Tumgik
#6 maggio 1992
ma-pi-ma · 5 months
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A qualunque donna piacerebbe essere fedele.
Difficile è trovare un uomo a cui esserlo.
Marlene Dietrich
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donaruz · 4 months
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24 MAGGIO 1961 nasceva ILARIA ALPI
"Era una giovane donna, forte e determinata, battagliera e femminista convinta".
"Soffriva di vertigini e temeva il vuoto, ma si era scelta un lavoro in cui l'elicottero è uno dei cosiddetti ferri del mestiere, aveva una autentica fobia del vuoto, una vera e proprio chefobia ma volava con tranquillità almeno apparente".
"Era una giornalista coraggiosa con la mente in Europa ed il cuore in Africa"
P.s. Così l'ha descritta sua madre.
Si diplomò al Liceo Tito Lucrezio Caro di Roma.
Grazie anche all'ottima conoscenza delle lingue (arabo, francese e inglese) ottenne le prime collaborazioni giornalistiche dal Cairo per conto di Paese Sera e de l'Unità.
Successivamente vinse una borsa di studio per essere assunta alla Rai.
Ilaria Alpi giunse per la prima volta in Somalia nel dicembre 1992 per seguire, come inviata del TG3, la missione di pace Restore Hope, coordinata e promossa dalle Nazioni Unite per porre fine alla guerra civile scoppiata nel 1991, dopo la caduta di Siad Barre. Alla missione prese parte anche l'Italia, superando in tal modo le riserve dell'inviato speciale per la Somalia, Robert B. Oakley, legate agli ambigui rapporti che il governo italiano aveva intrattenuto con Barre nel corso degli anni ottanta.
Le inchieste della giornalista si sarebbero poi soffermate su un possibile traffico di armi e di rifiuti tossici che avrebbero visto, tra l'altro, la complicità dei servizi segreti italiani e di alte istituzioni italiane: Alpi avrebbe infatti scoperto un traffico internazionale di rifiuti tossici prodotti nei Paesi industrializzati e dislocati in alcuni paesi africani in cambio di tangenti e di armi scambiate coi gruppi politici locali. Nel novembre precedente l'assassinio della giornalista era stato ucciso, sempre in Somalia e in circostanze misteriose, il sottufficiale del SISMI Vincenzo Li Causi, informatore della stessa Alpi sul traffico illecito di scorie tossiche nel paese africano.
Alpi e Hrovatin furono uccisi in prossimità dell'ambasciata italiana a Mogadiscio, a pochi metri dall'hotel Hamana, nel quartiere Shibis; in particolare, in corrispondenza dell'incrocio tra via Alto Giuba e corso Somalia (nota anche come strada Jamhuriyada, corso Repubblica).
La giornalista e il suo operatore erano di ritorno da Bosaso, città del nord della Somalia: qui Ilaria Alpi aveva avuto modo di intervistare il cosiddetto sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor, che riferì di stretti rapporti intrattenuti da alcuni funzionari italiani con il governo di Siad Barre, verso la fine degli anni ottanta. La giornalista salì poi a bordo di alcuni pescherecci, ormeggiati presso la banchina del porto di Bosaso, sospettati di essere al centro di traffici illeciti di rifiuti e di armi: si trattava di navi che inizialmente facevano capo ad una società di diritto pubblico somalo e che, dopo la caduta di Barre, erano illegittimamente divenute di proprietà personale di un imprenditore italo-somalo. Tornati a Mogadiscio, Alpi e Hrovatin non trovarono il loro autista personale, mentre si presentò Ali Abdi, che li accompagnò all'hotel Sahafi, vicino all'aeroporto, e poi all'hotel Hamana, nelle vicinanze del quale avvenne il duplice delitto. A bordo del mezzo si trovava altresì Nur Aden, con funzioni di scorta armata.
Sulla scena del crimine arrivarono subito dopo gli unici altri due giornalisti italiani presenti a Mogadiscio, Giovanni Porzio e Gabriella Simoni. Una troupe americana (un freelance che lavorava per un network americano) arrivò mentre i colleghi italiani spostavano i corpi dall'auto in cui erano stati uccisi a quella di un imprenditore italiano con cui successivamente vennero portati al Porto vecchio. Una troupe della Svizzera italiana si trovava invece all'Hotel Sahafi (dall'altra parte della linea verde) e filmò su richiesta di Gabriella Simoni - perché ci fosse un documento video - le stanze di Miran e Ilaria e gli oggetti che vennero raccolti.[6]
Ilaria Alpi venne sepolta nel Cimitero Flaminio di Roma.
La madre, Luciana Riccardi Alpi, (1933 - 12 giugno 2018) ha intrapreso, fin dal primo processo, una battaglia per cercare la verità e far cadere ogni sorta di depistaggio sull’omicidio della figlia.
Noi siamo quelli che credono ancora a queste emozioni
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anchesetuttinoino · 4 months
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L’attentato a Fico e l’imbarazzo a condannare chi spara al “cattivo”
Il caso del primo ministro slovacco ricorda l’assassinio di Pim Fortuyn. Anche allora a sparare fu un “buono” sobillato da campagne di stampa che demonizzavano l’avversario politico
L’attentato alla vita del tre volte primo ministro slovacco Robert Fico dell’altro ieri fa venire alla mente il più politicamente importante assassinio degli ultimi anni sul continente europeo, quasi coincidente per data: l’omicidio, all’uscita dalla sede di una radio privata a Hilversum in Olanda il 6 maggio 2002, di Pim Fortuyn, leader di un movimento che portava il suo nome e da molti pronosticato come il futuro primo ministro olandese, se non all’indomani delle elezioni politiche allora previste per il 15 maggio molto probabilmente dopo quelle successive.
Cos’ha in comune col caso di ventidue anni fa quello che è accaduto mercoledì? Due cose: l’orientamento politico degli attentatori, entrambi esponenti di una sedicente sinistra non violenta, e la demonizzazione mediatica del personaggio politico colpito.
Chi è Juraj Cintula, che ha sparato a Fico
Volkert van der Graaf, l’assassino di Pim Fortuyn, era un attivista ambientalista e animalista specializzato in cause giudiziarie contro gli allevamenti intensivi di animali da carne e da pelliccia, vegano e autoproclamato difensore delle minoranze religiose ed etniche; il percorso politico di Juraj Cintula, lo sparatore di Handlova, è più accidentato, e comprende anche un avvicinamento al gruppo paramilitare di estrema destra e filorusso Slovanski Branci all’inizio del 2016, ma pur condividendo alcuni degli ideali “patriottici” del gruppo è proprio alla fine del 2016 che Cintula fonda il movimento politico Hnutie proti nasiliu, che significa letteralmente “Movimento contro la violenza”, e che mutuava palesemente il nome dal partito ideologicamente centrista che nel 1990 aveva vinto le prime elezioni libere dopo la fine del comunismo nella Slovacchia a quel tempo ancora unita alla Repubblica Ceca: il “Pubblico contro la violenza”, poi sciolto nel novembre 1992.
Scriveva Cintula per spiegare la vocazione del nuovo partito: «La violenza è spesso una reazione delle persone, una forma di espressione di semplice insoddisfazione per la situazione. Cerchiamo di essere insoddisfatti, ma non violenti! […] Ogni persona normale rigetta la violenza. Il nostro scopo è unire il popolo, preservare la pace e restaurare la democrazia. È molto difficile perché nessuno ha più fiducia nel prossimo. Il mondo è pieno di caos e di odio».
Cintula aveva condannato l’aggressione russa all’Ucraina nel febbraio del 2022. Due anni e tre mesi dopo ha sparato contro il capo di governo più filorusso fra quelli dei paesi dell’Unione Europea.
Se a uccidere sono i “buoni”
Quando ad assassinare o a cercare di uccidere personalità politiche sono i “cattivi”, il raccapriccio è grande ma lo stupore è poco. Che neonazisti, estremisti di destra o semplici criminali prendano a bersaglio politici mainstream è considerata una tragica eventualità che non si può mai escludere, e che la cronaca ha più volte registrato. La deputata laburista Jo Cox uccisa il 16 giugno 2016 nei pressi di Leeds, Walter Lübcke, presidente cristianodemocratico del Consiglio regionale della cittadina tedesca di Kassel ucciso il 2 giugno 2019, il sindaco di Danzica Pawel Adamowicz di Piattaforma civica assassinato il 14 gennaio 2019 sono caduti vittime del demone esecrato in tutta Europa: il nazifascismo e le sue reincarnazioni nel ventunesimo secolo.
Ma quando a uccidere o a tentare di uccidere sono i “buoni”, quelli che difendono il diritto alla vita degli animali o che pontificano di non violenza, l’imbarazzo è grande, il disagio palpabile, e si cerca di parare il colpo spiegando che sì, Juraj Cintula faceva il tifo per Slovacchia progressista, il partito liberal-progressista ed europeista avversario di Fico, e aveva preso parte a manifestazioni antigovernative, ma detestava i rom e il gioco d’azzardo, e aveva avuto legami con Slovanski Branci. Oppure si chiama in causa la malattia mentale, come nel caso di Volkert van der Graaf (disturbo ossessivo-compulsivo della personalità), tralasciando che anche l’assassino di Jo Cox, il simpatizzante neonazista Thomas Mair, soffriva dello stesso disturbo.
I timori prima dell’attacco
Il disordine mentale degli attentatori può certamente avere a che fare con le aggressioni a persone importanti, ma prima c’è sempre una spinta che fa perdere l’equilibrio a una mente instabile, o a una personalità sofferente per i più disparati motivi: la demonizzazione di una determinata personalità politica è certamente uno dei fattori decisivi che spingono soggetti psichicamente fragili a commettere l’irreparabile.
E Pim Fortuyn e Robert Fico sono stati fortemente demonizzati dai media e dagli avversari politici per le loro dichiarazioni, certamente forti e certamente spesso non condivisibili, o nel caso del leader slovacco per i suoi atti politici attuati o progettati. L’accademico e scrittore olandese era accusato di islamofobia, xenofobia, antimulticulturalismo e di spingere la società olandese verso lo scontro aperto fra maggioranza autoctona e minoranze immigrate; Fico è considerato un populista di sinistra scivolato all’estrema destra, quinta colonna di Vladimir Putin, intento a ridurre gli spazi di libertà d’espressione dei media e della società civile, e a ostacolare la lotta contro la corruzione e la grande criminalità.
La virulenza con cui queste accuse sono state portate contro di loro, ha spinto entrambi i politici alle stesse conclusioni. Pim Fortuyn aveva espresso il suo timore di essere ucciso sei settimane prima di essere trucidato; Robert Fico aveva manifestato convinzioni analoghe in un’intervista del 10 aprile scorso: «Stanno maledicendo oscenamente i politici del governo per le strade», aveva detto. «E sto solo aspettando di vedere quando questa frustrazione, così intensamente aggravata da Denník N [un giornale di opposizione, ndt], Michal Šimečka [leader dell’opposizione liberale, ndt] e Aktuality.sk [sito web di notizie, ndt], si tradurrà nell’omicidio di uno dei principali politici del governo».
Parole violente
La violenza del linguaggio prepara sempre la violenza nei fatti. A volte la violenza è organizzata, come nello squadrismo fascista e nazista degli anni Venti e Trenta e nel terrorismo rosso degli anni Settanta, a volte è opera di lupi solitari fanatizzati, come in questo primo quarto del XXI secolo. La pubblica opinione europea che guarda con sgomento alla possibilità che i propri paesi siano trascinati prossimamente in una guerra con la Russia e i suoi alleati dovrebbe cercare di non perdere di vista il rischio che l’Europa sia investita da tante guerre civili all’interno dei suoi stati anziché da una grande guerra fra stati.
La radicalizzazione dell’inimicizia politica, alimentata dalla logica delle bolle dei social network e dalla virtualità dei rapporti online che elimina i freni inibitori, spinge nella direzione della guerra civile nel mondo reale. Il processo pare più avanzato negli Stati Uniti, ma l’Europa evidentemente non ne è immune.
In questo contesto, risulta assolutamente spiacevole che Donatella Di Cesare, che aveva dato al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida del “governatore neo-hitleriano”, sia stata prosciolta dall’accusa di diffamazione. Il via libera alla demonizzazione degli avversari politici conduce, prima o poi ma inevitabilmente, ad esiti criminali, ieri come oggi.
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arcobalengo · 2 years
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A Corrado Simioni? Quello di Hyperion? Quello legato alle Brigate rosse di Moretti? Quello legato alla Cia? «Sì, una fidejussione per Hyperion, la scuola di lingue internazionali a Parigi di cui Simioni era tra i fondatori. Ed era anche grande amico di Mario Moretti. L’Hyperion fu al centro delle attenzioni e manipolazioni da parte dei servizi segreti statunitensi e dei loro alleati, come il Mossad, e le indagini svolte dal dottor Pietro Calogero della Procura di Roma, come lui stesso ha riferito a novembre 2015 alla Commissione parlamentare sul caso Moro, nonostante gli ostacoli posti dal Sisde, accertarono che la sede distaccata dell’Istituto a Rouen in Normandia in realtà era una sede periferica della Cia. Ilardo riferì anche dei rapporti con le Brigate Rosse di Torino, grazie all’intermediazione di un magistrato torinese, Luigi Moschella, che era stato nel 1978 pubblico ministero nel primo processo contro le Br, quello che segnò la fine della vecchia leadership Br e l’avvio della strategia dell’annientamento di Mario Moretti. Magistrato che era amico e in affari non leciti con tale Germano la Chioma, uno dei componenti la banda di Tony Chichiarelli che il 24 marzo 1984 mise a segno la famosa rapina da 35 miliardi di lire alla Brink’s Securmark di Roma. Lo stesso Moschella cercherà di riciclare parte dei titoli trafugati»
. Torniamo al puzzle e ai riferimenti oltreoceano… «Il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro o l’omicidio del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) non furono altro che delle tappe. Come altri avvenimenti simili, a partire dalla strage di piazza Fontana del dicembre 1969, fino alla strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980). Tappe di una prima fase di un piano più sofisticato, teso a quei tempi a far sì che la Democrazia cristiana svolgesse in Italia un ruolo di governo, al fine di contrastare la forte opposizione comunista e socialista e la presenza del Vaticano, con la sua notevole influenza politica, al solo scopo di attuare scelte politiche, economiche e sociali più utili alla politica statunitense e anche per garantire la sicurezza delle tante basi militari Usa presenti in Italia».
Strategia che poi proseguì con un maggior coinvolgimento della criminalità organizzata di stampo mafioso… «I nuovi apparati militari e terroristici. Questo grazie al coinvolgimento della massoneria e dei servizi segreti. Con loro si sono raggiunte forme terroristiche incisive e cruente. Basti pensare alla strage del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della scorta, il 23 maggio 1992. O a quella del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta, il 19 luglio 1992. O agli attentati stragisti del 1993-1994 a Firenze, Milano e Roma. Tutto ciò all’indomani dell’omicidio di Salvo Lima, uomo forte della Dc siciliana e terminale politico di Giulio Andreotti. Tutto nell’evidente opzione di sostituire il vecchio con un nuovo contenitore politico, come già prefigurato nel “Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli, capo del P2. E agente americano».
Franco Fracassi - The Italy Project
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E' morto oggi a Roma il regista Beppe Menegatti, marito di Carla Fracci 
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E' morto il regista Beppe Menegatti, aveva 95 anni. Il decesso dopo un peggioramento delle ultime ore, questa mattina poco prima delle 7: era stato ricoverato in ospedale lo scorso 12 settembre. Al momento del decesso era vicino al regista il figlio Francesco. Regista teatrale sulle orme di Luchino Visconti, Eduardo De Filippo e Vittorio De Sica, di cui è stato collaboratore, autore di lavori originali che hanno unito danza, prosa e canto, il nome di Beppe Menegatti resterà per sempre legato a quello di sua moglie, di cui è stato anfitrione e mentore: Carla Fracci (1936-2021), considerata una delle più grandi ballerine del XX secolo e incoronata dal 'New York Times' come "prima ballerina assoluta". Per lei ha curato decine di regie di spettacoli di danza. Beppe e Carla sono stati uniti da un matrimonio lungo 54 anni e dalla loro unione è nato nel 1969 il figlio Francesco, che fino all'ultimo in ospedale è stato accanto all'amato padre. La regina della danza mondiale e il regista si erano sposati nel 1964. Si erano incrociati per la prima volta nella sala prove della Scala e fu un colpo di fulmine per entrambi. "Ero l'ultimo di una fila di persone che entravano - ha raccontato Menegatti - in testa c'era Luchino Visconti, poi il coreografo Léonide Massine, quindi il compositore Franco Mannino e la costumista Lila De Nobili e poi io che portavo la borsa a Visconti. Lila si gira e dice: 'Luchino, non potrebbe essere questa qua la ragazza per la parte di Silvestra?'. E indica una fanciulla seduta per terra con i calzerotti rossi. Era Carla". Nato come Giuseppe Menegatti a Firenze il 6 settembre 1929, fin da giovanissimo segue gli spettacoli del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e oltre che ad appassionarsi alla lirica, decide di intraprendere la strada di regista. Si iscrive all'Accademia nazionale d'arte drammatica "Silvio D'Amico" a Roma, che gli riconosce una borsa di studio. Al termine degli studi, Beppe Menegatti viene ingaggiato da Luchino Visconti nel 1954-56, che lo incarica come aiuto regista in diversi spettacoli teatrali. Lavora poi con Vittorio De Sica, Eduardo De Filippo, Luigi Squarzina, sempre in teatro, e in seguito in proprio come regista sia nel campo della prosa che in quello della lirica. Numerose le sue regie di opere liriche nei più importanti teatri del mondo. Prima di dedicarsi completamente alla lirica e alla danza, nella seconda metà degli anni '60, Menegatti ha curato la regia delle pionieristiche rappresentazioni assolute in Italia di autori del 'teatro dell'assurdo' come Samuel Beckett, "Tutti quelli che cadono" e "Commedia", con un gruppo di noti attori fra i quali Paola Borboni, Lidia Alfonsi e Virgilio Gazzolo. Spronato da Visconti, Menegatti già agli inizi degli anni '60 si occupa del teatro di danza ("Il balletto del festival dei Due Mondi", 1962), interesse che diventa primario grazie al matrimonio con Carla Fracci. Per esaltare la versatilità interpretativa della celebre moglie, si dedica all'ideazione di balletti drammatici, trovando spunti sia nella letteratura teatrale ("The Macbeths", 1969; "Il gabbiano", 1970; "Mirandolina", 1983, "Il lutto si addice ad Elettra", 1995), sia in quella operistica ("Il vespro siciliano, 1992) sia in biografie di personaggi storici che riadatta in drammaturgie ("Nijinskij memorie di giovinezza", 1989; "Alma Mahler G. W.", 1994; "Zelda, riservami un valzer", 1998). Menegatti ha poi coadiuvato Carla Fracci nella direzione del corpo di ballo dell'Arena di Verona nel 1996-97. Nella convinzione di non perdere di vista il balletto narrativo, in quegli anni Menegatti ha costruito (con l'ausilio di diversi coreografi) frammenti di balletti che si credevano scomparsi, ha rintracciato partiture musicali rare e preziose con spirito di archeologo, ha consultato vecchi libri come fonti di scorci storici e di atmosfere che poi ha raccolto in vere e proprie sceneggiature a passo di danza con interventi di prosa. Di recente, nel 2021, è stato consulente per il film biografico sulla Fracci, diretto da Emanuele Imbucci e liberamente ispirato all'autobiografia 'Passo dopo passo' a cura di Enrico Rotelli. Read the full article
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sounds-right · 4 months
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MOLO - BRESCIA, un grande weekend: 31/5 Rehab, 1/6 Ludwig
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Lo scatenato weekend di MOLO - Brescia inizia venerdì 31 maggio. Sul palco ed in consoel va in scena Rehab, il party hip hop che tra autunno e primavera prende vita al Circus beatclub il giovedì... e che d'estate a Brescia si trasferisce, ovviamente, al MOLO, di venerdì. In console, tra gli altri, Jay K & O'Neill, due dj specializzati in hip hop, genere che ormai si fa sentire forte da tempo in tutto il mondo. 
Ed eccoci a sabato 1 giugno '24. Sul palco del MOLO - Brescia arriva Ludwig, ovvero Ludovico Franchitti, ex Dark Polo Gang, un personaggio di riferimento nella scena trap italiana. Nato a Roma nel 1992,  inizia prestissimo ad appassionarsi alla musica elettronica suonando in alcuni club della capitale e come opening dj a main guest. La sua prima produzione musicale è il brano "Take A Shine", che ottiene un buon riscontro da parte degli artisti del panorama EDM. Dopo aver accompagnato la Dark Polo Gang durante il Twins Tour, ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla produzione e di puntare tutto sul suo progetto solista. Con Ludwig al MOLO - Brescia ecco Gala. Alla voce Toma + Banza.
///
Molti dettagli e tante, probabilmente scatenate, novità per l'estate '24 al MOLO - Brescia sono ancora top secret, come è gusto che sia prima di ogni nuova stagione. C'è però una certezza. Da tempo MOLO - Brescia  gestito da chi ha portato al successo nel tempo sia Circus beatclub a Brescia (che ha appena compiuto 25 anni di successi), sia River a Soncino (CR)... Ovvero, dal team coordinato da Antonio Gregori. E' un riferimento per chi vuol ballare con stile, tra gli addetti ai lavori e tra chi ha voglia di ballare. 
MOLO - Brescia, Summer on my mind
Via Sorbanella n. 3, Brescia
Infoline, WhatsApp: +39 333 210 5400
A4: Brescia Ovest, zona Multisala OZ
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tarditardi · 4 months
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MOLO - BRESCIA, un grande weekend: 31/5 Rehab, 1/6 Ludwig
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Lo scatenato weekend di MOLO - Brescia inizia venerdì 31 maggio. Sul palco ed in consoel va in scena Rehab, il party hip hop che tra autunno e primavera prende vita al Circus beatclub il giovedì... e che d'estate a Brescia si trasferisce, ovviamente, al MOLO, di venerdì. In console, tra gli altri, Jay K & O'Neill, due dj specializzati in hip hop, genere che ormai si fa sentire forte da tempo in tutto il mondo. 
Ed eccoci a sabato 1 giugno '24. Sul palco del MOLO - Brescia arriva Ludwig, ovvero Ludovico Franchitti, ex Dark Polo Gang, un personaggio di riferimento nella scena trap italiana. Nato a Roma nel 1992,  inizia prestissimo ad appassionarsi alla musica elettronica suonando in alcuni club della capitale e come opening dj a main guest. La sua prima produzione musicale è il brano "Take A Shine", che ottiene un buon riscontro da parte degli artisti del panorama EDM. Dopo aver accompagnato la Dark Polo Gang durante il Twins Tour, ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla produzione e di puntare tutto sul suo progetto solista. Con Ludwig al MOLO - Brescia ecco Gala. Alla voce Toma + Banza.
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Molti dettagli e tante, probabilmente scatenate, novità per l'estate '24 al MOLO - Brescia sono ancora top secret, come è gusto che sia prima di ogni nuova stagione. C'è però una certezza. Da tempo MOLO - Brescia  gestito da chi ha portato al successo nel tempo sia Circus beatclub a Brescia (che ha appena compiuto 25 anni di successi), sia River a Soncino (CR)... Ovvero, dal team coordinato da Antonio Gregori. E' un riferimento per chi vuol ballare con stile, tra gli addetti ai lavori e tra chi ha voglia di ballare. 
MOLO - Brescia, Summer on my mind
Via Sorbanella n. 3, Brescia
Infoline, WhatsApp: +39 333 210 5400
A4: Brescia Ovest, zona Multisala OZ
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juliopison · 9 months
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DISCOTECA (Italia) Andrea Bocelli LP Sogno
Para escuchar el Disco pulsa el Link: https://artecafejcp.wixsite.com/cafemusic/post/andrea-bocelli
01 "Canto della Terra" 02 "The Prayer" (with Celine Dion) 03 "Sogno" 04 "'O Mare E Tu" (with Dulce Pontes) 05 "A Volte Il Cuore" 06 "Cantico" 07 "Mai Più Così Lontano" 08 "Immenso" 09 "Nel Cuore Lei" (with Eros Ramazzotti) 10 "Tremo E T'Amo" 11 "I Love Rossini" 12 "Un Canto" 13 "Come Un Fiume Tu" 14 "A Mio Padre (6 Maggio 1992)"
Café Mientras Tanto jcp
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Ustica: Borsellino indagò su 'buco nero' radar di Marsala
Paolo Borsellino, all’epoca procuratore di Marsala, indagò su uno dei tanti ‘buchi neri’ dell’inchiesta sulla strage di Ustica. A richiamare l’interesse del magistrato, poi ucciso dalla mafia nell’attentato di via D’Amelio nel 1992, era stata una telefonata alla trasmissione “Telefono giallo” condotta da Corrado Augias su Rai 3. Era il 6 maggio 1988. Nel corso di una telefonata una persona si…
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lanuovaalleanza · 1 year
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LA PIATTAFORMA REGIONALE PER LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI TOSSICO-NOCIVI - Parte 5
Un lunedì del maggio 1991, al termine di un Consiglio Comunale, il Presidente della Regione, Adriano #Biasutti, si mise a cercare di dare spiegazioni alla gente inferocita. Il clima era tesissimo e volavano gli insulti contro la Democrazia Cristiana. Ad un certo punto, Adriano Biasutti perse le staffe ed uscì con una frase razzista contro il barbiere Angelo, che era già attivista della #Lega e gli disse:<cosa vuole parlare lei che non ha l'accento di San Daniele!>.
Quel giorno (nella mia stupidità di giovane volevo salvare l' onore della DC, creando una componente contro la Piattaforma) alle 17:00 ebbi un incontro a Pordenone, presso la sede dell' #Itas, con l'assessore regionale ai trasporti Giovanni Di Benedetto (andreottiano), sperando di avere aiuto. In seguito scoprii che Bruno #Casagrande, che era di #Fontanafredda (comune di cui Giovanni Di Benedetto era stato Sindaco) aveva già promesso una maxi-tangente di 1 miliardo di lire, in cambio della costruzione della piattaforma a #MorsanoAlTagliamento: ero finito nella tana del lupo! Spiegai all' assessore regionale la situazione di Morsano. Di Benedetto mi fece un discorso, teologicamente perfetto, sui valori cristiani e mi diede appuntamento per il 21 giugno, chiedendomi di portare qualcuno della DC morsanese che fosse contrario alla Piattaforma.
Il 21 giugno ci presentammo, nella sede di rappresentanza della Regione a Pordenone, solo io ed un certo Gianni Padovan (la terza dissidente, Barbara Nadalin, si diede indisponibile all'ultimo momento). Preso atto che la mia posizione era isolata all'interno della Democrazia Cristiana, mi ritirai da ogni impegno pubblico (don Franco mi continuava a consigliare di stare a casa mia e fare le mie cose) ed il 6 gennaio 1992 spedii una lettera a Gianni Gnesutta, segretario comunale DC, per dimettermi dal Partito.
CONTINUA. #StoriaDelFriuli
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donaruz · 1 year
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24 MAGGIO 1961 nasceva ILARIA ALPI
"Era una giovane donna, forte e determinata, battagliera e femminista convinta".
"Soffriva di vertigini e temeva il vuoto, ma si era scelta un lavoro in cui l'elicottero è uno dei cosiddetti ferri del mestiere, aveva una autentica fobia del vuoto, una vera e proprio chefobia ma volava con tranquillità almeno apparente".
"Era una giornalista coraggiosa con la mente in Europa ed il cuore in Africa"
P.s. Così l'ha descritta sua madre.
Si diplomò al Liceo Tito Lucrezio Caro di Roma.
Grazie anche all'ottima conoscenza delle lingue (arabo, francese e inglese) ottenne le prime collaborazioni giornalistiche dal Cairo per conto di Paese Sera e de l'Unità.
Successivamente vinse una borsa di studio per essere assunta alla Rai.
Ilaria Alpi giunse per la prima volta in Somalia nel dicembre 1992 per seguire, come inviata del TG3, la missione di pace Restore Hope, coordinata e promossa dalle Nazioni Unite per porre fine alla guerra civile scoppiata nel 1991, dopo la caduta di Siad Barre. Alla missione prese parte anche l'Italia, superando in tal modo le riserve dell'inviato speciale per la Somalia, Robert B. Oakley, legate agli ambigui rapporti che il governo italiano aveva intrattenuto con Barre nel corso degli anni ottanta.
Le inchieste della giornalista si sarebbero poi soffermate su un possibile traffico di armi e di rifiuti tossici che avrebbero visto, tra l'altro, la complicità dei servizi segreti italiani e di alte istituzioni italiane: Alpi avrebbe infatti scoperto un traffico internazionale di rifiuti tossici prodotti nei Paesi industrializzati e dislocati in alcuni paesi africani in cambio di tangenti e di armi scambiate coi gruppi politici locali. Nel novembre precedente l'assassinio della giornalista era stato ucciso, sempre in Somalia e in circostanze misteriose, il sottufficiale del SISMI Vincenzo Li Causi, informatore della stessa Alpi sul traffico illecito di scorie tossiche nel paese africano.
Alpi e Hrovatin furono uccisi in prossimità dell'ambasciata italiana a Mogadiscio, a pochi metri dall'hotel Hamana, nel quartiere Shibis; in particolare, in corrispondenza dell'incrocio tra via Alto Giuba e corso Somalia (nota anche come strada Jamhuriyada, corso Repubblica).
La giornalista e il suo operatore erano di ritorno da Bosaso, città del nord della Somalia: qui Ilaria Alpi aveva avuto modo di intervistare il cosiddetto sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor, che riferì di stretti rapporti intrattenuti da alcuni funzionari italiani con il governo di Siad Barre, verso la fine degli anni ottanta. La giornalista salì poi a bordo di alcuni pescherecci, ormeggiati presso la banchina del porto di Bosaso, sospettati di essere al centro di traffici illeciti di rifiuti e di armi: si trattava di navi che inizialmente facevano capo ad una società di diritto pubblico somalo e che, dopo la caduta di Barre, erano illegittimamente divenute di proprietà personale di un imprenditore italo-somalo. Tornati a Mogadiscio, Alpi e Hrovatin non trovarono il loro autista personale, mentre si presentò Ali Abdi, che li accompagnò all'hotel Sahafi, vicino all'aeroporto, e poi all'hotel Hamana, nelle vicinanze del quale avvenne il duplice delitto. A bordo del mezzo si trovava altresì Nur Aden, con funzioni di scorta armata.
Sulla scena del crimine arrivarono subito dopo gli unici altri due giornalisti italiani presenti a Mogadiscio, Giovanni Porzio e Gabriella Simoni. Una troupe americana (un freelance che lavorava per un network americano) arrivò mentre i colleghi italiani spostavano i corpi dall'auto in cui erano stati uccisi a quella di un imprenditore italiano con cui successivamente vennero portati al Porto vecchio. Una troupe della Svizzera italiana si trovava invece all'Hotel Sahafi (dall'altra parte della linea verde) e filmò su richiesta di Gabriella Simoni - perché ci fosse un documento video - le stanze di Miran e Ilaria e gli oggetti che vennero raccolti.[6]
Ilaria Alpi venne sepolta nel Cimitero Flaminio di Roma.
La madre, Luciana Riccardi Alpi, (1933 - 12 giugno 2018) ha intrapreso, fin dal primo processo, una battaglia per cercare la verità e far cadere ogni sorta di depistaggio sull’omicidio della figlia.
#pernondimenticaremai
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lamilanomagazine · 1 year
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Strage di via D'Amelio, Mattarella: "La Repubblica si inchina in memoria di Borsellino"
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Strage di via D'Amelio, Mattarella: "La Repubblica si inchina in memoria di Borsellino". Il 19 luglio non sarà mai una data come le altre. In molti hanno provato a banalizzare l’appuntamento che, 57 giorni dopo il 23 maggio 1992, ha segnato per sempre la storia della lotta alla mafia. Le commemorazioni degli uomini che hanno servito lo Stato fino alle estreme conseguenze dovrebbero essere un rito sacro della democrazia in cui si riconosca chiunque creda nella legalità. Peccato non sia sempre stato così dal 1992 ad oggi. La morte di Paolo Borsellino, legata indissolubilmente a quella dell’amico e collega Giovanni Falcone non è stata cancellata né dai chili di esplosivo fatti scoppiare da Cosa nostra né dall’indifferenza, o peggio dalla complicità, dei nemici della verità. Negli anni, fortunatamente, la Palermo cresciuta nella consapevolezza della battaglia portata avanti dai due giudici ha contagiato molte altre città: il 19 luglio e il 23 maggio sono diventate date in cui si moltiplicano gli appuntamenti dell’antimafia di tutta Italia. Le verità giudiziarie mai emerse in maniera completa e i “buchi neri” nella ricostruzione dei due attentati non hanno mai preso il sopravvento. Se la mafia non ha vinto la sua guerra contro lo Stato è anche perché, dopo quello che è accaduto a Falcone e Borsellino, gli italiani, hanno smesso di essere insensibili al tema. Anche il 19 luglio 2023, allora, non è una data come le altre. Quest’anno l’anniversario della strage di via D’Amelio è caduto in settimane calde per il dibattito intorno alla giustizia: si discute sulle proposte del Ministro Carlo Nordio, mentre continuano ad essere oggetto di polemica politica i casi La Russa, Santanché e Delmastro. Questo 19 luglio non è una data come le altre anche perché, dopo 9 mesi dall’insediamento del suo governo, è la prima volta di Giorgia Meloni a Palermo nella veste istituzionale di Presidente del Consiglio. La premier ha partecipato alla commemorazione alla Caserma Lungaro, ha avuto un incontro e un colloquio con Manfredi Borsellino (poliziotto e figlio del giudice) e con Maria Falcone (sorella del giudice), ha deposto una corona d'alloro per i caduti nelle stragi di mafia e ha reso omaggio alla tomba della famiglia Borsellino. E a chi le ha chiesto conto della scelta di non partecipare in serata alla fiaccolata organizzata storicamente dalla destra Meloni ha risposto: «Quello che ho letto stamattina su alcuni quotidiani mi ha molto colpita, una polemica inventata sul fatto che io avrei scelto di non partecipare alla tradizionale fiaccolata per paura di contestazioni per ragioni di ordine pubblico: è una notizia inventata. Ma soprattutto, chi dovrebbe contestarmi esattamente? Perché la mafia mi può contestare, quello sì. Se qualcuno vuole venire a contestare sono i mafiosi, e non ne dubito. Io non sono mai scappata in tutta la mia vita». Con la premier che ci ha tenuto a precisare che la strage di via D’Amelio è stata «il motivo per il quale ho iniziato a fare politica». Solenni le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fratello dell’allora Presidente della Regione Piersanti Mattarella, assassinato a Palermo da Cosa nostra il 6 gennaio 1980: “Nell'anniversario della strage di via D'Amelio la Repubblica si inchina alla memoria di Paolo Borsellino, magistrato di straordinario valore e coraggio, e degli agenti della sua scorta - Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina - che con lui morirono nel servizio alle istituzioni democratiche”. Il Capo dello Stato ha anche aggiunto che "quel barbaro eccidio, compiuto con disumana ferocia, colpì l'intero popolo italiano e resta incancellabile nella coscienza civile”. In mattinata è giunta anche la nota della segretaria del Pd Elly Schlein: “Trentuno anni dopo la strage di via D'Amelio continuiamo a chiedere verità e giustizia per tutte le vittime della mafia e i loro familiari. Perchè il ricordo non può essere altro che questo: onorare la memoria di chi non c'è più con i fatti, con il nostro impegno quotidiano nel contrastare la criminalità organizzata e le sue infiltrazioni nella società, nell'economia legale, nella politica. Continuare a far camminare il loro coraggio e le loro idee con le nostre gambe, con le nostre azioni. E aiutare chi è sopravvissuto”. Nel pomeriggio, in via D’Amelio, davanti all'Albero della Pace, durante la manifestazione non-stop in memoria del fratello, durissime le parole di Salvatore Borsellino: “I nostri morti non possiamo ancora seppellirli. Potrò seppellire Paolo solo quando potrò mettergli tra le mani la sua agenda rossa. Hanno sacrificato lui e i nostri cari sull'altare di una scellerata trattativa. Continueremo a chiedere giustizia”. Nelle stesse ore, mentre a Palermo continuavano le commemorazioni del popolo antimafia, la Corte d’Appello di Caltanissetta ha condannato anche in secondo grado all’ergastolo Matteo Messina Denaro come uno dei mandanti delle stragi del 1992. Una decisione con cui si continua a chiudere il cerchio attorno alle morti di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle due scorte. Alle 16.58, l’ora della strage, un minuto di silenzio osservato in via D’Amelio ha reso la giornata ancora più sacra.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Letizia Battaglia la fotografa di Palermo
Letizia Battaglia fotografa della mafia è una giusta definizione? Attraverso i suoi scatti, Letizia Battaglia ha senza dubbio testimoniato in molti momenti questo aspetto della vita di Palermo ma non è stato l'unico. Il suo occhio era rivolto alla città con i suoi mille volti, con le sue molte contraddizioni. La fotografia è stata per lei una missione, un modo per raccontare la sua terra in anni molto difficili. Unica donna tra tanti uomini Quando inizia la sua carriera di fotografa è il 1969: Letizia ha 34 anni e collabora con il quotidiano palermitano "L'Ora" ed è l'unica collega donna tra tanti uomini. Dopo una breve permanenza a Milano, torna nella sua città dove con il suo obiettivo testimonia momenti cruciali della vita della sua città. I suoi scatti fanno il giro del mondo e le guadagnano nel 1985 il Premio Eugene Smith a New York, ex aequo con la fotografa americana Donna Ferrato. Nel 1999 le viene invece tributato il premio "Mother Johnson Achievement for Life". Espone non solo in Italia, ma anche in Francia, Gran Bretagna, Svizzera, Brasile, America e Canada e in alcuni paesi dell'est Europa. Negli anni Ottanta da vita al "Laboratorio d'If" uno spazio di formazione per fotografi e fotoreporter. Letizia Battaglia fotografa di Palermo Ci sono immagini che dopo decenni sono ancora impresse nella nostra memoria. Una di queste è senza dubbio quella che ritrae Piersanti Mattarella esanime tra le braccia del fratello Sergio. L'allora presidente della Regione Sicilia fu assassinato da Cosa Nostra il 6 gennaio del 1980 e Letizia Battaglia fu la prima fotoreporter ad accorrere sul luogo del delitto. Pochi mesi prima aveva immortalato un altro dei delitti eccellenti di quel periodo: quello del giudice Cesare Terranova avvenuto, appunto, il 25 settembre 1979. La foto ritrae il giudice alla guida di una Fiat 131 con i vetri dei finestrini rotti. Per Letizia Battaglia la fotografia era uno strumento di lotta civile. Immortalare ciò che la mafia stava compiendo in quegli anni era come una missione. Con le sue foto testimoniò, ad esempio, l'ascesa del clan dei Corleonesi mentre gli scatti che ritrassero Giulio Andreotti insieme agli imprenditori Ignazio e Antonino Salvo presso l'hotel Zagarella furono ammessi agli atti durante il processo al politico democristiano. Palermo non era solo mafia. Era una città che viveva una realtà molto più complessa. Il suo impegno costante la porterà a ritrarre questa complessità andando a sbirciare negli angoli più nascosti, a scovare i volti delle persone comuni. Eppure saranno due fatti di mafia a segnare la fine della sua carriera di fotografa: i delitti Falcone e Borsellino avvenuti rispettivamente a maggio e a luglio del 1992. Diverse fonti raccontano che Letizia fosse stanca di confrontarsi ancora con la violenza. L'impegno politico L'impegno politico fu un'altra parte importante della vita di Letizia Battaglia. Nel 1979 figura tra i fondatori del Centro di Documentazione "Giuseppe Impastato". Negli anni Ottanta e Novanta ha ricoperto diversi incarichi politici: consigliera comunale con i Verdi, assessore comunale a Palermo nella giunta Orlando, deputata all'Assemblea regionale siciliana con La Rete e vice presidente della Commissione Cultura nell'XI legislatura. Lo scorso anno, il 13 aprile, una lunga malattia l'ha portata via. Via dalla sua Palermo che ha ritratto con amore e dolore. In copertina foto di F. Heiberger da Pixabay Read the full article
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iltrombadore · 1 year
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VILLA STROHL-FERN, "La Casa della vita": una mostra del 1998 in omaggio al valore sempreverde di pittura e scultura...
Nel maggio del 1998 dedicai alla memoria di Villa Strohl-fern una piccola e ben calibrata esposizione di amici artisti, tutti o quasi emergenti dalle selezioni della Quadriennale, con una impostazione stilistica nel solco della tradizione moderna italiana, per una scelta in favore della pittura figurativa. La mostra fu promossa e sostenuta da mia zia Donatella, quale titolare dello studio di Piazzale Flaminio, sede della Associazione Amici di Villa Strohl-fern. Riguardo oggi quel prezioso e memorabile omaggio, e il testo che ne ricavai, con una certa soddisfazione per non dovermi pentire della scelta compiuta: la qualità degli amici pittori ( e di uno scultore eccellente, qual è Giuseppe Bergomi) si è venuta consolidando nel tempo, tanto che la stima nei loro confronti è arricchita dal frondoso albero sempreverde che nutre la loro opera.  Elenco di seguito le opere degli artisti partecipanti alla mostra, che intitolai "Villa Strohl.fern. La Casa della Vita", non solo come riferimento allo studio abitazione di mio nonno Francesco, ma dedicato all' intero parco e al sogno che fu di Alfred Strohl: un modello ideale e al tempo stesso esperienza di reale"hortus conclusus" dove il binomio arte-vita segnava uno spazio incantato, lontano dai fragori e dalle tempeste di questo mondo.
1-Giovanni Arcangeli Villa Strohl-fern, 1997
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2-Ubaldo Bartolini Incontro a Villa Strohl-fern 1998
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3-Giuseppe Bergomi Busto di Marta 1992
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4-Aurelio Bulzatti La tela bianca 1998
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5-Valeria Cademartori Atelier a Villa Strohl fern 1998
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6-Paolo Fiorentino Fulmine non fulmini 1998
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7-Giovanni Frangi Souvenir 1998
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8-Paola Gandolfi La Villa 1998
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9-Paolo Giorgi Nell’aria dove fluttuano le foglie 1997
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10-Pierluigi Isola Il parco della memoria 1998
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11-Anna Keen L’ingresso nascosto 1998
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12-Luca Pignatelli Il volo di Alfred Strohl 1998
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13-Franco Polizzi Il pino nello studio 1998
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14-Tito Rossini La notte a Villa Strohl fern 1998
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15-Nicola Verlato Figura salvata 1998
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16-Wainer Vaccari Mistero a Villa Strohl fern 1998
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wearemilan · 2 years
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#AccaddeOggi - 21 marzo 1993, quel pomeriggio San Siro applaudì una sconfitta. Al termine di Milan-Parma 0-1 (gol di Asprilla al 58') i tifosi rossoneri capirono che si era appena stabilito un primato storico, difficilmente violabile nelle varie epoche: 58 risultati utili consecutivi in Campionato.
Ecco come era andata, nei capitoli precedenti:
- 1' risultato utile: Milan-Parma 0-0, 26 Maggio 1991, ultima giornata del Campionato 1990-91, con Arrigo Sacchi ancora in panchina.
- 58' risultato utile: Lazio-Milan 2-2, 14 Marzo 1993, 23' giornata del Campionato 1992-93, con Fabio Capello in panchina.
Milan 1991-1992: 22 vittorie e 12 pareggi
Milan 1992-93 fino alla 23' giornata: 17 vittorie e 6 pareggi
Totale 58 risultati utili consecutivi, compreso lo 0-0 di Milan-Parma: 39 vittorie e 19 pareggi.
Ecco tutti i giocatori impiegati in Campionato per quella grande impresa, per una o più presenze: S. Rossi, Baresi, Tassotti, Maldini, Carbone, Costi, F.Galli, Costacurta, Stroppa, Rijkaard, Van Basten, Evani, Agostini, Massaro, Albertini, Ancelotti, Antonioli, Cornacchini, Donadoni, Fuser, Gambaro, Gullit, Serena, Simone, Boban, De Napoli, Eranio, Lentini, Nava, Papin, Savicevic. #StoriaRossonera #LeggendeRossonere 🔴⚫
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saibhaktabrasill · 2 years
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#Italian 30.jan.23 30 Gennaio 2023 Come scritto a Prasanthi Nilayam oggi Gandhi era una persona comune ma, grazie alle lezioni di comportamento corretto che ebbe da sua madre, riuscì a ottenere la grandezza e la fama mondiali. Sua madre era solita osservare un voto secondo il quale mangiava al mattino soltanto dopo aver udito il cuculo cantare. Una volta, quando Gandhi era ragazzo, ella aspettava da un po’ di udire quel canto per cui il figlio uscì di casa, imitò l’uccello e tornò dentro dicendo che il cuculo aveva cantato e che lei poteva mangiare. La madre intuì l’inganno del figlio, gli dette uno schiaffo e disse: “Ragazzo malvagio! Che peccato devo aver commesso per meritare un figlio come te?”. Ella si addolorò molto del fatto che un figlio simile fosse nato da lei e il suo dolore toccò il cuore di Gandhi che, in quel momento, decise fermamente che non avrebbe mai più detto una bugia. I genitori erano responsabili per primi del fatto che i figli conducessero una vita pura e virtuosa. Discorso Divino del 6 maggio 1992 Se proteggiamo la verità e la rettitudine, esse ci proteggeranno ovunque andiamo. Con Amore, Baba #sathyasai #saibhakta #sathyasaibaba #saibaba https://www.instagram.com/p/CoDuJVGsA41/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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