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#Antropologia Culturale
capra-persa · 4 months
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Mostra temporanea a Palazzo Pallavicini, Bologna: Sulle streghe e la loro storia, tra leggende, xilografie e persecuzioni religiose
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ross-nekochan · 1 year
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Oggi anche se era Natale, era pure domenica per cui sono uscita a fare la mia solita passeggiata, in cui do sfogo massimo a pensieri di ogni tipo. Erano le 15 passate, pochissime auto in giro e si sentivano ancora i piatti che si muovevano dalle cucine.
Ho letto di molti anche qui che sono tornati dalle proprie famiglie facendo viaggi della speranza per festeggiare Natale assieme. E lo capisco, perché l'ho fatto anche io per vari anni e forse dovrò farlo ancora in futuro. Addirittura un Natale l'ho passato in un paese dove non esiste per niente, se non come festa commerciale come se fosse una sorta di Carnevale/Halloween diverso, e la sensazione che si prova in questi casi è davvero deprimente.
Tuttavia quest'anno, come spesso mi è capitato, non sono riuscita a fare a meno di pensare agli aspetti negativi della faccenda. Sentiamo forte l'esigenza di unirci in famiglia, ma che cosa rappresenta veramente? L'ho già detto, ma io trovo falso questo concetto. Anzi, i familiari sono sempre più spesso le persone da cui devi aspettarti le più grosse inculate della tua vita. Ma quale famiglia? Ma quale serenità e convivialità?
Lo sappiamo benissimo che è tutta una farsa e lo dimostrano i continui post su Instagram sulle domande di merda dei parenti a cui tutti vorremmo rispondere:"ma perché non ti fai i cazzi tuoi?", eppure non ce la facciamo proprio ad estrometterci, a mandare veramente a fanculo questi consanguinei falsi e opportunisti, preferendo soffrire momenti di merda pur di farne parte o perché ci sentiamo costretti dalle circostanze.
Ma se la nazione è un costrutto sociale, come può la famiglia, che è una nazione in piccolissimo, non essere la stessa cosa? Cosa cambia nella relazione tra familiari e non familiari? Il sangue? E cosa cambia il sangue se ci sono madri e padri che ripudiano i propri figli e se persino nella Bibbia abbiamo Caino e Abele? La famiglia è solo l'ennesima farsa a cui spesso non vogliamo rinunciare perché abbiamo bisogno di sentirci parte di un gruppo e sentirci in qualche modo amati, desiderati. In sostanza, lo facciamo per noi stessi, prendendoci per il culo da soli.
Ed è inutile che nonni, genitori e zii sventolino la carta del "ai miei tempi non era così, ci si voleva bene e la famiglia era un valore". Cazzate. Il valore della famiglia non è mai esistito e se prima c'era questa parvenza è perché il vero valore perseguito era quello della rispettabilità sociale. Era una vergogna, piuttosto, non prendere parte a queste farse e non aver niente da raccontare alla domanda "dove sei andato a Natale?". Se c'erano screzi, in base alla tua posizione della scacchiera, eri condannato a ingoiare il boccone o ad avere la ragione dalla tua parte. Sei un uomo che ha messo le corna a tua moglie? Ebbene, lei ti perdona per "il bene della famiglia". Sei il figlio più piccolo e i tuoi genitori ti hanno lasciato un cazzo dell'eredità? Ebbene, se arrivato dopo, i primi hanno sempre la meglio quindi zitto. Ovviamente c'era chi zitto non si stava e quei pochi coraggiosi anche in passato hanno diviso famiglie. Ma ovviamente a guardare indietro si fa presto a coprire i ricordi della solita patina d'oro.
Eppure non riusciamo a non fare parte della recita. Non riusciamo a rimanere soli, perché la solitudine è spesso un fardello pesante in situazioni del genere, dove la compagnia sembra dover essere di default. L'ho vissuto, lo so. Però allo stesso tempo non posso non essere rivoltata da questo disgustoso spettacolo che si ripete puntualmente ogni anno, sempre peggio del precendente.
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gregor-samsung · 2 years
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“ Per noi occidentali baciare è sempre e comunque un fatto di labbra. Mentre la filematologia, cioè la scienza dei baci, dice chiaramente che in molte culture le manifestazioni amorose non sono necessariamente orali. Ma impegnano altre parti del corpo. Gli Inuit, meglio noti come Eschimesi, per esempio, si scambiano effusioni, ma anche convenevoli, strofinandosi teneramente o calorosamente il naso. E cosí pure Malesi e Polinesiani. Charles Darwin sostiene che questo approccio nasale risalga all’età della pietra e rappresenti una forma di riconoscimento olfattivo. Una manifestazione di compatibilità corporea. Che produce empatia, simpatia, legame, ma anche attrazione, passione, simbiosi. Tanto che in alcune regioni dell’India antica al posto di baciare si usava il verbo annusare. Chi avvicinava le labbra al viso del partner, invece che «ti adoro» diceva «ti odoro». E nella Cina tradizionale, ci si baciava accostando il naso alle guance e soffiando leggermente per far arrivare il proprio profumo. Del resto, è cosa ben nota che nell’attrazione erotica giochi una forte componente olfattiva. Insieme a quella tattile e gustativa. Tutte e tre presenti nel bacio. Che, in piú, chiama in causa anche l’udito. Visto che lo schiocco, lo smack, il mwah, il chu, il pciú, il risucchio e altri suoni rappresentano l’essenziale componente rumoristica di ogni plaisir d’amour. In realtà, come suggerisce l’etologo Eibl-Eibesfeldt, il bacio labiale e linguale è molto piú diffuso di quanto appaia a prima vista. Intanto per l’origine filogenetica del gesto, derivante da operazioni alimentari ancora presenti e osservabili nelle scimmie antropomorfe. In questo senso baciarsi rappresenta la ritualizzazione di quello che in tempi remoti è stato uno scambio di cibo: nutrizione e protezione. E poi, anche nelle società in cui sembra assente, il bacio sulla bocca a un’osservazione piú approfondita può rivelarsi presente, seppure in forma latente. Infatti sono molte le culture che accanto alla confricazione nasale o frontale, praticano anche il bacio labiale. Ma ragioni di tabú, segretezza, intimità culturale hanno confinato questo gesto in una sorta di semiclandestinità. È il caso della Nuova Guinea, di Bali o del Giappone. Nel Paese del Sol Levante si dice di solito che il bacio sia stato introdotto dagli Europei. Ma il bacio linguale anche in passato non era affatto sconosciuto, tant’è vero che in certe fonti medievali si mette in guardia la coppia dall’indulgere a questa forma di effusione amorosa. Ecco perché, piú che i rapporti di coppia, a provare l’eventuale presenza o assenza del bacio, è casomai la relazione madre/figlio, che è molto meno carica di tabú e quindi piú facilmente osservabile (Eibl-Eibesfeldt 1977, p. 175). In effetti nel Giappone tradizionale il bacio tra adulti ha poco a che fare con l’affetto e molto con il desiderio, come mostrano le stampe erotiche chiamate shunga, dove compare il kuchisū, cioè letteralmente «succhiare la bocca». Si tratta di un gesto trasgressivo di estrema licenziosità e fortemente stigmatizzato soprattutto se a compierlo sono i religiosi, perché si ritiene che la loro bocca sia destinata esclusivamente a trasmettere gli insegnamenti buddisti (Shigeru 1984, pp. 466-67). “
Elisabetta Moro, Marino Niola, Baciarsi, Giulio Einaudi editore (collana Vele), 2021 [Libro elettronico]
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simonarinaldi · 11 months
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Morto Marc Augé, l’antropologo francese dei non luoghi - Luglio 2023
Marc Augé – Antropologo Festival di Filosofia Se c’è una cosa che ha caratterizzato Marc Augé, antropologo e filosofo scomparso ieri all’età di 87 anni, è la laicità. Il suo Genio del paganesimo (1982) è la risposta, a 180 anni di distanza, al Génie du Christianisme (1802) di Chateaubriand, per culminare nella dissacrazione ironica e irriverente de Le tre parole che cambiarono il mondo (2016),…
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ernestogiorgi · 2 years
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Appunti di Antropologia Culturale 9 [1022]
Appunti di Antropologia Culturale 9 [1022]
Revisione testo : 04 luglio 2022 ore 10:30 – Revisione immagini: 04 luglio 2022 – L’ educazione primitiva dei figli – I giovani che si sposano oggigiorno, nel 2022, hanno a disposizione tutta una serie sanitaria e psicologica di procedimenti scientifici, di tecniche, di strumenti che noi, una ventina o trentina di anni fa, non ci sognavamo nemmeno. Eppure, il mondo di una volta è andato avanti lo…
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magpieddd · 3 months
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Solamente due ore e mezza di screentime per oggi wow amo l'università
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I testi religiosi sono mitologia.
Il termine corretto per definire qualsiasi libro detto 'sacro', dalla bibbia, ai vangeli, alla torah, al corano, etc, è: mitologia (come L'Odissea di Omero).
Gli scritti religiosi, fondamentalmente, sono utili solo per studi antropologici, cioè per capire come si evolve il pensiero umano.
La bibbia è mitologia poiché è un testo che contiene l'insieme delle elaborazioni fantastiche e religiose (superstizione, moralità) di una determinata popolazione/tradizione culturale.
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dominousworld · 2 years
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RESISTENZA ALLA NUOVA ANTROPOLOGIA CULTURALE
di Francesco Comandini La scelta non è tra la negazione e l’affermazione di qualche diritto individuale, tra la libertà o meno di sentirsi uomo o donna a prescindere dal sesso biologico, ma tra una visione antropologica che vede l’uomo come un essere tradizionalmente composto di spirito, anima e corpo, ed una nuova antropologia culturale fondata su una libertà individuale senza più limiti,…
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autolesionistra · 1 year
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In questo periodo mi attraversa sempre un profondo sentimento di italianitudine entrando in praticamente qualsiasi Pubblico Esercizio™ e osservando la stratificazione insensata di cartelli e foglietti relativi alle varie ere di linee guida covid con reminescenze di antichi obblighi di mascherine e distanziamenti tipicamente esposti a fianco di otto clienti che s’ingroppano di fianco alla cassa (prima di riattizzare fiamme sopite: non vuole essere una considerazione di validità giuridica o sul merito delle norme).
Come per tutti i traumi troppo recenti, la tendenza è alla rimozione (in questo caso non dei cartelli, ma della loro percezione). Saltuariamente qualche impavido vecchino dal panettiere alza il mento verso il cartello “Ma quella roba lì è ancora valida?” “Lo sai te? Io nel dubbio mica la tolgo”
Ci sarebbero tante cose da dire ma più in qualche master di antropologia culturale che dal panettiere.
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ufficiosinistri · 1 year
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Bruno Barba - "Ma quale DNA?"
“Ma quale DNA” è un saggio scritto da Bruno Barba che ha uno scopo ben preciso: quello di screditare e affossare qualsiasi teoria evoluzionista presente nel calcio, atta a portare un peggioramento della qualità culturale e comunicativa di narrazione e giornalismo. Il termine specifico oggetto della critica da parte di Barba, docente di antropologia, è, appunto, “DNA”. Parlare di DNA in uno sport nel quale, come sosteneva Socrates, “può vincere anche il peggiore”, risulta un’operazione anacronistica, che assume intrinsecamente concetti razzisti, che vengono così trasfigurati nello sport più mutevole e intriso di socialità, rivoluzione, rispetto ed accettazione di tutti i tempi. Frasi come “Questa squadra ha la vittoria nel DNA” oppure “questa società ha carattere” non hanno motivo di esistere quando si tratta di raccontare, mediante studi  empirici, o più modernamente con storytelling e messe in scena televisive, uno sport creato dagli uomini e da essi continuamente plasmato, come se vivesse in uno stato di continua evoluzione interiore.
Non esiste  infatti, in primo luogo una “maniera” di giocare a calcio: Sacchi, per esempio, si ispirò al modello olandese per arrivare a far giocare come prima punta il sardo Virdis, e pretese fortemente l’acquisto  dell’emiliano Ancelotti dalla Roma, dando vita ad un modulo studiato per poter competere con le squadre di quel preciso periodo storico e sociale. Allo stesso modo, ci viene raccontata l’Italia del 1982, che fu capace di prendere le distanze dal calcio di Pozzo, il calcio “da alpini”  delle due Rimet vinte di fila e in grado di trovare aperture e spazi, alla faccia della costante retorica del catenaccio all’italiana.  
In “Ma quale DNA”, le parole come “sincretismo” e "partecipazione" hanno maggior valenza rispetto agli slogan che vengono continuamente  diffusi dai social e da una maniera di raccontare il calcio troppo spinta verso la celebrazione delle vittorie e delle imprese sportive del singolo, più  che nei confronti degli uomini nella loro collettività, con i loro pregi e i loro difetti, che le hanno compiute.
Il calcio non viene descritto come materia minore rispetto ad altri sport, soprattutto quelli che esaltano in modo più spiccato l’individualità : dal giocatore di terza categoria all’amatore, dalla vecchia gloria che sta finendo la carriera in Serie D al giovane promettente di qualche cantera europea, tutti vengono posti sullo stesso piano, grazie ad una ricerca socio-antropologica esaustiva e rivelatrice, frutto dell’immensa cultura e dell’estremo interesse scientifico che il docente alessandrino mette a disposizione dei propri lettori.
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Stiamo parlando di un testo accademico e di tutt’altro che facile lettura, ma estremamente necessario, soprattutto per capire cosa significhi veramente parlare di calcio moderno. Essendo appena uscito, grazie alla lungimirante opera di Battaglia Editore, “Ma quale DNA” esamina ogni sfaccettatura antropologica del gioco del pallone, arrivando a parlarci degli ultimi Mondiali, disputati in Qatar, partendo dall’Homo Ludens di Huzinga per poi arrivare a Pavese, Gianni Brera e al Basaglia di “da vicino nessuno è normale”.  Perché il calcio, come gli uomini, è un fenomeno fluido, come fluida è la società nella quale prende vita e viene giocato ogni giorno, sul campetto di periferia come nelle grandi arene sportive.
Scrivere, raccontare e parlare di calcio dovrebbero essere, secondo Bruno Barba, pratiche veicolanti per trasmettere un’esperienza e, successivamente, interpretare i fenomeni che ne derivano. Saper descrivere il calcio per poi poterne parlare, saper individuare le cause tattiche per poter commentare un’azione sono operazioni che vanno ben più in là rispetto all’abbruttimento del linguaggio calcistico al quale siamo ormai da decenni abituati. Stiamo parlando di vera e propria fenomenologia, che non si scaglia a priori contro modernità e cambiamenti, in una retorica nostalgica ed ancorata al passato, me che ne entra a far parte in modo quasi naturale e descrittivo.
Raramente ho trovato un saggio calcistico che, in modo così naturale, eviti scontate sussunzioni e scada in effimere narrative nostalgiche per raccontare questo gioco. Se ovunque possiamo giocare a pallone, allora ovunque e a chiunque possiamo raccontarne le storie.
“Esiste una contraddizione di fondo tra il desiderio di formulare articolate teorie sui massimi sistemi calcistici e l’evidenza di alcuni fatti: se al novantesimo minuto della finale mondiale 1978 l’olandese Resembrink, invece che colpire il palo, avesse indirizzato la palla qualche centimetro più in là, sarebbe cambiata la storia di quella squadra arancione, dell’Albiceleste, e chissà persino il destino dell’Argentina e della sua infame dittatura.”
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raffaellamilandri · 22 days
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Interviste con gli Autori : Francesco Spagna
Francesco Spagna presenta "Sulle orme della tradizione. Gli Indiani d'America e noi".
Francesco Spagna di parla di sè e della sua opera “Sulle orme della tradizione. Gli Indiani d’America e noi”. Il Prof. Francesco Spagna, docente di Antropologia Culturale alla Università di Padova, ci introduce al suo importante testo che fa un excursus sulle varie tematiche della storia e attualità dei Nativi Americani. La tradizione è il fil rouge che ci permette di far arrivare a noi oggi la…
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chiamalegge · 2 months
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Il primo libro di antropologia
Che cos’è l’antropologia culturale? Marco Aime prova a spiegare chi è e cosa fa un antropologo oggi, rovesciando gli approcci teorici tradizionali. In effetti la natura dell’antropologia non è più così definita: di popoli sconosciuti da studiare ce ne sono sempre meno, i confini tra l’Occidente e il cosiddetto Sud del mondo sono sempre più labili, i paradigmi del secolo scorso sono crollati e…
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mypickleoperapeanut · 2 months
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"La colonizzazione e la cancellazione identitaria"
di Riccardo Rescio
"Welcome to Barerarerungar" è il titolo della Mostra dell'Artista indigena australiana Maree Clarke.
La prima esposizione monografica in una istituzione pubblica del vecchio continente curata con maestria da Valentina Gensini e Renata Summo O'Connell, realizzata grazie al supporto di MUS.E nell'ambito dell'innovativo Progetto RIVA.
La Mostra segna un momento cruciale nella scena artistica e culturale europea, offrendo un palcoscenico prestigioso all'Artista indigena australiana Maree Clarke.
Questo evento è stato reso possibile dall'impegno dell'Università degli Studi di Firenze, che celebra il proprio centenario con il Progetto Fuori Sede, e dall'indispensabile contributo della Fondazione CR Firenze.
La Mostra trasforma lo spazio espositivo in un dialogo aperto e coinvolgente con le opere site-specific create da Clarke durante la sua residenza presso il MAD Murate Art District, dispiegandosi in due location distinte ma complementari, il MAD e le installazioni sulle facciate delle antiche carceri del Complesso delle Murate, e una imponente opera nel Museo di Antropologia e Etnologia-Sistema Museale di Ateneo.
Al di là della rilevanza artistica e della maestria tecnica, di Maree Clarke "Welcome to Barerarerungar" assume una dimensione eticamente significativa e profondamente attuale attraverso il suo focus critico sull'inaccettabile comportamento dei cosiddetti colonizzatori.
Attraverso la potente voce visiva di Clarke, la Mostra non solo celebra la ricchezza culturale e spirituale delle popolazioni indigene australiane, ma solleva anche un imperativo riflessivo sugli orrori perpetrati nel corso della storia da coloro che, spinti dall'avidità e da un malinteso senso di superiorità, hanno sterminato le popolazioni locali per conquistare nuove terre.
"Welcome to Barerarerungar" diviene un forte catalizzatore per una riflessione più ampia sulla necessità di riconoscere e riparare le ingiustizie storiche, promuovendo un dialogo aperto verso la comprensione, il rispetto reciproco e la coesistenza pacifica tra culture diverse.
L'evento vuole essere un ponte tra passato e presente, invitando il pubblico a confrontarsi con le dure verità e le memorie collettive, spesso ignorate o dimenticate, legate al processo di colonizzazione. Attraverso l'espressione artistica, Clarke fornisce una testimonianza viscerale dell'impatto devastante che tale processo ha avuto sulle comunità indigene, sottolineando la resilienza, la forza e la sopravvivenza di questi popoli di fronte a tentativi di annientamento culturale e fisico.
In ultima analisi, "Welcome to Barerarerungar" non è solo una Mostra è un atto di memoria e di resistenza che sfida i visitatori a riflettere sulle proprie convinzioni e sul proprio ruolo nella costruzione di un futuro in cui le atrocità del passato non trovino più spazio.
È un invito a riconoscere il valore intrinseco di ogni cultura e la ricchezza che la diversità apporta al tessuto condiviso dell'umanità.
Firenze 11 aprile 2024
Murate Art District MUSE Firenze Fondazione CR Firenze Città di Firenze Unifi
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lamilanomagazine · 3 months
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Giornata Internazionale Rom e Sinti: da Roma a Milano eventi ed importanti riconoscimenti
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Giornata Internazionale Rom e Sinti: da Roma a Milano eventi ed importanti riconoscimenti. In occasione della celebrazione della ricorrenza annuale della Giornata internazionale dei Rom e Sinti dell'8 aprile, il violinista Gennaro Spinelli e il noto compositore Santino Spinelli si esibiranno da solisti al Teatro alla Scala di Milano mercoledì 10 aprile alle ore 15:00 accompagnati da alcuni musicisti della sezione Anpi del Teatro alla Scala e da alcuni musicisti dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro. "Il traguardo raggiunto da padre e figlio - sostiene l'assessora alle Politiche Sociali e alla Salute Barbara Funari - segna un importante passo simbolico per l'intero Paese e per la comunità Rom e Sinti, sia a livello culturale che sociale, verso una maggiore inclusione e valorizzazione della loro cultura. È essenziale continuare insieme su questa strada per creare concretamente nei nostri quartieri delle strade di incontro in modo che Roma diventi un modello per le altre città nel superare logiche passate che cerchiamo quotidianamente di contrastare". L'evento si inserisce all'interno di una cornice più ampia di attività svolte su tutto il territorio nazionale, in concomitanza con la Giornata internazionale dei Rom e Sinti dell'8 aprile, in collaborazione con l'Unione delle Comunità Romanès italiane (UCRI) e con l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. "L'iniziativa - dichiara il Direttore dell'UNAR Mattia Peradotto - rappresenta un passo fondamentale verso la promozione di una conoscenza non stereotipata delle minoranze. Promuovere il dialogo in cui attivisti, studenti, artisti rom e sinti siano protagonisti è un elemento essenziale dei processi di empowerment ed è il percorso auspicato nella Strategia di Uguaglianza, Inclusione e Partecipazione di Rom e Sinti di recente approvazione". Tra gli eventi che avranno luogo nella stessa settimana, particolare importanza rivestono le iniziative che si svolgeranno a Roma in collaborazione con Sapienza Università di Roma. A partire dalle ore 11:00 di venerdì 5 aprile, presso Il Nuovo Teatro Ateneo di Sapienza Università di Roma, si svolgerà la conferenza-concerto dal titolo "Rom e Sinti. Dalla conoscenza alla coesistenza: incontro di culture, musica e diritti". Tra i promotori dell'iniziativa il prof. Gaetano Lettieri, Direttore del Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo de "La Sapienza" di Roma: "I Rom e Sinti, la cui storia e cultura sono poco conosciute in Italia e in Europa, sono stati e sono tuttora spesso discriminati, esposti al fenomeno dell'antiziganismo e a situazioni di costante vulnerabilità. Con la Conferenza-Concerto del 5 aprile il Dipartimento SARAS di Sapienza Università di Roma punta a favorire l'emersione di una narrazione positiva sui e dei Rom e Sinti attraverso la musica, strumento essenziale di trasmissione della cultura romanì, e intende valorizzare i percorsi di cittadinanza attiva che vedono protagoniste le comunità romanès in Italia".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sardies · 10 months
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“Ecce Homo”, Marco Ceraglia racconta Borutta fotografando i suoi abitanti
Borutta. Marco Ceraglia e l’associazione culturale Ordinarimai tornano con un nuovo progetto di arte partecipata che unisce ricerca visuale e antropologia, per richiamare l’attenzione sulla resistenza attiva dei piccoli centri della Sardegna al dilagare dello spopolamento. “Ecce Homo, come si presenta ciò che si è”, questo, con un richiamo all’opera postuma del filosofo Friedrich Nietzsche, il…
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flavioscutti · 10 months
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DIRITTO D'AUTORE E CONTENUTI
Ogni tanto degli amici mi mandano una clip condivisa da disco_bambino, che io nemmeno guardo perché conosco a memoria tutti i video degli artisti italiani più conosciuti pubblicati su YouTube da anni, oltre al fatto che già li conoscevo perché ho visto la TV per tutti gli anni '80 e '90. Allora, molti di questi video, già pubblicarli per la prima volta è una violazione del diritto d'autore, accettata perché diventano contenuti culturali che qualcuno ha registrato dal televisore, conservato e praticamente inediti. Sulle reti private potrebbe essere anche l'unico materiale, ma se parliamo di trasmissioni RAI, lì la cosa è un po' diversa, c'è un archivio pubblico, con tanto consultabile gratuitamente. Lo scaricare il materiale già pubblicato per metterlo sulla propria galleria è anche sfruttamento, perché lo usi come contenuto, che per contratto con il social dovrebbe essere originale o dovresti possederne i diritti.
Contenuti di cui non si rispetta il formato, gli si mette il proprio logo, ce ne si impossessa proprio. Anni fa ci si lamentava che in TV i film non erano come al cinema, adesso è peggio, ma va bene. Poi si compravano le cassette duplicate al mercato, adesso invece si va da Giuseppe Savoni, ma come si va da altri, perché pagine simili ce ne sono diverse. Parlo di questa solo perché oltre ad essere condivisa dagli amici mi viene proposta frequentemente anche dal social stesso favoreggiando la violazione dei diritti.
Nessuno mette in dubbio che si sia riusciti a concentrare un pubblico, molto banalmente secondo me, ma cosa si propone? Essendo materiale già pubblicato qual'è l'apporto culturale che ne si ha nella società? Nullo. Comprare uno dei nunerosi libri sulla canzone italiana può essere più impegnativo che guardarsi un video sui social, senza descrizione, senza nulla. C'è da dire che ormai non conoscere certi classici della musica popolare è molto tipo non sapere chi ha scritto Cenerentola, ma siamo a questi livelli, c'è bisogno di chi lo ribadisce.
Potrei capire se ad interessarsi siano dei giovanissimi, ma qui ci troviamo proprio su un mercato che già conosce la proposta e diventa una questione sociale.
Per curiosità sono andato a vedere che volume di utenti movimenta una pagina come questa e troviamo 90 mila followers su IG, con 79 che seguono anche i miei contenuti, e già questo fa riflettere.
Su Spotify abbiamo invece 1041 seguaci con 2011 sulla playlist più seguita, ma cosa c'è in questa playlist? Due ore di brani commerciali ancora frequentemente trasmessi da molte radio, presenti praticamente ovunque.
Se vogliamo considerare i contenuti commerciali prodotti per il mercato popolare dei documenti di antropologia culturale credo che come minimo ne si debba rispettare la forma e il contesto di origine, ma evidentemente per tanti è più importante crearsi un pubblico che acculturarlo ed ecco che l'ovvio diventa un elemento in cui riconoscersi
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