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#marco guglielmi
mariocki · 2 years
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Bandidos (Guns of Death, 1967)
"You've been a good teacher."
"A good teacher doesn't teach you to kill."
#bandidos#guns of death#italian cinema#spaghetti western#1967#massimo dallamano#romano migliorini#juan cobos#enrico maria salerno#terry jenkins#maría martín#venantino venantini#marco guglielmi#cris huerta#massimo sarchielli#jesús puente#antonio pica#roberto messina#egisto macchi#although he'd worked as a cinematographer for the best part of a decade (including on Leone's Dollars trilogy) this was Dallamano's first#film as director (and his only western; he's better remembered now for his work in gialli and horror films). it's an extraordinary debut‚ a#visual tour de force with a craftsman's eye for detail and some inventive editing flourishes (of note is an unnervingly long pan across the#aftermath of a train massacre in the opening scene). hyper violent‚ but not flippant with it; the film has a body count to rival most war#films‚ but it's rarely meaningless and is given appropriate weight. Salerno gives a typically strong performance as the marksman legend#whose wounded hands prevent him from getting the revenge he burns for (a typically romantic conceit for the genre) and Venantini is#wonderfully‚ maliciously other worldly as the nemesis who more closely resembles a demonic apparition than a bandit.#it may not have the universal appeal of some of the biggest films within the genre‚ but this is a punchy‚ sharply shot blood soaked#vengeance thriller with some unexpected pathos and real emotional heft‚ and some remarkably unexpected moments#not least the mortally wounded gunman‚ suddenly transfixed by a reproduction of The Death of Sardanapalus‚ seized by the insane#notion of bringing some of the surrounding women with him on his journey to hell; it's the kind of thing you just don't get in every film
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agrpress-blog · 10 months
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Debutterà mercoledì 6 dicembre 2023 in prima nazionale al Teatro Mancinelli di Orvieto (TR) la pièce di W. D. Home e M. G. Sauvajon L’anatra all’arancia, regia di Claudio Gregori - in arte “Greg” - ed interpretato da Emilio Solfrizzi e Carlotta Natoli, Ruben Rigillo, Beatrice Schiaffino e Antonella Piccolo. L’anatra all’arancia è un classico feuilleton in cui i personaggi si muovono algidi ed eleganti su una scacchiera irta di trabocchetti. Tuttavia, ogni mossa dei protagonisti ne rivela le emozioni, le mette a nudo a poco a poco ed il cinismo lascia il passo ai timori, all’acredine, alla rivalità, alla gelosia; in una parola, all’Amore, poiché è di questo che si parla. L’anatra all’arancia è una commedia che afferra immediatamente lo spettatore/spettatrice e lo/la trascina nel suo vortice di battute sagaci, solo apparentemente casuali, perché tutto è architettato come una partita a scacchi. La trasformazione dei personaggi avviene morbida, grazie a una regia che la modella con cromatismi e movimenti talvolta sinuosi, talvolta repentini, ma sempre nel rispetto di un racconto sofisticato in cui le meschinità dell’animo umano ci servano a sorridere, ma anche a suggerirci il modo di sbarazzarsene. L’anatra all’arancia di W. D. Home e M. G. Sauvajon - regia: Claudio Gregori; interpreti: Emilio Solfrizzi, Carlotta Natoli, Ruben Rigillo, Beatrice Schiaffino, Antonella Piccolo; scene: Fabiana Di Marco; costumi: Alessandra Benaduce; disegno luci: Massimo Gresia; produzione: Compagnia Molière, in coproduzione con Teatro Stabile di Verona - dopo il debutto di mercoledì 6 dicembre 2023 al Teatro Mancinelli di Orvieto, proseguirà la sua tournée a Borgo San Lorenzo (FI) - Teatro Giotto, giovedì 7 dicembre -, Massa (Teatro Guglielmi, venerdì 8 e sabato 9 dicembre), Sondrio (Teatro Sociale, lunedì 11 dicembre), Verona (Teatro Nuovo, da martedì 12 a venerdì 15 dicembre), Bellinzona (in Svizzera) - Teatro Sociale, sabato 16 dicembre - San Donà di Piave (VE) - Teatro Metropolitano Astra, mercoledì 20 e giovedì 21 dicembre -, Roma (Teatro Quirino, da sabato 23 dicembre 2023 a domenica 7 gennaio 2024), Firenze (Teatro della Pergola, da martedì 9 a domenica 14 gennaio 2024), Barga (LU) - Teatro dei Differenti, martedì 16 gennaio 2024, Pietrasanta (LU) - Teatro Comunale, mercoledì 17 gennaio -, Cortona (AR) - Teatro Signorelli, giovedì 18 gennaio -, Grosseto (Teatro Moderno, venerdì 19 gennaio), Grottaglie (TA) - Teatro Monticello, mercoledì 24 gennaio,San Severo (FG) - Teatro Giuseppe Verdi, giovedì 25 gennaio -, Foggia(Teatro Giordano, venerdì 26 e sabato 27 gennaio), Concordia sulla Secchia (MO) - Teatro del Popolo, martedì 30 gennaio -, Cattolica (RN) - Arena della Regina, mercoledì 31 gennaio - Guastalla (RE) - Teatro R. Ruggeri, giovedì 1° febbraio 2024 -, Bologna (Teatro Duse, da venerdì 2 a domenica 4 febbraio), Pescara (Teatro Circus Visioni, martedì 6 e mercoledì 7 febbraio), Vicenza (Teatro Comunale, venerdì 9 e sabato 10 febbraio), Scorzè (VE) - Teatro Elios Aldò, domenica 11 febbraio -, Cesano Boscone (MI) - Teatro Cristallo, giovedì 15 febbraio -, Tortona(AL) - Teatro Civico, venerdì 16 febbraio -, Asti (Teatro Alfieri, sabato 17 febbraio), Venaria Reale (TO) - Teatro della Concordia, domenica 18 febbraio -, Verbania (Teatro il Maggiore, lunedì 19 febbraio), Brugherio (…) - Teatro San Giuseppe, martedì 20 febbraio -, Crevalcore (BO) - Auditorium primo Maggio, mercoledì 21 febbraio -, Cento (FE) - Auditorium Pandurera, giovedì 22 febbraio -, Urbino (Teatro Sanzio, venerdì 23 febbraio), Pollenza (MC) - Teatro Verdi, sabato 24 febbraio - Azzano Decimo (PN) - Teatro Marcello, mercoledì 28 febbraio -, Trieste (Teatro Orazio, da giovedì 29 febbraio a domenica 3 marzo 2024), Modica (RG) - Teatro Garibaldi, sabato 9 e domenica 10 marzo -, Catania (Teatro Verga, da martedì 12 a domenica 17 marzo), Caltagirone (CT) - Teatro Antaris, lunedì 18 marzo 2024 - Reggio Calabria (Teatro Cilea, mercoledì 20 marzo), Cittanova (RC) - Teatro Gentile,
giovedì 21 marzo -, Lamezia Terme (CZ) - Teatro Grandinetti, venerdì 22 marzo -, Cassano Jonio (CS), sabato 23 marzo -, Brindisi (Nuovo Teatro Verdi, domenica 24 marzo), Monopoli (BA) - Teatro Radar, lunedì 25 marzo -, Alghero (SS) - Teatro Civico, giovedì 4 aprile 2024 -, Olbia (SS) CineTeatro, venerdì 5 aprile -, Oristano (Teatro Garau, sabato 6 aprile), Carbonia - Teatro Centrale, domenica 7 aprile.
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giancarlonicoli · 10 months
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26 nov 2023 21:00
“LA MORTE DI MOANA? HA RAGIONE LA MADRE QUANDO INDICA IN SCHICCHI IL RESPONSABILE" – DAGO SI CONFESSA CON FERRUCCI E RACCONTA DI QUANDO FECE DA GHOST WRITER DEL LIBRO IN CUI MOANA POZZI DAVA I VOTI AI SUOI AMANTI: “CRAXI RICEVETTE UN BEL 7 NONOSTANTE CI SIA STATA SOLO MASTURBAZIONE, MA CON I VOTI BASSI NON LO AVREBBE PUBBLICATO NESSUNO. UNA STORIA CON LEI? MAI, PER ME NON AVEVA UN GRAMMO DI SENSUALITÀ” - IL DOCU-FILM “ROMA SANTA E DANNATA”, LA STANZA DEI CAZZI ACCANTO ALLA CAPPELLA SISTINA, LA CAPITALE A CUI HA “SEMPRE PORTATO RISPETTO” E L’UNICA PAURA: “QUANDO VADO IN TV, HO PAURA DI DIRE CAZZATE, ESAGERARE E DELUDERE MIA MOGLIE E MIO FIGLIO…” - VIDEO
Alessandro Ferrucci per “il Fatto quotidiano”
“Mi hanno censurato!” è il grido di battaglia. Non c’è buongiorno, come va, mannaggia che vento, non c’è più la mezza stagione ad attenuare la verve di Roberto D’Agostino.
Chi è stato?
Piazzapulita.
Com’è possibile?
In un’intervista ho spiegato: “Come diceva è meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine...”. A quel punto la giornalista mi ha domandato “chi?”.E lei, D’Agostino...Ho risposto: “... ‘sto cazzo”.
(Roberto D’Agostino è un mix incredibile di alto e basso, di alto e magari bassissimo. Ma il punto è un altro: è lui a decidere cos’è alto e cosa è basso o bassissimo, e con l’autorevolezza di rendere credibile il basso e ridicolo l’alto. Questo è Roberto “Dago” D’Agostino e questo è il docufilm che ha presentato all’ultima Festa del CinemaRoma, Santa e Dannata– girato insieme a Marco Giusti, regia di Daniele Ciprì –, dove in un’ora e mezza riesce a dare un filo logico a Vaticano e pornostar; politica e localini equivoci; storici protagonisti della notte capitolina e la stanza accanto alla Cappella Sistina “dove c’è la più grossa collezione di piselli”).
ROMA SANTA E DANNATA - TRAILER
Per una battuta non si fanno prigionieri.
La migliore era quella di Elsa Morante a Natalia Ginzburg, durante un appuntamento allo Spazio Cultura: “Meglio un culo gelato che un gelato nel culo”; (pausa) lì era bello il contesto, tra capoccioni molto seri come Alberto Moravia, Ruggero Guarini, Angelo Guglielmi e Corrado Augias; ridevano come scemi.
È soddisfatto del suo documentario...
Sono stanco morto, sono pronto ad annamene a letto (sono le 11 del mattino); il problema è che ho girato di notte anche perché di giorno ho Dagospia, devo lavorare, così siamo usciti dalle nove di sera in poi.
Divertito?
Sì, però il divertimento è quello teorico; cambia tutto quando entri nel lato pratico.
Ma è soddisfatto?
Poteva venire meglio; il problema è che non sono mai soddisfatto di niente: mi capita da sempre e da sempre cerco di essere onesto con me stesso; (resta in silenzio) il primo libro l’ho pubblicato nel 1985 e se lo riprendo tra le mani e leggo, poi penso: “Questo va picchiato”.
Come è nato Roma, Santa e Dannata?
Avevo visto un documentario molto bello di Martin Scorsese su Fran Lebowitz e New York; allora Alessandra Mammì, moglie di Marco Giusti, disse “l’unico che può cucinare Roma è Dago”. Ne parliamo durante una cena a casa di Paolo Sorrentino, come il rovescio de La grande bellezza e pensiamo che il film di Paolo finisce sul Tevere e proprio dal Tevere dovevamo ripartire.
Con quali paletti?
Che fosse un documentario basato su racconti di alcuni protagonisti, evitando pippe sull’Impero Romano; alla fine la cultura occidentale si basa su due libri: Le mille e una notte e il Decamerone; tutta la formazione dell’essere umano è fondata sui racconti e Roma non è mai stata una metropoli, ma un paesone dove ognuno è pronto a pettegolare. Roma è una portineria.
DISCORSO DI DAGO ALLA PRIMA DI ROMA SANTA E DANNATA, ALLA FESTA DEL CINEMA
Il portiere è un collante.
Una sorta di bollettino del palazzo e non solo del palazzo.
Qual è lo spirito di Roma?
È nella domanda iniziale: perché Dio, con tutto quello che aveva da fare, si è inventato  una Città Santa con il Diavolo accanto? Roma ha Gerusalemme e Babele, la città di Dio e quella degli uomini: Caput Mundie, come sosteneva Gioacchino Belli, chiavica der monno; (pausa) per chi non lo sapesse il Belli era un funzionario del Vaticano.
Roma non si domina.
Dai tempi di Cesare siamo sempre in attesa dell’arrivo dei Barbari, ma siamo pure tranquilli perché certi di un dato: una volta qui, si attovagliano in uno dei classici ristoranti del centro o vanno in qualche locale come il Jackie O’. E a quel punto non ci vorrà nulla per corromperli, non ci vorrà nulla a tramutarli in un’altra manica de stronzi romani.
Il celebre generone.
A Roma chi arriva e non si romanizza poco dopo è costretto a fare la valigia e tornare a casa, come è successo a Carlo De Benedetti, Gianni Agnelli o a Tronchetti Provera.
ROMA SANTA E DANNATA - PROIEZIONE A MILANO
A Berlusconi, no.
È l’unico. Nel primo governo, senza Gianni Letta, è crollato dopo pochi mesi; il secondo esecutivo, con dentro Gianni Letta e soprattutto con al fianco un’altra persona fondamentale, colui che collegava Palazzo Chigi con il potere invisibile, quello vero, composto da Corte dei Conti, Quirinale, Consulta, Servizi segreti, Ragioneria dello Stato. Ecco il secondo esecutivo è durato molto più a lungo.
Chi era questa persona?
Franco Frattini.
A Roma contano più il potere o i soldi?
Chi vuole uno sposalizio tra potere e soldi o potere e fica è destinato a finire nella pattumiera: il potere non accetta questo binomio. Berlusconi ha capito e ha metabolizzato il primo comandamento di Andreotti: il nemico non si combatte, ma si compra; perché i nemici, una volta coalizzati, poi ti fanno il culo.
I segreti sono potere?
No, il potere è una patata: quando vai nei campi e la sradichi scopri che quel tubero ha radici lunghissime; quei filamenti rappresentano la vera forza del potere. In Italia democristiani e comunisti hanno impiegato decenni per costruire i loro filamenti. Chi è arrivato dopo, da Renzi a Salvini a Conte, non aveva radici del genere. Il Pd le ha ed è questa la sua forza.
Nel documentario definisce i funerali come un momento fondamentale...
Non c’è niente di più vivo; a Roma davanti al caro estinto si riunisce quella sorta di filiera, di nomenclatura, di loggia massonica, di amici che rinsaldano il loro legame. Esattamente in quel momento si fissano appuntamenti o cene.
Il funerale di maggior impatto?
Sono tre: Giulio Andreotti, Mario D’Urso e Angelo Rizzoli. A me ha sempre colpito un aspetto: se nelle grandi città esistono due o tre circoli, a Roma ce ne sono venti. Ed è pure difficilissimo iscriversi; quando entri, sei parte di una sorta di loggia massonica dove il primo comandamento è sempre lo stesso: “È affidabile?”.
Nel documentario racconta di una collezione formidabile di peni. L’ha vista?
Negli anni 80 sono stato dei mesi appresso a Federico Zeri; un giorno mi chiama: “Vieni con me alla Cappella Sistina”. La Cappella era appena stata restaurata ed era tutta per noi e con noi c’erano anche Ernst Gombrich e Corrado Augias. Zevi la conosceva alla perfezione: era stato cinque anni chiuso in Vaticano per studiare il suo patrimonio artistico. Una volta dentro non ci indica il soffitto, Il giudizio universale, ma il pavimento. A quel punto si rivolge a Gombrich: “Sa perché la Cappella è stata edificata così lontano dal corpo delle altre chiese di San Pietro? E perché si entra da viale Vaticano?”
Risposta?
Resta in silenzio per alcuni secondi e poi con una voce grave risponde: “Perché qui c’è Satana”. Ancora zitto. E poi: “Venite con me”. Si alza, raggiunge il centro della Cappella e spiega: “Qui c’è un tombino e qui sotto c’è il Diavolo. Perché quando edificarono questo edificio, assegnato alla parte amministrativa, scoprirono il più grande tempio pagano, quello dedicato a Mitra”.
Insomma, ma questi peni?
In una stanza vicina alla Cappella sono stati piazzati i cazzi asportati nei secoli da tutte le statue, sostituiti dalle foglie di fico; parcheggiati lì, dentro a contenitori in legno con sopra tanto di targhetta.
Nel doc rivela di essere l’autore del celebre libro di Moana Pozzi dove lei dà i voti ai suoi amati celebri...
Quel libro in origine assegnava giudizi completamente diversi, come nel caso di Bettino Craxi: lui ricevette un bel 7 e nonostante ci sia stata solo masturbazione...
LA PRIMA A MILANO DI ROMA SANTA E DANNATA DI DAGO E MARCO GIUSTI
In realtà?
Con i voti bassi non lo avrebbe pubblicato nessuno, per questo li abbiamo gonfiati; (sorride) all’epoca lavoravo all’Espresso e scrivevo i primi pezzi sui locali scambisti, i locali di Schicchi, su Cicciolina in Parlamento, caso unico...
E...?
L’Italia ha anticipato di vent’anni il resto del mondo; (sorride) il primo locale per le feste del Muccassassina era della Chiesa.
Casualmente?
Quel posto era pieno di preti e poliziotti, tutti sapevano tutto, ma era come L’abbraccio del Bernini: la Chiesa accoglie e perdona chiunque .
Ha avuto una storia con Moana?
Mai e l’ho conosciuta prima della sua carriera nell’hard, quando era la fidanzata di Luciano De Crescenzo, quando ancora non si era rifatta il culo, il naso, la mascella e pure i gomiti.
Rifatta, ma bella.
Per me non aveva un grammo di sensualità; stava spesso a casa mia, per ore, era perspicace, leggeva, ma per lei il sesso era una questione meccanica; (pausa) secondo me ha ragione la madre di Moana quando indica in Schicchi il responsabile della sua morte.
In che modo?
C’è una questione di tempi: alla fine degli anni 80 lo stallone per eccellenza, John Holmes (morto nel 1988), diventa sieropositivo e ovviamente crollano le sue quotazioni nel mondo dell’hard statunitense; Schicchi che fa? Lo porta a Roma, costava poco, e lo ingaggia per dei film, pure con Moana...
Di tutto quello che ha raccontato nel documentario, cosa le manca maggiormente?
Dado Ruspoli, uomo con una vita grandiosa.
Ce la racconti.
A Roma c’erano due rockstar: una era lui, l’altra era Mario Schifano. Venivano da New York o da Londra per incontrarli, e mi riferisco a big come Mick Jagger o Keith Richards. (pausa) La Dolce Vita nasce dai rampolli dell’aristocrazia capitolina, erano gli unici nel dopoguerra ad avere dei mezzi: loro hanno portato coca, oppio, qualsiasi sostanza. Dopo di loro si è accodato il cinema. E tra di loro Dado è stato il protagonista. Con i suoi segreti, il suo potere, le sue stanze.
Roma le ha mai suscitato paura?
(Si ripete la domanda) No, ma l’ho sempre rispettata; anzi le ho portato rispetto.
Sembra una logica mafiosa.
Se dico che passiamo ore e ore attovagliati, lì siamo alle prese con il lavoro più importante: tessere rapporti; sono i “ponti” che quando arriva il momento della caduta, e arriva per tutti, trovi una rete per salvarti. Questo è fondamentale, e se ripeto il concetto di “portare rispetto”, intendo non tradire, non comportarsi da arrivista, da paraculo, da chi se ne approfitta.
Comunque non ha mai avuto paura...
(Cambia tono della voce) Solo di mia moglie e di mio figlio quando vado in televisione: ho paura di dire cazzate, di esagerare e di deluderli.
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lamilanomagazine · 1 year
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Buon compleanno “Drive In!”: lo storico varietà compie 40 anni
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Buon compleanno “Drive In!”: lo storico varietà compie 40 anni. Oggi, mercoledì 4 ottobre 2023, ricorre il 40° anniversario della prima puntata di Drive In, lo storico varietà di Antonio Ricci, simbolo degli anni Ottanta. Andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988, Drive In era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell'epoca, un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi di quegli anni. Una parodia dell'Italia del riflusso, dell'edonismo reaganiano e della Milano da bere. Federico Fellini, Umberto Eco, Giovanni Raboni, Beniamino Placido, Oreste Del Buono, Omar Calabrese, Luciano Salce, Lietta Tornabuoni, Maurizio Cucchi, Angelo Guglielmi e tanti intellettuali e artisti dell'epoca definirono Drive In «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» e «l'unico programma per cui vale la pena avere la tv». Drive In è stato descritto da Antonio Ricci come «una macedonia di generi, una via di mezzo tra sit-com, varietà, effetti speciali, satira politica, parodie, gag, barzellette, tormentoni». Trasmissione divenuta un cult della televisione, ha lanciato alcuni dei comici italiani oggi tra i più celebri. Tra i personaggi mitici, il bocconiano rampante Sergio Vastano, il paninaro sfigato Enzo Braschi, il vigilante Vito Catozzo di Giorgio Faletti e la top model pentita Antonia Dell'Atte. Senza dimenticare i monologhi di Gianfranco D'Angelo e la satira pungente di Ezio Greggio, Enrico Beruschi e della moglie dell'onorevole Coccovace (Caterina Sylos Labini), le comiche di Benny Hill e le curve pop delle Ragazze (parlanti) Fast-Food. E ancora, le parodie dei film campioni d'incasso e dei telefilm (Bold Trek con la coppia Boldi-Teocoli). Ancora vivissimi i tormentoni lanciati dallo show: da "Troppo giusto!" ad "A me, me pare 'na strunzata", "È chiaro 'stu fatto", "Has Fidanken" e "Teomondo Scrofalo". Nella foto gli autori storici del Drive In: Antonio Ricci, Lorenzo Beccati, Max Greggio, Gennaro Ventimiglia, Michele Mozzati, Gino Vignali, Giorgio Gherarducci e Marco Santin.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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tempi-dispari · 1 year
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Raff, la fortuna è cieca...
Contesto storico
(Fonte)
Il mondo camminava con tutta la sua umanità verso un assetto che sarebbe stato quello della fine della guerra fredda e l’inizio di nuove ere sempre più convulse, come quella dei nostri giorni che spesso ci asteniamo dall’interpretare. Stati Uniti e Cina fecero accordi che stabilivano una priorità per entrambi in funzione antisovietica e l’Urss sentendosi circondata invase l’Afghanistan poco prima di Natale. I carri sovietici a Kabul, con rovesciamento di governo e inizio di dieci anni di guerriglia afghana alimentata dagli americani per dare filo da torcere a Mosca.
Fu così che questi strani personaggi che imparammo a conoscere – i Mujaheddin – diventarono popolari. In Italia nacque RaiTre per il Partito comunista: l’assetto era perfettamente lottizzato e anche bilanciato: il Pci che fino a quel momento era stato tenuto fuori dal governo diretto della Rai, diventò titolare di un’intera rete televisiva. RaiUno restava saldamente demo cristiana, Rai Due altrettanto saldamente socialista anzi craxiana e una gentile signorina molto sexy apparve sullo schermo per avvertire che d’ora in poi ci sarebbe stato questo piacevole terzo incomodo, RaiTre.
Il telegiornale della nuova rete fu inizialmente diretto da Agnes ma la personalità più caratteristica e caratterizzante fu quella di Sandro Curzi, vecchio giornalista comunista dall’età di quattordici anni, un sindacalista che avevamo imparato a conoscere nelle redazioni perché veniva a illustrare con il suo smisurato impermeabile, lo stato dell’informazione. Il suo Tg3 fu ribattezzato “Tele-Kabul”, qualcosa di rovesciato rispetto a Radio-Londra, perché Curzi aveva intenzione di rompere gli schemi e quando verrà il momento della caduta del muro di Berlino, riuscì ad appropriarsi di quell’evento di per sé “anticomunista” e farne un cavallo di battaglia di sinistra.
Ma questo accadrà dieci anni dopo, quando anche il corpo di spedizione sovietico in Afghanistan se ne tornerà sconfitto e umiliato, in un Paese- l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche – destinato a finire di lì a pochi anni. La Terza Rete della Rai diventerà gradualmente un grande laboratorio guidato da Angelo Guglielmi, uno degli intellettuali del “Gruppo 63” e questo fu un notevole rimescolamento di carte televisive, con un elemento costante. In fondo, anche oggi si può vedere che il Tg1 non è più grillino con grande malumore di Conte e il Tg2 è pallidamente leghista, ma il Tg3 e la rete sono e restano i rappresentanti dell’area di sinistra dominata allora dal Pci ed oggi dal Pd.
I morti ammazzati furono ancora moltissimi: gli scontri fra neofascisti e gruppi armati di sinistra lasciavano cadaveri sulle strade mentre proseguivano anche le vigliacche esecuzioni con un colpo alla nuca delle Brigate Rosse o di Prima Linea, come quello che uccise il giudice Emilio Alessandrini che indagava sulla pista fascista di piazza Fontana. A proposito della strage di piazza Fontana, in quell’anno ci fu una prima sentenza che sembrava definitiva e non lo fu, ma che condannava i soliti Freda, Ventura (che riuscì a evadere e fu poi riacciuffato in Argentina) e Guido Giannettini.
Assolti l’anarchico Mario Merlino e Marco Pozzan. Ma altre sentenze rovesciarono il verdetto fino a una estenuazione dell’attenzione pubblica che nel frattempo aveva dimenticato piazza Fontana e quel tremendo 12 dicembre del 1969 quando per la prima volta dai tempi dell’occupazione tedesca era avvenuta una strage di civili in un pomeriggio avanzato nella filiale della Banca dell’Agricoltura a Milano. Il primo febbraio l’ayatollah Khomeini lasciò Parigi che lo aveva ospitato per oltre dieci anni e sbarcò a Teheran accolto da folle deliranti che pensavano di aver conquistato la libertà dopo la cacciata di Reza Pahlavi.
La dittatura di Khomeini e degli altri ayatollah mostrò al mondo occidentale qualcosa che ancora non aveva mai visto: un regime autoritario religioso sciita, cioè nemico dell’altra metà dell’Islam che è sunnita, come era ad esempio l’Iraq di Saddam Hussein con cui il nuovo Iran ingaggerà una guerra estenuante e sanguinosissima durante la quale il dittatore iracheno farà largo uso di gas letali.
Sparisce in un attimo la Teheran moderna delle impiegate in minigonna dei tempi dello Shah e comincerà la repressione contro le donne costrette a indossare il velo e il burka che lascia visibili soltanto gli occhi. Il mondo faceva anche i conti con le scorte petrolifere perché il nuovo regime esercita un potere militare sul Golfo Persico da cui transitavano e transitano le petroliere che portano milioni di tonnellate di rifornimenti petroliferi in Occidente e fu subito ansiosamente l’apertura di un nuovo fronte: non più e non solo quello fra capitalisti americani e comunisti sovietici, ma quello con gli islamici.
E neppure tutti gli islamici, ma solo quelli fedeli alla tradizione del cognato Alì del Profeta. L’Urss si era gettata in un certo senso a capofitto nel primo conflitto mondiale di carattere etnico e religioso attaccando l’Afghanistan che è in prevalenza sciita e dunque con una popolazione che allora come oggi guarda a Teheran più che alla Mecca. Tutto ciò era totalmente nuovo per il mondo occidentale che aveva pochissima confidenza con le diverse culture ed etnie di religione islamica.
L’ayatollah Khomeini durante i quindici anni trascorsi in un compound parigino protetto dallo Stato francese, aveva spiegato in decine di interviste il carattere autoritario religioso della dittatura che avrebbe instaurato una volta rientrato nel suo Paese e dunque nessuno poté sentirsi davvero sorpreso.
Tuttavia, la sorpresa fu egualmente enorme e ben presto sarebbe arrivato il momento della resa dei conti fra Iran khomeinista e gli Stati Uniti d’America, e il primo round andò nettamente a favore di Teheran, con la crisi degli ostaggi nell’ambasciata americana e il maldestro tentativo del presidente americano Jimmy Carter di risolvere la situazione con un colpo di mano miseramente fallito.
Dunque, dopo le guerre fra Israele e i Paesi confinanti con lo Stato ebraico, adesso sia l’Occidente filoamericano che l’Oriente filosovietico si trovavamo a fare i conti con una realtà che avrebbe pesato sempre di più sullo scenario internazionale. In Italia a marzo termina il processo per lo scandalo Lockheed, di cui si è persa ormai traccia nella memoria collettiva, che invece quarantadue anni fa fu quasi travolta da una storia di tangenti e imbrogli che portarono alle dimissioni del presidente della Repubblica Leone su cui gravava il sospetto – mai dimostrato – di essere il misterioso “Antilope cobbler” (il ciabattino o il massacratore di antilopi) secondo una indicazione in codice di uno dei personaggi americani della trattativa che incluse in molti Paesi d’Europa e del mondo delle stecche destinate ai politici che facilitarono il contratto.
Lo scandalo stroncò anche la carriera del leader democristiano Luigi Guy – totalmente innocente ma dato per due anni in pasto agli attacchi giornalistici e politici – e il segretario del Partito Socialdemocratico Mario Tanassi che fu condannato a un paio d’anni di servizi sociali.
Ricordo di averlo intervistato all’inizio dello scandalo e Tanassi mi disse che sospettare di lui equivaleva a sospettare il papa di essere un molestatore di bambini. Il curioso paragone fece il giro del mondo e non giovò alla sua causa. Comunque, lo scandalo Lockheed, legato all’acquisto di alcuni aerei americani militari da trasporto Hercules, richiese la formazione di una Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Mino Martinazzoli che sarebbe diventato un giorno il segretario della Democrazia Cristiana, l’ultimo. Diventammo amici – io ero uno dei giornalisti di Repubblica che avevano seguito la vicenda fin dall’inizio – perché condividevamo la passione per il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein e del suo “Tractatus Logico-philosophicus”. Il Pci schierò uno dei suoi più onesti intellettuali, Ugo Spagnoli.
Fu quella una battaglia durissima che anticipò la crisi della Repubblica prima ancora che cadesse il sistema basato sugli equilibri della guerra fredda. La vicenda giudiziaria italiana era peraltro figlia di quella americana: negli Stati Uniti era stata istituita un’altra Commissione di indagine congressuale sulle stesse vicende, guidata dal senatore Frank Church, che a sua volta era il seguito o lo sviluppo di un’altra inchiesta sulle malefatte della Cia, guidata dal senatore Pike e che già aveva messo a sconquasso il campo dei servizi segreti in tutto il mondo. L’inchiesta giudiziaria che aveva viaggiato parallelamente a quella parlamentare si era chiusa con un punto interrogativo: era davvero Giovanni Leone – stando al suo cognome – quel “divoratore di antilopi”, citato in un rapporto segreto americano?
Ebbi la ventura di intervistare per ultimo Giovanni Leone poco prima della sua scomparsa per La Stampa e l’ex Presidente, profondamente traumatizzato ancora a molti anni di distanza mi giurò di non aver saputo mai nulla della storia di quegli aerei e mi ricordò quanto non avesse bisogno di farsi concedere mance dai fornitori stranieri per un tenore di vita che aveva raggiunto da molto tempo con i suoi mezzi di grande avvocato napoletano, prima ancora che come Presidente prima della Camera e poi della Repubblica. Io stesso ero stato uno dei giornalisti che, sia pure indirettamente, aveva fatto parte della campagna che specialmente l’Espresso e la Repubblica avevano condotto contro di lui con il massimo spiegamento di forze giornalistiche e confesso che provai un grande imbarazzo e per lui una pena profonda perché credevo alle sue parole.
Pile di teschi a milioni: le foto invasero televisioni e giornali e settimanali rotocalco: il più feroce regime del mondo, quello dei Khmer rossi in Cambogia venne deposto con l’intervento armato della Repubblica del Vietnam e del suo esercito regolare che cacciano Pol Pot – in testa alle classifiche mondiali dei peggiori assassini di massa insieme a Stalin e Hitler. Ma di questo ed altro parleremo nella seconda puntata dedicata a questo anno di grandi eventi e impreviste trasformazioni.
In questo contesto nascevano i Raff
E’ in questo periodo (1978) che nasce la leggenda dei fratelli Bianco. Chris e Fabiano (Master) sono cresciuti in una famiglia che viaggiava spesso per il mondo, il padre lavorava nella moda e per otto anni i due ragazzi si ritrovarono a New York, dove frequentarono le scuole primarie, cominciando ad appassionarsi molto alla musica rock, un interesse favorito dalla facilità con cui riuscivano a reperire materiale su vinile rock e punk, gruppi che in Italia ancora non venivano adeguatamente distribuiti.
Rientrati a Milano i fratelli Bianco si misero subito alla ricerca di ragazzi disposti a dar vita a un progetto rock’n’roll punk. E così nacquero i Trancefusion.
DAI TRANCEFUSION AI RAFF Tra il 79 e l’ 80 la famiglia si trasferì a Roma per motivi di lavoro, per cui anche l’attività musicale dei Trancefusion ne risentì, con un drastico cambio di line-up. I fratelli Bianco, arrivati nella Capitale, rimisero in piedi la band, reclutando nuovi innesti romani e cambiando però anche nome. Nacque il monicker THE RAFF.
Le cose sembrarono andare subito alla grande. La EMI tramite un giornalista amico dei Bianco, dichiarò di volerli mettere sotto contratto. Nella formazione di quel momento, oltre ai fratelli Chris al basso e Master alla batteria, c’erano: alle chitarre Lu Cillis e Fausto Roddo Donato e alla voce solista Vittorio Zammarano.
THE RAFF registrarono un singolo che nelle speranze del gruppo avrebbe dovuto imporne il nome sulla scena punk. La sfortuna però cominciò a ricamar sodo sopra la band. Malgrado i concerti super affollati al Sebastian, al Tube e il Titan, e la popolarità dei RAFF che cresce velocemente, come per i Sex Pistols, il rapporto con la EMI non andò molto bene e finì per interrompersi. Dissidi interni e discografici innervorono il gruppo fino alla rottura. Il singolo rimase nel cassetto (non ricordo se poi è uscito ufficialmente).
La crescente scena metal colpì in pieno volto anche i Raff che decisero di cambiare pelle. Chris passa alla voce solista (oltre che a suonare il basso) e si parlò di un chitarrista inglese che avrebbe sostituito il punker Cillis. Si vociferò addirittura che sarebbe stato Clive Wisbey fondatore della prima incarnazione dei Tygers Of Pan Tang e… in effetti così fu. Si trasferì in Italia e poco dopo militò nei Raff per un periodo!
I RAFF E BRUCE DICKINSON
Nell’estate del 1980 i Raff aprirono il concerto romano dei Ramones a Castel S.Angelo. Nell’82 seguirono il tour italiano degli Iron Maiden che erano freschi di cantante nuovo. Lo stesso Bruce Dickinson appare nelle foto ufficiali degli Irons con una spilletta dei Raff infilata nel bavero del suo giubbotto di pelle.
L’anno seguente (1983) suonarono di supporto alla Gillan Band. Ormai i Raff venivano considerati la miglior band metal italiana soffiando il titolo persino ai milanesi Vanadium di Pino Scotto. Ne è conferma la classifica del magazine Rockerilla che li piazzò al terzo posto tra i più lanciati gruppi rock, dietro a Litfiba e Denovo e precedendo appunto i Vanadium, che erano usciti con l’album d’esordio.
Il 1983 fu un anno importantissimo per la band, segnato dal solito cambio di formazione (ora erano un trio con Gianni Russo alla chitarra) e la firma con King Steve Records che li chiuse in studio per registrare quello che avrebbe dovuto finalmente essere il lancio definitivo dei Raff nel gotha della musica metal internazionale non La band si presentò al Festival di Certaldo. con la convinzione che presto avrebbe assaporato location ancora più suggestive in giro per l’Europa.
PROBLEMS!?
Purtroppo, in un momento così delicato, le cose cominciarono ad andare storte. A parte il nuovo cambio di line-up, con il bassista Brian Vagnarelli entrato a sostituire Chris al basso (mentre lui si sarebbe solo occupato delle voci) ci fu lo split con il chitarrista Gianni Russo, che decise di abbandonare la band, a registrazioni in corso, subito dopo la partecipazione al concerto estivo di Ostia Antica con Vanadium e i Crossbones.
La ricerca del sostituto di Gianni non era certo facile e come se non bastasse, la King Steve commise una serie di grossi errori a livello di organizzazione. Impose ai ragazzi il chitarrista Dave Sumner, già con i Primitives di Mal. Sicuramente un grande strumentista, per carità, ma lontano dalle rasoiate metal di Gianni.
Iniziò così un lungo braccio di ferro tra i Raff e l’etichetta, che non digeriva le rimostranze dei ragazzi per la scelta obbligata e fuori luogo. Ricordo un bellissimo show al Teatro Colosseo del settembre 1983 che è rimasto impresso nella mente della nostra generazione metallica. 750 paganti con i Fingernails di supporto. Lo show dei Raff seppur di ottima fattura, regredì nell’impatto sonoro. Dave era assolutamente inadeguato e non dava la spinta necessaria al metal aggressivo dei ragazzi.
L’INIZIO DEL PEGGIO Dopo quel concerto, Lo stesso discografico si impossessò del cospicuo incasso della serata e annunciò ai ragazzi che aveva subìto una rapina. Nessuno venne pagato tranne che una cena pagata al ristorante di Rione Monti con tanto di caos ai tavoli, ubriachezza molesta, bicchieri rotti e proprietario che ci cacciò tutti via.
Si arrivò alla rottura totale anche perché l’album era finito e con la copertina già pronta, ma la King Steve non dava più segni di vita. Pare che di mezzo a questa improvvisa mancanza di entusiasmo per i Raff ci fosse un contratto firmato dalla band con l’etichetta svedese che aveva lanciato gli Heavy Load.
Lo ricordo perché lo stesso manager del gruppo mi fece vedere il contratto. Ora non capisco cosa sia successo, se fossero gli stessi ragazzi a non voler far uscire il vinile per la King Steve o se fosse il discografico a chiedere denaro per il trasferimento, fatto sta che dagli uffici dell’etichetta sparì il master premixato del disco. Si racconta che sia stato proprio Master Bianco a scavalcare la finestra dello studio dove si trovavano i master e di averli trafugati.
Rimane ancora oggi tutto avvolto nel mistero, comunque. L’episodio indispettì il manager dell’etichetta e la notte di quel capodanno, durante lo show organizzato dai discografici (suonammo noi dei Fingernails) i Raff rifiutarono di esibirsi con la scusa di non aver ricevuto il budget accordato. Tant’è che la serata ebbe degli incresciosi episodi di teppismo, con metallari che rubarono birre e alcolici dal bar del locale e un energumeno che quasi venne alle mani con noi.
A quel punto i rapporti tra la band e la King Steve si interruppero e Sumner ovviamente fu fatto fuori dai Raff. Da quel punto, la carriera del gruppo subì un imprevisto stop. Il gruppo cercò di rimediare al difficile momento con il ritorno di Fausto Donato alle chitarre.
Nel 1985 parteciparono alle registrazioni della compilation Metallo Italia curata da Al Festa che riunì una folta rappresentanza delle migliori band metal italiane tra cui Steel Crown, Crossbones, TIR, Vanexa, Elektradrive e altri.
Ne venne fuori un prodotto probabilmente non all’altezza delle produzioni internazionali ma il film documentario che ne seguì l’uscita ebbe un buon ritorno d’immagine soprattutto grazie alle visioni TV della Rai.
I Raff eseguirono il brano I Trust con la novità della batteria elettronica Simmons suonata da Master. Fu in apparenza il segno di una svolta per la band, che presto si registrò il primo Ep su vinile con quattro tracce.
Purtroppo l’album non risultò all’altezza del potenziale dei Raff. Chris febbricitante terminò il lavoro con grande fatica. Il pubblico ebbe difficoltà a seguire il nuovo corso dei Raff e la nascente scena thrash metal rese tutto molto più difficile.
In quel periodo Master partì per gli States assieme agli emiliani Raw Power che avrebbero girato per tre mesi in tour nel 1985 (aprile/giugno e in settembre). A causa di un’indisponibilità del cantante originale, la Toxic Records contattò Chris Bianco per partecipare al tour di circa quattro mesi come cantante solista degli stessi Raw Power.
A quel punto anche Fausto Donato dei Raff si unì al gruppo reggiano. La variazione della formazione non venne accolta con favore dai membri originali dei Raw Power che ripresero in mano la gestione della band mettendo alla porta i membri dei Raff.
Ritornati in Italia i fratelli Bianco decisero di provare con un ultimo assalto. Donato uscì dal gruppo per far posto a due chitarristi: Dani Macchi e Max Annibaldi che riportano il sound della band su binari meno commerciali. Purtroppo la carriera dei Raff non decollò e nel 1988, dopo un ultimo spettacolo al Piper di Roma, decisero di sciogliersi.
2001 – IL RITORNO
Nel 2001, dopo tredici anni di silenzio la band inaspettatamente torna in pista. Oltre i fratelli Bianco e Gianni Russo alla chitarra, troviamo la collaborazione di Angus Bidoli (me stesso) e alla voce Anthony Drago. Con questa formazione i Raff fanno diversi concerti nella Capitale. Sono anche invitata al festival metal di Chicago, evento che verrà però rifiutato a causa dei mancati accordi economici.
Nel 2002 il gruppo apre allo show romano degli Uriah Heep e compaiono nella compilation Fuoricentro prodotta dalla Gridalo Forte Rc. I Raff partecipano con un brano live registrato nell’estate del 2001 al Foro Italico. A questo punto si decide di suonare il concerto evento del 2003 con la presenza dei chitarristi Dani Macchi e Fausto Roddo Donato e del bassista Brian Vagnarelli, show che sancirà un nuovo scioglimento.
Un paio di anni dopo però si torna ancora in sella con la partecipazione a un paio di concerti nella provincia laziale, senza la collaborazionme di Drago e mia, ma con Donato e Vagnarelli. Sono solo uscite estemporanee perchè i Raff si fermano di nuovo per qualche anno, tornando nuovamente nel 2012 con la formazione a trio (Chris, Master e Gianni Russo) e partecipano ai festival Heavy Night di Villa Rosa e il Roman Hard’n’Heavy Festival all’Atlantico.
Dopodichè al posto di Gianni Russo subentra Tony Arcuri con il quale il gruppo registra l’album d’esordio (!) con tutti i vecchi brani anni ’80 che sarebbero dovuti uscire nell’83 per la King Steve. Inoltre suonano live in giro per l’Italia. E nel 2015 i Raff decidono di ritirarsi di nuovo e questa volta sembra definitivamente.
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almeriamovies · 3 years
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“Run Man Run” AKA Corri Uomo, Corri by Sergio Sollima (1968) Marco Guglielmi in front of Pico de Alfaro, Las Salinillas #Almeria
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davidosu87 · 4 years
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passionate-reply · 4 years
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TOUCH - “SOMEONE LOVING YOU”
The “Italo Disco” scene in the early 1980s is replete with one-off projects, some more anonymous than others. Lorenzo Canovi and Marco Guglielmi of Touch created one other track, “Wonderful Train,” as “Casablanca,” but their musical footprint pretty much ends there. And yes, before you ask if there were any B-sides, in both cases, the flip of these singles was an instrumental mix of the same tune, which is also pretty common for these small-time Italo Disco records. Given that, it’s no wonder Italo Disco compilation albums were common at the time, as well as today, in the form of playlists on YouTube and the like.
At any rate, I’ve always dug “Someone Loving You,” with its bodaciously bouncy bass synth and sickly, nasally-sounding lead vocal. The latter is definitely a bit love it or hate it, I confess, but as a fan of Real Life’s “Send Me an Angel,” the Assembly’s “Never Never,” and just about anything from the Pet Shop Boys, I am firmly in the former category. (Jeez, what was it about 80s electro and guys not blowing their nose?!)
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giallofever2 · 5 years
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1976
Gli amici di Nick Hezard
Also Known As (AKA)
(original title) Nick Hezard
Europe (English title) Nick the Sting
Finland Tuhannesti petkutettu
Spain The American Connection
Sweden Dubbelblåsningen
Sweden (video title) Blåst till tusen
USA Nick the Sting
West Germany Der Dreh mit dem Millionencoup
West Germany (video title) Der Stachel
Release Dates
Italy 29 April 1976
Sweden 8 August 1977
Directed by Fernando Di Leo
Music by LUIS Bacalov
Writing Credits
Alberto Silvestri ... (screenplay/story)
Technical specifications
Runtime 1 hr 33 min (93 min)
Filming Locations
Elios Studios, Rome, Lazio, Italy
Lugano, Cantone Ticino, Switzerland
Cast
Luc Merenda: Nick Hezard
Lee J. Cobb: Robert Clark
Gabriele Ferzetti: Maurice
Luciana Paluzzi: Anna
Dagmar Lassander: entreneuse Chantal
valentina cortese: Regina, madre di Nick
Isabella Biagini: cameriera Edy
Franco Ressel: gioielliere Parker
Umberto Raho: direttore generale assicurativo
Fulvio Mingozzi: Claude
Mario Pisu: Phil
William Berger: Reutmann
Giò Staiano: gioielliere Steffen
Fred Williams: Henry
Riccardo Salvino: Mark
Rosario Borelli: Ray
Edoardo Faieta alias Eddy Fay: ispettore assicurativo Rahn
Raoul Lo Vecchio: Ribot
Fernando Cerulli: Rocky
Carmelo Reale: Rolf
Sergio Doria: gangster
Marco Guglielmi: ricettatore Will Leffer
Tom Felleghy: assistente del direttore generale
GUEST : Fernando Di Leo: Film Director in Front of Police Station (uncredited)
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persinsala · 6 years
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Otello
Al Castello di Santa Severa, una messa in scena originale e avvincente del classico di Shakespeare ha accompagnato il pubblico, facendoli immergere nella magia del testo.
(more…)
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mariocki · 1 year
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Il mulino delle donne di pietra (Mill of the Stone Women, 1960)
"Can you really not remember? Or maybe you don't want to. I'm starting to understand. You want to deepen my remorse and give me nightmares. No. No! I'm not guilty. It wasn't my fault!"
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wumingfoundation · 6 years
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On #QAnon: The full text of our Buzzfeed Interview
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Ryan Broderick of Buzzfeed just published an article on this #QAnon conspiracy bullshit titled It's Looking Extremely Likely That QAnon Is A Leftist Prank On Trump Supporters. The piece features quotes from an interview we gave via email. Here’s the full email exchange.
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Can you tell me a bit about when and how your book Q was written?
We started writing Q  in the last months of 1995, when we were part of the Luther Blissett Project, a network of  activists, artists and cultural agitators who all shared the name «Luther Blissett». Luther Blissett was and still is a British public figure, a former footballer, a philanthropist. The LBP spread many mythical tales about why we chose to borrow his name, but the truth is that nobody knows.
Initially, Blissett the footballer was bemused, but then he decided to play along with us and even publicly endorsed the project. Last year, during an interview on the Italian TV, he stated that having his name adopted for the LBP was «a honour». The purpose of signing all our statements, political actions and works of art with the same moniker was to build the reputation of one open character, a sort of collective "bandit", like Ned Ludd, or Captain Swing. It was live action role playing. The LBP was huge: hundreds of people in Italy alone, dozens more in other countries. In the UK, one of the theorists and propagandists of the LBP was the novelist Stewart Home.
The LBP lasted from 1994 to 1999. The best English-language account of those five years is in Marco Deseriis' book Improper Names: Collective Pseudonyms from the Luddites to Anonymous. One of our main activities consisted of playing extremely elaborate pranks on the mainstream media. Some of them were big stunts which made us quite famous in Italy. The most complex one was played by dozens of people in the backwoods around Viterbo, a town near Rome. It lasted a year, involving Satanism, black masses, Christian anti-satanist vigilantes and so on. It was all made up: there were neither Satanists nor vigilantes, only fake pictures, strategically spread rumours and crazy communiqués, but the local and national media bought everything with no fact-checking at all, politicians jumped on the bandwagon of mass paranoia, we even managed to get footage of a (rather clumsy) satanic ritual broadcast in the national TV news, then we claimed responsibility for the whole thing and produced a huge mass of evidence. The Luther Blissett Project was also responsible for a huge grassroots counter-inquiry on cases of false child abuse allegations. We deconstructed the paedophilia scare that swiped Europe in the second half of the 1990s, and wrote a book about it. A magistrate whom we targeted in the book filed a lawsuit, as a consequence the book was impounded and disappeared from bookshops, but not from the web.
This is the context in which we wrote Q. We finished it in June 1998. It came out in March 1999 and was our final contribution to the LBP.
I've been reading up about it, and it's largely believed that it's underneath the book's narrative it works as handbook for European leftists? Is that a fair assessment? I've read that many believe the book's plot is an allegory for 70s and 80s European activists?
Although it keeps triggering many possible allegorical interpretations, we meant it as a disguised, oblique autobiography of the LBP. We often described it as Blissett's «playbook», an «operations manual» for cultural disruption.
The four authors I'm speaking to now are Roberto Bui, Giovanni Cattabriga, Federico Guglielmi and Luca Di Meo correct? The four authors of Q?
You are speaking with three of the four authors of Q, and you're speaking with a band of writers called Wu Ming, which means «Anonymous» in Chinese. In December 1999 the Luther Blissett Project committed a symbolic suicide - we called it The Seppuku - and in January 2000 we launched another project, the Wu Ming Foundation, centred around our writing and our blog, Giap. The WMF is now an even bigger network than the LBP was, and includes many collectives, projects and laboratories. Luca aka Wu Ming 3 is not a member of the band anymore, although he still collaborates with us on specific side projects. Each member of the band has a nom de plume composed of the band's name and a numeral, following the alphabetical order of our surnames, thus you're speaking to Roberto Bui aka Wu Ming 1, Giovanni Cattabriga aka Wu Ming 2 and Federico Guglielmi aka Wu Ming 4.
Can you tell me a bit about your background before the Luther Blissett project?
Before the LBP we were part of a national scene that was – and still is – called simply «il movimento», a galaxy of occupied social centres, squats, independent radio stations, small record labels, alternative bookshops, student collectives, radical trade unions, etc. In the Italian radical tradition, at least after the Sixties, there was never any clearcut separation between the counterculture and more political milieux. Most of us came from left-wing family backgrounds, had roots in the working class. Punk rock opened our minds during our teenage years, then in the late 1980s and early 1990s Cyberpunk opened them even more, and inspired new practices.
When did you start noticing similarities between Q and QAnon? I know you've tweeted a bit about this, but I'd love to get as many details as I can. I feel like the details around QAnon are so sketchy that it's important to lock in as much as I can here.
We read a lot about the US alt-right, books such as Elizabeth Sandifer's Neoreaction a Basilisk or Angela Nagle's – flawed but still useful – Kill All Normies, and yet we didn't see the QAnon thing coming. We didn't know it was growing on 4chan and some specific subReddits. About six weeks ago, on June 12th, our old pal Florian Cramer – a fellow veteran of the LBP who now teaches at the Willem de Kooning Academy in Rotterdam – sent us a short email. Here's the text:
«It seems as if somebody took Luther Blissett's playbook and turned it into an Alt-Right conspiracy lore. Maybe Wu Ming should write a new article: "How Luther Blissett brought down Roseanne Barr"!»,
After those sentences there was a link to a piece by Justin Caffier on Vice. We read it, and briefly commented on Twitter, then in the following weeks more and more people got in touch with us, many of them Europeans living in the US. They all wanted to draw our attention on the QAnon phenomenon. To anyone who had read our novel, the similarities were obvious, to the extent that all these people were puzzled seeing that no US pundit or scholar was citing the book.
Have there been key moments for you that made you feel like QAnon is an homage to Q? What has lined up the best?
Coincidences are hard to ignore: dispatches signed Q allegedly coming from some dark meanders of top state power, exactly like in our book. This Q is frequently described as a Blissett-like collective character, «an entity of about ten people that have high security clearance», and at the same time – like we did for the LBP – weird "origin myths" are put into circulation, like the one about John Kennedy Jr. faking his own death in 1999 – the year Q was first published, by the way! – and becoming Q. QAnon's psy-op reminds very much of our old «playbook», and the metaconspiracy seems to draw from the LBP's set of references, as it involves the Church, satanic rituals, paedophilia...
We can't say for sure that it's an homage, but one thing is almost certain: our book has something to do with it. It may have started as some sort of, er, "fan fiction" inspired by our novel, and then quickly became something else.
There will be a lot of skepticism I think that an American political movement like QAnon could have been influenced by an Italian novel, how do you think it may have happened?
It's an Italian novel in the sense that it was originally written in Italian by Italian authors, but in the past (nearly) 20 years it has become a global novel. It was translated into fifteen languages – including Korean, Japanese, Russian, Turkish – and published in about thirty countries. It was successful all across Europe and in the English speaking world with the exception of the US, where it got bad reviews, sold poorly and circulated almost exclusively in activist circles.
Q was published in Italian a few months before the so-called "Battle of Seattle", and published in several other languages in the 2000-2001 period. It became a sort of night-table book for that generation of activists, the one that would be savagely beaten up by an army of cops during the G8 summit in Genoa, July 2001. In 2008 we wrote a short essay, almost a memoir, on our participation to those struggles and Q's influence in those years, titled Spectres of Müntzer at Sunrise. A copy of Q's Spanish edition even ended up in the hands of subcomandante Marcos. It isn't at all unrealistic to imagine that it may have inspired the people who started QAnon.
Have you seen anything in the QAnon posts that leads you to suspect any activist group in particular is behind it?
No, we haven't.
You think QAnon is a prank? Without some kind of reveal it's obviously hard to see it as that. If you think it was revealed that QAnon was actually some kind of anarchist prank, would it even matter? Would its believers abandon it or would they just see it as a smear campaign?
Let us take for granted, for a while, that QAnon started as a prank in order to trigger right-wing weirdos and have a laugh at them. There's no doubt it has long become something very different. At a certain level it still sounds like a prank, but who's pulling it on whom? Was the QAnon narrative hijacked and reappropriated by right-wing "counter-pranksters"? Counter-pranksters who operated with the usual alt-right "post-ironic" cynicism, and made the narrative more and more absurd in order to astonish media pundits while spreading reactionary content in a captivating way?
Again: are the original pranksters still involved? Is there some detectable conflict of narratives within the QAnon universe? Why are some alt-right types taking the distance from the whole thing and showing contempt for what they describe as «a larp for boomers»?
A larp it is, for sure. To be more precise, it's a fascist Alternate Reality Game. Plausibly the most active players – ie the main influencers – don't believe in all the conspiracies and metaconspiracies, but many people are so gullible that they'll gulp down any piece of crap – or lump of menstrual blood, for that matter. Moreover, there's danger of gun violence related to the larp, the precedent of Pizzagate is eloquent enough. What if QAnon inspires a wave of hate crimes?
Therefore, to us the important question is: triggering nazis like that, what is it good for? That camp is divided between those who would believe anything and those who would be "ironic" on anything and exploit anything in order to advance their reactionary, racist agenda. Can you really troll or ridicule people like those?
It's hard to foresee what would happen if QAnon were exposed as an anarchist/leftist prank on the right. If its perpetrators claimed responsibility for it and showed some evidence (for example, unmistakeable references to our book and the LBP), would the explanation itself become yet another part of the narrative, or would it generate a new narrative encompassing and defusing the previous one? In plain words: which narrative would prevail? «QAnon sucking anything into its vortex» or «Luther Blissett's ultimate prank»?
In any case, we'd never have started anything like that ourselves. Way too dangerous.
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pedrop61 · 6 years
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Figli'emammeta... RAI
ECCO LA LISTA INFINITA DI TUTTI I RACCOMANDATI PD IN RAI
Tinni Andreatta, responsabile fiction di Raiuno, figlia di Beniamino, ex-ministro DC.
Natalia Augias, Gr, figlia del giornalista e scrittore Corrado.
Gianfranco Agus, nipote dell'attore Gianni.
Roberto Averardi, Gr, figlio di Giuseppe, ex-deputato PSDI.
Francesca Barzini, Tg3, figlia dello scrittore e giornalista Luigi junior.
Bianca Berlinguer, conduttrice del Tg3, figlia di Enrico, ex-segretario del PCI.
Barbara Boncompagni, figlia di Gianni.
Claudio Cappon, direttore generale, figlio di Giorgio, potente ex-direttore generale dell'Imi.
Antonio De Martino, figlio dell'ex ministro Francesco.
Fabrizio Del Noce, Tg1, direttore Raiuno, figlio del filosofo Augusto.
Antonio Di Bella, direttore Tg3, figlio di Franco, ex-direttore del "Corriere della Sera".
Claudio Donat-Cattin, capostruttura Raiuno, figlio dell'ex-ministro democristiano Carlo.
Jessica Japino, figlia di Sergio, compagno di Raffaella Carrà.
Giancarlo Leone, amministratore delegato di Rai Cinema, figlio dell'ex-presidente della Repubblica Giovanni.
Marina Letta, contrattista a tempo determinato, figlia di Gianni, già sottosegretario alla Presidenza a Palazzo Chigi.
Pietro Mancini, figlio del socialista Giacomo.
Maurizio Martinelli ,Tg2, figlio del giornalista Roberto.
Stefania Pennacchini, Relazioni istituzionali Rai, figlia di Erminio, ex-sottosegretario DC.
Claudia Piga, Tg1, figlia di Franco, ex-ministro DC.
Francesco Pionati, figlio dell'ex-sindaco di Avellino, la cui assunzione, secondo quanto si narra, fu decisa durante una partita a carte di Ciriaco…
Alessandra Rauti, redattore del Gr, figlia di Pino, segretario del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore.
Silvia Ronchey, autrice e conduttrice di programmi, figlia di Alberto, ex-ministro dell'Ulivo ed ex presidente di Rcs.
Paolo Ruffini, direttore Gr, nipote del cardinale e figlio di Attilio, ex-deputato e ministro DC.
Sara Scalia, capostruttura di Raidue, figlia della giornalista Miriam Mafai.
Maurizio Scelba, Tg1, figlio di Tanino, ex-portavoce del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
Mariano Squillante, ex-corrispondente da Londra, figlio dell'ex-giudice Renato.
Giovanna Tatò, Raitre, figlia di Tonino, consigliere di Enrico Berlinguer.
Carlotta Tedeschi, figlia di Mario, senatore MSI.
Daniel Toaff, capostruttura e autore della "Vita in diretta'', figlio di Elio, l'ex-rabbino capo di Roma.
Stefano Vicario, regista, figlio del regista Marco.
Flavio Fusi, TG3, Figlio di Torquato, senatore PCI
FIGLI RAI:
Rossella Alimenti, Tg1, figlia di Dante, ex vaticanista Rai.
Paola Bernabei, Ufficio stampa, figlia di Ettore, ex-direttore generale della Rai
Giovanna Botteri, Tg3, figlia di Guido, ex-direttore sede Rai di Trieste.
Manuela De Luca, conduttrice Tg1, figlia di Willy, ex-direttore generale Rai.
Giampiero Di Schiena, Tg1, figlio di Luca, ex-direttore DC del Tg3.
Annalisa Guglielmi, sede Rai di Milano, figlia di Angelo Guglielmi, ex-direttore di Raitre.
Piero Marrazzo, conduttore di "Mi manda Raitre'', figlio dello scomparso giornalista Giò.
Simonetta Martellini, Raiuno, figlia di Nando, radiocronista sportivo.
Luca Milano, figlio di Emanuele, ex-direttore Tg1 ed ex-vicedirettore generale.
Barbara Modesti, Tg1, figlia dell'annunciatrice Gabriella Farinon e del regista Rai Dore.
Monica Petacco, Tg2, figlia di Arrigo, storico e consulente di programmi Rai.
Andrea Rispoli, Raidue, figlio del conduttore Luciano, già alla Rai.
Fiammetta Rossi, Tg3, figlia di Nerino, ex direttore del Gr2, ma anche moglie del potente ex-segretario dell'Usigrai, Giorgio Balzoni, oggi caporedattore al politico del Tg1.
Cecilia Valmarana, figlia di Paolo, uno dei padri del cinema coprodotto dalla Rai
Paolo Zefferi, figlio di Ezio, giornalista e autore di fortunati approfondimenti, è a Rainews 24.
Francesca Orichuia, figlia di Carlo Orichuia (dirigente Rai)
Paolo Di Giannantonio, figlio di un ex onorevole della DC, tale Natalino Di Giannantonio
Alberto Angela, figlio di Piero
Diana De Feo, giornalista TG1, figlia di una dei primi direttori generali Rai e moglie di Emilio Fede
....e continua
17 notes · View notes
mardev · 3 years
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"I fili sottili del tessuto urbano" raccontano il #pattodicomunità! Il giorno 2 luglio 2021, alle ore 18.00, presso la Casa del Municipio in Via Galilei 53, inauguriamo la mostra dedicata al nostro Patto di Comunità. In questo anno difficile abbiamo messo in rete la nostra comunità stringendo un Patto fra tutte e tutti, per non lasciare nessuno indietro. Venti artiste e artisti, sull'idea di Simona Sarti, hanno rappresentato cos'è per loro "comunità", per raccontare con l'arte questa fase di storia urbana, dipanare con immagini i fili immaginari che ci legano gli uni agli altri. Il Finissage è previsto per il giorno 8 luglio ore 18.00, sempre presso la Casa del Municipio. Vi aspetto! Le Artiste e gli Artisti partecipanti: Silvia Agostini, Isabella Angelini, Norberto Cenci, Martina Cristetti, Marco Delli Veneri, Antonio Esposito, Simone Fichera, Giovanna Gandini, Florian Heymann Guglielmi, Metello Iacobini, Felice Leonardi, Brunella Martucci, Paolo Andrea Pandolfi, Michel Patrin, Elisabetta Piu, Gabriella Sabbadini, Simona Sarti, Antonella Tofi, Ginevra Tonini Masella, Tsuyobn. (presso Via Galileo Galilei, 55) https://www.instagram.com/p/CQrSRzEnZWO/?utm_medium=tumblr
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moviesandmania · 3 years
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COLT .38 SPECIAL SQUAD (1976) Reviews and overview
COLT .38 SPECIAL SQUAD (1976) Reviews and overview
Colt 38 Special Squad is a 1976 Italian poliziottesco crime thriller film about a team of cops given more discretion to fight crime. Directed by Massimo Dallamano (What Have They Done to Your Daughters?; Mafia Junction; What Have You Done to Solange?; Dorian Gray; Black Veil for Lisa) from a screenplay co-written with Franco Bottari, Marco Guglielmi and Ettore Sanzò. Produced by Paolo…
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pangeanews · 6 years
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“Non risolta. Non semplice. Molto sola. La condizione ideale per scrivere”: Gianluca Barbera dialoga con Veronica Tomassini
Con Veronica Tomassini non si scherza. La scrittura è tatuata sulla sua pelle. Ogni parola che pronuncia risuona di un’eco antica e lacerante. In lei vita e letteratura quasi non si distinguono. Ne consegue una qualità speciale dell’arte, un frizzio nella circolazione sanguigna delle sue opere. Basta leggersi “Sangue di cane” (Laurana, 2010) e “L’altro addio” (Marsilio, 2017) per rendersene conto. Veronica è una scrittrice nata, lo si avverte in ogni riga che scrive. Niente di studiato, tutto vissuto e sofferto fino in fondo. Una sofferenza che si fa arte; perfino in un’intervista.
Veronica, dopo la straordinaria accoglienza di “Sangue di cane” la tua carriera di scrittrice è decollata? O in questo Paese si resta sempre un po’ sospesi a mezz’aria? Puoi fare un bilancio?
Sì, è decollata, e si è fermata. “Sangue di cane” mi ha lasciato molti estimatori, lettori sparsi, qualche collaborazione. E nient’altro. Non ho comprato un attico nel centro di Roma. Al mio nome non salta nessuno sulla sedia, non mi stendono tappeti rossi nelle stanze dove si decidono i destini della letteratura.
Che cosa c’è che non va nell’editoria italiana?
L’editoria italiana soffre di insicurezza, ha bisogno di conformarsi. È fatta di numeri. Di copertine kitsch a volte, con una promozione molto facile tipo: “foto social di merda con accanto tazzine di merda” (cito lo scrittore Marco Drago). Non è per forza e sempre così, vorremmo sperare.
Già, Drago non le manda mai a dire. Ho intenzione di intervistarlo prossimamente. Qual è il genere di storie che ti piace raccontare e che vorresti raccontare in futuro? Certo, “Sangue di cane” e “L’altro addio” indicano una rotta precisa, ma vorrei che fossi tu a parlarne…
La mia narrazione devia spesso, come il mio sguardo, nei luoghi dove gli altri lo tolgono. Dove per gli altri cade l’ombra, spesso per me si rivela la luce. Una luce magnifica, eloquente. Amo i perdenti, per questo li racconto. Lo sono anch’io. Ma ammetto che è una lunga narrazione tristemente biografica, nel senso: non racconto che di quel che so, che ho vissuto. Dopo “L’altro addio”, ho finito un romanzo che ho definito “della giovinezza”, ancora inedito. Racconto gli anni ’80, la periferia, la piazza, l’eroina, e un gruppo di adolescenti vivere su cumuli di immondizia, dentro giorni chiamati deserti, in condomini popolari, abbaini con cani ringhiosi a latrare, vecchie auto carbonizzate, falansteri, con rampe buie e maleodoranti, cardi e agavi che si gettano verso il mare. Era la mia adolescenza.
So che stai scrivendo qualcosa di totalmente nuovo rispetto ai temi cui ci hai abituati. Puoi parlarcene?
Sto scrivendo un romanzo sull’amore, nel mio blog personale. La storia di un abbandono. Alla fine è il solito assedio, piccoli inferni vecchi e nuovi. Alla fine è sempre tranche de vie. Non so fare altro che raccontare la mia vita, mentendo. Negli ambienti editoriali, pare, che vada moltissimo questa storia del sentimentalismo. Autori che non mi dicono nulla ma che vendono centinaia di migliaia di copie. Allora qualcuno ti dice: buttati sul sentimento. Io dico: non ho fatto altro.
Esiste secondo te anche un problema di critica letteraria? Che opinione hai del fare critica oggi?
La critica oggi? Difficile domanda. I grandi critici come Giovanni Pacchiano o Angelo Guglielmi sono il mio solo riferimento. Ma è un problema mio credo, non frequento molto la critica più “giovane”. Però, ecco, mi viene in mente Gilda Policastro, brava e severa, la cito giù anche tra le scrittrici che sento prossime.
Sulla sua lapide Oriana Fallaci ha voluto che venisse inciso: “scrittore”, e non “scrittrice”. Che ne pensi? Non ritieni che a volte le donne si marginalizzino da sole? Nelle professioni io non ho mai distinto fra uomini e donne ma fra bravi e meno bravi e sinceramente una domanda simile non te la porrei nemmeno, se non fosse che ho l’impressione che spesso siano le donne a volersi differenziare…
La letteratura femminile: e subito penso a certe riviste da fotoromanzi, a qualcosa da ricamo e cucito. Una sottodimensione, un genere. Siamo scrittori. Sono d’accordo. Io preferirei – come Oriana Fallaci – definirmi uno scrittore. Non abbiamo sesso, uomini, donne, li conteniamo tutti, nella nostra memoria che deve aver viaggiato parecchio, quando ancora non ci chiamava per nome. Non un genere, o altrimenti come nelle declinazioni latine andrebbe bene un neutro. Noi siamo il mondo che raccontiamo.
Che persona sei, nel privato? E quanto il fatto di essere una scrittrice influisce sulla tua esistenza?
Credo di non essere una persona in riga, non so come dire. Sono una donna che cerca ancora qualcosa, non risolta. Non semplice. Molto sola. Non so come io sia così sola, perché. È una condizione giusta per scrivere. Non me ne compiaccio. Affatto. La noia è un problema per me. La noia è diventata forse anche la ragione della mia scrittura. La scrittura: la mia compagna; dove tutti abdicano, abbandonano, si arrendono, lei vince, dimora, resta. Nella mia vita non dico quasi mai (quando mi è possibile) cosa io faccia, quale sia il mio mestiere. Che poi scrivere è un mestiere? No, è uno status, un modo di guardare e raggiungere le cose. Non voglio essere sempre straniera, così nella mia controllata socialità, fatta di luoghi umili e una umanità vera e primitiva, io non dico nulla, voglio essere come gli altri, non diversa, straniera. E la scrittura ti rende un po’ diversa, un po’ straniera.
Da che cosa dipende il valore di un’opera letteraria secondo te? Dalla lingua? Dalle tematiche. Da cosa?
Da tutto questo insieme ma con un fattore ics: la potenza della parola. La parola deve risuonare come un’eco tremenda, persino dentro un’apparente innocuità.
Lo scrittore ha un qualche tipo di etica da rispettare o non ne ha nessuna?
L’etica è una consapevolezza morale. La moralità è un concetto ameno applicato alla scrittura.
Qual è la tua idea di letteratura e quali sono i cinque libri della tua vita?
La scrittura non deve normalizzare, consolare. La scrittura non è democratica. È la spada che rompe il ghiaccio. Deve inchiodarci alle nostre vulnerabilità. Nelle cose minime, deve intercettare l’inaudito. O il settimo cielo di cristallo. I miei cinque libri, profetici (non per forza i più amati): “I Demoni” di Dostoevskij (Dostoevskij e i russi li metterei tutti); “Il riposo del guerriero” di Christiane Rochefort; “Le ambizioni sbagliate”, Moravia; “L’ottavo giorno della settimana” di Marek Hlasko; “Tropico del cancro” di Henry Miller.
E gli scrittori italiano che ami di più? Di oggi e di ieri…
Buzzati, Pratolini, Moravia, Levi, Pavese. Il neorealismo. Oggi ce ne sono di bravi: Giulio Mozzi, Dario Voltolini, Andrea Carraro, Gaetano Cappelli. Demetrio Paolin. Ivano Porpora. Ma sono anche amici, dunque non so. Tra le donne: Grazia Verasani, mi piace Loredana Lipperini (nel suo esordio), Alessandra Sarchi (metto in ordine sparso, non di importanza), Viola Di Grado. Yasmin Incretolli. Claudia Durastanti. Francesca Marzia Esposito. Gilda Policastro. Tiziana Cera Rosco (poetessa meravigliosa). Letizia Di Martino (vi invito a leggerla su Facebook, meriterebbe un grande romanzo). Cristina Caloni. Dimenticherò qualcuno senz’altro. Sono amici e scrittori che stimo, tutto insieme. (Ah, ci sei tu, Gianluca Barbera).
Ne sono lusingato. Ti piace il cinema? I tuoi cinque film più significativi?
Sì, ma lo frequento poco. Dove vivo (una piccola città di provincia) ci sono solo multisale e produzioni americane. Amo i film francesi, da ragazza vedevo Truffaut, non sapevo chi fosse Truffaut, ma mi piaceva. Le atmosfere giallognole e intimiste dei film francesi. Dunque, direi i film di Truffaut intanto. “La signora della porta accanto”; “Bella di giorno” di Bunuel; “Anonimo Veneziano” di Enrico Maria Salerno; poi da sentimentale quale sono: “L’amante” di Annaud; “Lezioni di piano” di Jane Campion.
Da anni scrivi sul “Fatto Quotidiano”, un giornale molto connotato. Hai la più ampia libertà o devi rimanere all’interno di paletti ben precisi? E come è nata la tua collaborazione con “Il Fatto”?
Non conosco giornale più libero de “Il Fatto Quotidiano”. Ho lavorato molti anni in una redazione siciliana. Quando arrivai nella redazione de “Il Fatto”, non riuscivo a credere che potessi raccontare la verità, qualcosa di prossimo alla verità. I miei pezzi non vengono toccati di una virgola. Mi sono permessa di scrivere quel che non avrei mai immaginato di poter scrivere, senza alcuna genuflessione al potere, senza proteggere nessuno. E non ero abituata a questo. Ho cominciato a scrivere per “Il Fatto” con i Forconi, con la rivoluzione siciliana dei forconi, rivoluzione mancata. Ricevo una telefonata: era Marco Travaglio. Mi chiede: cosa ne dici di scriverci qualcosa? Così di punto in bianco. Ovviamente io ero nel pallone, ma ho risposto: sì, va bene, sarà fatto. Ed è cominciata una collaborazione bella e significativa che dura tutt’oggi. Sono stata gratificata da loro, spesso. Ricordo una telefonata di Antonio Padellaro, all’indomani di un pezzo che raccontava di sbarchi e immigrazione. Voleva omaggiarmi della sua stima. Per me era impensabile anche soltanto sognare una cosa del genere. E anche in questo caso, mi devo ripetere: non ero abituata.
Sei molto presente fu Facebook. Potresti farne a meno o come per molti è diventata una necessità, una parte imprescindibile della tua vita?
Sì, sono molto presente e, malgrado spesso non ne possa più, non potrei farne a meno, il mio lavoro è fatto anche di questo. Relazioni e comunicazione. Molte occasioni importanti sono arrivate attraverso Facebook. Mi contattano sui social, come se fossero le pagine bianche.
Sei di origini siciliane, ma quanto ti senti siciliana e quanto ti senti altro?
Mia madre è siciliana. Mio padre è umbro. Mia nonna era abruzzese. Mi sento senza radici, sempre fuori la porta. Oggi vorrei farne un vezzo. Essere a parte di tutto eppur fuori. Non sapere parlare il dialetto. Avere memoria di luoghi e epoche in cui non sono mai stata. Non perderci la ragione, magari.
Quanto per te la vita è fatica e sofferenza e quanto è serenità e felicità?
Serenità e felicità molto poca. Ma gioia segreta a brani, un anticipo di qualcosa che ispira consolazione. Qualcosa di molto dolce. Quando la incontro, alla fine di una disperazione. Alla fine di una disperazione si schiude un rinnovato significato. Una luce ti avverte: abbi pazienza, non ti è dato sapere del tutto. E intanto scrivo e mi nutro di questo. Mi nutro della nostalgia e scrivo. La scrittura è anche un affare di saprofagi. La nostalgia è già un lutto. Il requiem su un fatto, un’assenza. Lo scrittore è il risultato di molteplici assenze.
Cosa è per te il male e come si manifesta? E il bene? Secondo te sono così strettamente legati o uno potrebbe stare senza l’altro?
Il male si manifesta con la paura. Con le fobie, le paranoie, il pregiudizio. Tutte fragilità che si consumano come brace, ma su se stesse. Non producono, non seminano. Ripiegate, energie che muoiono senza santificare. Il male non lo devi guardare troppo a lungo, si dice così no? L’abisso: non lo guardare e lui non guarda te. Quando certe volte mi assalgono i pensieri che non sono miei, pensieri strani, ottenebrati, dico tra me: Dio trasformali in preghiera. Il bene è il luogo dove tendiamo tutti, santi e malfattori. Ci piaccia o meno. È lì che dobbiamo andare.
So che hai problemi col cibo. Da cosa dipende. Puoi parlarcene o non te la senti?
Dipende da molte cose, da una sindrome autoimmunitaria, da una vocazione adolescenziale, dalla paura, dalla solitudine. Solitudine a grappoli, da raccogliere, o covoni di pianto da trasformare in gioia, biblicamente. Quando leggo i passi delle Scritture realizzo che niente che ci appartenga non sia già stato annunciato nel libro della vita e ogni nostro passo contato, ogni lacrima conservata nella Sacra Otre. La difficoltà ad alimentarmi è il mio cruccio antichissimo, ho il terrore di perdere peso, lo perdo facilmente. Soffro di dolori cronici, la mia vita è condizionata da questo, anche la mia vita sociale (che praticamente non esiste). Devo imparare ad accettare, a viverci insieme con i miei mostri, renderli creature, disorientarli, arrivare persino ad amarli. Chiedere casomai talvolta: perché? Cosa vi ho fatto mai? Accettarli. E d’improvviso capisci che ognuno ha un compito assegnato, croci che ci spettano, che hanno un senso, il crogiolo del dolore, è Siracide. L’uomo provato dal crogiolo del dolore è un uomo benedetto.
Se dovessi fare un viaggio lungo un anno, che Paesi o continenti vorresti attraversare prima di ogni altro?
Andrei in Provenza, finirei lì – se potessi – i miei giorni, guardando oltre un davanzale il bluette e l’azzurro violaceo dei campi di lavanda al tramonto. Un cielo carta da zucchero, un uomo capace di amarmi, che mi perdoni, mi assolva e mi faccia dimenticare l’imperfezione, la stoltezza delle cose finite. Leggerei, scriverei, lavorerei le maglie, pregherei. Sarei amata da qualcuno.
Un’ultima domanda. Se dovessi dare una definizione di te come scrittrice con una frase lapidaria, come ti definiresti? E in quanto scrittrice come vorresti essere ricordata?
La lapide: qui dove finisce l’attesa e l’inganno. Per cosa vorrei essere ricordata? Non lo so, per le pietre di scarto che ho raccontato. Più che altro vorrei essere ricordata per loro, gli assenti che mi assediano, i bevitori, i profeti delle panchine, i legni storti. Gli imperdonabili. La vestale degli imperdonabili, andrebbe bene anche come lapide.
Be’, davvero una scrittrice forgiata nella carne e nel sangue. Ammetto che questa intervista mi ha lasciato il segno. E credo che sarà lo stesso per molti lettori. Non ho altro da aggiungere. Vi lascio alle vostre meditazioni. Alla prossima.
Gianluca Barbera
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