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#traditrici
ipierrealism · 2 months
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E anche oggi un nuovo motivo per non cercare una nuova relazione check
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petalididonna · 5 months
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Ho nuvole negli occhi
una fitta coltre di nubi
Dispettose e volubili
pregne di vortici
e passione...
Restie a farsi toccare
umili e repentine
giocose in ugual modo
apatiche, tumultuose,
alle volte traditrici
sonnecchianti e indifese
Vagano,vedono, aspettano.
Donatella Pardini ©
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binosaura · 1 year
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Il mio cervello transfemminista che rifiuta il maschile sovraesteso e su un post di IG invece che "I peggiori traditori" legge "Le peggiori traditrici" ✈️
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blackrosesnymph · 1 year
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Oggi mi è ancora più chiaro perché ho paura del tradimento...madonna mia che storia...
aka delle personalità traditrici più che altro
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📚FALSE FRIENDS- ITALIAN/ENGLISH - Play and learn
📚FALSE FRIENDS- ITALIAN/ENGLISH - Play and learn🕹https://youtu.be/Xpm1EsjArEs?si=8cFcMgRoVBgkrDYk 
Gioca con noi e impara a riconoscere tanti "falsi amici". 
Esistono molte parole inglesi "traditrici"; sembrano simili a parole italiane ma hanno un significato diverso o addirittura opposto (come succede con cold, che non significa caldo, bensì freddo). 
Nel nostro gioco/test troverai diversi "falsi amici"...fammi sapere quanti ne hai indovinati. 
I nostri Patreon dal livello Cappuccino hanno accesso al video senza interruzioni pubblicitarie e alle Flashcards in formato jpg al seguente link: https://www.patreon.com/AllyoucanItaly
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tempi-dispari · 1 year
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Non chiamiamolo più underground
E forse uno dei problemi del mancato decollo della musica indipendente nostrana è proprio questo. Lo abbiamo già detto cosa significa underground. O, almeno, cosa dovrebbe voler dire. Meglio ancora, la valenza che ha nella maggior parte del resto del mondo. Mi spiego. In molto altri paesi le band ‘emergenti’, virgolette d’obbligo, non sono considerate tali. Vengono semplicemente annoverate nel panorama musicale generale. Questo ha una conseguenza rilevante sul come questi gruppi sono percepiti, in patria e fuori. Facendo parte di un vasto mondo, se meritevoli, riescono anche a conquistare le copertine delle riviste di settore.
Sfogliando i corrispettivi italiani degli ultimi 40nni rarissimamente mi è capitato di vedere la stessa cosa. Anzi. Tra quelle pagine il panorama italiano è sempre stato considerato come ‘minore’. I gruppi sono spesso stati visti come amatoriali. Lo spazio che occupavano, sempre molto risicato, tante volte era in bianco e nero, se non su carta riciclata. Una comunicazione chiara. Oggi capita la stessa cosa. In moltissimi siti a tema le band nostrane sono messe in uno spazio a parte. Tante volte il settore in cui vengono infilate è etichettato come ‘demo’ oppure ‘autoproduzioni’.
Già questa terminologia penalizza i dischi e gli artisti considerati. Perché i prodotti italiani non sono mai all’altezza? Perché non devono essere portati sugli scudi come esempio di ottima musica? Eppure questo accade con i corrispettivi stranieri. Quelle che oggi sono band mainstream inizialmente erano underground. Come è ovvio che sia. Il punto è che anche in quel iniziale frangente della carriera sono state considerate nuove sensazioni, eccezioni. Ricordo quando uscì la primissima intervista a Slash. I Guns ‘n Roses non avevano ancora pubblicato Appetite for destruction. All’epoca girava, in Italia quasi introvabile, il loro primissimo disco. Un live di quattro pezzi che poi è stato ripreso come seconda parte del fortunatissimo Lies. Live like suicide era il titolo.
Ebbene, fin da quel momento la band fu esaltata come fautrice di un nuovo stile, una ventata di novità per il panorama. Vero, verissimo. Ma era una band emergente. Perché lo stesso trattamento non è mai stato riservato a band italiane? Eppure di gruppi meritevoli ce n’erano a bizzeffe. Per quale motivo i loro dischi sono stati considerati di minor valore, sempre derivativi? Abbiamo sempre aspettato il riscontro estero per poi poter dire che un gruppo è valido. È successo con tutti i nomi che sono riusciti ad emergere. Di contraltare le stesse band sono state etichettate, dai seguaci del movimento, come commerciali, vendute, traditrici.
Invece di utilizzare quelle porte aperte verso un mercato più ampio che potrebbe valorizzare tutta la buona musica, c’è stata una chiusura. Eppure, credo, è quello che vorrebbero molti gruppi, vedere riconosciuto il proprio lavoro. Una volta il finire sulle copertine delle riviste era importante, fondamentale. Erano il solo modo per essere ‘visti’. C’era anche il problema della distribuzione. Aveva certo più possibilità di essere conosciuto fuori confine chi poteva distribuire i dischi in altri paesi. Molti hanno tentato la via diretta, organizzare tour faticosi, dispendiosi quanto alla fine inutili, oltre oceano.
Oggi tutto questo non vale più. Oggi c’è internet, youtube, spotify, i social. Insomma, tutte le possibilità per crescere. Perché, allora, gli unici che ancora si ostinano a schiacciare la qualità della musica prodotta in Italia sono proprio quelli che la dovrebbero esaltare? In moltissime recensioni si legge di quanto il prodotto sia si buono, il gruppo bravo, però la produzione resta casereccia, approssimativa. Mi riferisco ad una band in particolare che sulle nostre pagine è stata recensita in un modo. Su altri siti in un altro. Pur riconoscendo la validità della proposta, la registrazione lascia a desiderare.
Quando non è assolutamente vero. Qual è il motivo che spinge a cercare più gli aspetti che non vanno in un disco italiano rispetto a quelle valide? Sono quasi certo che se la band in questione fosse venuta da desertolandia la recensione sarebbe stata differente. Il motivo? Non c’è. Se stiamo a ben vedere, moltissime band che noi consideriamo ‘arrivate’ non sono molto dissimili da gruppi nuovi nostrani. Stiamo parlando in ogni caso di un contesto di nicchia. La sola giustificazione è che sono straniere.
È il motivo per cui in Italia ci sono più fans di Marylin Manson che dei DeathSS. I nostri hanno iniziato a fare quello che ha combinato il reverendo molto tempo prima. Ma nel paese sbagliato. E non per una questione culturale. Semplicemente perché i pesaresi non sono mai stati considerati a modo. Sono diventati un mito un riferimento nell’underground. Solo nell’underground. Soltanto ultimamente stanno avendo riscontri maggiori. Grazie al supporto di band straniere. Invece dovrebbe essere al contrario, considerata la carriera. Eppure questo vizio non si ferma.
Una nota emittente radiofonica, di recente costituzione che porta il nome della canzone di un cantautore italiano, ha deciso di non programmare musica italiana. Scelta che non può essere messa in discussione. Almeno fino a quando si tratta di pop o trap o artisti spudoratamente commerciali. Discutibile invece quando trasmettono band al primo disco provenienti da altri paesi che nulla hanno da insegnare alle nostre. La si può contestare nel momento in cui intervistano i Maneskin. Non per la band in sé, ma perché allora non è vero che non vogliono musica italiana. Musica italiana no tranne se ha riscontri.
Mentre band straniere si anche se riscontri ancora non ne hanno. Per tutto questo forse non dovremmo più parlare di underground ma semplicemente di rock, metal, indie italiano. Autodefinirci underground, in Italia, è controproducente. Ci si autoghettizza. È un po’ come l’inserimento delle quote rosa in politica. Non hanno aiutato a portare più donne nel campo. Hanno solo evidenziato un intero genere come minoranza. Una scelta decisamente discriminante. E discriminante è l’atteggiamento di molta stampa specializzata nostrana. Per andare contro tutto questo TD fa quello che fa.
Esattamente per questo dedico le copertine a band che lo meritano. E lo meritano perché i lettori lo dicono. Non è una scelta calata dall’alto. Si tratta di una decisione condivisa. Questo è underground. Forse è il solo significato valido in Italia, di underground. Condivisione, collaborazione, unione. Ed è per questo che non ci si ferma. Anzi. Si cercano sempre nuovi modi per promuovere gli artisti del nostro mondo. Questo è il motivo per cui dico che dobbiamo aprirci. Certo, è una battaglia lunga e faticosa, ma necessaria. È un’ingiustizia, un sopruso che stampa specializzata stronchi sul nascere ottima musica.
Bisogna anche ammettere le mancanze dei gruppi. Molti comunicano in modo errato e approssimativo. Ma ne abbiamo già parlato. Che si possa uscire da questo circolo vizioso è dimostrato da molti gruppi. Uno su tutti i Signs Preyer che stanno ottenendo ottimi riscontri fuori confine. Sono riusciti a ‘battere’ la concorrenza straniera con un prodotto di qualità. Un prodotto non molto dissimile da moltissimi altri. Ergo, la strada c’è. Lastricata di battaglie, lotte a suon di comunicazione e diffusione. Tuttavia uno scontro vincibile. Basta andare tutti nella stessa direzione, credere tutti nello stesso potere del cambiamento. Quindi, underground si, ma fino ad un certo punto.
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mariuskalander · 1 year
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RT @cristinagauri: Sentite come è femminile la voce del trans alla fine dell'incontro. "Sto arrivando per tutte voi, meglio se state attente", dopo aver fracassato il cranio a una donna. Io ve lo dico, le transfemministe e le donne che supportano i trans negli sport sono le peggiori traditrici https://t.co/pb9WlqmtSR
— Mario Calandra (@MariusKalander) Apr 6, 2023
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serenamatroia · 4 years
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wendy-born · 7 years
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Il mondo era bello perché c'eri tu.
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strichinina · 6 years
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Ok, facciamo il punto della situazione. Svegliarsi dopo una sbronza vomitando anima e bile, dimenticando(causa anni fuori sede) di essere femmina e di essere stata generata in un paesino dell'entroterra siciliano in cui tornare per le vacanze, significa giustificare il proprio malessere dicendo alla propria madre che "sì, mamma, mi avrà sicuramente fatto male la parmigiana di pesce spada, ieri sera" e perdendo per sempre la possibilità che ti venga ripropoposto quello che era diventato il tuo piatto preferito dell'estate 2018.
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petalididonna · 3 years
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Ho nuvole negli occhi
una fitta coltre di nubi
Dispettose e volubili
pregne di vortici
e passione...
Restie a farsi toccare
umili e repentine
giocose in ugual modo
apatiche,tumultuose alle volte
traditrici,sonnecchianti...indifese
Vagano vedono aspettano!
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gregor-samsung · 3 years
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“ Ogni vittoria umana deve essere riconciliazione, ritrovamento di un'amicizia perduta, riaffermazione dopo un disastro del quale l'uomo è stato la vittima; vittoria in cui non potrebbe esistere umiliazione dell'avversario, poiché in tal caso non sarebbe più vittoria, cioè gloria per l'uomo. Sì, perché lo scrittore cerca la gloria, la gloria di una riconciliazione con le parole, precedenti tiranne della sua potenza di comunicazione. Vittoria di un potere di comunicazione. Lo scrittore infatti esercita non solo un diritto richiesto dalla sua stringente necessità, ma anche un potere, una potenza di comunicazione che accresca la sua umanità, che porti l'umanità dell'uomo a limiti appena scoperti, ai limiti del valore umano, dell'essere umano, con l'inumano, ai quali lo scrittore giunge, vincendo nel suo glorioso incontro di riconciliazione con le parole tante volte traditrici. Salvare le parole dalla loro vanità, dalla loro vacuità, dando loro consistenza, forgiandole durevolmente, è lo scopo che persegue, anche senza saperlo, chi scrive davvero. C'è infatti uno scrivere parlando, quello che scrive «come se parlasse», e già questo «come se» deve farci diffidare, poiché la ragione d'essere qualcosa deve essere ragione d'essere questo e questo soltanto. Fare una cosa «come se fosse» un'altra la impoverisce e le sottrae tutto il suo significato, ponendo in dubbio la sua necessità. Scrivere diventa il contrario di parlare: si parla per soddisfare una necessità momentanea immediata e parlando ci rendiamo prigionieri di ciò che abbiamo pronunciato; nello scrivere, invece, si trova liberazione e durevolezza - si trova liberazione soltanto quando approdiamo a qualcosa di durevole. Salvare le parole dalla loro esistenza momentanea, transitoria, e condurle nella nostra riconciliazione verso ciò che è durevole, è il compito di chi scrive. “
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Brano tratto da Perché si scrive, testo raccolto in:
Maria Zambrano, Verso un sapere dell'anima, a cura e con introduzione di Rosella Prezzo, traduzione di Eliana Nobili, Raffaello Cortina, Milano 1996. (Raccolta di scritti apparsi tra il 1933 e il 1944) [Libro elettronico]
[ Edizione originale: Hacia un saber sobre el alma, Editorial Losada, Buenos Aires, 1950 ]
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corallorosso · 3 years
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G8 Genova, vent’anni dopo vivo ancora qui ma col cuore rinnego questo Stato Nel 2001 abitavo a Gerusalemme ed era in corso la Seconda Intifada che ho vissuto tutta dall’interno e in mezzo agli attentati. Quell’anno, tra molte difficoltà, volli tornare a Genova, senza immaginare che stavo passando da un incubo all’inferno. A Gerusalemme ero in mezzo agli attentati di kamikaze e all’esercito israeliano, una guerra dichiarata tra nemici. A Genova avrei scoperto che era lo Stato contro i propri cittadini. Abitavo nel centro storico, zona di Genova centro-est, dove sta Palazzo Ducale: dentro i G8 sono prigionieri di se stessi e fuori gli abitanti sono carcerati nelle loro case. Le inferriate presidiate e i tombini e le cassette postali su strada piombati sono il sigillo di un campo di guerra preventivo. È venerdì 20 luglio. Nulla è permesso, tutto è vietato. Con un giro dell’oca mi dirigo verso Porta Soprana, fuori dal recinto “rosso”. Finalmente trovo una edicola accessibile. Dappertutto poliziotti, carabinieri e militari. In piazza Dante, un gruppo manifesta contro le barriere. La polizia di Stato e altri reparti combattono il popolo che esercita il diritto di manifestare, ma non si può: la democrazia è stata sequestrata dalle “Forze dell’Ordine” (sic!) che invece avrebbero dovuto garantirla. Da Piazza Dante, torno indietro e per corso Maurizio Quadrio e Aurelio Saffi mi dirigo alla Stazione Brignole, due chilometri a piedi. La grande manifestazione è fissata al pomeriggio. A mezzogiorno cammino solo nel deserto di una città senza vita. Una fila di container lato mare – per impedire assalti dall’alto? – ostruisce la vista. In direzione dei Pescatori del Mare, a ridosso di uno stabile nei pressi della Fiera, osservo perplesso un traffico che non mi piace: un furgone bianco e alcuni uomini che passano caschi e mazze e bastoni e altro materiale che non distinguo caricando due macchine. Dopo capirò che stavano preparando la guerra a sangue freddo, con lucidità e premeditazione. Poi verranno Corso Gastaldi, Piazza Alimonda e alla sera la Scuola Diaz, Bolzaneto e le mattanze programmate a tavolino. Lo Stato “preventivo” che sospende se stesso e inizia la carneficina, autorizzando le forze oscure del disordine, medici traditori e politici fascisti che vogliono a tutti i costi fare le prove per occupare lo Stato, gettando nel cesso la Carta che dovrebbe impedire a tutti di fare quello che colpevolmente hanno fatto. Il governo Amato è stato sostituito da Berlusconi. Il “pregiudicato” narciso compiaciuto, sicuro di aver messo le mani sul potere, lo vuole per sempre: porta Bossi e (gli ex) fascisti di Fini al governo, i quali in quei giorni stracciano pubblicamente la Carta. Fini è nella cabina di regia della polizia, Berlusconi gigioneggia con i capi di Stato e, da quello che vedo attorno, mi pare che vi sia un disegno politico: fare le “prove generali” per occupare lo Stato e non mollarlo più? Se la prova riesce a Genova, medaglia d’oro della Resistenza e città che fa crollare i governi fascisti (Tambroni, 1960), occupare l’Italia è un gioco da ragazzi. L’esercito e contorni di polizia e carabinieri, questa volta “infedeli”, sono reclutati come nella peggiore Argentina dei colonnelli, come nel Cile di Pinochet. I militi “usi ad ubbidir tacendo” si fregano le mani e hanno di picchiare. Non sapremo mai se abbiano ricevuto carta bianca, ma possiamo pensarlo, perché dai frutti si giudica l’albero. A mandare tutto all’aria ci pensa un ragazzo in canottiera senza casco e pistole, che, come Davide, entra nella mischia per resistere con ogni mezzo e lottare contro i predatori di democrazia, gli affossatori del Diritto e dei Diritti, forse pensando al suo bambino, lasciato a casa con la mamma. Carlo Giuliani è lì, in piazza Alimonda, circondato da militari venuti da fuori Genova, inesperti e incapaci di guidare le camionette. Un estintore issato come una bandiera di guerra o forse come scudo o anche come arma. In quella bolgia infernale, tutto è lecito e permesso al cittadino combattuto come nemico. Uno sparo. Fuggi-fuggi alla ricerca di un riparo, ma riparo non c’è perché Carlo, appena 23 anni di vita, stramazza a terra ed è ancora vivo quando i carabinieri, invece di soccorrerlo, lo attraversano con la camionetta. Alla resa dei conti hanno pure il coraggio di dire che lo sparo fu indirizzato in alto, ma deviato dal sasso di un manifestante. Le “forze antidemocratiche” sono così imbecilli da pensare che un intero popolo sia così cretino da bersi le loro falsità ignobili. Si qualificano da sole come forze illegali del disordine perché arrivarono a fabbricare prove false, portando loro le molotov per accusare innocenti e depistare dalle loro colpe e responsabilità. Non hanno intercettato alle frontiere i Black Bloc stranieri, ma ben coperti da caschi per essere irriconoscibili violarono la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto, due luoghi simbolici: la scuola, spazio di sapere e di pensiero, e la caserma, luogo di suprema sicurezza per chiunque vi è custodito. Le forze traditrici del disordine li trasformarono in macello, sapendo di commettere un sacrilegio. Umiliarono donne denudate, torturarono compiaciuti come in una qualsiasi Abu Ghraib, come in Libia, come l’Isis. Sì, non ci fu differenza, anzi c’è l’aggravante del loro giuramento di difendere la Costituzione e il popolo che li nutre e li paga. Polizia, carabinieri ed esercito furono in quei giorni i veri nemici dello Stato, insieme a quel governo che li protesse da subito e non pretese le loro dimissioni e la loro condanna in nome di una parvenza di diritto democratico. Nessuno di loro ebbe conseguenze, ma al contrario, nonostante le condanne a tutti i livelli giudiziari, fecero carriera; come Gianni De Gennaro promosso a capo della Fincantieri, nonostante il suo successore, Franco Gabrielli, dirà che al suo posto si sarebbe dimesso, aggiungendo, dopo le sentenze che non poteva smentire, che “sì, a Genova ci fu tortura”. Sì, tortura. Come possiamo oggi perseguire i fanatici dell’Isis, che in nome di un malinteso Islam inesistente tagliano teste, torturano e violentano in nome di un dio impossibile? L’Italia antidemocratica ne anticipò cultura e metodi, dimostrando di essere peggiore degli invasati. Non voglio lasciare quei giorni, ma lì pretendo di restare, a custodire la memoria oscena che mi ha tolto l’illusione di essere cittadino sovrano in uno Stato che garantisce diritto e diritti costituzionali. Col corpo vivo in Italia, ma nel cuore rinnego questo Stato e i suoi governi, che, ieri come oggi, proteggono coloro che dovrebbe perseguire con durezza. Invece chi fa parte del governo, come Matteo Salvini, va a Santa Maria Capua Vetere a solidarizzare con gli aguzzini e torturatori, figli dei poliziotti della Genova del G8 del 2001. Senza parlare della riforma della Giustizia a marca Cartabia (CL, lei e il marito) che è a mio parere la prova del nove di come lo Stato sia servo dei potenti e delle lobby, proteggendo i delinquenti, non importa se calpestando e torturando i deboli e i cittadini onesti. L’offesa è ancora più grande se si pensa che la proponente è stata presidente della Suprema Corte costituzionale. Restare fissi nella Genova del G8 significa custodire la memoria di un futuro che a Genova è stato ucciso per volere del governo e dei suoi militi che hanno dichiarato guerra alla democrazia, con conseguenze devastanti e ferite ancora oggi, a venti anni di vicinanza, sanguinanti. Paolo Farinella, sacerdote
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collezionamenti · 3 years
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«Apollo fu il primo a uccidere mostri; poi Cadmo, Perseo, Bellerofonte, Eracle, Giasone, Teseo. Alla serie degli uccisori di mostri risponde la serie delle traditrici: Ipermnestra, Ipsipile, Medea, Arianna, Antiope, Elena, Antigone. Queste donne non hanno un dio come capostipite, ma una sacerdotessa: Io, che tradisce la sua dea, Hera, nel cui santuario viveva, «custode delle chiavi». «Io ci mostra il risveglio della donna dal lungo sonno di un’infanzia mai turbata, di una felicità inconsapevole, ma perfetta, all’amore torturante, che per sempre sarà la voluttà e la pena al tempo stesso della sua vita. La divinità di Zeus l’ha abbagliata». Il gesto eroico della donna è il tradimento: la sua efficacia sugli eventi non è minore di quella dell’uccisione dei mostri. [...] Gli effetti del tradimento femminile sono forse più sottili e meno immediati, ma non meno devastanti. [...] E, anche come opera civilizzatrice, il tradimento femminile non è meno efficace dell’uccisione dei mostri. Il mostro è un antagonista vinto in un duello; la traditrice sopprime, nel tradimento, la propria origine, distacca la propria vita dal suo contesto naturale. [...] Come una spirale, il tradimento femminile si avvolge su se stesso, rinnega continuamente ciò che è dato. Non è la negazione che agisce nello scontro frontale e mortale, ma la negazione che è un lento scindersi da se stessi, opporsi a se stessi, annullarsi in un gioco che può esaltare o distruggere, e generalmente esalta e distrugge. L’uccisione dei mostri e il tradimento femminile sono due modi di agire della negazione. Il primo sgombra uno spazio, lascia un vuoto evocatore là dove era un troppo pieno, folto di teste e di tentacoli, un arabesco di squame. Il tradimento femminile non muta gli elementi dello spazio, ma li ridispone. Certi pezzi sulla scacchiera invertono il loro potere. Il bianco colpisce il bianco. Il nero colpisce il nero. È un effetto di confusione, innanzitutto, di sconcerto. I ruoli per la prima volta si rovesciano. Ed è sempre una donna a rovesciarli. C’è un’ottusità dell’eroe che lo obbliga sempre a seguire una sola traccia. Perciò l’eroe ha bisogno di un completamento, di un altro modo della negazione. La donna traditrice completa l’opera dell’eroe: la porta a compimento e la estingue. Ciò avviene in accordo con l’eroe. Fa parte dell’opera civilizzatrice dell’eroe sopprimere se stesso. Perché l’eroe è mostruoso. Subito dopo i mostri, muoiono gli eroi.»
— Roberto Calasso Le nozze di Cadmo e Armonia
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serenamatroia · 4 years
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sfumature-dime · 4 years
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“Nella cultura chiusa, misogina e tremenda, le cose magiche e sublimi, ma anche infide, traditrici e impossibili da dominare, diventano femmina.”
(Mauro Corona)
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