Tumgik
#tipo per il primo nome che mi hai fatto.. lì ok che serviva anche a loro un giocatore in quella postizione
2stelle · 8 months
Text
-
0 notes
Text
From Fake Lovers To Friends... -Pt. 2
Ebbene, sono Milena e finalmente ecco qui la parte due della cosa che vi avevo promesso eoni fa.
Trovate la parte 1 qui.
And here we go
“Aspetta, che cosa vuoi tu da me?”
La situazione è questa: Ermal se ne sta seduto al suo tavolo preferito del piccolo bar che sta sotto casa, quello sbeccato e messo in un angolo riparato della sala. Angolo perfetto, non troppo caldo d’estate e non troppo freddo d’inverno, con la luce che filtra dalla vetrina che è sempre sufficiente senza che questo rimanga però esposto in bella vista dato che è appena più indietro. Tavolo che di solito occupa da solo mentre studia-occasionalmente in compagnia di una bevanda o di una fetta di torta- mentre invece adesso ha seduto davanti un ragazzo (e meno male che non era un quarantenne come aveva temuto)
Bello, per carità, bello davvero: alto ma non troppo, la pelle ambrata ricoperta da tatuaggi neri e colorarti, le maniche della camicia tirate su che gli scoprono le braccia inchiostrate e incrociate e si stringono attorno ai suoi avambracci appena flessi e muscolosi. Capelli scuri-per quel che può vedere sotto a quello stupido cappellino che lo fa sembrare un raccoglitore di pomodori o più semplicemente un coglione (e non un hipster)- occhi nocciola, leggera barba incolta e delle piccole e disgustosamente deliziose lentiggini a ricoprirgli il naso e le guance.
#piccolecosechenonsaiignorareermal
Fabrizio Mobrici himself.
Che si era presentato in tutto il suo splendore-e lui non era ipocrita con se stesso, poteva benissimo ammettere che era bello, il bastardo in questione- sfoderando un sorrisino marpione sulle labbra e levandosi la giacca di pelle appena entrato, in modo spiccio e casuale ma in qualche modo stranamente sexy. E va bene che nel bar faceva la stessa temperatura che avrebbe fatto normalmente fuori in primavera inoltrata e lui era freddoloso quindi sì, ci stava bene ma poteva capire chi si spogliava, ma non riusciva a smettere di pensare che lo stesse facendo palesemente apposta. Tutta tattica, sissignore
Li conosce, quelli come lui. Sempre pronti a rimorchiare. I belli e impossibili. Quelli con l’aria da cattivi ragazzi, tutti tatuaggi e jeans strappati. Gli odierni Edward Cullen delle ragazzine-e cazzo, quando si sarebbe levato dalla testa quello stupido film che Sabina gli aveva propinato a casa una cosa tipo trecentosettantadue volte?
Fabrizio Mobrici che però a volerla dire proprio tutta si era presentato perché lui glielo aveva chiesto via messaggio qualche ora prima e ora se ne stava lì a fissarlo tra l’incredulo, il divertito e il trepidante.
Ok, premiamo un attimo il tasto per il rewind, giriamo la giratempo, time out flashback moment
Dunque quando Ermal aveva capito il guaio in cui si era messo-cosa che gli aveva fatto tirare una sequela di improperi coloriti metà in albanese e metà in italiano che gli sarebbe valsa un premio per la creatività che stava dimostrando per inventarseli-era filato subito dritto a casa, di corsa, fiondandosi in cucina dove Francesco, all'alba delle due e mezzo di pomeriggio, stava seduto a smangiucchiare una tazza di latte e cereali con ancora il pigiama addosso. 
Lui non l’aveva mai visto frequentare una lezione, se era per quello, ma gli esami li aveva sempre dati. Uno dei tanti grandi misteri di Francesco Gabbani insieme a Perché Tutti I Tuoi Calzini Si Spaiano Magicamente e Come Fai A Dormire Mentre Passo L’Aspirapolvere. Avrebbe potuto scriverci una saga. Anzi, un’intera enciclopedia. Misteri della Fede scansatevi proprio.
Comunque sia, aveva esordito con un “Mi devi aiutare”
Ora, in casa-o per meglio dire appartamento o, per dire ancora meglio, buco di bilocale che soltanto due universitari disperati avrebbero considerato accettabile e che probabilmente sfidava ogni legge strutturale e sanitaria del corrente anno del signore duemiladiciotto (e grazie a dio che l’amianto se l’erano scampati)-Meta-Gabbani, quella frase era pronunciata mediamente una quindicina di volte al giorno e questo senza contare le nottate di sbronza.
Soltanto che di solito era Francesco a dirla e quindi quando era stato Ermal a rivolgergliela-con tanto di tono disperato per giunta!-si era sbrodolato il pigiama facendo sussultare il cucchiaio per la fretta che aveva avuto di voltarsi a guardarlo, un ghigno già stampato in viso e l’eccitazione che immediatamente prendeva possesso del suo corpo. Perché Francesco era così, come un bambino: poteva entusiasmarsi per l’accensione di un fiammifero quanto avrebbe fatto alla scoperta di un nuovo pianeta. 
E non era un male, certo, anche se Ermal si era chiesto più volte perché ancora non l’avesse soffocato con il cuscino.
Comunque, il punto era che lui poteva emozionarsi per tutto ma Ermal Meta- il perfettissimo studente dalla perfettissima media e il perfettissimo modo di fare tutto in maniera perfetta-che chiedeva aiuto a lui? Quello sì che era tutto un altro paio di maniche. Chiunque si sarebbe sentito eccitato come un chihuahua strafatto di caffeina
“Omiodio vuoi scoparti Mobrici”
Non l’aveva nemmeno lasciato parlare, a onor del vero. L’aveva guardato e boom! aveva tratto le sue conclusioni da solo. Peccato che le conclusioni di Francesco la maggior parte delle volte fossero come lo 0,01 centesimo tolto dai prezzi per convincerti che stavi risparmiando: una cazzata bella e buona.
“Cosa? NO!” Ermal aveva sentito le guance iniziare lentamente ad andargli a fuoco. Quello doveva essere il giorno in cui il suo raziocinio era serenamente andato a battere per strada perché prima combinava la cazzata con Eleni poi veniva a chiedere aiuto a Francesco. Geniale Ermal! La media del trenta gliela avrebbero dovuta tirare in testa. Che stupido, cazzo.
Però ormai anche quella frittata era fatta, per cui tanto valeva
“Stammi a sentire, adesso ti spiego”. Aveva sbuffato quando Francesco si era seduto dritto e composto al tavolo, guardandolo prendere posto davanti a lui e perfino spostando la tazza di latte per posare i gomiti sul tavolo “Ti ascolto”
“Dunque, oggi a lezione...” aveva iniziato, proseguendo poi a spiegare tutto “...e quindi adesso mi ritrovo a dover invitare Fabrizio fuori per la gita perché altrimenti sarebbe umiliante e oltretutto non potrei andare al mare,  ma non voglio farlo perché in parole povere mi sta altamente sul cazzo”
Si era morso la lingua quando Francesco, dopo un intenso secondo di riflessione, aveva risposto “Non ancora, ma penso gli piacerebbe” e poi dal nulla era scoppiato a ridere.
Aveva riso e riso, tenendosi la mano sulla pancia, le lacrime che ad un certo punto avevano iniziato a scorrergli sul volto paonazzo e, quando sembrava che stesse per calmarsi, lo guardava e di nuovo scoppiava.
Favoloso, proprio quello che serviva per chiudere in bellezza quella sequela di disastri: una bella e lunghissima risata che sapeva di presa per il culo anche a tre piani di distanza.
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie insomma: incredibilmente seccati.
“Ermal ma scusa” aveva detto infine lui, dopo essersi calmato “Tutto sto casino per cosa? Ammetti di volertelo scopare e basta!” “Non me lo voglio-e piantala di annuire, deficiente-non me lo voglio scopare!” “E allora perché hai scelto proprio lui? Guarda che questa è tensione sessuale irrisolta, caro mio. Altro che coincidenza sì sì. L’ho visto come lo guardavi alla festa. Altro che astio o odio, tu ti volevi far piegare sul tavolino del buffet” “No. No! Te l’ho detto, è stato il primo nome che mi è venuto in mente e basta, tutto qui!”
Ermal aveva iniziato potentemente a spazientirsi mentre agitava le mani di fronte a lui per spigare cosa muove le cose.
“Comunque, adesso devo per forza chiedergli di fare tre giorni al mare con me, altrimenti passo per coglione con tutti. E se accettasse, cosa di cui dubito fortemente, ci devo stare insieme per finta e farlo sembrare vero. Tenergli la mano. Baciarlo. Dormire nello stesso letto cazzo Francesco ma ti pare? In sintesi: qualsiasi cosa io faccia, sono un uomo morto” aveva detto tragicamente, mentre Francesco a quel punto cercava di ricomporsi un poco.
“Non è detto. Secondo me non ti direbbe di no. E potresti anche approfittartene, una buona volta. Quant'è che non scopi, tre mesi? E l’ultima volta l’hai fatto con me solo perché stavi messo così male che altrimenti saresti esploso. Prendila come occasione per rilassarti, Meta. Guarda che Fabrizio non è mica così male come dici tu. Anzi, l’ho sempre trovato un ragazzo piuttosto...piacevole”
Aveva alzato gli occhi al cielo a quelle parole: tipico di Francesco, ci proverebbe anche con i sassi se quelli sapessero rispondergli. Non poteva negare che si erano divertiti insieme, ma adesso lui faceva il filo all’altra ragazzetta-Alessia? Alessandra?-e Ermal era troppo impegnato per uscire con qualcuno. Quando aveva la voglia gli mancava il tempo e quando aveva il tempo gli mancava la voglia e grazie al cazzo: tra la scuola e il lavoro, non gli rimaneva mezzo secondo o grammo di energia.
“Francesco, è un coglione” 
“Ermal” aveva detto Francesco. L’attimo di silenzio dopo il suo nome l’aveva spaventato. E adesso? Cosa aveva in mente? Di solito quelle pause ad effetto che piacevano tanto al suo baffuto amico servivano solo a farli successivamente sparare una cazzata grande quanto l’intero sistema solare, ma aveva la sensazione che forse anche lui per una volta aveva qualcosa di serio da dire. Aveva iniziato a pregare di no.
“Ma toglimi una curiosità. Perché davvero, io non ho capito. Che t’ha fatto Fabrizio per starti così sul cazzo?”
Eh. 
Ecco qua.
Che gli ha fatto Fabrizio per stargli così sul cazzo?
Good point Francesco.
Perché ora che ci pensa, manco se lo ricorda bene il perché l’avesse trovato così odioso. Forse per il suo modo di parlare? Per quel che diceva? Per come si atteggiava? E chi se lo ricordava più. Sapeva di aver provato verso di lui un astio estremo, sì, e pure dal primo momento in cui aveva messo piede alla festa e l’aveva visto, ancor prima che parlassero. Lo ricordava bene quell’odio immediato e quella sensazione di fastidio provata alla sua sola vista, sì, ma per cosa?
Bellissima domanda.
A cui si accorge, in quel momento mentre sta bloccato fisso come uno streaming impallato, di non avere una risposta. Non una valida almeno.
Ragazzi, sono veramente euforico rincoglionito.
“Non sono cazzi tuoi ‘Cesco” aveva ribattuto, incrociando orgogliosamente le braccia al petto.
Perché ammettere che non se lo ricordava non aveva né capo né coda e di passare ancora più per coglione non ne aveva voglia.
“No, infatti. Ma sono cazzi amari per te se quantomeno non ci provi ad invitarlo. Mal che vada, ti manda a quel paese e si fa una risata. Allora, gli mandi un messaggio o no?”
Per quanto l’avesse odiato in quel momento, a quanto pare la serie di disastri che l’avevano portato lì si concludeva con uno ancor maggiore: Francesco che aveva ragione.
Perché se Francesco aveva ragione su qualcosa in modo così lapalissiano, la situazione probabilmente era davvero un cazzo di casino.
Sopratutto dato che le condizioni per cui lui avesse ragione si verificavano ogni centocinquantamilacredici anni, quando i pianeti si allineavano, le stelle si spegnevano, la terra invertiva i suoi poli magnetici e i continenti tornavano a formare la Pangea.
Cioè mai.
Alla fine, si era ritrovato davvero  a mandargli un messaggio, che in realtà l’amico aveva composto per lui.
Ciao, sono Ermal. Un mio amico (Fancesco) mi ha dato il tuo numero, spero non ti dispiaccia. Ti andrebbe di uscire oggi pomeriggio? Vorrei parlarti di una cosa.
Ciao.........sono Fabrizio ma immagino tu lo sappia già.....xD Sei carino, perché no..... dove ci vediamo? ;)
Puntini di sospensione e Emoticons scritte con la tastiera su Whatsapp? Era davvero un hipster o un quarantenne.
Ora si che aveva toccato il cazzo di fondo.
Merda.
E questo è come sono andate le cose prima, prima del bar, prima della giacca di pelle, a metà strada tra la Grande Cazzata di San Valentino e la Ancora Incredibilmente Più Grande Cazzata Di Invitare Fabrizio Fuori. 
Si erano salutati. Fabrizio gli aveva lanciato una lunga occhiata mentre si sedeva, squadrandolo per bene, percorrendolo con gli occhi. Porco maiale, aveva pensato Ermal.
Sembrava soddisfatto di ciò che aveva visto, perché si era accomodato meglio, sorridendogli.
“Allora regazzi” aveva esordito. La sua voce era bassa e roca. Non era per nulla irritante, anzi. Era un mormorio caldo, avvolgente. In qualche modo, questo non faceva altro che fargli girare le palle a elica ancora più di prima. Stupido Fabrizio “Di che dobbiamo parlare?”
Aveva un sorrisino in faccia che gli aveva fatto venire voglia di farglielo saltare a suon di insulti.
E lì, Ermal aveva sospirato pesantemente
“ Ok” aveva detto, guardandolo negli occhi. Erano dolci, gentili, caldi. Stupido Fabrizio, non poteva avere qualcosa che non andava? Tra poco avrebbe preso il volo da quanto forte gli stava facendo girare i coglioni il suo essere in qualche modo così bello e apparentemente perfetto “Quello che sto per dire ti suonerà ridicolo, ma ascoltami e ti giuro che alla fine avrà un senso” 
Non ci stava credendo nemmeno lui. 
Guardandolo, sapeva che non aveva idea di quello in cui si stava per cacciare, tanto quanto più o meno ne aveva lui.
Povero coglione.
Probabilmente pensava che gli volesse chiedere di essere il suo ragazzo.
Lui se ne stava lì con quel sorrisetto da gradasso, squadrandolo anzi, carezzandolo con lo sguardo gentilmente, aspettando probabilmente di sentirlo fare una confessione del suo grande amore che si portava dentro da mesi, solo perché San Valentino era vicino, no?
E quindi doveva confessarsi, certo, ecco perché l’aveva chiamato, era ovvio.
Si aspettava che si imbarazzasse, che iniziasse a balbettare rivelandosi, magari doveva prendergli le mani e guardarlo tremante e intimorito, rosso in viso, mentre lui lo ascoltava aprire il suo cuore e ammettere quella cotta che tanto lo spaventava.
Ma chi cazzo erano, Han Solo e Leia?
Ce l’aveva lui, l’aria dell’Han Solo, con quel suo stupido sorriso e la sua stupida faccia tosta.
Non aveva idea. 
“Allora dunque i miei compagni di classe hanno organizzato una gita al mare per San Valentino soltanto che ci possono partecipare solo le coppiette naturalmente. Va da sé che da single non ci posso andare, sai com'è. Anche perché ho vagamente detto loro di avere un ragazzo perciò, ecco, te lo devo chiedere. Fabrizio Mobrici... vuoi essere il mio finto ragazzo per il weekend?”
Il silenzio era calato pesante tra loro per un istante.
Eccoci qui. Boom.
Let that sink in Bizio
“Aspetta, che cosa vuoi tu da me?”
Ed eccoli lì, l’uno di fronte all'altro, Fabrizio stupito e lui infastidito più che mai, anche a causa del luccichio che gli legge nello sguardo, in fondo, dietro a tutto lo shock e all'incredulità.
“Ma... perché io? Che poi, io ti conosco! Non sei mica il ragazzino che mi guardava male a una festa borbottando qualcosa? Guarda che mi ricordo di te, più o meno. Non ero così ubriaco”
Ermal fa una smorfia. Pure non del tutto scemo doveva essere.
“Potrei aver tralasciato un paio di particolari” pondera, evitando la seconda domanda.
“Ah si?” gli aveva chiesto lui, ironico, alzando un sopracciglio. Era palese che non si stava bevendo che i particolari erano solo un paio “A farzo!”
“Ma che falso oh! La mia è stata semplice omissione di verità, tutto qui!” aveva replicato, sentendosi arrossire.
No eh. Va bene tutto nella vita, ma il burino che gli da del falso anche no.
“Regazzi. Fuori la storia, o non avrai niente da me”
Ed Ermal, per quanto odiandolo dato che così facendo gli toccava rivivere daccapo tutta la sua storia che sembrava una guida a come essere dei grandissimi coglioni nella vita, si era ritrovato a dover raccontare tutto per filo e per segno. Di Eleni, del mare, del nome detto a caso. Tutto.
“E questo è quanto, mi è venuto in mente il tuo nome anche se non avevo idea all'inizio di chi tu fossi e adesso se non vieni al mare con me sono nella merda. Ecco” aveva concluso.
Scocciato e ancora più rosso in viso che mai.
Ad ogni parola, aveva visto Fabrizio farsi sempre più incredulo, sì, allibito, stupito.
E poi divertito.
Eccitato.
Non gli piace quel luccichio nel suo sguardo: è quello tipico di qualcuno messo davanti a una nuova sfida che non sta nella pelle di cogliere, nonostante tutto. Se la sta gustando nella mente, quell’idea, ponderandola.
E per lui è pure un tormento.
Lo sta cuocendo a fuoco lento, il bastardo, fingendo di pensarci su.
Stupido Fabrizio.
Con il suo stupido sorriso sghembo e le sue stupide braccia muscolose e le sue stupidissime lentiggini. Con la sua stupida barba e il suo stupido cappello e i suoi stupidi capelli mori.
Fabrizio che si china verso di lui, ghignando, sporgendosi in avanti lungo il tavolo, guardandolo dritto negli occhi.
E si lecca le labbra.
“‘O sai che te dico regazzì?” sussurra piano, la voce ancora più bassa e roca di prima “Ce sto” 
207 notes · View notes
Text
Vuoi scommettere? - capitolo 7
Link dei capitoli: Vuoi scommettere?
Marinette sospirò, osservando l’ennesimo vestito e gettandolo nel mucchio ai suoi piedi: qualsiasi cosa era presente nel suo armadio non andava bene. O era troppo elegante o troppo sciatto. Voleva apparire carina, ma senza esserlo esageratamente. Visto il comportamento del ragazzo, se fosse stata troppo in tiro, si sarebbe fatto qualche idea malsana. «Ma perché ho accettato?» sbuffò, avvicinandosi alla sedia girevole e lasciandosi andare su di essa, facendo muovere le rotelle sul pavimento per un piccolo tratto: «Perché? Perché? Perché?» ripeté, prendendosi la testa fra le mani e arruffandosi i capelli sciolti: «Non potevo lasciarlo finire, così non avevo problemi? No. Dovevo accettare.» si alzò, avvicinandosi al mucchio di abiti e muovendoli leggermente, con la punta del piede quasi nascondessero chissà quale pericolo: «Ok. Posso farcela, posso trovare…» mormorò, guardandosi sconsolata attorno e notando solo in quel momento una maglia. La prese, aprendola e osservandola con occhio critico: poteva andare oppure no? La poggiò sulla scrivania, studiando le sfumature di viola del capo d’abbigliamento e guardandosi attorno, recuperando dall’armadio una gonna corta a tema floreale. Ok. Forse poteva andare. Se a tutto univa poi il giacchino di jeans… E le scarpe? Avrebbero dovuto camminare parecchio, dato che l’intenzione primaria di Adrien era quella di vedere nuovamente la città e, quindi, le serviva una qualche calzatura comoda; si fiondò sulla pila di scatole ordinatamente impilate l’una sopra l’altra e, facendo scivolare il dito indice sulle etichette, cercò le più adatte. La boulangerie era piena di gente, decretò Adrien, allungando il collo e osservando, al di là delle vetrate, la madre di Marinette impegnata a servire l’ennesimo cliente: cosa fare? Entrare o attendere fuori? Infilò una mano nella tasca della felpa, tirando fuori il cellulare e recuperando il messaggio che Marinette gli aveva spedito il giorno precedente e che diceva solo di incontrarsi lì. Sbuffò, indeciso se mandare o meno un messaggio alla ragazza per avvisarla che lui era arrivato, quando un movimento dal lato della strada lo attirò e si voltò, osservando Marinette dirigersi verso di lui: era tremendamente carina, con la gonna corta che ondeggiava a ogni suo movimento, la maglietta leggermente attillata enfatizzava il fisico magro e i capelli, stretti in due codine, le davano un’aria adorabilmente infantile: «Ciao, ti ho visto arrivare dalla finestra di cucina e sono scesa subito. Pensavo di chiamarti da lì ma…beh…ecco…» «Ciao.» dichiarò Adrien, mettendo fine a quello sproloquio senza senso e sorridendole: «Stai benissimo, sai?» «Ah. Mh. G-grazie. Anche tu.» «Lo so, sono così bello di natura che qualsiasi cosa mi sta divinamente.» sentenziò, facendole l’occhiolino e osservandola portarsi una mano alla bocca per reprimere una risatina: mh. Forse aveva trovato il giusto tasto per rapportarsi con lei, senza vederla fuggire come un coniglietto. Stava facendo progressi. «Dove vuoi andare?» «Non so. In giro?» «Non hai un posto che vuoi vedere?» Adrien si strinse nelle spalle, sorridendole: «In verità, voglio solo visitare la città dove sono nato, sentire parlare francese e chiacchierare con la mia amica d’infanzia. Tutto qua.» dichiarò, senza tanti giri di parole: «Sono una persona di poche pretese.» Marinette scosse il capo, sorridendo di ricambio al ragazzo: «Quindi…» «Andiamo allo zoo?» «Cosa?» «Sì, lo zoo.» esclamò Adrien, sorridendole e guardandosi attorno, come se potesse intravedere il posto: «Quello dove i tuoi genitori ci portarono una volta…» «Ho capito quale zoo. Ma perché proprio lì?» «E’ il primo posto che mi è venuto in mente.» dichiarò il ragazzo, sorridendo: «Oppure possiamo andare a…boh, vedere la Tour Eiffel? Il Louvre? In verità per me va bene tutto.» «Ti va bene tutto?» domandò la ragazza, inclinando la testa e studiandolo: «Tutto tutto?» «Tutto.» «Tutto. Accidenti a me e a quando l’ho detto.» decretò Adrien, seguendo la ragazza che osservava interessata le vetrine dei negozi: approfittando del fatto che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per stare un po’ di tempo con lei, Marinette lo aveva portato in giro per fare un po’ di shopping. Oh, certo. Stava visitando Parigi e sentendo parlare francese, in compagnia della sua amica d’infanzia ma, maledizione, erano a fare compere. «Sai, portare un ragazzo in un giro del genere è da denuncia.» «Sei tu che hai detto che ti andava bene tutto.» «Grazie per rinfarciami la mia stupidità.» sentenziò Adrien, infilandosi le mani in tasca e fermandosi quando, di fronte all’ennesima vetrina, Marinette si bloccò e osservò estasiata i gioielli esposti: oh beh, almeno adesso sembrava più rilassata e aperta verso di lui; aveva balbettato solo una decina di volte e i suoi discorsi non erano stati una sequela di parole senza senso o totalmente inventate. Stavano facendo progressi. «Allora…» iniziò, poggiandosi contro il vetro e osservando lo sguardo celeste scivolare verso di lui: «Che hai fatto in questi anni?» «Come?» «Sì, cos’hai fatto.» «Sono andata a scuola.» «E poi?» «Ho conosciuto Alya e Nino.» «E poi?» «Niente?» Adrien sorrise, cercando di mascherare il suo disappunto: era certo che, se le avesse rivolto la vera domanda che aveva in mente, la ragazza sarebbe diventata rossa come un peperone e avrebbe ripreso a balbettare, mandando all’aria i progressi che aveva fatto in quel giorno: «Come sono quelli della nostra classe?» domandò, grattandosi dietro l’orecchio e seguendola, mentre si spostava verso una nuova vetrina. «I nostri compagni?» «Sì, in pratica sono arrivato questa settimana e gli unici con cui ho parlato siete stati tu, Nino e Alya. E Chloé.» Marinette annuì, fissandolo per qualche secondo e battendosi le dita sulle labbra: «Allora…beh, Chloé è semplicemente Chloé. Te la ricordi quando eravamo piccoli? Ecco. E’ rimasta uguale. Poi c’è Sabrina che è la figlia del capo della polizia e, si può dire, è la secchiona della classe e la compagna di malefatte di Chloé; poi…» «Testa a pomodoro?» «Cosa?» «Testa a pomodoro. Com’è?» «Chi sarebbe Testa a pomodoro?» «Quel tipo, il rosso! Quello bassino…» «Intendi Nathanael?» «Giusto. Si chiama Nathanael.» esclamò Adrien, battendosi una mano sulla fronte e annuendo: «Nathanael, spero di ricordarmelo ora.» «Perché t’interessa lui?» «Così…» «Così?» «Già. Allora? Che tipo è?» «Mh. E’ bravissimo a disegnare ed è anche molto timido, estremamente sensibile…» «Estremamente basso…» «Cosa?» «Niente.» dichiarò Adrien, sorridendo alla ragazza: «Si direbbe che ti piaccia.» «Cosa? Nathanael?» domandò Marinette, sgranando gli occhi sorpresa: «Ma è un amico! Un caro amico, ma nulla di più.» «Lui non sembra considerarti solo un’amica, però.» bofonchiò il ragazzo, superandola senza darle possibilità di replicare e fermandosi davanti a una vetrina: «Marinette! Marinette!» «Cosa?» «Non ti ricordano i braccialetti che avevamo da piccoli? Quelli con cui facevamo finta di trasformarci in supereroi, dai!» le domandò indicando i due monili che, poggiati su un piedistallo, riflettevano la luce artificiale della lampade: «Tu avevi quello con la coccinella ed io…cos’era? Una stella?» «Una zampa.» «Giusto! Avevo la zampa.» esclamò il biondo, sorridendo e fissando i due braccialetti: il cordoncino di cuoio era tenuto fermo dalla pietra, modellata in varie forme: «Li prendiamo?» «Cosa?» Marinette rimase ferma, osservando Adrien entrare nel negozio e additare i monili al commesso che, prontamente, si avvicinò alla vetrina e recuperò i braccialetti; il ragazzo le sorride, mimando con la bocca la parola coccinella e ricevendo un cenno d’assenso da parte della ragazza. Poco dopo uscì, con i due pacchetti fra le mani e si fermò davanti a lei: «Dammi il polso.» ordinò, prendendo una delle due scatoline e aprendola mentre, titubante, Marinette allungava il polso sinistro verso di lui; con la mano libera, Adrien le afferrò le dita e, non senza qualche difficoltà, le allacciò il braccialetto. «Da-dammi il tuo.» mormorò la ragazza, osservandolo prendere la seconda confezione e aprirla, mettendole poi in mano il braccialetto con la pietra a forma di zampa: «Si-sinistra o destra?» «Destro.» dichiarò Adrien, allungandole la mano interessata e osservandola mentre, incerta, lo sfiorava con i polpastrelli per legare il laccio di cuoio, mentre le guance e le orecchie le si tingevano di una tonalità cremisi; trattenne a stento una risata quando, alla fine dell’operazione, lei si allontanò come se si fosse scottata: «Bene! E adesso…go, go! Chat Noir!» «Perché Chat Noir?» «Perché era il mio nome da supereroe, ricordi? Oppure stai già perdendo colpi…» «Già. Ladybug e Chat Noir. Come potevo dimenticarlo?» «Era Chat Noir e Ladybug.» «No, Ladybug e Chat Noir. Sei tu quello che sta perdendo colpi.» «No, ricordo perfettamente che ero io il capo, perché ero quello bello che risolveva sempre la situazione, mentre tu eri la mia assistente.» «Veramente io ero la mente e tu il braccio.» «Non è vero.» «Sì, che è vero.» «No.» «Sì.» «No.» «S…» Marinette si fermò, scuotendo il capo e ridendo divertita: «Stiamo davvero discutendo su questo?» «Ehi, è una cosa di vitale importanza.» sentenziò Adrien, indicando una gelateria poco distante: «E propongo di continuare la nostra discussione davanti una bella coppa di gelato.» «Tanto ero io la mente e tu il braccio.» «Non è vero.»
0 notes