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#pino rauti
tnoasoiaf · 1 year
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Just to clear my thoughts up on Pino Rauti
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magauda · 2 months
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Pino Rauti andò a fondare il Centro Studi Ordine Nuovo
Gli anni Cinquanta furono teatro di decisivi mutamenti, tanto da sfociare in una vera e propria ridefinizione dell’organigramma del partito [il Movimento Sociale Italiano]. Nel Congresso di Viareggio del 1954 venne eletto alla carica di segretario Arturo Michelini, il quale decise, d’accordo con la maggioranza che l’aveva sostenuto, di diminuire l’autonomia del RGSL, abolendo l’elezione dal basso…
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botallo · 2 months
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Pino Rauti andò a fondare il Centro Studi Ordine Nuovo
Gli anni Cinquanta furono teatro di decisivi mutamenti, tanto da sfociare in una vera e propria ridefinizione dell’organigramma del partito [il Movimento Sociale Italiano]. Nel Congresso di Viareggio del 1954 venne eletto alla carica di segretario Arturo Michelini, il quale decise, d’accordo con la maggioranza che l’aveva sostenuto, di diminuire l’autonomia del RGSL, abolendo l’elezione dal basso…
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sapergo · 2 months
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Pino Rauti andò a fondare il Centro Studi Ordine Nuovo
Gli anni Cinquanta furono teatro di decisivi mutamenti, tanto da sfociare in una vera e propria ridefinizione dell’organigramma del partito [il Movimento Sociale Italiano]. Nel Congresso di Viareggio del 1954 venne eletto alla carica di segretario Arturo Michelini, il quale decise, d’accordo con la maggioranza che l’aveva sostenuto, di diminuire l’autonomia del RGSL, abolendo l’elezione dal basso…
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bagnabraghe · 2 months
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Pino Rauti andò a fondare il Centro Studi Ordine Nuovo
Gli anni Cinquanta furono teatro di decisivi mutamenti, tanto da sfociare in una vera e propria ridefinizione dell’organigramma del partito [il Movimento Sociale Italiano]. Nel Congresso di Viareggio del 1954 venne eletto alla carica di segretario Arturo Michelini, il quale decise, d’accordo con la maggioranza che l’aveva sostenuto, di diminuire l’autonomia del RGSL, abolendo l’elezione dal basso…
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bigarella · 2 months
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Pino Rauti andò a fondare il Centro Studi Ordine Nuovo
Gli anni Cinquanta furono teatro di decisivi mutamenti, tanto da sfociare in una vera e propria ridefinizione dell’organigramma del partito [il Movimento Sociale Italiano]. Nel Congresso di Viareggio del 1954 venne eletto alla carica di segretario Arturo Michelini, il quale decise, d’accordo con la maggioranza che l’aveva sostenuto, di diminuire l’autonomia del RGSL, abolendo l’elezione dal basso…
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curiositasmundi · 1 year
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[...] «Meloni ha sempre proclamato fedeltà a Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, dalle cui fila sono usciti gli stragisti degli Anni 70. Ha partecipato a una manifestazione con Ciavardini e criticato la sentenza di condanna sulla strage di Bologna. Il deputato Mollicone ha ricordato in Parlamento il depistatore generale Maletti, definendolo “uomo di Stato”. Ciavardini è uscito dal carcere grazie a Claudio Barbaro, attuale sottosegretario, e a sua volta ha fatto uscire dal carcere Cavallini». Ha senso sollevare una questione fascista sulla commissione antimafia? «Dopo il fascismo c’è il neofascismo: implicato nella stagione delle stragi con ampie coperture istituzionali, ora è penetrato nello Stato, presidia la tolda di comando. È una lunga marcia. Prima per sovvertire la Costituzione, oggi per svuotarla». In che modo, visto che parliamo di una commissione di inchiesta? «L’elezione della Colosimo interviene in un momento particolare. La Corte di Bologna ha appena condannato Bellini, neofascista di Avanguardia Nazionale, che nel 1992 era in contatto con gli esecutori della strage di Capaci e suggerì la strategia di colpire i beni artistici, come fatto nel 1974 da Massimiliano Fachini, leader di Ordine Nuovo a cui apparteneva Pietro Rampulla, artificiere di Capaci. La sentenza di Bologna rivede il delitto Mattarella recuperando la matrice di destra eversiva, come sosteneva Falcone. Stefano Delle Chiaie era a Palermo nel periodo delle stragi. Su questi temi dovrebbe misurarsi la commissione antimafia. Come potrà farlo con questa presidente?». La Colosimo è nata nel 1986. È anagraficamente distante. «Ma è imbevuta di questa solidarietà ideologica. E viene eletta non per un capriccio personale o debito di amicizia della premier, ma con una precisa missione». Quale? «Costruire una contronarrazione revisionista e negazionista: le stragi sono opera solo di Riina, niente c’entrano massoneria, servizi segreti, neofascisti. Al massimo qualche imprenditore del Nord dagli affari sporchi». Ci saranno conseguenze sulle indagini giudiziarie? «Devastanti. Immaginiamo come questa notizia sarà letta da personaggi come Graviano, al 41 bis, o Bellini, che attende il processo di appello per la strage di Bologna». Come? «Questa è gente che conosce i codici del potere meglio di me e lei. Il messaggio è chiaro: sul patto di fedeltà al fondatore di Ordine Nuovo si fonda il controllo di un’istituzione delicatissima. Crede che questo possa incoraggiare collaborazioni?». Meloni e Colosimo hanno un’amicizia antica. «Per una statista, di fronte a una questione istituzionale l’amicizia recede. A meno che non sia lo schermo di una visione strategica, la rilegittimazione del neofascismo. Questa elezione ne è una tappa fondamentale. C’è un filo nero che si dipana». Avevate provato a evitare questo esito? «Avevamo detto: indicate un altro nome, lo votiamo anche noi. Invece la Meloni ha insistito, pur sapendo che noi saremmo usciti dall’aula, una cosa mai successa. Una linea Maginot di decenza». [...]
Da: Scarpinato- “Un filo nero da Rauti a Meloni i neofascisti dietro le stragi”
La Stampa
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Pietro Cappellari - Italo Linzalone
LA RIVOLTA IDEALE 1993 - 1995
Nascita e tramonto del Movimento Sociale Italiano
VOLUME II
L’opposizione alla svolta di Fiuggi e la continuità ideale
La storia del Movimento Sociale Italiano – riferimento della destra italiana per mezzo secolo – ha dei passaggi “epocali”: tra questi vi è il celebre “Congresso di Fiuggi” del gennaio 1995, che ne decreta la fine. Eppure, malgrado la sua indubbia importanza, questo evento non è mai stato approfondito come avrebbe meritato.
Il presente volume – che segue il precedente lavoro dedicato alla storia e alle idee del mondo “missino” – analizza la “svolta di Fiuggi” nella sua totalità: non solo la conclusione di un percorso, ma anzitutto lo “schianto” di un ambiente umano e politico, le cui conseguenze furono molteplici. Se della nascita di Alleanza Nazionale si è parlato molto, quasi nulla è stato detto del fermento di una base militante che – non disposta a farsi “assorbire dal sistema” – scelse di “non rinnegare le origini” e di porsi in “continuità ideale” con la propria eredità: una rivolta interna spontanea e tenace, che non voleva rassegnarsi al verbo liberale e che ancora pretendeva di incarnare le istanze sociali, nazional-popolari e rivoluzionarie.
In questo scenario insorgente – alle spalle di figure di primo piano come quelle di Pino Rauti, Rutilio Sermonti e Giorgio Pisanò – si schierano migliaia di dirigenti e di militanti, pronti a proseguire la battaglia con la “fiamma tricolore”. Queste pagine, ricche di documenti e di testimonianze, raccontano la storia di chi – incurante delle conseguenze – ebbe il coraggio di dire: “Anche se tutti, noi no”.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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mariacallous · 1 year
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When Italian Prime Minister Giorgia Meloni paid an official visit to the Jewish ghetto in Rome on Dec. 19, 2022, it was a big deal. Meloni, who was appointed in October 2022, is Italy’s first prime minister with a past in a neofascist organization: As a teenager, she was an activist with the Movimento Sociale Italiano (MSI), a now dissolved neofascist movement that was openly apologetic for former dictator Benito Mussolini’s regime. But when she visited the ghetto, Meloni used tough words to condemn one of Mussolini’s greatest crimes: “The racial laws were a disgrace,” she said. Then, she hugged the president of the local Jewish community, Ruth Dureghello, and briefly wept.
Only two weeks later, however, Meloni publicly defended MSI in a press conference. “It was a party of the democratic right,” she claimed, adding that the neofascist movement “ferried millions of Italians defeated by the war towards democracy.”
The two episodes encapsulate Meloni’s savvy but ultimately misleading communications strategy: Rather than distancing herself from her neofascist past, as some people might have expected, she’s trying to distance her neofascist past from fascism itself.
This choice is striking for two reasons. First, when MSI dissolved in 1994, evolving into the more moderate Alleanza Nazionale, Meloni was only 17 years old (she was a party member since 1992), which would make it easy for her to dismiss her past as a youthful mistake. Second, her efforts to cast the MSI in a positive light clash with basic history.
MSI leaders took pride in their disdain for democracy. One of them, Pino Rauti, wrote a book titled “Democracy, Here’s the Enemy!” Presenting MSI as democratic is “a nonsense that can only convince those who don’t know the history of Italy,” said Piero Ignazi, a professor of political science at the University of Bologna. “No one in MSI ever embraced the position that fascism is bad and democracy is good.”
The MSI was born in direct continuity with Mussolini’s regime soon after its fall, founded in a semi-clandestine way in 1946 by veterans of the Italian Social Republic, the political entity that governed Northern Italy between 1943 and 1945, officially led by Mussolini but in practice a German puppet state. Back then, its founders—including Rauti; Giorgio Almirante, set to become MSI’s most prominent leader; and Rodolfo Graziani, a commander in Mussolini’s army—were still in hiding, but they emerged to public life after Italy passed an amnesty for collaborators in 1946.
“The function of MSI was to gather Mussolini’s veterans and keep their political identity alive and functioning in contrast with democracy,” said historian Davide Conti, who wrote a book on the movement.
In the war’s aftermath, the MSI was isolated by other major parties, such as the Christian Democracy party and the Italian Communist Party, both of which had their roots in the anti-fascist resistance. For decades, Italian politics was dominated by the so-called patto costituzionale, an unwritten rule that made neofascists pariahs, barred from any alliance, consultation, or even temporary collaboration. The MSI motto of “non rinnegare, non restaurare” (“neither disown nor reinstate”) summarized its approach to Mussolini’s dictatorship: The group saw the regime as a source of inspiration but did not plan to bring it back any time soon. It also conveniently helped the regime bypass a law, approved in the 1950s, barring the rebuilding of the National Fascist Party.
MSI’s outcast status—and the toxicity it brought to anyone even remotely associated with it—became apparent in 1960, when then-Italian Prime Minister Fernando Tambroni, a staunch conservative hailing from the right-wing branch of the Christian Democracy party, briefly formed a government that relied on MSI’s external support in Parliament—without including them in the coalition. The move was so controversial that Tambroni was forced to dissolve his government within four months, after anti-fascists waged a wave of violent protests during the MSI congress in Genoa. No one else after him tried to accept MSI’s support again.
Cornered by the anti-fascist parties, including the mainstream right, the MSI managed nevertheless to build a consensus in the most reactionary segments of Italian society, especially those individuals worried about the rise of the Italian Communist and Italian Socialist Parties. The late 1960s throughout the 1970s was an especially turbulent time in Italian history, characterized by a wave of social upheaval with protests from unions, students, and feminists that were often repressed harshly by authorities.
These protests were eventually followed by the rise of more radical movements, including politically motivated armed groups, such as the communist Red Brigades. In this context, Italy’s far right, worried by the prospect of a communist revolution, positioned itself as a force of law and order. (Never mind that at the time, neofascist armed groups—such as the Nuclei Armati Rivoluzionari, founded by ex-MSI members—were also wreaking havoc in the country, so they posed as much a threat to the Italian far right’s stability as the Red Brigades did.) Almirante went as far as to praise, in public, the idea of having a Chile-style coup.
Almirante created a militia around the party called “Volontari Nazionali,” whose job was to violently repress the student movement and labor unions that were organizing protests. The Volontari Nazionali’s most famous exploit was the attempted assault on Sapienza University in Rome, as it was being occupied by left-wing students in 1968. They failed.
But Meloni has not distanced herself. She described Almirante as a noble father of the Italian right, a “politician and a patriot of the past esteemed by friends and adversaries.” She saw no contradiction in praising him while disowning Mussolini’s racial laws. But, of course, there is a glaring one: Almirante played a major role in the antisemitic propaganda of Mussolini’s regime. Between 1938 and 1942, he was the chief editor of La Difesa della Razza, a propaganda outlet whose name (“The Defense of the Race”) says it all. Even decades after the fall of the dictatorship, Almirante said he did not trust democracy.
MSI was pretty extremist on its own. But, as if that weren’t enough, some of its members overlapped with right-wing terrorist groups.
“In the ‘60s and ‘70s, explicitly subversive groups gravitated within and around MSI,” Conti said. Rauti—who was Almirante’s rival within the MSI and father of the current undersecretary of defense, Isabella Rauti—was one the founders of Ordine Nuovo, a neofascist group responsible for the 1969 Piazza Fontana bombing that killed 17 people in Milan, although Rauti himself was cleared from any direct involvement in a trial. (Almirante has also been accused of protecting a right-wing terrorist but received amnesty before his trial began.)
By the 1990s, with the end of the Cold War and the advent of the Silvio Berlusconi era, MSI had exhausted its role as a neofascist party. Its new leader, Gianfranco Fini, dissolved it and founded, from its ashes, Alleanza Nazionale (AN), a conservative party that embraced democracy. Fini formally renounced fascism in his famous 1995 Fiuggi speech and later went so far as to call it an “absolute evil” in a visit to the Yad Vashem Holocaust memorial in Israel.
In 2009, AN merged with Berlusconi’s Forza Italia, taking the name People of Freedom, a big tent conservative party that mimicked the U.S. Republicans. Meloni, who followed Fini in AN and then served as a youth minister with People of Freedom, founded her own party, Brothers of Italy, in 2012 with Guido Crosetto, a member of Berlusconi’s circle who had no association with neofascism.
In other words, most of Meloni’s political career took place within conservative parties that were, to different degrees, distanced from fascism. Which raises the question of why she has chosen to embrace, in her current public image, her past in the MSI, where she spent only two years as a teenage grassroots activist.
There are three possible explanations. First, Meloni’s past as a Fini protégé isn’t marketable. “Fini is considered a traitor because he tried to overcome neo-fascism and transform it into a conservative force, but the rest of the party did not follow him,” Ignazi said. “The right constituency has remained nostalgically attached to neofascism.”
Another rationale for embracing MSI lies in Meloni’s efforts to present herself as coherent—in contrast with political leaders who change their minds frequently. “Clinging to MSI is to give the message that one has stayed true to themselves,” Ignazi added.
The third reason has more to do with revanchism and the idea that a group that perceives itself as unfairly marginalized can finally have its voice heard. This victimhood rhetoric resonates well with MSI’s old fanbase. “Many of the Brothers of Italy come from MSI,” said Marta Lorimer, a researcher at the London School of Economics and Political Science. She pointed out that MSI, which emerged out of fascism’s defeat and endured for decades as an outcast, has “developed a self-image of losers of history.” A big part of this identity, according to Lorimer, “was this perception that their ideas were right but were not accepted after the war, so they saw themselves as a counterhegemonic force to the existing one.”
Meloni, she said, is trying to capitalize on this contrarian underdog narrative. “In her autobiography, she explains that she approached the Italian Social Movement precisely because she was ostracized,” Lorimer added.
Rather than trying to polish her image as a mainstream, if not moderate, leader or owning up to her political roots in fascism, Meloni chose the intermediate path and used her brief past in the MSI as an identity flag. The Movimento Sociale Italiano is close enough to be remembered as part of Italy’s recent democratic history, but at the same time, it is far enough away for the movement’s most controversial episodes to have faded from public memory.
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marcoleopa · 2 years
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Il memorabile intervento del senatore Roberto Scarpinato al Senato. Lo riportiamo integralmente. Da incorniciare
"Noi siamo le nostre scelte On.le Meloni, e lei ha scelto da tempo da che parte stare"
"Signora Presidente del Consiglio, il 22 ottobre scorso Lei e i suoi ministri avete prestato giuramento di fedeltà alla Costituzione.
Molti indici inducono a dubitare che tale giuramento sia stato sorretto da una convinta e totale condivisione dei valori della Costituzione e dell’impianto antifascista e democratico che ne costituisce l’asse portante.
Sono consapevole che nel corso della campagna elettorale, lei Signora Presidente ha testualmente dichiarato: “la destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche”.
Concetto che ha ribadito nelle sue dichiarazioni programmatiche.
Tuttavia lei sa bene che il fascismo non è stato solo un regime politico consegnato alla storia della prima metà del Novecento, ma è anche un’ideologia che è sopravvissuta al crollo della dittatura e all’avvento della Repubblica, assumendo le forme del neofascismo.
Un neofascismo che si è declinato anche nella costituzione di formazioni politiche variamente denominate che sin dai primi albori della Repubblica hanno chiamato a raccolta e hanno coagulato tutte le forze più reazionarie del paese per sabotare e sovvertire la Costituzione del 1948, anche con metodi violenti ed eversivi, non esitando ad allearsi in alcuni frangenti persino con la mafia.
Un neofascismo eversivo del nuovo ordine repubblicano che è stato coprotagonista della strategia della tensione attuata anche con una ininterrotta sequenza di stragi che non ha uguali nella storia di nessun altro paese europeo, e che ha vilmente falcidiato le vite di tanti cittadini innocenti, considerati carne da macello da sacrificare sull’altare dell’obiettivo politico di sabotare l’attuazione della Costituzione o peggio, di stravolgerla instaurando una repubblica presidenziale sull’onda dell’emergenza.
Ebbene non è a mio parere certamente indice di convinta adesione ai valori della Costituzione, la circostanza che Lei e la sua parte politica sino ad epoca recentissima abbiate significativamente eletto a figure di riferimento della vostra attività politica, alcuni personaggi che sono stati protagonisti del neofascismo e tra i più strenui nemici della nostra Costituzione.
Mi riferisco, ad esempio, a Pino Rauti, fondatore nel 1956 di Ordine Nuovo che non fu solo centro di cultura fascista, ma anche incubatore di idee messe poi in opera nella strategia della tensione da tanti soggetti, alcuni dei quali riconosciuti con sentenze definitive autori delle stragi neofasciste che hanno insanguinato il nostro paese, tra i quali, per citare solo alcuni esempi, mi limito a ricordare Franco Freda, Giovanni Ventura, Carlo Digilio, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tremonti, tutti gravitanti nell’area di Ordine Nuovo.
A proposito di padri nobili e di figure di riferimento, mi pare inquietante che il 14 aprile del 2022 il deputato di Fratelli di Italia Federico Mollicone abbia organizzato nella sala capitolare di questo Senato un convegno dedicato alla memoria del generale Gianadelio Maletti, capo del reparto controspionaggio del Sid negli anni ‘70, condannato con sentenza definitiva a 18 mesi di reclusione per favoreggiamento dei responsabili della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 che causò 17 morti e 88 feriti e che diede avvio al periodo stragista della strategia della tensione.
Proprio i depistaggi delle indagini posti in essere in quella strage e in tante altre stragi da personaggi come il generale Maletti, hanno garantito sino ad oggi l’impunità di mandanti ed esecutori, segnando l’impotenza dello Stato italiano a rendere giustizia alle vittime e verità al Paese.
Ebbene il deputato Mollicone ha definito il generale Maletti come un “uomo dello Stato che ha sempre osservato l’appartenenza alla divisa”.
Dinanzi a simili affermazioni, viene da chiedersi, Presidente Meloni, quale sia l’idea di Stato della sua parte politica.
Lo Stato di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, e di tante altre figure esemplari che hanno sacrificato le loro vite per difendere la nostra Costituzione, oppure lo Stato occulto di personaggi come Maletti, traditori della Costituzione, che hanno garantito l’impunità dei mandanti eccellenti di tante stragi e dato assistenza e copertura agli esecutori neofascisti?
E mi sembrano coerenti con il suo quadro di valori di ascendenza neofascista, antinomici a quelli costituzionali, alcune significative iniziative politiche da Lei assunte nel recente passato.
Mi riferisco, ad esempio, al suo sostegno nel 2018 alla proposta di legge di abolire la legge 25 giugno 1993, n. 205 (c.d. legge Mancino) che punisce con la reclusione chi pubblicamente esalta i metodi del fascismo e le sue finalità antidemocratiche.
E ancora, a proposito della incoerenza del suo quadro di valori con quelli costituzionali, mi pare significativa la sua proposta di abrogare il reato di tortura subito dopo che tale reato fu introdotto dal legislatore il 14 luglio 2017, a seguito della sentenza di condanna del nostro paese emessa dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo per le violenze ed i pestaggi posti in essere dalle Forze di Polizia alla Scuola Diaz in occasione del G8 svoltosi nel luglio del 2001 a Genova.
La sua parte politica definì testualmente tale nuovo reato “una infamia” e lei Presidente Meloni dichiarò che il reato di tortura impediva agli agenti di fare il proprio lavoro.
Ho citato tali precedenti perché sia chiaro che non bastano né la sua presa di distanza dal Fascismo storico, né la cortese e labiale condiscendenza del neo Presidente del Senato Ignazio La Russa al discorso di apertura dei lavori del nuovo Senato della senatrice Liliana Segre, vittima della violenza fascista, per dichiarare chiusi i conti con il passato ed inaugurare una stagione di riconciliazione nazionale, che sarà possibile solo se e quando questo paese avrà piena verità per le tutte le stragi del neofascismo e quando dal vostro Pantheon politico saranno definitivamente esclusi tutti coloro che a vario titolo si resero corresponsabili di una stagione di violenza politica che costituì l’occulta prosecuzione della violenza fascista nella storia repubblicana.
Un paese che rimuove il suo passato dietro la coltre della retorica, quella retorica di stato che Leonardo Sciascia definiva il sudario dietro il quale si celano le piaghe purulente della Nazione, è un paese di democrazia incompiuta e malata, sempre esposto al pericolo di rivivere il passato rimosso.
E a questo riguardo desta viva preoccupazione la volontà da Lei ribadita di volere mettere mano alla Costituzione per instaurare una repubblica presidenziale che in un paese di democrazia fragile ed incompiuta, in un paese nel quale non esiste purtroppo un sistema di valori condivisi, potrebbe rilevarsi un abile espediente per una torsione autoritaria del nostro sistema politico, per fare rivivere il vecchio sogno fascista dell’uomo solo al comando nella moderna forma della c.d. democratura o della democrazia illiberale.
I problemi irrisolti del passato si proiettano sul futuro anche sotto altri profili che hanno una rilevanza immediata.
Può una forza politica che si appresta a governare con simili ascendenze culturali, ampiamente condivise dalle altre forze politiche della maggioranza, Lega e Forza Italia, attuare politiche che pongano fine alla crescita delle disuguaglianze e della ingiustizia sociale che affligge il nostro paese?
La risposta è negativa.
Perché questa crescita delle disuguaglianze e della ingiustizia non è frutto di un destino cinico e baro, ma il risultato di scelte politiche a lungo praticate dall’establishment di potere di questo paese che ha surrettiziamente sostituto la tavola dei valori della Costituzione con la bibbia neoliberista, i cui principi antiegualitari e antisolidaristici sono ampiamente condivisi dal grande e piccolo padronato nazionale.
Lei signora Presidente e la sua maggioranza politica non siete l’alternativa all’ establishment.
Come attesta anche la composizione della sua squadra di governo e la crescente condiscendenza dei Palazzi del potere nei confronti del suo governo, siete piuttosto il suo ultimo travestimento che nella patria del Gattopardo consente al vecchio di celarsi dietro le maschere del nuovo, creando l’illusione del cambiamento.
Voi siete stati storicamente e resterete l’espressione degli interessi del padronato.
E quanto alla sua dichiarata intenzione di mantenere una linea di fermezza contro la mafia, mi auguro che tale fermezza sia tenuta anche nei confronti della pericolosa mafia dei colletti bianchi, che va a braccetto con la corruzione, anche se mi consenta di nutrire serie perplessità al riguardo tenuto conto che il suo governo si regge sui voti di una forza politica che ha tra i suoi soci fondatori un soggetto condannato con sentenza definitiva per collusione mafiosa che mai ha rinnegato il proprio passato, e che grazie al suo rapporto privilegiato con il leader del partito, continua a mantenere tutt’oggi una autorevolezza tale da consentirgli di dettare legge nelle strategie politiche in Sicilia.
Perplessità che si accrescono tenuto conto dell’intenzione anticipata dal neo Ministro delle Giustizia di tagliare le spese per le intercettazioni, strumenti indispensabili per le indagini in tale materia, di abrogare il reato di abuso di ufficio, e di dare corso ad una serie di iniziative che hanno tutte la caratteristica di limitare i poteri di indagine della magistratura nei confronti della criminalità dei colletti bianchi.
Noi siamo le nostre scelte On.le Meloni, e lei ha scelto da tempo da che parte stare.
Certamente non dalla parte degli ultimi, non dalla parte della Costituzione e dei suoi valori di eguaglianza e di giustizia sociale, non dalla parte dei martiri della Resistenza e di coloro che per la difesa della legalità costituzionale hanno sacrificato la propria vita."
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paoloferrario · 4 months
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"le radici di fdl restano nere", intervista di Daniela Preziosi a Davide Conti, in Domani 12 febbraio 2024
letto in edizione cartacea cerca in: https://www.editorialedomani.it/politica/italia/la-fiamma-contro-la-democrazia-lo-storico-conti-le-radici-di-fdi-restano-nere-h26im1pc un estratto della intervista: … Alle radici della destra di governo c’è la storia di due leader del Msi, Giorgio Almirante e Pino Rauti. Uno, teorico del doppiopetto e manganello. L’altro, dell’eversione. Non «fascisti in…
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organisationskoval · 1 year
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521) Movimento Sociale Fiamma Tricolore, MSFT, Fiamma Tricolore, Social Movement Tricolour Flame, Tricolour Flame, Ruch Socjalny – Trójkolorowy Płomień - włoska partia polityczna o profilu nacjonalistycznym i socjalno-konserwatywnym. Ruch został założony przez część działaczy postfaszystowskiego Włoskiego Ruchu Socjalnego (MSI). Grupa ta zakwestionowała dokonujące się pod koniec pierwszej połowy lat 90. w macierzystym ugrupowaniu zmiany, polegające m.in. na powołaniu umiarkowanej konserwatywnej partii pod nazwą Sojusz Narodowy. Założycielem MS-FT, reprezentującej skrajnie prawicowy nurt wewnątrz MSI, był Pino Rauti. Partia nie przekraczała progu wyborczego w wyborach krajowych, startowała samodzielnie lub w koalicjach, m.in. w 2006 była jednym z podmiotów współtworzących koalicję Dom Wolności, a w 2008 wystawiła jedną listę razem z ugrupowaniem Prawica (uzyskując 2,4% głosów). MS-FT dwukrotnie był reprezentowany w PE, w 1999 mandat uzyskał Roberto Felice Bigliardo, w VI kadencji europosłem z ramienia partii był Luca Romagnoli.
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Isabella Rauti celebra il 76esimo anniversario dell’Msi: «Onore ai fondatori e ai militanti missini». La protesta delle opposizioni
Isabella Rauti celebra il 76esimo anniversario dell’Msi: «Onore ai fondatori e ai militanti missini». La protesta delle opposizioni
La sottosegretaria alla Difesa, eletta in quota Fratelli d’Italia, ha condiviso su Twitter alcune foto di suo padre Pino Rauti, tra i fondatori del partito Isabella Rauti, eletta senatrice nella XIX legislatura e nominata sottosegretaria alla Difesa del governo Meloniin quota Fratelli d’Italia, è nel mirino delle opposizioni per il suo elogio al Movimento sociale italiano. Il partito, che tra i…
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bagnabraghe · 9 months
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Verso la svolta filo occidentale del MSI
I due pilastri su cui si fondava la cultura politica del Movimento Sociale Italiano negli anni compresi tra il 1947 e il 1954 furono quelli del nazionalismo e dell’anticomunismo: nonostante fossero in larga misura complementari, sull’accentuarsi dell’uno sull’altro si giocò buona parte del confronto tra le diverse componenti del Movimento Sociale nell’immediato dopoguerra <559.La politica estera,…
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bigarella · 9 months
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Verso la svolta filo occidentale del MSI
I due pilastri su cui si fondava la cultura politica del Movimento Sociale Italiano negli anni compresi tra il 1947 e il 1954 furono quelli del nazionalismo e dell’anticomunismo: nonostante fossero in larga misura complementari, sull’accentuarsi dell’uno sull’altro si giocò buona parte del confronto tra le diverse componenti del Movimento Sociale nell’immediato dopoguerra <559.La politica estera,…
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superfuji · 3 years
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Quale Occidente
di Marco Damilano
Gli Usa lasciano l’Afghanistan, la Francia è nel pantano del Sahel, la Germania affronta il dopo Merkel, l’Europa è nel vuoto di leadership. E anche per l’Italia si apre la stagione della grande incertezza
C’è chi racconta che in questi giorni sia profondamente turbato, perché per Mario Draghi l’Atlante occidentale è da sempre l’orizzonte in cui muoversi, il suo dna, il suo romanzo di formazione. È stato difficile trattenere lo sconforto quando il 24 agosto è arrivata la doppia notizia dell’incontro a Kabul del capo della Cia William Burns con il leader dei talebani Abdul Ghani Baradar e l’annuncio che sarebbe stato chiuso per gli afghani l’aeroporto della capitale e la possibilità di lasciare il Paese proprio mentre si svolgeva il vertice straordinario del G7 sull’Afghanistan, e la conferenza stampa dei talebani che annunciavano la chiusura dell’aeroporto della capitale per gli afghani.
In collegamento con Joe Biden e con gli altri leader, Draghi aveva appena annunciato una doppia iniziativa del governo italiano: la destinazione sull’emergenza umanitaria dei 120 milioni di euro previsti per la missione militare in Afghanistan e l’apertura a Russia e Cina, e Turchia e Arabia Saudita, nel prossimo G20 di metà settembre presieduto dall’Italia. Ma il risultato è stato un nulla di fatto. Niente smuove l’amministrazione Biden dalla scelta di abbandonare l’Afghanistan entro il 31 agosto, come vogliono i talebani, una decisione che chiuderà i confini dell’Afghanistan al mondo. La fine di un ciclo durato venti anni. Una doppia catastrofe, politica e culturale, ne parla Renzo Guolo.
Il 31/8 è la data del nostro destino, come fu nel 2001 l’11/9. È la fine dell’estate segnata dalla riconquista jihadista dell’Afghanistan. È il giorno del tutti a casa, l’ultimatum per l’evacuazione concordato tra Washington e i talebani. È il simbolo della «insonnia di massa di questo tempo inaudito», come scrive Don DeLillo nel suo ultimo libro (“Il silenzio”, Einaudi 2021), dopo aver raccontato l’uomo che cade, simbolo dell’attentato delle Twin Towers a New York e oggi, anche, dei voli che fuggono da Kabul con i disperati aggrappati alle ruote degli aerei che precipitano nel vuoto. L’insonnia di massa si accompagna al sonnambulismo delle classi dirigenti, tipico delle età di transizione come quella della prima guerra mondiale nel 1914 raccontata dallo storico Christopher Clark.
Per l’Europa tutto avviene nel momento più pericoloso, del vuoto di leadership. L’Inghilterra di Boris Johnson aveva chiesto agli Stati Uniti di prolungare la permanenza nel Paese asiatico, ma non è stata neppure presa in considerazione, mai è stata più visibile la distanza tra i governi dei due Paesi. La Francia di Emmanuel Macron è già attraversata dalla campagna elettorale per il voto presidenziale del 2022 e prepara un secondo caso Afghanistan, nel cuore dell’Africa, come ha scritto Domenico Quirico (La Stampa, 20 agosto) e come ripete da tempo in solitudine Romano Prodi, che fu mediatore Onu nella regione: il Sahel, dove si incrociano le ondate migratorie, i nuovi califfati, le guerre delle milizie locali, in cui le truppe francesi faticano a reggere la pressione e invocano l’aiuto europeo, sempre comodo nel momento di socializzare le perdite.
E c’è la Germania arrivata ormai alla vigilia del voto del 26 settembre in una situazione di massima instabilità. I sondaggi per la prima volta danno in testa addirittura la Spd del vice-cancelliere Olaf Scholz, guarda chi si rivede, la cara vecchia socialdemocrazia, quello del 24 agosto è stato l’ultimo vertice G7 di Angela Merkel, affrontato con il consueto professionismo politico. E nessuno a questo punto può escludere la formazione di un governo rosso-rosso-verde, con la Linke in maggioranza e i democristiani all’opposizione, che segnerebbe una svolta epocale. Ma questa è l’età dell’emergenza e dell’incertezza, anche sul fronte della lotta alla pandemia. Dai Paesi che hanno cominciato in anticipo le campagne di vaccinazione, Israele e Inghilterra, arrivano notizie poco rassicuranti sulla ripresa dei contagi e dei decessi. Se l’onda dovesse ripetersi nell’Europa continentale il dibattito cambierebbe verso anche sull’uso del green pass e sull’obbligo del vaccino.
Nell’età dell’incertezza il 31/8 per il governo Draghi doveva essere la data della ripartenza. L’anticipo della riapertura delle scuole e il ritorno alla normalità della produzione, con qualche sgradita novità (l’Inps non pagherà più il periodo di quarantena). E un percorso di fine legislatura che si fa più stretto, in vista delle elezioni per il nuovo presidente della Repubblica di inizio 2022. Per la politica italiana è l’incognita, l’enigma cui sono appesi tutti gli scenari. La scadenza interessa Draghi, 74 anni il 3 settembre, ma in gioco non ci sono soltanto le preferenze del premier. Finora la sua disponibilità a guidare il Paese in mezzo all’emergenza sanitaria e economica è stata ottenuta senza richieste, garanzie, assicurazioni. Mario Monti nel 2011 fu nominato senatore a vita da Giorgio Napolitano qualche giorno prima di essere incaricato di formare il governo. Nel caso di Draghi la chiamata di Sergio Mattarella è arrivata in apparenza all’improvviso e senza precludere nessun passaggio successivo, da Palazzo Chigi al Quirinale, ma anche senza prefissarlo. Tutto è aperto.
All’inizio del 2021, in piena pandemia, soltanto due governi occidentali hanno cambiato governo. Gli Stati Uniti con Biden e il ritorno dei democratici alla Casa Bianca, dopo i quattro anni di Donald Trump, nel clima drammatico dell’assalto al Congresso di Washington il 6 gennaio. E l’Italia, con il cambio a Palazzo Chigi tra Giuseppe Conte e Draghi, alla guida del governissimo di unità nazionale. Non c’è un rapporto diretto tra i due eventi, come immaginano i cercatori di complotti di casa nostra, ma è impensabile non cogliere il nesso tra il Paese motore dell’Occidente che provava a chiudere la stagione del populismo e l’Italia, il Paese europeo più attraversato dalle tempeste sovraniste, che tentava di includere in una nuova maggioranza le forze che negli ultimi anni si erano imposte con un messaggio anti-establishment, la Lega e il Movimento 5 Stelle.
Il ritorno sulla scena mondiale degli Stati Uniti del democratico Biden è stato il contesto internazionale in cui si è mossa finora anche l’operazione italiana del governo di unità nazionale. Il multilateralismo celebrato a giugno nel vertice in Cornovaglia è stato il terreno più favorevole per un leader globale come Draghi. Se quel contesto viene meno, come sta avvenendo in questi giorni di tragedia afghana, anche il governo italiano si troverà a muoversi nel vuoto. Che è un’opportunità per chi vuole rivendicare una leadership, in politica i vuoti si riempiono, gli spazi si conquistano, ma anche una maledizione, perché il vuoto di direzione risospinge ciascun governo nel recinto delle sue contraddizioni nazionali. Di fronte alla crisi afghana e all’arrivo dei rifugiati l’Unione europea rappresentata in modo scellerato in questo semestre dal presidente di turno, il premier della Slovenia Janez Janša, è tornata a dividersi, come nelle prime settimane della pandemia e del lockdown nel 2020. Nei prossimi mesi, senza la leadership forte dei Paesi più grandi, la Francia, la Germania, la Spagna e l’Italia, in un quadro inedito di in-fedeltà atlantica del Paese egemone, gli Stati Uniti, ogni Paese tornerà solo, fermo e immobile.
Il governo Draghi non è il governo dei migliori, alcuni ministri, tecnici e politici, si stanno rivelando inadeguati al compito, il premier è chiamato a fare gli straordinari. Appena si nuota fuori dal mare dell’emergenza sanitaria e economica escono allo scoperto le diverse visioni del mondo che una classe dirigente nel complesso moderata e ragionevole (più Giorgetti che Salvini nella Lega, per esempio) prova a tenere a bada, come si è visto anche nel civile confronto tra i segretari di partito al meeting di Comunione e liberazione di Rimini. Salvo poi ritrovarsi con situazioni imbarazzanti, come quella del sottosegretario leghista-mussoliniano Claudio Durigon o la nomina del direttore dell’Archivio centrale dello Stato Andrea de Pasquale da parte del ministro Dario Franceschini, contestata dall’associazione dei parenti delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, da storici, intellettuali e da un pezzo dei partiti della maggioranza. Affidare l’attuazione della direttiva Draghi sulle carte della P2 e di Gladio a un dirigente che ha esaltato le virtù democratiche del fascista Pino Rauti può forse servire a mantenere in vita le ambizioni quirinalesche ma offende la ricerca di verità e giustizia sugli anni bui della Repubblica.
Senza un orizzonte l’Occidente si rinsecchisce, collassa, senza una speranza di futuro l’Atlante occidentale si chiude. E senza un rialzo dal sonno, senza un soprassalto dall’insonnia di massa, il governo Draghi si ritrova a navigare a vista in un mare difficile. Ma il risveglio non spetta a un solo leader, tocca a una classe politica che si impaluda nelle guerricciole a parole sui social e non riesce a trovare un linguaggio per rivedere le proprie categorie di interpretazione della realtà e il messaggio da dare al Paese. Il 31/8 è uno spartiacque, l’opposto della fuga dalle responsabilità cui stiamo assistendo a Kabul.
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