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#perché si uccide un magistrato
mariocki · 10 months
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Perché si uccide un magistrato (How to Kill a Judge, 1975)
"Did he say anything before he died?"
"Didn't have the time. They were pros."
"If you know anything, tell me! Don't be an idiot. You saw how easy it is to die."
#perché si uccide un magistrato#how to kill a judge#italian cinema#damiano damiani#crime film#fulvio gicca palli#enrico ribulsi#franco nero#françoise fabian#pierluigi aprà#giancarlo badessi#eva czemerys#renzo palmer#vincenzo norvese#luciano catenacci#ennio balbo#giorgio cerioni#tano cimarosa#riz ortolani#elio zamuto#marco guglielmi#intensely good conspiracy thriller which offers a low key examination of italy's years of lead through the eyes of a film director#damiani asks questions about guilt vs culpability and isn't afraid to pull the strings on how the media (very specifically the media he was#personally involved in) reflects on and has the potential to interact with the violence and the civil unrest of the era. Nero's lead may be#getting to the bottom of a mystery like any good gialli or poliziotteschi protagonist but there's more than a hint that his drive isn't#purely justice based‚ but a desperate need to vindicate himself and to prove that he isn't responsible for a political assassination#when it comes down to it he chooses truth and right‚ despite its inconvenience‚ but again this isn't treated like a badge of honour: it's a#millstone round his neck‚ the choice he makes because he has to but the one through which nobody wins. spectacular filmmaking and#an unabashedly complex and intelligent treatment of genre staples. a brilliant cast too‚ with Renzo Palmer's disarmingly#charming and easygoing mafioso contact a particular highlight of the wide ensemble of characters. a very good film
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giancarlonicoli · 7 months
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13 nov 2023 16:18
“IO E DE DONNO SIAMO VIVI PERCHÉ LA MORTE DI BORSELLINO HA RESO INUTILE LA NOSTRA SOPPRESSIONE” - MARIO MORI E GIUSEPPE DE DONNO APRONO LE VALVOLE DOPO L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA - NEL LIBRO “LA VERITÀ SUL DOSSIER MAFIA-APPALTI” SI ACCENDE UN FARO SU QUEL FASCICOLO CHE, DOPO LA STRAGE DI CAPACI, DOVEVA PASSARE NELLE MANI DI BORSELLINO. MA NON FU MAI COSÌ E VENNE ARCHIVIATO – I DOCUMENTI IN CASSAFORTE DEL SINDACO DI PALERMO ORLANDO, I NOMI DELLE AZIENDE ITALIANE COINVOLTE NELL’ORGIA DI APPALTI PUBBLICI E… -
Estratto dell’articolo di Carlo Vulpio per il “Corriere della Sera”
«Io e De Donno siamo vivi perché la morte di Borsellino ha praticamente reso inutile la nostra soppressione». Lo scrive il generale dei carabinieri Mario Mori, che con il colonnello Giuseppe De Donno è autore de La verità sul dossier mafia-appalti (Piemme, 235 pagine, 19,90 euro). Il libro è «quel» libro sulla mafia e sul «sistema della corruzione coessenziale alla mafia», con nomi e cognomi, che mancava.
I due autori, militari del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma, sono stati i più stretti collaboratori di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, e questo libro volevano scriverlo da tempo, ma non hanno potuto, perché hanno dovuto trascorrere quindici anni a difendersi dall’accusa surreale di aver «trattato» con la mafia (per dissuaderla dalle stragi).
Un’accusa dalla quale sono stati assolti definitivamente «perché il fatto non costituisce reato» solo sette mesi fa.
La maxi-inchiesta Mori e De Donno raccontano l’inchiesta che «avrebbe potuto cambiare l’Italia», svolta dai Ros in Sicilia e consegnata nel 1991 a Falcone. Partita dagli appalti nei comuni di Baucina e di Bagheria, l’inchiesta si estese a tutta l’Isola e poi all’Italia, come aveva profetizzato Leonardo Sciascia ne Il giorno della civetta (1961) con la metafora della «linea della palma, che viene su, su per l’Italia, ed è già oltre Roma».
Il dossier dei Ros non ebbe mai vita facile. Nemmeno dopo l’assassinio di Falcone, il 23 maggio 1992, e poi di Borsellino, avvenuto il successivo 19 luglio. E alla fine venne seppellito definitivamente insieme con i due magistrati.
[…]
«Da un lato c’era il nemico — scrivono i due autori — e dall’altro quelli che senza essere oppositori dichiarati, omettevano, ritardavano, silenziavano». Il riferimento, esplicito, è non solo ai politici, ma anche e soprattutto ai magistrati. Un lungo elenco, tra quelli vivi e quelli morti (di vecchiaia) e secondo una differente gradazione di responsabilità, che va da Pietro Giammanco a Giuseppe Pignatone, a Giancarlo Caselli. Tutti, politici e magistrati, raccontati per ciò che hanno fatto (di male) o per ciò che non hanno fatto (di bene), o per la loro dantesca ignavia. Stesso discorso per il fronte antimafia «di professione».
Palermo, le collusioni
L’ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, per esempio. Mentre in tv accusava Falcone di tenere chiusi nei cassetti documenti su delitti eccellenti, custodiva in cassaforte documenti su imprese compromesse con la mafia, negandone l’esistenza davanti al magistrato Alberto Di Pisa, il quale fece perquisire il Municipio e trovò quei documenti.
Di Pisa stava per incriminare Orlando, ma due giorni dopo finì sui giornali con l’accusa di essere «il Corvo», cioè l’autore di lettere anonime contro Falcone e altri. Un falso, grazie al quale però gli tolsero l’inchiesta, di cui non si saprà più nulla. Poi, quattro anni dopo, nel 1993, distrutta la sua carriera, Di Pisa verrà assolto.
Gli appalti pubblici
Nell’orgia di appalti pubblici preconfezionati, in cui «la mafia che uccide è il “ministero della Difesa” dell’anti-Stato politico-economico», i Ros, Falcone, Borsellino e pochi altri (come il pm Felice Lima a Catania, che per non fare la stessa fine dovette lasciare il penale e trasferirsi al civile) capirono di aver messo a nudo «il sistema cardiocircolatorio della mafia, in tutta la Sicilia e in tutta l’Italia», «un sistema in cui guadagnavano tutti e in cui il mondo dell’economia non era certo vittima (come nello schema monco di Tangentopoli), ma al contrario era complice, anzi erano proprio gli imprenditori ad avviare la macchina».
Tanti i nomi importanti in cui si sono imbattuti i Ros - il libro ne contiene decine -, dall’impresa Tor di Valle di Roma, con il suo titolare Pietro Catti, genero di Alcide De Gasperi, alla Calcestruzzi di Ravenna del capitano d’industria Raul Gardini, che finirà suicida, fino all’«uomo degli appalti» in Sicilia, Filippo Salamone da Agrigento.
Dopo Giovanni Falcone E tuttavia, uccisi Falcone, la moglie e la sua scorta il 23 maggio ’92, l’inchiesta mafia-appalti non fa in tempo a passare nelle mani di Borsellino che il 13 luglio i pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato (oggi senatore del M5S) ne chiedono l’archiviazione. Ma a Borsellino non dicono nulla. Nemmeno nella riunione tra magistrati che si tenne in Procura a Palermo il giorno dopo, il 14 luglio, in cui Borsellino intervenne in maniera dura e preoccupata. Di questi e di molti altri «particolari» si è venuti a conoscenza solo trent’anni dopo […]
Il 19 luglio esplode l’autobomba che uccide Paolo Borsellino e i cinque membri della scorta, il 22 luglio il procuratore Giammanco appone il suo «visto» alla richiesta di archiviazione e il 14 agosto, la vigilia di Ferragosto, il gip di Palermo, Sergio La Commare, archivia mafia-appalti, «l’archiviazione più veloce della storia». Borsellino non doveva indagare.
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peter-ash · 3 years
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ericbrandonrp · 5 years
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// Gonna go to bed and watch Perché si uccide un magistrato. Whatever that means. It’s a movie with Franco Nero, so fuck the title I guess haha on the other hand I also wanna watch Force 10 from Navarone again ugh you know what I’ll just watch both now that I got time for that FINALLY I’ll type the replies tomorrow when I got enough sleep and actually feel like a living human being again. Goodnight!!
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nickname338 · 3 years
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wonderwheeljdblog · 3 years
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the Mandalorian season 2 → episodi 13, 14, 15, 16
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Titolo originale: Chapter 13: The Jedi Diretto da: Dave Filoni Scritto da: Dave Filoni
Sul pianeta Corvus, la Jedi Ahsoka Tano sta cercando di liberare la città di Calodan, tenuta sotto il controllo del magistrato Morgan Elsbeth e dai suoi soldati. Ahsoka le dà un giorno per arrendersi e divulgare la posizione del suo padrone.
Mando e il Bambino, la mattina seguente, arrivano sul pianeta reso inospitale, arrivano al villaggio ed incontrano il magistrato offre al Mandaloriano una lancia in puro beskar se riuscirà ad uccidere la Jedi.
Mando e il Bambino si inoltrano nel bosco vicino e incontrano Ahsoka che lo attacca, credendo che sia venuto per ucciderla, ma Mando rivela di essere stato mandato da Bo-Katan e per farle vedere una cosa, il bambino. Dopo aver parlato telepaticamente con il Bambino grazie alla Forza, Ahsoka rivela che il suo nome è Grogu ed era nel Tempio dei Jedi su Coruscant, ma dopo le Guerre dei Cloni fu nascosto e per sopravvivere ha dovuto nascondere i suoi poteri.
Mando spiega che la sua missione è di portarlo ai suoi simili, i Jedi, ed Ahsoka decide di esaminarlo la mattina dopo. La Jedi non riesce a far usare la Forza a Grogu, invece Mando sì grazie al forte legame con il Bambino. Tuttavia Ahsoka dice di non poterlo addestrare, perché il forte legame con Mando ha reso Grogu vulnerabile alle sue paure e alla sua rabbia, sentimenti che hanno corrotto l’animo del precedente Maestro di Ahsoka (probabilmente Anakin Skywalker). Mando propone ad Ahsoka di aiutarla a sconfiggere il magistrato Elsbeth, a patto che lei addestri Grogu: la Jedi accetta.
Quella sera i due entrano nella cittadina, dove riescono ad eliminare i soldati, Mando uccide il capo dei soldari, Lang e la Jedi riesce a sconfiggere anche la magistrata: dopo averla battuta in duello, Ahsoka chiede dove si trovi il suo padrone, ovvero il Grande Ammiraglio Thrawn.
Infine, dopo aver liberato il popolo, Ahsoka ripete di non poter addestrare Grogu, tuttavia consiglia a Mando di andare alle rovine di un Tempio Jedi su Tython con un forte legame con la Forza, dove Grogu potrà scegliere di espandersi nella Forza così che uno dei pochissimi Jedi rimasti possa sentirlo e andare ad aiutarlo. in cambio dell’aiuto nel salvare il villaggio gli dona la lancia Beskar che appartiene alla sua gente. Così il Mandaloriano e il Bambino ripartono sulla Razor Crest, verso la nuova destinazione.
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Titolo originale: Chapter 14: The Tragedy Diretto da: Robert Rodriguez Scritto da: Jon Favreau
Mando raggiunge il pianeta dove è situato il Tempio Jedi indicato da Ahsoka, pone il bambino su una "pietra veggente" con il quale entra in forte connessione con la Forza, tanto che appare uno scudo di forza a proteggerlo e invia un segnale nello spazio. 
ma il pianeta non rimane disabitato per molto tempo perchè atterra la Slave I, con a bordo Boba Fett e Fennec Shand, creduta morta in precedenza su Tatooine, come Boba stesso anni addietro (morto al tempo perchè mangiato da un verme della sabbia ). Dicendo di averlo seguito, e di essere un uomo libero da ogni credo diversamente da lui, Boba intima Mando di restituirgli la sua armatura trovata su Tatoine, mentre Fennec punta un fucile di precisione contro il bambino. I tre arrivano a un accordo senza sparare un colpo, ma successivamente atterrano due navette imperiali che seguono Mando attraverso un segnalatore inserito dal tecnici alla ultima riparazione della Crest, e nel frattempo Boba Fett recupera l'armatura (Mando lascia la nave aperta).
Mando, Boba e Fennec mettono in fuga gli assaltatori, ma Fett con un razzo distrugge le navi in fuga, ma improvvisamente un violento colpo di laser arrivato dall'incrociatore leggero imperiale di Moff Gideon disintegra completamente la Razor Crest di Mando (è questa la tragedia!). Tutto ciò che gli è rimasto adesso è solo la sua lancia in beskar.
Successivamente, Boba dimostra che l'armatura è codificata con il proprio nome e quello del padre Jango. Subito dopo, quattro Soldati Oscuri (Dark Trooper), usciti dall'incrociatore di Gideon volano giù e catturano il bambino, che si era addormentano dopo lo sforzo fatto per inviare il segnale, e lo riportano sull'incrociatore, che immediatamente fa il salto nell'iperspazio. Boba accetta di aiutare Mando, sentendosi in debito per il rapimento del bambino, e deducendo che l'Impero non è mai caduto del tutto. Senza una nave propria e senza il bambino, Mando ritorna su Navarro insieme a Boba e Fennec e chiede aiuto a Cara Dune per far evadere il criminale Mayfeld al fine di rintracciare Gideon e salvare Grogu.
Sull'incrociatore imperiale, Moff Gideon è stupito dalle abilità del bambino, che tiene testa a due soldati contemporaneamente e gli mostra brevemente la Spada oscura (Darksaber) e lo fa addormentare in attesa di arrivare al luogo dove il suo sangue sarà prelevato dal Dottor Pershing. 
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Titolo originale: Chapter 15: The Believer Diretto da: Rick Famuyiwa Scritto da: Rick Famuyiwa
Cara Dune prende in custodia il vecchio nemico del Mandaloriano, Migs Mayfeld, per acquisire le coordinate della nave di Moff Gideon. Mayfeld ha bisogno di un terminale per le coordinate, e li indirizza ad una raffineria imperiale nascosta, dove trasportano ridonio, su Morak, materiale volatile ed infiammabile. Quando arrivano, il Mandaloriano sceglie di accompagnare Mayfeld, perchè sia Dune che Fennech sono inserite nel registro imperiale.
Mayfeld e il Mandaloriano dirottano uno dei trasporti e si travestono da soldati. i trasporti contengono il ridonio, ma vengono attaccati dai pirati, che il Mandaloriano riesce a sconfiggere anche grazie all'aiuto di due caccia TIE. Raggiungono la struttura, l'unica spedizione sopravvissuta.
Il terminale di cui Mayfeld ha bisogno è nella sala mensa degli ufficiali, ma Mayfeld vede il suo ex comandante Valin Hess e teme di essere riconosciuto. Il Mandaloriano va invece, ma il terminale richiede una scansione facciale e si toglie l'elmo per acquisire i codici. Viene affrontato da Hess, perchè non lo conosce, ma Mayfeld interviene. Dopo aver preso un drink con Hess, Mayfeld si arrabbia per dei soldati morti inutilmente in un'operazione chiamata Cinder, dove sono stati uccisi migliaia di soldati solo per il creare il caos che l’impero sfrutta per essere poi il risolutore. Mayfeld adirato spara a Hess uccidendolo. Mayfeld e il Mandaloriano si fanno strada verso il tetto, mentre Fennec Shand e Dune forniscono fuoco di copertura e Boba Fett arriva a bordo della Slave I. Mayfeld distrugge la raffineria con un colpo di cecchino ben piazzato. La nave è inseguita da due caccia TIE, ma Fett li abbatte usando una carica sonica. Dune lascia Mayfeld libero come ringraziamento per il suo aiuto, e il Mandaloriano invia a Moff Gideon un messaggio minacciandolo e giura che salverà Grogu.
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Titolo originale: Chapter 16: The Rescue Diretto da: Peyton Reed Scritto da: Jon Favreau
Mando, Cara Dune, Boba Fett, Fennec Shand, riescono a sequestrare una navicella imperiale Lambda con a bordo il dottor Pershing, il tecnico incaricato di sfruttare il sangue di Grogu, prendendolo così in ostaggio. 
Il gruppo raggiunge su un pianeta Bo-Katan Kryze  e Koska convincendole ad unirsi a loro per organizzare una missione di salvataggio del piccolo Grogu sull'incrociatore Imperiale di Moff Gideon, avendone acquisito l'ubicazione usando come incentivo la possibilità di farle recuperare la spada oscura. 
Fingendo di essere attaccati da Boba (che subito dopo si da alla fuga) con la nave Lambda effettuano un atterraggio di emergenza sull’incrociatore di Gideon ma vengono attaccati dai soldati imperiali. Moff Gideon avvia l’attivazione del plotone di Soldati Oscuri, ma uno di loro riesce e Mando riesce a tenerli testa con difficoltà. 
Mentre il resto della squadra attende nella plancia dell'incrociatore, Mando riesce ad espellere il plotone di Soldati Oscuri nello spazio, usando una chiave gerarchica, dopodiché raggiunge la cella di Grogu, che è tenuto in ostaggio da Gideon, che sfida il Mandaloriano a duello usando la spada oscura. Mando riesce a disarmare Gideon e consegnarlo ammanettato a Bo-Katan, che tuttavia non può rivendicare il diritto di possesso della Spada Oscura perché non è stata lei a disarmare Gideon, il suo ultimo proprietario e quindi è Mando il legittimo re di Madalorian. Nel frattempo i quasi indistruttibili Soldati Oscuri precedentemente espulsi nello spazio ritornano sull'incrociatore (sono dei terminator) e tentano di fare breccia nella plancia, ma successivamente un caccia X-wing della Ribellione abborda e un Jedi disintegra tutti i Soldati Oscuri; nel mentre Gideon, vedendo i suoi soldati sterminati, raccoglie un blaster da terra e tenta di far fuoco prima su Mando poi sul bambino, ma viene accerchiato e successivamente stordito, dopo aver tentato di uccidersi puntandosi il blaster sotto il mento. 
Il Jedi si rivela essere Luke Skywalker, accompagnato dal droide R2-D2, che è accorso in aiuto di Grogu dopo che questo era entrato in connessione con la Forza. Il Jedi promette di occuparsi del bambino e di garantirgli un addestramento per le vie della Forza, Mando accetta a malincuore di affidare il bambino a Luke, e salutandolo per l'ultima volta si toglie l'elmo davanti a tutti. 
--- e con le lacrime agli occhi si conclude la seconda stagione di Mando --- 
JD
P.S. Dopo i titoli di coda, su Tatooine, vediamo il vecchio Palazzo di Jabba the Hutt, preso in possesso dai suoi vecchi seguaci sopravvissuti, incluso Bib Fortuna che è ora a capo dell'organizzazione criminale. Sopraggiungono Fennec Shand e Boba Fett che uccidono tutti i presenti e Fett siede sul vecchio trono di Jabba. --- THE BOOK OF BOBA
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strangememories · 7 years
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Perché si uccide un magistrato (aka How to Kill a Judge, 1975)
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viaggiatricepigra · 7 years
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Review Party: Le Piume Del Drago
«Qualcosa si deve pur fare per campare, e qualche indagine non autorizzata non è certo il peggiore dei mali. Specie se ti pagano profumatamente per condurla.» 
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Lorenzo Visconti detto il Drago continua a “non” essere un investigatore privato: non ha licenze ufficiali e nemmeno regole (tranne le sue). Ex sbirro che ha avuto qualche problema con la divisa e le istituzioni, il suo ufficio è un bar in via Gluck a Milano. Ed è lì che una mattina di luglio si presenta Valeria Zamperini chiedendogli di trovare la sorella scomparsa da cinque mesi. Iniziano così le indagini del Drago, aiutato dal socio Jamel, giovane francese mago dei computer, sulle tracce della ragazza. Nel frattempo un serial killer si aggira nella Bassa padana, lungo le sponde del Po, dove uccide le sue vittime con un macabro rituale. A indagare sugli omicidi ci sarà una vecchia conoscenza del Drago: il maresciallo Barillà, del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente di Milano. Due casi in apparenza molto distanti, ma che si riveleranno intimamente collegati. Con Le piume del Drago Lorenzo Visconti ci riporta in una Milano rovente, violenta e sporca, alternando le luci della città ai paesaggi del grande fiume malato, depredato e sfruttato dall’uomo, e alle parole di un vecchio pescatore. Ritorna Lorenzo Visconti, il Drago, dopo il suo "esordio" ne "La Legge Del Drago". Ex poliziotto che è riuscito a riabilitare il suo nome dopo un brutto caso in cui lo avevano incastrato e mandato in prigione, per cui decide di restare "sciolto": una specie di investigatore privato senza nulla a poterlo fermare, con le sue regole e nulla di più a gestire la sua vita. In questo libro lo troviamo ad affrontare un caso di sparizione. Al "bar" in via Gluck arriva una donna, Valeria Zamperini: bionda, gambe lunghe, occhi da cerbiatta; mandata dalla sua ex partner e amante Lara ancora nell'arma, per chiedergli di trovare la sorella scomparsa 5 mesi prima. Poche tracce e ancora meno speranze, ma accetta il caso. Con l'aiuto di Jamel, un giovane francese, esperto di computer e tecnologia, iniziano a battere le varie piste per trovare qualcosa. Nel frattempo si muove un indagine ufficiale per omicidio, in cui troviamo il maresciallo Barillà (non molto amico di Drago, che avevamo conosciuto nel precedente volume), il cadavere di un imprenditore edile della zona, messo in posa: la testa seppellita sotto una montagna di sabbia fino alle spalle. Pochi segni sul corpo, per cui le autorità dovranno attendere l'autopsia per capire come sia stato ucciso, cosa assolutamente sconcertante e che li lascerà senza parole. Insieme al magistrato Federica Della Rovere dovranno scavare per capire il perché di questo delitto e trovare il colpevole, ma ben presto si renderanno conto di aver a che fare con un killer molto intelligente, faticando a trovare un movente e qualcosa che unisca i vari cadaveri, che lentamente aumenteranno, in modo da prevenire le sue mosse e catturarlo. Un'indagine interessante e che porterà Barillà a scavare nei mesi precedenti nella sua memoria, rispolverando un caso davvero brutto nel quale aveva partecipato, insieme a molti altri. Le indagini dei due uomini si intrecceranno verso il finale: prevedibile come struttura, ma non come fatti, infatti dovremo faticare stando dietro alle indagini per capire, insieme agli investigatori, chi si nasconde dietro a questi crimini. Come nel precedente romanzo c'è la voce del killer anche qui, che disorienta il lettore, parlandogli della sua vita e del suo passato, in particolare del suo rapporto molto stretto con lo zio e ciò che gli ha insegnato. Capiremo solo andando avanti come mai tutto ciò  è legato alle indagini. Come sempre i personaggi si muoveranno in una Milano senza regole e senza vergogna, in compagnia di persone poco raccomandabili. Drago riesce a conquistare il lettore con la sua moralità particolare ed a volte contraddittoria, ma a lui non importa e fa quel che va fatto per arrivare a ciò che deve ottenere. Che sia trovare un colpevole per mandarlo in galera oppure punire un cattivo a suon di pugni. Un "bruto" dal cuore d'oro, vegetariano e amante degli animali (dopo aver passato parecchio tempo in prigione), ma che non disdegna un pestaggio per mettere in chiaro le cose. Anche con questo romanzo Visconti porta un protagonista, come gli altri personaggi, dal carattere interessante e che affascina il lettore, con una storia che ricorda un thriller televisivo, molto d'impatto e ben scritto, che scorre veloce e regala due indagini parallele particolari ed originali, che fanno riflettere. Lo potete leggere anche senza il precedente, si capirà ugualmente la storia, ma (credetemi) poi vorrete leggere anche il primo!
E se non avete ancora letto nulla (o vi interessa il cartaceo de "La Legge Del Drago") seguite e leggete ogni recensione di questo Review Party: una copia cerca casa! Ci sono poche regole: - Commentare ogni Tappa - Seguire ogni Blog Partecipante - Mettere un "mi piace" alla pagina Facebook della serie Regole opzionali (daranno più punti, ma non sono obbligatorie): - Condividere l'Evento - Se avete letto "La Legge del Drago" in digitale e fatto una recensione su Amazon, lasciate il vostro link.
Attenzione! Se l'acquisto non è verificato, non verrà accettata e verrete scartati!
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The Mad Otter Sognando Tra Le Righe Stamberga D'Inchiostro Viaggiatrice Pigra Lettere D'Inchiostro  
 Avete tempo fino a mezzogiorno di sabato 5 Agosto  
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 Valido solo per l'Italia. Spedizione tramite Piego Libri (Non Tracciabile), dopo la spedizione non ci riterremo responsabili del pacco
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sciscianonotizie · 6 years
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La mafia è buona!, Il Sessantotto a Napoli, Il Merito di Napoli, 70… ma non li dimostra, L’idea che avevo di tutto il resto, Rosso Velázquez, Il suono dell’amore.
Un mese ricco di libri e di appuntamenti per Rogiosi Editore che apre il suo calendario lunedì 5 novembre, alle 16.00, nella Sala Emeroteca della Biblioteca Nazionale, con “Il Sessantotto a Napoli. Frammenti di vita” di Massimiliano Crocco. Con l’autore interverranno Tristana Dini, docente di Etica dell’ambiente all’Università Federico II di Napoli e Mariagrazia Gravina, docente di Storia e Filosofia al liceo “Galileo Galilei” di Napoli. Modera Rosanna Borzillo, giornalista di “Nuova Stagione”. Massimiliano Crocco parte dal desiderio di inquadrare immagini del Sessantotto a Napoli, a cinquant’anni esatti da quei mesi così vivi e densi di avvenimenti. Allora, a tentoni, cerca un’icona, una storia, e va quasi a “sbattere” – così racconta – contro un frammento apicale di femminismo napoletano: Lina Mangiacapre.
Mercoledì 7 novembre, alle 18.00, lo spazio eventi laFeltrinelli Libri e Musica di via Santa Caterina 23 (piazza dei Martiri) ospita la presentazione del libro “La mafia è buona”, scritto a quattro mani dal magistrato Catello Maresca, Sostituto Procuratore della Repubblica e da Paolo Chiariello, un “giornalista scomodo alla mafia”. Con gli autori interverranno Franco Roberti, assessore alla Sicurezza Regione Campania e Federico Monga, direttore del quotidiano Il Mattino. “La mafia non uccide solo d’estate. La mafia ci uccide tutti i giorni, sporcando il nostro passato, sfruttandoci nel presente, privandoci del futuro – scrivono gli autori –. In questo libro proviamo a spiegare perché la mafia non è stata sconfitta e perché la parola mafia è sparita da anni dall’Agenda politica del Paese”.
Lunedì 12 novembre, alle 17.00, il PAN Palazzo delle Arti Napoli, ospita la presentazione della collana di libri “Il merito di Napoli”, edita da Rogiosi e realizzata con il coordinamento di Gianpasquale Greco. I titoli in collana sono “Fabrizia Ramondino tra Napoli e il Mondo” di Marina Diano, “L’avvento dei Motori. L’automobilismo nella Napoli del primo Novecento” di Luigi Casaretta, “La fortuna di Caravaggio nell’Ottocento Napoletano” di Alessandra Trifari, “Il sistema dell’arte contemporanea a Napoli: gallerie, fondazioni, musei” di Rosaria Carlomagno, “Le mie stagioni” di Stefano Cortese, “L’Arcipelago Imbriani” di Anna Rita Rossi. L’evento è organizzato in collaborazione con l’Associazione Culturale Creativi Attivi.
Mercoledì 14 novembre, alle 17.00, la Bibliomediateca Ethos e Nomos, in via Bernini 50, ospita la presentazione di “70… ma non li dimostra. La costituzione spiegata ai ragazzi” di Gianpaola Costabile. Con l’autrice interverranno il magistrato Nicola Graziano, Pasquale Malva, già dirigente scolastico Liceo “G. Mazzini” di Napoli, Davide Estate, presidente Fondazione Antiracket Vomero. Modera la giornalista Daniela Merola. L’obiettivo del libro è quello di presentare agli studenti gli articoli fondanti del dettato costituzionale, rinforzati da citazioni di personaggi illustri circa il valore della Costituzione e corredati di racconti, che aiutino gli educatori di riferimento a sviscerarne contenuti e principi ispiratori.. Il libro “70… ma non li dimostra. La costituzione spiegata ai ragazzi” sarà presentato anche alla Feltrinelli di Caserta, martedì 20 novembre alle 18.00.
Venerdì 16 novembre, alle 18.00, al Gran Caffè Gambrinus si terrà la presentazione del libro “L’idea che avevo di tutto il resto” di Alfonso Cusano. Con l’autore interverrà Antonio Tricomi, giornalista del quotidiano La Repubblica. Reading affidato all’attrice Stefania Stella Granato.Il libro racconta la storia di Ettore che vive sprofondato nei suoi pensieri, e tutto quello che lo circonda fatica ad assumere un significato netto e preciso. A Napoli il suo laboratorio di scene teatrali è uno dei più apprezzati sulla piazza. Lui lavora fino a tardi. Va a mangiare qualcosa al pub di un amico al centro storico, oppure un po’ di pesce al porto del Granatello. Insegue qualche avventura facile, ascolta buona musica. In fondo, non chiede di più. Eppure, la notte fatica a dormire, e se ne sta spesso a guardare le stelle. Si porta dentro i cocci di un matrimonio fallito, e la vita che è andata come è andata: l’Accademia, l’arte e la politica; gli anni giovani delle “grandi idee”, che sono passati lasciando l’amaro in bocca. Adesso sono gli anni Ottanta e tutto sta cambiando. Ma il futuro, quando arriva, non è mai come ce l’eravamo immaginato. Perché intanto gli amici partono, i genitori si fanno vecchi, il lavoro ti ruba la vita. E poi c’è l’amore, che è sempre una cosa complicata, un equilibrio difficile da centrare.
Mercoledì 21 novembre, alle 18.00, al Gran Caffè Gambrinus sarà presentato “Rosso Velázquez” di Roberto Middione. Nel libro, che rientra nella collana di gialli Rosso&Nero, il mondo dell’arte e oscuri risvolti thriller sono i punti cardinali di una trama in bilico tra passato e presente, tra Napoli e Madrid. Entro queste coordinate muove Rosso Velázquez, romanzo di esordio che segue i percorsi del giallo storico, del saggio, del racconto di caratteri. Ne è protagonista Glauco Sampieri, un addetto ai lavori impegnato a organizzare una memorabile mostra sui tre geni del pennello, Tiziano, Rubens e Velázquez. Indizi, antefatti, incognite del presente e slanci per il futuro agiteranno i suoi percorsi, con la saltuaria presenza della sua compagna Angela e dei suoi singolari colleghi, oltre alle entrate in scena di personaggi surreali o inquietanti, tutti sopra le righe. Sullo sfondo, irresistibile chimera, occhieggia il capolavoro dimenticato e poi cercato, quel Rapimento d’Europa del sivigliano Velázquez, ponte di unione tra la Napoli seicentesca capitale del Viceregno spagnolo e la convulsa metropoli di oggi.
Giovedì 29 novembre, alle 18.00, sempre al Gran Gaffè Gambrinus sarà presentato “Il suono dell’Amore” di Carlo Giordano. Con l’autore interverrà Gianpasquale Greco. Modera la giornalista Valentina Amore. In questo libro, che rientra tra i gialli della collana Rosso&Nero Rogiosi, l’ispettore Molinari torna a indagare sulla sua amata città, Napoli: questa volta quanto mai cosmopolita, da sempre pronta ad accettare qualsivoglia attività lavorativa, nonché magnanima verso si industria a vivere unicamente di fantasia. Una Napoli che ha da sempre concesso il suo abbraccio ospitale a chiunque lo chiedesse e, ancora una volta, accetta di essere palcoscenico di una variegata moltitudine di personaggi. Improbabili attori che attraversano la vita come fosse una commedia, e nonostante i percorsi diversi, finiscono tutti per cadere in amore, rifugiandosi in storie che sembrano impossibili, ma sono pur sempre improntate sul più classico dei sentimenti. Partenope, fiera delle sue antiche leggende, si inventa di tutto per proteggere ogni anelito e far splendere ogni luce. Ma l’amore, nelle sue forme più disparate, è la più complessa delle passioni, e Matteo Molinari deve saper trovare il bandolo di una matassa ingarbugliata più che mai.
Tutti gli appuntamenti di novembre di ROGIOSI EDITORE La mafia è buona!, Il Sessantotto a Napoli, Il Merito di Napoli, 70… ma non li dimostra, L’idea che avevo di tutto il resto, 
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paoloxl · 7 years
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Iniziato, al Tribunale di Altona ad Amburgo,  il processo a Fabio Vettorel, l’attivista italiano da 4 mesi in carcere. Nell’udienza di oggi Fabio ha rilasciato una dichiarazione che riportiamo. Nuova udienza il 14 novembre “Signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, Voi oggi siete chiamati a giudicare un uomo. Lo avete chiamato “aggressivo criminale” e “irrispettoso della dignità umana”. Personalmente non mi curo degli appellativi che mi attribuite. Io sono solo un ragazzo di buona volontà. Prima di tutto vorrei dire che probabilmente i signori politicanti, i signori commissari di polizia e i signori magistrati pensano che incarcerando e arrestando qualche ragazzetto si possa fermare il dissenso nelle strade. Probabilmente lor signori pensano che le prigioni bastino a spegnere le voci ribelli che dovunque si alzano. Probabilmente lor signori pensano che la repressione fermerà la nostra sete di libertà. La nostra volontà di costruire un mondo migliore. Ebbene, essi si illudono. Ed è la storia che dà loro torto. Perché innumerevoli ragazzi e ragazze come me sono passati per un tribunale come questo. Infatti oggi è Amburgo, ieri era Genova, prima ancora era Seattle. Voi cercate di arginare le voci di rivolta che ovunque si alzano con ogni mezzo “legale”, con ogni mezzo “procedurale”. Comunque sia, qualunque sarà la decisione di questo tribunale, essa non inciderà sulla nostra protesta. Ancora tanti ragazzi e tante ragazze, mossi dai medesimi ideali, scenderanno nelle strade d’Europa. Incuranti delle prigioni che con tanto affanno vi sforzate di riempire di detenuti politici. Ma veniamo al dunque, signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori. Veniamo al dunque. Come potrete immaginare io oggi voglio avvalermi del mio diritto di non rilasciare dichiarazioni in merito allo specifico fatto di cui sono imputato. Tuttavia vorrei porre l’attenzione su quali siano le motivazioni che spingono un giovane operaio originario di una remota cittadina delle Prealpi orientali a venire ad Amburgo. Per manifestare il proprio dissenso contro il vertice del G-20. G-20. Solo il nome ha in sé qualcosa di perverso. Venti tra uomini e donne esponenti dei venti paesi più ricchi e industrializzati del globo si siedono attorno a un tavolo. Si siedono tutti insieme per decidere il nostro futuro. Sì, ho detto bene: il nostro. Il mio, come quello di tutte le persone sedute in questa stanza oggi, come quello di altre 7 miliardi di persone che abitano questa bella Terra. Venti uomini decidono della nostra vita e della nostra morte. Ovviamente a questo grazioso banchetto la popolazione non è invitata. Noi non siamo che lo stupido gregge dei potenti della Terra. Succubi spettatori di questo teatro dove un pugno di uomini tengono in mano un’umanità intera. Io, signora giudice, ho pensato molto prima di venire ad Amburgo. Ho pensato al signor Trump e ai suoi Stati Uniti d’America che sotto la bandiera della democrazia e della libertà si ergono poliziotti del mondo intero. Ho pensato ai tanti conflitti accesi dal gigante americano in ogni angolo del pianeta. Dal Medio Oriente all’Africa. Tutti per accaparrarsi il controllo di questa o quella risorsa energetica. Poco importa se poi a morire siano sempre i soliti: civili, donne e bambini. Ho pensato anche al signor Putin. Nuovo zar di Russia. Che nel suo paese viola sistematicamente i diritti umani e si fa beffe di qualunque opposizione. Ho pensato ai Sauditi e ai loro regimi fondati sul terrore, con cui noi occidentali facciamo affari d’oro. Ho pensato a Erdogan che tortura, uccide, imprigiona i suoi oppositori. Ho pensato anche al mio paese, dove a colpi di decreti legge ogni governo cancella senza tregua i diritti di studenti e lavoratori. Insomma, eccoli qui i protagonisti del sontuoso banchetto che si è tenuto ad Amburgo lo scorso luglio. I più grandi guerrafondai e assassini che il mondo contemporaneo conosca. Prima di venire ad Amburgo ho pensato anche all’iniquità che flagella oggi il pianeta. Mi sembra quasi scontato infatti ribadire che l’1 % della popolazione più ricca del mondo detiene la stessa ricchezza del 99% più povero. Mi sembra quasi scontato ribadire che gli 85 uomini più ricchi del mondo detengono la stessa ricchezza del 50% della popolazione mondiale più povera. 85 uomini contro 3 miliardi e mezzo. Queste poche cifre bastano a rendere l’idea. E poi, signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, prima di venire ad Amburgo ho pensato alla mia terra: a Feltre. Il luogo dove sono nato, dove sono cresciuto e dove voglio vivere. La cittadella medioevale è incastonata come una gemma nelle Prealpi orientali. Ho pensato alle montagne che al tramonto si tingono di rosa. Ai bellissimi paesaggi che ho la fortuna di vedere dalla finestra di casa. Alla bellezza che travolge questo luogo. Poi ho pensato ai fiumi della mia bella valle violentati dai tanti imprenditori che vogliono le concessioni per costruire centrali idroelettriche. Incuranti dei danni alla popolazione e all’ecosistema. Ho pensato alle montagne colpite dal turismo di massa o diventate luogo di lugubri esercitazioni militari. Ho pensato al bellissimo posto dove vivo che sta venendo svenduto ad affaristi senza scrupoli. Esattamente come tante altre valli in ogni angolo del pianeta. Dove la bellezza viene distrutta nel nome del progresso. Sulla scia di tutti questi pensieri ho deciso dunque di venire ad Amburgo a manifestare. Per me venire qui è stato prima un dovere che un diritto. Ho ritenuto giusto oppormi a queste scellerate politiche che stanno spingendo il mondo verso il baratro. Ho ritenuto giusto battermi perché qualcosa sia almeno un po’ più umano, dignitoso, equo. Ho ritenuto giusto scendere in piazza per ribadire che la popolazione non è un gregge, e nelle scelte essa deve essere interpellata. La scelta di venire ad Amburgo è stata una scelta di parte. La scelta di stare dalla parte di chi chiede diritti e contro chi li vuole togliere. La scelta di stare dalla parte di tutti gli oppressi del mondo e contro gli oppressori. La scelta di combattere i potenti grandi e piccoli che usano il mondo come fosse un loro gioco. Incuranti che poi a farne le spese sia sempre la popolazione. Ho fatto la mia scelta e non ho paura se ci sarà un prezzo da pagare ingiustamente. Tuttavia c’è anche un’altra cosa che voglio dirvi, che voi mi crediate o meno: a me la violenza non piace. Però ho degli ideali e per questi ho deciso di battermi. Non ho finito. In un’epoca storica in cui dovunque nel mondo si alzano nuove frontiere, si stende nuovo filo spinato, si alzano nuovi muri dalle Alpi al Mediterraneo, trovo meraviglioso che migliaia di ragazzi da ogni parte d’Europa siano disposti a scendere insieme nelle strade di un’unica città, per il proprio futuro. Contro ogni confine. Con l’unico comune intento di rendere il mondo un posto migliore di come l’abbiamo trovato. Perché signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, perché noi non siamo il gregge di venti signorotti. Siamo donne e uomini che vogliono avere il diritto di disporre delle proprie vite. E per questo combattiamo e combatteremo.“ (Dichiarazione resa da Fabio Vettorel. all’udienza del 7 novembre 2017 al Tribunale di Altona ad Amburgo) E’ entrato questa mattina nel vivo, nell’aula dell’Amtsgericht di Altona, il processo a Fabio Vettorel, proprio nel giorno in cui si compie il quarto mese di carcerazione per il diciannovenne studente di Feltre (Belluno). Fabio rimane l’unico italiano ancora detenuto ad Amburgo per la partecipazione alle giornate di protesta del luglio scorso contro il vertice del G20. La sua condizione è tanto più paradossale, considerato il fatto che si tratta del più giovane tra gli attivisti arrestati in quell’occasione, addirittura giudicato come «minorenne» secondo il diritto penale tedesco. Lo studente è imputato di reati di modesta entità, quali il «disturbo alla quiete pubblica», il «tentativo di causare danni mediante mezzi pericolosi» (lancio di oggetti) e la «resistenza a pubblico ufficiale». Maggiorenni con simili imputazioni sono stati condannati con la condizionale e subito rilasciati. Da questo punto di vista la sua detenzione preventiva ha assunto il carattere di una vendetta punitiva e, per molti aspetti, di un trattamento discriminatorio. Il processo, dopo un primo tentativo di ricusare il magistrato giudicante che già aveva negato il rilascio di Vettorel, inizierà oggi con la testimonianza di sei poliziotti presenti al suo arresto. Secondo la sua avvocata, Gabriele Heinecke, finora le autorità tedesche non sono riuscite a produrre alcuna prova specifica sul coinvolgimento del giovane nelle «azioni criminali» di cui è accusato. Fabio starebbe pagando la semplice presenza a Rondenbarg, là dove la polizia ha caricato senza giustificazione un gruppo di manifestanti che si stava dirigendo ai blocchi intorno alla «zona rossa» del Summit. Sul caso è intervenuta anche Amnesty International che ha severamente criticato, come contrario alle stesse raccomandazioni del Consiglio d’Europa, l’uso della detenzione preventiva, ritenuta «non strettamente necessaria» di fronte all’assenza del rischio di fuga e alle caratteristiche personali dell’imputato, a cominciare dalla giovane età. Per questo Amnesty ha chiesto, fin dall’ottobre scorso, il «rilascio di Fabio Vettorel in attesa del processo» e, quanto meno, di valutare l’applicazione di misure alternative al carcere nei suoi confronti, così come per gli altri detenuti del G20. Domenica pomeriggio, nel quadro della campagna UnitedWeStand, oltre duecento persone hanno dato vita ad Amburgo a un rumoroso presidio davanti al carcere di Billwerder. Al termine centinaia di pallocini, rossi e neri, sono volati in aria oltre le mura della prigione. Un benaugurante messaggio di libertà, in attesa che il castello delle accuse crolli e che anche l’incubo di Fabio, insieme agli altri ancora ostaggi dei «Venti Grandi», finisca. (Beppe Caccia da il manifesto)
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giancarlonicoli · 4 years
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20 ago 2020 20:20
L’INDIFFERENZA UCCIDE – IL PICCOLO EVAN, UCCISO A BOTTE NEL SIRACUSANO DALLA MADRE E DAL SUO COMPAGNO, ERA FINITO TRE VOLTE IN OSPEDALE: SETTE MESI DI MALTRATTAMENTI E ANGHERIE CON FRATTURE, TUMEFAZIONI ALL'ANCA E AL GINOCCHIO E PERFINO “IL TAGLIO DI UNA PARTE DELL'ORECCHIO”, TRE REFERTI MEDICI CHE CERTIFICANO VIOLENZE INDICIBILI - È POSSIBILE CHE NESSUNO TRA MEDICI, CARABINIERI, POLIZIA E SERVIZI SOCIALI ABBIA FATTO QUALCOSA? L'ESPOSTO CHE IL PADRE AVEVA FATTO A GENOVA NON E' MAI ARRIVATO A SIRACUSA E...
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1 - TRE RICOVERI E UNA DENUNCIA SMARRITA IL PICCOLO EVAN UCCISO DALL'INDIFFERENZA
Fabio Albanese per “la Stampa”
La procura di Genova dice di avere spedito ai colleghi di Siracusa l'esposto del papà di Evan agli inizi di agosto. La procura di Siracusa assicura di non avere mai ricevuto nulla. I Servizi sociali di Rosolini avevano preso in carico la vicenda del bambino ma non avevano ancora inviato un rapporto. Per tre volte, il 27 maggio, il 12 giugno e il 6 luglio, Evan era finito in ospedale per lividi, bruciature e perfino per una frattura; in almeno una di queste occasioni l'ospedale Trigona di Noto aveva avvertito i Servizi sociali del comune di residenza del bimbo, Rosolini, ma le azioni conseguenti sono «oggetto di verifica», come dicono i pm.
Nella triste e terribile storia di Evan Lo Piccolo, 21 mesi, morto lunedì scorso al suo arrivo all'ospedale Maggiore di Modica e per il quale la madre e il suo nuovo compagno sono in stato di fermo per i reati di maltrattamenti in famiglia e omicidio in concorso, ci sono molti tasselli ancora fuori posto: «Stiamo facendo accertamenti su tutti i profili possibili», dice il procuratore di Siracusa Sabrina Gambino che, con l'aggiunto Fabio Scavone e la pm Donata Costa, guida l'inchiesta.
Dalla serie di punti ancora da chiarire emerge una sottovalutazione del rischio a cui il bimbo era esposto da quando la madre, Letizia Spatola, 23 anni, aveva iniziato una nuova relazione, quella con Salvatore Blanco, 32 anni. Da quel momento nella loro casa di edilizia popolare alla periferia di Rosolini, a sud di Siracusa, le botte erano una costante.
Non solo al bambino ma anche alla madre, come lei stessa ha raccontato ai pm la notte in cui è stata fermata. Risparmiato solo l'altro suo figlio, 6 anni, avuto da una precedente relazione. Nessuno, almeno ufficialmente, sapeva. Lei, ogni volta che i nonni di Evan chiedevano perché il bambino aveva quei lividi addosso, diceva che era caduto, che aveva sbattuto su un mobile giocando, scuse con cui copriva il compagno, «temuto e del quale era succube» come hanno spiegato gli investigatori. La donna, seppure il fermo sia per gli stessi reati del compagno, è accusata di non «essersi attivata per impedire» all'uomo di picchiare il bambino.
Ma in quella casa, e ancora prima che il 6 agosto l'avvocato di Stefano Lo Piccolo consegnasse alla procura di Genova l'esposto e le foto di Evan con il volto tumefatto ricevute dalla nonna del bimbo, i servizi sociali del comune di Rosolini erano già entrati. Senza però che un allarme scattasse. «Avevano in carico il caso ma non dico altro per rispettare il segreto istruttorio, lasciamo fare il lavoro a chi lo deve fare», si arrocca il sindaco del paese, Pippo Incatasciato. Ai servizi sociali, che con il sindaco hanno avuto un confronto nelle ultime ore, dicono seccati «non possiamo parlare». E' evidente che in Comune ci sia imbarazzo per una vicenda che forse avrebbe potuto avere una diversa attenzione.
E poi c'è l'esposto presentato dal padre di Evan alla procura di Genova, finora mai arrivato a Siracusa: «Né qui né alla procura dei minorenni», precisa il procuratore Gambino che riferisce anche un particolare: «Genova ha iscritto l'esposto a modello K, cioè fatto non costituente reato» e sottolinea come si tratti di «un esposto generico». Nemmeno la nonna - che i lividi li aveva visti, fotografati e riferiti al figlio - «ha mai pensato di rivolgersi a noi o alla polizia». Da Genova confermano di «avere inviato le carte a Siracusa il 7 agosto».
Dove siano, adesso, queste carte, è dunque un mistero. Ieri, nell'obitorio dell'ospedale Maggiore di Modica, il medico legale Maria Francesca Berlich ha compiuto l'autopsia sul cadavere del bimbo e ha accertato numerosi traumi al cranio. Il rapporto con le esatte cause del decesso dovrà essere depositato 60 giorni.
2 - IL FEMORE ROTTO, L'ORECCHIO TAGLIATO QUELL'ORRORE DURATO SETTE MESI
Tommaso Fregatti per “la Stampa”
Sette mesi di maltrattamenti e angherie con fratture, tumefazioni all'anca e al ginocchio e perfino «il taglio di una parte dell'orecchio», tre referti medici che certificano violenze indicibili e la madre che «per due volte porta il suo bimbo bisognoso di cure al pronto soccorso di Noto e poi si allontana dall'ospedale». Di fatto abbandonandolo. Sono inquietanti le carte d'inchiesta sulla morte di Evan Giulio Lo Piccolo, il bambino di un anno ucciso a botte dalla madre Letizia Spatola e dal compagno Salvatore Blanco.
Carte che, oltre a raccontare come il piccolo abbia vissuto un incubo lungo sette mesi, evidenziano come in molti (a cominciare dal personale sanitario che lo aveva avuto in cura) fossero a conoscenza di violenze e soprusi ma nulla abbiano fatto per impedire che i maltrattamenti continuassero. Il sostituto procuratore Donata Costa che coordina l'inchiesta nei capi d'imputazione, messi nero su bianco per eseguire l'autopsia, parla di «reiterate aggressioni fisiche» che madre e compagno avrebbero inferto al piccolo Evan. «Maltrattato più volte» Ma non solo.
Allega tre referti ospedalieri che potrebbero rilevarsi molto importanti per lo sviluppo dell'inchiesta. Il pm evidenzia come la mamma Letizia e il suo nuovo compagno «lo abbiano maltrattato provocandogli in più occasioni lesioni personali anche gravi». E in particolare viene citato il referto del 27 maggio 2020 quando il piccolo Evan arriva all'ospedale di Noto «con la frattura scomposta del femore destro, con tumefazioni all'anca e al ginocchio». Il 12 giugno, esattamente quindici giorni dopo, la madre riporta il piccolo in ospedale.
Perché Evan non è stato curato come si dovrebbe e le ferite si sono infettate. E però, invece, che stare vicino al suo piccolo di un anno - viene messo nero su bianco nel referto - la madre «si allontana volontariamente dal pronto soccorso». Una circostanza che si ripete nel terzo accesso in ospedale. Siamo al 6 giugno - due mesi e dieci giorni prima della morte del piccolo - e questa volta i medici gli diagnosticano «la frattura della clavicola sinistra». Ma annotano ancora una volta come la madre lasci il piccolo il ospedale «e si allontani volontariamente dallo stesso». E poi, non refertate ma documentate dalla Procura - tanto da essere inserite nel capo d'imputazione per maltrattamenti in famiglia in concorso, ci sono altre violenze choc.
Anche ustioni alle mani Tra queste «un'ustione alla mano destra, un taglio posteriore dell'orecchio, due tagli in regione frontale con copiosa fuoriuscita di sangue, una botta alla fronte, una ferita lacero contusa all'occhio destro e, da ultimo, un trauma cranico in conseguenza del quale il bambino decedeva». Nel capo d'imputazione il pm evidenzia come queste violenze non siano estemporanee come, invece, si era creduto in un primo momento.
Ma sono state «reiterate nel tempo». Il magistrato che coordina l'inchiesta ipotizza un inizio «a febbraio 2020» e una fine «il 17 agosto» quando il piccolo Evan muore. È possibile che in sette mesi nessuno tra medici, carabinieri, polizia e servizi sociali si sia accorto delle angherie che subiva il piccolo nonostante le segnalazioni di nonni e papà da Genova? «È incredibile - dice il padre Salvatore Lo Piccolo assistito dall'avvocato Federica Tartara - che mio figlio sia morto in questo modo. Vogliamo giustizia per quello che è successo». -
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giancarlonicoli · 5 years
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15 gen 2019 12:39 IL TERRORISMO ROSSO ITALIANO È UNA SAGA DI DELINQUENTI E CRIMINALI DA DUE SOLDI COME BATTISTI. A COLPIRMI L’OSTINAZIONE DI PIERO SANSONETTI, CHE RESTA CIECO INNANZI ALLA VERITÀ DEI FATTI, E LA CIVILTÀ CON CUI IL TORREGIANI FIGLIO, UNA DELLE VITTIME DI BATTISTI, HA COMMENTATO QUELL’OSCENA FARSA DI MINISTRI ITALIANI CHE ESULTAVANO IN FAVORE DI CAMERA PER L’ARRIVO DEL CRIMINALE CHE ASPETTAVAMO DA 37 ANNI E CHE CI E' COSTATO... 
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, all’aeroporto di Roma è sbarcato ieri un assassino, un personaggio da due soldi il cui destino sarebbero stati i piccoli crimini di strada se non fosse che i veleni dell’ideologia erano diffusissimi in quell’Italia dei Settanta e meglio ancora nelle sue carceri. E con tutto questo, malgrado Cesare Battisti abbia cominciato, a un certo punto della sua vita, ad autoidentificarsi come uno che combatteva le “ingiustizie sociali”, un piccolo criminale era e tale è rimasto, e seppure abbia avuto in Francia una buona mano nello scrivere dei “noir” di media tacca.
E del resto erano tanti i terroristi di sinistra che erano poco più che dei delinquenti di strada, altro che gli “idealisti” di cui cianciava l’attrice francese Fanny Ardant, tanto bella quanto intellettualmente irresponsabile.
Mi colpisce di più l’ostinazione di Piero Sansonetti, una persona e un giornalista che stimo (e di cui condivido la passione per il “garantismo” in fatto di giustizia) ma che evidentemente una volta che si innamora di un’idea resta cieco innanzi alla verità dei fatti. Ancora in queste ore si è detto convinto dell’innocenza di Battisti, o per lo meno del fatto che non ci sono prove che lui sia un assassino. Subito smentito dallo stesso Battisti, il quale nel mettere piede in Italia dopo 37 anni s’è riconosciuto “colpevole” anche se non di tutto.
Credo che sia esattamente così, lui ne ha ammazzati due, in altri due casi ha avuto un ruolo comunque secondario. Lui non c’entra niente con il ferimento di Torregiani figlio (colpito da una pallottola di rimbalzo sparata dal padre che stavano assassinando), una vittima di cui mi ha colpito la civiltà con cui ha commentato quell’oscena farsa di ministri italiani che esultavano in favore di camera per l’arrivo del criminale che aspettavamo da 37 anni e a catturare il quale abbiamo impiegato decine e decine di milioni di euro.
Fedele come sono al “principio di pietà” di cui ha scritto da par suo Mattia Feltri, a me va bene che Battisti non avesse le manette quando è sceso dalla scaletta dell’aereo. La sua cattura non è una festa. E’ l’ultimo atto di un’interminabile tragedia, e il mio pensiero non può non correre ai tre figli di Battisti sparsi per il mondo. Trenta e passa anni fa avesse riconosciuto le sue colpe, si fosse presentato innanzi a un tribunale italiano a separare ciò che aveva fatto davvero da ciò che non aveva fatto, avesse accettato la sua pena, oggi sarebbe un cittadino libero di vivere l’ultimo segmento della sua vita.
Un criminale da due soldi che aveva ipnotizzato la buona parte dell’intellighentia francese. Molti dei quali tipini ai quali non affiderei neppure da passeggiare il mio cane da quanto li so prevenuti sempre e comunque a favore degli “enragés”, affascinati da ciò che va contro la società esistente, meglio ancora se ti chiami Carla Bruni e da quella società hai avuto tutto ma proprio tutto.
Ho letto un testo di Bernard-Henry Lévy a difesa di Battisti. Da come raccontava l’Italia di quel tempo, dimostrava di non sapere nulla di nulla di nulla. Probabilmente gliela avevano raccontata al Café Flore qualcuno dei tanti terroristi italiani rifugiati in una Francia ospitale, o magari qualcuno dei numerosi intellettuali italiani che mantengono nei confronti dei terroristi rossi l’atteggiamento amicale che meritano dei “compagni che sbagliano”: ossia che le premesse ideali e politiche di quei tipini erano giuste e sacrosante, solo era sbagliato il momento in cui hanno premuto il grilletto.
E invece no. La saga del terrorismo rosso italiano è una saga di delinquenti e criminali da due soldi. Quando il quotidiano “Lotta continua” pubblica, a pochi giorni dall’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il brano dell’autobiografia della medaglia d’oro della Resistenza Giovanni Pesce in cui lui racconta l’agguato che da solo portò - in una piazza della Milano presidiata dai nazifascisti - a un bestione fascista e alle sue due guardie del corpo _ come a dire “Vedete che abbiamo fatto a Calabresi quel che Pesce ha fatto al bestione fascista nel 1945”, ebbene quella è innanzitutto una porcata intellettuale.
Allucinante il paragonare l’agguato in tempo di guerra contro un avversario spietato all’andare alle spalle di un commissario di polizia disarmato che stava aprendo lo sportello dell’auto con cui andava al lavoro e ucciderlo con due colpi alle spalle. Delinquente chi ha sparato, delinquente chi ha ordito l’azione. (Altro che “i migliori della nostra generazione” come qualcuno li ha chiamati)
Delinquenti i quattro che si appostarono dalle parti dell’abitazione torinese dell’ex partigiano Carlo Casalegno, aspettarono che lui tornasse dal lavoro, entrarono nell’androne del palazzo e gli tirarono quattro colpi di pistola in faccia, e a Casalegno gli ci vollero 17 giorni per morire. Delinquenti i due che pedinarono il mio amico Walter Tobagi che stava andando anche lui al lavoro, armato della macchina stilografica infilata dentro il taschino della giacca, e lo uccisero sparandogli alle spalle. Delinquenti i terroristi di Prima linea che aspettarono il magistrato milanese all’angolo di una strada da dove passava in macchina ogni mattina dopo aver portato il figlio a scuola e lo assassinarono. Il 22 marzo 1977 un agente di polizia che stava tornando nella sua casa romana, Claudio Graziosi, intercetta sul bus una terrorista fuggita da un carcere  - Maria Pia Vianale -,  la afferra per un braccio a casa e non si accorge che alle sue spalle s’è alzato un altro terrorista – Antonio Lo Muscio _ che lo uccide tirandogli sei o sette colpi di rivoltella alle spalle. Altro che idealisti, vili assassini.
E allora la “geometrica potenza” dell’agguato ad Aldo Moro? Ma quale “potenza”. La scorta era pressoché disarmata e difatti non riuscì a sparare un solo colpo, neppure l’eroico maresciallo Leonardi; le a non dire che lo Stato italiano non aveva i soldi di che blindare l’auto del presidente Moro. Non c’è un solo agguato dove i terroristi abbiano rischiato qualcosa, uccidevano a gratis vittime inermi e tranne nel caso di dell’agguato a un vicequestore di Roma (il 14 dicembre 1976) in cui ci lascia la pelle un militante dei Nap di nome Martino Zicchitella.
Se incontro Bernard-Henry Lévy tutte queste cose gliele racconto una a una, l’ora degli agguati, la dinamica, i colpi a uccidere, chi ha fatto che cosa e come lo ha fatto. Sono certo che capirà, certissimo. E’ un uomo intelligente. Capirà che queste cose le so a puntino perché quegli assassini e quei delinquenti erano dei figli della mia generazione, qualcuno di loro lo avevo conosciuto. Molti di loro mi sono diventati amici una volta che avessero riconosciuto la loro follia, il loro delirio che gli aveva fatto scambiare gli omicidi alle spalle per atti che avrebbero reso migliore l’umanità.
Ps. Purtroppo ci sono stati dei casi in cui sono state le forze dell’ordine ad assassinare, né più né meno. E’ stato il caso di Anna Maria Mantini, una nappista che aveva 22 anni quando la squadra antiterrorismo la intercettò e la uccise mentre stava rientrando nel suo appartamento romano a Tor di Quinto.
GIAMPIERO MUGHINI
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salvo-love · 7 years
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Oriana Fallaci e l'Islam: "Diventeremo l'Eurabia. Il nemico è in casa nostra e non vuole dialogare"
Sono anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare «Troia brucia, Troia brucia». Anni che ripeto al vento la verità sul Mostro e sui complici del Mostro cioè sui collaborazionisti che in buona o cattiva fede gli spalancano le porte. Che come nell'Apocalisse dell'evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna. Incominciai con La Rabbia e l'Orgoglio . Continuai con La Forza della Ragione . Proseguii con Oriana Fallaci intervista sé stessa e con L'Apocalisse . I libri, le idee, per cui in Francia mi processarono nel 2002 con l'accusa di razzismo-religioso e xenofobia. Per cui in Svizzera chiesero al nostro ministro della Giustizia la mia estradizione in manette. Per cui in Italia verrò processata con l'accusa di vilipendio all'Islam cioè reato di opinione. Libri, idee, per cui la Sinistra al Caviale e la Destra al Fois Gras ed anche il Centro al Prosciutto mi hanno denigrata vilipesa messa alla gogna insieme a coloro che la pensano come me. Cioè insieme al popolo savio e indifeso che nei loro salotti viene definito dai radical-chic «plebaglia-di-destra». E sui giornali che nel migliore dei casi mi opponevano farisaicamente la congiura del silenzio ora appaiono titoli composti coi miei concetti e le mie parole. Guerra-all'Occidente, Culto-della-Morte, Suicidio-dell'Europa, Sveglia-Italia-Sveglia.
Il nemico è in casa
Continua la fandonia dell'Islam «moderato», la commedia della tolleranza, la bugia dell'integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un'esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Be', il nemico non è affatto un'esigua minoranza. E ce l'abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d'occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all'occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inserito-nel-nostro-sistema-sociale. Cioè col permesso di soggiorno. Con l'automobile. Con la famiglia. E pazienza se la famiglia è spesso composta da due o tre mogli, pazienza se la moglie o le mogli le fracassa di botte, pazienza se non di rado uccide la figlia in blue jeans, pazienza se ogni tanto suo figlio stupra la quindicenne bolognese che col fidanzato passeggia nel parco. È un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Un nemico che in nome dell'umanitarismo e dell'asilo politico accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della «necessità» (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l'Olimpo Costituzionale. «Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi». Un nemico che le moschee le trasforma in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all'imam. Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l'Eurabia sicché per andare da Londra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l'esplosivo che vuole: nessuno lo ferma, nessuno lo tocca.
Il crocifisso sparirà
Un nemico che appena installato nelle nostre città o nelle nostre campagne si abbandona alle prepotenze ed esige l'alloggio gratuito o semi-gratuito nonché il voto e la cittadinanza. Tutte cose che ottiene senza difficoltà. Un nemico che ci impone le proprie regole e i propri costumi. Che bandisce il maiale dalle mense delle scuole, delle fabbriche, delle prigioni. Che aggredisce la maestra o la preside perché una scolara bene educata ha gentilmente offerto al compagno di classe musulmano la frittella di riso al marsala cioè «col liquore». E-attenta-a-non-ripeter-l'oltraggio. Un nemico che negli asili vuole abolire anzi abolisce il Presepe e Babbo Natale. Che il crocifisso lo toglie dalle aule scolastiche, lo getta giù dalle finestre degli ospedali, lo definisce «un cadaverino ignudo e messo lì per spaventare i bambini musulmani». Un nemico che in Inghilterra s'imbottisce le scarpe di esplosivo onde far saltare in aria il jumbo del volo Parigi-Miami. Un nemico che ad Amsterdam uccide Theo van Gogh colpevole di girare documentari sulla schiavitù delle musulmane e che dopo averlo ucciso gli apre il ventre, ci ficca dentro una lettera con la condanna a morte della sua migliore amica. Il nemico, infine, per il quale trovi sempre un magistrato clemente cioè pronto a scarcerarlo. E che i governi eurobei (ndr: non si tratta d'un errore tipografico, voglio proprio dire eurobei non europei) non espellono neanche se è clandestino.
Dialogo tra civiltà
Apriti cielo se chiedi qual è l'altra civiltà, cosa c'è di civile in una civiltà che non conosce neanche il significato della parola libertà. Che per libertà, hurryya, intende «emancipazione dalla schiavitù». Che la parola hurryya la coniò soltanto alla fine dell'Ottocento per poter firmare un trattato commerciale. Che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate. Che dei Diritti dell'Uomo da noi tanto strombazzati e verso i musulmani scrupolosamente applicati non vuole neanche sentirne parlare. Infatti rifiuta di sottoscrivere la Carta dei Diritti Umani compilata dall'Onu e la sostituisce con la Carta dei Diritti Umani compilata dalla Conferenza Araba. Apriti cielo anche se chiedi che cosa c'è di civile in una civiltà che tratta le donne come le tratta. L'Islam è il Corano, cari miei. Comunque e dovunque. E il Corano è incompatibile con la Libertà, è incompatibile con la Democrazia, è incompatibile con i Diritti Umani. È incompatibile col concetto di civiltà.
Una strage in Italia?
La strage toccherà davvero anche a noi, la prossima volta toccherà davvero a noi? Oh, sì. Non ne ho il minimo dubbio. Non l'ho mai avuto. E aggiungo: non ci hanno ancora attaccato in quanto avevano bisogno della landing-zone, della testa di ponte, del comodo avamposto che si chiama Italia. Comodo geograficamente perché è il più vicino al Medio Oriente e all'Africa cioè ai Paesi che forniscono il grosso della truppa. Comodo strategicamente perché a quella truppa offriamo buonismo e collaborazionismo, coglioneria e viltà. Ma presto si scateneranno. Molti italiani non ci credono ancora. Si comportano come i bambini per cui la parola Morte non ha alcun significato. O come gli scriteriati cui la morte sembra una disgrazia che riguarda gli altri e basta. Nel caso peggiore, una disgrazia che li colpirà per ultimi. Peggio: credono che per scansarla basti fare i furbi cioè leccarle i piedi.
Multiculturalismo, che panzana
L'Eurabia ha costruito la panzana del pacifismo multiculturalista, ha sostituito il termine «migliore» col termine «diverso-differente», s'è messa a blaterare che non esistono civiltà migliori. Non esistono principii e valori migliori, esistono soltanto diversità e differenze di comportamento. Questo ha criminalizzato anzi criminalizza chi esprime giudizi, chi indica meriti e demeriti, chi distingue il Bene dal Male e chiama il Male col proprio nome. Che l'Europa vive nella paura e che il terrorismo islamico ha un obbiettivo molto preciso: distruggere l'Occidente ossia cancellare i nostri principii, i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra civiltà. Ma il mio discorso è caduto nel vuoto. Perché? Perché nessuno o quasi nessuno l'ha raccolto. Perché anche per lui i vassalli della Destra stupida e della Sinistra bugiarda, gli intellettuali e i giornali e le tv insomma i tiranni del politically correct , hanno messo in atto la Congiura del Silenzio. Hanno fatto di quel tema un tabù.
Conquista demografica
Nell'Europa soggiogata il tema della fertilità islamica è un tabù che nessuno osa sfidare. Se ci provi, finisci dritto in tribunale per razzismo-xenofobia-blasfemia. Ma nessun processo liberticida potrà mai negare ciò di cui essi stessi si vantano. Ossia il fatto che nell'ultimo mezzo secolo i musulmani siano cresciuti del 235 per cento (i cristiani solo del 47 per cento). Che nel 1996 fossero un miliardo e 483 milioni. Nel 2001, un miliardo e 624 milioni. Nel 2002, un miliardo e 657 milioni. Nessun giudice liberticida potrà mai ignorare i dati, forniti dall'Onu, che ai musulmani attribuiscono un tasso di crescita oscillante tra il 4,60 e il 6,40 per cento all'anno (i cristiani, solo 1'1 e 40 per cento). Nessuna legge liberticida potrà mai smentire che proprio grazie a quella travolgente fertilità negli anni Settanta e Ottanta gli sciiti abbiano potuto impossessarsi di Beirut, spodestare la maggioranza cristiano-maronita. Tantomeno potrà negare che nell'Unione Europea i neonati musulmani siano ogni anno il dieci per cento, che a Bruxelles raggiungano il trenta per cento, a Marsiglia il sessanta per cento, e che in varie città italiane la percentuale stia salendo drammaticamente sicché nel 2015 gli attuali cinquecentomila nipotini di Allah da noi saranno almeno un milione.
Addio Europa, c'è l'Eurabia
L'Europa non c'è più. C'è l'Eurabia. Che cosa intende per Europa? Una cosiddetta Unione Europea che nella sua ridicola e truffaldina Costituzione accantona quindi nega le nostre radici cristiane, la nostra essenza? L'Unione Europea è solo il club finanziario che dico io. Un club voluto dagli eterni padroni di questo continente cioè dalla Francia e dalla Germania. È una bugia per tenere in piedi il fottutissimo euro e sostenere l'antiamericanismo, l'odio per l'Occidente. È una scusa per pagare stipendi sfacciati ed esenti da tasse agli europarlamentari che come i funzionari della Commissione Europea se la spassano a Bruxelles. È un trucco per ficcare il naso nelle nostre tasche e introdurre cibi geneticamente modificati nel nostro organismo. Sicché oltre a crescere ignorando il sapore della Verità le nuove generazioni crescono senza conoscere il sapore del buon nutrimento. E insieme al cancro dell'anima si beccano il cancro del corpo.
Integrazione impossibile
La storia delle frittelle al marsala offre uno squarcio significativo sulla presunta integrazione con cui si cerca di far credere che esiste un Islam ben distinto dall'Islam del terrorismo. Un Islam mite, progredito, moderato, quindi pronto a capire la nostra cultura e a rispettare la nostra libertà. Virgilio infatti ha una sorellina che va alle elementari e una nonna che fa le frittelle di riso come si usa in Toscana. Cioè con un cucchiaio di marsala dentro l'impasto. Tempo addietro la sorellina se le portò a scuola, le offrì ai compagni di classe, e tra i compagni di classe c'è un bambino musulmano. Al bambino musulmano piacquero in modo particolare, così quel giorno tornò a casa strillando tutto contento: «Mamma, me le fai anche te le frittelle di riso al marsala? Le ho mangiate stamani a scuola e...». Apriti cielo. L'indomani il padre di detto bambino si presentò alla preside col Corano in pugno. Le disse che aver offerto le frittelle col liquore a suo figlio era stato un oltraggio ad Allah, e dopo aver preteso le scuse la diffidò dal lasciar portare quell'immondo cibo a scuola. Cosa per cui Virgilio mi rammenta che negli asili non si erige più il Presepe, che nelle aule si toglie dal muro il crocifisso, che nelle mense studentesche s'è abolito il maiale. Poi si pone il fatale interrogativo: «Ma chi deve integrarsi, noi o loro?».
L'islam moderato non esiste
Il declino dell'intelligenza è il declino della Ragione. E tutto ciò che oggi accade in Europa, in Eurabia, ma soprattutto in Italia è declino della Ragione. Prima d'essere eticamente sbagliato è intellettualmente sbagliato. Contro Ragione. Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l'Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l'affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l'arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell'Avvenir è contro Ragione.
Ecco cos'è il Corano
Perché non si può purgare l'impurgabile, censurare l'incensurabile, correggere l'incorreggibile. Ed anche dopo aver cercato il pelo nell'uovo, paragonato l'edizione della Rizzoli con quella dell'Ucoii, qualsiasi islamista con un po' di cervello ti dirà che qualsiasi testo tu scelga la sostanza non cambia. Le Sure sulla jihad intesa come Guerra Santa rimangono. E così le punizioni corporali. Così la poligamia, la sottomissione anzi la schiavizzazione della donna. Così l'odio per l'Occidente, le maledizioni ai cristiani e agli ebrei cioè ai cani infedeli.
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