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#neorealismo americano
lospeakerscorner · 6 months
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Hopper. Una storia d’amore americana
Arriverà nelle sale solo il 9 e 10 aprile il nuovo appuntamento di La Grande Arte al Cinema dedicato questa volta a Hopper, il film evento su uno dei simboli dell’arte statunitense  Quella di Hopper è un’America popolare, silenziosa e misteriosa, capace di influenzare pittori neorealisti americani come Rothko e Banksy, cineasti come Alfred Hitchcock e David Lynch, ma anche fotografi e musicisti.…
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angelariasdominguez · 9 months
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§ 3.217. El vengador del sur (Mario Siciliano, 1969)
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No tiene buena pinta, no tiene buena nota y no parece ese tipo de cintas escondidas que se revelan como un pequeño tesoro, las 'el cofre del pirata' las llaman en los Cowboys de medianoche, especialmente el Fiscal Torres Dulce.
Las ideas centrales del Spaguetti Western son interesantes: adatar la estática del Western americano a unos paisajes y códigos de conducta europeos. No parece que la forma de rodar sea diferente, no pretende ser un neorealismo, ni siquiera la exposición de problema europeos más canónicos -los celos, el desamor, el viaje, la introspección, etc.- frente a los más prosáicos americanos -la venganza, el deshonor, la tierra, el caballo, etc.- Porque en estas cintas, principalmente italianas aunque también hay 'españoladas', los temas son similares a las del Oeste americano. Sí creo que hay dos diferencias notables. En primer lugar, la música, recurrente e histriónica en muchas ocasiones, manejada en los momentos de paso, de camino de un sitio a otro -a caballo, en tren- y para cambiar los escenarios. Y, en segundo lugar, la falta de identidad de los personajes. La idea del gran Western camina en la forja de hombre muy hechos, característicos, fuertes, con valores o identidades bien reconocibles. En las europeas funciona más la trama en su conjunto, que es el centro del discurso. No tiene interés en destacar esas personalidades tan definidas, tan sublimes, tan ejemplares. Funciona más como discurso coral. 
En todo caso esta cinta no es de las mejores del género. Ni mucho menos. Tiene un 'ratito', sin más. Buen color, interesante trama de venganza, mucho banjo y armónica, algún caballo y poco más. Realmente tiene que verla desde su perspectiva, porque si las ves desde otras no te satisface lo más mínimo.
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Il mito di Anna Magnani: incarnò la forza delle donne
Emblema del neorealismo, fu la prima italiana a vincere l’Oscar nel ‘56 come migliore attrice protagonista in un film americano “La rosa tatuata”. Il ricordo della Rai a 50 anni dalla mortesource
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lamilanomagazine · 2 years
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Martin Scorsese compie 80 anni: il più italiano del cinema americano
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Martin Scorsese compie 80 anni: il più italiano del cinema americano. Martin Scorsese, il più italiano dei registi americani, oggi compie 80 anni. Quando si pensa alla new York profonda, pulsante, atavica ed inquietante, non si può non prendere in considerazione il cinema di Scorsese. Nasce a Flushing il 17 novembre del 1942, figlio di Luciano Scorsese, impiegato presso una lavanderia e di Catherine Cappa, una sarta, originari entrambi del Lower East Side (Manhattan). I nonni del regista erano di Palermo, immigrati nel Queens. È stato 14 volte candidato all’Oscar, vincitore per The Departed (2007) e Leone d’Oro alla carriera nel 1995. La sua storia è estremamente incoraggiante, il percorso artistico inizia con delle difficoltà, a causa delle sue condizioni economiche poco abbienti, tali, da non consentirgli nemmeno l’acquisto di una macchina da presa; ma, Martin Scorsese, non si arrende e decide di far fede alla creatività, disegnando scene di sua fantasia. L’alba della sua carriera si concretizza con la scoperta della Nouvelle Vague francese, che lo illumina in merito alla facilità di narrazione della vita, ed ancora, con il suo avvicinamento al neorealismo, appassionandosi ai film di John Ford. Grazie ad una borsa di studio vinta all’Università, riesce a girare i suoi primi cortometraggi e nel 1967 debutta con: “chi sta bussando alla mia porta”, girato in 16mm. Ad oggi, il premio Oscar, viene osannato soprattutto per determinati film-culto che possono considerarsi dei veri e propri capolavori del cinema, tra questi Taxi Driver e Toro Scatenato. I festeggiamenti dell’ottantesimo compleanno si celebreranno in grande stile, presso Casa Cipriani a New York. Tra gli invitati non potrà mancare l’attore Leonardo Di Caprio, con il quale, Scorsese, ha stresso un sodalizio prolifico e duraturo con “The Aviator”. Un legame che ha sugellato una serie di opere memorabili come The Departed (2006) e Shutter Island (2010). Il regista dopo tanti anni ancora non molla, tanto da aver annunciato, proprio qualche mese fa, l’uscita del suo nuovo lungometraggio nel 2023 intitolato: “Killers of the Flower Moon”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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pizzettauniversale · 3 years
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Buonasera pizzetta!
Vorrei chiederti un consiglio, se non disturbo!
Ti andrebbe di consigliarmi qualche bel film tra gli anni '60' 70 e '80??
Qualche sera fa ho dovuto guardare Repulsion per l'università e mi è venuta una gran voglia di recuperare qualche vecchio film ma non saprei giostrarmi tra quegli anni, probabilmente tu ne sai molto di più!
Ti auguro una bella serata!
Allora partiamo dagli anni ‘60 e dall’Italia, è passato il neorealismo e inizia una grande stagione per il cinema italiano e Alberto Moravia nella sua critica cinematografica individua tre grandi registi che hanno una maniera di fare cinema nuova: Pasolini, Fellini e Antonioni. Sono gli anni del cinema di autore e di grandi capolavori come Accattone, Mamma Roma e il Vangelo Secondo Matteo di Pasolini. C’è Fellini che, sempre citando Moravia, parla addirittura di due Fellini quello di Roma dei vizi e gli stravizi e quello dell’Emilia Romagna dolce, materno e abbiamo film quali La dolce vita, 8 1/2, Giulietta degli spiriti e per gli anni ‘70 Roma, Amarcord, La città delle donne. Michelangelo Antonioni, quasi il più internazionale dei tre, che parla di noia, di incomunicabilità, di un non arrivare mai a un punto e abbiamo la sua trilogia dell’incomunicabilità con L’avventura, La notte e L’eclisse e se ci mettiamo pure Deserto Rosso parliamo della tetralogia esistenziale e Blow-up. Possiamo citare il provocatorio Marco Ferreri con Dillinger è morto e negli anni ‘70 con La grande abbuffata. Marco Bellocchio con I pugni in tasca. Abbiamo Bernardo Bertolucci e il suo studio antropologico e due film che amo particolarmente sono La commare secca e Prima della rivoluzione. Ovviamente tutta la parte della Commedia all’italiana e quindi il boom economico dell’Italia con Divorzio all’italiana di Pietro Germi, I soliti ignoti di Mario Monicelli, Il sorpasso di Dino Risi e una delle mie registe più amate Lina Wertmuller che negli anni ‘70 ha sfornato cose come Mimì metallurgico ferito nell’onore, Film d'amore e d'anarchia - Ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..., Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto, Pasqualino Settebellezze. Nello stesso periodo abbiamo anche i cosiddetti spaghetti western quindi Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo e infine il capolavoro in assoluto C’era una volta il west tutti di Sergio Leone. Luchino Visconti con Il gattopardo 
Sul finire degli anni Cinquanta invece in Francia si affaccia la Nouvelle Vague e abbiamo Fino all’ultimo respiro, Il disprezzo, Il bandito delle 11, Vivre sa vie di Jean-Luc Godard, Hiroshima mon amour di Alain Resnais, I quattrocento colpi di François Truffaut, Cleo dalle 5 alle 7 di Agnès Varda.
C’è Il laureato di Mike Nichols, Persona di Ingmar Berman, Gli uccelli e Psycho di Hitchcock. 
Andiamo negli anni ‘70 che il viaggio è lungo e iniziamo con Alejandro Jodorowsky e La montagna sacra, Amici Miei di Mario Monicelli che mi fa sempre scompisciare, quel pazzo di Dario Argento con Profondo Rosso, La conversazione di Francis Ford Coppola, La classe operaia va in paradiso e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. L’amico americano di Wim Wenders (Thank you for being so not Italian- spero capiate la cit), Stalker di Andrej Tarkovski, Apocalypse Now e Il padrino (anche se dopo Scarface, il primo non quello di Brian de Palma, Little Caesar e Public Enemy è tutto un grande rifacimento e citazione il gangster movie) di Francis Ford Coppola e ovviamente Taxi Driver di Martin Scorsese. 
Negli anni ‘80 e già un po’ da prima comincia il cinema che è tutta una citazione, specialmente negli anni ‘90 e specialmente Tarantino. Partiamo subito con due capolavori Boy meets girls, Mauvais Sang di Leos Carax (ma anche Gli amanti del Pont-Neuf anni ‘90 e Holy Motors del 2012). Poi The Killer di John Woo, Nostalghia sempre di Andrej Tarkovski, Fa la cosa giusta di Spike Lee, The Blues Brothers di John Landis, Brazil di Terry Gilliam (e questo solo perché lo conosco di persona), Paris, Texas di Wim Wenders, Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, C’era una volta in America di Sergio Leone. 
Basta non ho più voglia di scrivere, mi sono sfiancata e non ho scritto nemmeno la metà dei film che avrei voluto scrivere, ho saltato Kubrick, Spielberg, un sacco di francesi e un sacco di roba. Domani magari ci metto più roba.
Grazie per la domanda 💕
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unevaguedeprintemps · 4 years
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Edward Hopper
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Nighthawks“, 1952. Chicago, Art Institute.
“La solitudine di una grande cittá" come dichiarò lo stesso pittore
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"L'angoscia del lockdown descritta da uno dei massimi
esponenti del neorealismo americano (1882 – 1967) "
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"Aveva previsto tutto !"
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Ph artribune.com
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rapstories · 5 years
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Mai giudicare un libro dalla copertina... e un disco? Perchè no!
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La musica, una forma d’arte che a primo impatto potrebbe sembrare puramente intangibile ed eterea, da decenni invece si serve anche del potenziale comunicativo delle immagini. L’apporto della comunicazione visiva delle cover di cassette, CD, vinili e altri supporti ha infatti plasmato in maniera innegabile l’immaginario non solo di moltissimi artisti, ma anche di interi generi, tra cui ovviamente il rap. Non dovremo quindi sorprenderci se anche tra vent’anni la nuova generazione di rapper dovrà vendere ancora copie fisiche, oltre ad aggiornare il proprio profilo Spotify (o almeno si spera), o qualunque altro sarà il metodo di fruizione della musica nel futuro. Possiamo dire con una buona dose di certezza che la copertina di un disco sarà fondamentale tra vent’anni come tra cent’anni, così come lo è stata e lo è tutt’ora. 
La cover è un aspetto estetico significativo dell’intenzione dell’artista: può essere lo specchio dei suoi interessi come può riassumere il contenuto dell’album. In altri casi può essere semplicemente un mero feticcio estetico, eppure - soprattutto in tempi come questi - il valore della componente estetica è inquantificabile. Che si limiti a restare nel booklet del CD o nella cover del vinile, oppure che si limiti ad essere un file .jpg utilizzato come cover negli store digitali, o ancora che finisca per essere stampato su migliaia e migliaia di accessori e capi di merchandising, l’iconografia di ciascun disco incide in maniera notevole sull’impatto che un disco ha sugli ascoltatori, sul mercato e in generale sulla cultura pop dei tempi correnti e, nel caso dei classici, su quella futura.
Il rap, genere nato grazie al recupero, al riutilizzo e alla rivisitazioni di canzoni e componimenti già esistenti, anche a livello grafico non è da meno: frequenti sono infatti le citazioni ad artisti, letterati, registi, fotografi e opere provenienti da altri generi e altri medium. Abbiamo deciso di analizzare due esempi piuttosto esplicativi di questa tendenza, ma scavando nel web - soprattutto declinando la ricerca al mondo del rap americano - i risultati sono tantissimi, fin troppi per essere raccolti in un solo elenco; servirebbe una vera e propria antologia.
Il primo esempio è “Quello Che Vi Consiglio Vol. 4″, il quarto capitolo della celebre saga di mixtape di Gemitaiz rapper che ha esordito nel 2009 e che nel decennio successivo si è imposto come una delle voci più autorevoli della scena italiana. La copertina di questa istallazione della saga, risalente al 2013, si ispira alla celeberrima foto di Eisenstaedt. Una cover che cita indirettamente le passione dell’artista per il cinema: nei suoi lavori possiamo trovare riferimenti a Gus Van Sant, Werner Herzog e altri cineasti che hanno ispirato i suoi testi, nonchè ad altri musicisti, autori - tra i più ricorrenti troviamo gli scrittori della beat generation, su tutti Jack Kerouac - e pittori. In questo caso la reinterpretazione dello scatto è tanto apparentemente impercettibile quanto d’effetto: Gemitaiz non si sostituisce agli iconici protagonisti dello scatto, anzi, si mischia allo sfondo. Una scelta che sembra stridere con la mania di protagonismo che è parte integrante dell’attitudine rap, ma che in realtà ben si sposa con l’immaginario del rapper romano, che si è sempre contraddistinto per la capacità di dar voce alle vite di tanti, alle vite dei dimenticati, soprattutto agli esordi della carriera. Nella cover torna a mimetizzarsi tra la folla, cosa che non può più fare nella vita reale a causa della notorietà, ma che gli riesce ancora bene quando prende un foglio e una penna per dedicarsi allo storytelling.
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Il secondo è “Persona“ di Marracash, attesissimo lavoro del rapper di Barona - storico quartiere di Milano -, che arriva a quattro anni di distanza dal suo ultimo lavoro solista. Indubbiamente il disco più atteso di questo 2019, che ha nuovamente consegnato Marracash all’Olimpo degli interpreti di questo genere in Italia, grazie ad un concept album dalle intenzioni tanto ambiziose quanto artisticamente impressionanti. L’album è infatti un’analisi introspettiva ma anche un fortissimo confronto tra Marracash e Fabio Rizzo - questo il nome dell’artista all’anagrafe -, tra persona e personaggio, tra ciò che siamo, ciò che pensiamo di essere e ciò che gli altri percepiscono di noi. E’ davvero possibile ritenere queste tre figure diverse? Esiste un “noi” in quanto noi, oppure esistiamo solo in virtù di ciò che vediamo riflesso di noi negli altri?
Si tratta di un argomento intrigante e complicato, già affrontato dal regista Ingmar Bergman in un film del 1966, dal titolo omonimo del disco di Marracash. La citazione ovviamente non è casuale, così come la scelta della cover del rapper, che ha rivisitato - anche se in maniera impercettibile - proprio una scena carica di pathos dell’opera cinematografica. Caratteristica dell’opera di Bergman è anche una forte natura metatestuale: il regista riflette sul cinema, e lo fa anche con scene d’impatto come quelle in cui si vede una pellicola bruciare o una mano bucata da un chiodo, come nei capisaldi del Surrealismo cinematografico europeo dei vari Buñuel e Léger. Bergman ispirò infatti fortemente il pensiero dei fautori della Nouvelle Vague come di altre correnti cinematografiche del continente, proprio grazie ai suoi lavori e le sue riflessioni tanto uniche da considerarlo uno dei registi più autorevoli della Settima Arte. In periodi dove mezzi semplici, attori semiprofessionisti e bianco e nero erano gli unici strumenti a disposizione, le opere del regista riuscivano e combinarli in un connubio perfetto, orientato all’analisi dell’essere umano. Questo non significa però che ciò che c’è stato prima vada però considerato scadente:così come i dischi precedenti di Marracash hanno tutti un proprio valore intrinseco, allo stesso modo i capolavori neorealisti hanno comunque giovato di importanti strutture e di mezzi di qualità distribuiti da aziende come la Ferrania Film, ricollegabile ai classici del Neorealismo italiano di Fellini e De Sica, incisi in maniera immortale proprio nelle pellicole Ferrania.
In Persona Marracash però non si addentra nel sentiero metatestuale, si limita ad abbracciare il percorso di autoanalisi, e il risultato è liricamente impressionante, sin dalla prima traccia, sin dal primo ascolto. Anche qui ritroviamo svariati riferimenti letterari, artistici e cinematografici, talmente tanti che è difficile tenere il conto. Ci aveva però già abituato a questo modus operandi: era il 2011, usciva il suo disco “King Del Rap”, e il video estratto dall’omonimo singolo era ispirato ad un’opera televisiva che aveva cresciuto l’intera generazione dei ‘90, ossia Willy Il Principe Di Bel Air. Che, guarda caso, in America non era solo un personaggio iconico, ma anche e soprattutto il nome dell’alter ego di Will Smith come rapper. 
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cinevision-blog · 5 years
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Il film si articola in 5 episodi che ripercorrono da sud a nord l’intera penisola italiana durante i momenti di liberazione da parte dell’esercito americano nel periodo che va dal 1943 all’inverno del 1944. Ogni episodio è indipendente dagli altri e ha come tema principale la guerra e le sue conseguenze, ma più in particolare racconta del rapporto tra soldati americani e popolazione italiana che siano persone comuni, partigiani o preti. In molti degli episodi, ho notato un attenzione nell’evidenziare un tentativo di dialogo e di contatto umano tra soldati e persone comuni, contatto che però quasi sempre fallisce per via di una realtà e una disillusione che si era già attuata che non forniva speranze. Anche questo film costituisce uno dei film più rappresentativi del neorealismo, sono presenti tutti gli elementi caraterizzanti tale corrente: uso di attori non professionisti, uso di un linguaggio appartenente alla realtà dei luoghi (molto presente, infatti, è l’uso del dialetto delle varie regioni) tutto ciò al fine di conferire un autenticità nelle situazioni, nei personaggi e nelle emozioni che era tanto cara a Rossellini. #paisà #paisa #italianmovie #neorealism #neorealismoitaliano #neorealismo #robertorossellini #rossellini #cinema #cinematography #cinemaitaliano #recensionefilm #recensionifilm #moviereview https://www.instagram.com/p/BxFrAF7FNuM/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=o503zkfidteh
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baadbaadnotgood · 6 years
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Paul Strand, Luzzara
Paul Strand è stato posto su un piedistallo talmente alto che il pubblico contemporaneo potrebbe addirittura non accorgersi di lui. È stato il primo fotografo ad avere una mostra monografica a lui dedicata al Museum of Modern Art, nel 1945, e i suoi primi scatti urbani, come le astrazioni, aiutarono a consolidare la fotografia come parte integrante dell'estetica della modernità. Ma se è così importante, perché dal 1971 non è uscita nemmeno una retrospettiva completa del suo lavoro?
Strand dovrebbe considerarsi a ragione uno dei più grandi fotografi americani. Allora perché cercando il suo nome su Google vengono fuori solo alcune delle foto che vi faremo vedere?
Strand pensava che le riproduzioni delle sue foto non rendessero giustizia agli originali. Viste dal vero, le sue magistrali stampe in gelatina d'argento e di platino sono ricche di dense ombre d'inchiostro e di parti delicatamente illuminate, impossibili da duplicare in stampa e generalmente poco apprezzabili a schermo.
L'opera di Strand è poco discussa anche perché raramente le sue foto hanno un "gancio". Sono gli scatti seri di un uomo serio—per molti versi l'antitesi della pop art. Sono in bianco e nero, tendenti alla parte più scura dello spettro, formali nella composizione.
Georgia O'Keefe, un'amica e uno dei soggetti di Strand, ricordava nei suoi ultimi anni che la prima moglie, Rebecca, "era una giovane donna snella e vivace, mentre Strand era lento e pesante." Gli piaceva arrivare nella piazza di un paese e aspettare per ore finché gli abitanti del posto non iniziavano a ignorarlo. Una volta rilassati e restituiti alla propria routine quotidiana, Strand poteva rubare indisturbato i propri scatti.
Spesso si serviva di una lente contenente un prisma per fotografare i suoi soggetti senza che questi se ne accorgessero. Puntando l'obiettivo in una direzione era in grado di fotografare la scena posta a 45° di angolazione a destra o a sinistra.
Oggi, fotografare le persone di nascosto è spesso considerato problematico, ma grazie al suo approccio discreto e rispettoso, Strand sapeva presentare i propri soggetti come pari, invece che come individui "altri".
Quest'autunno, il Philadelphia Museum of Art presenta la prima retrospettiva completa della carriera di Strand in quattro decenni. La mostra festeggia la recente acquisizione da parte del museo di 3.000 foto e positivi vetrati dal Paul Strand Archive presso la Aperture Foundation. Unite ai 600 pezzi donati al museo dalla famiglia di Strand negli anni seguenti la sua ultima retrospettiva, risalente al 1971, costituiscono oggi la più vasta collezione di sue opere al mondo.
Per anni, il sogno di Strand era stato quello di fotografare un intero paese, un'ambizione ispirata a Winesburg, Ohio, di Sherwood Anderson. Nel 1949 conobbe Cesare Zavattini, sceneggiatore del classico del neorealismo Ladri di Biciclette, di Vittorio De Sica, e gli confidò questo suo desiderio. Zavattini lo convinse a fotografare la cittadina di Luzzara, suo paese natale, nel corso di più di cinque settimane durante la primavera del 1953.
Luzzara è un piccolo borgo contadino nella valle del Po, noto per l'industria casearia, i cappelli di paglia e le briglie per cavalli. Strand e Zavattini scelsero di concentrarsi sugli artigiani e sulle strutture famigliari.
PUBBLICITÀ
Un cittadino di nome Valentino Lusetti, che aveva imparato un po' d'inglese come prigioniero americano durante la Seconda Guerra Mondiale, fece da interprete e lasciapassare, consentendo a Strand accesso pressoché illimitato. La foto di gruppo più emblematica tra gli scatti di Luzzara ritrae proprio la famiglia Lusetti, in posa di fronte alla facciata della loro vecchia casa. La fotografia divenne la copertina della monografia di Aperture del 1955, Un Paese, che abbinava resoconti in prima persona, raccolti da Zavattini, alle fotografie di Strand.
Nonostante la riuscita dell'impresa senza precedenti, le pagine seguenti contengono immagini con cui il pubblico contemporaneo ha, probabilmente, poca familiarità. Strand fa di Luzzara un ritratto sincero. La serie fu creata nell'arco di un lungo periodo di tempo e realizzata usando lunghe esposizioni alla luce naturale. Non c'è ironia, solo il desiderio di rappresentare un intero ecosistema umano in un modo lento e freddo, ma assolutamente senza distacco. Mentre sempre più fotografia autoreferenziale viene scaricata giorno dopo giorno sull'umanità, è importante ricordarsi di fermarsi e guardare attentamente ciò che consumiamo.
Strand comprese che la fotografia poteva avere il potere di cambiare il mondo. Era disposto a sedersi e aspettare che il mondo prendesse l'aspetto che ha quando nessuno lo nota. Ora è il momento che noi ci fermiamo e ci rendiamo conto dell'opera di Paul Strand.
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“Una strana chiacchierata sul Cinema”
Quando scrivemmo queste pagine eravamo invasi dall’entusiasmo. Non fu semplice inquadrare subito un personaggio scomodo come JOKER1926.
Quando la critica diventa un modus vivendi, anche al di là dello stesso Cinema.
La trattazione dell’opera parte, comunque, da nozioni fondamentali della storia del Cinema. Il prosieguo del libro è affidato all’esperienza rovente di un critico scomodo e funesto.
Snocciolare il contenuto di un simile prodotto, risulta essere una grande impresa. Grande spazio riservato all’indimenticabile Dario Argento, non sono esclusi dal gioco Lodi smisurate e critiche veementi. Il libro è un gioco di colori, non c’è una sola visione, esistono in esso una pluralità di visioni. Sempre vere, pulsanti e passionali.
Panoramica importante anche sul Cinema americano degli anni cinquanta, poi il grande Cinema Francese.
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I personaggi del divismo americano, i personaggi “paralleli” del mondo occidentale, quello francese.
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Melville e i suoi feticci. Il polar e il noir, la mescolanza e la differenza.
Il commerciale smanierato mondo americano versus il decadentismo francese.
Una strana chiacchierata sul Cinema
Si spinge anche oltre, in analisi anche il Cinema sudamericano, fra realismo magico e neorealismo...
Prefazione/Introduzione all’opera, Una strana chiacchierata sul Cinema. #parteterza
A cura di Giuseppe Cangiano
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awardseasonblog · 5 years
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Quando eravamo fratelli è un arazzo sognante e impressionista, un romanzo di formazione viscerale e ipnotizzante, fatto di slanci istintivi tra euforia e amarezza. Così il documentarista Jeremiah Zagar, al suo primo lungometraggio, vivacizza un materiale di vivida naturalezza e spontaneità per raccontare l'età dell'infanzia nelle sue faticose accettazioni e nelle sue innocenti conquiste. Come in The Florida Project di Sean Baker, anche qui il tono di nostalgia ferita che anima il film segue i nuovi codici del neorealismo americano. We the Animals (il titolo originale) ha conquistato 5 nomination agli Independent Spirit Awards (miglior opera prima, miglior attore non protagonista (Raúl Castillo), miglior fotografia, miglior montaggio e miglior regista rivelazione).Tratto da un libricino di Justin Torres che nasce da un’esperienza di vita vera, il film ha come protagonisti tre fratelli portoricani Manny, Joel e Jonah, che vivono in una zona arretrata degli Stati Uniti chiamata Utica #wetheanimals #quandoeravamofratelli #spiritawards2018 https://www.instagram.com/p/Bxh0LK0ouFy/?igshid=1nlq3pxzbwhth
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angelariasdominguez · 2 years
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§ 2.745. Sueño de reyes (Daniel Mann, 1969)
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Una especie de neorealismo americano que no me gusta demasiado. Como el italiano, con ese histrionismo, esa falsa vitalidad, esa energía superflua, esa necesidad de mostrar elementos y circunstancias cotidianas como si se tratase de algo noticiable. Es un director interesante, del que he visto varias cosas. pero no acaba de cuadrarme ninguna de ellas. Esta en concreto pretende algo muy difícil, realmente difícil: transmitirnos cómo se debe sentir un jugador de cartas y apostador de caballos en el mediado de los años setenta en Chicago. Marginalidad, apuestas, póquer, dados y demás engañifas para matar el tiempo de las personas a las que se sobre eso, el tiempo.Otra lectura de la cinta es el poder del juego, la adicción a las cartas, el placer morboso del juego.Anthony Quinn está espléndido, aunque el papel no era muy exigente para él, en el sentido de que el personaje de la película es como él. Algo exagerado, pero funcionando. Es, sin lugar a dudas, uno de los mejores actores de cine de todos los tiempos. Sin discusión. Irene Papas no funciona del todo bien. No me la imagino en el papel que representa. Y aunque el rol que representa es feo y triste, como ella, no sabe sacarle buen partido al papel. Me imagino a una grande del cine y no puedo dejar de pensar que cualquier de ellas le hubiera sacado mucho más jugo.No he visto todavía Zorba, el griego, de 1964, pero creo que esta cinta no se puede ver sin aquella, sin tenerla presente y sin ser, de una manera u otra, un antecedente de esta película.No me ha agradado demasiado. Está bien interpretada, funciona bien en determinados momentos, pero no es una cinta redonda. 
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pangeanews · 5 years
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Perché non si legge Fogazzaro? Non andava bene a nessuno, né al Partito né al Vaticano. Eppure, avrebbe dovuto vincere il Nobel… Dialogo con Alberto Buscaglia
Senatore del Regno d’Italia, candidato al Premio Nobel per la letteratura, il vicentino Antonio Fogazzaro (Vicenza 1842, 1911) è stato uno degli scrittori più interessanti e inquieti nel panorama del secondo Ottocento, sospeso fra decadentismo e verismo, tra romanticismo sentimentale e irrequietezza scapigliata. Antonio Fogazzaro è ancora oggi – come ci rivela l’attento regista e critico cinematografico Alberto Buscaglia, che allo scrittore della Valsolda dedica da tredici anni un premio letterario – sottovalutato e misconosciuto. Le sue opere non vengono studiate a scuola (anche per colpa dei prof) e addirittura dalle cineteche spariscono i suoi film. Nella nostra lunga chiacchierata, Buscaglia ci ricorda di quando Fogazzaro ha rischiato di prendere il Nobel (mancato perché è rimasto in silenzio di fronte alla censura cattolica del suo romanzo più controverso, Il Santo) e di come gli scrittori di oggi siano molto narcisisti e poco lettori.
Com’è possibile che ci siamo dimenticati di Antonio Fogazzaro?
Fogazzaro è uno scrittore in qualche modo rimosso da una precisa generazione, quella “impegnata” del dopoguerra, prima fascista poi marxista, e proprio per precise ragioni ideologiche. Inoltre era inviso al mondo cattolico, da cui peraltro proveniva. Fogazzaro era uno scrittore all’avanguardia, da un punto di vista intellettuale, e non solo come autore di romanzi; ha subito accolto, secondo una sua originale visione trascendentale, l’evoluzionismo darwiniano, dando prova di grande attenzione a quel che accadeva nel mondo scientifico. Inoltre è uno degli scrittori che più ha rinnovato il romanzo dopo Alessandro Manzoni. Dopo Malombra, la cesura con la produzione letteraria precedente si fa netta, definitiva. Era un intellettuale che leggeva i romanzi in tedesco, in francese, fatto che lo ha reso un autore mitteleuropeo, internazionale. Fogazzaro di fatto rompe con la “tradizione” manzoniana (se poi di tradizione italiana del romanzo si può parlare), e ne inventa un’altra, insieme a personaggi come Verga, Pirandello.
Perché è così poco conosciuto in Italia?
Oggi Fogazzaro è meno celebrato anzitutto perché si legge molto poco. A scuola, la maggior parte dei docenti che vivono di rimbalzo i vecchi pregiudizi ideologici non lo commentano perché non lo hanno letto, così non lo tengono in considerazione, lo sottovalutano, e non lo fanno leggere. Con la cultura imposta nel dopoguerra dal Partito Comunista Italiano sono stati enfatizzati il Neorealismo e il Realismo critico, due categorie solo ideologiche, impraticabili sul piano estetico. Fogazzaro, nei suoi romanzi, non guarda forse in modo realistico alla società del suo tempo? O Guido Morselli, non scriveva del suo e nostro tempo? Eppure la sua opera così geniale, ma non in linea con le direttive politico-culturali del partito comunista, non trovò un editore, se non dopo il suo suicidio. Ma a scuola si continua a far leggere soprattutto l’Italo Calvino del Sentiero dei nidi di ragno; forse qualcosa di Verga, o di Pirandello, ma sorvolando sul suo teatro, l’opera sua che ha veramente rivoluzionato la scrittura teatrale e la pratica di palcoscenico: il Pirandello che è stato maestro di Bertolt Brecht e di tutto il teatro d’avanguardia venuto dopo.
Ma non si legge Fogazzaro. Quanto ha influito la messa all’indice dei suoi romanzi?
Sono stati due i romanzi censurati di Fogazzaro: Il Santo e Leila, ma lui per fortuna non seppe del secondo perché morì prima. Il Santo conteneva le idee del Modernismo cattolico, il movimento riformatore che era nato in Francia. Il romanzo fu subito tradotto in varie lingue e letto con grande interesse anche negli Stati Uniti. Fogazzaro ricevette persino una lettera entusiasta dall’allora presidente americano.
Perché Antonio Fogazzaro non vinse il Nobel per la Letteratura?
Fu proprio per Il Santo che non riuscì a prendere il Nobel. L’Accademia di Svezia, che lo aveva candidato, era il 1906, scelse di non darglielo perché lo scrittore si era chiuso in un silenzio totale di fronte al Vaticano che aveva messo all’indice il suo romanzo, non aveva commentato, insomma non aveva reagito. Così il Nobel per la letteratura fu assegnato un po’ alla svelta a un altro italiano, Giosuè Carducci… forse perché non era ancora nato Dario Fo (scrivila pure questa battuta!). Insomma, Antonio Fogazzaro è stato un uomo perseguitato anche da se stesso. Se avesse portato avanti le sue idee, probabilmente avrebbe vinto il Nobel e forse la sua opera avrebbe avuto un’altra storia…
Qual è il tuo romanzo preferito?
Io preferisco Malombra, il più audace sul piano dei contenuti, oltre che della forma narrativa. Preferisco Malombra anche tra i film fogazzariani di Mario Soldati. Lui stesso dichiarò di aver girato Malombra “credendo nel cinema”. Oltre ai volumi dedicati ai concorsi letterari del premio Fogazzaro, in questi anni, grazie a New Press Edizioni, abbiamo pubblicato tre libri dedicati al cinema di Soldati dalle opere di Fogazzaro. Abbiamo ritrovato e pubblicato le sceneggiature di lavorazione, confrontandole con i film e i romanzi. Abbiamo avuto tra le mani le sceneggiature che poi venivano utilizzate sul set. Recentemente sono state presentate all’Accademia Olimpica di Vicenza e uno dei relatori ha detto che queste nostre pubblicazioni rappresentano un momento essenziale della critica cinematografica del futuro. Perché si tratta di un tipo di analisi filologica del film ancora poco utilizzata, quella che analizza la storia di un film, quel che è successo dalla scrittura al montaggio definitivo.
Una ricerca quasi archeologica che ti ha portato alla pubblicazione di Daniele Cortis, il film di Mario Soldati dalla sceneggiatura allo schermo (New Press Edizioni, 2018), terzo capitolo della trilogia dei saggi dedicati ai film di Soldati, ispirati alle opere di Fogazzaro. Daniele Cortis, scritto nel 1885, è il secondo romanzo di Antonio Fogazzaro, iniziato subito dopo il successo di Malombra (1881) e continuato in un momento emotivamente tormentato per l’autore, come documenta il saggio di Tiziana Piras dedicato alla elaborazione del romanzo e al rapporto con il film. Fogazzaro trasferì nel nuovo romanzo il suo travaglio sentimentale, raccontando la storia di un “amore sublime” ma impossibile, ambientata sullo sfondo della piccola provincia vicentina e su quello romano della politica dell’Italia postrisorgimentale. Che fine ha fatto questa pellicola?
 Questo film praticamente non esiste più. È un film perduto, non c’è più, né in Vaticano – era stato prodotto da Universalia film, una casa di produzione del Centro Cinematografico Cattolico – né nelle cineteche italiane. Abbiamo trovato per caso la sceneggiatura a Villa Fogazzaro, e non era neanche la sceneggiatura definitiva. Si tratta di un film “fantasma”, noi abbiamo potuto studiarlo grazie a una copia presente presso la videoteca di Firenze, dove abbiamo trovato uno scadente VHS registrato da un passaggio televisivo di una sconosciuta emittente privata. In seguito, dopo altre disperate ricerche, abbiamo trovato a Padova una copia 16 mm del film di proprietà di una cineteca privata (con pellicola spezzata e rimontata a caso), una copia utilizzata all’epoca nei circuiti minori. Con queste due copie di scarsissima qualità abbiamo potuto rimontare il film; ma ovviamente non si tratta di un vero restauro, perché per questo sarebbe necessario ritrovare il negativo.
È una storia incredibile. “Già. Che dire? Che qualcuno possa aver fatto sparire il film solo perché scomodo dal punto di vista dei suoi contenuti? Non si tratta di un film arcaico del periodo “muto”; si tratta di un film girato nel 1946, che aveva anche vinto il premio per la migliore fotografia al festival di Venezia del 1947. E si tratta di una produzione importante per l’immediato dopoguerra, con un bravissimo di Gino Cervi, un giovane Vittorio Gassman e, nella parte della protagonista, la figlia di Churchill, Sara, nota attrice del teatro e del cinema inglese, voluta dal produttore Salvo D’Angelo che già allora, primo trai i produttori del tempo, pensava a coproduzioni internazionali”. Nel 2020 Alberto Buscaglia vara la XIII edizione del Premio dedicato ad Antonio Fogazzaro; quali sono le novità di questa stagione?
Anzitutto si tratta di un premio che si rinnova dal punto di vista organizzativo attraverso la costituzione di un’associazione culturale. Con la sua nuova struttura, il Premio Antonio Fogazzaro riparte con i suoi tradizionali e apprezzati concorsi, quello per il Racconto inedito e quello per la Poesia edita in italiano e in dialetto, accogliendo inoltre l’ingresso di un concorso dedicato alle Tesi universitarie proposto dagli organizzatori del prestigioso Premio Crotto dei Platani. Il Premio, inoltre, estenderà i suoi orizzonti verso una più accentuata internazionalizzazione: già da quest’anno concretizzata tramite la collaborazione con la Fondazione svizzero/tedesca Museo Hermann Hesse di Montagnola.
Cosa significa promuovere un premio letterario oggi?
Significa un impegno costante a promuovere un’attività culturale sul territorio e un dialogo non sempre facile con le istituzioni. Il bilancio di questi tredici anni è positivo perché, al di là della delle difficoltà economiche, il premio si è affermato a livello nazionale con la partecipazione di autori provenienti da tutta Italia e l’invio di migliaia di testi che testimoniano una forte esigenza di scrittura, e di lettura (speriamo).
Non si legge più?
Un premio letterario nasce anche per stimolare la lettura. Purtroppo oggi, con le nuove tecnologie, la lettura è diventata un problema, dalle scuole elementari in avanti. Invece occorre valorizzare e stimolare la lettura. Come facevano una volta gli aspiranti scrittori: prima leggevano i classici e i contemporanei, poi scrivevano. Oggi sarebbe necessario che la scuola stimolasse e imponesse la lettura. Abbiamo bisogno di momenti di cultura e abbiamo bisogno di personale politico competente che capisca il problema, ma in questo momento siamo in mano a un reale analfabetismo “funzionale” – e purtroppo è tutto presente nel governo. E poi penso che anche gli autori considerati importanti oggi in Italia leggano solo se stessi. Lo vedi da come scrivono. Purtroppo c’è un forte narcisismo nel mondo delle lettere in Italia, e molti scrivono soltanto per vincere certi premi letterari. Per non parlare della assurda sovrabbondanza di magistrati che scrivono gialli (e poi magari entrano anche loro in politica).
Linda Terziroli
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Alberto Buscaglia è nato a Milano (1944). Regista e sceneggiatore, è stato assistente nei primi film di Ermanno Olmi, di Eriprando Visconti e Gianfranco De Bosio. Con il fratello gemello Gianni è stato fotografo di scena del Piccolo Teatro di Milano nelle stagioni 1963/64, collaborando con Giorgio Strehler e Virginio Puecher. Dal 1973 al 2000 ha collaborato con la Rai con produzioni radiofoniche e televisive, tra le quali, nel 1983, i film documentario De là del mur, la poesia di Delio Tessa e Alla ricerca di Guido Morselli. Dal 1999 collabora con la Rete Due della RSI, Radio televisione della Svizzera italiana, con produzioni radiofoniche di prosa, sceneggiati e docufiction. Nel 2008 ha ideato il Premio Antonio Fogazzaro di cui cura la direzione artistica e nel cui ambito ha curato, con l’italianista Tiziana Piras, la pubblicazione delle sceneggiature di Piccolo mondo antico (2014), di Malombra (2015) e di Daniele Cortis (2018) di Mario Soldati.
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lospeakerscorner · 5 years
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Otto giorni di grande cinema nel 60esimo anniversario della fondazione del festival Laceno d’oro nel segno di Pier Paolo Pasolini
AVELLINO – Otto giorni di grande cinema d’autore, di sperimentazione e di ricerca, con oltre ottanta proiezioni, più di trenta ospiti internazionali e italiani, tre concorsi con opere da tutto il mondo, retrospettive, masterclass, mostre e convegni: Avellino torna a essere al centro della scena cinematografica indipendente e del nuovo “cinema del reale” con la 44esima edizione del festival internazionale Laceno d’oro in da domenia 1 e fino all’8 dicembre.
Quest’anno si celebra il sessantesimo anniversario dalla prima edizione  del festival: nel 1959 nacque dalla felice intuizione di Pier Paolo Pasolini per valorizzare il territorio irpino con una rassegna di ispirazione neorealista.
Un anno importante quindi per la manifestazione organizzata dal Circolo ImmaginAzione con la direzione artistica di Antonio Spagnuolo in collaborazione con Aldo Spiniello, Sergio Sozzo, Leonardo Lardieri della rivista cinematografica Sentieri Selvaggi e Maria Vittoria Pellecchia, e con il contributo di Regione Campania e MIBACT – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, che porterà in città molti ospiti di prestigio internazionale insieme a grandi autori del panorama culturale italiano.
Quartier generale il Cinema Partenio con eventi anche al Complesso Monumentale Carcere Borbonico e al Cinema Comunale di Bagnoli Irpino, sede storica della manifestazione al tempo di Pasolini.
Tra i protagonisti più attesi il regista portoghese João Botelho, che presiederà la giuria del concorso di lungometraggi “Laceno d’oro 44” e presenterà il suo film Pilgrimage (2017), sui viaggi dei marinai portoghesi verso l’Oriente, tra narrazione letteraria, racconti familiari, teatro e musica (Mercoledì 4 dicembre ore 21 Cinema Partenio).
Saranno premiati alla carriera i registi Franco Maresco, autore di La mafia non è più quella di una volta, un viaggio dentro la mafia e l’antimafia nella Palermo di oggi, Premio speciale della giuria a Venezia ’76 e Pedro Costa, sontuoso regista portoghese che presenterà il suo ultimo film Vitalina Varela, Pardo d’oro a Locarno 2019 per il miglior film e miglior interpretazione femminile, potente opera sull’emigrazione capoverdiana a Lisbona.
Maresco e Costa, a cui saranno dedicate due retrospettive con una selezione dei film più significativi, terranno anche due masterclass per approfondire i temi delle loro cinematografie.
Tra gli ospiti italiani il regista Mimmo Calopresti con il suo ultimo lavoro Aspromonte – La terra degli . Nel cast Valeria Bruni Tedeschi, Sergio Rubini e Marcello Fonte.
Ambientato in un paesino della Calabria, il film è un western atipico sulla fine di un mondo e sul sogno di cambiare il corso degli eventi grazie alla voglia di riscatto di un popolo.
La regista e sceneggiatrice friulana Katja Colja presenta invece il suo esordio di successo Rosa, con protagonista Lunetta Savino. Racconta la storia di una donna sessantenne che affronta il dolore della perdita della figlia insieme al marito ma che reagisce, al contrario dell’uomo, facendo nuove esperienze fino alla rinascita.
Cuore del festival i tre concorsi internazionali con opere pervenute da tutto il mondo: in gara sette lungometraggi, dodici documentari e diciotto cortometraggi.
La cerimonia di premiazione dei film vincitori, che si aggiudicheranno un premio di  3000 euro per i lunghi e di  1.500 euro per doc e corti, si svolgerà domenica 8 dicembre alle ore 21 al Cinema Partenio.
Numerosi gli omaggi a grandi autori del cinema a partire dal nume tutelare del festival Pier Paolo Pasolini con la proiezione del film 12 dicembre (1971) sulla strage di Piazza Fontana del 1969, un film non ufficialmente attribuito al regista per non subire conseguenze legali ma che lui stesso dichiarò successivamente come suo.
Al film seguirà un dibattito con Roberto Chiesi della Fondazione Pasolini.
Il festival organizza inoltre il convegno Da Piazza Fontana ad oggi: terroristi, vittime, riscatto e riconciliazione. Intervengono Ciriaco De Mita, il prefetto Carlo De Stefano, ex capo dell’antiterrorismo, il sociologo Antonello Petrillo, l’ex deputato Nicodemo Oliviero e lo scrittore e giornalista Angelo Picariello che presenta il suo libro Un’azalea in via Fani.
Il Laceno d’oro ricorda, ancora, Cesare Zavattini, il “poeta del Neorealismo”, anch’egli fortemente legato all’Irpinia e illustre sostenitore del Laceno d’oro, con la proiezione di La lunga calza verde di Roberto Gavioli, tratto da un soggetto di Zavattini.
Inoltre, a trent’anni dalla scomparsa, omaggio al regista e attore americano John Cassavetes con la proiezione di Una moglie e La sera della prima. 
Infine, sarà dedicata una retrospettiva a Luigi Di Gianni, regista napoletano e maestro del documentario antropologico, con quattro lavori: Magia Lucana, La potenza degli spiriti, Il male di San Donato, Vajont (Natale 1963).
Per la sezione Spazio Campania, vetrina per le produzioni del territorio, saranno in visione venti opere tra cui Never Forever di Fabio Massa, La Gita di Salvatore Allocca, Veronica non sa fumare di Chiara Marotta, V†M – Vita e morti a due passi dalla scuola di Cyop&Kaf.
Sugli schermi del Laceno d’oro nelle sale del Cinema Partenio si alterneranno, fuori concorso, opere che hanno avuto già una distribuzione nazionale e produzioni indipendenti italiane:
I diari di Angela – Noi due cineasti diAngela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, l’archivio di immagini della storica coppia di cineasti;
Soledi Carlo Sironi, sul tema della maternità surrogata, Storia dal qui di Eleonora Mastropietro, sul ritorno dell’autrice nel suo paese d’origine in provincia di Foggia;
La città che cura di Erika Rossi, storia di una periferia e le sue difficoltà, dove un gruppo di persone cerca la condivisione per “curare” la solitudine;
Albero, nostrodi Federica Ravera, film-documentario che celebra l’opera di Ermanno Olmi;
Sono innamorato di Pippa Baccadi Simone Manetti, storia della giovane artista violentata e uccisa in Turchia nel corso del suo viaggio per la pace tra i popoli.
Il festival conferma anche la sua attenzione per la storia del cinema con due mostre fotografiche al Carcere Borbonico: CINEMA | 1936-1956, il lungo viaggio del cinema italiano a cura di Orio Caldiron e Matilde Hochkofle. Interverranno Orio Caldiron, il critico cinematografico Valerio Caprara e lo storico del cinema Paolo Speranza. La mostra ripercorre alcuni dei momenti più importanti del lungo viaggio del cinema italiano attraverso le pagine della rivista Cinema che, nata nel 1936, diventa la sede privilegiata delle inquietudini e delle aspirazioni di un gruppo di giovani critici che si battono per un cinema in grado di rappresentare la realtà italiana e insieme il loro radicale rifiuto del clima opprimente del regime fascista. La rivista chiude i battenti nel luglio 1956, in tempo per interrogarsi sul panorama dei giovani registi e sulla rinnovata vitalità del cinema popolare.
Un’altra mostra in programma: Il giudice sceneggiatore. Dante Troisi e il cinema, sul giudice e scrittore irpino a cura di Paolo Speranza.
I lungometraggi stranieri in corsa per il Premio Laceno d’oro 44 sono:
dalla Spagna Zumiriki di Oskar Alegria,
dalla Francia Thunder from the Seadi Yotam Ben-David
dal Venezuela La Imagen del Tiempodi Jeissy Trompiz.
Ancore, quattro titoli dall’Italia:
Padrone dove seidi Carlo Michele Schirinzi,
America di Giacomo Abbruzzese,
Giù dal vivo di Nazareno Nicoletti,
Fortezzadi Ludovica Andò e Emiliano Aiello.
Il film vincitore sarà scelto da una giuria di qualità, presieduta da João Botelho, con il critico cinematografico Cecilia Ermini e dal regista Simone Manetti. 
I documentari in gara per il premio Laceno d’oro doc  arrivano da Giappone, Olanda, Belgio, Portogallo e Italia. I lavori saranno giudicati dai registi Erika Rossi e Lo Thivolle, e dal critico cinematografico Matteo Berardini.
In corsa per il premio Gli occhi sulla città, diciotto cortometraggi internazionali, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dal Perù alla Russia.
Il vincitore dei corti sarà scelto da una giuria composta dal direttore della fotografia Ferran Paredes Rubio, dallo scrittore e filmmaker Daniele Ietri Pitton e Vincenzo Madaro, direttore artistico di “Vicoli Corti”.
Il Laceno d’oro, organizzato dal Circolo ImmaginAzione con la direzione artistica di Antonio Spagnuolo in collaborazione con Aldo Spiniello, Sergio Sozzo, Leonardo Lardieri della rivista cinematografica Sentieri Selvaggi e Maria Vittoria Pellecchia, con il contributo di Regione Campania e MIBACT – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo. Con il patrocinio della Provincia di Avellino, Comune di Avellino, Comune di Bagnoli Irpino, Ordine dei giornalisti della Campania.  In partenariato con Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino. In collaborazione con Sentieri Selvaggi, Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini, Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, Quaderni di Cinemasud, Cactus Film Produzione, Eikon associazione culturale, Coordinamento Festival Cinematografici Campania, Roulette Agency e Godot Art Bistrot, Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino.
Di seguito il programma in dettaglio, l’elenco opere in concorso e Spazio Campania.
Programma giornaliero
Elenco opere concorsi
Elenco opere Spazio Campania
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    Al via il 44esimo Laceno d’oro Otto giorni di grande cinema nel 60esimo anniversario della fondazione del festival Laceno d’oro nel segno di Pier Paolo Pasolini…
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El Padrino (1972)
Dirección: Francis Ford Coppola
Producción: Albert S. Ruddy
Guión: Mario Puzo y Francis Ford Coppola
Duración: 2h 58min
Basada en la novela de Mario Puzo homonima publicada en 1969 que fue un best seller en su epoca. recibio muchos premios como el oscar a mejor pelicula o el de mejor actor para Marlon Brando entre otros. 
la obra trata de la familia Corleone, unas de las mafias de Nueva York en 1949, de las relaciones con sus hijos, principalmente con Michael, interpretado por Al Pacino, quien no quiere saber de los negocios de su padre. La historia se pone violenta cuando Corleone decide no participar en el negocio de la droga que se encuentra en crecimiento.
La película devuelve las películas de mafiosos en forma de drama violento, donde se centra mas en los personajes, sus sentimientos y la evolución de estos que en las acciones que hacen. Gracias a ello el espectador se mete dentro del ambiente de la familia y sentir lo mismo que ellos. Otro aspecto técnico es la sintaxis narrativa usada, vemos fundidos y encadenados para mostrar los cambios de escenario y tiempo de una forma muy estética. La iluminación usada en los actores para mostrar sus emociones ,darles auras mágicas y también para esconderlos con las sombras. También destaca la banda sonora con música de Nino Rota, sobretodo el tema principal que ha pasado a la historia y nada mas escuchar las primeras notas ya se reconoce y te hace pensar en Corleone al instante.
es una película muy interesante, disfruto de sus planos largos, sus pausas .y también de sus momentos de acción y tragedia. Su ambientación es preciosa y tan realista que hace que parezca sacada de hechos reales cuando esta sacada de una historia ficticia. No puedo esperar a ver las siguientes partes.
Los 400 Golpes (1959)
Dirección: François Truffaut
Producción: Les Films du Carrosse
Duración: 94 minutos
la película nos muestra como los problemas familiares de un niño le hacen acabar como delincuente que acaba en un reformatorio aunque acaba escapando de allí para llegar al mar, el cual ve por primera vez.
El director ve el cine como un arte y nos lo muestra a traves de panos con largos objetivos, como un documetal. Para en detalles que no repercuten en la obra, hace travellings, panoramicas y zooms, como el del final de la pelicula a la cara del niño protagonista cuando este mira a camara.
Truffaut pertenecio a la Nouvelle vague, un grupo de cineastas franceses de la epoca de 1950, estos directores buscaron un cambio en la estructura del cine que habia en francia en la epoca. Buscaban libertad de expresion y tambien libertad en la parte mas tecnica del cine. Estos realizadores veian el cine como una forma de autoconocimiento personal, algo que Truffaut hace en esta obra ya que en parte esta basado en si mismo cuando fue joven.
Me ha parecido un obra preciosa sobretodo el principio con el travelling de las casas de París y las ultimas escenas con su silencio. Es un película que seguro veré mas de una vez.
El Hombre Tranquilo (1952)
Dirección: John Ford
Producción: Republic Pictures
Duración: 129 minutos
La historia va de un americano que vuelve al pueblo de su infancia en irlanda para recuperar su granja y así poder olvidar el pasado, al llegar al pueblo el protagonista se enamora de una chica del pueblo pero el hermano de la chica no la dejara ir tan fácilmente.
John Ford en la película nos muestra el folclore irlandés y a su gente, con planos americanos, generales, largos y sin movimiento para que así el expectador se fije en  los personajes,en sus sentimientos y en sus acciones , no en cosas menos importantes para el director.
John Ford es conocido por sus obras de western, esto lo vemos en el uso de los planos americanos y admiración por los espacios que rodean sus historia. Ha ganado numerosos premios, pero con esta película también consiguió éxito, llego a ganar 4 oscars y uno de ellos gracias a El hombre tranquilo. Con esta obra también ganaría reconocimiento gracias a su fotografía a color.
Es una película entretenida, aunque con las ideas de hoy en día se ve claramente el machismo de esta, por ello hay que tener en cuenta la época en la que fue rodada, porque si por esa actitud fuera, no veríamos muchas de las peliculas que se han creado. A parte me gustan mucho los personajes ,sus personalidades y como se relacionan entre ellos, ademas el color que tiene la película la hace mucho mas agradable de ver.
El Gran Dictador (1940)
Dirección: Charles Chaplin
Producción: Charles Chaplin
Guión: Charles Chaplin
Duración: 128 minutos
“ Había que reirse de Hitler” dijo Chaplin y eso es lo que hizo en esta obra, el guion se hizo antes de que estallara la segunda guerra mundial. Se
nos situa en Tomenia, un país imaginario, en el que los judíos están siendo perseguidos, nos enseñan esta época trágica a través de un barbero judío que es idéntico al dictador que esta haciendo que suceda todo. Durante la película ambos personajes se intercambiaran y el barbero dará un discurso ante miles de personas que hará que se termine con la represión.
la película es dialogada, algo a lo que no estamos acostumbrados con Chaplin, pero siguen usándose el slapstick en ella en conjunto con los diálogos. El humor se mezcla con lo amargo de la situación de la sociedad, como los abusos de los militares a la gente judías que solo busca ser feliz en sus barrios. durante todo el desarrollo de la película esta tiene un tono humorístico pero este tono se lleva a la seriedad en el discurso final para mostrar el mensaje al mundo.
Una película de Chaplin siempre es algo que gusta ver, porque te diviertes con sus películas y esta lo consigues pero ademas te hace replantearte todo con el discurso final, ya que al oírlo ves que lo que denuncia sigue ocurriendo, el tema no es tan antiguo como creemos.
Cuidadano Kane (1941)
Duración: 119 minuto
Dirección: Orson Welles
Producción: RKO / Mercury Theatre Productions
La película trata de averiguar que significa Rosebud, la ultima palabra que dijo el magnate americano Kane, para ello se repasa todo la vida de esta persona.
Los periodistas que investigan Rosebud, preguntan a los conocidos de Kane sobre ello y estos les cuentan lo que vivieron con el y su opinión acerca de él.
La película destaca principalmente por los planos que usa, como contrapicados desde el suelo tan exagerados que se tuvieron que añadir techos a los decorados debido a que el plano mostraba mas allá del decorado. También jugo con la profundidad de campo y los segundos planos. El sonido fue algo con lo que también experimentó, ya que si un personaje estaba colocado lejos de la cámara la voz de este sonaría mas bajo que la de otro personaje que se encontrara cerca de la cámara y no solo eso también lo uso para hacer elipsis temporales usando los diálogos, por ejemplo la entrega de Thatcher a Kane de su regalo de navidad cuando este era pequeño, en la cual el pequeño pronuncia la frase “Feliz Navidad”, a la que Thatcher responde en contraplano “Y próspero año Nuevo” mostrándonos así el paso del tiempo.
Es una película interesante por su tema y por como esta producida sin embargo es un film largo y que puede ser un poco duro de ver. Pero hay que reconocer que es una obra que todos deberíamos ver.
Roma Cuidad Abierta
Roma Citta´ Aperta - 1945
Director: Roberto Rosellini
duración:1h 45min
Esta obra maestra del neorealismo italiano ocurre en roma durante los últimos años de la ocupación nazi de 1944. Se inspira en la historia verídica del sacerdote Luigi Morosini, torturado y muerto por los nazis por ayudar a la resistencia.
el neorealismo surge tras la liberación de la Italia fascista esto provoco cambios y uno de ellos fue querer romper con todo lo anterior. El neorealismo hace que el cine sea un reflejo exacto de la realidad, esto lo consiguen con escenarios proscritos, gentes vulgares y el no usar los primeros planos de los sentimientos de los actores.En la película se usa la improvisación, aceptan grabar con pocos recursos para así mostrar lo que la gente pedía, la realidad sin accesorios.
A mi el neorealismo italiano me gusta, me gusta su lentitud, sus temas y lo trágico. Esta película lo tiene y ademas muestra una época triste e interesante , permitiéndonos así conocer como se sufrió la guerra en otro país.
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bonvesin-and-co · 7 years
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Galleria Rubin inaugura la stagione espositiva con la personale dell'artista romana Alessandra Giovannoni. La mostra Ombre scure presenta panorami fatti di spiagge e distese assolate che diventano lo scenario di vicende antitetiche. Da un lato le ombre lunghe e placide dei villeggianti, nella calura estiva e dall'altro la penosa attesa dei migranti. I lunghi orizzonti dipinti dalla Giovannoni sono l'elemento narrativo che accomuna queste due prospettive, creando un dittico paradossale. La pittura di Alessandra Giovannoni è caratterizzata da paesaggi abitati da poche figure essenziali. Sagome che si stagliano monumentali nella luce, in ampie distese soleggiate. La presenza discreta dell'elemento umano é fondamentale insieme al tagliente effetto chiaroscurale delle ombre. Un richiamo alla Pittura metafisica italiana e al neorealismo americano di Edward Hopper. Più sottili ma non meno significativi sono invece i riferimenti al Romanticismo ottocentesco. Alessandra Giovannoni riprende infatti uno dei capolavori di Théodore Géricault: La Zattera della Medusa trasformandolo in un simbolo contemporaneo dell'emigrazione attraverso il Mediterraneo. La mostra presenta otto tele dipinte a olio di grande e medio formato. La tecnica è costituita da ampie pennellate che vanno a comporre zone di colore uniforme. Ogni pennellata ha un intenso effetto materico. Il ricco impasto crea effetti tridimensionali sulla superficie piatta della tela ed enfatizza la profondità delle vedute. Ombre scure mostra un paragone complesso: la doppia natura delle spiagge come meta tragicamente agognata e luogo di riposo. Alessandra Giovannoni conferisce nuova vitalità al tema tradizionale dei bagnanti affiancandolo a un soggetto di assoluta attualità: le migrazioni attraverso il Mediterraneo. Mettendo così in luce la vicinanza di due mondi solo in apparenza distanti.
Di lei hanno scritto storici e critici d’arte come: Lorenza Trucchi, Marisa Volpi, Lorenzo Canova, Fabrizio D’Amico, Marco Tonelli, Lea Mattarella, Sebastian Schulze, Carlo Alberto Bucci, Enzo Bilardello, Maurizio Calvesi, Mauro Pratesi, Augusta Monferini e Marco Di Capua.
Alessandra Giovannoni (Roma, 1954) ha frequentato la facoltà universitaria di Architettura. In seguito si diploma all'Accademia di Belle Arti di via Ripetta in scultura, con Emilio Greco e Lorenza Trucchi (1982). Negli anni Ottanta frequenta i corsi della Calcografia Nazionale di Roma e realizza scenografie cinematografiche.
Accompagna la mostra un catalogo con testo critico di Marco Tonelli.
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