l'appetito mi abbandona e non riesco nemmeno a terminare quello che preparo con dedizione
Cucino e mi dico: 'ok lisa, questo è per te, per il tuo bene'
Ma poi niente viene davvero digerito
E niente viene davvero portato a termine, nemmeno un pasto
Voglio vivermi questo mare di inconcludenza
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teredo-navalis · 3 years
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Mi rendo conto sempre più di avere bisogno di una rete di supporto, di una comunità, di sentirmi un membro: non sola, circondata e supportata dagli altri, anche con la loro sola presenza e i loro moti in avanti. Se sono singolo solo perduto, non valgo niente, non ce la faccio ad andare avanti. C'è un detto forse africano che dice "un villaggio cresce un bambino". Ed è così, serve un intero villaggio, un'intera rete di supporto, per permettere a qualcuno di crescere (non necessariamente solo un bambino). Così sai che ti puoi anche lasciar andare e rimbalzerai, non cadrai nel vuoto. Abbiamo bisogno di più comunità, di più gruppi di persone che si aggregano per i motivi più disparati e si danno manforte. In realtà sarebbe un discorso più ampio ma lo dico con in mente il gruppo dell'esame di chimica II in cui abbiamo deciso di "incontrarci" su teams per fare gli esercizi insieme (cosa che spero mi porterà a riprendere in mano quell'esame) e scegliendo le bottiglie dal mobile degli alcolici, andando a sentimento sulla gradazione perché sono tutti liquori. Avevo programmato di stare fuori casa un giorno, come se andassi a studiare, e invece prendermi una bottiglia e scolarmela da qualche parte, forse da s forse no. Subito dopo hanno proclamato zona rossa. L'ultima volta che sono stata almeno brilla nemmeno me la ricordo, vorrei stare così tutto il tempo, rilassata disinibita. Il rum fa schifo, sa di olive ascolane. Poi spero di non vomitare, sarebbe ridicolo, anche se effettivamente abbastanza divertente, ora che dormo al letto di su. Ci pensi madre si ritrova il vomito in faccia? lol. L'altra volta andò proprio così, mischiai cose, stavo guardando León, poi mi misi a letto e mi svegliai con Silvia che mi lavava i capelli. Bho, 2018? Ultimamente i giorni sembrano durare settimane. Comunque fu bello. Mi piace stare male, è bello, perché mi sembra finalmente di meritare l'amore che mi viene dato. Solo così, solo in questi casi. Altrimenti è sempre sbagliato. L'amore, l'affetto, l'attenzione, la preoccupazione che ti rivolgono le persone assolutamente sconosciute che passano per strada quando tu caschi come una pera cotta a terra. Dio, come amo cadere. Lo odio, mi faccio male di continuo, mi sento una demente. Ma che bello che le persone si fermano per aiutarmi. Queste cose mi fanno venire da piangere. I piccoli gesti di umanità o sapere che qualcuno, o forse la maggior parte di noi, rischierebbe la vita per salvare un'opera d'arte, i gesti d'amore incondizionato, l'abnegazione, a volte sono davvero felice di appartenere alla specie umana
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unfilodaria · 3 years
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Ieri sera si parlava. Si parlava un po’ di tutto: di vaccini, di socialità, di sesso e di amori.
E la mia amica, parlando di affetti aleatori e sessualità saltuaria, componenti a suo dire di una fisiologia necessaria, mi fa: “necessaria perché ritengo che il sesso sia una pratica che possa tenersi scissa dagli AFFETTI. Senza sesso si diventa meno creativi, meno curiosi, meno interessati al mondo, è una specie di cura ricostituente.”
“Ma io sono fatto male: sesso e affetti per me non possono essere scissi. Semplicemente mi viene una chiavica se non c’ho trasporto”
“Ma non dico una cosa gelida, dico non necessariamente una grande passione, a volte poi se si è troppo coinvolti si rischia di attaccarsi troppo, poi rimanere delusi... e a che scopo soffrire? Non ho voglia di roba eccessiva, anche qui abbiamo già dato abbondantemente, voglio cose leggère”
E alla fine mi tocca darle ragione, perché effettivamente abbiamo già dato abbondantemente, abbiamo a volte riso e per lo più sofferto e si arriva ad un’età che vuoi il minimo, il dovuto giornaliero per continuare a vivere senza grandi scossoni, pigliandosi dalla vita quello che viene.
Ma il problema che ad una certa età (che poi detto così sembro mio nonno mentre solo diventato abbastanza grande da guardare, a volte, indietro con un po’ di nostalgia) dicevo ad “una certa” cominci a tirare inevitabilmente le somme e il tuo bilancio ha sempre un saldo negativo. Ti rendi conto che è più quello che hai dato che quel che hai ricevuto ed ora ti dici che forse è il momento di batter cassa, di chiedere conto un po’ alla vita, di pretendere attimi prolungati di felicità, per potersi poi lasciare andare tra le braccia di qualcuno e potersi dire finalmente “ti amo” anche caricandolo con qualche huachaferia di troppo, perché è giusto dirle senza doversi sentire necessariamente ridicolo. Ed anche se il tempo sembra stia volando, cominciare finalmente a fondere sesso e amore, per quel che ci resta da fare e da vivere.
Potrà sembrare rischioso? Eccessivo? Morboso? O è semplicemente voglia di vivere, anche per uno sprazzo di un nano secondo, quello che la vita non ti ha dato o semplicemente quello che tu non sei stato capace di prenderti dalla vita e che era tuo, soltanto tuo? Cosa ho da rischiare considerato che il mio cuore è andato in frantumi più di una volta e certamente non sono stato più in grado di ricomporlo? Nulla. I danni sono già subiti ed irreversibili. Per cui vivere o morire. Ed io ho decisamente ancora voglia di vivere.
Per cui sto qui, aspetto fiducioso, perché son certo che prima o poi il mio bilancio per lo meno andrà in pareggio
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emailsiwillnotsend · 10 months
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Giorno 2
è salito su un treno che l'ha portato via da qui
Mi scrive che avrebbe voluto parlarmi di come si sente a guardarmi senza nulla addosso. 
Questa mattina mi sono alzata e ho detto che sarei stata forte, che 24 ore di pianto sono state abbastanza. Ma ho visto i suoi messaggi e sono qui, seduta su una scrivania a scrivere una mail che non leggerà mai mentre cerco di trattenere il nodo di lacrime che mi si sta formando in gola. 
Ieri mi ha aiutato pensare che dovevo respirare attraverso i ricordi che facevano così male da farmi stare ferma a contare le ombre sul soffitto e piantare le unghie nella coscia. Erano anni che non lo facevo. Lui mi abbracciava e mi chiedeva perché i ricordi facessero così male.
Vuoi sentirti dire che sono ricordi belli? Che siamo stati tanto bene insieme? Devo davvero dirtelo in questo momento? Non sono ricordi brutti, ti amo, come potrebbero esserlo? Però sono ricordi di due persone che non ci sono e non ci saranno più. 
Non ci saranno le cene nudi, non ci saranno le corde sui polsi, non ci sarà il mio compleanno, non ci saranno i musei di Parigi, non ci saranno le buonanotte e i nomi di cibi inventati, non ci saranno i vini, non ci saranno le vacanze e il mare, non ci saranno i periodi di silenzio e non ci sarà capire come far funzionare questa relazione in giro per il mondo.
C'è il ricordo che su questo letto, proprio come sono messa adesso, ho visto il tuo profilo e ho fatto swipe a destra, ho ascoltato la tua voce che mi leggeva una storia, ho letto che avresti voluto ricevere dei fiori, ti ho chiamato accartocciata sul letto tutta felice, ti ho spogliato per la prima volta, mi hai spogliato per la prima volta, ci siamo baciati, ci siamo fatti venire, ho letto il messaggio in cui dicevi che era ridicolo che il mio profumo ti avesse fottuto il cervello e quello in cui mi pregavi di mangiare.
Adesso mi asciughi le lacrime e mi baci e io sono costretta a fare un atto di egoismo anche se questo ti farà stare male. Sono costretta a dirti che non voglio sentirti. Che non voglio niente che mi ricordi che stavamo tanto bene insieme. Che non voglio leggere i messaggi in cui sei felice e sapere che stare con altre persone ti rende più felice della nostra relazione. Non voglio esserci mentre succedono queste cose.
Oggi riesco a dire che Lui è salito su un treno che l'ha portato via da qui senza scoppiare a piangere. Ieri è salito su un treno che l'ha portato via da me. Non rivedrò più il ragazzo di cui mi sono innamorata. Era un mese ormai che lui non c'era più, ma adesso non lo rivedrò proprio mai più.
Quello che dico più spesso è che non cambierà molto rispetto all'ultimo periodo.
Ho scritto una mail che non ti ho mai mandato in cui dicevo che in questo periodo ogni muro che alzavi mi faceva esserci un po' meno. Il 12 giugno ho scritto "Hai 26 anni e mi sembra che siamo estranei. So elencare ancora più cose di quelle che mi piacciono di te, so scrivere ancora più cose che sanno di te ma non sono te. Ma adesso non ci sei più e non so come trovarti. Ci sei solo quando mi racconti come stai la sera, ormai neppure più con un audio. Ci sei per dirmi che stai male e che la nostra relazione ti pesa. Io ci sono sempre un po’ meno, anche se ogni sera cerco di darti un po’ di più e compensare qualcosa che manca. Non posso continuare così."
Quando ci siamo messi insieme mi hai detto che volevi continuare a vedermi senza veli e vulnerabile. Questa notte mi hai mandato una foto in cui dici che avresti voluto dirmi che è bello vedermi nuda. Ma non lo hai fatto. 
Ieri mia madre mi ha detto che la mia valigia è piena di calzini spaiati. 
Ieri ho mangiato un gelato, oggi niente fino a sera. Ogni boccone di cibo che provo a ingoiare pesa un quintale, ma ho mangiato mezza pizza e bevuto tre Campari. Ho anche fumato, ma comunque tu non ti muovi dal centro del mio petto dove ti sei inchiodato a febbraio.
Apro Tumblr e spero che ti troverò lì con le tue stupide domande. 
Ci vedo sei mesi fa e provo estrema tenerezza.
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Continuo ad aprire la conversazione, scrivere qualcosa e poi cancellare.. non ho molto da dire, le mie giornate sono noiose e vuote, anche io mi sento vuota in realtà. Che poi non è vero, sono piena, ma di cose brutte a cui cerco di non pensare.
Da quando ho iniziato questo Master mi sono resa conto di non sapere cosa significhi avere degli amici.. avere delle persone a cui fa piacere la mia compagnia mi sembra così strano che non so proprio come comportarmi.
È sia ridicolo che triste, non trovi?
Sono (quasi) tutti mediamente simpatici, ma io non riesco a considerarli amici. Il mio unico amico sei tu, gli altri sono conoscenti, alcuni più stretti certo, ma comunque conoscenti. È come se vedessi questo loro interesse come un’invasione della mia privacy, perché io sono abituata a stare sola, anche se poi non mi piace e la solitudine mi mangia viva.
Mia mamma dice che sono asociale. Forse è vero, ma in realtà sono anche convinta che sia tutta una circostanza, che non gli faccia veramente piacere la mia presenza: sono solo gentili, e io non posso permettermi di affezionarmi a nessuno, perché poi tanto se ne vanno tutti e io ho sofferto abbastanza.
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toleratingthings · 3 years
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Figure stereotipate
Difatti le donne delle ultime generazioni tendono a non percepirsi come vittime o escluse, rispetto ai loro coetanei uomini, perché siamo in un paese in cui la cronaca ci restituisce alcune figure canoniche, come la moglie portata allo stremo, le figlie violentate, le fidanzate uccise, o la madre infanticida, senza lasciare spazio ad immagini di donne che si trovano in posizioni diverse, come quelle di presidenti, segretarie di stato, o cancelliere, che sono considerate casi eccezionali e non rappresentative del loro genere.
(fonte: http://www.iaphitalia.org/emancipazione-e-liberazione/)
Ha spopolato il video imbarazzante di Er Faina in cui accusa le donne di "cagare il cazzo" con la tematica del cat-calling dopo la storia che Aurora Ramazzotti ha postato su Instagram, lamentandosi - giustamente, se mi permettete -, dell'imbecillità di alcuni esordendo con un "Mi fai schifo".
A me piace da morire quando gli uomini si alterano per ogni rivendicazione di stampo educativo da parte delle donne, perché dimostra palesemente la totale ignoranza che li costituisce. Senza contare che tale arroganza permetta anche di capire sin da subito come individui del genere non si preoccupino neanche di stare lì ad ascoltare e capire tematiche complesse che vanno oltre al contatto fisico.
Diciamolo: la storia del cat-calling non solo sembra offensivo alle loro bocche (e alcuni gridano persino al fascismo perché i loro commenti del tutto inopportuni non trovano più spazio), ma li fa sentire tagliati fuori dalla società.
Un complimento è bello riceverlo con garbo, non urlato a sette metri di distanza come si urlerebbe alla tv quando si guardano le qualificazioni italiane ai mondiali. E poi, miei cari, nessuno ha bisogno dei vostri commenti, né di quelli dispregiativi, né tantomeno di quelli apprezzativi. A noi piace solo vivere senza troppi problemi. Non accusateci se rispondiamo a tono quando le cose a noi riferite possono non risultarci "simpatiche e normali". Ad ognuna aggrada qualcosa di differente.
Quindi, caro uomo che fai cat-calling, passiamo alle domande serie: pensi che il mondo sia etero? Credi che qualunque donna a cui fischi interessi di te? Cos'è, da piccolo non ricevevi abbastanza attenzioni? Sei stato preso di mira dai bulli quando facevi le medie? Non hai mai risolto qualche complesso legato alle tue difficoltà di approccio con le donne? Ti hanno detto "No" troppe volte? Perciò pensi che la violenza ti sappia ricompensare da queste frustrazioni? Sei convinto che l'abuso dei privilegi non esista? Ti hanno detto di "fare l'uomo" o di "non essere una femminuccia/checca" quando volevi essere vulnerabile?
Mettiamola così: esplicatemi perché ad una donna possa mai fregare il fatto che voi uomini apprezziate immensamente il suo culo. E se questa donna fosse lesbica? Aromantica o asessuale? Forse non sapete dell'esistenza di queste etichette. (ironic, isn't it? - ndr.)
Già che ci siete, articolatemi il motivo per cui voi possiate dare aria alle vostre bocche in qualsiasi momento.
Perché dovete chiamare una tipa "bella gnocca"? Lo pensate davvero? Grazie mille, ma questa cosa ci fa paura.
E sapete perché? Per via delle esperienze.
Ieri sono andata all'ATM per ritirare un po' di contanti e in ordine di fila eravamo: un ragazzo della mia stessa, un signore, la sottoscritta e un altro signore. Senza neanche volerlo, mi sono accorta della totale calma con cui il ragazzo che stava usufruendo del servizio si muoveva, nonostante il signore subito dopo di lui si avvicinasse appena sperando di farlo sbrigare.
Insomma, una cosa abbastanza banale, direte.
Quando successe la stessa cosa a me, al mio turno, dovetti ripetermi di rilassarmi, di ricordarmi che l'uomo dietro di me andava solamente di fretta e che non ogni uomo nasce con l'intenzione di farmi del male.
Ecco, questo intendo.
Quando si tratta di fischi e commenti tra voi uomini, siete certi al 92% che non vi succederà alcun tipo di inconveniente e di conseguenza non vi preoccupa e non vi inquieta nemmeno un po' vivere episodi del genere. Per noi, invece, è il contrario.
Quei fischi, quei "bel culo", quei "complimenti alla mamma" e soprattutto quei "mamma mia che ti farei" ci ricordano i pericoli in cui incorriamo per il solo fatto di essere donne. I nostri vestiti, i nostri corpi e i nostri atteggiamenti spesso vengono presi come complici per l'istigamento verso il sesso maschile. Ogni volta dobbiamo partire prevenute da casa, avvisare chiunque dei nostri spostamenti e per di più ci sentiamo in dovere di controllare continuamente i nostri dintorni perché in noi vive insito il mito del "Stai attenta cara, che fuori ci sono brutte bestie e ti potrebbero violentare/rapinare/sequestrare/ammazzare". Quella leggenda metropolitana ci accompagna e non solo, trova anche solida base nelle storie che i telegiornali raccontano.
Che poi, quale peggior maniera di vittimizzarci e renderci deboli esiste oltre al giornalismo?
Noi non siamo donne, siamo vittime. Tutte quante. Non esiste articolo in cui non si vi venga esposte con "Nome e Cognome è stata vittima di un [inserire violenza subita]". Siamo marionette della violenza maschile, ma mai donne di potere. Mai ministre, mai presidenti o presidentesse, mai sindache, mai CEOs. Mai.
Solo un insieme di mamme, fidanzate, mogli o ex violentate a cui è stata strappata la libertà in vita e, successivamente, la vita stessa.
E quanto è stato ridicolo il post di scuse postato da Er Faina, parandosi con l'ironia - come se fosse l'arma giusta da usare. Non recupererai mai la fama che hai perso per esserti rivelato per ciò che sei.
Ma in un altro post probabilmente parlerò di come il black humor e l'ironia nascano dal razzismo e il sessimo.
- glenda | ig: a.glenda.caceres | tw: waitbythedoor_
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sixteensaltines · 3 years
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Dialogo tra Alessandro Borghi e Alessandro Michele.
Alessandro Borghi: Vorrei cominciare parlando dell’origine di Alessandro Michele, non come professionista ma come essere umano, qualche ricordo che hai della tua infanzia, legato a un’immagine. A me succede molto spesso di avere dei flash di me stesso da bambino, con mia madre che mi mette una coperta addosso piuttosto che un albero della casa in campagna. A te?
Alessandro Michele: Ho un ricordo bellissimo, particolarmente nitido, di me bambino, credo che facessi la prima elementare o qualcosa del genere, forse l’ultimo anno dell’asilo, vivevamo a Monte Sacro Vecchio. In una giornata sai di quelle romane – Roma secondo me ha di quelle giornate primaverili, di quelle situazioni climatiche che alle volte sono come delle benedizioni divine e tu percepisci di essere un privilegiato. Io già da bambino questa cosa la sentivo, e c’è un momento che infatti mi torna alla mente in maniera nitida, quando vedo quelle giornate: uscivo da scuola, una scuola cattolica vicino casa, credo mi fossero venute a prendere le gemelle, mia mamma e sua sorella, vivevamo in due appartamenti comunicanti all’epoca. Io torno con il panierino porta pranzo di quando ero piccolo. Mi ricordo questa giornata di sole, era già iniziata la primavera, e io avevo sempre voglia di scoprirmi, andavo sempre da mia madre tutto mezzo nudo perché mi toglievo maglie e magliettine. Esco e trovo le gemelle, che erano spesso vestite uguali solo in variante di colore, sedute a un tavolo che prendevano il caffè e ridevano tantissimo, con questa luce pazzesca, ed è un’immagine che mi è rimasta in testa. Un’immagine di donne, quanto fossero complici. In verità la vera famiglia erano loro due, era un matriarcato, i maschi erano completamente soggiogati da queste due maghe Circe, ma anche io eh! Mi ricordo il sole, le vedo tutte e due con questo chemisier, una in rosa e una in celeste, che ridevano come delle pazze. È un’immagine che mi è rimasta, l’immagine che dice che la vita è stare a fare delle chiacchiere a un bar, in una giornata di sole, tanto siamo destinati meravigliosamente a morire, e siamo meravigliosamente vivi. Io da bambino sono stato molto felice, in una famiglia allargata, formata da due mamme, da vari uomini e da una cugina che era una sorella. Forse mi è rimasta impressa questa immagine perché, come dico sempre, io sono un cuor contento.
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AB. Poi, a un certo punto, hai deciso di andartene. Lo hai fatto perché avevi realmente la percezione che restando lì non avresti potuto raggiungere quello che avevi in testa, o è stata una cosa dettata da altre necessità? E soprattutto, a un certo punto, quanto è stato importante ritornare? Cioè, quanto è importante andarsene e quanto poi ritornare da dove si è partiti, quando invece si potrebbe sopravvivere altrove?
AM. Io avevo due motivi per andare. Uno, è che sentivo di essere un bambino speciale. Poi ce ne saranno tanti di bambini speciali, probabilmente lo siamo stati tutti, ma sentivo che dal posto dove stavo, crescendo, dovevo allontanarmi. È stato un allontanamento dal quale non ho potuto esimermi, l’essere diverso in quegli ambienti lì delle periferie romane è difficile, da un lato c’era una grande umanità, perché ho incontrato anche delle persone meravigliose, oserei dire anche dei maschi alfa meravigliosi, che mi avevano già capito, ma non tutti avevano questa apertura. Il secondo motivo è che io ero un sognatore. Ho sognato finché ho potuto, poi i sogni non erano più sufficienti, dovevo concretizzarli, e quindi ho fatto la valigia. È stato difficile andare via. Ero abbastanza giovane, me ne sono andato in un’altra città e ci sono stato finché ho potuto. Poi una volta che ti sei formato spesso avverti la necessità di ritrovare i luoghi a cui sei appartenuto. Adesso ogni tanto sento un gran bisogno di parlare con un cugino, di ritrovare una strada. Sai cos’è? Credo sia capitato anche a te: quando la tua persona si comincia a spezzettare in un milione di frammenti, diventi un po’ popolare e molti sanno chi sei, il tuo cognome e il tuo nome messi insieme quasi si svalorizzano, non hanno più senso. Non sei più solo Alessandro. Ma Alessandro è stato Alessandro che era sotto casa a giocare a basket, poi Alessandro è diventato Alessandro Michele, un nome che detto così quasi se ne vola via. Allora tornare da dove vengo mi serve a riafferrare questo nome. Io sono Ale, sono Alessandro, sono stato un ragazzino, il mio nome l’ha scelto mio padre, capito?
AB. Ti capisco. Io vivo ancora nel quartiere dove sono cresciuto, camminando è un continuo susseguirsi di “questa è la strada che facevo per andare a scuola”, “questo è il posto dove ho incontrato…”, tutto mi riporta subito in una dimensione che aiuta tantissimo a ricordarmi da dove sono venuto e chi era Alessandro, appunto, che nel mio caso giocava a calcetto alla parrocchia. Mi piace moltissimo ricollegare a te l’idea delle immagini, condividiamo una relazione con il cinema che è imprescindibile, per me perché è diventato con gli anni il mio lavoro, per te perché mi sembra sia sempre più una parte fondamentale del tuo modo di raccontare quello che fai. Ma del cinema parliamo dopo. Mi dici prima se c’è un incontro che ha cambiato la tua percezione delle cose?
AM. Ne citerei due. Uno è stato quello con Giulio Argan, lo storico dell’arte, conosciuto quando frequentavo il liceo. È venuto a parlare a scuola, io sono stato sempre un grande appassionato d’arte, la mia passione per l’immagine è nata da bambino, credo, ma quando ho sentito parlare Argan, quello che gli ho sentito dire quel giorno, mi ha affascinato totalmente. Uscii da scuola pensando che quella cosa chiamata arte era di fatto una forma di religione; un incontro fondamentale. L’altro che citerei è Piero Tosi, il grande costumista. Incontrandolo, ho capito la gentilezza della passione, la bellezza e la semplicità della complicazione di essere. Lui era una persona complessa, deve aver avuto una testa incredibile, ma aveva un cuore così gentile. Ero un ragazzino, mi ricordo che arrivò questo piccolo uomo elegantissimo, con questa giacca di grisaglia che guardava noi giovanissimi che eravamo nella sala, io mi sono emozionato, gli ho dato anche la mano. Da adulto poi l’ho conosciuto, sono andato a casa sua a prendere un caffè, lui è morto l’anno dopo. Tosi è stato quello che mi ha fatto capire che i vestiti erano importanti perché dentro c’era l’umano. I vestiti, senza quel mucchio di atomi e di cellule che siamo noi, non hanno senso di esistere. Da lì ho iniziato a capire che relazione strettissima c’era tra loro e chi li indossava, la forma che conteneva quell’umanità. Sono cresciuto con una mamma cinematografara, avrò visto La rosa tatuata cento volte, I soliti ignoti pure, credo di saperli a memoria. I ragazzini vedevano Jeeg Robot, io vedevo la Magnani. Mamma sognava un pezzo di vita attraverso i film, praticamente ha fatto la psicanalisi con il cinema, le ha riempito tutti quei vuoti. Diciamo che io, crescendo, ho messo un piede in quel mondo, ma attraverso i vestiti. Poi, che ti devo dire, ho conosciuto tante persone che mi hanno fatto cambiare idea, ancora oggi conosco delle persone che mi fanno cambiare idea. Sono un chiacchierone, ma lo sono perché mi piacciono anche le chiacchiere degli altri. E ne sono influenzato, continuamente. Mi auguro di continuare ad esserlo, da quello che succede, dalle persone che incontro, dai caffè che prendo, dalle cene e dai pranzi. Tipo da questa nostra chiacchierata, come dalla prima che abbiamo fatto dopo che avevo visto un tuo film. Gli incontri che ho fatto mi hanno cambiato la vita.
«È un’immagine che mi è rimasta, l’immagine che dice che la vita è stare a fare delle chiacchiere a un bar, in una giornata di sole, tanto siamo destinati meravigliosamente a morire, e siamo meravigliosamente vivi»
AB. C’è una cosa che ti imbarazza?
AM. Come si dice a Monte Sacro Vecchio, mi imbarazza quando mi mettono in mezzo. Ho ancora un problema col fatto di essere al centro dell’attenzione, è l’unica cosa del mio lavoro che mi ha imbarazzato e che mi imbarazza tuttora. Per il resto non ho grandi problemi a riguardo, sono autoironico, non ho paura di risultare ridicolo, sono uno che si mette in gioco. In più ho la fortuna di aver imparato a non temere di sbagliare. Anzi, ci tengo molto ai miei errori, me li voglio coccolare, me li voglio permettere.
AB. Capisco. Mi piace molto parlare con te perché alcune volte mi sembra di sentire me stesso. Quando inizi un percorso, c’è questa ossessione di voler fare le cose per forza meglio degli altri. Poi ti rendi conto di dover far pace col fatto di essere te stesso, e cominciare a preoccuparti di meno, di non voler per forza ricercare la perfezione, accogliendo gli errori come una fase necessaria. Senti, hai mai pensato di cambiare lavoro o percorso? Cosa faresti se ora non fossi Alessandro Michele?
AM. Ultimamente sono appassionato di terra. Mi piace molto la terra, sento molto il richiamo della campagna, quindi ho restipulato un grande accordo con la natura e con il mondo rurale, che poi è il mondo da dove vengo. Potrei dedicarmici, ma credo che adesso forse la cosa che farei se non facessi questo lavoro, sarebbe il cinema. Ho fatto da poco questo esperimento con Gus Van Sant, la co-regia con lui di “Ouverture of Something That Never Ended”, la serie con cui abbiamo presentato la nuova collezione di Gucci. Ovviamente l’ho fatto in punta di piedi, lui è un grandissimo visionario, e quindi io mi sono messo in un angolo, anche solo per dialogare e permettermi di dire le cose che vedevo in modo diverso; averle condivise con lui per me è stato un grande esperimento. Alla fine ho fatto il garzone di Gus Van Sant, però intanto ho un po’ spiato, e ho capito quanto mi piacciono queste immagini in movimento, portarle a un’altra frequenza rispetto a quanto faccio di solito – io ho sempre lavorato con Glen Luchford su video musicali, dove c’era una narrativa diversa. Avendo adesso rallentato il ritmo delle immagini, avendo provato la poesia della telecamera, ti direi che io un esperimento nel cinema, anche solo per farmi dare dell’asino, se non avessi da fare, lo proverei. Gioco in casa con te, lo so, ma il cinema ha davvero qualcosa di misterioso e di affascinante. Mi ci metterei anche solo per permettermi il lusso di averci provato. Sarà che esco da un mare magnum di immagini, giorni e giorni entrando e uscendo dal van col monitor, al freddo, per strada. Faticosissimo, fra l’altro. Non avevo mai fatto una cosa così faticosa. Io mi chiedo te, voi, come fate. Ho pensato a tutti gli amici attori, che vita. Stimo moltissimo chi riesce a fare e produrre questa cosa che è il cinema, una macchina veramente impressionante.
AB. Credo che l’unica cosa che ti consenta di farlo in una determinata maniera sia la necessità che hai di raccontare quella storia. Quanta voglia hai di portare a termine questo racconto? Tutto dipende da questo, perché sennò al primo freddo, alle prime tredici ore di set, al primo bagno nell’acqua gelata, sembrerà sempre di non avere abbastanza in cambio. Senti, visto che siamo in tema, prendiamoci un attimo per parlare meglio di questo progetto con Gus Van Sant.
AM. Lo dicevi prima, sento il bisogno di raccontare, sono figlio di un raccontatore, mio papà, credo sia una cosa importante. Nasce da questo l’idea, ma è una gestazione che è durata anni. Ci sta poi che la pandemia mi abbia portato a riflessioni di altro tipo, abbia accelerato un processo, ma era un po’ che dialogavo con Gus, è stato una grande icona della mia giovinezza. A un certo punto mi ricordo di aver pensato: “Chissà dov’è e cosa fa”, e così l’ho cercato e abbiamo iniziato una conversazione. Tutto è nato perché ho immaginato di raccontare quello che chiamo il pellegrinare dei vestiti, la storia dell’umano che li indossa, il tempo che passa lento. Stando fermo, poi, ho scoperto come è bella la routine, come sono belli i gesti di quando camminiamo, di quando ci alziamo la mattina, le cose lente che facciamo tutti i giorni. Ho rallentato tutto, anche le persone; è un racconto dove non succede niente. L’idea è nata da me, quella di seguire una persona e le cose che le acca- dono e che non per forza portano a qualcosa. Al contrario di quello che succede nel cinema, che invece ha la necessità di arrivare a un punto. Ho preso il format meraviglioso delle serie televisive, e l’ho interpretato a modo mio, ma con Gus Van Sant, che già abbracciava un po’ questa mia maniera di vedere le cose, ho chiamato lui per quello. In questa storia c’è dentro un pezzo di vita apparentemente congelato, è un po’ come io sto vivendo questo momento, un respiro di sollievo nonostante ci sia un’oppressione, ho pensato a quante piccole cose succedono apparentemente e involontariamente. La definirei una narrazione poetica di un guardone che osserva una ragazza, e che la fa interagire con dei personaggi in maniera onirica e surreale, dando vita anche a dei dialoghi impossibili, quelli di cui sono piene le nostre vite. Soprattutto, ho utilizzato un po’ di miei amici, essendo fortunato ad aver un bacino largo da cui pescare. Qualcuno la serie la amerà, qualcuno no, io trovo che sia sincera e anche coraggiosa, qualcuno si chiederà cosa abbiamo combinato, cioè probabilmente a Gus Van Sant lo diranno meno, essendosi guadagnato una rispettabilità nel cinema che io sicuramente non ho. Da lui ho scoperto che si può essere grandissimi in una maniera così poeticamente semplice. Nonostante sia chi è, Gus Van Sant ascolta quello che dici, impressionante. Questo è stato il progetto. Sette episodi che sono un inno alla lentezza, una preghiera ai gesti, ai movimenti, alle facce belle, alle facce strane, al cinema che ha sempre decantato l’umano.
«Alessandro è stato Alessandro che era sotto casa a giocare a basket, poi Alessandro è diventato Alessandro Michele, un nome che detto così quasi se ne vola via. Allora tornare da dove vengo mi serve a riafferrare questo nome»
AB. Lentezza che è un po’ la trasfigurazione del momento storico che stiamo vivendo. A proposito di momento storico, siamo in un’epoca in cui, un po’ per la globalizzazione, un po’ per l’esplodere dei social network, tutti possono esprimere la propria opinione su tutto. Io su questo sono molto combattuto: quanto ne abbiamo bisogno davvero? Quanto bisogno c’è di ascoltare le idee di tutti su tutto?
AM. È un pensiero che faccio molto spesso, perché ovviamente a me non interessano le opinioni di tutti. È una cosa umana: a noi interessano alcune opinioni, altre non ci piacciono, non le vorremmo sentire. Quello che penso è che siamo in un periodo di grande transizione, dove ci sono paure enormi. Inconsciamente, non sappiamo se questo pianeta ci sarà, non sappiamo se sopravvivremo, adesso poi siamo tutti chiusi in casa, la morte ci è venuta a bussare alla porta. Io penso che siamo anche un po’ repressi, ci sono state comunità a cui non è stata data voce, persone che sono state invisibili, come se non fossero esistite. Al di là di quello che succede in questi mesi, io credo che stiamo transitando da anni; dall’epoca vittoriana, dalla rivoluzione industriale, ci siamo evoluti certo, ma i modelli e il mondo sono praticamente rimasti gli stessi. Sono partito da così lontano per dirti che, in un momento di grande transizione e incertezza come questo, tutti hanno necessità di parlare. È come durante le rivoluzioni: le persone non hanno parlato per molto tempo, e quindi guai a non dare voce a qualcuno, anche se dice cose profondamente sbagliate, o che non ci piacciono. Questa grande conversazione globale, che ormai avviene sui social network, passa anche attraverso la voce di quello che secondo noi sbaglia, perché per reazione ci porta a formulare pensieri utili, costruttivi. Dobbiamo essere meno egoisti, non dobbiamo parlare per forza solamente con noi e di noi, è un passaggio obbligato di questa transizione. Arriverà probabilmente un momento in cui avremo esaurito questa specie di manifestazione permanente dove tutti vogliono parlare perché prima non potevano. E dobbiamo solo lavorare perché la transizione sia verso un posto migliore. Io sono ottimista, dobbiamo transitare e portare tanta pazienza. Anche per quelli che verranno dopo.
AB. Sai che mi hai quasi convinto.

AM. Sui social io sono stato massacrato, sono stato adorato, e alla fine ho capito che purtroppo, se ci vuoi stare, è cosi. In questa fase non esiste più l’areopago, non è più oligarchica la storia, non è più per pochi. I pochi, noi, che pensavamo di essere i parlanti, in verità siamo bene o male come gli altri. Il tutto andrebbe sicuramente regolamentato, perché poi ci sono dei momenti in cui in cui si scade nella prevaricazione; è ovvio che non va bene l’insulto, non va bene il dire cose gravi e sconvenienti, però è pure vero che se zittisci uno potenzialmente zittisci tutti. Dobbiamo essere molto attenti, sarebbe come dire che siccome in tv o sulla stampa vengono dette anche cose sbagliate, allora chiudiamo la tv e la stampa.
«Sui social io sono stato massacrato, sono stato adorato, e alla fine ho capito che purtroppo, se ci vuoi stare, è così. In questa fase non esiste più l’areopago, non è più oligarchica la storia, non è più per pochi»
AB. Usando una citazione ti dirò che “mi avevi già convinto al ciao”. Torniamo un attimo indietro: prima, quando ti ho fatto la domanda sulle opinioni di tutti, mi hai raccontato la tua visione sull’epoca che stiamo vivendo. Mi viene in mente che, per esempio, ultimamente ho iniziato a interessarmi molto di più a tutta la questione del cambiamento climatico, una cosa che mi spaventa molto. La domanda che mi e che ti faccio, che poi tutte le domande che ti sto facendo sono domande che mi faccio spesso da solo, è questa: quando ti capita di pensare a come sarà il mondo, pensi che sarà inevitabile adattarci o credi ancora fermamente che la volontà del singolo sia essenziale per cambiare il corso delle cose?
AM. Tutte e due. Credo che la volontà del singolo conti sempre in natura: quella di una sola ape contribuisce al futuro di un pezzettino di mondo, di un prato. Quel prato diventa uno spazio più grande, diventa un territorio, uno Stato. Quindi sì, io credo che il singolo, la sua forza, siano l’essenza della politica. Poi è ovvio che ci dobbiamo adattare. Nel senso, a me ieri è andata via la luce a casa; mi sono incazzato da morire, non puoi capire. Oggi avevo una giornata impegnativa, dovevo collegarmi con molte persone nel mondo. Ero nervoso. Va via la luce. Dieci meno venti. La riattaccano alle due di notte. Io con la candela. Stavo finendo di lavorare, dovevo finire di guardare dei sottotitoli.
AB. Comunque è un’immagine estremamente romantica, devo dire!
AM. Mio padre avrebbe ripetuto quel che mi diceva da bambino: «Spegni la luce, non ce n’è bisogno, accendi la candela che sprechi energia». Adattarsi vuol dire questo, rallentare quando è necessario fare un passo indietro. Sta a noi farlo diventare anche una cosa bella: passare un giorno su una coperta a prendere il sole, fare una grande chiacchiera con altri amici, in questo momento ci sembra un adattarci al ribasso rispetto a tutto quello che vorremmo fare, però in sé non è mica una cosa brutta. Se va via il sole accendo una candela, così se un giorno ci sarà richiesto per necessità, di stare un po’ più fermi, sapremo come stare fermi, no? È ovvio che il modo in cui ci siamo dovuti fermare è stato una cosa violentissima, drammatica. Però tu mi hai chiesto se ci si può adattare, beh, io mi sono adattato, tu ti sei adattato. Allora mi viene da pensare che in futuro potremmo cercare di trovare una via di mezzo, potremmo rimetterci in ascolto del pianeta, accarezzarlo un po’, volergli bene. Come fanno gli altri animali, no? Perché abbiamo pensato di essere meglio e abbiamo fatto un disastro. Siamo degli animali folli, i più folli di tutti, e quindi dico che dobbiamo essere bravi ad adattarci, perché l’adattamento sarà meraviglioso. Quando potremo di nuovo passeggiare, camminare, senza la mascherina, tu pensa quanto capiremo di tutta questa storia! Poi singolarmente ognuno di noi dovrà fare dei piccoli gesti, ci dovremo osservare di più; faremo delle cose grandiose, però dobbiamo non essere presuntuosi. Un grande presuntuoso l’abbiamo mandato a casa a novembre, un folle presuntuoso. È stato un grande gesto per tutti, che sposta l’ago della bilancia, per me è un grande punto di ripartenza. Sono molto ottimista perché l’uomo, come tutti gli animali, ha sempre avuto la capacità di trovare nuove strade, e noi questa strada oggi la dobbiamo trovare. E la troveremo.
AB. Adesso ti imbarazzerai per quello che sto per dire, però te la devi prendere e portare a casa. Tu in questi anni hai completamente rimodulato il concetto di bellezza. Lo hai fatto in una maniera talmente elegante, intelligente e profonda che non tutti sono riusciti a capirlo. E questo è il risvolto della medaglia di fare le cose a un certo livello. In un’intervista in un video che c’è su internet e che si può vedere, dici così: «Strano è bello. Più strano sei, più diventi bello». Ed è una cosa che io trovo meravigliosa. C’è stato un momento particolare in cui hai avvertito questa cosa per la prima volta? Magari anche senza poi immaginare che sarebbe stata alla base di tutto quello che stai costruendo in questi anni.
AM. Non lo so. Io ho un rapporto intimo e molto profondo con la bellezza, nel senso che l’ho dovuta cercare anche in posti dove apparentemente non c’era; il luogo dove sono cresciuto viene universalmente bollato come brutto. Eppure ho visto delle grandi bocche che parlavano, delle facce bellissime, delle ragazze che avevano fatto la seconda elementare ma che avevano una cultura della strada meravigliosa, facevano delle battute che sembravano uscite dal cinema, occhi belli; amichette che si schiarivano i capelli, si mettevano l’ossigeno in testa ed erano bellissime. Io l’ho sempre rintracciata e ricercata la bellezza. Una volta Maria Luisa Frisa, la curatrice di moda che è anche un’amica, mi ha detto che ho un rapporto molto conflittuale con la simmetria. Forse perché sono cresciuto in una città in cui la simmetria ha a che fare con le brutture e le storture, a Roma è nato l’ordine degli ordini di tutte le architetture che arrivano fino alla Casa Bianca. La colonna che sta da una parte, sta anche dall’altra. Tutto è simmetrico, tutto è perfetto. Poi dopo però ci sono un sacco di cose storte, è pieno di schifezze vicino a queste cose meravigliose. Mi viene in mente la Magliana: ci sono delle chiese romaniche pazzesche, e poi vicino ci sta, che ne so, uno sfascia carrozze. Questo mi ha insegnato che la bellezza è una cosa misteriosa. Su di me, che non sono più lo stesso di quando avevo vent’anni, qualcuno potrebbe dire: “Quanto è brutto questo”, invece io mi guardo allo specchio e mi dico: “Che fatica essere diventati belli essendo così diversi”. Credo di aver avuto un dono da bambino, e cioè la necessità di cercare la bellezza per sopravvivere. Ci ho ragionato tanto anche perché è una cosa di cui non volevo diventare schiavo, volevo smettere di pensare che casa mia non fosse abbastanza bella, per dire. Adesso se ci ripenso invece dico che sono stato bravo perché ho ricostruito tutto un apparato di bellezza in un posto dove qualcuno diceva “là è tutto brutto”. È come quel tuo film, Non essere cattivo: non è vero che siccome racconti un certo tipo di cose allora è tutto brutto. No. È tutto bellissimo! Conversazioni bellissime, facce, cose, parole tutte storte, bellissime, tutte dette male, c’è tutto lo sgrammaticato che esce fuori da certi posti dove sono cresciuto io. E mi fa venire i brividi. Perché poi la bellezza è nascosta anche in delle cose terribili, purtroppo. Credo di poter dire di avere un rapporto anche conflittuale con essa. Ma è una conversazione che non chiudo, voglio capire se la ritrovo in altri posti, non farla esaurire mai.
«Ho ancora un problema col fatto di essere al centro dell’attenzione, è l’unica cosa del mio lavoro che mi ha imbarazzato e che mi imbarazza tuttora. Per il resto non ho grandi problemi a riguardo, sono autoironico, non ho paura di risultare ridicolo, sono uno che si mette in gioco»
AB. A proposito, quando io ho fatto Non essere cattivo, tu eri direttore creativo di Gucci da otto mesi, ci siamo quasi accompagnati. Se tu dovessi riguardare a questi anni, trovi nel tuo percorso un tema ricorrente?
AM. Di ricorrente trovo la voglia di dare vita a dialoghi impossibili, di far incontrare cose che non si incontrerebbero normalmente. Ad esempio nella serie c’è Achille Bonito Oliva che parla con Harry Styles. Quando mai Achille Bonito Oliva avrebbe potuto parlare con Harry Styles? La conversazione tra mondi impossibili resta una delle mie costanti. Anche con i vestiti creo conversazioni apparentemente folli tra il mondo del pop, Paperino per esempio, e le scarpe della professoressa. Harry fa musica pop e vive tra Londra e Los Angeles. Apparentemente non avrebbe nulla a che fare con uno che fa il critico d’arte. Quando comincio a lavorare, cerco sempre una cosa, un elemento che, entrando, mi aiuti a rompere, perché sennò questa conversazione tra vestiti, tra colori, è una noia. Che mondo sarebbe se non arrivasse qualcuno, a un certo punto, a mandare a quel paese tutto?
AB. Questa intervista verrà letta da un po’ di persone e quindi mi piacerebbe che la usassimo anche per dare spazio a qualcuno che magari di solito ne ha di meno. C’è una persona che hai incontrato negli ultimi anni o che già conoscevi che ci consigli di tenere d’occhio?
AM. Una sola è un po’ complicato, anche perché io mi circondo di persone che tengo d’occhio. Quando ho conosciuto Harry Styles, per esempio, lui veniva da una boy band, quanto di più banalizzante potesse esistere nel mondo del pop. Eppure io ho avvertito altro da subito, quando ho visto lui ho capito che esistevano uomini diversi, uomini che erano molto più in contatto con la loro parte femminile. Mi ricordo quando si è presentato, con questa aura un po’ da James Dean, una specie di Apollo, così britannico, con questa voce che sembrava un doppiatore, e che però mi parlava dei suoi vestiti, di come li conservava. Mi è sembrato da subito un animale stranissimo, mi ricordo di essere tornato in ufficio e aver pensato che avrebbe fatto cose esagerate. Mi è successo con tanti in questi anni; penso a Florence Welch, penso alla sera in cui ho conosciuto te e Jared Leto e via dicendo. Avete poi tutti fatto cose incredibili. La verità è che non solo sono delle persone note e hanno prodotto dal punto di vista creativo delle cose fantastiche, ma sono proprio le loro vite che si sono evolute in maniera incredibile.
AB. Se posso dirtelo, una delle cose più belle che hai è che chiacchieriamo da un’ora e hai sempre parlato degli altri, ti ho praticamente dovuto costringere a dire qualcosa di te.

AM. Per me gli altri sono fonte di vita. Io sono un grande ladrone, senza gli altri non esisto.
«Io ho un rapporto intimo e molto profondo con la bellezza, nel senso che l’ho dovuta cercare anche in posti dove apparentemente non c’era; il luogo dove sono cresciuto viene universalmente bollato come brutto»
AB. Ed è per questo che sei quello che sei e noi siamo molto fortunati, io in particolare. AB. Quindi ti voglio dire che ti voglio molto bene. Grazie per il tuo tempo, per il tuo talento, per la tua amicizia. Spero davvero il prima possibile di poterti abbracciare di nuovo molto forte.

AM. Anch’io ti dico due cose prima che ci lasciamo. Uno, che mi mancano i tuoi abbraccioni quelli forti forti, e poi che sto vedendo Suburra, sono alla terza puntata, lo guardo lentamente per paura che finisca troppo presto. Devo dire che è molto bello. È stata un’operazione grandiosa, perché non si è sgonfiato per niente, siete stati gli unici ad aver cotto di nuovo il ciambellone senza che si sgonfiasse. Credo sia difficilissimo.
AB. Lo è!

AM. Fantastico. Ti ho mandato quel messaggio quando ero sul set, perché era pieno di inglesi, e tutti erano contenti che il giorno dopo uscisse la nuova stagione di Suburra, si sono poi chiusi dentro al Grand Hotel, nelle camere, per vederlo. Mi hanno detto che il più grande regalo che potessi fare loro era portarli a cena con te, e anche con Benedetta Porcaroli, che pure Baby non sai come se lo vedono. Ma poi sai cos’è? Mi viene in mentre Chris Simmons, col suo studio in periferia a Londra, con tutte le riviste alternative, tutti quei fotografi che in pochi conoscono, la Londra quella lì underground dei produttori di immagini, quella che noi diciamo “succede solo a Londra”. Ebbene sì, questi stanno lì al chiodo a vedere Suburra, mi sembra una cosa bellissima.
AB. Sì, sembra quasi che in questo momento storico tutti parlino la stessa lingua, speriamo non sia solo una sensazione. Grazie amico mio, a presto.
https://www.rivistastudio.com/alessandro-michele-intervista/
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janiedean · 4 years
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su Twitter ho visto qualcuno suggerire di cercare Pinocchio-balilla e in effetti i fascisti hanno usato il personaggio per fare propaganda sui bambini, quindi il film potrebbe avere anche qualcosa di sensato. non so perché ma ora mi immagino questo film dal pov di Pinocchio balilla vivere le avventure scritte durante il ventennio. cmq un po’ mi scoccia che nessun italiano sia coinvolto nel progetto ma spero lo stesso venga bene e porti più consapevolezza su quegli anni
ah assolutamente! cioè che pinocchio fosse stato usato per fa la propaganda fascista se sa e se del toro si è documentato pure su quello ne sa di più della media dello studente liceale italiano ma quello è un altro discorso X°D comunque cioè per quanto mi riguarda il problema n’è tanto se hanno coinvolto italiani o meno o se è appropriato che uno non italiano fa i film ambientati durante il fascismo perché ok il discorso che le robe americane fanno imperialismo culturale ma di nuovo allora se seguiamo questo ragionamento ken parker doveva bruciare nel camino di berardi e milazzo negli anni ‘70 e wenders non poteva andare a fare i film in america negli anni ‘80, kurosawa non poteva fare dersu uzala e così via, non si può dire a prescindere che persona X non può toccare l’argomento Y se non gli pertiene se la persona X è capace e vuole fare il film o il romanzo sull’argomento Y nel momento che ci tiene ed è una cosa che fa non per soldi ma per arte o che ha un cazzo di visione dietro ecco
poi come dire io sono pure del campo che nel momento che hai un’idea valida che vuole passare un messaggio che implica adattare una storia che è stata adattata i triliardi di volte.... fallo? poi magari viene male ma sinceramente non mi piace molto sto concetto che Certe Opere Sono Così Sacre Che Non Si Toccano nel momento che ne capisci il valore - per dire me vieni a dire che dante è una fanfic ti rido in faccia, ma il famoso don giovanni che menzionavo in quella risposta... fondamentalmente era prendere un testo settecentesco che sembra su uno che seduce le donne ma nel momento che vedi esattamente la premessa e scavi sotto di base è tirare un dito medio allo status quo/alla società benpensante e traslarlo ad harlem a fine anni ‘80 con cantanti non bianchi a parte i tre personaggi originariamente ‘nobili’ e usarlo per fare un discorso politico coerente sulla situazione della gente emarginata/dei sex worker/degli eroinomani in quella specifica situazione mantenendo 100% lo spirito dell’originale anche se non c’era una cosa dell’ambientazione originaria che fosse rimasta. all’epoca se ti cerchi le recensioni era pieno di gente che stava a urlare al vilipendio che OMG COME OSI MASSACRARE COSI’ LA SACRA OPERA ma per me non era un vilipendio manco per un cazzo perché se uno americano vede in un’opera scritta da un italiano e da un austriaco nel ‘700 un messaggio che può relazionare diversamente usando il suo linguaggio... perché no? le opere d’arte/le storie campano nei secoli anche perché la gente se le sa reinventare (never forget che tutta la letteratura occidentale sta in iliade e odissea di base), se non si lascia fare adattamenti alla gente diventano delle mummie e che te ne fai? se non ti piace l’adattamento cambiato ti leggi l’originale/ti vedi l’adattamento classico/fedele al materiale originale e bona nessuno ti blocca, ma secondo me è deleterio dire che una roba è troppo sul piedistallo o che per essere adattata cambiando il setting finché è una roba fatta con concezione di quello che si scrive e con un’idea dietro... che tbh me sembra sia quello che sta a fa del toro.
nel senso che se questo sono anni che vuole fare pinocchio nel pre-ventennio (che admittedly se trasli l’intera storia in un paese sull’orlo della caduta nella dittatura ci sono infinite possibilità di farne un ottimo lavoro never mind che per me pinocchio era tipo la favola più ansiogena che abbia letto in vita mia quindi come dì... I SEE HIS POINT) evidentemente si è ben documentato e ha un’idea precisa in testa di quello che vuole e non sta a raffazzonare una cosa senza né capo né coda e again non è michael bay o il primo americano scemo di turno...... quindi personalmente sono assolutamente pro farglielo fare, poi ovvio che se coinvolgeva italiani era meglio ma magari si prenderà i sensitivity reader o magari s’è già consultato con degli storici che ne sappiamo, poi se fa cagare pace ma decidere che non è il caso basandosi sugli elementi che abbiamo ora mi sembra abbastanza ridicolo tbh. /shrug 
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giulia-liddell · 4 years
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Matchmaking
Parole: 2985 (holy shit!)
No beta, we die like men
Fandom: Sanremo RPF
Ship: Amadello/Amarello, background Bossille/Domille, background Lamborketa/Kelettra, background Morgan/Bugo (???)
Avvertimenti: sviluppo confuso, i tecnici di Sanremo hanno bisogno di un abbraccio e di un salario più alto, angst (???Not really???), Tiziano Ferro commette un sequestro di persona (ma gli vogliamo bene lo stesso)
Note autore: Eh, non so neache che dire. Ho avuto due crisi esistenziali mentre scrivevo. Ho aggiunto un taglio perché è venuta il doppio più lunga del solito
Un paio di occhi così dovrebbero essere illegali. Seriamente. Uno è lì che cerca di fare il suo lavoro e poi incrocia lo sguardo di un amico e perde completamente il filo. Come fai a guardare un paio di occhi così e non restare incantato? Amadeus se lo chiede spesso, anzi, se lo chiede ogni maledetta sera che deve lavorare con Fiore. Perché lui è lì che fa il suo show e continua ad avere quello sguardo così magnetico come se fosse giusto andare in giro a far perdere la testa a tutti. Non è per niente giusto. Sì, non è per niente giusto, ma Amadeus deve ammettere che non c’è tortura più dolce.
Andare in crisi per un sorriso non è per niente divertente. Soprattutto se la persona a cui appartiene il sorriso in questione ha la tendenza a sorridere spesso. Cosa crede? Che sia giusto andare in giro a dispensare sorrisi così, come se non rischiasse di fermare il cuore di qualcuno mentre lo fa? Fiorello pensa che prima della fine del Festival Amadeus gli farà venire un infarto. Però non può fare a meno di voler vedere quel sorriso che lo manda così tanto in confusione: è come una droga, ne vuole sempre di più e fa di tutto per ottenerne ancora.
Amadeus crede che se continua così rischia di rendersi ridicolo davanti a tutto il paese. Tecnicamente è già successo con tutti i suoi sciv- le sue gaffe… Ma è meglio non pensarci. Ogni volta che si trova sul palco con Fiore non può fare a meno di prestargli ogni briciola della sua attenzione. Condurre non è più importante, tutto passa in secondo piano, tutto sparisce quando c’è Fiore con lui. Amadeus è quasi certo che sia diventato evidente. Insomma quando vedi qualcuno che non riesce a staccare gli occhi di dosso a qualcun altro e che sorride ogni volta che l’altro respira, qualche dubbio che ci sia qualcosa sotto ti viene… E così è per Amadeus.
Fiorello crede che forse il tutto stia diventando un po’ troppo ovvio. Ecco diciamo che leccarsi le labbra con lo sguardo assorto quando ascolti qualcuno parlare potrebbe essere un indizio significativo… Ma Amadeus sembra non aver notato nulla. Fiorello ogni volta che sale sul palco è più concentrato a fare una performance per Ama che per il pubblico e lui manco se ne rende conto. Lui…. Tutti gli altri forse sì… Arriva un punto in cui non puoi non renderti conto che uno non riesce a staccare gli occhi di dosso a qualcun altro e che fa di tutto per attirare costantemente la loro attenzione. Insomma qualcuno guardando come si comporta Fiorello se ne sarà accorto.
Il mio lavoro fa schifo. È quello che pensano più o meno tutti i tecnici del backstage di Sanremo. I membri dell’orchestra sono gli unici che li capiscono: anche loro lavorano il triplo di tutti gli altri, anche loro vengono pagati una miseria e anche loro non se li fila nessuno. E poi ammettiamolo senza i tecnici e senza l’orchestra il Festival non esisterebbe proprio. Ma nessuno ci pensa mai a queste cose, no? Chi se ne frega dei poveri tecnici che devono correre da una parte all’altra e far funzionare tutta la baracca? Chi se ne frega dei poveri tecnici che devono setacciare ogni angolo del teatro per trovare un cantante scomparso, che alla fine si scopre essere sempre stato sotto il loro naso?  Chi se ne frega dei poveri tecnici che devono sopportare un incrocio di coppie che si fa gli occhi dolci ogni minuto della serata manco fossero ragazzini alla prima cotta? Insomma, va bene Diodato e Levante, lo capiscono; va bene Achille Lauro e Boss Doms, sono fantastici; va bene Elettra Lamborghini e Myss Keta, sono meravigliose; va bene perfino Morgan e Bugo, per quanto strana possa essere come relazione; ma ci si devono mettere davvero anche i conduttori adesso? Non è già abbastanza difficile questo lavoro? Tutti i tecnici sanno che non arriveranno alla fine del Festival con la loro sanità mentale intatta se non risolvono la situazione. Sono arrivati al punto di riconsiderare l’idea dell’orgia proposta da Beningni: è così grave.
In tutto il caos che sta accadendo a Sanremo l’unico che, in un qualche modo, è riuscito a non farsi coinvolgere da niente è stato Tiziano Ferro. Se si esclude il bacio con Fiorello… Ma per fortuna Vic si è solo fatto delle grasse risate e ha continuato a mandargli meme fatti con la sua reazione. Proprio quando uno pensa di non poter essere più fortunato si ritrova un marito così. In ogni caso, Tiziano si è ripreso dallo shock e dal terrore di dover affrontare una crisi coniugale e adesso ha tutto il tempo per concentrarsi sugli sviluppi del Festival. Ha sempre abbastanza tempo da ammazzare tra una sua performance e l’altra, il che gli dà l’occasione di osservare i complicati balletti e rituali delle varie coppie di questo Sanremo. Gli ricorda di quando ha conosciuto suo marito e un po’ lo fa sorridere, ma principalmente lo fa esasperare. Boss Doms ed Achille Lauro non hanno certo bisogno di farsi dire niente da nessuno, Elettra Lamborghini e Keta poco prima della fine del Festival hanno risolto da sole la loro tensione, invece Morgan e Bugo… Qualcosa hanno fatto, ma non è ben chiaro cosa esattamente… Tiziano ha fatto qualche scommessa con l’orchestra e sono in attesa che qualche tecnico trovi le prove per capire chi ha vinto. Molti sospettano che ancora nessuno si sia fatto avanti perché troppo traumatizzato dagli eventi di cui è stato involontariamente testimone per parlare. Conoscendo Morgan e considerando la Grande Fuga di Bugo e la sua successiva misteriosa scomparsa, è altamente probabile…
Il problema però rimane: è come un sassolino nella scarpa e Tiziano non lo sopporta più. Tutti hanno risolto. Tutti. Tranne Amadeus e Fiorello. Loro no. Loro perseverano nella totale inconsapevolezza della loro situazione. Vic gli ha mandato un’immagine che riassume abbastanza la situazione: “You look at him and see the stars and he looks at you and sees the sun and you both think the other is just looking at the ground”. Tiziano ha considerato di fare uno striscione con quella frase e appenderlo sopra il palco dell’Ariston, pensando che potrebbe essere l’unico modo per far passare il messaggio. Ma no, la sorte non ha voluto questo… La sorte gli ha offerto una soluzione meno diretta, ma probabilmente più elegante e che non coinvolge direttamente tutti poveri spettatori di Sanremo.
I fatti sono questi: la quarta sera è stata… Caotica. Va bene, tutto il festival è stato caotico, ma la quarta sera in particolare Amadeus e Fiorello erano fuori controllo. Ogni due secondi li potevi vedere o che si guardavano con gli occhi a cuoricino o che ridevano come degli scemi o che arrossivano come delle ragazzine alla prima cotta. Soprattutto Amadeus. Santo cielo, quell’uomo deve imparare a controllarsi un po’. Vederlo nel backstage mentre Fiorello canta “Quando quando quando” è la goccia che fa traboccare il vaso: Tiziano guarda quella faccia di completa adorazione e pensa “se non fanno qualcosa non mi resta che ammazzarli entrambi, santo cielo”. Ed è in quel momento che la sorte mette sulla strada di Tiziano Ferro i tecnici del backstage di Sanremo. Passano accanto a lui per trasportare dell’attrezzatura e si lamentano a bassa voce «Vorrei che mi avessero detto che parte del lavoro consisteva nel sopportare gente che si scambia sguardi languidi, avrei rifiutato.» dice uno, e il compare subito risponde «Certo, ma onestamente sono solo quei due cretini che non si sono resi conto di niente… Magari se si chiudessero da qualche parte, o che so io, riuscirebbero finalmente a smettere di comportarsi da scolaretti e ricordarsi che sono uomini grandi e vaccinati?». Il primo tecnico scuote la testa «Credo che neanche un segnale divino li possa aiutare, sono un caso disperato.».
Una lampadina si illumina sulla testa di Tiziano. Una malsana idea inizia a formarsi nella sua testa. Dovrebbe sentirsi in colpa, ma onestamente è arrivato ad un livello di disperazione in cui sentirsi in colpa è impossibile. Fiorello ed Amadeus dovrebbero sentirsi in colpa per averlo ridotto così, altro che. Lui sta solo risolvendo la situazione. E i tecnici del backstage saranno i suoi prodi cavalieri in questa missione.
L’esibizione di Tiziano Ferro l’ultima sera è sufficientemente lunga per permettere di mettere in atto il suo piano. Dopo essersi assicurato che i tecnici siano pronti per la loro parte, il cantante sale sul palco soddisfatto. Che cominci lo show.
Nel backstage Amadeus e Fiorello vengono avvicinati da un tecnico «Mi scusi, ci sarebbe un problema la scaletta, dovrebbe venire a controllare che sia tutto a posto.» annuncia direttamente al conduttore. «Certo, certo. Vengo subito.» risponde Amadeus affrettandosi a seguire il tecnico e Fiorello aggiunge «Vengo anche io o questo è capace di farsi venire un infarto per un errore di battitura…». Il tecnico li guida in uno stanzino per gli attrezzi, con casse di microfoni di scorta ed un tavolo pieno di documenti vari ed eventuali. Quando si fermano davanti alla porta il tecnico fa un passo di lato per lasciarli entrare e chiude la porta dietro di loro.
Amadeus è subito nel panico. Inizia a bussare contro la porta ed a pregare il tecnico di aprire. Fiorello cerca di trattenerlo, ma con scarsi risultati «Ama, non credo che servirà a molto prendere a calci la porta… Adesso ci apriranno… Non c’è motivo di agitarsi…» Fiorello guarda il conduttore con aria preoccupata e gli accarezza le spalle. Amadeus si volta verso di lui e subito si sente più calmo «Hai ragione…» risponde sottovoce e poi alza il tono per parlare con il tecnico dall’altra parte della porta «Ehi, riesci ad aprire la porta?» chiede. «Mi dispiace, ordini del signor Ferro… Vi aprirò finita la sua esibizione… Intanto, c’è una radio per ascoltare l’audio dal palco… Vi consiglio di alzare il volume.» dice il tecnico prima di allontanarsi.
Fiorello ed Amadeus si girano contemporaneamente verso la radio che giace sul tavolino. Il conduttore è incerto per un momento, ma Fiore afferra subito l’apparecchio ed alza il volume, poi lo riappoggia sul tavolo e ci si siede sopra. La voce di Tiziano Ferro, leggermente distorta dalla radio, riempie lo stanzino. “A quarant’anni so che nessuno può vedere quanto è bello l’amore se non condividi il tuo sorriso da innamorato. Ci ho messo quarant’anni ma adesso so che il brutto tempo non esiste. È tutto un susseguirsi di stagioni…” Amadeus e Fiorello ascoltano in silenzio, improvvisamente rapiti dal discorso. La voce piena di emozione con cui Tiziano sta parlando è qualcosa di incantevole. Si rendono conto immediatamente che non è un semplice monologo. Non è qualche argomento scelto a caso. Sta parlando della sua esperienza, soprattutto della sua esperienza come uomo omosessuale e del suo matrimonio. Fiorello trattiene un sussulto e Amadeus resta con la bocca aperta a fissare un punto nel vuoto. “Dio non commette errori e non credo abbia iniziato il 21 febbraio 1980. Non sono sbagliato, nessuno lo è. Non accetto speculazioni sul tema”.
«Senti com’è felice…» si lascia sfuggire Amadeus alla fine, l’ansia ed il fastidio per essere stato rinchiuso contro la sua volontà ormai scomparsi. Fiorello annuisce debolmente «Sì, ma… Perché?» chiede più a sé stesso che al conduttore. Amadeus alzo lo sguardo confuso «Perché cosa?» e Fiorello gesticola verso la radio e poi verso le pareti della stanza «Perché tutto questo? Insomma, potevamo benissimo ascoltare il discorso da dietro le quinte… Non c’era bisogn- Oh. OH. Oh no.» Fiorello, che di solito ha una parlantina che non finisce più, si blocca di colpo e si tappa la bocca con una mano mentre sgrana gli occhi. Amadeus torna subito in allarme «Cosa? Cosa c’è?» chiede mentre una serie di scenari catastrofici gli passano per la testa. Fiorello scuote la testa e continua a cantilenare «No, no, no… Assolutamente no…» Amadeus cerca di incrociare il suo sguardo ma lui continua ad evitarlo.
«Ciuri, non capisco… Qual è il problema?» chiede ancora il conduttore e Fiorello risponde con voce soffocata «So perché Tiziano ci ha fatto questo scherzo ed è crudele.» dice serio, più serio di quanto Amadeus l’abbia mai visto. Fiorello si chiede come faccia Amadeus a non aver ancora capito… forse non si è reso conto del modo in cui lui lo guarda? Fiorello gli è davvero così indifferente dal punto di vista romantico che non riesce neanche a capire quando qualcuno vuole spingerlo verso di lui?
«Crudele? Tiziano? Non mi sembra… Voleva che ascoltassimo il suo discorso e ci ha… Rinchiuso… In uno stanzino… Da soli…» la voce di Amadeus si abbassa sempre di più man mano che il suo cervello riesce ad elaborare la situazione e capire cosa sta succedendo. Subito la sua espressione cambia: non più panico, non più calma, solo una faccia afflitta. «Adesso hai capito, eh?» dice Fiorello con un tono abbattuto, anche lui sembra improvvisamente colpito da un’ondata di tristezza. Amadeus resta in silenzio per qualche secondo troppo sovracaricato da quello che sta succedendo. Chiaramente Fiorello è infastidito. Ha capito che Tiziano voleva spingere Amadeus a confessare i suoi sentimenti e adesso non lo riesce neanche a guardare in faccia. Sente di star perdendo il suo migliore amico e si sente morire.
Amadeus abbassa la testa e inizia sfregarsi le mani sulle gambe «Io…» comincia con voce rauca «Io… Capisco che non sia una situazione ideale… E mi dispiace per averti messo in questa posizione e non sapevo che Tiziano avesse in testa di fare questa cosa… Gli avrei detto di no se lo avessi saputo, non è giusto metterti in una situazione simile, mi dispiace tanto Ciu- Rosario.» la voce del conduttore trema leggermente e minaccia di spezzarsi alla fine. Fiorello scuote la testa e alza lo sguardo verso il soffitto «No, no… Non devi scusarti… Non è colpa tua, è colpa mia… Se non fosse per me non ci avrebbe fatto questo scherzo… Insomma capisco che devi sentirti a disagio… Io… Non volevo davvero… Spero che tu possa ancora considerarmi tuo amico, nonostante questo… Incidente.»
Amadeus ricaccia le lacrime che minacciano di scendere «Io… Temevo che tu non riuscissi più a considerarmi un amico… Io voglio conservare la nostra amicizia… Se tu lo vuoi… Sono felice di sapere che anche se i miei sentimenti per te sono diversi, tu riesca comunque a considerarmi tuo amico…» Fiorello si volta di scatto verso il suo amico e lo guarda dritto negli occhi «Aspetta, cosa? Cosa hai detto? Sentimenti per me? Di cosa stai parlando?» parla quasi troppo velocemente perché il conduttore riesca a capire, improvvisamente ravvivato dalle sue parole. Amadeus lo guarda confuso «Sì… Il motivo per cui Tiziano ci ha rinchiusi qui e ci ha fatto ascoltare il discorso e tutto quanto… Voleva che confessassi i miei sentimenti per t- OMMIODDIO, non dirmi che non avevi capito! Oh no! OH no, no, no, no, no… Dimentica quello che ho detto, ti prego. Davvero diment-» il discorso insensato dettato dal panico di Amadeus viene interrotto all’improvviso dalle labbra di Fiorello che si poggiano sulle sue.
L’intero corpo di Amadeus va in tilt: il suo cuore si ferma per un momento, smette di respirare e tutti i suoi muscoli si irrigidiscono subito prima di rilassarsi improvvisamente. Amadeus vorrebbe capire cosa sta succedendo e perché, ma in quel momento nemmeno il panico può impedirgli di godersi l’attimo. Rosario Fiorello, il suo Ciuri, lo sta baciando. Non c’è niente per lui che importi più di questo al mondo. Fiorello accarezza una delle guance di Amadeus con una mano e lo tira più vicino. Amadeus vorrebbe che questo momento non finisse mai. Le labbra di Fiorello sono calde, le sue lo accarezzano con dolcezza e il suo profumo è inebriante.
Fiorello si allontana, sorride ed appoggia la fronte contro quella di Amadeus senza dire niente. «Io… Fiore… Non ho…» il conduttore cerca di parlare, ma non riesce a dire due parole di fila senza ridacchiare. Fiorello gli accarezza la faccia «Credevo che Tiziano avesse architettato tutto questo per costringere me a confessare i miei sentimenti… E quando hai capito e ho visto la tua reazione ho creduto che mi stessi rifiutando… E… Poi hai detto che avevi frainteso… E… Non ho saputo trattenermi…» Fiorello sta guardando Amadeus con la stessa adorazione negli occhi di tutte le altre sere del Festival e il conduttore finalmente la riconosce per quello che è: la dimostrazione del suo amore. «Non ci credo… Siamo davvero due minchioni.» commenta e Fiorello ride «Non avrei saputo dirlo meglio.» si avvicina per baciare Amadeus di nuovo, ma lui scatta un passo indietro «Io ho ancora un Festival da presentare!» e proprio mentre sta finendo la frase la porta viene aperta da un Tiziano Ferro che sorride soddisfatto.
Amadeus si fionda fuori dallo stanzino per raggiungere il palco, ma fa quasi subito marcia indietro per dare velocemente un bacio a Fiorello e poi scappa di nuovo. Da un angolo del backstage si sente arrivare un “Hallelujah” e Tiziano ridacchia. «Ce l’avete fatta.» commenta osservando l’espressione beata sulla faccia di Fiorello «Sì…» dice con tono sognante prima di diventare improvvisamente serio «Ma tu la pagherai cara, lo sai?» Tiziano annuisce continuando a sorridere «Certo, lo so»
Un tecnico si avvicina al cantante e gli allunga una banconota da dieci euro «Fabio ha confessato di aver visto… Ha vinto lei. Non so se sia un bene o un male onestamente.» dice l'uomo con la faccia di uno che ha visto un fantasma «Dopo aver sentito cosa aveva da dire, ho capito perché non ha confessato prima… Come fai a…?» il tecnico non finisce la frase e si allontana facendo un gesto di saluto mentre Tiziano lo ringrazia. Fiorello guarda il cantante con aria confusa ed alza un sopracciglio per chiedere silenziosamente delle spiegazioni. Tiziano lo liquida con un gesto della mano «Ti spiego dopo, è una storia lunga.»
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florautieri · 4 years
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È tempo di rompere le abitudini che ti hanno bloccato finora. Rispetta te stesso abbastanza da lasciar andare la mentalità e le routine che consumano quotidianamente le tue energie.
1. Fingere che tutto vada bene.
Ti senti sopraffatto? Senti di voler lasciar perdere tutto? Non c’è nulla di cui vergognarti in questo. Non sei un robot perfetto e impeccabile in ogni circostanza. Non c’è niente di male ad ammettere a te stesso che ti senti esausto, dubbioso o giù di tono, poiché anche questo è un aspetto naturale dell’essere umano. Il semplice fatto di esserne consapevole, rappresenta l’aspetto decisivo per poi iniziare a cambiare le cose.
Va bene ogni tanto sentirsi un po’ a pezzi. Non devi sempre far finta di essere forte e non c’è bisogno di dimostrare costantemente che tutto sta andando per il meglio. Non dovresti, inoltre, essere interessato a ciò che gli altri pensano di te. Se quindi per te è il momento di versare qualche lacrima, fallo. Prima lo farai e prima sarai in grado di tornare nuovamente a sorridere.
2. Lasciare che il dolore del passato devasti il tuo presente.
Se oggi ti senti più forte è anche grazie ai momenti duri che hai attraversato, agli errori che hai commesso e alle sfide ardue che hai affrontato. Se oggi sei più felice è anche perché hai conosciuto la tristezza. Ogni conversazione difficile che hai sostenuto contiene un insegnamento prezioso. Ogni sfida che hai affrontato contiene un’opportunità per una più profonda auto-riflessione sulle tue azioni.
Ogni irritazione, dolore, frustrazione, delusione o momento di paura rappresentano una lezione di vita. Ricorda, nulla è così male come sembra. C’è una benedizione nascosta nelle pieghe di quasi ogni esperienza e risultato. Quindi non rinunciare oggi a qualcosa solo perché ieri ti appariva in un certo modo. Ogni giorno è un nuovo giorno per riprovare.
3. Credere che i giorni migliori siano davanti a te o dietro di te.
Molti di noi trascorrono tutta la propria esistenza come se fossero intrappolati in un labirinto, pensando a come sfuggirne un giorno, e a quanto incredibile sarebbe la libertà, sognando un futuro felice che però spesso non riescono a realizzare, e che non arriva mai. Troppo spesso usiamo il futuro per sfuggire al presente. Questo è precisamente ciò che rende molti di noi stressati e infelici. Inoltre, anche l’ossessione per il passato produce le medesime dinamiche e gli stessi risultati.
Quello che dovresti iniziare ad accettare è che ieri e domani non esistono, e che è invece oggi, proprio ora, il momento giusto per amare, ridere, agire e vivere con coraggio. Questo è il momento preciso a cui devi dedicare la tua attenzione esclusiva, l’unico momento in cui puoi essere veramente vivo.
4. Pensare che le tempeste della vita non ti abbiano reso una persona migliore.
I tempi duri sono come delle tempeste furiose che soffiano contro di te. Ma queste tempeste non si limitano a impedirti di muoverti verso la direzione che vorresti seguire. Queste tempeste ti consentono anche di far emergere le parti più forti e coraggiose del tuo io, ti consentono di rivelarti per la persona che sei veramente. E questa è una grande cosa.
Oggi può forse sembrarti qualcosa di impensabile, ma un giorno ti guarderai indietro e una parte di te sarà grata e riconoscente per tutte le intemperie che hai dovuto affrontare. Per molti di noi, sono proprio le tempeste della vita che hanno fatto emergere la nostra compassione, la nostra gentilezza, la nostra dolcezza e delicatezza, che altrimenti forse non avremmo mai conosciuto. Così ora possiamo donare anche agli altri queste nostre qualità, poiché esse sono ormai dentro di noi e parte di noi.
5. Resistere al cambiamento.
Dovresti regolarmente confrontarti con te stesso e domandarti: “sto facendo ciò che è in mio potere per stare bene? Oppure sto cercando di scappare dai cambiamenti che l’esistenza mi propone?“. Prendi consapevolezza del fatto che nei processi di crescita non ci si sente sempre bene e a proprio agio, tutt’altro. Il vero indicatore del fatto che stai crescendo come persona è il sentirti, almeno inizialmente, a disagio, in difficoltà o fuori luogo.
Non evitare il disagio, non evitare il cambiamento, abbi piuttosto il coraggio di abbracciarli. Canalizza la tua energia verso il processo di crescita. Ogni crescita ha “inizio” alla “fine” della tua zona di comfort. Quando ti senti a disagio, sii consapevole che il cambiamento in atto nella tua vita è un inizio, non una fine.
6. Preoccuparti e preoccuparti… senza mai agire.
La preoccupazione è il più grande nemico del momento presente. La preoccupazione non fa altro che rubare la tua gioia, e tenerti molto occupato a non fare assolutamente nulla. E’ come usare la tua immaginazione per creare cose che non vuoi. Rompi questa abitudine negativa!
Fai uno sforzo. E’ molto meglio essere stanchi per la fatica di contrastare questa brutta abitudine, piuttosto che essere stanchi per la continua preoccupazione. Non sprecare le tue energie evitando lo sforzo. Oggi, chiediti che cosa è veramente importante per te e quindi prendi il coraggio di costruire la tua giornata in base alla risposta che ti sei dato.
7. Sacrificare tutto te stesso per gli altri.
Non eccedere nel sacrificare tutto te stesso, perché poi rimarrà ben poco da donare agli altri,inclusi coloro a cui vuoi davvero bene. Ogni volta che ti senti soffocare, tieni a mente le avvertenze che ci vengono ricordate ogni volta che saliamo su un aereo: “…non dimenticare di aver cura della tua maschera di ossigeno prima di prenderti cura degli altri”. Prenderti cura di te non ti rende egoista, al contrario, fa di te una persona altruista. In realtà, è la forma più vera di altruismo che si possa sperimentare. Infatti, soltanto attraverso un’attenta cura di sé è poi possibile prendersi cura degli altri.
Per poter costruire e mantenere delle relazioni davvero intense e significative con le persone che ti circondano, è necessario innanzitutto che tu impari ad essere il migliore amico di te stesso. Abbi amore per te stesso e poi condividi il tuo amore con le persone a cui tieni, piuttosto che andare alla ricerca di amore per compensare un deficit di amor proprio.
8. Prendere tutto sul personale.
Si riesce a guadagnare una quantità enorme di libertà, quando si incomincia a non prendere le cose sul personale, e ad aver consapevolezza del fatto che raramente le persone fanno qualcosa per farti un torto o un dispetto. Le persone quando fanno qualcosa, la fanno pensando a se stessi. Così, anche quando sembra che ti stiano colpendo intenzionalmente sul piano personale, probabilmente non è così. Ricordalo.
E quando ti capita di sentirti arrabbiato, con il cuore spezzato o vittima di un’ingiustizia da parte di qualcun altro, prova a cercare dentro di te un seme di morbidezza, un posto nel tuo io più profondo, da dove comprendere quanto dolore sta provando quella persona che ora ti offende, quali sofferenze abbia attraversando la sua anima e come deve essersi indurito il suo cuore per comportarsi in tal modo.
9. Lasciare che i pensieri negativi prendano il meglio di te.
Non credere a tutto quello che senti o provi e questo vale anche per il chiacchiericcio nella tua mente. Scegli di autocommiserarti e troverai una montagna di motivi per essere infelice. Scegli di essere felice e troverai una montagna di motivi per gioire.
Parlare dei nostri problemi, enfatizzandoli e rimarcandoli, è la nostra più grande dipendenza. Rompi questa abitudine negativa. Parla invece delle tue gioie, dei tuoi amori, dei tuoi sogni. Impara ad essere scandalosamente e irragionevolmente positivo. Impara ad essere divertente, creativo, ridicolo e gioioso allo stesso tempo.Tutto questo ti farà sentire meglio.
10. Rifiutare di lasciarti andare… di aprirti alla vita.
Per raggiungere la vera felicità ci vuole coraggio. Sto parlando del coraggio di mostrarti vulnerabile, di farti conoscere per ciò che sei, con i tuoi difetti e i tuoi limiti.Sto parlando del coraggio di esprimere le tue idee e i tuoi sentimenti, senza timore di fare brutte figure o essere giudicato dagli altri. Non è facile spingersi oltre la propria zona di comfort, scavare sempre più in profondità nel nucleo del proprio io più autentico. Accetta anche le parti più imperfette di te e non temere di esporle agli altri.
Devi essere disposto a liberarti dal pensiero comune di dover necessariamente apparire “un grande” per poter piacere agli altri. In sostanza, smetti di preoccuparti così tanto di ciò che gli altri pensano di te. Prendi posizione, fai una scelta coraggiosa: sii semplicemente te stesso!Accantona il pensiero di dover piacere “per forza” a tutti, e dì forte il tuo “sì” al momento presente; scegli di amare, di aprirti – rischiando anche di essere ferito – e di esprimere te stesso senza maschere o trucchi.
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