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#straniamento
valentina-lauricella · 7 months
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Io continuo ad essere traumatizzata dal cyborg di Leopardi che da ieri sta interagendo in varie forme con il pubblico della mostra Rinascimento digitale. Specialmente l'ultima versione, per cui l'artista che l'ha ideato ha aperto un profilo Instagram dedicato, mi sta spezzando. Acuisce la mia già grande nostalgia per il Leopardi vero, in carne ed ossa, anzi in spirito e corpo eterico, attualmente.
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belladecasa · 9 months
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Dissidio e straniamento in quell’inverno di otto anni fa quando di fronte all’orologio astronomico di Praga provavo le prime euforie dello scoprire la bellezza di tanto mondo che non conoscevo e di quante città potevo conoscere ancora. Allo stesso tempo avvilita dal sesso che mi attirava e tratteneva a sé senza che io lo volessi, perché mi ero innamorata di uno che era un coacervo di neuro divergenze, dipendenze da droghe e ragazze che non erano me. Il mio corpo già parlava un linguaggio che non decifravo, parlava agli uomini senza il mio consenso, parlava con un tono più forte della mia voce, parlava del sesso e al sesso senza che io sapessi cosa fosse e mi confondeva, mi faceva cadere in una spirale di incubi in cui ero sempre voluta e ben voluta ma amata mai. Erano sempre gli uomini col mio corpo e io sola, ero sempre io che cercavo di capire se parlassero a me o al mio corpo, se amassero me o il mio corpo, se mi amassero quando smettevo di parlare con la lingua del mio corpo, quando smettevo di parlare con la lingua e cominciavo a parlare con la mia voce. Dissidio e straniamento oggi, ancora e sempre un’entità disgiunta dal proprio corpo di cui mai capirò totalmente il linguaggio, ancora uomini che parlano solo con lui mentre io sola in una sera estiva che percepisco autunnale, straniata dal tempo e dalle stagioni, mangio una minestra bollente con i legumi indossando un pigiama lungo; tra due giorni devo andare in Calabria ma sono dentro a un dicembre di otto anni fa a Praga.
#s
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abr · 3 months
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La risposta alla domanda "le fonti?" (fuor d'Accademia, lì non metterle è inconcepibile) è MUOVI IL CHIULO E FATTI LE TUE RICERCHE.
La richiesta "le fonti?" é un classico refugium di chi sia abituato ad abbeverarsi acriticamente alle "certezze" della egemonia culturale sinistra che fu. I cui detriti da conflagrazione formano gli odierni "lo dice lascenza".
E' il livello successivo, apparentemente più sofisticato e razionale del mero insulto "fassista rassista populishta". O il desueto "libermerda". Tipicamente questo seguirà la risposta, magari in forma sardonica.
Chiederlo a coloro i cui contenuti si desideri denegare è tipo un renziano "first reaction, choc": è ammissione di straniamento, di assenza di strumenti critici autonomi quindi immediati; per cui sperano emerga trattarsi di invenzione totale, copincolla da notorio demente o -bot russo.
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iviaggisulcomo · 11 months
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"Cos'è per te l'amore, adesso?"
"Qualche tempo fa avrei risposto diversamente, forse. Adesso. Adesso non è più lo stato di euforico stordimento in cui uno sguardo è capace di fiondarti. O, almeno, non solo quello. È anche il pugno nello stomaco che ti ricorda cosa ti manca, cosa rincorri, lo straniamento del desiderio, la mano che afferra la tua mano ogni volta che non ce la fai da solo."
"È così che risponderesti, quindi?"
"Oggi l'amore assomiglia al cucinare insieme in una cucina piccola e stretta come il ripostiglio delle scope di un bilocale fuori città: richiede agilità della mente e del cuore, non intralciarsi ma al tempo stesso non trascurarsi; uno gira il sugo mentre l'altra affetta le cipolle. Si consuma con i sensi, richiede dedizione ed attenzione. Parlare con gli occhi, sentire scivolare le cose sulla stessa superficie inclinata.
E impone agire. In concerto, perché qualsiasi sia il risultato, va costruito in due. Non basta appartenersi, non basta condividere. Serve costruire: l’amore si nutre delle prime due cose, ma è solido solo quando diventa tangibile nelle azioni manifeste."
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veroves · 6 months
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come se non bastasse il senso di straniamento di questi giorni, ho appena fatto venti minuti di videochiamata whatsapp, arrivata dalla chat delle superiori, che non veniva aperta da non so quanti anni.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
RADICALE ANTITESI
"Botero" dallo spagnolo in italiano si traduce in: fabbricante di borracce. Uno di quei casi, non so quanto rari, che i latini appellavano con l'espressione "nomen omen", il destino è nel nome. Fernando Botero (1932 - 2023) lascia, come ogni artista contemporaneo, una fama controversa, divisa tra estimatori dell'originalità delle sue opere e scettici se non addirittura ostili alle sue espressioni pittoriche e plastiche. A questa condizione si aggiunge anche la percezione negativa data dal valore rilevante di mercato cui è giunta la sua produzione: un "peccato" che non viene perdonato da gran parte dell'opinione pubblica. Si tratta di un discorso trito e ritrito: il valore commerciale non ha nulla da condividere con l'apprezzamento o l'esecrazione del risultato artistico, ma rimane nel gioco di domanda e offerta trasferito sul tavolo delle scelte d'investimento. Ora, mantenendo la barra sul tema strettamente figurativo, ci si trova di fronte a creazioni originali, "significanti" che perdono la seconda, indispensabile parte della struttura del segno, il "significato". Così, appare la traccia di un estetismo che affonda le radici nella tradizione culturale latino-americana per la quale i corpi - e le cose - rispecchiano uno stato di beatitudine e di potenza vitale quando appaiono dilatate, piene, solide, tondeggianti. Si pensi a un frutto e facilmente si comprenderà questo paradigma. La vividezza è nella forma che cresce e racchiude. Una radicalità riflessa nelle immagini. Immagini irreali di mondi irreali. Tradizioni che solcano il pensiero delle generazioni per tradizione. Piacciano o non piacciano: il giudizio di gusto sul bello e sul brutto possiede fondamenta fragilissime. Quel che veramente conta è l'esito di un racconto immaginario nel quale l'espandersi colma la scena, la riempie e la riscrive destando meraviglia mediante un effetto di straniamento. Lo straniamento che induce a riflettere sulla retorica del modello classico. Anche quando tocca il sacro, non intende ridurre a grottesco ma riallacciare l'immagine religiosa alla traccia di vitale appartenenza a una differente modalità, estetica e persino etnica, di rappresentazione. In Europa, è stata accolta la pittura "naïf" e più in generale, tra il "Vecchio continente" e l'America Latina, s'è affermata la corrente artistica denominata del "Realismo Magico": da Henri Rousseau a Frida Kalho, dai nostri Felice Casorati e Antonio Donghi fino al nordamericano Edward Hopper e al tedesco Christian Schad. Si rifletta sulle opere di Diego Rivera, sulle espressioni del "Ritorno all'ordine", su "Novecento" e "Nuova Oggettività", sulle figurazioni dei regimi in Italia e in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta. E si pensi a una dimensione espressiva sottovalutata come i fumetti e i cartoons. Il ragionamento sull'arte contemporanea deve lasciare nell'oblio la bellezza - concetto vuoto - per aprire varchi verso un'esplorazione complessa, talvolta urticante, sempre ricca di origini e possibilità, variegata, talvolta sintetica, paradossale, spesso sorprendente. Soprattutto, estranea a una connotazione, appena accennabile in una denotazione. L'arte, invenzione umana, ha un solo scopo: lasciarsi osservare. Nient'altro.
- Fernando Botero, "Picnic", 1982, collezione privata
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quattrosaltinpaella · 20 days
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sensazione di straniamento assoluta vissuta appena fuori dalla già citata mostra (vd post precedente) con timber (2013) by pitbull ft. kesha sparata a palla nello shop
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edo1948 · 26 days
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"Crocifissione" - Renato Guttuso - 1941, olio su tela
dimensioni 200 × 200 cm. "Galleria Nazionale d'Arte Moderna", Roma
Guttuso, nella realizzazione dell'opera, cercò di discostarsi dalla precedente tradizione iconografica pensando addirittura di ambientare la scena in un interno, come in un lavoro di Pablo Picasso. Scelse poi come ambientazione il Golgota tuttavia utilizzò uno schema spaziale del tutto nuovo con la disposizione delle tre croci non una di fianco all'altra ma in diagonale una dietro l'altra secondo uno schema simile a quello seguito da Rembrandt nel disegno 'Cristo in croce tra i due ladroni'. La prospettiva ricorda certamente quella di Tintoretto utilizzata, ad esempio, nell'Ultima Cena, ma appare in questo caso volutamente irreale per creare così un senso di straniamento ancora maggiore nell'osservatore. Il volto di Cristo è nascosto dalla croce di uno dei due ladroni e possiamo solo immaginarne la smorfia di dolore. La pennellata presenta il tratto spesso e deciso tipico di Guttuso che unitamente ai colori accesi e dalle tinte pastello danno una forte carica espressiva ai corpi dei personaggi e all'opera stessa. La spigolosità delle figure, seppure tipica di Guttuso ricorda con forza quella del Rosso Fiorentino.
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rideretremando · 10 months
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Il romanziere Peppe Fiore dice che "Le particelle elementari", che sto per finire e che mi sembra bello ma non bellissimo, è il romanzo della sua vita. Non basta essere d'accordo con Schopenhauer (anche perché ha torto), non basta parlare di scienza e citologia in modo saggistico, non è sufficiente girare intorno al sesso al suo bisogno ed ai suoi danni, perché il suo romanzo sia un capolavoro.
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chez-mimich · 11 months
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YURI ANCARANI: "LASCIA STARE I SOGNI"
In una intervista, per altro non molto recente, Yuri Ancarani, videomaker italiano, afferma che tutte le immagini filmiche (o quasi tutte) e tutte le immagini televisive (in questo caso proprio tutte), portano con sé una visione del mondo, accompagnano cioè lo spettatore, in una “narrazione”, come si dice oggi. Ancarani adotta un punto di vista molto diverso: la macchina da presa è spesso fissa e lascia parlare le immagini. La sua mostra al Pac di Milano aperta fino al prossimo 11 giugno, fa il punto su oltre vent’anni di lavoro dell’artista ravennate. “Lascia stare i sogni”, è il significativo titolo di questa interessante rassegna di video che toccano temi molto diversi tra loro, ma che sono legati da questo sguardo, algido ma attento, neutro ma rivelatore, degli stridenti contrasti del nostro vivere. “Il Capo” proiettato su uno schermo gigantesco, accoglie il visitatore con la sua solenne imponenza. Si tratta di un video del 2010 girato in una cava di marmo delle Alpi Apuane, dove un uomo con una mimica più simile a quella di un direttore d’orchestra che di un cavatore di pietre, dirige con sapiente maestria il movimento di escavatori che tagliano e spostano giganteschi e candidi blocchi di marmo. Il sonoro del video è dato solo dai lontani rumori delle macchine che contribuiscono a determinare un doppio e contrapposto effetto di straniamento e nudo realismo proponendoli ad uno spettatore troppo abituato ad immagini commentate come accade nei documentari o nei servizi televisivi. “Piattaforma luna” è ambientato in una camera iperbolica, ambiente claustrofobico in questo caso accentuato da una colonna sonora di Ben Frost.
Toni freddi e scostanti caratterizzano due video paralleli (nella sala 4 del Pac), si tratta di "San Siro" e "San Vittore" com un accostamenti che non è certo frutto del caso. Nel primo, il tempio del calcio, è rivelato attraverso le strutture architettoniche e le infrastrutture tecnologiche come cavi, tombini, porte di sicurezza, sotterranei, ripresi negli attimni che precedono l'inzio di una partita. Di contro, "San Vittore", propone una apparentemente asettica descrizione visiva di tutti i controlli a cui sono sottoposti i minori per poter visitare i propri genitori detenuti nella strutture carcerarie. Un video che nella sua scarna oggettività presenta, senza ombra di retorica o di didattico paternalismo, una realtà crudele e disumana. Il nome della psicanalista Marina Valcarenghi è abbastanza noto da non necessitare di ulteriori parole. Su di lei Yuri Ancarani propone il video di un magnifico monologo tenuto nel “Cortile della legnaia” dell’Università Statale di Milano dal titolo “Il popolo delle donne”. Letture di testimonianze di tribunali, discorsi astrattamente teorici e ferite legate alla sua esperienza sul campo con al centro la violenza uomo vs donna, ma anche sull’istinto della violenza tout court. Anche qui si tratta di una osservazione imparziale su tema di scottante attualità. Tra i notevolissimi video in proiezione, "The Challenge" è certamente il più intimamente misterioso e in un certo senso il più surreale. Ma Ancarani non lavora sulla suerraltà, bensi su realtà che tendono ad apparire come delle iperrealtà. Le immagini sono quelle del deserto del Qatar durante i preparativi di una competizione di falconeria (con citazione per la Land Art attraverso la celeberrima stele di Richard Serra). Le immagini della competizione sono inframezzate da sequenze che sembrano ruotare attorno al culto del motore e della velocità, nonché una stridente fascinazione nel rapporto natura/tecnologia. In particolare un raduno di motociclisti in un deserto texano, e una Lamborghini che trasporto un ghepardo. In entrambi i video è la rigorosa e simmetrica geomteria della stara a rendere iconicamente assai pregevoli le immagini e a dettarne il ritmo narrativo. Con "Wipping Zombie", titolo tratto dal nome di una danza tradizionale haitiana. Una espressività corporea di una lotta e che rimanda alla violenza coloniale subita dai nativi e che vorrebbe tendere a esorcizzare la violenza subita. Ma in "Wipping Zombie" c'è dell'altro, come la reiterizzazione di gesti quotidiani come battere una lamiera, per trasformare un barile in un materiale utile alla vita quotidiana, che denuncia silenziosamente la povertà e la vita pedestre delle popolazioni e locali. C'è un filone e una tradizione piuttosto consolidata su queste tematiche che coinvolge opere di celebrati videomakers come Ben Rivers o Neil Beloufa. Molte altri i video proiettati nelle sale in una delle mostre più interessanti presentate al Pac che negli ultimi sembra aver spostato, cime molte altre istituzioni museali ed espositive, il suo baricentro verso esperienze artistiche a carattere etnico e fortemente politiche nonché verso quelle che un tempo risultavano essere le periferie del mondo (e non solo in senso geografico).
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belladecasa · 1 year
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Un paio di settimane fa ho saputo per caso che avevi vinto un festival per un corto sull'assurdo, allora ti ho scritto per sapere se potessi vederlo. Perché, in un certo senso, lo percepivo anche come un mio risultato, dato che quando hai iniziato con il cinema noi ci eravamo appena incontrati. Poi quando non sapevi dove sbattere la testa ti consolavo e te la facevo sbattere sul mio sterno sicura che non si sarebbe mai frantumato, sicura che non si sarebbe incrinato mai di fronte alla sofferenza. Quando hai fatto i tuoi primi set non pagati, 12 ore al giorno, i primi complimenti. Quando sei andato a prendere Paolo Calabresi e non ci sembrava vero. Quando eri diventato amico di Libero De Rienzo e poi è morto e non te ne capacitavi. I primi corti che mi mandavi e le sceneggiature che ti correggevo. Mi dicevi che dovevamo scrivere una sceneggiatura insieme e io ti rispondevo che non so scrivere! Figuriamoci una sceneggiatura! C'ero sempre; in un certo senso mi sentivo una sorta di figura ancillare, pronta a raccogliere e servire i tuoi umori.
E allora? Come potevo non vederlo? E ho pianto due ore dal momento in cui te l'ho chiesto. Non capivo perché, non me l'aspettavo, era come se mi guardassi dall'esterno, uno straniamento. Io penso sempre di essere abituata alla sofferenza, al rifiuto, a non essere voluta, a essere fraintesa; così penso di poter sempre abbracciare nuove sofferenze, nuovi rifiuti, nuovi fraintendimenti. E invece non solo non sono pronta per quelli nuovi, ma non ho mai nemmeno metabolizzato quelli vecchi. Così piango e mi vedo anche piangere piena di sorpresa: carattere, destino, è la stessa cosa o è tutta un'altra? È la stessa cosa. Trevisan con quel carattere ha segnato il suo destino ed è morto, è morto di sé stesso. Morirò pure io di me stessa? Non lo so ancora. Se succederà perdonerò tutti, pure te, che mi hai dato così tanti strumenti appena affilati per odiarmi. E mi sono odiata ogni giorno attraverso le tue parole. Ma non si può smettere di amare chi si è amato davvero, è una condanna. E finché non smetterò di amare forse non smetterò mai di odiare me stessa. Però l'amore per me sai, non è una cometa ma una stella fissa, e ogni sera la rivedo brillare di luce e sai quanto ci mettono a morire le stelle, probabilmente muoio prima io
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holmes-nii-chan · 2 years
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Rappresentazione della comunità LGBTQIA+ e omotransfobia in “Detective Conan”
In questo post vorrei fare un’analisi che, da quel che ho visto, non è mai stata fatta prima d’ora, cioè vedere se e come sia rappresentata la comunità LGBTQIA+ in Detective Conan, e quanta omotransfobia sia presente o meno nella serie.
Le opinioni presentate in questo post sono mie e non rappresentano in alcun modo il reale parere dell’autore o di chi detiene i diritti della serie: si tratta di una mera analisi di ciò che io personalmente ritengo si possa trarre da certi episodi rappresentati.
Lungi da me fare un’indebita riflessione morale sul maestro Gosho Aoyama in sé.
Quando abbiamo visto LGBTQIA+ in “Detective Conan”?
È presto detto. In ordine cronologico, se ne fa esplicito “riferimento” in soli due casi:
il caso del “Primo amore color ginkgo”, File 410-412, Vol. 40. Capitoli pubblicati per la prima volta nell’ottobre 2002;
il caso del “Karaoke con sorpresa”, File 619-621, Voll. 59-60. Capitoli pubblicati per la prima volta nell’agosto 2007.
Nel primo, vediamo la rappresentazione di una donna trans (o perlomeno di cross-dressing); nel secondo, l’allusione a una coppia omosessuale (anche se alla fine si trattava di un malinteso).
La “T” di LGBT: “Il primo amore color ginkgo”
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Non sappiamo di preciso se Haruo Chono sia una donna transgender o transessuale, o se si identifichi come uomo ma pratichi cross-dressing, o se si identifichi come non-binariə.
Si tratta di unə ex compagnə di classe di Agasa, che egli incontra per caso mentre va alla ricerca del suo primo amore.
Ecco un collage di alcune altre vignette in cui appare:
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Al di là dei singoli dialoghi, dal punto di vista linguistico Haruo Chono parla in modo molto “femminile” - che, in sé e per sé, non significa assolutamente niente, ma usa delle terminazioni o delle posposizioni che sono tradizionalmente ‘tipiche’ delle donne. Chiama Agasa “Hiroshi-chan” (quindi “il mio caro Hiroshi”, “Hiroshuccio”), che è un appellativo molto affezionato e vezzoso.
In generale, l’immagine data di Haruo qui è quella di una macchietta. I personaggi si meravigliano, guardandolə con un’espressione stupita, e quasi paternalistica, accondiscendente. Notiamo le righette presenti sulla fronte di Conan e Agasa, che dimostrano quasi un timore, un senso di straniamento nei confronti di qualcuno così queer.
Haruo pare essere un espediente di trama, perché i ragazzi lə scambiano per la donna che Agasa cerca... ma il fatto che sia trans (o cross-dressing, o altro) sembra un mero siparietto. 
Se è molto brutta la prima reazione di Conan (che vedete nella prima immagine del paragrafo, in alto a sinistra), il quale d’istinto, stupito, dice: “Un uomo?!”, è piacevole notare come, quando Haruo se ne va, nessuno faccia commenti; solo Genta si limita a dire: “Uff... Ci siamo sbagliati di nuovo!”, e poi tutti vanno avanti per la loro strada.
La “G” di LGBT: “Karaoke con sorpresa”
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Con questo caso arriva il succo della questione.
Parliamo dei Volumi 59 e 60, in cui avviene un caso a un karaoke; all’inizio si sospetta che il colpevole sia Eisuke Hondo (nella foto), per lo strano comportamento che manifesta, ma poi si scopre che è tutto un equivoco.
Ebbene: Eisuke va al bagno, e poi ritorna con un’espressione letteralmente terrorizzata. Cos’ha visto di così orripilante da fare questa faccia e da grondare di sudore?
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Ve lo dico subito: ha visto due uomini baciarsi.
Anzi, mi correggo: crede di aver visto due uomini baciarsi, perché in realtà erano un uomo e una donna molto muscolosa e dai capelli corti (che lui ha scambiato per un uomo).
Eisuke tocca la pura omofobia nel vero senso del termine.
Ha letteralmente paura di ciò che ha visto, è terrorizzato e traumatizzato dalla possibilità di aver visto due persone gay, suda freddo, trema, è oltremodo inquieto.
Ecco un collage che mostra quanto egli rasenti lo stress post-traumatico:
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Quando rivela che il suo volto costernato è frutto di tale orrida visione, anche Sonoko, Ran, Takagi e Megure reagiscono in modo plateale:
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Riporto la traduzione del passo:
[Nella pagina precedente, Eisuke accusa l’uomo coi baffi di aver baciato un uomo.]
“Eeeeh?!”
“Tsk... Era troppo eccitante per un moccioso come te?”
“B-Be’... Non è questione di essere un moccioso o meno...”
“Come sarebbe a dire? È per caso vietato baciarsi al karaoke box?!”
“N-No, se si trattasse di una coppia normale sarebbe tutt’altra cosa, ma credo sia ovvio rimanere sorpresi vedendo due uomini che si baciano...”
“Eeh?!”
“Ehm... Io sono un uomo comprensivo...!”
Be’, ci sarebbe tanto da dire, ma oserei dire che parli da sé... non è vero?
Takagi cerca di mostrarsi diplomatico adducendo la (purtroppo da molti condivisa) dicotomia “normale = eterosessuale”, che - e qui, è al 100% un parere mio - eticamente (filosoficamente) fa acqua da tutte le parti. Che cosa è normale? Chi l’ha stabilito, quando, e perché?
Carino anche Megure che cerca di fare l’uomo avanti coi tempi, tradito però dall’espressione sgomenta.
Ciò che emerge, ripeto, ha un nome: omofobia. Omofobia eloquentissima.
Anche qui questo malinteso (che ha portato alla luce la parte peggiore dei nostri personaggi) è utilizzato come strumento retorico per mettere sotto la luce del dubbio il nostro omofobissimo Eisuke. Una trovata abbastanza triste, se mi permettete.
Menzioni d’onore
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Anche se si tratta di un caso totalmente a parte, vorrei menzionare Seiji Aso (alias Narumi Asai). Seiji ha assunto un alias femminile per mettere a segno la sua vendetta; se ne parla nel caso della “Sonata al chiaro di luna”, File 62-67, Vol. 7.
Non è per nulla considerabile un personaggio queer, perché il suo è solo un travestimento, però ritengo interessante che prima di morire dia un’immagine piuttosto rilassata e tranquilla della sua mascolinità; dice che non ha avuto problemi a spacciarsi per donna perché ha sempre avuto “dei lineamenti effeminati” (vedi vignetta sopra). 
E ora, perdonate, ma sconfiniamo nell’headcanon: carissimi Masumi Sera e Hiromitsu Morofushi (alias Scotch), non mi convincerete mai che siete etero!
Naturalmente sto scherzando. Però, a mio parere, il tropo giapponese delle “bokukko”, ossia della “maschiaccia”, merita riflessioni a parte.
(invece, per Scotch, è tutta colpa della sua bromance [???] con Furuya. :D)
Ma era vent’anni fa!
Concludo questo post dicendo che sì, è vero: i casi che ho citato risalgono al 2002 e al 2007, quindi non c’è per nulla da meravigliarsi se non c’è stata attenzione alle tematiche LGBT che oggi sono (per fortuna) più sentite.
La speranza è che i tempi siano cambiati: ci si augura che se mai dei personaggi queer dovessero apparire oggi, nel 2022, sia riservato loro lo stesso trattamento degli eterosessuali (o dei presunti tali >:D).
Sono d’accordo che non si possa, in definitiva, fare una colpa a nessuno se al tempo la rappresentazione dei personaggi LGBT era quella che era. Però, a mio parere, la loro presenza non è affatto futile.
A chi obietterà che questo post esagera ad accanirsi su cose di 15-20 anni fa, non posso che dire che ritengo, al contrario, possa essere utile fare un’analisi critica di ciò che “è stato”, nell’ottica di riflettere su ciò che sarà. 
Ma in ogni caso, haters gonna hate. I’m just gonna shake.
Ciao!
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bagnabraghe · 1 month
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Il senso della bellezza e della storia sembrano scomparire nella serialità
In ciascuna delle situazioni rappresentate, siano essi scorci di quotidianità familiare o panoramiche di più ampio respiro, la prospettiva adottata dalla Morresi è sempre incline allo straniamento. Come si è visto questo avviene innanzitutto attraverso la ricerca linguistica che se in “Cuore comune” poteva già dirsi «a tratti percussiva» <25 in “Bagnanti” diviene ancora più tagliente. Stefano…
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adrianomaini · 1 month
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Il senso della bellezza e della storia sembrano scomparire nella serialità
In ciascuna delle situazioni rappresentate, siano essi scorci di quotidianità familiare o panoramiche di più ampio respiro, la prospettiva adottata dalla Morresi è sempre incline allo straniamento. Come si è visto questo avviene innanzitutto attraverso la ricerca linguistica che se in “Cuore comune” poteva già dirsi «a tratti percussiva» <25 in “Bagnanti” diviene ancora più tagliente. Stefano…
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ilmiocentimetro · 2 months
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Oggi a casa di mio padre ho trovato una mia lettera a Babbo Natale. Deve avere almeno 20 anni. Era ancora sigillata.
Mi sono chiesta se avrei potuto aprirla, e dopo un iniziale tentennamento, mi sono detta: l'hai scritta tu, chi altro dovrebbe avere il permesso di aprirla?
E così ho fatto.
Nella lettera c'erano due disegni, una poesia natalizia scritta dalla nonna a matita, e un testo scritto da me, in cui elencavo i due regali che avrei voluto ricevere. Sulla busta, all'esterno, l'indirizzo "Via delle Renne, Polo Nord", scritto da mia madre.
La mia calligrafia era molto stilizzata, le lettere spaiate con dimensioni strane, ma dovevo certamente averla scritta io.
È strano il senso di straniamento che deriva dal trovare un proprio reperto archeologico, senza ricordare nulla di quel momento specifico della tua storia. Secondo me equivale a quelle storie in cui il protagonista soffre di amnesia, a causa di un grave incidente, e rivede foto di se stesso a eventi a cui non ricorda di aver partecipato. Sei tu, non puoi provare il contrario, ma non ricordi quel pezzo della tua storia, e ti senti un po' confuso.
Vedere me, mia madre e mia nonna insieme in una lettera mi ricorda che c'è stato, almeno una volta, un presente in cui fossimo davvero uniti, anche solo per rispettare i desideri di una bambina per il prossimo Natale.
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girasoleazzurro · 2 months
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/introduzione
Questa storia inizia con la Luna, Luna piena su un cielo azzurro, di notturno luminoso, poco dopo il tramonto. Dai finestrini della macchina in movimento la Luna rimbalza sui Monti Sibillini. La storia raccontata nel libro nasce da questa immagine e cosi anche la storia del libro stesso che racconto qui.
Questa sara’ una indagine sulle idee e le suggestioni che hanno generato il racconto, esplorando e traducendo questa parte istintiva, ponendomi io per primo la domanda di dove arrivi. Il racconto nasce istintivamente, nasce ascoltando, guardando e mettendo insieme, non progettando o costruendo.
L’immagine che evoca l’azzurro di quel cielo è questa :
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E un’illustrazione di Carlo Chiostri per un libro che non ho letto: La formica nera, scritto da Tommaso Catani nel 1924, cento anni fa.
Questa immagine è anche sulla copertina di un altro libro: Guardare le figure di Antonio Faeti.
Quest'ultimo l'ho studiato come testo d'esame durante il percorso in Accademia, durante il triennio, era circa il 2015 ed è stato il mio primo incontro con Chiostri.
La figura di Chiostri che emerge dalla descrizione di Faeti è estremamente affascinante, fascino amplificato dal fatto che, pur avendo prodotto una quantità di libri illustrati, quasi nessuno di essi è facilmente reperibile oggi, con la grande eccezione di Pinocchio.
Chiostri è stato il secondo illustratore di Pinocchio, quello che ha meglio definito la sua immagine e il mondo in cui vive le sue avventure. Nonostante le infinite reinterpretazioni, il pinocchio ‘originale’ è quello che si muove nella toscana di fine 800, quello tratteggiato in pochi ma puntualissimi dettagli da Chiostri.
Pinocchio è una della figure più familiari e riconoscibili dell’immaginario collettivo italiano e occidentale. Il resto della produzione di Chiostri oltre Pinocchio è come un angolo sconosciuto in un ambiente familiare. Come quando si sogna un luogo che si conosce bene e si scopre una stanza mai vista prima.
Questo riassume l’idea alla base del mio racconto: familiarità e straniamento.
Lo stesso contrasto che è anche una delle caratteristiche della stessa produzione di Chiostri, il suo approccio al fantastico a partire dalla descrizione del reale quotidiano.
Il viaggio che inizia qui si muove quindi in diverse direzioni: la ricerca dei testi perduti che compongono il mondo raccontato da Chiostri, l'interpretazione del mio racconto e dei frammenti di immaginario che ci sono finiti dentro, cercando di capire come e perché; e la messa in relazione delle due cose, il dialogo tra me e un artista di un secolo fa, e di come il suo mondo sia più vicino di quanto può sembrare.
La bussola di questo viaggio è l’Azzurro. Il cielo pallido di quella sera sui monti Sibillini, il cielo dei notturni luminosi dipinti da Chiostri, la luce divina della Fata Turchina e della Madonna.
Ora, parto dall' inizio rileggendo Guardare le Figure.
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