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#rivista indipendente
precisazioni · 6 months
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l'inps mi ha inviato la lettera di conferma per la naspi; ovviamente lo sapevo già, ma è stato un sollievo leggere di nuovo che percepirò la disoccupazione per ben due anni. per adesso sto seguendo un corso di formazione per indesign, l'idea è di progettare qualcosa tra una zine e una rivista indipendente; oltre a questo: ho iniziato a mandare qualche lettera presentativa a radio e locali per racimolare date, ho scritto a una webzine per scrivere articoli di musica; piuttosto, sono fermo lato produzione e composizione: la ragione è sempre la stessa, l'ansia, ma sto provando a non angosciarmi e a relegare la cosa al periodo di transizione. dal punto di vista intellettivo, sono state settimane un po' fiacche: rispetto alla mia solita routine fatta di video divulgativi, saggi e film non sto facendo molto; solo ieri ho ripreso con i podcast di cultura, ma non è insolito che mi senta svogliato. lei al momento sta lavorando e dopo diverso tempo mi ritrovo a passare le giornate da solo, non ci sono più abituato; soprattutto, mi rendo conto di non avere molti amici da sentire o vedere frequentemente e, al di là del raffreddore di questi ultimi giorni, ho perso ogni voglia di uscire di casa da solo: il tragitto era sempre lo stesso, da casa mia al duomo a piedi per poi tornare a casa, come se non fossi capace di fare altro
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diceriadelluntore · 1 year
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Storia Di Musica #269 - Depeche Mode, Violator, 1990
Le scelte musicali delle domeniche di Aprile avranno come filo rosso la presenza di fiori sulle copertine: di questa caratteristica, alcuni capolavori già sono presenti (il primo che cito è American Beauty dei Grateful Dead, che prende il nome dalla Rosa della stessa varietà, America Beauty, disegnata sulla copertina, o anche Layla & Other Assorted Love Songs che nel dipinto di copertina ha una donna con i fiori) ma è sempre interessante cercare nella mia discoteca e non solo altri grandi dischi che hanno in comune questa caratteristica. Il primo di oggi è uno dei dischi simbolo degli ultimi 35 anni, il vertice di un certo modo di fare musica, arrivato al culmine di un percorso umano e professionale che nell’anno in cui uscì questo lavoro poteva benissimo passare per il risultato dell’opera di sopravvissuti. Tutto nasce a Basildon, nell’Essex, inizio 1980. Tre amici di scuola, Vince Clark, Martin Gore e Andrew “Andy” Fletcher fondano un gruppo, Composition Of Sound. Hanno una caratteristica abbastanza comune all’epoca, cioè abbandonano gli strumenti classici (chitarra, basso, batteria) per focalizzarsi sull’uso delle tastiere elettroniche. Durante una serata in un locale, notano un cantante dalla voce calda e ferma, David “Dave” Graham, che canta una appassionata cover di Heroes di David Bowie, e gli chiedono di unirsi al gruppo, siamo nei primi mesi del 1980. Graham accetta, e suggerisce di cambiare nome alla band: prende spunto da una rivista di moda francese dell'epoca, Dépêche mode, che vuol dire Gazzettino o Almanacco della Moda (e non come dicono molti Moda Passeggera, il termine passeggera deriva dal verbo se dépêcher), lo depurano dagli accenti e nascono i Depeche Mode. La prima pubblicazione è del 1980 su una compilation, Some Bizzarre, poi firmano un contratto con la Mute Records di Daniel Miller, che sarà centrale per la musica indipendente inglese dei primi anni ‘80. Primo singolo di discreto successo, Dreaming Of Me, poi altre canzoni famose in New Life, Just Can’t Get Enough e la pubblicazione del primo disco, Speak And Spell, dove la direzione è chiara: sarà un gruppo orientato ai sintetizzatori. A questo punto Vince Clark, che aveva scritto tutte le canzoni sino a qui, si chiama fuori (continuerà a fare musica con Alison Moyet come Yazoo, e fonderà in seguito anche altri progetti musicali). Il timone delle operazioni di scrittura passa a Martin Gore, che piazza subito una hit in See You. Si aggiunge Alan Wilder, e con questa line up sforneranno un disco all’anno. La prima svolta è del 1986, con Black Celebration: le atmosfera si dilatano, meno dance, base ritmica che picchia più forte e la decisione di spostarsi verso il rock elettronico. Proprio quando il techno pop è crollato, e buona parte della critica aspetta che l’ultimo baluardo, cioè loro, cada, piazzano Music For The Masses (1987) con almeno tre canzoni formidabili (Never Let Me Down, Strangelove e Behind The Wheel), che li porta ad un tour mondiale dove riempiono gli stadi di tutto il mondo (immortalato in parte nel live 101, 1989, anche con un documentario abbinato diretto da D.A. Pennebaker). Si prendono del tempo, e coerenti con il loro credo, decidono di inasprire il sound elettronico, creando un disco dalle atmosfere profondissime, cupe, drammaticamente eleganti. Per registrarlo abbinano la solitudine e il silenzio di un piccolo studio nella campagna danese, a Gjerlev, alla vitalità di Milano, e alla sua vita notturna, presso lo studio Logik, che all’epoca stava a Via Mecenate. Ne viene fuori Violator (1990) che in copertina ha una rosa fiammeggiante, che sembra di lava. Gore dirà dopo anni che voleva giocare sul titolo, scegliendo una parola che evocasse un disco di heavy metal. Quello che fanno è, con l’intuito del fido produttore Flood e l’aiuto al missaggio di François Kevorkian, che fu uno dei collaboratori più stretti dei Kraftwerk, un disco che è l’evoluzione estrema della loro idea musicale (tanto che dopo prenderanno altri riferimenti) e lo fanno in parte rinnegandosi: la batteria spesso non è drum machine ma quella rock, e compariranno nelle loro due più grandi canzoni, entrambe presenti in questo lavoro, persino le chitarre. Eppure l’apertura con World In My Eyes sembra portare sui binari classici, ma già la successiva Sweetest Perfection, con la voce principale di Gore, amplia il concetto, con la batteria rock in primo piano. Arriva il primo colpo da KO, un giro blues, con la chitarra, l’ispirazione presa da Gore leggendo una biografia di Elvis, sulla costruzione di propri idoli, e nasce una delle canzoni più famose del mondo: Personal Jesus, hit mondiale, e ancora oggi uno dei momenti clou di ogni loro esibizione e brano cult da rifare in cover. Halo e la bellissima Waiting For The Night sono da apripista al secondo singolo leggendario: Enjoy The Silence è ispirata e pensata proprio al periodo danese di tranquillità e silenzio circostante (in netto contrasto con quello milanese, dove la band darà il meglio di sé in tutte le feste della città lombarda), anche qui ripropone una chitarra e diventerà iconica, tra l’altro nella versione dell’album dura oltre 6 minuti, con finale in stile ambient, bellissimo, che nella versione singolo e per la stazioni radio è colpevolmente tagliato. Completano il capolavoro la delicata Blue Dress, scritta e cantata da Gore, e le ritmiche Policy Of Truth e la conclusiva Clean, ispirata ad una canzone dei Pink Floyd, One Of These Days, dal loro album Meddle (1971). Tutto funziona alla grande: la voce calda e formale di Graham (che inizierà ad avere devastanti problemi di dipendenza, tormento che segnerà profondamente il loro lavoro successivo, che arriverà solo dopo 3 anni), Gore sempre più padrone del suono Depeche Mode, Fletcher e Wilder a creare il tappeto ritmico che esce vincitore da un decennio dove chiunque si sia ispirato a loro non ha fatto tanta strada. Il disco va in classifica in tutto il mondo, e ha venduto ad oggi 15 milioni di copie, presente in tutte le classifiche dei dischi fondamentali della storia del rock. Sebbene questa sia una storia del rock senza schitarrate, ma formata da avvolgenti suoni elettronici, che ti girano in testa e non ti lasciano scampo.
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papesatan · 1 year
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Verrà la luce - un omaggio a Walter Benjamin
Non posso far a meno di sventrarmi l’animo leggendo l’atroce storia di Walter Benjamin, spirito perdente perseguitato dalla sfiga in aeternum, roso da quel folletto dispettoso che pur ammattiva il Tasso. Re del fallimento quale sono, sento mie le sue acri sconfitte e prego per un finale migliore. Puntualmente respinto da Accademia e accademici, Benjamin aveva il dono funesto di viver sempre al momento sbagliato. Quando finalmente un pio editore gli proponeva un progetto o una rivista, ecco che questi dichiarava bancarotta prima d’avergli pagato il primo numero. Ma più tentava la vita, più il malefico coboldo s’accaniva sulle sue fragili spalle, ridendo dei suoi atroci scherni. Un giorno Benjamin trovò il coraggio di metter fine alle ipocrisie del suo matrimonio, lasciando la moglie Dora per darsi anima e sangue alla sua amante, la regista Asja Lacis, ma questa per tutta risposta lo liquidò malamente il giorno dopo (lui totalmente me). Come se non bastasse, fuggito a Parigi dalla Germania nazista, prese a pubblicare per l’Institute for Social Research di Adorno, ma questi infastidito da Benjamin, troppo indipendente, gli voltò le spalle, negandogli così ogni sostegno economico. Fuggito a Marsiglia, in attesa d'un visto d’emergenza per l’America, scoprì che la sua biblioteca parigina, i suoi amati preziosissimi libri, faticosamente collezionati nel corso degli anni, erano stati requisiti dalla Gestapo e probabilmente bruciati, pisciati, calpestati senza ritegno. Ottenuto il visto per l’America e il permesso d’espatrio per salpare da Lisbona, Benjamin s’incamminò allora verso il confine spagnolo, stringendo a sé una borsa nera con dentro il suo mondo, manoscritti e pensieri incompiuti. Tuttavia, giunti a Portbou, sui Pirenei, lo gnomo venefico decise di tendergli un ultimo diabolico agguato: il permesso delle autorità francesi era stato revocato, sicché i profughi sarebbero stati ricacciati indietro a rischiar la vita nella Francia nazista. Sentendosi ormai disperato e sconfitto, Benjamin s’ammazzò allora di veleno, svanendo da tutto e tutti in pochi istanti. Per tragica ironia, il permesso francese arrivò il giorno dopo, sicché i suoi compagni poterono proseguire il viaggio. Come scrisse Hannah Arendt, sua cara amica: “un giorno prima Benjamin sarebbe passato senza difficoltà, un giorno dopo a Marsiglia si sarebbe saputo che in quel momento non si poteva passare per la Spagna. Solo quel giorno era possibile la catastrofe”. Arrivata negli Stati Uniti sotto l’ala protettiva di Adorno, Hannah Arendt pensava che i manoscritti di Benjamin, stretti in viaggio con sé, sarebbero stati accolti degnamente da Adorno, ma questi invece ne trascurò la pubblicazione con pigra indifferenza. Alcuni amici di Benjamin pagarono l’affitto di un loculo a Portbou per cinque anni. Dopodiché la salma fu gettata in una fossa comune ad eterno oblio. La borsa nera in cui Benjamin custodiva carte e manoscritti venne ritrovata soli molti anni dopo, ma ormai al suo interno non c’era più nulla, tranne polvere e cieco silenzio. Spero d’esser riuscito a rendere col mio post un flebile omaggio alla sua vita, ma voi che vivete come me di penosi inciampi e travagliose frane, ricordatevi di non cedere mai alla paranoia, non lasciatevi abbattere dai tragici dispetti del vostro demonico folletto, c’è una luce più avanti dove non si vede, il cammino è lungo, arduo assai e costa sangue e patimento, ma voi non fermatevi, credete, verrà la luce.
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minima-poesia · 7 months
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minima è un progetto indipendente di poesia contemporanea che si propone di indagare lo spazio poetico italiano e dargli un luogo di incontro alternativo. Le sue fondatrici e i suoi fondatori sono poetə alla ricerca di altrə scrittrici e scrittori con cui condividere un nuovo percorso. Le persone che lavorano dietro minima rimangono anonime.
minima consiste nella realizzazione di due tipi di pubblicazione: una rivista e volumi brevi nella forma di chapbook.
I nostri volumi sono distribuiti sotto licenza copyleft. È quindi consentita la riproduzione, parziale o totale, delle opere e la loro diffusione per via telematica a uso personale dei lettori, purché non a scopo commerciale.
Tutte le nostre pubblicazioni potete leggerle e scaricarle gratuitamente dal nostro sito, in molti formati diversi.
Di recente, abbiamo inaugurato la vetrina, uno spazio espositivo digitale, aperto e inclusivo, dedicato a opere poetiche multimediali e intermediali che non possono o non vogliono essere limitate a una pagina bianca.
Venite a trovarci sul nostro sito e fateci sapere cosa ne pensate! Per ogni informazioni scriveteci pure a [email protected]
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carmenvicinanza · 1 year
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Eva Besnyő
https://www.unadonnalgiorno.it/eva-besnyo/
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Eva Besnyő, fotografa e giornalista che ha fatto parte di quella schiera di apolidi ungheresi che tra gli anni 20 e 30 del ‘900 hanno girato l’Europa alla ricerca di una libertà  civile e artistica.
Si è occupata di reportage, ritrattistica, si è specializzata in fotografia di architettura, è stata la reporter ufficiale del movimento femminista dei Paesi Bassi.
La sua fotografia, realista e militante, l’ha resa una professionista indipendente che è riuscita a scegliere di vivere come sentiva di fare, nonostante fosse una donna, ebrea, attiva politicamente durante la seconda guerra mondiale e dopo. Ha viaggiato, frequentato importanti circoli artistici formandosi con grandi maestri, sperimentato stili e tematiche differenti.
Nacque a Budapest il 29 aprile 1910 da una famiglia ebrea benestante, da madre ungherese e padre ebreo che, nonostante avesse cambiato il suo cognome ebraico, Blumgrund, in quello ungherese Besnyő, morì a Auschwitz, nel 1944.
Suo amico d’infanzia e vicino di casa era Endre Friedmann che, ispirato da lei, che lo portava in giro a fotografare con la sua prima Kodak Brownie, sarebbe poi diventato il celeberrimo Robert Capa. La loro amicizia è durata per tutta la vita.
Dopo il liceo è andata ad apprendere il mestiere nello studio di József Pécsi, specializzato in ritratti e fotografia pubblicitaria, un importante luogo di ritrovo per i futuri artisti visivi degli anni ’20 e ’30.
La sua visione e tecnica fotografica è scaturita dal libro Die Welt ist schön (Il mondo è bello) di Albert Renger-Patzsch, precursore della Nuova oggettività in fotografia, che prevedeva un atteggiamento asettico verso la vita e l’arte, accentuando solo alcuni particolari per aumentarne l’effetto espressivo. Da quel momento in poi le sue fotografie hanno scrutato il mondo senza sentimentalismi o accenti lirici, guardando la realtà in maniera diretta e senza fronzoli.
Trasferitasi a Berlino nel 1930, allora centro dell’avanguardia e della sperimentazione artistica, vendeva le sue foto a riviste che le firmavano con nomi maschili.
Entrata a far parte della cerchia di artisti e intellettuali impegnati socialmente e politicamente, ha frequentato i corsi serali della Scuola marxista per lavoratori, conosciuto il teatro sperimentale, il cinema russo, la Bauhaus e le nuove correnti di architettura, facendo propria l’estetica della Neue Sehen, basata sulla sperimentazione tecnica, sull’uso di inquadrature inconsuete, diagonali, angoli di ripresa dall’alto verso il basso e viceversa, contrasti di luci e ombre, costruzione geometrica della scena.
Alla fine del 1931 era riuscita ad aprire il proprio studio fotografico, continuando a lavorare su reportage giornalistici commissionati da agenzie di stampa. La famosa fotografia del bambino che cammina lungo una strada, portando sulla schiena un violoncello, Boys with Cello, risale a quel periodo, così come la serie di foto dei portuali sulla Sprea, dei carbonai in strada, degli operai ad Alexanderplatz, allora il più grande cantiere in Europa.
Nell’autunno del 1932, per l’ondata crescente di antisemitismo, si vide costretta a lasciare Berlino per trasferirsi ad Amsterdam, dove era entrata a far parte della schiera di artisti che ruotavano intorno alla pittrice Charley Toorop (dedita a sviluppare lo stile pittorico del realismo sociale).
Le immagini di quel tempo includono molte iconiche fotografie su temi sociali. Il suo lavoro diventava sempre più politico, mentre si consolidava anche la sua reputazione come fotografa di architettura secondo l’idea di Nuova costruzione funzionalista, edifici creati dando priorità all’utilità funzionale, anziché all’estetica.
Ha fatto parte del Vereeniging van Arbeiders Fotografen (VAF), associazione di fotografi affiliata all’allora Partito Comunista dei Paesi Bassi, collaborato con la rivista socialista illustrata Noi. Il nostro lavoro, la nostra vita e fatto parte della BKVK (Associazione delle arti per la protezione dei diritti culturali) con cui ha organizzato la mostra di protesta del 1936 contro i Giochi Olimpici di Berlino “D-O-O-D” (De Olympiade onder Diktatuur).
Nel 1937 è stata fautrice della mostra internazionale Foto ’37, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, a cui parteciparono i più noti fotografi del tempo.
Per la resistenza olandese produceva fototessere per carte d’identità di persone appartenenti a gruppi clandestini.
L’invasione tedesca del maggio 1940, la costrinse, come ebrea, a vivere in clandestinità.
Dopo il Decreto Giornalistico del maggio 1941, non poté più pubblicare con il proprio nome a causa delle sue origini ebraiche e venne costretta a usare uno pseudonimo, Wim Brusse.
Attratta da una visione del mondo plasmata dall’umanesimo, negli anni del dopoguerra, le sue fotografie divennero stilisticamente decisive per il neorealismo.
Ha partecipato a mostre collettive al MoMa di New York e ricevuto la medaglia d’oro alla Prima Biennale della Fotografia di Venezia, nel 1957.
Negli anni ’70 è stata la “portavoce visiva” del movimento femminista marxista olandese Dolle Mina partecipando, come attivista, alle performance di strada che mescolavano umorismo e provocazione in un’atmosfera giocosa.
Nel 1980 rifiutò il Ritterorden (cavalierato) che le avrebbe voluto conferire la Regina dei Paesi Bassi.
Nel 1982 c’è stata la sua prima retrospettiva all’Amsterdam Historical Museum, dove era esposto circa mezzo secolo del suo lavoro.
Nel 1999, a Berlino, ha ricevuto il premio Dr. Erich Salomon per il lavoro svolto nella sua carriera e alla fine dello stesso anno il Museo Stedelijk le ha dedicato una mostra.
Si è spenta a Laren, in Olanda, il 12 dicembre 2003.
Gran parte delle sue foto sono conservate al Maria Austria Instituut di Amsterdam.
Nel 2021 una mostra online in corso al Museo Kassák di Budapest ha esplorato i punti di vista e di svolta della sua vita, dai primi autoritratti e fotografie sociali in Ungheria, agli anni esteticamente formativi a Berlino, fino al successo e alle prestigiose commissioni nei Paesi Bassi.
Eva Besnyo: 1910-2003: Fotografin / Woman Photgrapher: Budapest. Berlin. Amsterdam è il libro che racconta il suo percorso artistico.
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crazy-so-na-sega · 2 years
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Siamo nel 1996. Sulla rivista di studi culturali Social Text, giornale accademico divulgato dalla Duke University Press, e nato nel 1979 dalle intenzioni di un collettivo editoriale indipendente, viene pubblicato un articolo firmato dal noto fisico Alan Sokal (1955): Transgressing the Boundaries: Toward a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity (La trasgressione dei confini: verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica).
La terminologia utilizzata attinge, fin dal titolo, al sempre più AMBIGUO vocabolario del postmodernismo, particolarmente amato in ambito accademico americano e ormai ben oltre il nativo recinto della critica letteraria e filosofica. Le intenzioni espresse (ma come vedremo non quelle reali) dall’autore sarebbero quelle di indagare le implicazioni ideologiche, filosofiche e politiche delle nuove teorie e considerazioni della fisica contemporanea, con particolare riferimento alla gravità quantistica.
Il grande inganno di Sokal
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Tali intenzioni vengono reputate ATTENDIBILI dagli editori del Social Text, che decidono di pubblicare SENZA VERIFICARE l’impronta reale dal pezzo o accertarne i presupposti scientifici (una sorta di revisione cieca priva di qualunque forma di peer review) . Appropriandosi di FORMULE TIPICHE dell’imperante relativismo culturale, sapientemente mescolate al gergo scientifico, Sokal sostiene che «la “realtà” fisica, non meno che la “realtà” sociale, è in fin dei conti una costruzione sociale e linguistica, lungi dall’essere oggettiva, riflette e codifica le ideologie dominanti e le relazioni di potere tipiche della cultura che l’ha generata» e aggiunge che «le verità della scienza sono intrinsecamente dipendenti dal contesto teorico usato e quindi autoreferenziali […] pur nel loro innegabile valore, non possono rivendicare una posizione conoscitiva privilegiata rispetto alle narrazioni controegemoniche che vengono prodotte in comunità dissidenti o marginalizzate» (Alan Sokal e Jean Bricmont, Imposture intellettuali, Garzanti, Milano 1999, p. 218).
Essendo, dunque, FINTAMENTE ALLINEATO al pensiero accademico relativista, e manifestando la modalità di transposizione terminologica e concettuale tipica degli ADEPTI  del postmodernismo, l’articolo viene LETTO E APPREZZATO, fino a quando l’autore stesso non svela la beffa rilasciando una dichiarazione in A Physicist Experiments with Cultural Studies, un contro-articolo pubblicato sulla rivista Lingua Franca, che svela la “truffa” e lo SCOPO PARODICO del primo.
Attacco al postmodernismo
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(Sokal e Bricmont)
Il vero intento di Sokal, infatti, è quello di SBUGIARDARE la temperie culturale dominante, denunciandone L'ASSURDITA' e l’evanescenza di metodi e contenuti fondati su arroganza intellettuale, vuota retorica, DIVAGAZIONE LINGUISTICA superficialità, IGNORANZA, VOLUTA INCOMPRENSIBILITA' in cui «allusioni, metafore e giochi di parole sostituiscono la prova e la logica».
La protesta è CONTRO LA STRUMENTALIZZAZIONE politico-ideologica tipica del relativismo, argomento che l’autore approfondisce insieme al collega belga Jean Bricmont (1952) nel libro Impostures Intellectuelles (1997), pubblicato sulla scia della polemica innescata con gli articoli , e nel quale i due analizzano i testi di alcuni dei padri fondatori del postmodernismo e del POSTUMANESIMO come Jacques Lacan (1901-1981), Jean Baudrillard (1929-2007) e anche Gilles Deleuze (1925-1995).
La denuncia di un abuso filosofico
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L’analisi minuziosa delle loro opere evidenzierebbe, per Sokal e Bricmont, ricercata ambiguità espositiva, conoscenza superficiale degli ambiti scientifici saccheggiati, imitazione illogica e priva di contenuti del linguaggio scientifico e isolamento macchinoso di METAFORE TRATTE DA CONTESTI DIVERSI, ponendole al di fuori del loro valore e significato originale, tutto con lo scopo di DECOSTRUIRE – e dunque negare – la realtà oggettiva per dare autorevolezza a un relativismo sfamato di autoritarismo filosofico. L’abuso dei significati scientifici genera così dei non significati, sollecitando la fluidità dei valori, dell’etica, dell’identità individuale, sociale, perfino sessuale.
Le analogie linguistiche – e concettuali – ricamate con innumerevoli stilemi retorici tra scienza, filosofia, sociologia, o anche psicologia, non sembrano essere altro, alla fine, che sovrascritture per dare autorevolezza a teorie che scientificamente non ne hanno, poiché prive di qualunque base empirica. Il risultato sarebbe un «minestrone di idee, spesso malamente formulate, che possono essere raggruppate sotto il nome di relativismo e che sono attualmente piuttosto influenti in alcuni settori accademici delle scienze umane e sociali» (Imposture intellettuali, op. cit. p. 58).
L’ambiguità del relativismo
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Il problema è, però, che i testi postmodernisti accuratamente letti e smontati dagli autori di Imposture Intellettuali sono la base di gran parte della cultura contemporanea, dove sembra non esserci più un rapporto equanime fra l’idea e la realtà. Il relativismo estetico, cognitivo, morale o etico che sia, e che fonda il postmoderno, ha per Sokal «conseguenze enormi sulla cultura in generale e sul modo di pensare della gente»; non può dare vita a una conoscenza oggettiva del mondo, anzi conduce al nichilismo, alla deframmentazione della verità e all’annullamento della ragione, contribuendo alla deriva scientifica e ontologica.
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dal manicomio è tutto....bye.
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cia-no · 2 years
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Live painting e presentazione rivista indipendente "Tormenta", tutto dal collettivo "Sottobosco " https://www.instagram.com/ed_sottobosco/
Comix Café, Bologna
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frabsmagazines · 1 day
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I finalisti della 5a edizione
La giuria emerita si è espressa e ha scelto i 5 progetti finalisti che accedono alla finale del V Premio Roberto Sanesi il 21 Settembre:
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Gemma Marotta in arte Marge è un’attrice-performer e pittrice. Vanta un vasto curriculum, con esibizioni in molti teatri della Sicilia e prestigiosi riconoscimenti che colleziona in parallelo alle numerose estemporanee d'arte, collettive e personali. La sua formazione inizia da piccolissima con la danza per poi girare l’Europa insieme al gruppo Folkloristico Fabaria Folk come performer. È il 2016 quando si laurea con lode menzione e dignità di stampa in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo all'A.B.A.M.A. di Agrigento con una tesi sperimentale sul Museo Contemporaneo. Nello stesso anno, si trasferisce a Bologna, la città in cui ha la possibilità di formarsi con le realtà più importanti del panorama artistico contemporaneo: Teatro Valdoca, Societas, V. Sieni, E. Dante, M. Biagini, Living Theatre Europa. Si laurea con una tesi sul Teatro Sociale alla Magistrale in Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale. Il primo lavoro teatrale scritto, diretto e interpretato interamente da se stessa si intitola Sugnu, un inno alla creazione nel quale non mancano le sue pennellate.
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MORA è un progetto di spoken music nato nel 2019 dalla collaborazione tra il musicista Giulio Amerigo Galibariggi e il poeta Sebastiano Mignosa, finalista nel 2021 del Premio Dubito e del Premio Nebbiolo nel 2022. Lo stesso anno il gruppo prende parte al festival di musica emergente MIAMI di Milano e nel 2023 partecipa al Metronimie Festival di Torino e al Klohifest di Ostuni. Debito è il primo album e racconta la storia d'amore tra un ragazzo e la sua città. L'intero lavoro segue la struttura di un prestito bancario, nel tentativo di costruire un parallelismo tra il concetto di debito - inteso come senso di colpa - e la questione generazionale e ambientale legata al Polo petrolchimico di Priolo Gargallo (Siracusa).
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Mirko Vercelli, nato a Torino nel 2000, è un giovane scrittore e poeta performativo, laureato in antropologia all'Università di Torino. Si occupa di cultura pop, politica e media, collaborando con il Centro Studi Sereno Regis. È fondatore e direttore della rivista indipendente «bonbonniere» e ha pubblicato il romanzo Linea Retta nel 2021, oltre al saggio Memenichilismo nel 2024. Il Maltempo Collettivo è un ensemble di musica contemporanea improvvisata concepito con l'obiettivo di creare e condividere un'esperienza di espressione e creatività. La collaborazione tra Mirko Vercelli e il Maltempo Collettivo rappresenta un'interessante fusione tra improvvisazione musicale e spoken word poetico. Questo progetto combina la sensibilità letteraria di Vercelli con l'approccio sperimentale del collettivo, creando un'esperienza immersiva e unica che sfida le convenzioni sia della poesia che della musica contemporanea. La loro performance congiunta esplora nuove forme di espressione artistica, mettendo in dialogo suono e parola in un flusso creativo spontaneo e dinamico.
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Canzoni d’inverno è una raccolta di poesie scritte da Mattia Muscatello, illustrate da Gabriele Sanzo e musicate da Filippo d’Erasmo. Canzoni d’Inverno è un viaggio multisensoriale, un’immersione che permette di leggere, vedere e ascoltare, nel profondo, la consistenza delle emozioni da cui è nato. Mattia, Gabriele e Filippo sono tre persone che sono una persona sola: perché hanno capito come creare un’armonia dalla moltitudine di note, parole e colori che contengono. Restano infatti in tre e, nelle loro individualità, comunicano secondo tre mezzi espressivi diversi uno stesso sentimento condiviso, coeso, coerente ma non omologato. Il progetto ha un’anima analogica, fisica, rappresentata dal libro e una seconda, digitale, riportata nei brani ascoltabili online sulle piattaforme di streaming musicali. Il progetto viene presentato dal vivo come una vera e propria performance, che mescola la lettura delle poesie sulla musica dal vivo, accompagnate dallo spettacolo di live painting proiettato durante l’esibizione.
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Mattia Tarantino (Napoli, 2001) codirige Inverso – Giornale di poesia e fa parte della redazione di Atelier. Collabora con numerose riviste, in Italia e all’estero, tra cui Buenos Aires Poetry. Per i suoi versi, tradotti in più di dieci lingue, ha vinto diversi premi. Ha pubblicato Se giuri sull'arca (2024), L’età dell’uva (2021), Fiori estinti (2019), Tra l’angelo e la sillaba (2017); tradotto Verso Carcassonne (2022) e Poema della fine (2020). Maria Ferraro (Napoli, 1997) studia Industrial Chemistry for Circular and Bio Economy all’Università di Napoli “Federico II”. Nonostante l’impronta scientifica dei suoi studi ha sempre coltivato la passione per le discipline artistiche e musicali. Tra la primavera e l'estate 2024 ha messo in scena, con Mattia Tarantino, il concerto "Qualcosa da salvare" e il poema "Se giuri sull'arca". Vieni a votare il tuo preferito allo Spazio211!
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flyeurope · 1 month
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La star di copertina del numero di settembre 2024 della autorevole rivista Pilot è il superlativo SF.260.
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La star di copertina del numero di settembre 2024 della autorevole rivista Pilot è il superlativo SF.260, il leggendario capolavoro del designer italiano Stelio Frati, denominato a pieno titolo la Ferrari dei cieli. Stelio Frati, appassionato di aviazione fin da giovane e campione italiano di aeromodellismo nel 1940, si laureò in Ingegneria Meccanica al Politecnico di Milano nel 1943. Iniziò la sua carriera progettando alianti e velivoli per il CVV, e successivamente diventò un progettista indipendente, famoso per i suoi aerei sportivi e da addestramento. Tra i suoi progetti più noti vi sono l'F.4 Rondone, l'F.8L Falco, l'SF-260 e l'F.30 Brio. Frati è ricordato per la transizione dalla costruzione in legno a quella in metallo e per il suo contributo all'aviazione leggera. Una curiosità: conseguì il brevetto di volo con un aereo di propria progettazione. https://pilotweb.aero/ #flyeuropetv
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levysoft · 3 months
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Una nuova e intrigante teoria potrebbe confermare che il tempo in realtà è un'illusione quantistica.
Il tempo come illusione quantistica: un enigma che da millenni affascina e sfida menti brillanti, da filosofi a scienziati. Paradossalmente, più la nostra comprensione della realtà fisica si approfondisce, più la risposta a questa domanda fondamentale sembra sfuggirci.
Al cuore della questione risiede il cosiddetto “problema del tempo”, un nodo gordiano che fa capolino dal contrasto tra le due colonne portanti della fisica moderna: la relatività generale e la meccanica quantistica. Mentre la prima concepisce il tempo come una dimensione relativa, intrecciata con lo spazio nel tessuto stesso dell’universo, la seconda lo considera un parametro universale e assoluto.
Un gruppo di fisici italiani dell’Istituto di sistemi complessi (ISC) del Consiglio nazionale delle ricerche ha recentemente proposto una soluzione audace a questo dilemma. La loro ipotesi, basata su un’idea formulata decenni fa, suggerisce che il tempo potrebbe essere un’illusione, un prodotto dell’entanglement quantistico, un fenomeno in cui particelle distanti rimangono misteriosamente connesse.
La vera rivoluzione di questo modello, pubblicato sulla rivista Physical Review A, è la sua capacità di ricavare la definizione di tempo coerente con la relatività generale a partire dai principi della meccanica quantistica. In altre parole, apre una strada promettente per superare l’attuale incompatibilità tra le due teorie. Alla fine ne esce una visione unificata del tempo che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dell’universo.
Quantistica vs relatività del tempo
Due sono i pilastri fondamentali su cui si basa la fisica moderna, che furono introdotti nella prima metà del XX secolo: la meccanica quantistica e la relatività generale.
Nella prima viene descritto il comportamento di particelle e onde su scala microscopica, mentre nella seconda la gravità viene interpretata come la curvatura dello spazio-tempo. Questo è il palcoscenico quadridimensionale in cui si svolge la nostra esistenza.
Entrambe le teorie hanno dimostrato la loro straordinaria precisione e validità attraverso innumerevoli verifiche sperimentali. Tuttavia, quando si tenta di unirle in modo coerente, in una teoria quantistica della gravità, si manifestano delle profonde contraddizioni.
Enigma analogo riguarda il concetto di tempo. Nella relatività generale, il tempo è una componente intrinseca del tessuto dell’universo, malleabile e influenzabile dalla gravità. Al contrario, la meccanica quantistica lo considera un parametro assoluto, immutabile e indipendente dalle proprietà fisiche degli oggetti.
Questa discrepanza solleva interrogativi cruciali: è possibile che il tempo sia un’illusione quantistica, un artefatto della nostra limitata percezione? O forse esiste una realtà più profonda, in cui le due concezioni del tempo si fondono in una sintesi armoniosa?
La ricerca di una teoria unificata, in grado di conciliare la meccanica quantistica e la relatività generale, è una delle sfide più affascinanti e complesse della fisica contemporanea. Una teoria che potrebbe svelare la vera natura del tempo, rivelando se si tratta di un’illusione quantistica o di una realtà fondamentale dell’universo.
Dagli anni 80 arriva un’idea
Paola Verrucchi, co-autrice dello studio, spiega:
Nel nostro lavoro abbiamo ripreso un’idea proposta nel 1983 dai fisici Don Page e William Wootters, secondo cui il tempo nascerebbe come risultato dell’entanglement tra sistemi quantistici, uno dei quali funge da orologio.
Ma cosa significa entanglement? Nel mondo subatomico, una particella può esistere in più stati contemporaneamente. Ad esempio, una particella può ruotare sia in senso orario che antiorario (spin su o giù) finché non viene misurata, momento in cui “collassa” in uno stato definito.
L’entanglement, invece, è un fenomeno ancora più enigmatico: due particelle possono essere così intimamente connesse che condividono la stessa sovrapposizione di stati. Misurando una particella, l’altra collassa istantaneamente nello stato opposto, indipendentemente dalla distanza che le separa.
In questa prospettiva, dire che qualcosa accade in un certo istante significa che un oggetto (l’orologio) si trova in un determinato stato. Nel modello di Page e Wootters (e nel nostro), il tempo è il risultato dell’entanglement tra due sistemi: un sistema che evolve e un orologio.
Paola Verrucchi
In altre parole, quando osserviamo un oggetto cambiare nel tempo, ciò che percepiamo è l’entanglement tra questo oggetto e un orologio. Questa visione ha implicazioni sorprendenti: un osservatore esterno a questa coppia (sistema + orologio) vedrebbe un universo statico e immobile. Il tempo, quindi, potrebbe essere solo un’illusione quantistica, un prodotto della nostra osservazione che perturba il sistema quantistico.
L’idea del tempo come illusione quantistica, sebbene affascinante, solleva interrogativi profondi sulla natura della realtà e della nostra percezione. È possibile che il tempo, così fondamentale per la nostra esperienza, sia semplicemente un artefatto della nostra interazione con il mondo quantistico? Questa prospettiva rivoluzionaria apre nuove strade per la ricerca e la comprensione della natura del tempo e dell’universo stesso.
Out of time
La Verrucchi approfondisce questo concetto:
Abbiamo esteso il meccanismo di Page e Wootters, rendendolo più generale e includendo alcune considerazioni successive. Questo modello, già verificato sperimentalmente nel 2012, ci ha permesso di derivare la definizione di tempo perfettamente in linea con la meccanica classica e quindi compatibile con la relatività di Einstein.
Il modello proposto rappresenta l’orologio come un sistema di piccoli magneti entangled con un oscillatore quantistico, l’analogo quantistico di una molla. Attraverso una versione leggermente modificata dell’equazione di Schrödinger, i ricercatori sono riusciti a caratterizzare questo sistema.
La novità risiede nella sostituzione della variabile tempo convenzionale con una nuova variabile legata allo stato quantistico dei magneti, interpretata come una “lettura quantistica” del tempo. Estendendo il calcolo a scale più grandi, al di fuori del regime quantistico, con grande sorpresa i risultati rimangono coerenti sia con la nuova definizione di tempo che con la trattazione classica.
Questa coerenza a diverse scale suggerisce che il tempo potrebbe non essere una grandezza fondamentale, ma nasce dalle interazioni quantistiche. Ciò apre la strada all’ipotesi che il tempo sia un’illusione quantistica.
Sebbene siano necessari ulteriori studi per confermare questa prospettiva, i risultati di Verrucchi e colleghi rappresentano un passo avanti importante verso la comprensione più profonda della natura del tempo e del suo legame con la meccanica quantistica e la relatività generale.
Tempo come illusione quantistica: l’entanglement è l’inizio
La fisica quantistica ci svela un universo in cui l’entanglement, il legame invisibile tra particelle distanti, potrebbe essere la chiave per comprendere la natura stessa del tempo.
In questa prospettiva, il tempo assoluto, un concetto familiare nella fisica classica, potrebbe riemergere in un contesto quantistico. Nella “singolarità” iniziale, l’entanglement universale avrebbe regnato sovrano, creando un legame indissolubile tra ogni particella dell’universo. Questo legame primordiale potrebbe spiegare perché il tempo, così come lo percepiamo, sembra scorrere inesorabilmente in una sola direzione.
L’entanglement potrebbe quindi essere la radice di ciò che viene chiamato “tempo illusione quantistica“, una specie di effetto “Fata Morgana” creato dalla nostra percezione limitata di un universo intrinsecamente interconnesso. Se questa teoria fosse confermata, rivoluzionerebbe la nostra comprensione del tempo e della realtà stessa.
Il concetto di tempo e le teorie moderne
Il concetto di tempo, da sempre oggetto di dibattito filosofico e scientifico, si rivela sempre più sfuggente alla luce delle teorie moderne. La relatività generale e la meccanica quantistica, pur essendo entrambe verificate sperimentalmente, offrono visioni contrastanti del tempo: relativo e deformabile nella prima, assoluto e immutabile nella seconda.
Una possibile soluzione a questa discrepanza nasce da un’ipotesi affascinante: il tempo come illusione quantistica, un’illusione derivante dall’entanglement tra sistemi quantistici. Il modello proposto sembra fornire una definizione di tempo compatibile sia con la meccanica quantistica che con la relatività generale. Inoltre, l’ipotesi dell’entanglement primordiale suggerisce che il tempo, nella sua forma assoluta, potrebbe essere esistito solo all’inizio dell’universo.
Tuttavia, questa teoria rimane per ora un’ipotesi intrigante. La sfida futura sarà quella di trovare prove sperimentali che possano confermare o smentire questa visione rivoluzionaria del tempo.
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precisazioni · 7 months
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sono stato ufficialmente licenziato e ho mandato la richiesta per la naspi. la prossima settimana comincio un corso per indesign: da tempo sto pensando all'idea di realizzare una zine, o se vogliamo una rivista indipendente, dove scrivere, io e persone che conosco, degli argomenti più disparati, dalla critica ai racconti brevi alle illustrazioni. una volta finito il corso, che comunque durerà non più di due mesi, mi cimenterò in qualche formazione specifica per il lavoro, sperando di riuscire a trovare qualcosa di meglio rispetto a quello che finora ho sempre avuto, colpa la mancata laurea e l'aver un bagaglio di competenze poco utili nel panorama capitalista
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diceriadelluntore · 2 years
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Storia Di Musica #266 - Dead Can Dance, Aion, 1990
La copertina del disco di oggi, della serie di lavori che riprendono capolavori del Rinascimento, è un particolare de Il Trittico Del Giardino Delle Delizie di  Hieronymus Bosch, dipinto probabilmente tra il 1490 e il 1510 dal maestro nederlandese, conservato oggi al Museo Del Prado di Madrid. Il particolare è della sezione centrale, sulla Vita nel Giardino. A sceglierlo per quello che è il loro disco capolavoro sono stati un gruppo australiano, i Dead Can Dance. Si formano a Melbourne alla fine degli anni ‘70, e si ispirano alla new wave britannica di quei giorni e alle sonorità post-punk. Sono in quattro all’inizio: Paul Erikson al basso, Lisa Gerrard alla voce, Simon Monroe alla chitarra e alla batteria e Brendan Perry alla voce e alla seconda chitarra. Pubblicano un singolo, nell’agosto del 1981, The Fatal Impact, che esce in una compilation di una rivista specializzata, Fast Forward. Visto il successo scarso, decidono di andare a Londra. Passano mesi duri, fino a quando nel 1983 un loro demo arriva alla  4AD Records, un’etichetta indipendente  fondata nel 1979 da Ivo Watts-Russell e Peter Kent e che sarà fucina di talenti e del più sofisticato goth rock di quel periodo, avendo scoperto e prodotto  Bauhaus, Cocteau Twins, Modern English, Pixies, Throwing Muses, e i leggendari This Mortal Coil, una sorta di supergruppo con molti dei musicisti delle band dell’etichetta che pubblicherà tre dischi magnifici. I Dead Can Dance sostituiscono Monroe con Peter Ulrich e nel 1984 pubblicano Dead Can Dance: in copertina, una maschera rituale della Nuova Guinea con il nome in caratteri greci del nome della band, una musica che se parte dall’elettronica new wave si espande e diventa rarefatta, acquisendo dettagli e costruzioni che diventeranno iconici, soprattutto grazie alla voce magnetica di Lisa Gerrard. Partecipano al progetto This Mortal Coil, poi nel 1985 il primo disco notevole, Spleen And Ideal, in cui introducono archi, fiati, armonie che si rifanno alla musica gotica, contenuti mistici che troppo velocemente diventano “new age”, e da qui inizia un piccolo seguito di culto per la band, che è diventata ormai un duo Gerrard\Perry, compagni anche nella vita. Si trasferiscono in Irlanda, e lì compongono il primo capolavoro: The Serpent’s Egg (1988) è ancora più etereo e sognante, e un brano, The Host Of Seraphim, verrà usato a più riprese in documentari, trailer, altri brani addirittura campionati (The Chemical Brothers che usano un sample di Song Of Sophia per la loro Song To The Siren, nel loro disco Exit Planet Dust del 1995). Succede però che i due si separino come coppia, con la Gerrard che rimane in Irlanda e inizia a studiare le lingue slave, Perry che va in Spagna. Ma il loro binomio artistico continua, e le esperienze personali sono alla base del disco di oggi, il loro capolavoro. Lo intitolano Aion, una parola greca che vuol dire “forza vitale”, e nella mitologia greca è il tempo infinito, del susseguirsi delle ere, ma anche il tempo vitale e il destino a differenza di Chronos che è il Dio del tempo degli eventi, delle ritualità. Composto da 12 brani spettacolari, ha decine di influenze. Solo due brani sono in inglese, Black Sun e Fortune Presents Gifts Not According To The Book, il cui testo è una traduzione di alcune liriche del poeta spagnolo barocco del diciassettesimo secolo Luis de Góngora. Si aggiungono melodie medioevali e rinascimentali, strumenti antichi come la ghironda o la viola da gamba, sono capaci di creare una musica che sembra un gioco di aria e acqua nella breve ma stupenda The Garden Of Zephirus, polifonie vocali nella toccante Wilderness, i ritmi da mercato arabo della conclusiva Radharc, la ripresa di un Saltarello, una melodia tipica del Centro Italia Rinascimentale, ma su tutto domina la voce, da brividi, della Gerrard, che con naturalezza canta una glossolalia fatta di parole greche, latine, arabe, bulgare, gaeliche che sembrano una misteriosa nuova lingua nella spettacolare apertura del disco, The Arrival And The Reunion, accompagnata dal soprano maschile David Navarro Sust. Alcuni strumentali sono eccezionali e rimandano al tempo del dipinto di copertina, come Mephisto e la stupenda As The Bell Rings The Maypole Spins (il Maypole Spin è molto simile All’Intreccio delle tradizioni folkoristiche nostrale legate al Carnevale, e consiste nell’intrecciare serie di nastri colorati, seguendo un ballo ritmico, ad un palo). Ma il colpo da maestro è la ripresa di una canzone tradizionale mediterranea, The Song Of The Sybil, conosciuta soprattutto nel sud della Spagna come El Canto De La Sibilla e ad Alghero: canzone di genere apocalittico che la tradizione fa risalire addirittura a Eusebio da Cesarea, che scrisse, secondo Sant’Agostino, una Iudicii Signum, che il teologo da Ippona tradusse dal greco al latino nella sua Città Di Dio. I Dead Can Dance ne riprendono la versione in catalano, che è uno dei momenti clou delle celebrazioni della natività in molte zone della Spagna: qui la Gerrad sfoggia tutta la natura dolorosa del canto, in una prova vocale da brividi e indimenticabile. Il disco è acclamato dalla critica e rimane uno dei picchi di creatività di una band che toccherà il massimo successo con Into The Labyrinth (1993), che venderà 500 mila copie, record per un disco della 4AD. Rimangono un ascolto necessario, per la delicatezza delle scelte e la magia della loro musica, da assaporare con il tempo necessario per un viaggio spazio temporale, almeno ad occhi chiusi.
P.S. La rubrica salta la domenica prossima, e riprende martedi 21 per ritornare domenica 26, con due titoli per finire la serie di dischi con le copertina rinascimentali.
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scienza-magia · 6 months
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Fattori anti-età influiscono sui geni lunghi dell'invecchiamento
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Invecchiare è una questione di lunghezza dei geni. Il fenomeno osservato negli animali e nell'uomo. L'invecchiamento potrebbe essere una questione di lunghezza dei geni. Non si invecchia, cioè, a causa di particolari geni, ma perché si riduce l'attività dei geni lunghi.
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Sequenze genetiche (fonte: Gio_tto, iStock) Lo indica la ricerca pubblicata sulla rivista Trends in Genetics e basata sull'osservazione della progressiva riduzione dell'espressione dei geni dai vermi agli esseri umani, cosi' come in colture di cellule di tessuti umani e in persone con malattie neurodegenerative. E' questa la conclusione cui sono giunti, con metodi diversi e in modo indipendente, quattro gruppi di ricerca di Spagna, Paesi Bassi, Germania e Stati Uniti. "Per molto tempo le ricerche sull'invecchiamento si sono concentrate sui geni associati a questo fenomeno, ma la nostra spiegazione e' che si tratta di un fenomeno molto più casuale: e' un fenomeno fisico legato alla lunghezza dei geni e non ai geni specifici coinvolti o alla funzione di tali geni", osserva uno degli autori dello studio, Ander Izeta, del Biogipuzkoa Health Research Institute e del Donostia University Hospital, in Spagna. L'invecchiamento sarebbe perciò affidato processi casuali in quanto i geni lunghi hanno più siti che potenzialmente potrebbero essere danneggiati. I ricercatori lo paragonano a un viaggio in macchina: più il percorso è lungo, più e' probabile che qualcosa vada storto. E poiché alcuni tipi di cellule tendono a esprimere soprattutto geni lunghi, e' più probabile che nel tempo queste cellule accumulino un maggior numero di danni al Dna. Le cellule nervose, per esempio, sono note per esprimere geni particolarmente lunghi e sono perciò fra le più suscettibili alle conseguenze dell'invecchiamento. Le contromisure indicate dai ricercatori sono in gran parte note come fattori anti-età , come il fumo, l'alcol, la dieta e lo stress ossidativo. Read the full article
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lamilanomagazine · 7 months
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Mantova: apre la mostra fotografica “Ukraine. Chronicles of war” di Andrea Carrubba, a cura di Sandro Iovine al Baratta
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Mantova: apre la mostra fotografica “Ukraine. Chronicles of war” di Andrea Carrubba, a cura di Sandro Iovine al Baratta. A due anni dalla invasione russa dell’Ucraina, la Biblioteca Baratts propone una mostra fotografica per riportare l’attenzione sul conflitto. Sabato 24 febbraio, alle 18, presso la sala Peppino Impastato della Biblioteca Baratta a Mantova in corso Garibaldi 88 si inaugura la mostra “Ukraine. Chronicles of war”. Gli scatti di Andrea Carrubba, ripresi nei territori occupati e martoriati dagli eserciti russi, riportano la testimonianza delle terribili conseguenze della guerra che si sta svolgendo ai margini dell’Europa. Carrubba è un fotografo documentarista indipendente e giornalista visivo con un interesse principale per le questioni sociali e umanitarie. Dopo l'Università ha studiato alla John Kaverdash Academy di Milano e si è laureato in Fotografia Professionale. Ha inoltre frequentato il War Reporting Training Camp, una formazione Hefat specializzata per reporter che lavorano in aree di crisi. Freelance dal 2012, ha pubblicato le foto tra gli altri su Time, Washington Post, The Guardian, The Times, El Pais, Cnn, Los Angeles Times, Der Spiegel, The Telegraph, Vanity Fair, Die Zeit, The Atlantic, L'Obs, Al Jazeera Internazionale, Vice e Rolling Stone. Attualmente sta lavorando per elaborare storie di reportage in Italia e all'estero. La mostra è curata da Sandro Iovine, giornalista, critico fotografico, nato nel 1961 a Roma dove, dopo il liceo classico, ha studiato Scienze Politiche con indirizzo Internazionale e lingua e cultura giapponese. Dal 1989 al 1998 è stato redattore presso la Editrice Reflex, prima di trasferirsi a Milano dove, dal 1999 al 2014 ha diretto la rivista “Il fotografo”. Ha insegnato Storia della fotografia a Roma presso l’ISFCI e dal 2003 al 2014 Fotogiornalismo e Comunicazione visiva a Milano. Ha tenuto Master presso il Mifav- Università di Tor Vergata (di cui ha codiretto l’organo di stampa F&D) le Università di Bologna, Insubria, Palermo, Pavia, Perugia e Siena. Ha collaborato con Rai Radio 1, Rai-Radio 3, Radio 24 e Radio Svizzera Italiana, Paese Sera, Avvenimenti, Il Giornale di Napoli e Il Manifesto. Ha curato numerosi libri fotografici come da riferimento nella sezione Pubblicazioni. Nel 2011 è stato curatore della sezione fotografia di Roma Provincia Creativa e fa parte del comitato di valutazione all’interno del progetto Eyes in Progress. Nel 2014 ha fondato la rivista di cultura dell’immagine FPmag (www.fpmagazine.eu) che attualmente dirige. A Milano dirige anche la scuola di fotografia FPschool (www.fpschool.it). Dal 2015 al 2017 è stato Ceo dell’agenzia fotogiornalistia Echo Photojournalism. L’esposizione è realizzata grazie alla collaborazione con Renzo Boatelli, architetto che ha vissuto e lavorato in Ucraina, e Nazzareno Trufelli, architetto e docente presso il Liceo Artistico Giulio Romano di Mantova. Il percorso fotografico sarà visitabile, gratuitamente, dal 24 febbraio al 24 marzo negli orari di apertura del Baratta.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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carmenvicinanza · 2 years
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Gisèle Freund, fotografa
https://www.unadonnalgiorno.it/gisele-freund-fotografa-attivista-antinazista/
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Gisèle Freund è stata una delle più grandi fotografe del Novecento. Attivista e pioniera del fotogiornalismo e dei diritti delle donne, ha registrato le vicende umane e politiche del secolo breve con la sua inseparabile compagna, una Leica regalatale dal padre. La sua fotografia è stata militanza e impegno. Nata a Berlino il 19 dicembre 1908, in una famiglia di origini ebree, crebbe in un ambiente intellettualmente molto stimolante. Suo padre era un appassionato collezionista d’arte che le aveva trasmesso l’amore per la bellezza. Ha studiato storia dell’arte e sociologia a Francoforte, dove è stata allieva di Adorno.
Il socialismo, la militanza, abbracciata sin da giovanissima, ha condizionato il suo sguardo e il modo di ritrarre la realtà.
Traduttrice del reale, ha ritratto l’ascesa del Terzo Reich, la Berlino in piena crisi economica, la disperazione, la fame, le ingiustizie.
Nel 1933, per sfuggire al nazismo, venne costretta a trasferirsi a Parigi, dove la sua passione per la fotografia divenne il suo mestiere.
I suoi ritratti hanno fatto la storia della letteratura e della fotografia.
A Parigi ha anche conseguito il dottorato di ricerca alla Sorbona, uno studio sociologico sulla fotografia in Francia nel XIX secolo.
Ha iniziato, quasi da pioniera, a utilizzare la pellicola da 35mm a colori per i suoi famosi ritratti a personaggi come Jean Cocteau, Colette, Simone de Beauvoir, Marcel Duchamp, T.S. Eliot, André Gide, James Joyce e Virginia Woolf.
A renderla famosa era stato però il suo reportage Northern England, pubblicato sulla rivista LIFE, che mostrava la povertà nell’Inghilterra negli anni successivi alla Grande Depressione. Il servizio, realizzato a colori, era cosa inedita per un magazine dell’epoca.
Costretta di nuovo a fuggire, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, dopo l’arresto di suo marito per motivi politici, si è trasferita a Buenos Aires.
Tornata a Parigi nel 1947 si era unita alla famosa agenzia Magnum, che ha poi lasciato a causa delle sue opinioni politiche.
Durante una lunga permanenza in America Latina,  è scaturito un famoso reportage su Juan e Evita Peron, pubblicato su Life nel 1950 e vissuto in Messico, dove è diventata amica di Frida Kahlo e Diego Rivera.
Donna di grande sobrietà e modestia, nonostante la sua fama e successo, spirito indipendente, sempre coerente con le sue idee, Gisèle Freund è stata una fotografa coraggiosa e anticonformista che si è mossa con destrezza tra ritratti e reportage.Ha analizzato la società in ogni aspetto, col suo sguardo, attento e profondo, ci ha lasciato immagini che hanno fatto la storia.Il suo lavoro si può sintetizzare in una sua bellissima frase:Se non ti piacciono gli esseri umani, sicuramente non puoi realizzare dei buoni fotoritratti.
Nel 1968 il Musée d’Art Moderne di Parigi le ha dedicato una mostra antologica.
È stata insignita delle nomine di Officier of Arts et Lettres nel 1982 e Chevalier de la Légion d’Honneur nel 1983.
Un’ampia retrospettiva della sua opera è stata allestita al Centre Pompidou, nel 1991.
Tra i numerosi libri pubblicati si ricordano James Joyce in Paris: His Final years (1965) e Photographie et société (1974).
È morta il 31 marzo del 2000 a Parigi.
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